Lecce che suona, di Federico Capone (Capone Editore 2003)

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"Lecce che suona" è la storia della musica salentina, dalla pizzica alla world music, passando attraverso il folk leccese di fine anni Settanta e la stagione dell’Hip Hop Reggae. Un libro da leggere tutto d’un fiato, scritto da una voce fuori del coro che mette in evidenza i limiti della ricontestualizzazione della musica tradizionale e l’importanza di quella che viene considerata, senza motivo alcuno, musica minore. Un viaggio raccontato anche attraverso la voce dei protagonisti, da Gino Ingrosso ad Enzo Petrachi da Dj War a Gopher D, che porta il lettore alla scoperta di nomi che rimarranno a giusta ragione nella storia della canzone leccese quali Eupremio Fersino, Andrea Gigante, Cesare Monte, Bruno Petrachi e altri ancora. È anche una testimonianza di gente che ce l’ha fatta senza dimenticare le proprie radici e la propria giovinezza, vissuta nelle arse campagne del Salento, come Al Bano e, prima ancora, Tito Schipa i quali hanno fatto conoscere la nostra terra nel mondo.

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Capone Editorevia prov.le Lecce-Cavallino73100 Lecce0832612618 / 0832611877 (anche fax)online: www.caponeditore.itmailto: [email protected]

ISBN: 88-8349-095-9

Finito di stampare nel mese di novembre 2003 da AGM - Arti Grafiche Marino, Lecce

Si ringraziano: A. C. Production, City Record, Disco Express, Edizioni Indigene, EdizioniNufa, Phonotype record, Vincenzo Sparviero.

Le foto appartengono all’archivio della Casa editrice, salvo indicazioni diverse.L’Editore ha cercato di venire a capo degli aventi diritto su testi e documenti, è comun-que disponibile a riconoscere eventuali spettanze agli aventi diritto.

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Prefazione

Il sottotitolo di questo lavoro, appunti di musica salentina,potrebbe trarre in inganno qualche lettore.

Il volume nasce con una esigenza particolare: quella dirivalutare, agli occhi degli studiosi, l’importanza di tutta lamusica salentina nelle sue più diverse forme ed espressioni.

Il lavoro, senza la pretesa di competere con altri scrittipubblicati da ricercatori più illustri, cerca, tuttavia, di esserloro di aiuto perché svolgano più “serenamente”, senzapregiudizi, le future ricerche.

Non so se esista “la” musica, sicuramente non esiste lamusica “cattiva”, quella, per intenderci, da dimenticare.

Al massimo, nel nostro neonato secolo, dovremmo chie-derci se l’innovazione musicale non consista nel rendereaccessibili alla maggior parte del pubblico stili molteplici.

In particolare la pizzica tarantella, oggi come oggi, sitrova ad una svolta storica: l’internazionalizzazione.

Già da diversi anni esiste, in molte università, una cat-tedra di Storia delle tradizioni popolari. Ma cosa sono letradizioni popolari? A Lecce, almeno per quanto riguardala musica, sicuramente non è solo il tarantismo, pur moltosignificativo della salentinità, anche se oltremodo pubbli-cizzato ed osannato, ma anche la musica folk della primametà degli anni Settanta (e mi riferisco tanto a quella popo-lare quanto a quella d’autore), il Reggae Hip Hop e lamusica “contaminata”.

L’obiettivo che mi sono posto è stato quello di cercareuna linea di continuità fra la musica antica salentina equella contemporanea. E, posso assicurare, non è statolavoro da poco!

La perdita di spontaneità nel riproporre musiche più o

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Musica antica,strambotti, sonetti,pizzica tarantella.(Dalle origini aglianni Settanta)

Musica folk e dia-lettale d’autore.(Dalla fine degli anniSettanta all’iniziodegli anni Novanta)

Musica Reggae HipHop in dialettosalentino.(Dalla fine degli anniOttanta ai giorninostri)

Musica globaleovveroworld music.(Dalla metà deglianni Novanta in poi)

La musica ha fattoparte della vita del-l’uomo come mezzodi comunicazione edi protesta sociale.Quella che qui si defi-nisce musica anticanon ha lasciato di sémolte tracce scrittema, per quantoriguarda le serenate,gli strambotti, i rac-conti di vicende vero-simili e vere si puòsupporre che fosseroaccompagnate dacordofoni o anche,nel caso specificodella pizzica, da tam-burelli.

La musica della cam-pagna si sposta incittà e perde alcuneproprie peculiarità, inparticolare scomparela figura dellaTarantola e i testidiventano “urbani”.Un filo di continuitàsi può ritrovare nel-l’utilizzo del dialetto,ma non solo: gli stor-nelli sono direttidiscendenti dellamusica antica. Ovviamente vi sonoaspetti innovativi,basti pensare allamusica di Tito Schipain primis ed alla musi-ca dialettale d’autoredi Gino Ingrosso.

La world music, ovve-ro musica etnica con-taminata, spinge lamusica salentina benoltre l’ambito nazio-nale. Si agisce spessosulla musica e menosui testi, questo per-ché la musica è intesacome linguaggio uni-versale.Non sappiamo anco-ra bene dove porteràquesto processo. Aduna perdita delleradici? oppure ad unriconoscimento dellamusica salentina nelmondo? Bisognaattendere ancora deltempo per capirlo.

Il Reggae Hip Hopsalentino è alla basedell’Hip Hop italiano.Pur non nascendo nelSalento riprende ildialetto locale e loimpone a tutto ilmovimento. Dallacittà, ora l’ambito ènazionale, la stru-mentazione usata èinnovativa: compu-ter, tastiere elettroni-che, giradischi, micro-fono e... tanta fanta-sia. L’immediatezzacomunicativa del rap,tuttavia, si fonde conil dialetto che divienetecnologico.

Prima fase: campagna e città sono gliambienti della musica salentina. Luoghiristretti dove tutti conoscono tutto di tutti,dove gli spartiti musicali sono un optionale la religiosità fusa con la magia un must(da San Paolo a Sant’Oronzo).

Seconda fase: si vola alto. La nazione, prima, edil mondo, poi, sono il nuovo palcoscenico. Ilprezzo da pagare è forse elevato: la perditadelle proprie radici. Di contro il Salento e il dia-letto salentino si fondono con ritmi e sonoritàapparentemente lontani fra loro.

I quattro generi e le due fasi

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Comu ddo palumbieddhi core a core, intr’alla stessa coppa sti carusi(“Funtana nòscia”, Attisani-Vernaleone)

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La tradizione orale

Parlando di musica leccese non si può non fare un saltoindietro nel tempo e cercare di ricostruire quelle che sonostate le radici.

Non tutte le musiche, infatti, sono state messe per iscrit-to: la maggior parte si è trasmessa oralmente.

Nelle società classiste, mentre i “nobili” ascoltavanomusica colta e si riunivano nelle accademie, il popolo nonstava certo in silenzio, anzi. A Lecce è sempre stata viva latradizione delle serenate e delle mattinate e non mancava-no certamente i “cantastorie” di fatti di sangue e d’amore.

Ovviamente, la tradizione orale salentina, come quellaafricana e, più vicina a noi, siciliana e campana, non erauna tradizione “statica”: i racconti venivano tramandaticon piccole varianti da paese a paese. Gli antecedenti dellamusica salentina, e forse italiana, vanno ricercati perciònelle loro canzoni (1200 circa)1.

Il cantastorie doveva conoscere a memoria i canti tradi-zionali, ma doveva anche essere in grado di improvvisaresu fatti legati all’attualità e su avvenimenti casuali di unascena continuamente in trasformazione ed estremamenteframmentata. Dotato di intelligenza brillante e versatile,conoscitore della storia locale, i suoi repertori si suddivi-devano in serenate e mattinate, canti di contenuto epico,canti celebrativi delle gesta di un re o di un signore. Alcunidi questi elementi si ritrovano anche nei canti “delle cam-pagne” (Lu rusciu te lu mare2, dove si narra della figlia di unre “mandata a morte”, molto probabilmente perché con-dannata a perdere la propria verginità o, ancora, nel cantodel cacciatore che incontra nel bosco una cerva-ragazza)3.

La pratica improvvisativa è un elemento costante nella

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Il campanile del Duomo di Lecce

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La musica salentina

Se la pizzica e la tarantella sono da sempre considerateespressione del territorio salentino, non si può non evi-denziare il fatto che, parallelamente al folk revival, sul fini-re degli anni Sessanta, quando il fenomeno del tarantismopuò dirsi concluso, si sviluppa la canzone d’autore in dia-letto leccese.

Questo genere ha lasciato ampie tracce del proprio svi-luppo grazie alle registrazioni, per divenire poi, a Bologna,spunto principale per un gruppo di giovani studenti lecce-si che ebbero, all’inizio degli anni Novanta, il merito dicreare il Reggae Hip Hop in dialetto leccese: il Sud SoundSystem.

A questo punto il Salento e la sua musica si “aprono” aculture che precedentemente erano solo state “sfiorate”:nasce così il festival di “La Notte della Taranta”.

Nel passaggio dalla prima alla seconda fase (che non siè svolta soltanto nel senso di “acculturazione”) la musicasalentina ha perso molti dei suoi caratteri popolari perdivenire opera d’arte ad iniziativa di musicisti “colti”, lamaggior parte dei quali proviene da tutt’altra area che nondal Salento.

Molti tratti distintivi della musica “antica” indigena sisono perduti o si sono trasformati: si ascolti il dialetto, dap-prima “puro”, poi ”polito”, fino a divenire ipertecnologicocon l’Hip Hop Reggae e scomparire definitivamente con laworld music. Tali trasformazioni hanno indotto alcuni“puristi” a negare a queste contaminazioni la qualifica dimusica salentina.

Certo è che in ogni periodo e per ogni genere la costan-te dell’improvvisazione è sempre presente, seppure sotto

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La pizzica pizzica ed il tarantismo

Innumerevoli sono gli scritti contemporanei sul taranti-smo e sulla pizzica pizzica. Il mercato è oramai inflaziona-to. Per questo motivo ho deciso di riportare la “cronaca” didue viaggiatori stranieri che fra Sette e Ottocento attraver-sarono la Puglia. Non si pensi che queste siano le unichetestimonianze “contemporanee” al fenomeno, anzi.

Prima di lasciarvi alla lettura dei passi penso sia oppor-tuno sottolineare come il tamburello non occupi, nei casi inquestione, tutta quella importanza “terapeutica” che oggigli si attribuisce.

Il Phalangium apulum e il tarantolismodi Johan Hermann von Riedesel7

Ho visto adoperare un metodo molto singolare, per bat-tere i piselli e le fave: una cornamusa suona, e venti o ven-ticinque persone, con zoccoli, si mettono a ballare, vigoro-samente, sopra questi legumi, ed in questa maniera lipestano. Fa meraviglia vedere, in un clima così caldo, lagente, che lavora ballando, e guarirsi dalla morsicaturadella tarantola ballando, ed avere un gusto così spiccatopel ballo, che si manifesta in tutte le occasioni. A propositodella tarantola eccovi, credo, il luogo, in cui vi possa comu-nicare, quanto ho veduto e notato, intorno a questo anima-le, ed alla sua morsicatura.

Questo aracnide, che si mostra in tutti i gabinetti di sto-ria naturale, è effettivamente molto comune nei dintorni diTaranto, da cui piglia il nome, né lo è meno in tutta l’e-stensione della Puglia. Tutto quello che se ne racconta è

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Tra i contadini di Pugliadi Janet Ross8

Quando fui un'altra volta a Leucaspide, l'anno prima,Sir James Lacaita invitò tutte le donne che lavoravano allafattoria ed alcuni muratori che facevano delle riparazioninel giardino, ad una festa da ballo. Di quel ballo selvaggio,e di quel più selvaggio cantare che accompagnava il ballo,conservavo tale piacevole impressione, che pregai il nostrogentile ospite di offrire un nuovo trattenimento ai suoilavoranti. Il tempo era splendido, la notte mitissima, percui andammo tutti sulla “loggia” con un magnifico chiarodi luna — un chiaro di luna affatto meridionale — che fu lìballata la “Pizzica-pizzica” con tutto lo slancio, e la graziaabituale in quelle garbate popolazioni. Una lunga canzoned'amore viene detta cantando: l'uomo balla di fianco e giradintorno alla sua ballerina, la quale tenendo con grazia ilgrembiule fra il pollice e l'indice di tutte e due le mani,sembra stia per poco ad ascoltare, per poco a sfuggire ilsuo ballerino. Ad un tratto si gira un braccio sulla testa, el'altro appunta arditamente sul fianco, mentre facendoschioccare le dita ed allontanandosi di un balzo, sembrasfidare il suo compagno a seguirla. Corrono allora tutti edue lungo la “loggia”, l'uomo con la testa rovesciata indie-tro e gli occhi schizzanti fuoco per l'eccitamento, e gridan-do degli ha-ha, mano mano che è più prossimo a raggiun-gere la ragazza. Poi calmandosi, e ritornando sui loropassi, la prima maniera lusinghiera ricomincia, e moltevolte finisce che l'uomo cade in ginocchio davanti alla fan-ciulla, ciò che è segnale di grande approvazione e battutedi mano del pubblico. Se il primo ballerino è stanco, viensubito surrogato da un altro, e così per la ballerina; e perfi-

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Tito Schipa: "l'usignolo d'Italia"di Gianni Carluccio

Tito Schipa, una fra le più suggestive "voci" di tutti itempi, nasce a Lecce il 27 dicembre 1888 (verrà dichiaratoall'anagrafe il 2 gennaio 1889) da Luigi e AntoniettaVallone, ultimo di quattro fratelli. Da giovane studia nelSeminario Vescovile di Lecce per volere di mons. GennaroTrama e frequenta successivamente l'impegnativa scuoladi canto del m.o Gerunda per poi perfezionarsi a Milanocon il m.o Piccoli.

Esordisce, appena ventenne, il 4 febbraio 1909 a Vercelli(Teatro Politeama Facchinetti) con La Traviata; nella prima-vera del 1910 è a Lecce (Teatro Politeama Greco); da qui l'i-nizio di una rapida e trionfale carriera che lo vede prota-gonista nel 1911 a Roma (Teatro Quirino), nella CompagniaLirica Internazionale di G. Borboni e nel 1912/13 al TeatroDal Verme di Milano, dove incide anche i suoi primidischi. Nell'estate del 1913 è per la prima volta in SudAmerica (Teatro Colon di Buenos Aires), dove raccoglieràindimenticabili successi, divenendo il tenore italiano piùconosciuto ed amato dal pubblico. Nel 1913/14 arrivano iprimi trionfi al San Carlo di Napoli e successivamente aRoma (Teatro Costanzi), Buenos Aires (Teatro Coliseo), Riode Janeiro (Teatro Municipal) e a Bari (Teatro Petruzzelli).Nel novembre 1915 è a Milano al Teatro Dal Verme, diret-to dal celebre Toscanini e un mese dopo, a 27 anni, esordi-sce alla Scala con Il Principe Igor. Il 14 gennaio 1917 aMadrid (Teatro Real) esegue Manon alla presenza del Re diSpagna Alfonso XIII di Borbone e della regina EugeniaVittoria di Battenberg (nipote della regina Vittoriad'Inghilterra) che rimangono affascinati dalla sua voce e lo

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La musica folk*

La musica della campagna si sposta in città e perde alcu-ne proprie peculiarità, in particolare scompare il temadella tarantola e i testi diventano “urbani”.

Un filo di continuità si può ritrovare nell’utilizzo deldialetto e negli stornelli.

Ovviamente vi sono aspetti innovativi, basti pensarealla musica di Tito Schipa in primis ed a quella popolared’autore di Gino Ingrosso.

Dalla campagna alla città:la nascita della musica folk

Non è facile stabilire la data di nascita di una musica maè possibile studiarne l’evoluzione.

La musica folk salentina rappresenta una delle massimeespressioni del territorio e, come già avvenne per la pizzi-ca e la tarantella, è ritenuta da molti studiosi un fenomenopasseggero, da non tenere in considerazione, da dimenti-care o, addirittura, fenomeno di cui vergognarsi.

Non è così: la musica folk ha rappresentato per interegenerazioni un punto di riferimento e rappresenterà permolti studiosi l’ideale trait d’union fra la musica antica, lapizzica e la tarantella, e la musica contemporanea, ilReggae e l’Hip Hop.

Subito dopo il secondo dopoguerra si ebbe un notevoleesodo dalla campagna verso la città e, grazie alla radio cheriprese regolarmente le trasmissioni, proponendo anche la

* Per musica folk, forse impropriamente, intendo la musica popolare e popolaresca ma anche la

canzone dialettale d’autore nata a Lecce sul finire degli anni Sessanta

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La vera storia degli Ultimidi Antonio Buffo

(…) Poiché la ricerca scolastica aveva dato risultatialquanto modesti, insieme a Tommaso Errico, andai a cer-care gli anziani lavoratori della terra che ancora ricordava-no e cantavano le vecchie canzoni popolari.

La nostra ricerca diede frutti insperati: non solo trovam-mo anche delle bellissime voci, con timbri diversi e moltoaffascinanti. Ogni sabato sera, col solo accompagnamentodi una chitarra, si cantava, si registrava e… si cenava.

Man mano che i contadini cantanti si affiatavano, leparole divenivano più chiare, l’interpretazione più sentita,le canzoni più belle. All’inizio si era parlato di qualcheserata, del tempo necessario per le registrazioni di canzoniche venivano alla memoria… poi… si cominciò a parlare diun pubblico spettacolo a fine anno scolastico, a corona-mento della ricerca.

Per poter superare il difficile momento del primo impat-to col pubblico, progettammo di eseguire a scuola unaprova con un mini spettacolo. Così ebbe luogo quello chedefinimmo il primo successo ed il primo spettacolo degliUltimi… gli Ultimi di una generazione. A questo punto,finisce la prima parte della storia degli Ultimi (…).

Nell’intraprendere la ricerca delle canzoni popolari nonimmaginavo che sarei entrato in un fantastico mondo a mesconosciuto, perché lo scopo principale era solo quello diconoscere il mondo contadino dei nonni per mezzo dellaloro espressione più vera e più spontanea: non si andavaalla ricerca della canzone contadina in quanto tale, madelle canzoni che cantavano i nostri nonni; non solo dellecanzoni nate nella nostra terra ma anche di tutte quelle

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Un contrasto culturale

Confrontando la musica contemporanea con quella folkleccese si notano subito delle affinità, soprattutto nei testi15.Non sarebbe difficile, ascoltando registrazioni, ufficiali enon, del Sud Sound System scoprire come questo gruppoabbia riutilizzato la musica leccese in un contesto, quellometropolitano-nazionale, che ha ben poco da spartire conla campagna e con la tranquilla vita di una cittadina qualeè (era) Lecce.

Non solo, le testimonianze discografiche dimostranol’evoluzione del dialetto, così come della vita sociale e deidetti popolari che sono “in via d’estinzione”.

Ascoltando i dischi di musica leccese è facile scorgeredei “contrasti culturali” fra sistemi lontani.

Per esemplificare basta dare uno sguardo allo schemadei quattro generi musicali del Salento: la prima fase (quel-la riguardante la musica antica e la musica folk) è caratte-rizzata da una “conservazione” nell’utilizzo del dialettosalentino. Essa, tuttavia, ha in sé un contrasto evidente,quello campagna-città, che si esplicita nei temi, che nonriguardano più il “microcosmo” rurale, statico e restìo acambiamenti provenienti dall’esterno, con i problemi dellosfruttamento del contadino da parte del padrone o delladonna, bensì la vita di città, dell’emigrazione, del doversispostare, trasferire per mantenere la famiglia.

Nella musica leccese, inoltre, si ritrovano frequentemen-te riferimenti al vino (Innu allu mieru di Eupremio Fersino,Mieru, cavallo di battaglia di Bruno Petrachi), alle causedell’alcolismo e alle sue conseguenze (Lu ‘Mbriacu di GinoIngrosso).

Il Salento, molto spesso viene visto non come terra nella

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Un succeso di Bruno Petrachi: Tangu leccese (G. Ingrosso)

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Bruno Petrachi: il menestrello che cantò la bella Lecce

Poche sono le notizie su Bruno Petrachi, morto il 16maggio del 1997. Di seguito riporto il ricordo (ben pocacosa, per la verità, data l’autorevolezza del personaggio)della stampa locale.

Addio al menestrello che cantò la bella Lecce

“L’ultima volta, l’anno scorso a Milano. Eravamo al cir-colo Volta; eravamo tutti o quasi leccesi , un incontro con-viviale fra concittadini trapiantati da molti anni a Milano.Bruno era vestito con il solito sorriso.

Ricordo che attraversando il salone aveva intravisto ilbuffet: polpette, parmiggiana di melanzane, pittule, orec-chiette, tutto categoricamente preparato secondo le piùtipiche ricette salentine. Prima di esibirsi aveva "pizzicato",quasi a caricarsi per offrire il meglio del suo repertorio, poiuno sguardo complice al figlio Enzo, che ha ereditato lasua passione musicale, e via con la fisarmonica.

Era come rivedere una parte bella della mia vita. Loritrovavo dopo anni, e dopo tanto tempo non aveva cam-biato lo stile. Il folk di Petrachi è sempre stato come i piat-ti tipici: genuino, popolare e gustosissimo. Al circolo Voltal’atmosfera poteva essere la stessa della rotonda di SanCataldo o di Frigole, o di una sala del Salento o di qualchecittadina svizzera dove lavorano i nostri emigranti. Certecanzoni te le ritrovi scritte dentro e se è così è anche graziea lui. Le fimmene te moi, San Catautu… Bruno ha cantato lepassioni della città, le ha cantate con la sua passione. I per-

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sonaggi di un tempo, le vecchie storie popolari dei vicoli edelle corti, fino al calcio.

Con Bruno era ancora di più festa, festa nòscia. Il calciopoi se lo portava nel sangue. Luca, il figlio calciatore oggialla Cremonese, ha sempre trovato in lui il critico più seve-ro, tanto che al termine di ogni gara Bruno discuteva evoleva sapere sempre tutto. Impossibile non provareammirazione per questo grande amico di tutti, che giova-nissimo si tuffava dal punto più alto della grotta dellaPoesia, a Roca, suscitando sempre meraviglia, come quan-do inventava all’istante cento e passa stornelli. Così cipiace rivederlo e custodirlo con grande affetto dentro dinoi”.

Antonio Bartolomucci, ”Quotidiano di Lecce” del 17 maggio 1997

È morto Bruno Petrachi,re della canzone leccese

“Se n’è andato in punta di piedi, in silenzio. BrunoPetrachi, distrutto in due mesi da una terribile malattia, halasciato un vuoto difficilmente colmabile: i suoi stornelli“alla leccese”, il suo humor dirompente, le sue improvvisa-zioni alla fisarmonica ne avevano fatto un personaggio.Simpatico, con un sorriso contagioso, amava scherzaresempre. “Mo’ te pittu” diceva, “ora ti dipingo…” eimprovvisava uno stornello che riusciva a mettere in risal-to, in modo garbato, i lati deboli del suo interlocutore. Enon c’era a Lecce una persona che Bruno Petrachi nonavesse “pittato” almeno una volta. Ed ora non è più. Se n’èandato a soli 54 anni. Lasciatecelo ricordare con il suo sor-

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Intervista con Enzo Petrachierede della musica folk leccese

Secondo te, Enzo, ci può essere un filo di continuità fra la piz-zica e la musica folk leccese?

Non lo so, a mio avviso l’unico filo di continuità che cipuò essere è il dialetto, anche se bisogna sottolineare chequello utilizzato nella pizzica non è prettamente leccese, èun dialetto più meridionale, con altre influenze, anche gre-che, mentre il dialetto della musica folk è più verace, comesono veraci i leccesi che la cantano. Anche i temi sonosostanzialmente differenti: mentre nella pizzica si hannodei temi rurali, legati al lavoro nelle campagne, quindi perlo più canti corali, nella musica folk i temi sono cittadini.Non solo, c’è la componente non trascurabile delle canzo-ni d’autore. Della tradizione popolare più arcaica invece cisono gli stornelli, che sono delle strofe improvvisate.

Fìgghi te Lecce, di tuo padre Bruno può essere considerato ilmanifesto della leccesità

Sicuramente. Mio padre la mattina andava in giro per irioni della città a fotografare luoghi e personaggi dellaLecce di fine anni Settanta metà anni Ottanta. Tornato acasa “pittava”, cioè descriveva i personaggi con gli stor-nelli, oppure, quando si trovava di fronte qualcuno “nicantà la rasta”, in pratica metteva in luce, sempre scherzo-samente ed improvvisando, i difetti, ma talvolta anche ipregi, dell’astante. Così avveniva anche durante i concerti,nei suoi come nei miei e, posso assicurarti, mai nessuno siè risentito.

Che vuol dire cantare la rasta?Significa cantarne quattro, ma non solo; nel nostro caso

vuol dire anche fare una battuta o una vera e propria stor-

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Gino Ingrosso

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La musica dialettale d’autore e l’innovazione:Gino Ingrosso*

Quando si parla di musica folk la nostra mente volasubito a ricordi lontani, che si perdono nello spazio e neltempo.

Un viaggio indietro, una sorta di flashback, quando i con-tadini andavano in campagna a raccogliere le olive o iltabacco, quando le città non erano se non poco più chepaesotti imborghesiti.

In parte è vero, anche perché il substrato culturale nonsi perde, rimane nella nostra anima e segna una sottiletrama di continuità con il presente e con il futuro. Non tuttiperò ce ne accorgiamo. I nostri gesti quotidiani, la nostraparlata dialettale sempre più “tecnologica”, il mondo e ilmodo in cui viviamo provengono dal passato, a volte unpassato molto, molto lontano. Solo pochi artisti hannocoscienza di ciò e solo pochi sono in grado di recepire emigliorare con sapienza la propria cultura che, nel casoparticolare, coincide anche con la musica.

E Gino Ingrosso è un artista completo, che ha saputomiscelare, fin da tempi non sospetti, sonorità lontane e dia-letto salentino creando composizioni ex novo che parlanodella sua (e nostra!) terra, che fanno sentire l’ascoltatore parteintegrante di un sistema che sta pian piano scomparendo.

Si può essere in Germania, in pieno inverno, a zerogradi centigradi e, ascoltando le canzoni di Ingrosso, esse-re trascinati sulle spiagge assolate della costa adriatica,nelle arse e brulle campagne salentine, ricordandosi di unamore perduto o mai conquistato. Proprio così, senza

* Rivisitato da Gino Ingrosso, 25 anni di canzoni leccesi, a cura di D. Valli e N. G. De Donno

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reti televisive nazionali. Assegnatogli il “Premio Barocco” per la canzone

Gallipoli, ha inciso Fantastica Pizzica, con l’ausilio dei“Tamburellisti di Torre Paduli”, nel 1989.

Del 1995 è invece un altro album storico “Uagnunéra”,dove vengono utilizzate le ultime tecniche di registrazione.

Nel 1998 ebbe una delle sue più belle soddisfazioniquando con l’”Associazione Musicale Rossellini” di Castrì,diretta dalla pianista Irene Galasso e con la giovane sopra-no Doriana De Giorgi, assieme ad un gruppo di giovanimusicisti del conservatorio “Tito Schipa”, furono eseguitele sue musiche e canzoni dialettali in chiave classica.

Ginone, in alto a sinistra.In basso, Liliana e Ciccio Perla,

le voci della canzone leccese

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Nunzio Mariano, fondatore del gruppo Nunzio e i Messia

Gruppo Folkloristico Grikanico, diretto da Giovanni De Pandis

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La musica leggera

Anche la musica leggera, ha trovato, nel Salento, i suoispazi.

“Nunzio e i Messia” è il gruppo fondato all’inizio deglianni Sessanta da Nunzio Mariano e da alcuni amici: ha fattoballare intere generazioni, soprattutto ai veglioni “di unavolta”.

Nel decennio successivo alla nascita, il gruppo si ampliòcon l’inserimento di nuovi cantanti: nelle feste dei paesi salen-tini, dopo i giorni dedicati alle bande che con i vari pezzi d’o-pera accontentavano i più anziani, il gruppo doveva intratte-nere una fascia più giovane ancora impossibilitata ad acqui-stare i dischi che si ascoltavano alla radio.

Ma erano altri tempi, si diceva. I cavalli di battaglia erano i brani dell’epoca, “ripresi”, la

maggior parte, dalle varie edizioni del festival di Sanremo.Sempre in quel periodo, dopo l’inserimento di strumenti a

fiato, “Nunzio e i Messia” ha sfiorato la fusion, importando,primo nel Salento, la musica creata da Miles Davis che, qual-che anno prima, negli Stati Uniti, aveva rivoluzionato il pano-rama del Jazz. Nel contempo entrano in repertorio i Chicago ei Weather Report di Joe Zawinul.

Nel gruppo si sono succeduti elementi del calibro diAntonio “Marchi” Mercaldi, Piero Rizzo, Don Diegol’Africano, Fernando Calcagnile, Maurizio Mariano, Enzo DeCarlo, Dario Spedicato, Fernando Toma, Gigi Conte (dei“Catrame e cemento”), Annarita e Raffaella Liccardi (quest’ul-tima divenuta un soprano di qualità), e Gidiuli, trepuzzino,che ha avuto il merito di essere uno dei pochi salentini adapprodare a Sanremo in coppia con Domenico Modugno conla canzone Sopra i tetti azzurri del mio pazzo amore.

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Musica folk e mediadi Ludovico Malorgio

Questo mio intervento merita una premessa. Tutto ciòche scrivo è frutto di esperienze personali, in molti casidirette, in altri meno, ma sempre conseguenza di momen-ti vissuti da testimone e cronista appassionato. Quantoscrivo si riferisce esclusivamente al periodo in cui c’è statala riscoperta e la valorizzazione della canzone folclorica, invernacolo. La conoscenza diretta mi consente di affer-mare che la canzone popolare, o se preferite in ver-nacolo, ha registrato un ritorno, anzi, un vero e pro-prio boom, verso la fine degli anni ’70, in coinciden-za con la nascita delle emittenti radio televisive pri-vate che, proprio in quegli anni, determinarono unavera rivoluzione nel settore della comunicazione,dando grande impulso a fenomeni culturali in ambi-to locale, tra i quali, a ragione, si inserisce la musicapopolare.

Televisioni e radio che si caratterizzarono subito perl’attenzione che rivolgevano al territorio, ai fatti, alla cul-tura, alle tradizioni, allo sport, alla cronaca locale e che tro-varono in questi settori immensi serbatoi da cui attingereidee, progetti e quant’altro utile alla programmazione tele-visiva. La Canzone popolare, fino a quegli anni, se si eccet-tuano sporadici fenomeni locali legati a piccole realtà loca-li, soprattutto contadine, che in qualche modo coltivavanola tradizione della pizzica (fisarmonica e tamburello),assurta a fenomeno culturale nazionale negli ultimi anni,era stata tenuta in vita, soprattutto, da un artista, certa-mente da considerare il capofila, che ne aveva fatto ogget-to di ricerca, Cesare Monte, cantante ed autore neretino che

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Passeggiando con Ginoper la Lecce sparita

Una lunga passeggiata con Gino Ingrosso per le vie diLecce mi ha fatto meglio comprendere il significato dellamusica folk e del rapporto che lega Gino a Lecce ed ai leccesi.

“La canzone popolare -afferma- è l’espressione piùnaturale dell’animo umano e, quindi, la canzone leccesealtro non è se non l’espressione più genuina della salenti-nità. Il successo di una canzone, in generale, è dovuto alfatto che questa altro non è se non una pagina di poesia inmusica”.

È vero, una poesia in musica; ma perché utilizzare il dia-letto?

“La canzone popolare, in vernacolo in particolare, èancora più ‘sentita’ di quella in lingua perché più diretta espontanea. Molto spesso si fa portavoce di istanze delpopolo, dando voce alla gente ed alle sue idee... i canti con-tadini dovrebbero rimanere sempre tali. I processi di inur-bamento di quella musica sono avvenuti per il tramite dipiccoli gruppi di paese che, incidendoli, li hanno ripresinegli anni”.

Alla mia domanda di come avesse scoperto la pizzica,Gino ricorda “quando, nel 1987, dopo un lungo periodo dioblìo, andai a ripescare, con Pierpaolo De Giorgi e iTamburellisti di Torre Paduli la pizzica pizzica. La primadomanda che mi posi -aggiunge- fu il chiedermi perché lamusica delle campagne fosse stata dimenticata.

La risposta la trovai nella sua staticità musicale: la piz-zica pizzica, infatti, consisteva in quattro o otto battuteripetute all’infinito; fu così che decisi di inventarmi deglispazi, degli intermezzi musicali originali da riempire con

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Il teatro dialettale leccese:Raffaele Protopapa

Sarebbe riduttivo, in un lavoro dove si parla di leccesi-tà, non fare almeno un cenno al teatro dialettale che, ascanso di equivoci, non è teatro di colta accademia, dirichiami a grecità remote e orientato, per mezzo dello spe-rimentalismo, verso un futuro altrettanto remoto.

Non è teatro “impegnato”, dunque. Ma ha sicuramenteavuto più spettatori di quanti ne abbia mai registrati lacosiddetta commedia colta.

Quando si parla di teatro dialettale leccese il pensierocorre immediatamente a Raffaele Protopapa che, conGiuseppe De Dominicis, è il più noto autore salentino ditutti i tempi.

Nato a Lecce nel 1907 e morto alcuni anni addietro,seguì fin dall’adolescenza, la sua vocazione per il teatro,cominciando ad esibirsi come attore, in ruoli comici, al cir-colo “Giosuè Borsi”.

Fin dall’inizio Protopapa fu colpito dal calore con ilquale il pubblico accoglieva le poesie dialettali del DeDominicis e del Bozzi da lui recitate. Successivamente, gra-zie all’incoraggiamento del pubblico, intensificò l’impe-gno: nacquero così le prime piéce, le prime commedie indue o tre atti, in questo sollecitato dalla moglie che, inse-gnante elementare, aveva bisogno di testi per coinvolgerei ragazzini in iniziative didattiche in occasione del Natale,del carnevale, etc.

La stampa, in un primo momento molto disattenta, ini-ziò a prendere atto del “fenomeno” del teatro salentinosolo negli anni Sessanta; da allora inizia anche il rilanciodel dialetto quando ormai già la radio e soprattutto la tele-

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Al Bano e la tradizione salentina

di Anna Cosi

Da dove nasce il suo amore per la musica?L’amore per la musica è iniziato quando avevo ancora i

calzoni corti. Mio nonno molto spesso mi portava in piaz-za, a Cellino, durante le feste patronali e io restavo incan-tato dalle arie che proponevano le bande.

La musica, inoltre, accompagnava sempre la giornatadelle braccianti al lavoro nei campi. Io seguivo mio padree restavo ore ed ore con lui ascoltando stornelli tipici dellatradizione salentina.

Cantare diventava quasi un modo per esorcizzare lafatica del duro lavoro in campagna. Mia madre Iolanda,peraltro, ha una voce straordinaria e fu lei ad insegnarmi icanti popolari della nostra terra che io ripetevo sempre congrande entusiasmo.

Al Bano e la tradizione musicale salentina, il morso del ragno.Salento significa soprattutto ritmi e suoni legati alle

tarantate, le donne morse dalla tarantola che hanno contri-buito con i loro misteri a far conoscere nel mondo la tradi-zione della nostra musica popolare: genuina e sofisticata altempo stesso, semplice ma anche intrisa di profondi signi-ficati. È uno stile musicale che ha ispirato tanti artisti e chetrova riscontri spesso in popoli molto lontani dal Salento,accomunati forse più dai significati che dai ritmi, ma pursempre idealmente vicini alla nostra tradizione.

Personalmente, non ho mai visto le tarantate all’opera,ma ne ho sempre sentito parlare e anche i miei genitori mihanno raccontato le loro storie. Ho sempre pensato chefosse un fatto caratteriale di un popolo, più che l’effettiva

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Il Reggae Hip Hop salentino18

Il Reggae Hip Hop nel Salento può essere considerato, atutti gli effetti, un genere musicale indigeno. La parlata indialetto, seppur “tecnologico”, la ripresa, più o meno vela-ta, di canzoni popolari, il legame con il territorio ne sonoalcuni esempi.

Oltre a ciò, si può anche considerare precursore delquarto genere, la musica contaminata, poiché la parlata sifonde con stili musicali non salentini.

L’Hip Hop Reggae nel Salento:breve storia di una lunga storia

L’Hip Hop Reggae nel Salento nasce ufficialmente nel-l’estate del 1991, allorché il Sud Sound System, con ancoranelle sue fila Dj War19 e Militant P, propone al pubblico ilsuo primo singolo: Fuecu/T’à sciuta bona (Centuy Vox, edi-zioni Music market).

DJ War, uno dei fondatori, già da diversi anni era in con-tatto con il mondo della musica. Terminati gli studi supe-riori, si trasferì a Bologna, e, contemporaneamente, aLecce, fondò un gruppo che suonava diversi generi, fraquesti rap e Reggae: era il Subnoise. C’erano anche GopherD, futuro Isola Posse All Stars e Sangue Misto, e Paparicky.

Nell’estate del 1991 esce dunque Fuecu, un singolo checambierà il modo di fare Hip Hop in Italia, grazie soprat-tutto alla utilizzazione del dialetto salentino nei testi. Èuna scelta che sicuramente avrà i suoi effetti sul pubblico esui media, che lo vedranno come un fenomeno unico inItalia che assurgerà a simbolo della musica popolare salen-

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Interviste sull’Hip Hop Reggae nel Salentocon Dj War e Gopher D

Come si sono evoluti il rap ed il Reggae in Italia?

(Dj War) Per quanto riguarda le mie esperienze perso-nali mi sono avvicinato alla black music nei primi anniOttanta partendo dall’ascolto di album come quelli deiClash, dei Ruts DC, dei Police, di Joe Jackson, gruppi e arti-sti provenienti dal mondo del punk che per primi hannosuonato e diffuso sonorità black e Reggae in particolare.Oggi sembrerebbe strano che due culture apparentementecosì distanti (Reggae e Punk, appunto) potessero convive-re, invece è stato così, dapprima in Inghilterra e poi anchein Italia. Da noi questa “fusione” ha avuto il merito diavvicinare al mondo dei centri sociali generazioni che finoa quel momento non avevano luoghi di aggregazione e diespressione artistica. In quegli anni nascevano i primigruppi Reggae italiani, quali i Different Stylee, gli AfricaUnite(d), i Pitura Freska etc. Contemporaneamente siprendeva coscienza del forte potenziale comunicativodell’Hip Hop grazie alla “Zulu Nation” di AfricaBambaata. Per quasi un decennio, alcuni Dj e gruppi “pio-nieri”, hanno lavorato non poco per diffondere queste cul-ture che poi sono esplose negli anni Novanta, assieme almovimento della Pantera, divenendo espressione quindinon solo del momento della “festa” ma anche della prote-sta.

E da quegli anni ad oggi è cambiato molto, prima l’HipHop ed il Reggae erano “contestualizzati” sulla strada enei centri sociali, erano dei movimenti che nascevano dalbasso, oggi sono delle espressioni comuni alle generazioni

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La musica etnica contaminatao World music

Il mondo globale di Internet rischia di appiattire culturee tradizioni: anche la musica è destinata a soccombere aquesto processo? Questa è la domanda che mi sono postoprima di scrivere e di discutere sul quarto genere.

La morte della Taranta

Quello che segue è un articolo inedito scritto in occasione della serata finaledella quinta edizione di “La Notte della Taranta”, svoltasi a Melpignano nel 2002.

Come ogni anno, ormai, si sta per concludere la Nottedella Taranta, l'evento dell'estate salentina. Ma, bisognaporsi un interrogativo: cosa lascia questa manifestazione alSalento? Niente, anzi toglie molto, soprattutto alla tradi-zione che tutti vogliono rivalutare, creando spettacoli edesperimenti pubblicizzati ad hoc.

Mi spiego meglio: in tanti apprezzano la Notte dellaTaranta come una manifestazione sperimentale, di conta-minazione fra la musica ed i dialetti salentini e civiltàapparentemente lontane, così come in effetti è; ma nonbisogna pensare che sia l'unica manifestazione di fusionedella musica indigena con altri ritmi, anzi, è l'ultima e,forse, quella destinata a "morire" nel giro di qualche anno.

La musica nel Salento non è solo la pizzica o la tarantel-la, di musiche ne esistono almeno altre due: la musica folke quella che adotta stili musicali prettamente afroamerica-ni (e non parlo solo del Reggae-Hip Hop, ma anche delJazz che si muove al di fuori dei circuiti più conosciuti; si

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Appendice critica

La protesta sociale e lo sfruttamento della musica popolare salentina

Perché si studia tanto la musica popolare salentina?,quando i ricercatori cominciano a occuparsi del mondo con-tadino del Salento e dei suoi costumi?

Tenendo presente che la figura del cantore è stata, soprat-tutto in epoca contemporanea, derisa, “svillaneggiata” sevogliamo, dalla cultura egemone, non possiamo non tenerepresente quel che avveniva nella profonda periferia delnostro paese, e quindi anche nel Salento, dove una culturaperbenista intrisa di pregiudizi eurocolti emarginava l’artistadi strada, il cantastorie, l’affabulatore di piazza, il circense,l’uomo che passava, per gli atteggiamenti e i comportamentiche assumeva anche spontaneamente, per stravagante. Eranofigure, tutte queste, espressione di un mondo contadino che,con la mutazione radicale avvenuta negli ultimi decenni,hanno contribuito a valutare la cultura popolare in tutti i suoiaspetti tanto da divenire oggetto di studi e ricerche.

Un dato che colpisce di tutto quel mondo, ascoltando letestimonianze musicali o leggendo i testi di narrativa, poeti-ci o teatrali, è la apparente mancanza di protesta.

“Il fatto più grave da registrare, nell’Ottocento dialettalepugliese, è la mancanza di quello spirito di protesta e didenuncia derivata da secolari sopraffazioni, che dà un sapo-re tutto proprio alla poesia calabrese. Analoghi motivi (l’ar-retratezza culturale, le angherie fiscali, l’amara condizionedei contadini, il rigido rapporto fra le classi, ecc.) esistevanoanche in Puglia, dove la cultura della miseria era l’unicorapporto unificante. Ma non si ebbero che risultati irrisori

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Le tematiche comuni nella canzone salentina

Le tematiche comuni nella canzone salentina non sonopoche, di seguito sono elencati gli argomenti più significa-tivi:

1) amore/sesso/donne2) religiosità3) lavoro4) sostanze estatiche5) emigrazione6) contrasti

L’importanza di ricercare e analizzare le tematichecomuni ai differenti generi della musica salentina consen-te di mettere ancor più in evidenza quanto sia sottile ladistinzione fra primo e secondo genere e quanto sia invecenetto il passaggio dalla prima alla seconda fase.

La musica salentina, e con essa la propria civiltà, evol-vendosi, perde gran parte delle proprie radici.

Un dato che dovrebbe far riflettere è la mancaza di reli-giosità/spiritualità nel Reggae Hip Hop, come, d’altraparte, si può notare il tratto d’unione riguardante lesostanze estatiche: dapprima il morso della tarantola, poi ilvino e, infine, la marjuana.

I contrasti sono presenti in tutti e tre i generi, ma, men-tre nei primi due sono espressione della cultura salentina,nel Reggae Hip Hop sono discendenza della civiltà musi-cale afroamericana.

Un tema importante come l’emigrazione fa la sua appa-rizione nella musica folk e si perpetua nel terzo genere.

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GenereLuoghi comuni

Amore/sesso/donne

ReligiositÕ

Lavoro

Sostanze estatiche

Emigrazione

Contrasti

Serenate e mattinateEcchi vacante

PassÕi te nna patula

San PaoloSan RoccoSan Foca

I canti delle tabacchineFimmene Fimmene

Il veleno della tarantola

Assente

I veri e propri contrastipoetici

Gli stornelli

musica antica e Pizzica

Le tematiche comuni nella canzone salentina

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Serenate e mattinateÕNdaticchia mia

IÕu perÕ

SantÕOronzo

I canti di lavoro sonocollegati allÕemigrazioneQuantu me piace lusonnu lÕammane

Il vinoMiÕru lÕ lÕ

Innu allu mieruLu Õmbriacu

Lecce-MilanoOh Salento

Gli stornelli e i contrastiCanzune a despiettuStornellacci leccesi

Timme ce teti (SpeakerTex)

Tu vuoi giocare con me(Paparicky)

Assente

Assente

La marjuana

Emigrante

ContestFreestyleClash

musica Folk Reggae Hip Hop

Le tematiche comuni nella canzone salentina

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Analisi delle tematiche comuni

Amore/sesso/donne: è il leit motiv di tutti e tre i generi.Nella musica antica è presente tanto in maniera esplici-

ta e seria, quanto in maniera scherzosa, attraverso il dop-pio senso (fimmene fimmene ca sciati allu tabaccu, nde sciatiddoi e nde turnati quattru, donne donne che andate a racco-gliere tabacco, andate in due e tornate in quattro...).

Nella musica folk la donna è materia di trattazioneamorosa, tanto in modo serio quanto in modo scherzoso(Lu Pascalinu tòu, in antologia, oppure il ritornello di Nu’ bula ticu, splendidamente interpretato da Augusto Nuzzone,“quandu l’aria e’ troppu afosa, certe moscianu l’eddhicu epoi puru n’autra cosa però ièu nu’ bu la ticu”, quando l’a-ria è calda alcune mostrano l’ombelico e poi anche un’altracosa, però io non ve la dico).

Nel Reggae Hip Hop la donna è materia di trattazioneprettamente scherzosa.

Religiosità: è presente nella musica della campagna edella città, scompare invece nella seconda fase. I due santimaggiormente venerati sono san Paolo e sant’Oronzo che,tuttavia, nell’immaginario popolare, hanno una diversaincidenza.

Mentre, infatti, san Paolo è una vera e propria divinità,non comunica con gli uomini se non per sua propria volon-tà e per liberare la tarantata dal veleno iniettatole dalmorso del ragno, sant’Oronzo è un santo più “umano”. Ilcantore ed il popolo si rivolgono a lui come fosse un fra-tello (Alé alé santu Ronzu, vd. antologia) ed egli stessoappare meno formale nei rapporti con la gente (e lu santuce à dire: “mo’ e’ miu lu pasticciu ma basta ca a ‘nterra nu’ spic-

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Le canzoni più presenti

Di seguito è riportato un grafico scaturito dall’analisi didiversi lavori di gruppi etnomusicali.

Come si può facilmente evincere dal risultato, malgradoi vari tentativi di rinnovamento fatti in questi anni, lamusica popolare salentina, dal punto di vista testuale, haofferto ben pochi spunti di innovazione.

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Gli stornelli

Gli stornelli rappresentano l’ideale tratto d’unione fra lamusica popolare contadina e quella urbana.

L’architettura, essenziale e semplice, consente allo stor-nellatore di improvvisare rime e assonanze o di variarebrani preesistenti.

Il maggiore stornellatore leccese è sicuramente BrunoPetrachi, oltre che uno dei più grandi interpreti della can-zone dialettale, assieme a Tito Schipa; in tutti i suoi albumsono presenti questi interminabili brani dove l’artista fasfoggio della sua bravura e della sua arguzia.

I temi variano da brano a brano e, spesso, all’internodello stesso stornello. La formula introduttiva, di apertura,di presentazione è sempre di notevole interesse, comequella che segue, dove la leccesità viene ulteriormente raf-forzata.

Leccese ièu suntu / e me ‘nde uantuPe’ quistu gli stornelli / ogghiu cu cantu(Sono leccese / e me ne vanto; Per questo gli stornelli / voglio cantare)

Lo stretto rapporto fra la musica rurale e quella dellacittà viene, a mio avviso, ulteriormente evidenziato dalle“introduzioni” che seguono e dalle relative varianti.

Le prime due sono di Bruno Petrachi (registrate neglianni Ottanta), la terza di Uccio Aloisi, pubblicata sul cd“Robba de smuju” nel 2003 ma registrato, come si legge inquarta di copertina, nelle campagne di Cutrofiano (le) l’an-no precedente (non viene specificato se in “presa diretta” omeno).

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Prima di iniziare la parte antologica ritengo opportunocitare cinquanta canzoni che hanno fatto la storia dellamusica leccese

A Ccampagna (De Dominicis-Pecoraro)Alè Alè Santu Ronzu (Ingrosso)Arcu te Pratu (Corallo-Corallo)Beddha mia (Solari)Capoca (Ingrosso)Cuntu te ieri cuntu te osce (Toma-Tronci)Ddha subbra (Viva)Fìgghi te Lecce (B. Petrachi)Fimmene fimmene (popolare)Fuecu (Amata)Funtana nòscia (Attisani-Vernaleone)Ièu però (Ingrosso)Innu allu mieru (Fersino)L’urtima serenata (Pecoraro-Bozzi)La chiazza cuperta (Ingrosso)La coppula (Monte)La freseddha (Ingrosso)La maestrina (Fersino)La megghìu serenata ci te fazzu(popolare)La spiaggia nòscia (Macchitella-Leva)L'arteteca alle manu (Macchitella-Leva)Le lucerneddhe te Santu Ronzu(Pecoraro-Casarano)Lecce Gentile (Pizzi-Preite)Lecce in serie A 1985 (Ingrosso)Lecce-Milano (Ingrosso)Lu ciucciu allu semafuru (Fersino)

Lu mietecu e la malata(Grimaldi-Corallo)Lu Pascalinu tou (Pizzi)Lu pompieri (Ingrosso)Lu posperu (Grimaldi-Barone)Lu tifu (Ingrosso-Corallo)Mamma lu Cicciu passa(Gingro-Barone)Marine salentine (Maragliulo)Mieru (Petrachi-Graziani)Mieru, pezzetti e cazzotti (Ingrosso-Petrachi)Natale (Ingrosso-Petrachi)'Ndaticchia mia (Oronzo)Nobiltà scaduta (Corallo-Corallo)Nu' bu la ticu (D'Oria)Palcoscenico (Ingrosso-Petrachi)Quando lu ciucciu nu bole cu bia(Gingro-Grimaldi-Barone)Quandu te llài la facce (popolare)Ricordi (S. Cagnazzo- A.Mazzotta)Santu Paulu & Friends (Anima)Se viti ca se cotula lu pete (popolare)Serenata a nna funtana (Fracasso)Spiaggia Mia (T. Brizio-O. Ingrosso)Stornellacci leccesi (Graziani -Petrachi - Gyquar)Tangu leccese (Ingrosso)Torna pe' sempre (Ingrosso-Corallo)

Cinquanta canzoni leccesi

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Strambotti, contrasti, serenate e mattinate

[Bruttu curnutu]

Bruttu curnutu, nu’ ddìcere corneca tìe utàte le puèrti a quattru andee nd’ài nnu paru comu ddòi colonneca puèi sunàre le campane all’armepuèrti ddo corne a frunte tantu longheca puèi sunare le campane all’àutu.Puèrti nnu nasu nde faci lemmìccu,trìtici tauluni te parmientu;puèrti ‘nna ucca nci tràse Taràntu,Arnesanu cu tuttu lu cumèntu.

Comu nnu zingaru

Gìoane, a ccasa mia ci t’à chiamatu?sulu si ssutu e ssulu si’ benùtu;salutasti e nu’ t’àggiu salutatu;nu’ t’àggiu tìttu tràsi e ssi’ tràsutu;“abbànde” -t ’àggiu tìttu- e t’à ssettàtu“nu’ te ògghiu” -àggiu retàtu- e nu’ à sèntutu;comu nnu zingaru t’à comportatu,ci resta faccituestu a ddu à trasùtu.

[Quantu si’ brutta merula te màcchia]

Quantu si’ brutta mèrula te màcchia,nu’ tte cummène nuddha gnettatura;mmacàri ca te llài dintra all’acqua,sempre nìura rrumani te natura.Tìeni la vita a mmanèra te mattra,la facce comu lu culu te fersuraci pe’ ssorte nde pàssi te la chiazza,lu tiàulu se nde fusce pe’ ppaura!

Passài te nna patula(ovvero Lu rusciu te lu mare)

Te sìra nde passài te nna patulae ‘ntisi le ranocchiule cantare;quantu è forte lu rusciu te lu mare:- “la fìgghia te lu rre se tae alla morte”.

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[La prima matenata ci te fazzu]

La prima matenata ci te fazzute la fazzu alla porta te la ìaàusa la capu te lu mmatarazzuca do’ palore dicere te ulìa.Ca si’ cchìna te rosa ièu la sàcciufèna aqquannanti la ‘ndore ‘nde rrìadecendu: “rosa rosa” nu’ me sàziu,ca ièu te rose ‘nde tègnu nnu mazzu;le tègnu siggillate ‘ntra stu coreca Rosa tìe te chiami e Primu Amore.

E mm’ànu tìttu ca te chiami Rosa,Rosa, Rusina te ògghiu chiamare.L’acqua cu cci te llài ogne matìnaTe prèu, Rusina mia, nu’ lla menàre;ca’ a du la mini tìe nasce nna spina,nna rosa e nu rusieddhu pe’ ‘ndurare;poi passa lu speziale e ‘nde la scima,metecina ‘nde face pe’ ssànare.

“Te mandu bondì, rosa gentile;spècchiu te lu mìu core, comu stai?mòi tìmme ci l’ài àutu a despiacireCa sta ddurmìi e ièu te ddescetài”

- “O amore miu, l’ìbbi a piacire,stìa spugghiecata e poi me mugghiecài;e cquandu ntisi lu cantu civilelu core nn’àutra fiata te dunài!”.

Pizziche, tarantelle, canti contadini e funebri

[Auzzate san Giuanni e nu’ durmire]

Auzzate san Giuanni e nu’ durmireca’ sta bìsciu tre nuule inireuna te acqua, una te ièntu, una te triste e mmaletièmpuàuzzate e porta stu mmaletièmpuintra a na grotta scuraa ddu nu’ canta àddhu

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Lecce che suona

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Musica Folk Leccese

Lu posperu (Grimaldi-Barone)

Ulìa cu sàcciu propriu cce te sientise sienti numenare quarche striapierdi la capu e nu’ capisci nientite minti a ‘mmienzu cumu la sciuetìala fimmena te osce nu’ sse dumafigurate poi a tìe cce te cumbinalu fuecu te l’amore nu’ sse ddumacu ‘nnu posperu fiaccu te cucina…

rit.:Ma cce buei cu l’anni toicussì bbecchiu e scumbenatu‘nci òle fuecu ‘mpezzecatu‘nci òle fuecu ‘mpezzecatupe’ le fimmene te mòie lu tòu già se sta spicciae ièu puru su’ sicuruse lu posperu nu’ ‘mpiccia te ‘nde bbinchi stai a lu scuru…te ‘nde bbinchi stai a lu scuru…

Ulìa cu te convinci ca à spicciatufaci lu giovanottu comu a nùima tìe si de lu sièculu passatupe’ tìe nu’ ‘nc’e’ de fare propriu cchìuiperciò te puèti mintere li cchialicu biti mègghiu ma t’à stare cìttubisogna te convinci ca nu’ ‘mbàlicu te licchi li musi e tiri rittu

L’arcu te Pratu(Corallo-Corallo)

Inne rre Ferdinandu all’arcu te Pratulu sindacu tisse presciatu:“Maestà, quistu è l’arcu”e iddhu te bottu respuse “che me ne fotto!”e de tale momenturùmase alla storiasta frase ca cantu cu boria

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Federico Capone

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Federico Capone

Tamburelli esposti durante una festa popolare

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Lecce che suona

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Federico Capone

Lecce che suonaappunti di musica salentina

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Indice

Prefazione 3I quattro generi e le due fasi 5La tradizione orale 7La musica salentina 11La pizzica pizzica ed il tarantismo 13Il Phalangium apulum ed il tarantolismo 13Tra i contadini di Puglia 23Tito Schipa: “l’usignolo d’Italia” di Gianni Carluccio 33La musica folk 39Dalla campagna alla città: la nascita della musica folk 39La vera storia degli Ultimi di Antonio Buffo 47Un contrasto culturale 51Bruno Petrachi: il menestrello che cantò la bella Lecce 55Intervista con Enzo Petrachi, erede della musica folk leccese 58La musica dialettale d’autore e l’innovazione: Gino Ingrosso 63La musica leggera 69Musica folk e media di Ludovico Malorgio 71Passaggiando con Gino per la Lecce Sparita 75Il teatro dialettale leccese: Raffaele Protopapa 77Al Bano e la tradizione salentina di Anna Cosi 81Terzo genere, il Reggae Hip Hop salentino 85L’Hip Hop nel Salento: breve storia di una lunga storia 85Interviste sull’Hip Hop Reggae nel Salento: Dj War e Gopher D 91La musica etnica contaminata o World music 97La morte della Taranta 97Appendice critica 103La protesta sociale e lo sfruttamentodella musica popolare salentina 103Le tematiche comuni nella canzone salentina 107Analisi delle tematiche comuni 110Le canzoni più presenti 113Gli stornelli 114Note 121Cinquanta canzoni leccesi 123Testi 125Bibliografia 141Indice 144

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Lecce che suonaappunti di musica salentina

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