Le Storie della vita e dei miracoli di San Francesco di ... · Angelo Mozzillo: una sorta di...

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Le Storie della vita e dei miracoli di San Francesco di Angelo Mozzillo nel chiostro del convento francescano di Santa Maria degli Angeli a Marano Il complesso conventuale francescano di Santa Maria degli Angeli di Marano fu edificato, contemporaneamente all’attigua chiesa, a partire dal 1609 e fino al 1659, su un fondo donato ai frati, nella persona di fra Gervasio da Perugia, dal cavaliere napoletano don Scipione Dentice 1 (fig. 1). Dal 1757 al 1775 il complesso fu oggetto per opera di fra Angelo Maria Bottone, originario di Marano, in quella contingenza Ministro Provinciale dell’Ordine, di importanti lavori di abbellimento e ampliamento con la messa in opera di splendidi altari commessi nella chiesa e il completamento del lato sud del convento 2 . È verosimile che, qualche decennio dopo, nei primi anni del nono decennio del secolo, proprio per completare i lavori di ampliamento del convento, e come era d’uso in tutti i chiostri dell’ordine dei minori francescani, il chiostro sia stato affrescato con Storie della vita e dei miracoli di San Francesco da Angelo Mozzillo: una sorta di enciclopedia illustrata degli episodi più significativi della vita del santo poverello che si snoda, in ragione di sette pannelli per braccio e per una superficie pittorica di circa 150 metri, lungo le quattro pareti del chiostro, un’imponente ma lineare architettura articolata in un perfetto quadrilatero scandito su ognuno dei lati da cinque arcate a volta sorrette da sei massicci pilastri (figg. 2 e 3). Non va del tutto escluso, tuttavia, che le scene affrescate dal Mozzillo siano state realizzate sovrapponendole alle scene di un precedente ciclo pittorico essendo difficile pensare che il convento non fosse dotato di affreschi sin dalla data della sua costruzione; e come sembrerebbe confermare, peraltro, la presenza, sotto alcune didascalie, di frammenti di scrittura realizzata con caratteri grafici diversi. La decorazione è costituita da ventiquattro delle originarie ventotto lunette di grandi dimensioni affrescate con varie scene, qualcuna delle quali ancora commentata da una didascalia, nelle quali sono raccontati in atmosfere cromatiche di particolare suggestione, i fatti salienti della vita di san Francesco: dalla nascita alla morte, passando attraverso le sue prime fasi vocazionali, i miracoli, la creazione dell’Ordine che porta il suo nome. Mancano all’appello, perché scialbate nel secolo scorso, la tredicesima e la quattordicesima lunetta, mentre della quindicesima e della ventunesima, molto lacunose, riesce difficoltoso interpretarne i soggetti. Nell’originario allestimento gli scomparti erano intervallati da medaglioni, molti dei quali oggi scomparsi o rovinati, entro cui erano ritratti santi, papi e altre figure di rilievo dell’Ordine (fig.4), tra cui è dato riconoscere, grazie ai frammenti delle iscrizioni sottostanti, i soli San Ludovico d’Angiò, San Pasquale Baylon (fig. 5), San Diego (fig. 6), e i Beati Martino Dall’Ascensione Scal, Benvenuto di Ascoli Satriano e Paolo Trinei 3 . 1 G. F. D’ANDREA, Marmora Cineres et Nihil, Napoli 1982, p. 102. 2 G. BARLERI, Chiesa e Convento di Santa Maria degli Angeli in Marano, Marano 1999, pp. 41 e 111. 3 Per chi fosse interessato a recuperare brevi notizie biografiche su queste figure di francescani è utile consultare P. B. MAZZARRA, Leggendario Francescano, Venezia 1722, riproposto in edizione moderna dalla statunitense Nabu Press nel 2011.

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Le Storie della vita e dei miracoli di San Francesco di Angelo Mozzillo nel chiostro del convento francescano di Santa Maria degli Angeli a Marano

Il complesso conventuale francescano di Santa Maria degli Angeli di Marano fu edificato, contemporaneamente all’attigua chiesa, a partire dal 1609 e fino al 1659, su un fondo donato ai frati, nella persona di fra Gervasio da Perugia, dal cavaliere napoletano don Scipione Dentice1 (fig. 1). Dal 1757 al 1775 il complesso fu oggetto per opera di fra Angelo Maria Bottone, originario di Marano, in quella contingenza Ministro Provinciale dell’Ordine, di importanti lavori di abbellimento e ampliamento con la messa in opera di splendidi altari commessi nella chiesa e il completamento del lato sud del convento2. È verosimile che, qualche decennio dopo, nei primi anni del nono decennio del secolo, proprio per completare i lavori di ampliamento del convento, e come era d’uso in tutti i chiostri dell’ordine dei minori francescani, il chiostro sia stato affrescato con Storie della vita e dei miracoli di San Francesco da Angelo Mozzillo: una sorta di enciclopedia illustrata degli episodi più significativi della vita del santo poverello che si snoda, in ragione di sette pannelli per braccio e per una superficie pittorica di circa 150 metri, lungo le quattro pareti del chiostro, un’imponente ma lineare architettura articolata in un perfetto quadrilatero scandito su ognuno dei lati da cinque arcate a volta sorrette da sei massicci pilastri (figg. 2 e 3). Non va del tutto escluso, tuttavia, che le scene affrescate dal Mozzillo siano state realizzate sovrapponendole alle scene di un precedente ciclo pittorico essendo difficile pensare che il convento non fosse dotato di affreschi sin dalla data della sua costruzione; e come sembrerebbe confermare, peraltro, la presenza, sotto alcune didascalie, di frammenti di scrittura realizzata con caratteri grafici diversi. La decorazione è costituita da ventiquattro delle originarie ventotto lunette di grandi dimensioni affrescate con varie scene, qualcuna delle quali ancora commentata da una didascalia, nelle quali sono raccontati in atmosfere cromatiche di particolare suggestione, i fatti salienti della vita di san Francesco: dalla nascita alla morte, passando attraverso le sue prime fasi vocazionali, i miracoli, la creazione dell’Ordine che porta il suo nome. Mancano all’appello, perché scialbate nel secolo scorso, la tredicesima e la quattordicesima lunetta, mentre della quindicesima e della ventunesima, molto lacunose, riesce difficoltoso interpretarne i soggetti. Nell’originario allestimento gli scomparti erano intervallati da medaglioni, molti dei quali oggi scomparsi o rovinati, entro cui erano ritratti santi, papi e altre figure di rilievo dell’Ordine (fig.4), tra cui è dato riconoscere, grazie ai frammenti delle iscrizioni sottostanti, i soli San Ludovico d’Angiò, San Pasquale Baylon (fig. 5), San Diego (fig. 6), e i Beati Martino Dall’Ascensione Scal, Benvenuto di Ascoli Satriano e Paolo Trinei3. 1 G. F. D’ANDREA, Marmora Cineres et Nihil, Napoli 1982, p. 102. 2 G. BARLERI, Chiesa e Convento di Santa Maria degli Angeli in Marano, Marano 1999, pp. 41 e 111. 3 Per chi fosse interessato a recuperare brevi notizie biografiche su queste figure di francescani è utile consultare P. B. MAZZARRA, Leggendario Francescano, Venezia 1722, riproposto in edizione moderna dalla statunitense Nabu Press nel 2011.

Fig. 1 - Il Convento con l’attigua chiesa.

Fig. 2 - Chiostro del Convento.

Fig. 4 - Lunetta con decorazioni e ritratti di francescani illustri.

Fig. 3 - I porticati del chiostro.

Le scene non hanno tutte la stessa qualità di esecuzione, indice che quasi sicuramente furono dipinte a più mani, probabilmente dai numerosi aiutanti di bottega, tra cui la figlia Filippa. Completano la decorazione, gli affreschi delle volte a crociera con motivi geometrici variopinti (fig. 7), cui non sembra estranea la mano di Pasquale Vecchione, un discreto decoratore nolano la cui firma compare sul soffitto ligneo dipinto a olio con motivi architettonici classicheggianti che accoglie la tela del Mozzillo raffigurante la Madonna del Rosario con San Domenico, Santa Caterina e altri santi domenicani nell’arciconfraternita del Rosario di Taurano, nel Vallo di Lauro. Le fonti principali consultate dal Mozzillo e dal monaco iconografo che sicuramente l’affiancò nella conduzione del ciclo maranese furono senz’altro la Legenda maior di san Bonaventura e le due Vite di Tommaso da Celano; naturalmente non troviamo sempre una netta corrispondenza tra i testi e le immagini dipinte; fa da tramite la lunga trafila iconografica che nel tempo si è consolidata intorno alla figura del santo. Questo ciclo decorativo non è l’unico nel suo genere in Campania e più in generale in Italia. Cicli pittorici analoghi si ritrovano in altri chiostri francescani ad evidenziare la volontà, delle autorità dell’Ordine, di unificare i temi iconografici. Un ciclo pittorico con caratteristiche simili a quello di Marano, attribuito allo stesso Mozzillo, è, ad esempio, quello presente nel chiostro del convento dei Zoccolanti a Torre del Greco4. I due cicli presentano, infatti, molte affinità stilistiche, tra cui anche il modo di impaginare le scene. Al complesso conventuale maranese si accede da piazza Plebiscito tramite un grande scalone di piperno delimitato a destra dal seicentesco palazzo Ippolito e a sinistra dall’ottocentesco palazzo Merolla. Varcata la porta d’ingresso del chiostro, detta anche porta battitora5, posta immediatamente a sinistra della chiesa, s’incontra un breve vestibolo, decorato nella volta a botte con lo stemma dell’Ordine francescano, e, nella lunetta sovrapporta, dall’ultimo pannello del ciclo, quello che raffigura Papa Alessandro IV che solleva il saio di Francesco per osservare le stimmate (figg. 8 e 9). La prima lunetta che si scorge a sinistra del chiosco raffigura, invece, come indica la sottostante didascalia, ancora integra, la NASCITA DI S. FRANCESCO (fig.10). Venuto alla luce ad Assisi nel 1182 dal ricco commerciante di stoffe Pietro di Bernardone e dalla nobile Giovanna Pica, il futuro santo fu battezzato con il nome di Giovanni, nome che il padre decise di cambiare poi in Francesco in onore della Francia che aveva fatto la sua fortuna. La rappresentazione dell’episodio della nascita del santo è abbastanza rara: non era infatti tradizione raffigurare questo momento - assente anche nel famoso ciclo di Assisi eseguito da Giotto – in quanto il brano non era riportata dalle biografie ufficiali. La seconda lunetta, contrassegnata da una didascalia difficile a leggersi, raffigura, invece, Francesco che, nel 1204, muove alla volta della Puglia allo scopo di raggiungere a Lecce la corte di Gualtieri III di Brienne per poter partecipare, come

4 A. LANGELLA, Il Monastero degli Zoccolanti a Torre del Greco, Napoli 2009. 5 Con questo termine era indicato la porta d’ingresso di un convento, un chiostro o anche la porta d’accesso alla clausura.

Fig. 5 - A. Mozzillo e aiuti,

S. Pasquale Baylon. Fig. 6 - A. Mozzillo e aiuti, S. Diego.

Fig. 7 - A. Mozzillo e aiuti, Decorazioni delle volte.

Fig. 8 - A. Mozzillo e aiuti, Decorazioni del vestibolo.

Fig. 9 - A. Mozzillo e aiuti, Stemma francescano.

Fig. 10 - A. Mozzillo e aiuti, La nascita di Francesco.

Fig. 11 - A. Mozzillo e aiuti, Francesco si muove alla volta della Puglia per partecipare a una crociata.

cavaliere, a una crociata (fig.11). L’episodio, contrassegnato da una didascalia di difficile lettura, è narrato nella Leggenda dei tre compagni. Questa Leggenda è la più importante delle biografie non ufficiali di Francesco, cioè delle vite del santo non scritte su commissione e dietro controllo papale o della classe dirigente dell’Ordine francescano. La sua denominazione è dovuta alla sua attribuzione a Leone, Rufino e Angelo, tra i primi discepoli del santo6. Nella terza lunetta, contrassegnata dalla didascalia SOGNO PROFETICO DI S. FRANCESCO (fig. 12), è raffigurato il momento immediatamente successivo, quando, giunto a Spoleto, Francesco si ammalò gravemente ed ebbe appunto una rivelazione notturna nella quale gli apparve Gesù che lo invitava a riflettere se per lui fosse stato «più utile seguire il servo o il padrone». Ravvedutosi Francesco rinunciò al proprio progetto di raggiungere la Puglia e tornò ad Assisi. Da allora egli non fu più lo stesso uomo e si ritirò spesso in luoghi solitari a pregare7. Nella lunetta successiva, contrassegnata dalla didascalia IL CROCIFISSO PARLA A S. FRANCESCO (fig.13), è riportato l’episodio più importante della sua conversione: era l’anno 1205 e mentre pregava nella chiesa di San Damiano, Francesco sentì parlare il Crocifisso che per tre volte gli ingiunse: «Francesco, va e ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina»8. La quinta lunetta, come lascia intuire la parziale didascalia che si legge in calce, ALLA PRESENZA DEL VESCOVO DI ASSISI / SAN FRANCESCO RINUNZIA [ai suoi beni?] (fig.14), raffigura il famoso episodio in cui Francesco, nella pubblica piazza, in presenza del vescovo di Assisi, Guido II, e di moltissima gente, si spogliò delle sue preziose vesti, rinunciò a tutti i suoi beni e rivolto al padre disse: «Finora ho chiamato te, mio padre sulla terra; d’ora in poi posso dire con tutta sicurezza: Padre nostro che sei nei cieli, perché in lui ho riposto ogni mio tesoro e ho collocato tutta la mia fiducia e la mia speranza»9. Nella sesta lunetta, dove come indica la sottostante didascalia, ancora integra, Francesco SI PRESENTA AL PAPA ONORIO III PER LA CONFERMA / DELLE REGOLA DEI FRATI MINORI (fig. 15), è rappresentato il momento in cui, nel 1223, con la bolla «Solet annuere», papa Onorio III approvò definitivamente la «Regola seconda» o «Bollata» che, rispetto alla prima, del 1221, è più corta e contiene meno citazioni evangeliche. La doppia stesura della regola a distanza ravvicinata si era resa necessaria per la decisione di alcuni frati di accettare doni anche se formalmente questi erano incamerati dalla Santa Sede. L’ultima lunetta di questo braccio, posta sopra l’ingresso del refettorio, raffigura, Francesco mentre, come ci indica la didascalia, CON I SUOI COMPAGNI È PROVVEDUTO DI PANE / PER MANO D’UN ANGELO (fig. 16). Raccontano alcune cronache che, durante un inverno particolarmente rigido, per via di una abbondante nevicata i frati non erano potuti uscire per la questua ed erano restati senza cibo. 6 Leggenda dei tre compagni (II, 5), in «Fonti Francescane» (d’ora in poi FF), Assisi 1977, 1399. 7 TOMMASO DA CELANO, Vita seconda di San Francesco d’Assisi, parte I (II, 6), in FF, 587. 8 Ivi, parte I (VI, 10), in FF, 593-594. 9 SAN BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, Leggenda maggiore (II, 4), in FF, 1043.

Fig. 12 – A. Mozzillo e aiuti, Il sogno profetico di Francesco.

Fig. 13 – A. Mozzillo e aiuti, Il crocefisso parla a Francesco.

Fig. 14 - A. Mozzillo e aiuti, Francesco rinuncia ai suoi beni.

Fig. 15 - A. Mozzillo e aiuti, Onorio III conferma la Regola dei Frati minori.

Mentre pregavano con Francesco, si sentì bussare al portone e, quando un frate andò ad aprire, un giovane sconosciuto gli consegnò un sacco pieno di pane fresco scomparendo subito dopo senza lasciare tracce sulla neve immacolata. L’ottava lunetta, posta sopra la porta del giardino che immette ora in via Casalanno, ci tramanda, come parzialmente ci indica la didascalia sottostante: ISTITUISCE IL PRESEPE […] / SI TRATTIENE COL S. BAMBINO (fig.17), giusto appunto la prima rappresentazione vivente della nascita di Gesù, da cui sarebbe originata la tradizione del presepe. Durante la notte di Natale del 1223, a Greccio, presso Rieti, Francesco rievocò la nascita di Gesù, organizzando una rappresentazione vivente dell’evento. Secondo le agiografie, durante la Messa, il putto raffigurante il Bambino nella culla avrebbe preso vita più volte tra le braccia di Francesco10. Nella lunetta successiva l’episodio raffigurato si collega ancora una volta al miracoloso Crocifisso di San Damiano, quando, durante il periodo vocazionale, il giovane Francesco, invocando Dio per ricevere fede, speranza, carità, saggezza e conoscenza, pregava: «Altissimo glorioso Dio, / illumina le tenebre de lo core mio / e damme fede retta, speranza certa e caritade perfetta, / senno e cognoscemento, Signore / che faccia lo tuo santo e verace comandamento. Amen»11. La decima scena del ciclo, La predica agli uccelli (fig.18), raffigura un episodio molto amato dalla devozione popolare, tratto dalla Legenda maior laddove si narra: «Andando il beato Francesco verso Bevagna, predicò a molti uccelli; e quelli esultanti stendevano i colli, protendevano le ali, aprivano i becchi, gli toccavano la tunica; e tutto ciò vedevano i compagni in attesa di lui sulla via»12. Il punto dove si svolse l’episodio, in località Piandarca, sull’antica strada che collegava il castello di Cannara a quello di Bevagna, nei pressi di Perugia, è oggi segnalato da un cippo e da una piccola edicola. La scena successiva, l’undicesima, rievoca il cosiddetto Miracolo del vino (fig. 19). Nell’estate del 1255, Francesco per curarsi gli occhi si recò a Rieti, dove esercitava un medico molto apprezzato. Arrivato alle porte della città, preoccupato per le chiassose accoglienze, in attesa dell’operazione agli occhi, preferì ritirarsi in una chiesetta di campagna, dedicata a san Fabiano, ospite di un prete che traeva da vivere da una piccola vigna con annesso un orto. Durante il soggiorno, però, i pellegrini, che richiamati dalla sua fama erano accorsi numerosi, mangiarono quasi tutta l’uva che trovarono con il risultato che in quell’anno i frutti furono talmente pochi da non poterci fare il vino. Francesco, allora, ordinò di raccogliere i pochi grappoli residui, che fatti pigiare in una vasca (ancora visibile nella struttura, ora incorporata nel convento di Foresta), resero miracolosamente più del doppio del vino ottenuto l'anno precedente13.

10 TOMMASO DA CELANO, Vita Prima di San Francesco d’Assisi, parte I (XXX, 84-87), in FF, 468-471. 11 S. FRANCESCO, Preghiera davanti al Crocifisso, in FF, 276. La preghiera è anche il più antico testo francescano giunto fino a noi. 12 SAN BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, Leggenda …, op. cit. (XII, 3), in FF, 1206. 13 I Fioretti di San Francesco, (XIX), in FF, 1849-1850.

Fig. 11 - A. Mozzillo e aiuti, Francesco e compagni provvisti di pane dall’Angelo.

Fig. 17 - A. Mozzillo e aiuti, Francesco istituisce il Presepe.

Fig.18 – A. Mozzillo e aiuti, Francesco predica agli uccelli.

Fig. 19 - A. Mozzillo e aiuti, Il miracolo del vino.

Il soggetto della dodicesima lunetta, ancorché non rapportabile a nessun episodio reale della vita di san Francesco, ripropone uno delle immagini devozionali più note del santo poverello: quella che lo vede raffigurato nell’atto di abbracciare il Crocifisso (fig. 20). La composizione, che simboleggia il momento culminante della vita di Francesco - di quando cioè, suggestionato da una delle più belle pagine del testo evangelico di Marco (8, 34-35): «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua», decise di rinunciare alla vita mondana per seguire Gesù - è largamente debitrice della versione più celebre del tema, realizzata nel 1620 circa dal pittore spagnolo Francisco Ribalta per i frati cappuccini di Valencia, ora conservata presso il Museo di Belle Arti della stessa città e riproposta più tardi, qualche decennio dopo, con alcune varianti iconografiche, dal conterraneo Bartolomé Esteban Murillo per i frati cappuccini di Siviglia. Come si diceva poc’anzi la tredicesima e la quattordicesima lunetta sono scialbate mentre la quindicesima è molto lacunosa. La scialbatura risale probabilmente agli ’30 del secolo scorso come ricorda una memoria dell’epoca riportata dal Barleri14. Il ciclo riprende con la rappresentazione di Francesco che predica ai pesci, così come indicato dalla sottostante didascalia: RIGETTANDO ALCUNI POPOLI LA PAROLA / DI DIO S. F(RANCESCO) PREDICA AI PESCI E L’ASCOLTANO (fig. 21). L’episodio si riferisce, verosimilmente, alla predica dei pesci, fatta nel 1222, da Francesco ad Agropoli, nel Salernitano. L’episodio è accennato una prima volta dal teologo francescano Padre Rudolfo da Tossignano nel 158615 e in seguito, più compiutamente, dallo storico francescano irlandese Luca Wadding16, da Padre Candido Chalippe Recolletto17 e da Costantino Gatta (da cui attinse probabilmente il Mozzillo), il quale, in un libro di memorie ebbe a scrivere: «... In essa (Agropoli) il P. S. Francesco d’Assisi vi fondò un Monistero, ed operovvi gran maraviglie spezialmente allora quando mal gradito da quei Paesani, alieni di sentire la parola d’Iddio […] si condusse al mare su di uno scoglio, ed ivi predicando accorse una gran moltitrudine di Pesci, quasi ascoltarlo vollero …»18. La lunetta successiva (fig. 22) illustra una dei momenti dell’esistenza di Francesco vissuto con più profonda tensione interiore, di quando un giorno mentre «cavalcava nei paraggi di Assisi, incontrò sulla strada un lebbroso. Di questi infelici egli provava un invincibile ribrezzo, ma stavolta, facendo violenza al proprio istinto, smontò da cavallo e offrì al lebbroso un denaro, baciandogli la mano. E ricevendone un bacio di 14 G. BARLERI, op. cit., p.164. 15 P. RODOLFO DA TOSSIGNANO, Historiarum Seraphicae Religionis, Venezia 1586. “(...) Locus Agropoli: ibi est scopulus ubi, B. Franciscus praedicabat piscibus (...)”. “(...) Località di Agropoli: li è lo scoglio dove, S. Francesco predicò ai pesci (...)”. 16 L. WADDING, Annales Minorum. In quibus res omnes trium ordinum a s. Francisco institutorum ponderosius et ex fide asseruntur, et praeclara quaeque monumenta ab obliuione vendicantur, Lugduni 1625–1654. (...) In Custodia Principatus extruxit locum Agroboli, Mariano Agripoli, postquam ex alto scopulo, populo durae fidei spectante, confluentibus ad litus piscibus. 17 P. CANDIDO CHALIPPE RECOLLETTO, La Vie de saint François, instituteur de l’ordre des frerès mineurs, de celui de saint Claire et du Tiers ordre de la Pénitence, Paris 1728, libro quarto, p. 216. 18 C. GATTA, Memorie topografiche-storiche della Provincia di Lucania, Napoli 1732.

Fig.20 - A. Mozzillo e aiuti, Francesco abbraccia il Crocifisso.

Fig. 21 - A. Mozzillo e aiuti, Francesco predica ai pesci.

pace, risalì a cavallo e seguitò il suo cammino. Da quel giorno cominciò a svincolarsi dal proprio egoismo, fino al punto di sapersi vincere perfettamente, con l’aiuto di Dio»19. La diciottesima scena illustra, come ci indica la didascalia in calce, Francesco che TENTATO DA UNA DONNA L’INVITA / A POSARE SUI CARBONI ARDENTI (fig.23). Francesco è disteso su un letto di carboni ardenti; alla sua sinistra in piedi, una donna è in procinto di spogliarsi, mentre sul fondo l’albergatrice apre una tenda per assistere alla scena. I Fioretti, da cui è tratto l’episodio, raccontano che Francesco, dopo avere ottenuto dal sultano Melek el Kanel il permesso di predicare in Oriente, prese a visitare le contrade del suo regno. Una sera mentre si accingeva a riposare nella camera dell’albergo in cui aveva preso alloggio fu raggiunto da una donna bellissima, ma disonesta, che voleva indurlo a peccare. Francesco la condusse davanti a un grande fuoco, si spogliò e si pone sui carboni ardenti senza alcun danno per il corpo, mentre «… quella femmina per tale miracolo ispaventata e compunta nel cuor suo, non solamente sì si pentè del peccato e della mala intenzione, ma eziandio si convertì perfettamente alla fede in Cristo, e diventò di tanta santità, che per lei molte anime in quelle contrade»20. La lunetta successiva raffigura, come ci indica la didascalia in calce, Francesco che RISUSCITA UN BAMBINO VITTIMA DEL FUOCO (fig. 24), uno dei miracoli meno conosciuti del santo. Marco da Lisbona racconta che mentre Francesco era ospite a pranzo di un Signore in una non meglio identificata città dov’era andato a predicare, il figlio di questi, sfuggito alla sorveglianza della balia, cadde in una caldaia bollente e morì. Riposto il cadaverino in una cassa della frutta, il bambino resuscitò allorché Francesco gli chiese due mele che gli furono porte dallo stesso bambino uscito dalla cassa tra la meraviglia di tutti21. La ventesima lunetta raffigura il famoso episodio in cui Francesco ammansisce il feroce lupo di Gubbio (fig. 25). La fonte è il capitolo XXI dei Fioretti22. La storia narra che Francesco, giunto a Gubbio, trovò i cittadini spaventati per la presenza nel circondario di un feroce lupo; sicché, malgrado il parere contrario degli eugubini, decise di cercarlo per parlargli. Lo trovò appena fuori della città nei pressi della chiesa della Vittorina. La bestia lo accolse minaccioso e con le fauci aperte, ma dopo aver ricevuto la sua benedizione e ascoltato le sue parole di biasimo per il suo feroce comportamento, si tranquillizzò, specialmente dopo che Francesco gli promise che se si fosse pentito del male fatto e cambiato il suo modo di vita, gli eugubini sarebbero stati lieti di accoglierlo in città e di nutrirlo. Il lupo accettò questo accordo e pose il suo muso sul ginocchio di Francesco in segno di sottomissione, gesto che ripeté più tardi, sotto gli occhi stupefatti dei cittadini, nella grande piazza del mercato della

19 Leggenda …, op. cit. (III, 115), in FF, 1407-1408. 20 I Fioretti …, op. cit. (XXIV), in FF, 1855-1856. 21 MARCOS DE LISBOAS, Chronicas da Ordem dos frades menores do Serafico Padre Sam Francisco tradotto in italiano Croniche de gli ordini instituiti dal Padre S. Francesco, che contengono la sua vita, la sua morte, i suoi miracoli (…), Venezia 1585. 22 I Fioretti …, op. cit. (XXI), in FF, 1852.

Fig. 22 - A. Mozzillo e aiuti, Francesco incontra il lebbroso.

Fig. 23 – A. Mozzillo e aiuti, Francesco tentato da una meretrice.

Fig. 24 - A. Mozzillo e aiuti, Francesco risuscita il bambino vittima del fuoco.

Fig. 25 - A. Mozzillo e aiuti, Francesco ammansisce il lupo di Gubbio.

città. A ricordo dell’avvenimento gli eugubini costruirono la chiesa di San Francesco della Pace che la tradizione vuole sorga nel luogo dove dimorava il lupo. Oltrepassata la ventunesima lunetta, molto lacunosa e, come la quindicesima, non interpretabile (figg. 26 e 27), s’incontra, anch’essa in parte perduta, la raffigurazione dell’Incontro di Francesco con il contadino (fig. 28). L’episodio è narrato da Tommaso da Celano, il quale riporta che sul finire dell'estate del 1224, Francesco decise di trascorrere sul monte della Verna la quaresima di san Michele Arcangelo. Durante il viaggio, però, già malato, sentì venir meno le forze e i due frati che lo accompagnavano entrarono in una casa colonica per prendere a nolo un asino per poterlo trasportare. Quando il contadino seppe a chi era destinato la bestia, andò incontro al futuro santo e accertatosi della sua identità gli ingiunse: «Ingegnati d’essere così buono come tu se’ tenuto da ogni gente, perciò che molti hanno gran fede in te, e però io ti ammonisco che in te non sia altro che quello che la gente ne spera». Francesco, a queste parole, scese dall’asino e, prostratosi davanti al contadino, più volte gli baciò i piedi umilmente ringraziandolo per averlo ammonito23. Qualcuno asserisce che il contadino fosse lo stesso che, offertosi di accompagnare Francesco e i suoi frati sino alla Verna, a un certo punto, spossato dal caldo e dalla fatica del viaggio, cominciò a reclamare almeno un goccio d’acqua. Francesco, allora, sceso di cavallo, pregò a lungo, finché da una roccia non sgorgò l’acqua e il contadino poté bere copiosamente. La ventitreesima scena raffigura l’avvenimento più rilevante della vita di Francesco: l’Impressione delle stimmate (fig. 29). L’episodio è narrato da san Bonaventura nella Legenda maior. Nell’aspro paesaggio della Verna, un Cristo volante in forma di serafino crocifisso, imprime, con cinque raggi di luce che si dirigono alle mani, ai piedi e al fianco destro, le stimmate al santo. Ma lasciamo alle parole di san Bonaventura la descrizione della scena: «Un mattino, all’appressarsi della festa dell’Esaltazione della santa Croce, mentre pregava sul fianco del monte, vide la figura come di un serafino, con sei ali tanto luminose quanto infocate, discendere dalla sublimità dei cieli: esso, con rapidissimo volo, tenendosi librato nell’aria, giunse vicino all'uomo di Dio, e allora apparve tra le sue ali l’effige di un uomo crocifisso, che aveva mani e piedi stesi e confitti sulla croce. Due ali si alzavano sopra il suo capo, due si stendevano a volare e due velavano tutto il corpo. A quella vista si stupì fortemente, mentre gioia e tristezza gli inondavano il cuore. Provava letizia per l’atteggiamento gentile, con il quale si vedeva guardato da Cristo, sotto la figura del serafino. Ma il vederlo confitto in croce gli trapassava l’anima con la spada dolorosa della compassione. Fissava, pieno di stupore, quella visione così misteriosa, conscio che l’infermità della passione non poteva assolutamente coesistere con la natura spirituale e immortale del serafino. Ma da qui comprese, finalmente, per divina rivelazione, lo scopo per cui la divina provvidenza aveva mostrato al suo sguardo quella visione, cioè quello di fargli conoscere anticipatamente che lui, l’amico di Cristo, stava per essere trasformato tutto nel ritratto visibile di Cristo Gesù crocifisso,

23TOMMASO DA CELANO, Vita Seconda …, op. cit., parte II (CIII, 726), in FF, 1902.

Fig. 26 - A. Mozzillo e aiuti, XV lunetta, Scena non interpretabile.

Fig. 27 - A. Mozzillo e aiuti, XXI lunetta, Scena non interpretabile.

Fig. 28 - A. Mozzillo e aiuti, Francesco incontra il contadino.

Fig. 29 - A. Mozzillo e aiuti, Francesco riceve le stimmate.

non mediante il martirio della carne, ma mediante l’incendio dello spirito. Scomparendo, la visione gli lasciò nel cuore un ardore mirabile e segni altrettanto meravigliosi lasciò impressi nella sua carne. Subito, infatti, nelle sue mani e nei suoi piedi, incominciarono ad apparire segni di chiodi, come quelli che poco prima aveva osservato nell'immagine dell’uomo crocifisso. Le mani e i piedi, proprio al centro, si vedevano confitte ai chiodi; le capocchie dei chiodi sporgevano nella parte interna delle mani e nella parte superiore dei piedi, mentre le punte sporgevano dalla parte opposta. Le capocchie nelle mani e nei piedi erano rotonde e nere; le punte, invece, erano allungate, piegate all’indietro e come ribattute, ed uscivano dalla carne stessa, sporgendo sul resto della carne. Il fianco destro era come trapassato da una lancia e coperto da una cicatrice rossa, che spesso emanava sacro sangue, imbevendo la tonaca e le mutande»24. La scena affrescata da Mozzillo riprende l’iconografia inventata dai pittori italiani nella prima metà del secolo XIII, tra cui quella di Bonaventura Berlinghieri per uno dei riquadri della tavola con San Francesco e storie della sua vita (1235), conservata a Pescia, la più antica, e quella di Giotto per l’analogo ciclo di affreschi ad Assisi, il modello più replicato in assoluto, ancora per tutto il Rinascimento e oltre. Al tema delle stimmate sono legate anche la scena successiva e la ventottesima, l’ultima del ciclo: rispettivamente quella in cui Francesco è osannato per le stimmate (fig. 30) e quella, già citata, in cui si vede Papa Alessandro IV che solleva il saio di Francesco per osservare le stimmate (fig. 31), entrambe narrate da san Bonaventura in continuazione dell’episodio dell’Impressione delle stimmate. Scrive il santo biografo: «Grande era la cura che egli metteva nel nascondere il tesoro scoperto nel campo; ma non poté impedire che alcuni vedessero le stimmate delle mani e dei piedi, benché tenesse le mani quasi sempre coperte e, da allora, andasse con i piedi calzati. Videro, durante la sua vita, molti frati: uomini già per se stessi in tutto e per tutto degni di fede a causa della loro santità eccelsa, essi vollero tuttavia confermare con giuramento, fatto sopra i libri sacri, che così era e che così avevano visto. Videro anche, stante la loro familiarità con il Santo alcuni cardinali e resero testimonianza alla verità sia con la parola sia con gli scritti, intessendo veridicamente le lodi delle sacre stimmate in prose rimate, inni ed antifone, che pubblicarono in suo onore. Anche il sommo pontefice, papa Alessandro IV, predicando al popolo, in presenza di molti frati, fra cui c’ero anch’io affermò di aver potuto osservare quelle stimmate sacre con i propri occhi, mentre il Santo era in vita»25. La venticinquesima scena raffigura Francesco che ascolta un angelo suonare la cetra (fig. 32). Racconta Tommaso da Celano che al tempo in cui Francesco era a Rieti per curarsi gli occhi pregò un confratello, che era stato suonatore di cedro, di procurarsi di nascosto uno strumento e confortarlo con il suo suono e «qualche buon verso». Ma il buon frate, adducendo a motivo di non volersi macchiarsi di tale «leggerezza», si 24 SAN BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, Leggenda ..., op. cit. (XIII,3), in FF, 1225-1226. 25 Ivi (XIII, 8). In proposito Alessandro IV, facendo seguito alla costituzione Confessor Domini data in Viterbo il 31 marzo del 1237 da Gregorio IX, con la bolla Benigno operatio, data in Anagni il 29 ottobre 1254, certificò le stimmate di san Francesco prescrivendo nel contempo la celebrazione della memoria e la scomunica per chi ne negasse la veridicità.

Fig. 30 - A. Mozzillo e aiuti, Francesco è osannato per le stimmate.

Fig. 31 - A. Mozzillo e aiuti, Alessandro IV osserva le stimmate di Francesco.

rifiutò e Francesco convenne. La notte mentre il santo, ancora sveglio, meditava su Dio, all’improvviso sentì il suono di una cetra che accompagnava una soave melodia. «Non si vedeva persona, ma proprio dal continuo variare del suono, vicino o lontano si capiva che il citaredo andava e ritornava. Con lo spirito rivolto a Dio, il Padre provò tanta soavità in quella melodia dolcissima, da credere di essere passato in un altro mondo». Quando fu mattina, il Santo chiamò il confratello e dopo avergli raccontato tutto, aggiunse: «Il Signore che consola gli afflitti, non mi ha lasciato senza consolazione. Ed ecco che mentre non mi è stato possibile udire le cetre degli uomini, ne ho sentita una più soave»26. La scena successiva raffigura Francesco morente che si spoglia delle sue vesti (fig. 33), ossia il momento in cui il santo, aderendo a un’usanza monastica messa in atto dai frati per i moribondi, e intendendo soprattutto unirsi con una azione scenico - simbolica a Cristo in croce e alla sua estrema povertà, «si fece deporre nudo» su un cilicio realizzato con un grossolano panno di pelo di capra cosparso di cenere a forma di croce. «Collocato così sulla terra, spogliato dell’abito di sacco, alzò come di solito il viso al cielo e così rivolto con tutto lo spirito a quella gloria, con la sinistra coprì la ferita del lato destro, perché non si vedesse. E disse ai frati: “Io ho compiuto il mio dovere; Cristo v’insegni quanto resta da fare a voi”»27. Nessun biografo fornisce, invece, la descrizione esatta del momento della morte del Santo. Il solo Celano, laconicamente, scrive: «l’anno dunque milleducentoventisei dall’Incarnazione del Signore, (...) il quattro di ottobre, in domenica [cioè sabato 3 ottobre, verso il tramonto], nella città di Assisi dove era nato, presso Santa Maria di Porziuncola dove aveva fondato l’Ordine dei frati minori, il beatissimo padre nostro Francesco uscì dal carcere della carne, compiuti vent’anni dacché si era perfettamente unito a Cristo seguendo la vita e le orme degli apostoli»28. È lo stesso Celano a illustrarci la penultima scena del ciclo: quella relativa ai Funerali di Francesco (fig. 34). Narra dunque il biografo: «Accorse in massa tutta la città di Assisi e si affrettarono pure dalla zona adiacente per vedere le meraviglie, che il Signore aveva manifestato nel suo servo. I figli intanto effondevano in lacrime e sospiri il pio affetto del cuore, addolorati per essere rimasti orfani di tanto padre. Ma la singolarità del miracolo mutò il pianto in giubilo e il lutto in esplosione di gioia. Vedevano distintamente il corpo del beato padre ornato delle stimmate di Cristo e precisamente nel centro delle mani e dei piedi, non i fori dei chiodi, ma i chiodi stessi formati dalla sua carne, anzi cresciuti con la carne medesima, che mantenevano il colore oscuro proprio del ferro, e il costato destro arrossato di sangue. La sua carne, prima oscura di natura, risplendendo di un intenso candore, preannunziava il premio della beata risurrezione. Infine, le sue membra divennero flessibili e molli, non rigide come avviene nei morti, ma rese simili a quelle di un fanciullo»29. Al Mozzillo sono attribuiti dal Barleri anche i due affreschi raffiguranti l’Ultima Cena e la Crocifissione portati alla luce alla fine degli anni ’90 del secolo scorso da 26 TOMMASO DA CELANO, Vita Seconda …, op. cit., p. II, (LXXXIX, 126), in FF, 710. 27 Ivi, parte II, (CLXII, 214-215), in FF 804. 28 Ivi, parte II, (I, 88), in FF 473. 29 Ivi, parte II (CLXIII, 217 a), in FF 812.

Fig. 32 - A. Mozzillo e aiuti, Francesco ascolta l’Angelo che suona l’arpa.

Fig. 33 - A. Mozzillo e aiuti, Francesco morente è spogliato delle vesti.

fra Giorgio Ascione30. Secondo un altro studioso locale, però, il professore Carlo Palermo, gli affreschi, in particolare l’Ultima Cena, risalirebbero, invece, a causa di alcune particolarità tecniche e iconografiche, alla fine del ‘500, datazione che se venisse confermata potrebbe addirittura far retrodatare la fondazione della struttura religiosa31.

Franco Pezzella

30 G. BARLERI, op. cit., p. 58. 31 A supporto della fattura cinquecentesca di questo affresco lo studioso osserva che «la postura, la corpulenza ed il drappeggio dei personaggi, sono propri della scuola michelangiolesca» e che «la tavola circolare, invece che rettangolare», si trova raffigurata solo nella pittura medievale (anche piuttosto frequentemente) e in rare pitture cinquecentesche (cfr. C. PALERMO, L’Ultima Cena, Convento di S. Maria degli Angeli, Marano di Napoli.

Fig. 34 - A. Mozzillo e aiuti, I funerali di Francesco.