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Le spese militari in età giolittianaLa gestione dei bilanci
Paolo Ferrari
Nel contesto degli studi sui rapporti tra militari e politici e sulla sovrapposizione, al passaggio dall’Otto al Novecento, delle spìnte dovute ai nuovi interessi organizzati e al mutamento del quadro internazionale ai tradizionali obiettivi di politica estera perseguiti dal ceto politico liberale, il saggio intende richiamare l’attenzione sulle strutture e il funzionamento di settori non marginali dell’apparato statale e sulla trama di rapporti stabiliti con gli interessi privati emergenti in seguito al decollo industriale. Nel corso del conflitto italo-turco del 1911 si attuarono scelte correlate non soltanto all’eccezionaiità dell’e- vento-guerra, ma a una prassi di rapporti tra ministeri militari da un lato e parlamento e organi di controllo dall’altro preesistenti al conflitto. Si allude alle procedure seguite dalle amministrazioni militari per costituire margini di discrezionalità nella gestione delle proprie risorse finanziarie rispetto alle indicazioni parlamentari e al quadro normativo, in relazione agli obiettivi di volta in volta perseguiti. Tra questi ultimi, accanto a quelli comuni anche ad altre strutture burocratiche, vanno evidenziati quelli correlati alle minori garanzie offerte da uno Stato divenuto “pluriclasse” all’attuazione di una politica di riarmo e ai più intensi rapporti con i fornitori. La tradizionale caratteristica di “corpo separato” propria all’esercito quanto alla marina acquisì particolare rilevanza per gli interessi privati legati alla spesa militare, che miravano a stabilire diretti rapporti con le amministrazioni pubbliche. Si costituì così un’ulteriore condizione per il realizzarsi di quelle iniziative espansionistiche in politica estera delle quali la storiografia ha analizzato soprattutto le componenti nel mondo politico e in quello economico.
This essay deals with the relationships between the liberal establishment and military organized interests in Italy at the turn o f the century, when the Italian ruling class had to cope with a rapidly changing international scene. The author draws attention on the structure and mechanisms o f important sectors o f the State apparatus, and on the multiple links they interwove with emerging private interests in the wake o f the industrial take-off.The choices made during the Italian-Turkish conflict reflected not only the special character o f that event, but also a pre-existing pattern o f relationships between the military ministries on the one hand and the parliament with its organs o f control on the other. This is particulary true o f the procedures selected by the military in order to widen their discretion in the managing o f financial resources, thus baffling on occasion parliamentary directives and official rules and regulations.Among the military attitudes, special stress is put upon the options responding to the lessened guarantees offered by a “multi-class" State, to the needs o f a rearmament policy and to the increasing relationships with the Armed forces suppliers. The traditional feature o f “separate body” characterizing both the Army and the Navy acquired great importance fo r the private business involved in military expenditure, which aspired to estalish direct links with the relevant branches o f the administration. Further conditions were thus set fo r the expansionist efforts in the Italian foreign policy o f that period, a topic broadly examined so far only at political and economic level.
Italia contemporanea”, marzo 1992, n. 186
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Finanza statale e conflitto libico
Nel febbraio 1914, in previsione della discussione parlamentare, il governo presentò due documenti sulle spese sostenute nel corso del conflitto italo-turco1, insieme alla proposta di conversione in legge dei decreti emessi tra il 29 giugno e il 30 dicembre 1913 (riguardanti crediti straordinari per 242 milioni) e di approvazione delle spese occorrenti fino al 30 giugno 1914 (più di 147 milioni)2. Le spese vennero discusse, con notevole ritardo, dopo che il governo era ricorso all’apertura, a favore dei ministeri militari, di crediti straordinari sulla Tesoreria centrale, sulla base della decisione del Consiglio dei ministri seguita dall’emissione di un decreto reale. Questa facoltà derivava, secondo il governo, dalla legge 17 luglio 1910, n. 511, relativa all’“Amministrazione e conta
bilità dei corpi, istituti e stabilimenti militari”3, un provvedimento concepito, come si vedrà, per scopi diversi dal finanziamento di una campagna militare.
L’esame dei riflessi istituzionali della guerra ha sottolineato l’ulteriore emarginazione del parlamento come sede decisionale e di controllo dell’attività dell’esecutivo4. La legittimità dell’applicazione della legge citata alla spedizione libica e, più in generale, tutta la sua gestione finanziaria vennero da più parti contestate nel corso del dibattito in aula. Sebbene un’ampia maggioranza si fosse dimostrata favorevole alle scelte compiute dal governo, vennero infatti espresse riserve su questioni specifiche, con una notevole varietà di accenti e di posizioni. In ogni caso la discussione restò condizionata dalla scarsità delle informazioni disponibili, fenomeno peraltro ricorrente nei periodi di guerra, ac-
II presente articolo si basa su una parte della mia tesi di dottorato (Le modificazioni della spesa militare nell’età giolittiana. Parlamento, amministrazioni e commesse tra interessi locali e sviluppo dell’industria, Università degli studi di Torino, 1987). Desidero ringraziare, per i suggerimenti e le critiche nelle diverse fasi della ricerca, Massimo Legnani, Giorgio Rochat e Nicola Tranfaglia. Ho inoltre un debito di riconoscenza verso Andrea Curami per la lettura critica della stesura finale del testo qui pubblicato.1 Si tratta del “Conto delle spese determinate dall’occupazione della Tripolitania e della Cirenaica, dall’occupazione temporanea delle isole dell’Egeo e dagli avvenimenti internazionali” e del “Conto delle spese effettuate dal ministero delle Colonie fino al 31 dicembre 1913”. I documenti si riferiscono in primo luogo alle somme impegnate tra l’autunno del 1911 ed il 31 dicembre 1913 dal ministero della Guerra (883 milioni) e da quello della Marina (121 milioni), che costituivano la quasi totalità degli stanziamenti legati al conflitto (1149 milioni). Somme minori vennero erogate dal ministero del Tesoro e da quelli dei Lavori Pubblici, delle Poste e dei Telegrafi e dellTnterno. Vi sono poi fondi non compresi nel totale indicato, come i 34,9 milioni del ministero delle Colonie, in parte utilizzati per il funzionamento del ministero stesso. Cfr. Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Documenti. Disegni di legge e relazioni. Legislatura XXIV, Sessione 1913-1914, n. V ili (d’ora in poi: Apcd, Documenti, L.). Giolitti scrisse l’8 gennaio 1914 al generale Ernesto Mirabelli, sottosegretario della Guerra, per chiedere un documento preciso, che non comprendesse, come era già avvenuto, “come spese per la Libia spese per aumenti di dotazioni per l’esercito”, poiché “non il ministro del Tesoro ne [sic] io potremo difendere un conto falso, e la cosa potrebbe avere gravi conseguenze in Parlamento” (Archivio Centrale dello Stato, Presidenza del Consiglio dei Ministri, d’ora in poi Acs, Pcm, 1914, f. 3 /3. Per “Le spese di indole riservata urgente e straordinaria”, circa 4,3 milioni tra ottobre 1911 e metà gennaio 1913, cfr. la lettera indirizzata a Giolitti il 12 gennaio 1913 (Acs, Pcm, 1913, f. 10/3).2 Cfr. Apcd, Documenti, L. XXIV, n. 51-A.3 L’articolo 16 della legge stabiliva infatti che “nei casi eccezionali di chiamata alle armi o di servizi di ordine pubblico ed in altre simili contingenze, per i quali casi non siano previsti in bilancio appositi stanziamenti, può essere autorizzata l’apertura, a favore del Ministero della Guerra, di un credito straordinario sulla tesoreria centrale mediante decreti reali, su proposta del ministro del tesoro, previa deliberazione del Consiglio dei ministri”.4 In questa sede ci limitiamo a rimandare a Francesco Malgeri, La guerra libica (1911-1912), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1970, pp. 259-266.
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compagnati da una concentrazione nell’esecutivo dei poteri non soltanto finanziari5.
Per quanto riguarda il movimento socialista, sono note le contrapposizioni che si crearono in seguito al conflitto6, ed è quindi sufficiente accennare ad alcune prese di posizione, limitatamente al tema delle spese militari. Modigliani, intervenendo a nome del partito, sottolineò l’inutilità economica della conquista per i lavoratori e le conseguenze della manovra economica attuata dal governo7. Da questo come da altri interventi critici non emersero tuttavia analisi particolarmente significative sulle conseguenze delle nuove ingenti spese militari. Lo stesso Giretti, contrastato da un’aula poco propensa alle critiche al governo, sostenne che la guerra aveva comportato vantaggi soltanto per gli interessi privati legati alle forniture pubbliche. La proposta di politiche di bilancio alternative e la denuncia delle conseguenze negative dell’assorbimento di risparmio provocato dal conflitto riproponevano così uno schema nel quale le spese militari costituivano un freno allo sviluppo economico e un’occasione di profitto soltanto per gruppi ritenuti marginali di borghesia industriale e finanziaria8. Su questi temi insisteva il grup
po dirigente socialista che faceva capo a Turati. Se, rispetto alla prima guerra africana, veniva individuata come elemento di novità la massiccia adesione della borghesia all’impresa, si stentava a elaborare una spiegazione convincente, “limitandosi a parlare di tradimento, almeno da parte delle forze democratiche, e di folle miopia della borghesia industriale”9. Era così posto in primo piano il significato politico dell’impresa, interpretando come “forme di parassitismo” i fenomeni irriducibili al modello economico basato sulla libera concorrenza. All’insufficienza delle analisi, d’altra parte, corrispondeva quella delle forme di lotta, come già era avvenuto al momento dello scoppio del conflitto, con “la rinuncia ad uno scontro aperto con le forze della borghesia al governo ed il rinvio di ogni opposizione al dibattito in aula”10 che avevano comportato il fallimento dello sciopero generale e impedito di contrastare le scelte del governo nel momento in cui il parlamento veniva emarginato dal processo decisionale. È appunto questo l’altro tema ricorrente nel dibattito del febbraio- marzo 1914, né costituiva un’inversione di tendenza la presentazione di un conto delle spese generico e privo di sanzioni di organi
5 II governo si rifiutò di rendere pubblici i documenti diplomatici e gli stessi atti concernenti le spese fornivano dati di carattere generale non controllati dalla Corte dei conti. Sonnino parlò di “due anni di pieni poteri finanziari” ed in modo analogo si espressero Graziadei (“Il Governo ha soppresso il controllo parlamentare su tutti i campi per oltre due anni e mezzo, e specialmente sul terreno finanziario e sul terreno diplomatico”) e Giretti (“La guerra è stata fatta incostituzionalmente [...] non ammetto un Governo che si è valso per fare la guerra di un articolo inserito in modo quasi clandestino in una legge di contabilità del 1910, della quale abbiamo sentito in questa Camera che ormai nessuno vuole più assumere la paternità”). Apcd, Documenti, L. XXIV, Sessione 1913-1917, 14 febbraio 1914. Si veda inoltre l’intervento di Altobelli del 18 febbraio.6 Cfr. ad esempio le ricostruzioni di Giorgio Candeloro, Storia dell’Italia moderna, vol. VII, La crisi di fine secolo e l ’età giolittiana, 1896-1914, [ed. orig. 1974] Milano, Feltrinelli, 1981, pp. 309 ss. e Maurizio Degl’Innocenti, Il socialismo italiano e la guerra di Libia, Roma, Editori Riuniti, 1976.7 Cfr. Apcd, Discussioni, L. XXIV, 12 febbraio 1914. Anche Guido Miglioli, leader del sindacalismo cattolico, sottolineò le conseguenze negative della guerra per i lavoratori (ivi, 19 febbraio 1914).8 Secondo tale prospettiva i metodi propri dell’“affarismo politico” sarebbero stati causa di “disastro economico” per il paese. Cfr. ivi, 24 febbraio 1914.9 Cfr. M. Degl’Innocenti, Il socialismo italiano, cit., p. 62.10 Cfr. Gianni Oliva, Esercito, paese e movimento operaio. L ’antimilitarismo dal 1861 all’età giolittiana, Milano, Angeli, 1986, p. 208 e, in generale, pp. 203 ss. È opportuno precisare che i dubbi riguardano le analisi di parte socialista del capitalismo italiano, non resistenza di fenomeni di “affarismo politico”. Il governo, per ottenere l’ap-
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esterni all’amministrazione11. Ad aggravare la situazione interveniva poi la manovra contabile che consentiva di ridurre nominalmente le spese trasferendone una parte sui successivi esercizi. Denunciata dagli oppositori del governo12, tale manovra ha assunto nell’analisi storica significato paradigmatico della gestione delle spese dovute alla spedizione coloniale. Il governo ricorse dunque, a partire dal 25 settembre 1911, a decreti reali convertiti nella legge 28 marzo 1912, n. 232 — che accordò anche 35 milioni al ministero della Guerra e 10,6 ad altre amministrazioni, sempre in relazione al conflitto — e in quella del 29 dicembre 1912, n. 1357, per una somma complessiva di 572,6 milioni. La legge 29 dicembre 1912, n. 1352, autorizzò inoltre re missione di buoni del Tesoro quinquennali per 250 milioni e la legge 26 giugno 1913, n. 772 consentì l’apertura di un credito straordinario tra la Tesoreria centrale e il ministero
della Guerra, che ottenne quindi di spendere 242 milioni nello stesso esercizio. Le uscite, motivo di ulteriore ricorso dello Stato al mercato dei capitali13, vennero diluite su di un gran numero di esercizi, dal 1911-1912 al 1922-1923l4. Il governo ricorse ad artifici contabili già impiegati a partire dall’esercizio 1905-1906. Nel 1911-1912, 57 milioni prelevati dal fondo di cassa del Tesoro furono compresi nelle entrate per movimento di capitali, tramutando così un disavanzo di 57 milioni in un pareggio15. Come ha osservato Repaci, la “gestione fuori bilancio” della guerra mirava a “convincere l’opinione pubblica che l’impresa libica si sarebbe potuta condurre senza alcun onere per la nazione”16.
L’insistenza sul tema delPesautoramento del parlamento suggerisce l’utilità di un esame più ampio dell’autonomia dei ministeri militari nella gestione delle spese nel cruciale periodo del decollo industriale17. Risulta in
poggio dell’opposizione, tentò una manovra non nuova, offrendo alle cooperative la possibilità di operare in Libia, ma, secondo il giolittiano Schanzer, il partito socialista bloccò l’iniziativa (Apcd, Discussioni, L. XXIV, 12 febbraio 1914). Molti denunciarono le speculazioni dei fornitori, da De Felice-Giuffrida, socialista favorevole alla conquista (ivi, 11 febbraio), a Comandini (ivi, 14 febbraio), Altobelli (ivi, 18 febbraio) e Ciccotti (ivi, 19 febbraio 1914). Treves sottolineò come la “borghesia parassitaria” non fosse in grado di attuare 1’ “imperialismo attivo, energico e coraggioso, che fanno gli altri paesi prima di domandare la protezione alla madre patria”, proponendo quindi una distinzione tra un capitalismo (e quindi un imperialismo) accettabile, basato sulla penetrazione economica, ed uno “parassitario”, sostenuto dallo Stato e implicante il dominio militare diretto (cfr. ivi, 12 febbraio 1914). Si vedano inoltre gli articoli pubblicati su “Critica sociale”, ad es. il 1° ed il 16 aprile 1912.11 Si vedano, tra gli altri, gli interventi di Modigliani, Labriola, Comandini, Treves e del moderato Ancona.12 “In realtà”, sostenne Comandini intervenendo sui due aspetti della questione, “voi avete distrutto tutti quanti i controlli sul bilancio dello Stato; avete impegnato l ’avvenire per somme ipotetiche sopra avanzi che non sappiamo se si realizzeranno. Per cui ci dobbiamo domandare a che siano ridotte le funzioni del Parlamento e della Corte dei conti, quando voi andate avanti attraverso a tutti questi espedienti finanziari” (Apcd, Documenti, L. XXIV, 14 febbraio 1914).13 Franco Bonelli, Osservazioni e dati sul finanziamento dell’industria italiana all’inizio del secolo XX, “Annali della Fondazione Luigi Einaudi”, vol. II, p. 268.14 Sulla questione, si veda in particolare: Luigi Einaudi, La guerra ed il sistema tributario italiano, Bari, Laterza, 1927, pp. 33-34. Si veda inoltre Mario De Vergottini, Le statistiche finanziarie, Torino, Utet, 1968, pp. 564 ss.15 Cfr. Francesco A. Rèpaci, La finanza pubblica italiana nel secolo 1861-1960, Bologna, Zanichelli, 1962, pp. 18- 20. Durante il dibattito Sonnino attaccò più volte il sistema adottato allo scopo di far comparire avanzi di bilancio fittizi, precisando di criticare non la politica finanziaria del governo ma la precisione dei dati presentati al parlamento (Apcd, Documenti, L. XXIV, l a Sessione, 27 febbraio 1914).
Cfr. F.A. Rèpaci, La finanza pubblica, cit., p. 21. L’autore ricostruisce in questo importante volume i bilanci degli esercizi 1911-1912 e 1912-1913, depurandoli dai “complicatissimi avvolgimenti contabili”.
Si fa riferimento al fatto che nell’età giolittiana, “alle accresciute dimensioni della macchina burocratica corrisponde ormai raddensarsi di una varietà di interessi che vi fanno riferimento” (Guido Melis, Amministrazione e
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fatti possibile individuare procedure e relazioni tra amministrazioni militari e parlamento che apparvero in particolare evidenza nel corso della guerra italo-turca, ma che si erano già affermate in precedenza. Esse inoltre acquisirono una inedita rilevanza nel momento di forte crescita delle commesse destinate a interessi privati, la cui fisionomia era mutata come conseguenza dell’intensa trasformazione economica.
La particolare prospettiva d’indagine seguita, l’analisi delle trasformazioni dei ministeri militari in rapporto alla gestione dei bilanci, si giustifica, nelle intenzioni di chi scrive, come tentativo di individuare elementi di conferma in più di una direzione. In primo luogo lo studio delle strutture amministrative e del loro funzionamento consente di precisare i forti limiti del controllo effettuato dal parlamento e, più in generale, dagli organi esterni alle amministrazioni militari, confermando la progressiva margina- lizzazione del primo nei processi decisionali pubblici e consentendo di valutare più precisamente l’interpretazione della politica giolittiana come “progetto burocratico di governo”18. D’altra parte l’analisi, pur affrontando alcune questioni, come quella del personale, soltanto per accenni, fornisce forse indicazioni su come i ministeri della Guerra e della Marina si inseriscano nella più generale trasformazione della pubblica ammini
strazione in Italia, in particolare sull’influenza che gli interessi economici organizzati esercitarono sulla sua evoluzione. Infine, il tema del funzionamento dei due ministeri è stato, come si vedrà, poco affrontato dagli stessi studiosi delle vicende militari. Se è in corso da anni la revisione critica di molti aspetti della storia delle forze armate italiane e se risale agli inizi degli anni sessanta la sottolineatura dell’assoluta rilevanza delle spese militari per lo stato liberale e del ruolo marginale svolto dal parlamento nella loro definizione19, sono mancati approfondimenti sistematici in entrambe le direzioni ora indicate, nonostante il largo consenso sull’importanza delle questioni correlate alla gestione dei bilanci militari.
Il ministero della Guerra
Partendo dalla struttura del bilancio, si può chiarire in quale senso sia possibile parlare di controllo parlamentare delle forse armate, ovvero di come l’efficacia stessa di tale controllo fosse condizionata da strutture amministrative e contabili funzionanti secondo criteri e con scopi irriducibili a quelli attribuiti dalla dottrina liberale a un regime costituzionale-parlamentare che, con le leggi di spesa, avrebbe dovuto esplicare una delle proprie prerogative fondamentali. In primo
mediazione degli interessi: le origini delle amministrazioni parallele, in Isap, L ’amministrazione nella storia moderna, vol. II, Milano, Giuffrè, 1985, p. 1432. Si veda comunque tutto il saggio per l’inquadramento delle vicende sotto il profilo amministrativo. A questo fine, non potendo per motivi di spazio elencare tutti i contributi utili, rimandiamo a Mariuccia Salvati, Dalla Francia all'Italia. Il modello francese e vie surrettizie di modernizzazione amministrativa in uno Stato periferico, in Suffragio, rappresentanza, interessi. Istituzioni e società fra ’800 e ’900, a cura di Claudio Pavone e M. Salvati, “Annali” della Fondazione Lelio e Lisli Basso-Issoco, vol. IX, 1987-1988. Di più specifico interesse in relazione al tema trattato sono i due importanti saggi di Marco Meriggi, Amministrazione civile e comando militare: il Ministero della Guerra (in Isap, L ’amministrazione nella storia moderna, cit.) e Militari e istituzioni politiche nell’età giolittiana (“Clio”, n. 1, gennaio-marzo 1987), e Riccardo Faucci, Finanza, amministrazione e pensiero economico. Il caso della contabilità di Stato da Cavour al fascismo, Torino, Fondazione Luigi Einaudi, 1975.18 Paolo Farneti, Sistema politico e società civile. Saggi di teoria e ricerca politica, Torino, Giappichelli, 1971.19 Cfr. Giorgio Rochat, L ’esercito italiano nell’estate 1914, “Nuova rivista storica”, 1961, n. 2, ora ripubblicato in Id., L ’esercito italiano in pace e in guerra. Studi di storia militare, Milano, Rara, 1991.
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luogo i consuntivi venivano discussi e approvati a distanza di anni dalla fine degli esercizi ai quali si riferivano. Il disegno di legge sul rendiconto generale consuntivo dell’amministrazione dello Stato per gli esercizi finanziari 1901-1902 e 1902-1903 venne, per esempio, presentato dal ministro del Tesoro nel dicembre 1904, e la relativa relazione parlamentare nel giugno dell’anno successivo, due anni dopo la fine dell’ultimo esercizio per il quale veniva richiesta l’approvazione:Presso di noi — sosteneva Vincenzo Saporito — [...] ben limitata importanza si è data all’esame dei conti consuntivi: pochissime volte si è fatta di essi una discussione larga, prevalendo nelle relazioni parlamentari, salvo eccezioni, una parafrasi degli atti dell’amministrazione e della Corte dei conti, presentata al Parlamento20.
Il voto era così ridotto a una formalità, senza conseguenze sulla gestione dei fondi nei successivi esercizi. Inoltre risultava sminuito il valore delle leggi di spesa, dal momento che il loro mancato rispetto difficilmente avrebbe comportato conseguenze per le amministrazioni stesse.
Per una valutazione complessiva della gestione delle risorse statali l’analisi del “bilancio passivo” deve essere completata dall’esame del patrimonio pubblico, al quale è quindi opportuno dedicare alcuni cenni. All’inizio del secolo la Corte dei conti era in possesso degli elementi necessari a svolgere accertamenti su di una parte minima dei beni dello Stato, dovendo per il resto limitarsi a trasmettere al parlamento, nelle relazioni annuali, i conti forniti dalle amministrazioni stesse21. D’altra parte, pur essendo tale gestione complementare a quella delle risorse finanziarie, il discontinuo interesse del parlamento si concentrò quasi esclusivamente su queste ultime22. Non conseguirono risultati le iniziative della Camera, risalenti almeno alla fine degli anni ottanta, tendenti a estendere anche a questo settore il controllo della Corte dei conti. Anche quando, nel 1897, venne approvata una legge relativa al riscontro sui magazzini e sui depositi dello Stato, la sua applicazione vanificò lo scopo principale perseguito dal legislatore, consistente nel controllo dei magazzini militari23. Conoscere l’adeguatezza delle scorte alle ne-
20 Cfr. Apcd, Documenti, L. XXII, 1a Sessione 1904-1905 n. 1-A e 2-A, Relazione della Giunta generale del bilancio sui disegni di legge presentati dal ministro del Tesoro (Luzzatti) nella seduta del 2 dicembre 1904. Rendiconto generale consuntivo dell’Amministrazione dello Stato, dell’Amministrazione del fondo per il culto, del Fondo di beneficienza e di religione nella città di Roma e della colonia Eritrea per gli esercizi finanziari 1901-02 e 1902-03. Parte settima, Sintesi, p. 133 (relazione presentata alla Camera il 28 giugno 1905). Il relatore Vincenzo Saporito rilevava comunque che anche in altri stati a regime parlamentare, come la Francia, la legge rappresentante “la più alta espressione del controllo finanziario” veniva votata senza un’eccessiva attenzione da parte dei parlamentari, mentre il Regno Unito era il paese in cui i bilanci erano più accuratamente preparati, discussi e controllati. Le acute ricerche furono possibili anche per la preparazione e l’impegno del relatore, “abile e scrupoloso indagatore”, secondo Arturo Labriola (Storia di dieci anni 1899-1909, [ed. orig. 1910] Milano, Feltrinelli, 1975, p. 160). La relazione venne presentata specificando “che quello che figura di apprezzamenti, censure e proposte di riforma, sia ritenuto pensiero personale del relatore” (p. XIV).21 La Corte ammetteva di non avere “nessuna cognizione [...] dell’enorme patrimonio ferroviario, di quello industriale, di quello militare, di quello artistico ecc. ecc.” (Relazione, cit., Parte quarta. Il Patrimonio, p. 4, Apcd, Documenti, XXIII, l a sessione, 1904-1905, nn. 1-A e 2-A). Sulle difficoltà incontrate nel riscontro dei magazzini e depositi dello Stato, cfr. pp. 14 ss.22 Relazione, cit., Parte quarta. Il Patrimonio, p. 5.-3 Con un ordine del giorno approvato il 25 maggio 1897 la Camera “invita[va] il Governo a proporre sollecitamente i provvedimenti idonei a istituire un permanente controllo, mediante accertamento periodico delle consistenze reali sulle gestioni patrimoniali e segnatamente su quella dei magazzini militari” (ivi, p. 8). Cfr. inoltre Luigi Pi- cozzi, La Corte dei conti in Italia, Torino, Utet, 1963, a proposito del controllo limitato, nonostante le disposizioni
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cessità della mobilitazione era, infatti, indispensabile al parlamento per poter valutare la fondatezza delle richieste delle amministrazioni militari e rendeva inoltre possibile l’adozione di un sistema di controllo dei magazzini, affidato alla Corte dei conti, in base al quale non fosse consentito scendere al di sotto del minimum necessario in caso di entrata in guerra. All’inizio del secolo, quindi, parte dei magazzini e dei depositi dello Stato venivano lentamente sottoposti a tale controllo costituzionale, mentre non esisteva un riscontro generalizzato sul patrimonio. Di conseguenza le amministrazioni, e anzitutto quelle militari, più delle altre “gelose delle proprie autonomie”24, potevano gestire i beni loro affidati senza temere l’intervento del parlamento, privo di elementi in base ai quali “formar[si] un concetto dell’attendibilità dei dati di consistenza e di stima che in essi [nei conti del patrimonio] figura [va] no”25.
Scarsa volontà politica e mancanza di adeguati strumenti istituzionali si rafforzavano quindi a vicenda. Una situazione ben
nota a un conoscitore della macchina statale come Giolitti, che alla fine del secolo intervenne sulla questione — dichiarandosi competente sugli aspetti amministrativi, ma non su quelli tecnici dell’organizzazione delle forze armate — per rilevare l’insufficienza dei controlli sull’attività di spesa del ministero della Guerra26, senza tuttavia promuovere in seguito, una volta al vertice della vita politica nazionale, iniziative volte a modificare tale situazione27. Dell’attività della Corte dei conti, Camera e Senato erano informati attraverso una relazione annuale i cui risultati erano ampiamente utilizzati anche dalla Giunta generale del bilancio. Anzi, senza tale documento sarebbe risultato assai difficoltoso lo stesso esame dei rendiconti a opera della Giunta28. La Corte costituiva un punto di osservazione privilegiato dell’attività ministeriale — come testimonia lo stesso Giolitti29 —, rispetto alla quale poteva crearsi un continuo contrasto30.
Le ampie funzioni della Corte erano tutta- vie ridotte dalle pressioni governative volte ad annullarne l’indipendenza, oltre che dalla
di legge, soltanto a parte dei magazzini e “meramente contabile e cartolare” e quindi “idoneo ad attuare soltanto una vigilanza sulla regolarità dell’attività amministrativa, e non quel riscontro effettivo voluto dalla citata legge n. 256 del [l’l 1 luglio] 1897” (p. 126). Sulla Corte dei conti e, più in generale, su tutta la questione dei controlli, va almeno ricordato il classico lavoro di Giovanni Abiguente, La riforma dell’Amministrazione pubblica in Italia (questioni urgenti), Bari, Laterza, 1916. Per un recente esame del problema sul lungo periodo (con attenzione prevalente al secondo dopoguerra), cfr. Domenico Preti, Una modernizzazione a rischio. li silenzio dei controlli nell’Italia repubblicana, “Italia contemporanea”, 1991, pp. 189-225.24 Relazione, cit., Parte quarta. Il Patrimonio, p. 14.25 Relazione, cit., Parte quarta. Il Patrimonio, pp. 3 ss.26 Giolitti aggiungeva che “il controllo non può derivare direttamente da un organo del governo, ma deve essere compiuto da un organo fuori del Governo”, mentre per Luzzatti l’unico controllo utile era quello della Corte dei conti, poiché l’efficacia dei controlli operati da altre amministrazioni poteva venir annullata dalla solidarietà politica a livello ministeriale. Entrambe le tesi vennero riprese da Sichel (Apcd, Discussioni, L. XXIII, l a Sessione, 26 giugno 1910) nel corso della discussione del disegno di legge su Amministrazione e contabilità dei corpi, istituti e stabilimenti militari, a proposito del quale si veda la nota 70.27 A ll’opposizione Giolitti sottolineò in generale l’oscurità e l’imprecisione dei bilanci, la mancanza di rispetto delle direttive e del controllo parlamentare sulle spese, l’importanza dei controlli effettuati da Corte dei conti e Consiglio di Stato: cfr. Apcd, Discussioni, L. XVI, l a Sessione, 18-19 gennaio 1887 e 14 giugno 1899.28 Cfr. Relazione, cit., Parte sesta. Il controllo della Corte dei conti, pp. 101 ss.29 Cfr. Giovanni Giolitti, Memorie della mia vita, Milano, Treves, 1922, vol. I, p. 26 e, ad es., Frank Coppa, Planning, Protectionism and Politics in Liberal Italy: Economics and Politics in the Giolittian Age, Washington D.C., The Catholic University o f American Press, 1971, p. 111.30 Cfr. Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, pp. 723-724.
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limitatezza dei mezzi dei quali essa disponeva31. Secondo i socialisti l’influenza governativa era attuata soprattutto attraverso il sistema di reclutamento dei membri dell’Alta Corte, che poteva annullare il lavoro svolto dai funzionari, riducendo l’organo di controllo “ad essere una docile ed ossequiente e riconoscente appendice del potere esecutivo”32. In ogni caso la Corte dei conti segnalò ogni anno diverse irregolarità al parlamento, al quale spetta la responsabilità di non averne appoggiato sufficientemente l’azione e della mancanza di iniziative volte a cancellare decisioni e procedure indicate come irregolari33. Numerose erano le analogie tra i due ministeri militari, a partire da una accentuazione, rispetto alle altre amministrazioni statali, di alcuni aspetti della struttura del bilancio, che si presentava come “molto complicato, poco sincero e poco specializzato”34. Caratteristica ammessa dal ministero della Guerra35 e di cui la Giunta generale del bilancio riteneva corresponsabile il potere legislativo36. Oltre a limitare drasticamente le conoscenze a disposizione del parlamento, la struttura del bilancio riduceva l’efficacia dell’esame delle spese effettuato da altri poteri esterni all’amministrazio- ne. Inoltre aH’interno del ministero il controllo non era affidato a un organo con suf
ficiente autonomia e forza nei confronti dell’amministrazione centrale nel suo complesso.
A partire dallo ‘scollamento’ delineato tra parlamento e amministrazione, è possibile precisare alcune conseguenze sul terreno specifico della gestione della spesa, dal momento che l’imprecisa formulazione dei capitoli poteva consentire all’amministrazione di dirottare fondi verso scopi diversi da quelli indicati nei preventivi37. E in parte risultavano utilizzabili in via discrezionale anche le spese variabili, la cui considerevole entità rappresentava un elemento tipico dei ministeri militari. Sottostimato nei consuntivi si presentava il costo dell’amministrazione centrale, soprattutto poiché erano distribuite in diversi capitoli le somme corrisposte al personale comandato, cioè appartenente ai ruoli di uffici periferici, ma effettivamente impiegato nel ministero. Il fenomeno, presente anche in altre amministrazioni centrali, assumeva particolare rilievo coinvolgendo, nel 1902, 100 ufficiali e 124 impiegati. La Giunta generale del bilancio sottolineava come si ricorresse a questo metodo per ampliare gli organici degli uffici centrali proprio perché non era possibile fornire una giustificazione sulla base del carico di lavoro. Ne risultava un costo eccessivo in rap-
31 Cfr. Relazione, cit., Parte settima. Sintesi, p. 132. Cfr. inoltre: G. Merloni, La Corte dei conti (Come funziona in Italia il supremo controllo dello Stato), “Critica sociale”, 1° aprile 1907. Le altre parti dell’articolo comparvero sui numero del 1° e del 16 maggio.32 Cfr. G. Merloni, La Corte dei conti, cit., “Critica Sociale”, 16 maggio 1907, p. 154.33 La Giunta generale del bilancio osservò come “la relazione della Corte dei conti fosse assai poco conosciuta anche in Parlamento; circostanza però questa che ne deve fare andare cauti nel giudicare l’opera complessiva della Corte, e ci obbliga a portare prima il giudizio sull’opera nostra” (Relazione, cit., Parte sesta. Il controllo della Corte dei conti, pp. 101 ss.). Anche il controllo sulle forniture dava luogo alla produzione di elenchi “spediti senz’altro all’archivio”.34 Cfr. Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 621.35 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, pp. 621-622.36 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 553.37 “Non crediamo di essere lontani dal vero nell’affermare che sia questo uno degli studi dei Ministeri, e che gli stessi richiami della Corte dei conti sulla imputazione delle spese, servano di chiave e d’indirizzo nella ricerca di accorgimenti per evitare che, in un nuovo esercizio, la Corte dei conti abbia da fare osservazioni o, se le fa, che abbiano seguito” (Relazione, cit., Parte settima. Sintesi, p. 136).
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porto alle risorse assegnate al ministero, anche perché il personale spesso non veniva utilizzato secondo la preparazione e le attitudini38. A partire dagli organi centrali esistevano istituti il cui funzionamento si sottraeva alle disposizioni della legge di contabilità generale dello Stato, tanto da rendere quasi impossibile la ricostruzione della destinazione effettiva delle somme stanziate. Si trattava di un “sistema che permette[va] a certi enti di apparire nel bilancio passivo della guerra, solo per attingervi i mezzi per il loro funzionamento”39, e sul quale si avrà modo di ritornare. D’altra parte, per l’am- ministrazione centrale, questo fenomeno, così come la distrazione di somme per scopi diversi da quelli indicati nei capitoli del bilancio40, riguardava importi abbastanza limitati.
Tralasciando il debito vitalizio, anche per la difficoltà di esprimersi sulle cause del suo costante aumento41, si entra “nel vivo dell’amministrazione militare” con le spese per l’esercito. Dal bilancio emerge in primo luogo l’accorpamento, in molti capitoli, di spe
se di diverso tipo, che rendeva impossibile il controllo sull’esecuzione delle leggi riguardanti il personale e sulle scelte compiute dall’amministrazione. Diveniva pertanto possibile accrescere il numero degli ufficiali subalterni di fanteria, mentre non si poteva valutare il costo reale di ciascun servizio:nel bilancio della guerra, a differenza di quanto si verifica nei bilanci delle altre amministrazioni dello Stato, non si hanno tanti capitoli di spesa, quanti sono i personali che la cagionano, ma invece [...] ogni capitolo, riflettente i corpi di fanteria, di cavalleria, ecc. non è che uno zibaldone; e si potrebbe dire quasi un bilancio a sé e senza quasi determinazione e regola alcuna42.
Risultava possibile utilizzare una parte degli stanziamenti indipendentemente dagli scopi per i quali erano stati concessi e gli esempi della scarsa incisività delle leggi e dei margini di discrezione dell’amministrazione sono così numerosi da delineare l’esistenza di un’istituzione sottratta a controlli esterni e della quale i vertici risultavano “sovrani assoluti”43. D’altra parte le caratteristiche proprie della struttura del bilancio
38 In molti casi, ad esemio, ad ufficiali con una preparazione tecnica erano assegnati compiti di carattere amministrativo. Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, pp. 558 ss. Non intendendo affrontare in questa sede il problema del personale delle amministrazioni militari, si rimanda a Alessandro Taradel, Gli organici delle amministrazioni militari centrali dal 1904 a! 1914, “Quaderni storici”, 1971, n. 18; Cesare Mozzarelli, Stefano Nespor, Il personale e le strutture amministrative, in L ’amministrazione centrale, a cura di Sabino Cassese, Torino, Utet, 1984.39 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 569. Sulla questione dei comandati, cfr. M. Meriggi, Amministrazione civile e comando militare, cit., pp. 1388-1392.40 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 573.41 Si vedano anche le osservazioni contenute nella successiva Relazione della Giunta generale del bilancio sul disegno di legge presentato dal Ministro del Tesoro (Corcano) nella seduta del 28 novembre 1907. Rendiconto generale consuntivo dell’Amministrazione dello Stato per l ’esercizio finanziario 1906-1907, in Apcd, Documenti, L. XXIII, Sessione 1909-1911, n. 7-A, pp. 661 ss.42 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 580. Per limitarsi ad un solo esempio, il costo del personale sanitaro gravava sui capitoli relativi ai corpi, istituti militari, ecc. ai quali il personale stesso veniva destinato. Venivano così alterati sia questi capitoli che quello formalmente destinato al “Corpo e servizio sanitario”.43 “Quando la struttura del bilancio è tale che, come abbiamo veduto, non rende possibile nemmeno il riscontro contabile delle cifre, che si prevedono; quando, come in passato è avvenuto, il Ministero può a detrimento della forza organica della truppa, mantenere nei quadri un numero di ufficiali subalterni superiore a quello stabilito dalla legge; quando può fare a meno di chiamare sotto le armi i militari in congedo per la istruzione dei quali il Parlamento ebbe a stanziare i fondi necessari, devolvendo queste somme a beneficio della forza permanente; quando, infine, non si è in grado né preventivamente, né consuntivamente di accertare il costo di ogni servizio, è inutile parlare di riscontro costituzionale da parte della Corte dei conti e di controllo parlamentare. Così come stanno le cose il
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erano riscontrabili anche nella compilazione dei rendiconti, mentre all’inizio del secolo più della metà degli stanziamenti per l’esercito era gestita attraverso mandati di anticipazione. Le contabilità delle compagnie di ciascun corpo costituivano l’unità amministrativa elementare dell’esercito, nella quale erano registrate dettagliatamente le singole operazioni, suddivise secondo le distinzioni proprie del bilancio di previsione. In questo modo si riproducevano gli inconvenienti sommariamente indicati a proposito della struttura del bilancio. Ogni corpo formava la propria contabilità riunendo quella delle diverse compagnie, ma la Corte dei conti non riceveva questa documentazione, bensì una sintesi, che riportava soltanto il numero complessivo dei soldati e degli ufficiali ed evidenziava, all’inizio di ogni trimestre, le variazioni rispetto a quello precedente (il che tra l’altro implicava che gli eventuali errori venivano perpetuati).
I criteri stessi in base ai quali la documentazione veniva prodotta rendevano così impossibile una revisione efficace da parte della Corte dei conti. Le unità amministrative dipendenti dal ministero della Guerra, infatti, istituivano due tipi di rapporti amministrativi: il primo, destinato a provare il dirit
to a percepire i finanziamenti, dava luogo a una documentazione che era resa pubblica all’esterno del ministero; il secondo, correlato alla reale gestione delle risorse, era sottratto all’esame di organi esterni e veniva redatto sulla base di ordinamenti e criteri autonomi rispetto al complesso delle leggi e degli ordinamenti dello Stato. La contabilità in possesso della Corte dei conti, quindi, serviva soltanto a dimostrare il credito di ciascun corpo nei confronti dell’erario e non rappresentava il reale svolgimento dei fatti amministrativi44.
Formalmente i cardini del ministero della Guerra erano costituiti dall’autorità centrale e dalle numerose — circa trecento — unità amministrative, denominate genericamente “corpi” , che operavano in base a un regolamento, privo di sanzione legale e modificato di continuo sulla base delle diverse esigenze, che risultava “all’infuori delle norme di contabilità generale”45 e che forniva la giustificazione — sebbene sussistessero dubbi in proposito46 — dell’istituto delle masse, di notevole importanza per comprendere il funzionamento delle amministrazioni militari. I conti delle masse facevano dunque parte della contabilità interna dei corpi, dalla quale emergeva il risultato della gestione e i
ministro della guerra è sovrano assoluto nel suo dicastero, ed i legami di questo coi maggiori organi esterni di riscontro, dell’esistenza dei quali pur si lagna continuamente, quasi gli fossero di grande ostacolo a fare quanto è necessario per le esigenze dei servizi, che da lui dipendono, non sono che vincoli apparenti e di scarsa efficacia” (Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 582). Per primo ha richiamato l ’attenzione sulla questione G. Ro- chat, L ’esercito italiano nell’estate 1914, cit.44 Relazione, cit., p. 586. La cui gestione assumeva “la forma patriarcale della famiglia”, per cui, ad esempio, tramite la trattenuta sullo stipendio, ciascun corpo provvedeva a molteplici bisogni degli ufficiali. Ciò, oltre a costituire una violazione della legge sulla insequestrabilità degli stipendi, comportava un trattamento degli ufficiali — ed analogamente avveniva per i soldati — difforme rispetto a quello adottato nei confronti degli altri funzionari dello Stato e, ancora una volta, sottratto a controlli esterni. Su questi temi cfr. Orazio Monaco, L ’amministrazione nell ’esercito. Dal sistema delle “masse” aI decentramento, “Esercito e nazione”, gennaio 1929, pp. 62-63.45 Commissione d ’inchiesta per l’esercito, Roma, Tipografia delle Mantellate, 1908-1910, vol. IV, p. 141. Sulle proposte della commissione, cfr. p. 142. Anche a questo proposito essa riprese le osservazioni formulate dalla Giunta generale del bilancio: “Il servizio di amministrazione e di contabilità dei corpi del regio esercito è disciplinato presentemente da un regolamento del 10 giugno 1898: regolamento anomalo perché emanato non solo in dissonanza alla legge di contabilità dello Stato, ma in dissonanza alle norme, onde hanno esistenza ed efficacia giuridica i regolamenti di amministrazione” (Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 587).46 Commissione d ’inchiesta per l ’esercito, cit., vol. IV, p. 141.
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movimenti di magazzino. Lo Stato, in rapporto al numero degli uomini e alle giornate di presenza, erogava somme che soltanto in piccola parte venivano incassate direttamente dagli interessati. I consigli di amministrazione dei corpi percependo gli assegni rendevano impossibile a organi esterni conoscere i risultati della gestione. Ne derivava la possibilità di commettere irregolarità di vario genere e di costituire fondi utilizzabili per vari scopi. I consigli erano inoltre soggetti al controllo e all’ingerenza dell’autorità ministeriale, che poteva decidere sulla destinazione delle risorse, sebbene in linea di principio queste potessero essere utilizzate soltanto per il servizio dei corpi.
In gran parte le somme costituivano una serie di fondi — le “masse” — che dovevano servire alle diverse necessità, dall’alimentazione al vestiario, alle spese di ospedale, la cui gestione, che poteva comportare resistenza di somme non spese alla fine di ciascun esercizio, spettava, in origine, a ciascun corpo47. La giustificazione originaria dell’istituto delle masse era la maggiore economicità e adeguatezza con la quale si potevano soddisfare le esigenze dei diversi corpi attraverso un’amministrazione decentrata48. Il ministero aveva progressivamente ristretto i margini di autonomia delle autorità periferiche, ottenendo in pratica di gestire la maggior parte delle quote assegnate ai corpi. La Commissione d’inchiesta sull’esercito calcolò che su 89 centesimi destinati al mantenimento dei soldati (esclusi i dieci centesimi della paga) soltanto 17 (il 19 per cento) erano amministrati effettivamente dai corpi. Di
conseguenza alla fine del secolo l’istituto delle masse non era più giustificabile sulla base della motivazione originaria, che risale al Cinquecento, anche perché l’aumento generalizzato del prezzo delle forniture aveva eliminato la possibilità di ottenere delle economie. Inoltre, nel caso si fossero verificate, il ministero poteva utilizzarle per ridurre i deficit di altri corpi, mentre l’utilità originaria delle masse era anche correlata al loro carattere di “gestione di lungo periodo”, in grado di affrontare esigenze particolari, senza rendere necessari, entro certi limiti, aumenti degli stanziamenti di bilancio. Alla fine dell’Ottocento, quindi, il ministero non soltanto provvedeva a numerose esigenze delle truppe, ma invadeva la sfera di competenza dei corpi. Occorre quindi capire perché le masse vennero mantenute fino al 1910 e delineare le trasformazioni attraversate dall’amministrazione della Guerra.
All’inizio del secolo le principali caratteristiche dell’istituto delle masse possono essere così riassunte: a) la crescita dei rapporti tra ministero e corpi aveva complicato le scritture contabili, con la conseguente scomparsa dei vantaggi che da questo punto di vista generalmente offre un’amministrazione decentrata; b) attraverso il conto corrente presso il ministero del Tesoro potevano essere oltrepassate le somme destinate dal parlamento al mantenimento delle truppe, costringendo quindi quest’ultimo a intervenire periodicamente per eliminare i disavanzi49;c) il ministero poteva anche utilizzare i fondi per fini diversi da quelli indicati nei bilanci;d) la prassi consistente nel considerare le
47 Commissione d ’inchiesta per l ’esercito, cit., vol. IV, p. 138. Cfr. inoltre Felice De Chaurand De Saint Eustache, Come l ’esercito italiano entrò in guerra, Milano, Mondadori, 1929, pp. 68-70.48 In questo senso si esprimeva anche la Giunta generale del bilancio (Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 594) riconoscendo però subito dopo che “Siamo [...] di fronte ad un ordinamento contabile dei più complicati, e retto da norme che non hanno carattere legale: ordinamento che impedisce di conoscere quanto effettivamente costano i nostri soldati, e che non presenta in gran parte le garanzie di un controllo serio ed efficace”.49 In questo modo erano stati erogati ben 45 milioni tra l’esercizio finanziario 1880 ed il 1908-1909, attraverso il conto corrente intestato all’ufficio di amministrazione dei personali militari vari, sul quale si ritornerà. Si veda anche M. Meriggi, Amministrazione civile e comando militare, cit., pp. 1384-1385.
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masse proprietà dei corpi permetteva di eludere il controllo parlamentare e degli organi “consultivi e sindacatori dello Stato”50; e) se formalmente la responsabilità per la gestione degli stanziamenti era dei consigli di amministrazione dei corpi, questi disponevano di un potere decisionale assai ridotto, sia perché ciascun membro aveva nel comandante del corpo il proprio superiore gerarchico, sia perché il ministero avocava a sé la maggior parte delle decisioni. Inoltre l’assorbimento del comandante nell’attività amministrativa limitava il tempo disponibile per quella strettamente militare. Figura chiave nel funzionamento dei corpi diveniva quindi spesso il direttore dei conti, sebbene, secondo le norme, la responsabilità spettasse al consiglio di amministrazione nel suo complesso51. Questa organizzazione, formalmente basata sull’“accentramento nel ministero di ogni indirizzo amministrativo e dei servizi di carattere generale e di sindacato” e sull’“autonomia dei Corpi nella gestione della propria azienda, costituita come un ente giuridico particolare mediante l’istituto delle masse”, “dovrebbe far presumere una maggiore semplicità ed un minor costo in confronto agli ordinamenti degli altri eserciti”52. Al contrario impediva il raggiungimento dello scopo soprattutto l’eccessivo accentramento del potere decisionale. Infatti l’autorità centrale interveniva nelle più diverse materie di carattere strettamente militare e amministrativo (comprese le forniture), favorendo la deresponsabilizzazione e la man
canza di iniziativa dei comandi territoriali. Inoltre, disponendo di limitate informazioni, l’amministrazione centrale rendeva il controllo meno incisivo e il processo decisionale più lento e meno adeguato alle differenti necessità53. Un decentramento delle scelte avrebbe consentito di ridurre la spesa per il personale e di sottoscrivere contratti per forniture sfruttando al meglio le possibilità offerte dai diversi mercati.
Si deve a questo punto delineare il ruolo dell’ufficio di amministrazione dei personali militari vari, “strumento potente ed accen- tratore” che “rende[va] possibile al Ministero della guerra, d’infrangere anche le autorizzazioni limitative della legge del bilancio, menomando i diritti del Parlamento”54. Sorto con il compito limitato di amministrare le “unità militari divise e sparpagliate in tutto il territorio del regno, che per la loro piccolezza non potevano essere costituite in enti speciali con proprii consigli amministrativi”55, l’ufficio mutò funzioni da quando, nel 1875, potè disporre di un conto corrente con la tesoreria centrale dal quale attingere fondi. Il ministero trasferì all’ufficio la competenza relativa a varie somme spettanti ai corpi, per poterne quindi disporre per scopi non previsti dal bilancio. Inoltre l’ufficio creò un fondo gestito autonomamente sulla base, oltre che delle masse, dei contratti stipulati dall’amministrazione56. Regolamenti approvati tramite decreto reale stabilivano infatti che i lavori eseguiti a economia fossero gravati a questo scopo da un aumento del
50 Cfr. anche Commissione per l'esercito, cit., vol. IV, pp. 155 sgg.51 Cfr. Commissione d ’inchiesta per l'esercito, cit., vol. IV, pp. 157 ss. e Enrico Bertini, L ’ordinamento ammìni- strativo-contabile militare. Critiche e proposte, Parma, 1919, pp. 12 ss., secondo' il quale “i Corpi dell’esercito, cioè le amministrazioni dipendenti [...] sembra abbiano ricevuto forma e regime tali che siano foggiate ed abbiano vita solo nel modo più conveniente all’amministrazione centrale” (pp. 12-13).52 Commissione d ’inchiesta per l ’esercito, cit., vol. IV, p. 142.53 Sulle caratteristiche che una efficace riforma avrebbe dovuto avere, cfr. Commissione d ’inchiesta per l ’esercito, cit., vol. IV, pp. 149 ss.54 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 621.55 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 590.56 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, pp. 602 sgg.
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tre per cento, con il duplice effetto di alterare il costo reale dei materiali e dei lavori forniti all’autorità militare e di spingere l’ammini- strazione a preferire questa forma contrattuale a quella, normalmente più vantaggiosa, che prevedeva il ricorso ad aste pubbliche. Crescita dei fondi gestiti discrezionalmente e aumento delle spese procedevano così parallelamente57. Con il conto corrente, gestito in “stato quasi permanente di illegalità” con l’approvazione dell’esecutivo e, in particolare, del ministro del Tesoro, il ministero poteva superare i limiti stabiliti dal bilancio per effettuare spese non previste e far fronte all’aumento del prezzo dei beni acquistati58. All’inizio del secolo l’ufficio di amministrazione dei personali militari vari era divenuto “il massimo fattore d’illegalità amministrative e contabili di ogni specie”59, un potente strumento dell’autorità ministeriale per aggirare le direttive parlamentari ovvero “uno dei massimi organi dell’amministrazione centrale, ed anzi lo strumento trasformatore della gestione sindacabile del bilancio per il servizio dei corpi dell’esercito, in gestione interna insindacabile”60.
Il quadro generale che si è cercato di delineare viene confermato dall’esame della ge
stione delle forniture dei generi destinati alle truppe e ai quadrupedi. Al servizio viveri non era riservato un capitolo di bilancio, poiché le somme corrispondenti rappresentavano una quota del capitolo degli assegni per le truppe. Così l’amministrazione non era soggetta ad alcun controllo, mentre i contratti potevano essere stipulati indipendentemente dalle norme di contabilità generale61. Su un totale di 8.807 e 8.921 contratti esaminati dalla Corte dei conti, relativi rispettivamente agli esercizi finanziari 1901-1902 e 1902-1903, soltanto 1.691 e 1.707 erano stati preceduti da “pubblici incanti”, mentre i restanti erano stati aggiudicati tramite licitazione o trattativa privata. In un numero ancora più ridotto di casi (rispettivamente1.618 e 1.677), infine, era stato “preventivamente inteso” il Consiglio di Stato62, così come la legge richiedeva: “nello sconfinato campo della materia contrattuale” l’amministrazione poteva disporre di un ampio potere discrezionale, riducendo, in particolare, il ricorso alle aste pubbliche63. Più in generale, procedure in contrasto con norme di legge e iniziative scarsamente pianificate e collegate tra loro denunciavano la difficoltà per l’amministrazione nel trattare con i fornitori64.
57 “Questa tendenza a procurarsi un artificiale e non legittimo incremento dei fondi di masse per poterne disporre senza controllo alcuno, è costante e continua per parte dell’amministrazione militare” (ivi, pp. 602-603). Erano assegnate alle masse le multe e le trattenute sul salario degli operai degli stabilimenti militari, i salari degli operai avventizi relativi ai periodi in cui essi non prestavano lavoro, ecc. La Farmacia centrale militare, oltre a non giustificare una parte delle spese, sulla base del regolamento interno del 10 giugno 1898 accresceva la propria massa interna, peraltro non costituita per i bisogni delle truppe, con il ricavato dalla vendita dei medicinali (cfr. p. 604). Sulle masse e l’ufficio dei personali militari vari, cfr. anche Commissione d ’inchiesta per l ’esercito, cit., vol. IV, p. 150 sgg.58 Relazione, cit., Parte terza. li bilancio passivo, p. 592.59 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 591.60 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 560.61 Cfr. Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, pp. 506-607.62 Cfr. Relazione, cit., Parte sesta. Il controllo della Corte dei conti, pp. 117 ss., anche per la richiesta di maggiori informazioni sui contratti. Per elementi di valutazione degli interessi agrari legati alle forniture, cfr. Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 626-639. Per i fornitori i problemi erano soprattutto correlati alle clausole contrattuali ed ai criteri seguiti nei collaudi; in diverse occasioni i tribunali civili avevano condannato il ministero per le procedure adottate (ivi, p. 612-613).63 Cfr. Relazione, cit., Parte sesta. Il controllo della Corte dei conti, pp. 117 ss., anche per le generiche informazioni fornite al parlamento.64 Cfr. anche l’intervento di Marazzi in Apcd, Discussioni, L. XXIII, l a Sessione, 26 giugno 1910.
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Per le commesse alle industrie si ricorreva spesso alla trattativa privata con le singole imprese65; anche la Commissione parlamentare di inchiesta sull’esercito rilevò irregolarità nella stipulazione ed esecuzione dei contratti e, più in generale, le difficoltà dello Stato di fronte alle pressioni esercitate dai fornitori. Le ricerche svolte evidenziarono casi di esecuzione anticipata di contratti — riconoscendone tuttavia la necessità in relazione a “esigenze straordinarie” , in special modo per le commesse di artiglieria —, ritardi nelle consegne degli ordini di lavoro ai produttori, irregolare condono di multe, insufficiente celerità e severità nei collaudi. Altre osservazioni critiche riguardavano poi il fallimento di imprese, la variazione dei compensi mentre i contratti erano in corso, la distruzione di documenti concernenti le forniture66 nonché clausole di capitolati e schemi di contratto.
Per la stipulazione dei contratti, la legge stabiliva che oltre determinati importi (40.000 lire se conclusi dopo pubbliche gare, 8.000 se a partiti privati e 4.000 se a economia) l’amministrazione dovesse sentire il parere del Consiglio di Stato, in modo da “assicurare non solo la legalità, ma anche la convenienza e l’utilità delle clausole contrattuali, e [da] impedire quelle postume controversie [tra lo Stato ed i suoi fornitori] che riescono tante volte dannose”67. Pur non essendo l’amministrazione obbligata a seguire i pareri di questo organismo, essa tentava in diversi modi di sottrarre i propri atti al suo esame, per esempio frazionando un unico acquisto in più contratti, ciascuno
dei quali fosse al di sotto dei limiti stabiliti dalla legge. L’autonomia nei confronti di organi esterni va sottolineata poiché essa consentì una più efficace azione degli interessi privati, per i quali divenne un prezioso elemento il “tradizionale” sottrarsi delle amministrazioni militari alle istanze di pubblicità e controllo.
Se il quadro delineato si riferisce in particolare ai primi anni del secolo, non si deve pensare che il “nuovo corso” giolittiano, in particolare con la crescita delle spese militari dalla metà del primo decennio del Novecento, abbia comportato l’adozione di criteri diversi68. Per quanto riguarda il personale, nell’amministrazione centrale, per esempio, il bilancio di previsione per il 1909-1910 affiancava ai 496 impiegati di ruolo, civili e militari, ben 336 comandati69 e particolare importanza aveva la progressiva occupazione delle cariche superiori da parte di militari a scapito di civili.
Un momento centrale della riorganizzazione delle amministrazioni militari può essere individuato nel disegno di legge presentato alla Camera alla fine di aprile del 1910 e riguardante l’“amministrazione e contabilità dei corpi, istituti e stabilimenti militari” . Il provvedimento avrebbe modificato in più punti la legge di contabilità dello Stato e, benché discusso soprattutto in relazione all’esercito, interessava anche altre amministrazioni e, in particolare, la Marina. Il provvedimento venne presentato dalla Giunta generale del bilancio come una concessione nei confronti delle richieste della Camera, ribadite dalla Commissione di inchiesta, relativa-
65 Ad esempio la fornitura di proiettili per il rinnovamento dell’artiglieria da campagna venne suddivisa tra la Metallurgica Tempini e la Metallurgica Glisenti, destinatarie, rispettivamente, di 1,8 e 2,4 milioni fino all’esercizio 1902-1903.66 Commissione d ’inchiesta per l'esercito, cit., vol. V ili, pp. 129 sgg.67 Commissione d ’inchiesta per l ’esercito, cit., vol. V ili, p. 110.68 Relazione per l ’esercizio finanziario 1906-1907, cit., p. 653, a proposito della mancanza di controlli sulle spese straordinarie. Sul perdurare delle difficoltà dei controlli sull’amministrazione, si vedano in particolare le conclusioni.69 Relazione per l ’esercizio finanziario 1906-1907, cit., pp. 653 sgg.
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mente al controllo delle spese militari70. Il regolamento di amministrazione, in vigore dal 1898, non era in linea con la legge di contabilità generale né era stato approvato nelle forme dovute71 e la nuova legge doveva costituire anche la base legale di un nuovo regolamento e, “con una serie di deroghe alle tassative disposizioni contenute nella contabilità di Stato, permette[re] quella libertà d’azione necessaria all’amministrazione militare”72.
Le disposizioni principali riguardavano l’eliminazione dell’istituto delle masse e del conto corrente con il Tesoro; stanziamenti più adeguati ai bisogni dei corpi (ovvero maggiori) e assegnati dalle direzioni di commissariato, alle quali era trasferito il servizio di cassa; la costituzione in bilancio di un fondo di riserva destinato ai corpi, al quale ricorrere attraverso anticipazioni del ministero del Tesoro, per eventuali deficienze di cassa — e ciò significava “che il conto corrente col Tesoro, più che soppresso, v[eniva] trasformato con maggiori garanzie e disciplina nel suo funzionamento e nel suo scopo”73. Inoltre, al Consiglio dei ministri era conferita la facoltà di aprire un credito presso la Tesoreria centrale, utilizzabile per bisogni straordinari, mentre erano previsti lo snellimento delle procedure e le modifiche
alle disposizioni sulle ispezioni e sui controlli. Il relatore parlamentare, Pais-Serra, sostenne che la proposta, oltre a semplificare notevolmente i servizi e consentire l’attuazione di economie e il controllo della Corte dei conti, comportava un decentramento amministrativo nella direzione più volte richiesta dalla Camera. È tuttavia possibile un’interpretazione diversa del provvedimento legislativo. Come si è visto, le masse rappresentavano ormai un istituto completamente trasformato rispetto ai tempi della loro costituzione e svuotato di gran parte delle funzioni da parte dell’autorità ministeriale. Come osservò Marazzi, un deputato proveniente dal corpo ufficiali e più volte relatore sulle questioni militari, la legge non soddisfaceva chi propugnava nell’esercito il decentramento, inteso come trasferimento alle autorità periferiche di poteri e responsabilità effettive74. Rendeva al contrario l’amministrazione ancora più accentrata, rafforzando la tendenza che aveva portato a sottrarre ai corpi la possibilità di utilizzare gli eventuali attivi della gestione delle masse. Scompariva così l’interesse diretto delle unità amministrative periferiche a una oculata gestione in quanto le economie potevano essere trasferite ad altri corpi.
70 Relazione della Giunta generale del bilancio sul disegno di legge presentato dal Ministro della guerra (Spingardi) di concerto col Ministro della Marina (Leonardi-Cattolica) e col Ministro del Tesoro (Tedesco) nella seduta del 28 aprile 1910: Amministrazione e contabilità dei corpi, istituti e stabilimenti militari, in Apcd, Documenti, L. XXIII, Sessione 1909-1910, n. 464-A, nonché l’intervento in aula del relatore Pais-Serra (Apcd, Discussioni, L. XXIII, 26 giugno 1910. Sulle critiche della Commissione d’inchiesta sulla struttura del bilancio e sul conto corrente col Tesoro, cfr. Commissione d ’inchiesta per l’esercito, cit., vol. IV, pp. 160-167; sulla necessità di semplificare il funzionamento dei servizi amministrativi e contabili si vedano le “Conclusioni finali” (vol. V ili, pp. 333-334).71 Cfr. Orazio Monaco, L ’amministrazione nell’esercito. II. Cenni retrospettivi, “Esercito e nazione”, 1928, p. 380.72 O. Monaco, L ’amministrazione nell’esercito. II, cit., p. 381.73 Relazione della Giunta generale del bilancio sul disegno di legge presentato dal Ministro della guerra, cit., p. 2 e M. Meriggi, Amministrazione militare e comando civile, cit., pp. 1415-1417.74 Egli sostenne che “le disposizioni proposte rispondono forse ad un concetto di accentramento e tendono forse a far sì che gli enti locali non abbiano quell’interesse che viene dall’amor proprio diretto ad occuparsi della Amministrazione”. Prendendo però atto della trasformazione in corso, annunciava comunque il proprio voto favorevole, in attesa di future iniziative nel senso del decentramento (Apcd, Discussioni, L. XXIII, l a Sessione, 26 giugno 1910.
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La Giunta generale del bilancio, sostenendo che l’amminsitrazione militare rientrava “nella legge comune per quanto ha rapporto ai controlli costituzionali”, ne evidenziava i “bisogni” e la “fisionomia” singolari rispetto agli altri ministeri, per giustificare la presenza, nella proposta, di “deroghe alla legge di contabilità dello Stato”75. Il disegno di legge semplificava le procedure necessarie allo svolgimento dei “fatti amministrativi maggiori, quali sono la amministrazione dei fondi e la esecuzione e la stipulazione dei contratti”76: questo, secondo lo stesso ministro, significava “affievolire o [...] togliere, talora, del tutto molti di quei freni che il prudente criterio del legislatore volle porre a garanzia della retta gestione del pubblico denaro”, senza che questa maggiore “libertà” fosse bilanciata da un intensificarsi dei controlli. Mentre, infatti, la Commissione d’inchiesta sull’esercito aveva sostenuto la necessità di affidare tutte le ispezioni a funzionari civili, il ministero aveva preferito proporre l’esclusiva competenza di “autorità militari di grado elevato” per le ispezioni normali dei corpi di truppa (“senza escludere però per le ispezioni straordinarie il personale civile”). Per gli altri scopi si stabilì una distinzione tra il controllo sulla parte tecnica, affidata al personale militare, e quello sulla parte amministrativa, affidato a funzionari civili. Infine si attribuì al ministero del Tesoro il potere di svolgere ispezioni sulle direzioni di commissariato e sugli stabilimenti dipendenti. Se si è già accennato allo scarso significato dei controlli interni al ministero o effettuati dal Tesoro, va rilevato che, affidando le ispezioni ad autorità mili
tari, si limitava la possibilità di sanzionare gli atti compiuti in violazioni a leggi o a regolamenti, ma con il consenso dei superiori gerarchici. Contemporaneamente, come denunciava il deputato repubblicano Mazza, altre disposizioni portavano alla restrizione dei controlli della Corte dei conti, alla trasformazione del bilancio di competenza in bilancio di cassa (con la possibilità di creare debiti sui successivi esercizi) e attribuivano alle autorità periferiche maggiori poteri in materia contrattuale. Come si è detto, venne creato un conto corrente, la cui disponibilità massima doveva essere votata dal parlamento con lo stato di previsione della spesa77 e l’articolo 16 della legge conferì al Consiglio dei ministri il potere di ottenere crediti illimitati in condizioni particolari, definite in modo suscettibile di ampie interpretazioni. Con la legge del 1910, non soltanto i controlli divennero meno efficaci, ma si pensò che le semplificazioni introdotte giustificassero lo “sfascio” del corpo contabile, il cui organico venne immediatamente ridotto da 1.165 a 356 ufficiali. Di conseguenza le funzioni del direttore dei conti, figura centrale nell’amministrazione dei corpi, “furono spesso affidate ad ufficiali inesperti proprio nel momento in cui si sentiva maggiore il bisogno del tecnicismo per liquidare il passato ed iniziare il nuovo sistema”78.
I successivi eventi bellici accentuarono la crisi del sistema contabile-amministrativo, mentre non si realizzarono né una maggiore subordinazione dell’amministrazione al legislativo (prospettata dal governo e dal relatore parlamentare) né il contenimento delle spese:
75 Relazione della Giunta generale del bilancio sul disegno di legge presentato dal Ministro della guerra, cit., p. 1.76 Relazione della Giunta generale sul disegno di legge presentato dal Ministro della guerra, cit., p. 3.77 Analogamente era stato aperto in precedenza un conto corrente tra il ministero del Tesoro e quella della Marina “per il servizio di cassa delle RR. navi che non si trovano nella posizione amministrativa di disarmo” (legge 20 giugno 1909, n. 366)78 O. Monaco, L'amministrazione nell’esercito. Dal sistema delle “masse” al decentramento, cit., p. 64. Diversa- mente la Commissione d’inchiesta aveva sostenuto la necessità di un’intensificazione dei controlli parallelamente al decentramento ed alla soppressione delle masse (Commissione d ’inchiesta per l ’esercito, cit., vol. V, pp. 18 sgg.).
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i Corpi infrenati sino allora dalla minuziosa rigidità delle masse furono naturalmente inclini a spendere, senza eccessiva ponderazione, e la compilazione dei rendiconti si arrestò, sia per deficienza di personale idoneo e sia per le due cause eccezionali gravissime quali la guerra di Libia prima e la grande guerra poi79.
D’altra parte, la struttura amministrativa centrale restava rigidamente accentrata, mentre il decentramento veniva attuato all’esterno di essa, dal momento che ciascuna divisione poteva agire autonomamente80. In questo senso la trasformazione è, quindi, parallela al coevo aumento delle attribuzioni dei capi di stato maggiore della Guerra e della Marina81, che poterono così disporre di strutture più autonome nei confronti di organi costituzionali esterni e dello stesso potere espresso dal ministro.
Il ministero della Marina
Il bilancio della Marina presenta numerose affinità con quello della Guerra, dalla struttura criptica alla ripartizione in capitoli con denominazione generica e troppo ampia, alla suddivisione della stessa materia in diversi capitoli. Tra le ragioni di questo assetto vi era la volontà di poter spostare il personale da un ufficio all’altro e accrescere le retribuzioni, specie degli alti gradi, nascondendo il costo di alcuni settori deH’ammimstrazione senza rispettare le disposizioni sugli stipendi. Anche il ricorso a comandati servita a occultare parte delle spese connesse al funzionamento dell’apparato centrale. La continua crescita del numero degli impiegati e del loro potere derivava anche dall’accentra
mento delle decisioni, che accresceva il potere dei ministri82. La stessa costituzione organica degli uffici si sottraeva alle disposizioni di legge, mentre venivano creati incarichi speciali e cariche a beneficio di singoli. Gli impiegati del ministero potevano inoltre attingere da diversi capitoli per accrescere le proprie retribuzioni; soprassaldi e gratificazioni erano infatti ottenuti dalle spese casuali e destinate alla marina mercantile, ma soprattutto dal fondo per il pagamento degli operai degli arsenali. Per gli impiegati collocati ai livelli più bassi, inoltre, i “soprassoldi” venivano assegnati regolarmente, costituendo, quindi, l’equivalente di un aumento di stipendio deciso dall’amministrazione. Più in generale, alcune caratteristiche della struttura del bilancio accentuavano il potere discrezionale dell’amministrazione in rapporto alle spese per il personale.
Speciale rilevanza assumeva, all’inizio del secolo, la gestione del debito vitalizio, banco di prova della capacità del ministero di applicare le leggi in maniera conforme alla volontà del parlamento. La legge del 13 giugno 1901, n. 258, relativa agli operai degli arsenali militari, stabiliva la riduzione del personale mediante il blocco delle assunzioni, senza indicare un limite di tempo per arrivare a un totale di 12.000 lavoratori in tutto il regno e permettendo inoltre assunzioni nei gradi più bassi della gerarchia, in rapporto alle esigenze del processo produttivo. Nel complesso, si sarebbe dovuta ottenere una riduzione della spesa per i salari, ma non, necessariamente, del debito vitalizio, dal momento che il pensionamento doveva costituire uno dei principali canali di uscita dal servizio del personale. Oltre a rendere im-
79 O. Monaco, L ’amministrazione nell’esercito. Dal sistema delle “masse” al decentramento, cit., p. 64.80 E. Bertini, L ’ordinamento amministrativo-contabile militare, cit., p. 7.81 Cfr. G. Rochat, L ’esercito italiano nell’estate 1914, cit., pp. 321-323; Giorgio Rochat-Giulio Massobrio, Breve storia dell’esercito italiano dal 1861 al 1943, Torino, Einaudi, 1978, p. 155; M. Meriggi, Militari e istituzioni politiche, cit.; Id., Amministrazione civile e comando militare, cit., pp. 1412 ss.82 Cfr. Apcd, Discussioni, L. XXII, 7 maggio 1901, intervento di Magnaghi e replica del ministro Morin.
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possibile il controllo del parlamento sull’esecuzione della legge, non essendo disponibili separatamente i dati relativi alla spesa per le pensioni e quelli sulle retribuzioni degli operai (la cui differenza avrebbe rappresentato il vantaggio ottenuto dall’erario in conseguenza della legge del 1901), l’amministrazione adottò il provvedimento, contrario allo spirito della legge, consistente nell’asse- gnare premi ai lavoratori che, presentando domanda di riposo, avrebbero evitato che la spesa per la loro pensione rientrasse in quelle assegnate d’autorità.
Tralasciando in questa sede il problema degli stanziamenti destinati alla marina mercantile, si devono proporre alcune considerazioni sui rapporti che le somme per compensi di costruzione e premi di navigazione avevano con il resto del bilancio. Anche in questo caso, la capacità del parlamento di usare i fondi per potenziare determinati settori produttivi risultava limitata dalla carenza di informazioni: l’insufficiente specializ
zazione del bilancio, infatti, non consentiva di conoscere la portata finanziaria delle diverse forme di promozione della marina mercantile (premi di costruzione, premi di viaggio per piroscafi e velieri e, infine, compensi per riparazioni), elemento necessario per valutarne i benefici. A proposito di questo capitolo, la legge del 16 maggio 1901, n. 176, stabiliva uno stanziamento di 40 milioni in cinque anni, al termine dei quali si sarebbero versate le eventuali economie alberano o provveduto ai maggiori impegni con nuovi finanziamenti. Il ministero interpretò in maniera estensiva la legge sul consolidamento del bilancio, di poco posteriore a quella sulla marina mercantile e non concepita in modo da riformarne uno degli aspetti principali, e quando, alla fine dell’esercizio 1903-1904, una forte somma risultò non utilizzata, la trasferì al fondo per la riproduzione del naviglio da guerra. Il capitolo venne quindi accresciuto, come nel caso della spedizione in Cina83, da somme destinate dal
83 Le cifre indicate a questo proposito dalla Ragioneria generale delio Stato (Il bilancio del regno d ’Italia negli esercizi finanziari dal 1862 al 1912-1913, Roma, 1914) differiscono lievemente da quelle fornite da Mario De Ver- gottini (Le statistiche finanziarie, cit.). In ogni caso occorre considerare che tra il 1902-1903 ed il 1912-1913 in seguito al trattato di Pechino l’Italia ricevette 40,35 milioni di lire (ivi, p. 564). Tuttavia nemmeno le somme residue (14-16 milioni) rappresentano il costo reale dell’operazione, poiché le amministrazioni gonfiarono le spese con somme destinate al “normale” funzionamento delle forze armate. La sotto-commissione per i rendiconti consuntivi rilevò anzitutto l’estremo disordine amministrativo delle contabilità per gli esercizi 1901-1902 e 1902-1903. Non si era ricorso a normali anticipazioni di bilancio, mentre le autorità militari in Cina adottarono erronei provvedimenti amministrativi. Ne derivò “lo sconcio amministrativo di non trovare ancora [alla metà del 1905] sistemate le contabilità riferentisi all’esercizio 1900-1901”. Due irregolarità illustrano il carattere della gestione e le sue finalità. La conseguenza dell’esistenza del conto corrente dell’ufficio dei personali militari vari era che “nel caso presente noi abbiamo in complesso la grossa somma di lire 4,024,827.77 [...] la quale non è neppure in piccola parte coperta da anticipazioni; il che vuol dire che fino a quando non ne sia avvenuta la regolazione completa, cioè fino al saldo del conto mediante mandati di rimborso a carico del bilancio passivo, tutta quella spesa si può considerare fatta ed anzi lo è effettivamente, fuori bilancio [...] Altra cosa degna di essere segnalata è la impossibilità in cui si sono trovati la Corte dei conti prima, e di conseguenza il Parlamento, di controllare le ingenti spese attribuite alle masse, le quali soltanto nella contabilità allegata al primo dei decreti citati [il d.m. n. 4 del 9 giugno 1904], figurerebbe nella cospicua somma di lire 560 mila [...] questi due gravi appunti di massima [...] di per se stessi conferiscono un carattere di irregolarità costituzionale a tutta la gestione relativa alle truppe italiane all’estremo oriente”. Analogamente per la Marina: mentre “tutte le spese le quali si sarebbero ugualmente eseguite [...] avrebbero dovuto imputarsi ai capitoli ordinari del bilancio”, lo stanziamento per l’impresa finì per comprendere “tutte le spese relative alle navi ed agli equipaggi, meno gli stipendi dovuti agli ufficiali addetti al corpo di spedizione”: “si sono caricate sul capitolo della Cina tutte quelle spese riferentesi a navi che stavano nei nostri porti o cantieri, sol perché esse avevano ricevuto l’ordine di raggiuntere quanto prima quella squadra” (Cfr. Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 617 e p. 733). Veniva così falsato il rendiconto consuntivo e soprattutto venivano accresciuti i crediti totali. Infatti nella legge 13 giugno 1901, n. 217, sul consolidamento del bilancio della Marina, non erano comprese le spese per
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parlamento ad altri scopi. Nel caso della legge sull’incoraggiamento della marina mercantile, la manovra del ministero si risolse in un aumento dei sussidi e dei premi totali e non in un trasferimento di somme da un capitolo all’altro, dal momento che l’impostazione di nuove unità nei cantieri privati — allo scopo di usufruire dei vantaggi previsti dalla legge — rese in seguito necessari nuovi stanziamenti.
A proposito della parte principale, in termini quantitativi, del bilancio — la spesa per la marina militare — si può anzitutto notare che la definizione della “posizione” delle navi, ovvero il loro concreto utilizzo, era materia di esclusiva competenza dell’esecutivo84, che poteva sfruttare anche questi capitoli per “correggere” le retribuzioni, specialmente delle alte gerarchie, nonostante le direttive parlamentari, creando palesi differenze di trattamento non evidenziate in bilancio. Più in generale, capitoli dal contenuto eterogeneo consentivano di alterare la destinazione di somme che avrebbero dovuto servire unicamente al servizio delle navi.
La gestione dei quattro principali corpi della marina (Stato Maggiore, Genio, Commissariato e Sanitario) si caratterizzava analogamente per la mancata distinzione tra spese fisse e variabili e per l’ampia discrezionalità dell’amministrazione nella determinazione delle indennità speciali. Entrambi i fenomeni contribuivano ad accrescere notevolmente le spese85; inoltre più volte il ministero aveva aumentato irregolarmente il numero dei posti ai livelli più alti della gerarchia. Particolare era l’organizzazione del
corpo di Commissariato, non soltanto perché esso riuniva funzioni incompatibili secondo la legge di contabilità generale dello Stato, quali quelle ordinative della spesa e di riscontro contabile, ma perché in realtà si trattava di un ente che amministrava soltanto “sulla carta” , dal momento che ogni unità aziendale della marina poteva decidere sulle spese in maniera autonoma. Sulle navi, infine, si ripeteva la mancata distinzione tra la gestione di cassa e l’aggiornamento delle scritture86. La complicazione dei meccanismi burocratici era dovuta sia all’ampliarsi delle funzioni amministrative, sia alla difesa nei confronti di interventi e controlli esterni. In realtà i veri amministratori erano coloro che si trovavano al vertice delle singole unità aziendali; nel 1904, con l’intento di modificare una situazione del tutto irregolare, vennero attribuite nuove funzioni amministrative alle direzioni di commissariato esistenti a Taranto e presso i tre dipartimenti marittimi nei quali era suddiviso il territorio nazionale. Così gli stanziamenti destinati agli arsenali, alle navi e alle altre unità erano intestati a tali direzioni e inoltre a ciascuno di tali “enti amministrativi fittizi” era attribuita una competenza per materia e non territoriale, fonte di notevoli complicazioni e spese87.
Le successive trasformazioni resero ancora più complicato il funzionamento del ministero, tanto che, secondo la Giunta generale del bilancio, soltanto una radicale riforma avrebbe potuto stabilire chiaramente le attribuzioni e responsabilità di ciascun ente, così come le modalità e i soggetti istituziona-
guerre o spedizioni militari. Attribuendo quindi alle spese per la Cina somme appartenenti a quello che potremmo chiamare il bilancio normale, si otteneva la riduzione di diversi capitoli che andava, data l’invariabilità verso il basso dei crediti militari complessivi, ad accrescere di una somma equivalente il capitolo sulla riproduzione del naviglio.84 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 669.85 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, pp. 680-681.86 “La distinzione [...] delle funzioni amministrative in applicazione alla quale si sono in tutte le aziende ben ordinate assegnati ad ognuna di esse organi separati [...] non è stata introdotta negli ordinamenti amministrativi-conta- bili della regia marina” (Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, pp. 682-683).87 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 683.
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li incaricati di controllarne l’operato. Né la Corte dei conti né la ragioneria del ministero, infatti, disponevano degli strumenti idonei al controllo della contabilità, dovendosi quindi basare sul lavoro svolto dall’ufficio di revisione del commissariato militare, che, proprio per la dipendenza diretta nei confronti dell’amministrazione, funzionava in pratica sulla base delle indicazioni ministeriali e non poteva quindi svolgere un controllo autonomo sulle spese. Ne derivava che la contabilità prodotta dall’amministrazione non poteva essere utilizzata per un controllo dei suoi atti88. Queste osservazioni risultano confermate anche dall’analisi di singoli enti. I capitoli relativi al corpo reali equipaggi non soltanto riunivano spese di diverso genere, ma comprendevano fondi gestiti irregolarmente. Sulla composizione delle somme stanziate per il vestiario né la Corte dei conti, né la Giunta generale del bilancio disponevano di alcun elemento conoscitivo. Cosìmentre per tutti i servizi le minime spese sono sottoposte ad una quantità di cautele, da taluno ritenute eccessive, si [è] lasciata la mano libera al corpo reali equipaggi per una gestione così importante come quella del vestiario, giacché esso può fare i suoi contratti nei modi e nelle forme che meglio a lui piacciono senza essere sottoposto a nessuna autorità tutoria, giacché l’approvazione del ministero [...] non può rappresentare in alcun modo il riscontro costituzionale che deve essere fatto soltanto dalla Corte dei conti89.
Risultava inoltre il mancato rispetto della norma generale secondo la quale “tutti i contratti de[vono] essere approvati con decreto da registrarsi alla Corte dei conti” . Ne
conseguiva che non tutte le somme erano usate per il rinnovamento del vestiario e che le carenze, più volte denunciate, nei magazzini di mobilitazione erano anche dovute alla volontà dell’amministrazione di costituire un proprio patrimonio liquido, formalmente capitalizzato fino agli ultimi anni del secolo. Successivamente il fondo venne mantenuto e il parere contrario della Giunta generale del bilancio, nella presentazione dello stato di previsione della spesa per l’esercizio 1899- 1900, rimase senza esito pratico poiché il parlamento cessò di occuparsene.
Il mancato versamento al Tesoro delle somme non utilizzate per l’acquisto del vestiario portò dunque alla creazione di un fondo gestito senza alcun controllo che, prima del febbraio 1899, ammontava a 1.990.000 lire. Dal momento che la somma era depositata presso la Cassa depositi e prestiti, si verificava la situazione paradossale per cui un fondo pubblico costituito in violazione a leggi di spesa era fonte di utili a carico dell’erario stesso e a favore di una singola amministrazione. In seguito all’intervento della Giunta generale del bilancio, il deposito venne ritirato dalla Marina, per una destinazione che i parlamentari incaricati della relazione sul conto consuntivo non poterono appurare.
Analogamente, dal momento che la gestione delle masse risultava “cosa di ordine interno, non sottoposto ad altro riscontro che quello amministrativo esercitato dal Ministero, che spesso si vale della sua autorità per ordinare anche pagamenti non aventi nessun rapporto col servizio del corpo”90, l’amministrazione ricorreva “a tutti gli espe-
8 Tanto che “un’azienda la quale volesse nelle parvenze esteriori dimostrare di essere controllata all’eccesso, per avere nella sostanza la massima libertà di azione, non potrebbe escogitare espedienti migliori” (Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 686).89 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 688.90 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 692, ove si ricorda anche l’espediente, “sanzionato dal regolamento per i lavori del genio militare [...], in forza del quale tutti i lavori ed economia subiscono una umento del 3 per cento da andare a vantaggio delle masse”.
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dienti” per accrescerne i fondi. Più in generale, l’amministrazione tendeva a perpetuare le gestioni — dal servizio di sanità militare91, all’accademia, alla scuola macchinisti, al fondo di scorta per le navi — che si sottraevano alle disposizioni generali. Questa tendenza non costituiva una semplice sopravvivenza di strutture amministrative arcaiche, ma corrispondeva a una precisa politica nei confronti della temuta invadenza del parlamento nel “sottosistema economico militare”:Appena un dato servizio si presti, ecco che si dà ad esso una configurazione speciale in modo da permettere il costituirsi di un fondo da spendersi alPinfuori di ogni vigilanza, tanto perché l’amministrazione possa aumentare le somme da erogarsi senza la più piccola ingerenza di un potere ad essa estraneo92.
Dal momento che le eventuali economie potevano essere utilizzate discrezionalmente, al parlamento risultava anche preclusa la possibilità di stabilire la congruità degli stanziamenti rispetto alle varie funzioni delle forze armate.
Se si passa alla questione delle forniture e, in generale, alla organizzazione della produzione di armamenti, si comprende quale libertà d’azione rispetto ai committenti l’amministrazione mirasse a mantenere. È evidente che soltanto conoscendo i costi di ciascuna unità navale era possibile valutare l’efficienza degli arsenali della Marina. Diversi erano tuttavia gli ostacoli frapposti all’acquisizione dei dati necessari, anche per la mancanza di decise iniziative parlamentari
in proposito, nonostante le irregolarità riscontrate nella gestione. Tra gli impedimenti di natura tecnica vi era la difficoltà di separare nettamente i materiali destinati ai diversi usi (riparazioni, costruzioni di nuove unità, lavori negli arsenali, eccetera) e destinazioni (per 1’esistenza di due direzioni, di costruzioni e di artiglieria e armamenti). Anche il personale veniva impiegato in entrambe le direzioni a seconda delle necessità, sebbene il bilancio prevedesse distintamente i fondi relativi. Infine vi erano capitoli nei quali le spese per il personale erano confuse con quelle di altro genere. Gravi risultavano le conseguenze, dal momento cheil Ministero nell’esercitare il suo riscontro amministrativo sugli stabilimenti aventi carattere industriale, non si trova[va], rispetto alle direzioni dei lavori, in migliori condizioni di quelle nelle quali si trova[va] l’ufficio preposto al riscontro costituzionale nell’adempimento del proprio mandato, onde le direzioni suddette divengono delle vere amministratrici senza controllo93.
In definitiva tutti i materiali acquistati o prodotti negli arsenali venivano considerati come un blocco unico, del quale disporre indipendentemente dalle indicazioni parlamentari e dal controllo della Corte dei conti94.
Più in generale, si palesavano i limiti della struttura del bilancio dello Stato, dal momento che i cantieri militari erano imprese di tipo industriale, per le quali quindi erano importanti sia le variazioni patrimoniali sia il risultato economico della gestione. L’“a- nomalia amministrativo-contabile della
91 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 693. Il Procuratore generale della Corte dei conti parla, in un documento del 7 dicembre 1905, del “gran disordine che regnava presso l’ospedale della Maddalena”, della violazione delle norme generali di contabilità e delle Istruzioni sul servizio dei lavori e del materiale del genio (Archivio storico della Camera dei deputati, Inchiesta Marina militare, Contabilità. Documenti dal n. I al n. 188, vol. I, Corte dei conti. Procura generale. Affari trattati dal 1900 al 1905 in materia di responsabilità di funzionari dipendenti dal Ministero della Marina).92 Cfr., anche per altri particolari, Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 693.93 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 701.94 Cfr. Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 702.
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mancanza di corrispondenza fra l’ordinamento degli arsenali e la compilazione del bilancio” non venne neppure intaccata dalla legge sul consolidamento delle spese militari dell’inizio del secolo, che, anzi, complicò le cose dal punto di vista contabile95. È a questo punto opportuno aggiungere che, per entrambi i ministeri, soltanto un’analisi più ravvicinata delle singole spese potrebbe precisare in quali casi lo spostamento di fondi tra capitali diversi fosse motivato non dalla volontà di sottrarsi alle indicazioni del parlamento quanto dal fatto che le leggi imponevano criteri troppo rigidi rispetto alle mu- tevoli necessità del sistema militare. In definitiva, una volta che i materiali erano usciti dai magazzini, veniva a mancare qualsiasi vigilanza, proprio quando era più importante verificarne l’uso; tanto che, secondo la più volte citata relazione Saporito,neppure l’amministrazione colla scorta dei sindacati tecnici, eseguiti in base al regolamento nelle Direzioni dei lavori, potrebbe stabilire il rapporto fra i consumi da una parte ed i prodotti ricavati dall’altra. Quanto al controllo della Corte dei conti esiste a questo riguardo una lacuna immensa, ciò che rende inefficace ed inutile qualunque altro riscontro precedente e susseguente: un vero salto nel buio96.
Tralasciando una valutazione dell’efficienza degli arsenali, si può quindi sottolineare che il decentramento non comportava necessariamente economie di spesa.
Per quanto riguarda il tema, decisivo, della distribuzione delle commesse, occorre quindi valutare il grado di autonomia dell’amministrazione militare esaminando le procedure adottate in rapporto alle disposizioni vigenti. Un primo elemento significativo è la prevalenza delle “licitazioni e tratta
tive private”, previste dalla legge soltanto in casi particolari, rispetto al ricorso, che avrebbe dovuto costituire la regola, ai “pubblici incanti”, che temperavano il potere discrezionale dell’amministrazione. Su 789 contratti relativi all’esercizio 1901-1902, infatti, soltanto 113 (il 14 per cento circa) furono preceduti da pubbliche gare, mentre nel successivo esercizio lo furono 154 (il 18,5 per cento) su 834. Inoltre il ministero si riservava la possibilità di scegliere autonomamente, adottando nei concorsi un duplice parametro per l’acquisto dei materiali, sostituendo cioè alla sola considerazione di ordine finanziario, sulla base di un preciso capitolato tecnico, un giudizio di carattere sia finanziario che tecnico. Non è una differenza di poco conto, perché in questo modo si impediva alle commissioni dei concorsi di formulare una decisione, non essendo queste ultime competenti pèr una valutazione tecnica. Lo stesso motivo precludeva al Consiglio di stato e alla Corte dei conti (incaricati, rispettivamente, di “dar parere sulla convenienza amministrativa e sulle forme legali” e di registrare i decreti dopo averne constatata la regolarità) la possibilità di svolgere efficacemente il proprio mandato. Il ministero acquisiva così piena libertà di decisione, potendo “accettare patti economicamente meno convenienti per considerazioni d’indole sulla quale l’autorità tutoria non può poi pronunciarsi”97. Vi erano inoltre inadempienze rispetto alla legge di contabilità generale che risultavano utili ai fornitori, come le disposizioni sulla dispensa dall’obbligo di versare cauzione o sui termini per il pagamento del saldo delle forniture, indipendentemente dall’avvenuto collaudo. Questa clausola, in apparenza volta a tutelare il for
95 Sulle proposte di riforma, miranti a non lasciare “il Parlamento all’oscuro di tutto” cfr. Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, pp. 706 ss.; sull’attendibilità dei consuntivi si veda in particolare p. 708.96 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 711.9' Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 716.
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nitore, rivelava un funzionamento irregolare dell’amministrazione sotto il profilo legale, ma anche produttivo. Dal carente coordinamento delle lavorazioni conseguiva in questo caso un trattamento di favore per i fornitori, accentuato dalla scarsa severità e dalle insufficienti garanzie al momento dell’accettazione dei materiali prodotti dalle industrie private.
In materia contrattuale anche la Commissione d’inchiesta sulla marina riscontrò procedure irregolari, in particolare volte a eludere i controlli98. Risultavadominante nella gestione relativa alle forniture delle artiglierie, e non in quella sola, cotesta tendenza ad eliminare l’intervento dei corpi consultivi voluti dalla legge, a sottrarvisi in tutti i modi, sia eludendo la legge ed i regolamenti, sia violandoli addirittura, quasiché l’opposizione di interesse non fosse fra lo Stato ed i suoi fornitori, ma fra l’Amministrazione della marina e i corpi consultivi, anche quando questi sono nel suo seno99.
Per aggirare le disposizioni si ricorreva al frazionamento delle commesse in più contratti, ciascuno relativo a somme comprese nei limiti entro i quali non si doveva ricorrere al parere del Consiglio di stato. Spesso veniva adottato il tipo di contratto più semplice, a economia, caratterizzato dalla trattativa verbale e consentito per motivi urgenti e per somme non eccedenti le 4.000 lire. L’amministrazione, inoltre, assegnava a volte le forniture prima che i contratti fossero approvati e utilizzava la clausola detta del “quinto facoltativo” — che permetteva di acquistare un ulteriore 20 per cento dei ma
teriali previsti nei contratti — per ottenere invece generi diversi. Spesso erano adottate procedure semplificate sfruttando le deroghe previste per i casi di urgenza; si ricorreva in maniera eccessiva ai mandati di anticipazione; si condonavano le multe o addirittura non le si prevedevano al momento della stesura dei contratti100. Nell’eseguire i pagamenti, come si è detto, la regola generale di ricorrere ai mandati diretti veniva sovvertita sistematicamente con il ricorso, giustificato in un numero limitato di casi, alle anticipazioni, che raggiunsero i 57,6 milioni nell’esercizio 1901-1902 e i 58,2 in quello successivo: cifre non indifferenti, alle quali si devono aggiungere le altre su cui il controllo era susseguente. Inoltre esse erano utilizzate senza le garanzie previste: basti pensare che a metà del 1905 la Corte dei conti non aveva ancora ricevuto la documentazione sulle anticipazioni fatte nell’esercizio 1901-1902101. A queste irregolarità si aggiungeva la variazione dei contratti e dei relativi prezzi mentre ne era in corso l’esecuzione, anche se quest’ultimo procedimento poteva essere giustificato in presenza di clausole di revisione dei prezzi o di materiali bellici soggetti a rapida obsolescenza.
Anche nei rapporti con il personale, il ministero della Marina presentava diverse peculiarità. Anzitutto le contabilità indicavano le somme totali assegnate a ciascun corpo, ma non la destinazione reale dei fondi. Quelli destinati alle retribuzioni operaie erano suddivisi in quattro capitoli, due dei quali comprendevano però spese di altro ge-
98 A questo proposito si sottolineava “l’isolamento dal parlamento nel quale l’Amministrazione della marina si [era] costantemente mantenuta nel prendere le sue risoluzioni”. Sui collaudi cfr. Relazione, cit., Parte terza. II bilancio passivo, p. 718 ss.99 Commissione di inchiesta sulla R. Marina, Roma, BerteroeC., 1906, vol. I, p. 155.100 Le irregolarità indicate ed i metodi seguiti per eludere i controlli sono ampiamente documentati nei volumi della Commissione di inchiesta sulla R. Marina, cit.101 Cfr. Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, pp. 722 ss. Così il parlamento doveva esprimersi su rendiconti non completamente controllati, mentre le osservazioni della Corte risultavano prive di conseguenze dal momento che erano espresse molto tempo dopo la chiusura della contabilità alle quali si riferivano.
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nere. Di conseguenza non era possibile calcolare l’ammontare totale dei salari, uno degli elementi necessari per un giudizio sulla produttività e per valutare il raggiungimento dell’obiettivo (la riduzione della manodopera e quindi delle spese) indicato dalla legge del giugno 1901 sui cantieri navali militari. Non a caso la sottocommissione per il bilancio attribuiva il fallimento della legge102 all’errore compiuto dal legislatore affidandone l’applicazione all’amministrazione, senza uno stretto controllo della Corte dei conti, lasciando inoltre alla Marina, unica tra i ministeri, il potere di assumere illimitatamente personale straordinario. Negli anni successivi il funzionamento del dicastero non variò molto rispetto al modello delineato e permasero il peso sproporzionato delle spese generali e il ricorso sistematico ai mandati di anticipazione, anche se con alcune iniziative l’amministrazione sembrò accogliere le richieste della Giunta generale del bilancio. 11 personale dell’ammini- strazione centrale continuò a essere formato in maggioranza da militari: il fenomeno, pari- menti riscontrabile nel ministero della Guerra, determinava la sovrapposizione della struttura gerarchica militare a quella amministrativa e la possibilità della prima di condizionare il potere espresso dal ministro103.
Il bilancio fu inoltre reso ancora più criptico: dal 1905-1906 si riunirono in due capi
toli le spese (per manutenzione e manodopera) relative alla costruzione e alla riparazione delle navi, con il risultato di “legalizzare e rendere definitivo l’inconveniente gravissimo della confusione di ordine di lavori, i quali, nella contabilità interna del Ministero, come nel riscontro parlamentare, devono essere distinti”104. Dal 1909 venne adottata anche una deroga a quello che, secondo10 stesso ministro del Tesoro, rappresentava11 “principio fondamentale del bilancio italiano”, ovverossia il “principio della competenza degl’impegni”105. Si consentì infatti, per le spese straordinarie della Guerra e della Marina, che, nel corso di ciascun esercizio, si pagassero anche somme inserite in quello successivo. Né la gravità della scelta106 viene ridimensionata dai tentativi, l’anno seguente, di mitigarne gli effetti modificando il bilancio. Che il fatto non fosse isolato lo dimostrarono l’impresa libica — quando, per quanto concerne le forniture, le autorità militari mirarono ad ampliare le scorte e a sostituire i materiali prelevati dai magazzini militari con i migliori prodotti disponibili107 — e le successive trasformazioni nella struttura dei bilanci che, alla vigilia della prima guerra mondiale, divennero ancora più sintetici. Nello stato di previsione per l’esercizio 1914-1915 a un unico capitolo era destinata la somma di 90 milioni, con
102 Nel 1901-1902 vennero spesi 16,7 milioni per la manodopera e, nell’esercizio successivo, 0,36 milioni in più (Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, pp. 727-732).103 Relazione per l ’esercizio finanziario 1906-1907, cit.104 Commissione di inchiesta sulla R. Marina, cit., vol. I, p. 307.105 Cfr. Apcd, Discussioni, L. XXIII, l a Sessione, 28 dicembre 1912. Sulla questione della trasformazione del bilancio di competenza in bilancio di cassa, cfr. Relazione, cit., Parte settima. Sintesi, pp. 142-143. Le critiche volevano far sì che “il Parlamento ritorn[asse] al dignitoso suo ufficio, o meglio lo raggiungesse]: quello di approvare le spese prima che il potere esecutivo le abbia già fatte, divenendo questo con inversione di termini costituzionali, il padrone e l’arbitro” (p. 143).106 Si vedano inoltre le analoghe disposizioni della legge 17 luglio 1910, n. 511.107 Ciò valse non soltanto per i materiali soggetti ad una rapida obsolescenza, ma per tutte le dotazioni. Si sostennero quindi, con i fondi per la spedizione, spese rappresentanti incrementi del patrimonio dello Stato pari a 39,5 milioni per la Marina e 131 per la Guerra, il 14,8% delle spese totali (1.149,7 milioni), ovvero il 16% circa di quelle dei due ministeri. Considerando anche gli aumenti patrimoniali dovuti a spese non legate al conflitto, si può sostenere che quest’ultimo, in linea generale, non indebolì le forze armate alla vigilia della guerra mondiale (cfr. Apcd, Documenti, L. XXIV, Sessione 1913-1914, n. V ili, pp. 28 ss., 43 ss., 52 ss., 64 ss., Allegati 3, 17, 18).
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l’ampia e generica dizione “materiali per la costruzione di nuove navi e manutenzione delle navi esistenti, scafi, motori, armi a bordo ed a terra” . Era, secondo Giretti, “una caricatura ridicola del diritto parlamentare di controllo”108, nel momento in cui il ministero della Marina, oltre a chiedere l’approvazione di spese effettuate senza l’autorizzazione del legislativo, presentava un nuovo massiccio programma navale. Poco dopo l’inizio del conflitto mondiale, il ministero si trovava ad avere già iniziato le procedure per la costruzione della quarta dreadnought, oltre alle tre per le quali il bilancio per l’esercizio 1914-1915 aveva già previsto i relativi stanziamenti, sebbene il piano di costruzioni approvato dal parlamento avesse previsto le somme per la quarta nave da battaglia di prima classe soltanto nell’esercizio 1918-1919. Il ministro della Marina auspicava quindi che il Consiglio dei ministri ponesse il parlamento di fronte al fatto compiuto, decidendo1°) di addivenire alla stipulazione di contratto a trattativa privata con la Ditta Fratelli Orlando di Livorno per la costruzione dello scafo, dell’apparato motore e per l’allestimento della r. nave ‘F. Morosini’;
2°) di provvedere mediante gare o trattative private alla fornitura delle corazze, macchinari e parti di armamento.
In seguito a ciò sarà altresì indispensabile provvedere mediante un articolo aggiuntivo alla legge del bilancio 1914-1915 da presentarsi al Parlamento in occasione dell’approvazione definitiva del bilancio medesimo, portante l’aumento di 30 milioni di assegnazione al capitolo 129 dell’esercizio 1914-1915 e al corrispondente capitolo dei due esercizi susseguenti109.
Ancora una volta, aumento degli stanziamenti e accentuazione del carattere di istituzione “separata” rispetto al sistema parlamentare procedevano parallelamente.
Considerazioni conclusive
Un primo approccio al complicato funzionamento delle amministrazioni militari suggerisce il prevalere di una organizzazione farraginosa, incapace di seguire costante- mente procedure conformi alle leggi. In questo senso il fenomeno più eclatante può essere individuato nei vari uffici e cariche creati per soddisfare esigenze corporative110. Le esemplificazioni riportate vogliono appunto suggerire come le “irregolarità” non fossero isolate, ma che il funzionamento dei ministeri risultava irriducibile al quadro delineato dalle norme. Questo fatto era probabilmente accentuato dalla chiusura delle amministrazioni militari, mentre confusione e
108 Apcd, Discussioni, L. XXIV, 23 maggio 1914.109 Archivio centrale dello Stato, Presidenza del Consiglio dei ministri, 1914, f. 3 /3 , “Pro-memoria per S.E. il Presidente del Consiglio dei ministri” del ministro della Marina (Roma, 5 settembre 1914). La commessa alla Orlando rispondeva ad un criterio di ripartizione in base al quale la costruzione delle altre tre dreadnought era stata assegnata ad Odero, ad Ansaldo ed al R. Cantiere di Castellamare. Al documento indicato è allegato un “Pro-memoria. Sistemazione del piano finanziario relativo alle costruzioni navali”, che chiarisce come le spese straordinarie accordate per gli esercizi dal 1914-1915 al 1921-1922 “mediante facoltà date al Ministro del Tesoro in caso di maggiori maturazioni di pagamenti po[tessero] essere anticipate mediante operazioni di tesoreria e stanziate negli esercizi 1914- 1915, 1915-1916 e 1916-1917”. Il documento chiarisce che il ministero aveva di fatto già previsto tale manovra e propone misure finanziarie in grado di sopperire alla “mancanza di corrispondenza fra le scadenze dei pagamenti e gli stanziamenti di ogni singolo esercizio” e all’ “insufficienza di stanziamenti per quanto ha tratto alle costruzioni navali future”.110 La Giunta generale del bilancio parlava, a proposito degli arsenali, di “unità amministrative che sembrano più essere istituite per la necessità di collocare delle persone, che non per corrispondere a vere necessità di servizio” (Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 732). Analoghe le considerazioni in Commissione d ’inchiesta per l ’esercito, cit., vol. V, pp. 15 ss. e p. 25.
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inefficienza erano state aggravate per il sovrapporsi, in maniera disorganica, di leggi e di regolamenti111. Si tratta di elementi che rientrano in una più generale dinamica burocratica, la cui incidenza su ciascuna amministrazione resta tuttavia ancora da studiare in maniera analitica. Analogamente, i tentativi di sottrarsi alle norme generali sulla gestione dei fondi e la schematicità dei bilanci riguardavano anche altre amministrazioni dello Stato112. Tuttavia i fenomeni descritti assumono particolare consistenza nelle amministrazioni militari, dove risultano funzionali al raggiungimento di precisi obiettivi.
Le ricorrenti lamentele relative all’eccessivo formalismo e al conseguente carico di lavoro burocratico corrispondono d’altra parte a un problema reale, in quanto, oltre alla “doppia contabilità” descritta per i corpi dell’esercito, in generale tutti i fatti amministrativi venivano registrati analiticamente. Non si può invece accettare la tesi secondo la quale le accurate contabilità costituivano una garanzia del procedere dell’amministrazione in linea con le leggi e le direttive parlamentari. Infatti le informazioni sull’andamento dell’amministrazione disponibili a osservatori esterni erano molto ridotte113 e la stessa doppia contabilità svolgeva la funzione di trasmettere all’estemo atti giustificativi delle spese che non rispecchiavano il reale
andamento dei servizi e risultavano quindi inutili ai fini del controllo114. L’eccessivo formalismo non era in contraddizione, ma rendeva possibile una gestione tendenzialmente libera da controlli esterni. Inoltre, se spese di piccola entità comportavano un carico di lavoro burocratico spropositato, notevoli cifre davano luogo ad atti giustificativi molto sintetici o erano comunque gestite sulla base di una violazione — o quanto meno di una interpretazione “forzata” — delle leggi di spesa115.
Per evitare un giudizio generico si devono quindi individuare gli scopi ai quali la ricerca di autonomia era subordinata. Per molti studiosi e protagonisti di queste vicende la “specialità” delle amministrazioni militari era correlata a fattori “oggettivi” . Pais-Serra espresse una tesi diffusa, presentando proposte di deroga alla legge di contabilità nazionale per le amministrazioni militari:
non è chi non vegga che l’esercito per la sua natura, per gli uffici a cui attende, per le peculiari condizioni e circostanze attraverso le quali molto spesso deve svolgere la propria attività, ha bisogno di una certa libertà di movimenti non inceppati da vincoli formali116.
Il riferimento implicito è forse non soltanto alle forze armate come amministrazione
111 Sulla possibilità per il ministro della Marina di influenzare il funzionamento della struttura burocratica, si veda Tintervento di Morin in Apcd, Discussioni, L. XXI, 7 maggio 1901. Per il ministero della Guerra cfr. Commissione d ’inchiesta per l ’esercito, cit., vol. V, pp. 7-10.112 Relazione, cit., Parte settima. Sintesi, p. 131. Viene sottolineata in particolare la lontananza da “un assetto e un indirizzo di legalità e di regolarità amministrativa, specialmente nella gestione del denaro pubblico”. Si vedano anche le altre considerazioni comprese in questa parte, che costituisce una esposizione sintetica riferita al complesso delle amministrazioni statali.113 Cfr. Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, pp. 605 e 621; Lucio Ceva, Le forze armate, Torino, Utet, 1981, p. 106.114 Ne era una precisa dimostrazione la gestione degli stabilimenti marittimi: “Lo scopo del ponderoso sistema amministrativo e contabile [...] è di far tornare i conti cartolariamente [...] E dietro il trasparente scenario delle cifre minuziosamente bilanciate, vanno per conto proprio svolgendosi disordinatamente i fatti, che dovrebbero essere da codeste cifre rispecchaiti” (Commissione di inchiesta sulla R. Marina, cit., vol. I, p. 299).115 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, pp. 553 e 621.116 Cfr. Amministrazione e contabilità dei corpi, cit., p. 2. Sono invece contestate le giustificazioni “tecniche” delle particolarità delle amministrazioni militari in Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, pp. 621-623.
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di “cose” e, soprattutto, di uomini117, “microsocietà” dal punto di vista del consumo — e in parte per compiti produttivi —, ma anche alla peculiarità dell’esercito e della marina come organizzazioni esistenti in relazione al coinvolgimento del paese in una guerra. Un evento, quest’ultimo, ritenuto in ogni momento possibile e affrontabile efficacemente, almeno in epoca moderna118, soltanto da “esperti” portatori di discipline “esoteriche”119 che il rapido mutamento delle tecnologie applicate alla produzione di armamenti costringeva a un processo continuo di revisione. Occorre quindi chiedersi se sia la specializzazione tecnica ad assicurare a quello “stato nello stato” che è l’esercito (ma analoghe osservazioni valgono per la marina) “un potere egemonico, che lo pone al di sopra delle altre amministrazioni”120. Preliminarmente si può ritenere soltanto parzialmente fondata l’argomentazione secondo la quale l’organizzazione delle forze armate risulta interpretabile a partire dal suo essere in relazione all’evento-guerra. Come ha scritto Marco Meriggi,l’amministrazione dell’esercito è, fondamentalmente, un’amministrazione di previsione. Ed il controllo della veridicità e legittimità delle previsioni belliche è compito che la classe politica normale — ovvero il ceto degli amministratori di pace — non è in grado di espletare, non solo perché manca ad essa il necessario corredo di capacità tecniche, ma anche, e soprattutto, perché a determinare quelle previsioni concorre in misura sostanziale un elemento [il nemico] che è estraneo alla vita costituzionale interna dello Stato121.
Se al momento dell’entrata in guerra le forze armate possono esplicare la propria capacità egemonica nei confronti delle altre amministrazioni, si trovano anche di fronte, sotto il profilo organizzativo, a difficoltà particolari, come avvenne non soltanto con il primo conflitto mondiale (che pose problemi altrettanto gravi ad altri eserciti), ma anche con la spedizione libica, pur analoga ad altre imprese coloniali. L’eccessivo accentramento nel ministero, rilevato dalla Commissione d’inchiesta sull’esercito, delle competenze riguardanti le forniture avrebbe comportato in guerra un processo decisionale più lento e una minore capacità di tener conto delle situazioni locali. Anche la specializzazione del personale risultava più funzionale allo stato di pace che ai compiti eterogenei che sarebbero stati assegnati, con la mobilitazione, ai singoli responsabili dell’amministrazione. Cosìl’esonero [...] degli organismi di Comando del Corpo d’Armata e della Divisione da ogni effettiva ingerenza in tempo di pace nella trattativa e nella conclusione degli atti amministrativi ai quali intende il Commissariato, può lasciarli meno preparati per il caso di guerra, nel quale sono da organizzarsi di sana pianta i centri di direzione dei vari servizi.
Analogamente la riduzione del Corpo di Commissariato a “istrumento di esecuzione di ordini ministeriali” avrebbe comportato diversi problemi al momento dell’incorporamento degli organi amministrativi “nelle varie unità di truppe in movimento”122. Anche uno scrittore militare esperto in problemi
117 Cfr. M. Meriggi, Amministrazione civile e comando militare, cit., p. 1363.118 Cfr. le tesi di Pierre Legendre sulla Francia, formulate nel noto studio Stato e società in Francia [ed. orig. 1968], Milano, Comunità, 1978, p. 205.119 Nel senso di note a pochi e scarsamente approfondito da parte dei non appartenenti alla casta militare. Non a caso all’inizio del secolo l’opposizione socialista ricorreva ad ex-ufficiali per trattarne sulle colonne della “Critica sociale” .120 P. Legendre, Stato e società in Francia, cit., p. 196.121 M. Meriggi, Amministrazione civile, cit., pp. 1365-1366.122 Commissione d ’inchiesta per l ’esercito, cit., vol. IV, pp. 146-147.
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amministrativi non nascondeva le difficoltà del passaggio al “piede di guerra” ancora esistenti alla fine degli anni venti123 e la crisi del sistema contabile conseguente alla spedizione di Libia e alla guerra mondiale, nel corso delle quali venne messa alla prova la riforma attuata nel 1911, le cui lacune vennero accentuate dal fatto che era da poco entrata in vigore al momento dell’ultimatum alla Turchia124. La presenza del nemico, d’altra parte, giustifica soltanto in parte gli ambiti di segretezza che le amministrazioni militari difesero accanitamente e che, come si è visto, servivano a tutelare la propria libertà d’azione in relazione a controlli esterni.
In ogni caso la Giunta generale del bilancio non criticava il merito delle scelte stretta- mente militari, ma, al massimo, la congruità dei mezzi rispetto ai fini, sui quali del resto in parlamento si esprimevano quasi soltanto deputati e senatori provenienti dalle gerarchie militari. Lo stesso Giolitti affermava di volersi occupare di questioni militari esclusivamente dal punto di vista amministrativo, riconoscendo implicitamente 1’esistenza di una sfera tecnica separata. Occorre allora individuare tutte le condizioni che consentirono ai militari di imporsi in misura crescente nei ministeri a scapito del pesonale civile e delle pretese di controllo degli organi costituzionali. Il ministero della Guerra nell’età
giolittiana venne progressivamente militarizzato125 e vari elementi indicano anche per quello della Marina il progressivo ampliarsi delle competenze attribuite al personale militare126. Inoltre esisteva la possibilità di influenzare il funzionamento dell’amministrazione attraverso i legami gerarchici127. Questa progressiva conquista di egemonia128 va spiegata considerando anche la compattezza del corpo militare, che deteneva capacità tecniche (e operative) che la classe dirigente liberale stimava necessarie sia in relazione al raggiungimento degli obiettivi della politica estera che come ausilio indispensabile per il limitato consenso di cui disponeva all’interno del paese.
Il problema, di portata assai più generale, del rapporto tra il momento della decisione politica e la crescente specializzazione tecnica in questo caso portò all’accrescimento del potere dei detentori di questa “scienza esoterica” all’interno dei propri ministeri, anche in settori non specificamente militari. Venne così ridotta notevolmente l’efficacia dei controlli, con conseguenze precise sulla gestione della spesa pubblica, dal momento che ciò implicava attribuire potere decisionale anche a personale sprovvisto di specifiche conoscenze legali e amministrative ed esporre quindi lo Stato a errori soprattutto nel settore delle forniture129. Crescenti erano infatti le difficoltà di fronteggiare un mondo del-
123 O. Monaco, L ’amministrazione nell’esercito. Dal sistema delle “masse al decentramento, cit., p. 68.124 O. Monaco, L ’amministrazione nell’esercito. Dal sistema delle “masse al decentramento, cit., p. 164.125 Si veda lo studio di M. Meriggi, Amministrazione civile, cit., anche a proposito di altri punti trattati.126 Per il controllo sulle strutture della marina mercantile, cfr. Relazione per l ’esercizio finanziario 1906-1907, cit.127 Preoccupazioni di questo tipo emergono anche dall’inchiesta sull’esercito. Per un confronto con la situazione più recente si veda Donatello Serrani, L ’organizzazione per ministeri. L ’amministrazione centrale dello Stato nel periodo repubblicano, Roma, Officina, 1979, secondo il quale oggi il ministero della Difesa rappresenta “una struttura amministrativa [...] nella quale il potere politico espresso dal ministro è ampiamente condizionato dal ‘corpo’ dei militari [...] Né il Parlamento è in grado di esercitare un efficace controllo attraverso l’approvazione del bilancio del ministero, data la struttura criptica di questo” (p. 60).128 II regolamento del 1910 sull’amministrazione centrale della guerra ne militarizzò ancora più il personale (M. Meriggi, Amministrazione civile, cit., p. 1415), mentre la legge 17 luglio 1910, n. 511 si occupò di quelle periferiche.129 Per le conseguenze negative della mancata separazione delle funzioni si veda Commissione d ’inchiesta per l ’esercito, cit., vol. IV, pp. 11-12. Sul “conflitto fondamentale dell’amministrazione militare; vale a dire la coesisten-
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l’industria in rapida trasformazione, nel momento in cui il mutamento del modo di combattere imposto dalla tecnologia militare obbligava le amministrazioni a un confronto più serrato con le imprese industriali. Gli interessi privati potevano stabilire rapporti per certi aspetti diversi rispetto a quelli esistenti con le altre amministrazioni, anche perché la tradizionale autonomia dei ministeri militari, rafforzatasi con Giolitti, incoraggiava contatti diretti sottratti alla vigilanza di un parlamento nel quale erano presenti posizioni critiche nei confronti delle forze armate così come delle scelte economiche della classe dirigente.
La vicenda italiana si inserisce comunque all’interno delle trasformazioni che, nell’età dell’imperialismo, investirono i paesi più sviluppati sotto il profilo economico, accomunati da processi di concentrazione delle risorse e del potere espresso dagli organi dello Stato. In Italia, nell’epoca del decollo industriale, acquisirono nuova rilevanza istituzioni tradizionali, legate alla monarchia più che trasformate dalle iniziative parlamentari, come quelle militari, non soltanto in quanto coefficienti di sviluppo di cospicui settori produttivi, ma anche perché la loro struttura di “centro di potere preesistente a quello legislativo parlamentare”130 le rendeva particolarmente adatte a stabilire contatti con forze che facevano leva, più che sul parlamento, sulle posizioni conquistate nella società civile e sui legami con le pubbliche amministrazioni. Quando gli interessi privati si organizzarono indipenden
temente da un parlamento nel quale sempre meno si riconoscevano, alcune delle caratteristiche dei ministeri militari si rivelarono particolarmente adatte alla nuova situazione. Non a caso cessarono o diminuirono sensibilmente le accuse di spreco e inefficienza spesso ripetute a fine secolo da esponenti della borghesia: tali fenomeni erano divenuti il prezzo da pagare per garantire un’autonomia per altri versi preziosa. Decisivo diviene quindi anche in questo caso studiare il processo di adattamento delle amministrazioni statali nella situazione caratterizzata dal processo di industrializzazione e dal passaggio allo Stato “pluriclas- se”131.
Saporito sottolineò gli aspetti “tradizionali” delle amministrazioni militari, rilevando che la loro specificità non derivava dalla
identità degli scopi [...] che sono quelli di provvedere alla difesa nazionale, quanto dalla simiglian- za dei metodi di gestione, i quali si discostano, dove più, dove meno, dalle norme prescritte per tutti i dicasteri dalla legge sulla contabilità generale dello Stato.
L’accusa era che, sebbene la legge avesse adeguatamente considerato le “speciali esigenze delle amministrazioni militari”132, stabilendo “larghe concessioni” , ugualmente i ministeri continuavano a non rispettare il quadro normativo che avrebbe dovuto inquadrarne il funzionamento. La spiegazione era quindi ricercata nella persistenza di strutture amministrative ereditate dalle monarchie assolute:
za di due logiche diverse in quei servizi amministrativi che avrebbero dovuto garantire il pacifico incontro tra esigenze della ‘casa’ ed esigenze della ‘nazione’”, si veda M. Meriggi, Amministrazione civile, cit., (la frase citata è a p. 1371).130 Roberto Ruffilli, Problemi dell’organizzazione amministrativa nell’Italia liberale, “Quaderni storici”, n. 18, 1971, p. 709.131 Cfr. in particolare G. Melis, Amministrazione e mediazione degli interessi, cit. e M. Salvati, Dalla Francia all’Italia, cit.132 II concetto è più volte sottolineato dai difensori del diritto di controllo del parlamento: cfr. Relazione per l ’esercizio finanziario 1906-1907, cit., p. 653.
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per quanto il legislatore stabilisse molto bene i concetti generali e speciali, in base ai quali avrebbero dovuto costituirsi l’amministrazione dello Stato, pur tuttavia, nella pratica applicazione, il potere esecutivo serbò qualche cosa degli antichi sistemi133.
Questa continuità era particolarmente marcata nei ministeri militari, anche perché i vertici delle amministrazioni erano sempre stati affidati ad alti ufficiali, mentre lo Statuto sottolineava uno speciale legame con
l’autorità regia. Tale persistenza comportava inoltre il mantenimento di strutture non costituite in modo tale da consentire il controllo di organi esterni134 e dalle quali derivava una ipoteca nei confronti del regime parlamentare, che nel corso dell’età giolit- tiana non seppe imporre strumenti istituzionali in grado di consentire l’estensione del proprio potere decisionale alle due amministrazioni.
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133 Saporito specificava che “più per ragioni di disciplina nell’esercito e nell’armata che per ragioni parlamentari o tecniche, a queste amminitrazioni ha quasi costantemente presieduto, nell’una un generale, nell’altra un ammiraglio. Se ciò ha creato dei benefici, non trascurabili da un lato, è stato causa di svantaggi dall’altro, specialmente per quanto riguarda l’amministrazione; ed è, secondo noi, principalmente per questo, che i due suddetti ministeri hanno conservato di più le forme, o meglio le tradizioni, degli antichi ordinamenti” (Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 552; sull’impronta della tradizione sui regolamenti, cfr. pp. 587 ss.).134 Cfr. Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 553 e O. Monaco, L ’amministrazione nell’esercito. Dal sistema delle “masse” al decentramento, cit. e Id., L ’amministrazione nell’esercito. L ’Azienda reggimentale, “Esercizio e nazione”, 1928, in particolare p. 478.
Paolo Ferrari è dottore di ricerca in storia e insegnante di storia e filosofia attualmente comandato presso l’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia. Ha studiato aspetti di storia economica e militare italiana.