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Le spese militari in età giolittiana La gestione dei bilanci Paolo Ferrari Nel contesto degli studi sui rapporti tra militari e politici e sulla sovrapposizione, al passaggio dall’Otto al Novecento, delle spìnte dovute ai nuovi interessi organizzati e al mutamento del quadro internazionale ai tradizionali obiettivi di politica estera perseguiti dal ceto politico libera- le, il saggio intende richiamare l’attenzione sulle strutture e il funzionamento di settori non mar- ginali dell’apparato statale e sulla trama di rap- porti stabiliti con gli interessi privati emergenti in seguito al decollo industriale. Nel corso del conflitto italo-turco del 1911 si attuarono scelte correlate non soltanto all’eccezionaiità dell’e- vento-guerra, ma a una prassi di rapporti tra mi- nisteri militari da un lato e parlamento e organi di controllo dall’altro preesistenti al conflitto. Si allude alle procedure seguite dalle amministra- zioni militari per costituire margini di discrezio- nalità nella gestione delle proprie risorse finan- ziarie rispetto alle indicazioni parlamentari e al quadro normativo, in relazione agli obiettivi di volta in volta perseguiti. Tra questi ultimi, ac- canto a quelli comuni anche ad altre strutture burocratiche, vanno evidenziati quelli correlati alle minori garanzie offerte da uno Stato dive- nuto “pluriclasse” all’attuazione di una politica di riarmo e ai più intensi rapporti con i fornito- ri. La tradizionale caratteristica di “corpo sepa- rato” propria all’esercito quanto alla marina ac- quisì particolare rilevanza per gli interessi priva- ti legati alla spesa militare, che miravano a sta- bilire diretti rapporti con le amministrazioni pubbliche. Si costituì così un’ulteriore condizio- ne per il realizzarsi di quelle iniziative espansio- nistiche in politica estera delle quali la storiogra- fia ha analizzato soprattutto le componenti nel mondo politico e in quello economico. This essay deals with the relationships between the liberal establishment and military organized interests in Italy at the turn o f the century, when the Italian ruling class had to cope with a rapi- dly changing international scene. The author draws attention on the structure and mechani- sms o f important sectors o f the State apparatus, and on the multiple links they interwove with emerging private interests in the wake o f the in- dustrial take-off. The choices made during the Italian-Turkish conflict reflected not only the special character o f that event, but also a pre-existing pattern o f relationships between the military ministries on the one hand and the parliament with its organs o f control on the other. This is particulary true o f the procedures selected by the military in or- der to widen their discretion in the managing o f financial resources, thus baffling on occasion parliamentary directives and official rules and regulations. Among the military attitudes, special stress is put upon the options responding to the lessened guarantees offered by a “multi-class" State, to the needs o f a rearmament policy and to the in- creasing relationships with the Armed forces suppliers. The traditional feature o f “separate body” characterizing both the Army and the Navy acquired great importance for the private business involved in military expenditure, which aspired to estalish direct links with the relevant branches o f the administration. Further condi- tions were thus set for the expansionist efforts in the Italian foreign policy o f that period, a topic broadly examined so far only at political and economic level. Italia contemporanea”, marzo 1992, n. 186

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Le spese militari in età giolittianaLa gestione dei bilanci

Paolo Ferrari

Nel contesto degli studi sui rapporti tra militari e politici e sulla sovrapposizione, al passaggio dall’Otto al Novecento, delle spìnte dovute ai nuovi interessi organizzati e al mutamento del quadro internazionale ai tradizionali obiettivi di politica estera perseguiti dal ceto politico libera­le, il saggio intende richiamare l’attenzione sulle strutture e il funzionamento di settori non mar­ginali dell’apparato statale e sulla trama di rap­porti stabiliti con gli interessi privati emergenti in seguito al decollo industriale. Nel corso del conflitto italo-turco del 1911 si attuarono scelte correlate non soltanto all’eccezionaiità dell’e- vento-guerra, ma a una prassi di rapporti tra mi­nisteri militari da un lato e parlamento e organi di controllo dall’altro preesistenti al conflitto. Si allude alle procedure seguite dalle amministra­zioni militari per costituire margini di discrezio­nalità nella gestione delle proprie risorse finan­ziarie rispetto alle indicazioni parlamentari e al quadro normativo, in relazione agli obiettivi di volta in volta perseguiti. Tra questi ultimi, ac­canto a quelli comuni anche ad altre strutture burocratiche, vanno evidenziati quelli correlati alle minori garanzie offerte da uno Stato dive­nuto “pluriclasse” all’attuazione di una politica di riarmo e ai più intensi rapporti con i fornito­ri. La tradizionale caratteristica di “corpo sepa­rato” propria all’esercito quanto alla marina ac­quisì particolare rilevanza per gli interessi priva­ti legati alla spesa militare, che miravano a sta­bilire diretti rapporti con le amministrazioni pubbliche. Si costituì così un’ulteriore condizio­ne per il realizzarsi di quelle iniziative espansio­nistiche in politica estera delle quali la storiogra­fia ha analizzato soprattutto le componenti nel mondo politico e in quello economico.

This essay deals with the relationships between the liberal establishment and military organized interests in Italy at the turn o f the century, when the Italian ruling class had to cope with a rapi­dly changing international scene. The author draws attention on the structure and mechani­sms o f important sectors o f the State apparatus, and on the multiple links they interwove with emerging private interests in the wake o f the in­dustrial take-off.The choices made during the Italian-Turkish conflict reflected not only the special character o f that event, but also a pre-existing pattern o f relationships between the military ministries on the one hand and the parliament with its organs o f control on the other. This is particulary true o f the procedures selected by the military in or­der to widen their discretion in the managing o f financial resources, thus baffling on occasion parliamentary directives and official rules and regulations.Among the military attitudes, special stress is put upon the options responding to the lessened guarantees offered by a “multi-class" State, to the needs o f a rearmament policy and to the in­creasing relationships with the Armed forces suppliers. The traditional feature o f “separate body” characterizing both the Army and the Navy acquired great importance fo r the private business involved in military expenditure, which aspired to estalish direct links with the relevant branches o f the administration. Further condi­tions were thus set fo r the expansionist efforts in the Italian foreign policy o f that period, a topic broadly examined so far only at political and economic level.

Italia contemporanea”, marzo 1992, n. 186

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Finanza statale e conflitto libico

Nel febbraio 1914, in previsione della di­scussione parlamentare, il governo presentò due documenti sulle spese sostenute nel cor­so del conflitto italo-turco1, insieme alla proposta di conversione in legge dei decreti emessi tra il 29 giugno e il 30 dicembre 1913 (riguardanti crediti straordinari per 242 mi­lioni) e di approvazione delle spese occor­renti fino al 30 giugno 1914 (più di 147 mi­lioni)2. Le spese vennero discusse, con note­vole ritardo, dopo che il governo era ricorso all’apertura, a favore dei ministeri militari, di crediti straordinari sulla Tesoreria centra­le, sulla base della decisione del Consiglio dei ministri seguita dall’emissione di un de­creto reale. Questa facoltà derivava, secon­do il governo, dalla legge 17 luglio 1910, n. 511, relativa all’“Amministrazione e conta­

bilità dei corpi, istituti e stabilimenti milita­ri”3, un provvedimento concepito, come si vedrà, per scopi diversi dal finanziamento di una campagna militare.

L’esame dei riflessi istituzionali della guerra ha sottolineato l’ulteriore emargina­zione del parlamento come sede decisionale e di controllo dell’attività dell’esecutivo4. La legittimità dell’applicazione della legge cita­ta alla spedizione libica e, più in generale, tutta la sua gestione finanziaria vennero da più parti contestate nel corso del dibattito in aula. Sebbene un’ampia maggioranza si fos­se dimostrata favorevole alle scelte compiute dal governo, vennero infatti espresse riserve su questioni specifiche, con una notevole va­rietà di accenti e di posizioni. In ogni caso la discussione restò condizionata dalla scarsità delle informazioni disponibili, fenomeno pe­raltro ricorrente nei periodi di guerra, ac-

II presente articolo si basa su una parte della mia tesi di dottorato (Le modificazioni della spesa militare nell’età giolittiana. Parlamento, amministrazioni e commesse tra interessi locali e sviluppo dell’industria, Università degli studi di Torino, 1987). Desidero ringraziare, per i suggerimenti e le critiche nelle diverse fasi della ricerca, Massi­mo Legnani, Giorgio Rochat e Nicola Tranfaglia. Ho inoltre un debito di riconoscenza verso Andrea Curami per la lettura critica della stesura finale del testo qui pubblicato.1 Si tratta del “Conto delle spese determinate dall’occupazione della Tripolitania e della Cirenaica, dall’occupa­zione temporanea delle isole dell’Egeo e dagli avvenimenti internazionali” e del “Conto delle spese effettuate dal ministero delle Colonie fino al 31 dicembre 1913”. I documenti si riferiscono in primo luogo alle somme impe­gnate tra l’autunno del 1911 ed il 31 dicembre 1913 dal ministero della Guerra (883 milioni) e da quello della Marina (121 milioni), che costituivano la quasi totalità degli stanziamenti legati al conflitto (1149 milioni). Som­me minori vennero erogate dal ministero del Tesoro e da quelli dei Lavori Pubblici, delle Poste e dei Telegrafi e dellTnterno. Vi sono poi fondi non compresi nel totale indicato, come i 34,9 milioni del ministero delle Colonie, in parte utilizzati per il funzionamento del ministero stesso. Cfr. Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Docu­menti. Disegni di legge e relazioni. Legislatura XXIV, Sessione 1913-1914, n. V ili (d’ora in poi: Apcd, Docu­menti, L.). Giolitti scrisse l’8 gennaio 1914 al generale Ernesto Mirabelli, sottosegretario della Guerra, per chie­dere un documento preciso, che non comprendesse, come era già avvenuto, “come spese per la Libia spese per aumenti di dotazioni per l’esercito”, poiché “non il ministro del Tesoro ne [sic] io potremo difendere un conto falso, e la cosa potrebbe avere gravi conseguenze in Parlamento” (Archivio Centrale dello Stato, Presidenza del Consiglio dei Ministri, d’ora in poi Acs, Pcm, 1914, f. 3 /3. Per “Le spese di indole riservata urgente e straordi­naria”, circa 4,3 milioni tra ottobre 1911 e metà gennaio 1913, cfr. la lettera indirizzata a Giolitti il 12 gennaio 1913 (Acs, Pcm, 1913, f. 10/3).2 Cfr. Apcd, Documenti, L. XXIV, n. 51-A.3 L’articolo 16 della legge stabiliva infatti che “nei casi eccezionali di chiamata alle armi o di servizi di ordine pubblico ed in altre simili contingenze, per i quali casi non siano previsti in bilancio appositi stanziamenti, può essere autorizzata l’apertura, a favore del Ministero della Guerra, di un credito straordinario sulla tesoreria centrale mediante decreti reali, su proposta del ministro del tesoro, previa deliberazione del Consiglio dei mini­stri”.4 In questa sede ci limitiamo a rimandare a Francesco Malgeri, La guerra libica (1911-1912), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1970, pp. 259-266.

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compagnati da una concentrazione nell’ese­cutivo dei poteri non soltanto finanziari5.

Per quanto riguarda il movimento sociali­sta, sono note le contrapposizioni che si crearono in seguito al conflitto6, ed è quindi sufficiente accennare ad alcune prese di po­sizione, limitatamente al tema delle spese militari. Modigliani, intervenendo a nome del partito, sottolineò l’inutilità economica della conquista per i lavoratori e le conse­guenze della manovra economica attuata dal governo7. Da questo come da altri interventi critici non emersero tuttavia analisi partico­larmente significative sulle conseguenze del­le nuove ingenti spese militari. Lo stesso Gi­retti, contrastato da un’aula poco propensa alle critiche al governo, sostenne che la guer­ra aveva comportato vantaggi soltanto per gli interessi privati legati alle forniture pub­bliche. La proposta di politiche di bilancio alternative e la denuncia delle conseguenze negative dell’assorbimento di risparmio pro­vocato dal conflitto riproponevano così uno schema nel quale le spese militari costituiva­no un freno allo sviluppo economico e un’occasione di profitto soltanto per gruppi ritenuti marginali di borghesia industriale e finanziaria8. Su questi temi insisteva il grup­

po dirigente socialista che faceva capo a Tu­rati. Se, rispetto alla prima guerra africana, veniva individuata come elemento di novità la massiccia adesione della borghesia all’im­presa, si stentava a elaborare una spiegazio­ne convincente, “limitandosi a parlare di tradimento, almeno da parte delle forze de­mocratiche, e di folle miopia della borghesia industriale”9. Era così posto in primo piano il significato politico dell’impresa, interpre­tando come “forme di parassitismo” i feno­meni irriducibili al modello economico basa­to sulla libera concorrenza. All’insufficienza delle analisi, d’altra parte, corrispondeva quella delle forme di lotta, come già era av­venuto al momento dello scoppio del con­flitto, con “la rinuncia ad uno scontro aper­to con le forze della borghesia al governo ed il rinvio di ogni opposizione al dibattito in aula”10 che avevano comportato il fallimen­to dello sciopero generale e impedito di con­trastare le scelte del governo nel momento in cui il parlamento veniva emarginato dal pro­cesso decisionale. È appunto questo l’altro tema ricorrente nel dibattito del febbraio- marzo 1914, né costituiva un’inversione di tendenza la presentazione di un conto delle spese generico e privo di sanzioni di organi

5 II governo si rifiutò di rendere pubblici i documenti diplomatici e gli stessi atti concernenti le spese fornivano dati di carattere generale non controllati dalla Corte dei conti. Sonnino parlò di “due anni di pieni poteri finanziari” ed in modo analogo si espressero Graziadei (“Il Governo ha soppresso il controllo parlamentare su tutti i campi per ol­tre due anni e mezzo, e specialmente sul terreno finanziario e sul terreno diplomatico”) e Giretti (“La guerra è stata fatta incostituzionalmente [...] non ammetto un Governo che si è valso per fare la guerra di un articolo inserito in modo quasi clandestino in una legge di contabilità del 1910, della quale abbiamo sentito in questa Camera che or­mai nessuno vuole più assumere la paternità”). Apcd, Documenti, L. XXIV, Sessione 1913-1917, 14 febbraio 1914. Si veda inoltre l’intervento di Altobelli del 18 febbraio.6 Cfr. ad esempio le ricostruzioni di Giorgio Candeloro, Storia dell’Italia moderna, vol. VII, La crisi di fine secolo e l ’età giolittiana, 1896-1914, [ed. orig. 1974] Milano, Feltrinelli, 1981, pp. 309 ss. e Maurizio Degl’Innocenti, Il so­cialismo italiano e la guerra di Libia, Roma, Editori Riuniti, 1976.7 Cfr. Apcd, Discussioni, L. XXIV, 12 febbraio 1914. Anche Guido Miglioli, leader del sindacalismo cattolico, sottolineò le conseguenze negative della guerra per i lavoratori (ivi, 19 febbraio 1914).8 Secondo tale prospettiva i metodi propri dell’“affarismo politico” sarebbero stati causa di “disastro economico” per il paese. Cfr. ivi, 24 febbraio 1914.9 Cfr. M. Degl’Innocenti, Il socialismo italiano, cit., p. 62.10 Cfr. Gianni Oliva, Esercito, paese e movimento operaio. L ’antimilitarismo dal 1861 all’età giolittiana, Milano, Angeli, 1986, p. 208 e, in generale, pp. 203 ss. È opportuno precisare che i dubbi riguardano le analisi di parte so­cialista del capitalismo italiano, non resistenza di fenomeni di “affarismo politico”. Il governo, per ottenere l’ap-

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esterni all’amministrazione11. Ad aggravare la situazione interveniva poi la manovra con­tabile che consentiva di ridurre nominalmen­te le spese trasferendone una parte sui succes­sivi esercizi. Denunciata dagli oppositori del governo12, tale manovra ha assunto nell’ana­lisi storica significato paradigmatico della ge­stione delle spese dovute alla spedizione colo­niale. Il governo ricorse dunque, a partire dal 25 settembre 1911, a decreti reali convertiti nella legge 28 marzo 1912, n. 232 — che ac­cordò anche 35 milioni al ministero della Guerra e 10,6 ad altre amministrazioni, sem­pre in relazione al conflitto — e in quella del 29 dicembre 1912, n. 1357, per una somma complessiva di 572,6 milioni. La legge 29 di­cembre 1912, n. 1352, autorizzò inoltre re ­missione di buoni del Tesoro quinquennali per 250 milioni e la legge 26 giugno 1913, n. 772 consentì l’apertura di un credito straordi­nario tra la Tesoreria centrale e il ministero

della Guerra, che ottenne quindi di spendere 242 milioni nello stesso esercizio. Le uscite, motivo di ulteriore ricorso dello Stato al mer­cato dei capitali13, vennero diluite su di un gran numero di esercizi, dal 1911-1912 al 1922-1923l4. Il governo ricorse ad artifici contabili già impiegati a partire dall’esercizio 1905-1906. Nel 1911-1912, 57 milioni prele­vati dal fondo di cassa del Tesoro furono compresi nelle entrate per movimento di capi­tali, tramutando così un disavanzo di 57 mi­lioni in un pareggio15. Come ha osservato Re­paci, la “gestione fuori bilancio” della guerra mirava a “convincere l’opinione pubblica che l’impresa libica si sarebbe potuta condurre senza alcun onere per la nazione”16.

L’insistenza sul tema delPesautoramento del parlamento suggerisce l’utilità di un esa­me più ampio dell’autonomia dei ministeri militari nella gestione delle spese nel cruciale periodo del decollo industriale17. Risulta in­

poggio dell’opposizione, tentò una manovra non nuova, offrendo alle cooperative la possibilità di operare in Libia, ma, secondo il giolittiano Schanzer, il partito socialista bloccò l’iniziativa (Apcd, Discussioni, L. XXIV, 12 febbraio 1914). Molti denunciarono le speculazioni dei fornitori, da De Felice-Giuffrida, socialista favorevo­le alla conquista (ivi, 11 febbraio), a Comandini (ivi, 14 febbraio), Altobelli (ivi, 18 febbraio) e Ciccotti (ivi, 19 febbraio 1914). Treves sottolineò come la “borghesia parassitaria” non fosse in grado di attuare 1’ “imperiali­smo attivo, energico e coraggioso, che fanno gli altri paesi prima di domandare la protezione alla madre pa­tria”, proponendo quindi una distinzione tra un capitalismo (e quindi un imperialismo) accettabile, basato sulla penetrazione economica, ed uno “parassitario”, sostenuto dallo Stato e implicante il dominio militare diretto (cfr. ivi, 12 febbraio 1914). Si vedano inoltre gli articoli pubblicati su “Critica sociale”, ad es. il 1° ed il 16 aprile 1912.11 Si vedano, tra gli altri, gli interventi di Modigliani, Labriola, Comandini, Treves e del moderato Ancona.12 “In realtà”, sostenne Comandini intervenendo sui due aspetti della questione, “voi avete distrutto tutti quanti i controlli sul bilancio dello Stato; avete impegnato l ’avvenire per somme ipotetiche sopra avanzi che non sappiamo se si realizzeranno. Per cui ci dobbiamo domandare a che siano ridotte le funzioni del Parlamento e della Corte dei conti, quando voi andate avanti attraverso a tutti questi espedienti finanziari” (Apcd, Documenti, L. XXIV, 14 febbraio 1914).13 Franco Bonelli, Osservazioni e dati sul finanziamento dell’industria italiana all’inizio del secolo XX, “Annali della Fondazione Luigi Einaudi”, vol. II, p. 268.14 Sulla questione, si veda in particolare: Luigi Einaudi, La guerra ed il sistema tributario italiano, Bari, Laterza, 1927, pp. 33-34. Si veda inoltre Mario De Vergottini, Le statistiche finanziarie, Torino, Utet, 1968, pp. 564 ss.15 Cfr. Francesco A. Rèpaci, La finanza pubblica italiana nel secolo 1861-1960, Bologna, Zanichelli, 1962, pp. 18- 20. Durante il dibattito Sonnino attaccò più volte il sistema adottato allo scopo di far comparire avanzi di bilancio fittizi, precisando di criticare non la politica finanziaria del governo ma la precisione dei dati presentati al parla­mento (Apcd, Documenti, L. XXIV, l a Sessione, 27 febbraio 1914).

Cfr. F.A. Rèpaci, La finanza pubblica, cit., p. 21. L’autore ricostruisce in questo importante volume i bilanci degli esercizi 1911-1912 e 1912-1913, depurandoli dai “complicatissimi avvolgimenti contabili”.

Si fa riferimento al fatto che nell’età giolittiana, “alle accresciute dimensioni della macchina burocratica corri­sponde ormai raddensarsi di una varietà di interessi che vi fanno riferimento” (Guido Melis, Amministrazione e

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fatti possibile individuare procedure e rela­zioni tra amministrazioni militari e parla­mento che apparvero in particolare evidenza nel corso della guerra italo-turca, ma che si erano già affermate in precedenza. Esse inoltre acquisirono una inedita rilevanza nel momento di forte crescita delle commesse destinate a interessi privati, la cui fisionomia era mutata come conseguenza dell’intensa trasformazione economica.

La particolare prospettiva d’indagine se­guita, l’analisi delle trasformazioni dei mini­steri militari in rapporto alla gestione dei bi­lanci, si giustifica, nelle intenzioni di chi scrive, come tentativo di individuare ele­menti di conferma in più di una direzione. In primo luogo lo studio delle strutture am­ministrative e del loro funzionamento con­sente di precisare i forti limiti del controllo effettuato dal parlamento e, più in generale, dagli organi esterni alle amministrazioni mi­litari, confermando la progressiva margina- lizzazione del primo nei processi decisionali pubblici e consentendo di valutare più preci­samente l’interpretazione della politica gio­littiana come “progetto burocratico di go­verno”18. D’altra parte l’analisi, pur affron­tando alcune questioni, come quella del per­sonale, soltanto per accenni, fornisce forse indicazioni su come i ministeri della Guerra e della Marina si inseriscano nella più gene­rale trasformazione della pubblica ammini­

strazione in Italia, in particolare sull’in­fluenza che gli interessi economici organiz­zati esercitarono sulla sua evoluzione. Infi­ne, il tema del funzionamento dei due mini­steri è stato, come si vedrà, poco affrontato dagli stessi studiosi delle vicende militari. Se è in corso da anni la revisione critica di mol­ti aspetti della storia delle forze armate ita­liane e se risale agli inizi degli anni sessanta la sottolineatura dell’assoluta rilevanza delle spese militari per lo stato liberale e del ruolo marginale svolto dal parlamento nella loro definizione19, sono mancati approfondimen­ti sistematici in entrambe le direzioni ora in­dicate, nonostante il largo consenso sull’im­portanza delle questioni correlate alla ge­stione dei bilanci militari.

Il ministero della Guerra

Partendo dalla struttura del bilancio, si può chiarire in quale senso sia possibile parlare di controllo parlamentare delle forse arma­te, ovvero di come l’efficacia stessa di tale controllo fosse condizionata da strutture amministrative e contabili funzionanti se­condo criteri e con scopi irriducibili a quelli attribuiti dalla dottrina liberale a un regime costituzionale-parlamentare che, con le leggi di spesa, avrebbe dovuto esplicare una delle proprie prerogative fondamentali. In primo

mediazione degli interessi: le origini delle amministrazioni parallele, in Isap, L ’amministrazione nella storia moder­na, vol. II, Milano, Giuffrè, 1985, p. 1432. Si veda comunque tutto il saggio per l’inquadramento delle vicende sot­to il profilo amministrativo. A questo fine, non potendo per motivi di spazio elencare tutti i contributi utili, riman­diamo a Mariuccia Salvati, Dalla Francia all'Italia. Il modello francese e vie surrettizie di modernizzazione ammi­nistrativa in uno Stato periferico, in Suffragio, rappresentanza, interessi. Istituzioni e società fra ’800 e ’900, a cura di Claudio Pavone e M. Salvati, “Annali” della Fondazione Lelio e Lisli Basso-Issoco, vol. IX, 1987-1988. Di più specifico interesse in relazione al tema trattato sono i due importanti saggi di Marco Meriggi, Amministrazione ci­vile e comando militare: il Ministero della Guerra (in Isap, L ’amministrazione nella storia moderna, cit.) e Militari e istituzioni politiche nell’età giolittiana (“Clio”, n. 1, gennaio-marzo 1987), e Riccardo Faucci, Finanza, ammini­strazione e pensiero economico. Il caso della contabilità di Stato da Cavour al fascismo, Torino, Fondazione Luigi Einaudi, 1975.18 Paolo Farneti, Sistema politico e società civile. Saggi di teoria e ricerca politica, Torino, Giappichelli, 1971.19 Cfr. Giorgio Rochat, L ’esercito italiano nell’estate 1914, “Nuova rivista storica”, 1961, n. 2, ora ripubblicato in Id., L ’esercito italiano in pace e in guerra. Studi di storia militare, Milano, Rara, 1991.

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luogo i consuntivi venivano discussi e ap­provati a distanza di anni dalla fine degli esercizi ai quali si riferivano. Il disegno di legge sul rendiconto generale consuntivo dell’amministrazione dello Stato per gli eser­cizi finanziari 1901-1902 e 1902-1903 venne, per esempio, presentato dal ministro del Te­soro nel dicembre 1904, e la relativa relazio­ne parlamentare nel giugno dell’anno suc­cessivo, due anni dopo la fine dell’ultimo esercizio per il quale veniva richiesta l’ap­provazione:Presso di noi — sosteneva Vincenzo Saporito — [...] ben limitata importanza si è data all’esame dei conti consuntivi: pochissime volte si è fatta di essi una discussione larga, prevalendo nelle rela­zioni parlamentari, salvo eccezioni, una parafrasi degli atti dell’amministrazione e della Corte dei conti, presentata al Parlamento20.

Il voto era così ridotto a una formalità, senza conseguenze sulla gestione dei fondi nei successivi esercizi. Inoltre risultava smi­nuito il valore delle leggi di spesa, dal mo­mento che il loro mancato rispetto difficil­mente avrebbe comportato conseguenze per le amministrazioni stesse.

Per una valutazione complessiva della ge­stione delle risorse statali l’analisi del “bi­lancio passivo” deve essere completata dal­l’esame del patrimonio pubblico, al quale è quindi opportuno dedicare alcuni cenni. Al­l’inizio del secolo la Corte dei conti era in possesso degli elementi necessari a svolgere accertamenti su di una parte minima dei be­ni dello Stato, dovendo per il resto limitarsi a trasmettere al parlamento, nelle relazioni annuali, i conti forniti dalle amministrazioni stesse21. D’altra parte, pur essendo tale ge­stione complementare a quella delle risorse finanziarie, il discontinuo interesse del par­lamento si concentrò quasi esclusivamente su queste ultime22. Non conseguirono risul­tati le iniziative della Camera, risalenti alme­no alla fine degli anni ottanta, tendenti a estendere anche a questo settore il controllo della Corte dei conti. Anche quando, nel 1897, venne approvata una legge relativa al riscontro sui magazzini e sui depositi dello Stato, la sua applicazione vanificò lo scopo principale perseguito dal legislatore, consi­stente nel controllo dei magazzini militari23. Conoscere l’adeguatezza delle scorte alle ne-

20 Cfr. Apcd, Documenti, L. XXII, 1a Sessione 1904-1905 n. 1-A e 2-A, Relazione della Giunta generale del bilan­cio sui disegni di legge presentati dal ministro del Tesoro (Luzzatti) nella seduta del 2 dicembre 1904. Rendiconto generale consuntivo dell’Amministrazione dello Stato, dell’Amministrazione del fondo per il culto, del Fondo di beneficienza e di religione nella città di Roma e della colonia Eritrea per gli esercizi finanziari 1901-02 e 1902-03. Parte settima, Sintesi, p. 133 (relazione presentata alla Camera il 28 giugno 1905). Il relatore Vincenzo Saporito ri­levava comunque che anche in altri stati a regime parlamentare, come la Francia, la legge rappresentante “la più al­ta espressione del controllo finanziario” veniva votata senza un’eccessiva attenzione da parte dei parlamentari, mentre il Regno Unito era il paese in cui i bilanci erano più accuratamente preparati, discussi e controllati. Le acute ricerche furono possibili anche per la preparazione e l’impegno del relatore, “abile e scrupoloso indagatore”, se­condo Arturo Labriola (Storia di dieci anni 1899-1909, [ed. orig. 1910] Milano, Feltrinelli, 1975, p. 160). La rela­zione venne presentata specificando “che quello che figura di apprezzamenti, censure e proposte di riforma, sia ri­tenuto pensiero personale del relatore” (p. XIV).21 La Corte ammetteva di non avere “nessuna cognizione [...] dell’enorme patrimonio ferroviario, di quello indu­striale, di quello militare, di quello artistico ecc. ecc.” (Relazione, cit., Parte quarta. Il Patrimonio, p. 4, Apcd, Documenti, XXIII, l a sessione, 1904-1905, nn. 1-A e 2-A). Sulle difficoltà incontrate nel riscontro dei magazzini e depositi dello Stato, cfr. pp. 14 ss.22 Relazione, cit., Parte quarta. Il Patrimonio, p. 5.-3 Con un ordine del giorno approvato il 25 maggio 1897 la Camera “invita[va] il Governo a proporre sollecita­mente i provvedimenti idonei a istituire un permanente controllo, mediante accertamento periodico delle consisten­ze reali sulle gestioni patrimoniali e segnatamente su quella dei magazzini militari” (ivi, p. 8). Cfr. inoltre Luigi Pi- cozzi, La Corte dei conti in Italia, Torino, Utet, 1963, a proposito del controllo limitato, nonostante le disposizioni

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cessità della mobilitazione era, infatti, indi­spensabile al parlamento per poter valutare la fondatezza delle richieste delle ammini­strazioni militari e rendeva inoltre possibile l’adozione di un sistema di controllo dei magazzini, affidato alla Corte dei conti, in base al quale non fosse consentito scendere al di sotto del minimum necessario in caso di entrata in guerra. All’inizio del secolo, quindi, parte dei magazzini e dei depositi dello Stato venivano lentamente sottoposti a tale controllo costituzionale, mentre non esisteva un riscontro generalizzato sul patri­monio. Di conseguenza le amministrazioni, e anzitutto quelle militari, più delle altre “gelose delle proprie autonomie”24, poteva­no gestire i beni loro affidati senza temere l’intervento del parlamento, privo di ele­menti in base ai quali “formar[si] un con­cetto dell’attendibilità dei dati di consisten­za e di stima che in essi [nei conti del patri­monio] figura [va] no”25.

Scarsa volontà politica e mancanza di adeguati strumenti istituzionali si rafforza­vano quindi a vicenda. Una situazione ben

nota a un conoscitore della macchina stata­le come Giolitti, che alla fine del secolo in­tervenne sulla questione — dichiarandosi competente sugli aspetti amministrativi, ma non su quelli tecnici dell’organizzazione del­le forze armate — per rilevare l’insufficienza dei controlli sull’attività di spesa del ministe­ro della Guerra26, senza tuttavia promuovere in seguito, una volta al vertice della vita po­litica nazionale, iniziative volte a modificare tale situazione27. Dell’attività della Corte dei conti, Camera e Senato erano informati at­traverso una relazione annuale i cui risultati erano ampiamente utilizzati anche dalla Giunta generale del bilancio. Anzi, senza ta­le documento sarebbe risultato assai diffi­coltoso lo stesso esame dei rendiconti a ope­ra della Giunta28. La Corte costituiva un punto di osservazione privilegiato dell’attivi­tà ministeriale — come testimonia lo stesso Giolitti29 —, rispetto alla quale poteva crear­si un continuo contrasto30.

Le ampie funzioni della Corte erano tutta- vie ridotte dalle pressioni governative volte ad annullarne l’indipendenza, oltre che dalla

di legge, soltanto a parte dei magazzini e “meramente contabile e cartolare” e quindi “idoneo ad attuare soltanto una vigilanza sulla regolarità dell’attività amministrativa, e non quel riscontro effettivo voluto dalla citata legge n. 256 del [l’l 1 luglio] 1897” (p. 126). Sulla Corte dei conti e, più in generale, su tutta la questione dei controlli, va al­meno ricordato il classico lavoro di Giovanni Abiguente, La riforma dell’Amministrazione pubblica in Italia (que­stioni urgenti), Bari, Laterza, 1916. Per un recente esame del problema sul lungo periodo (con attenzione prevalen­te al secondo dopoguerra), cfr. Domenico Preti, Una modernizzazione a rischio. li silenzio dei controlli nell’Italia repubblicana, “Italia contemporanea”, 1991, pp. 189-225.24 Relazione, cit., Parte quarta. Il Patrimonio, p. 14.25 Relazione, cit., Parte quarta. Il Patrimonio, pp. 3 ss.26 Giolitti aggiungeva che “il controllo non può derivare direttamente da un organo del governo, ma deve essere compiuto da un organo fuori del Governo”, mentre per Luzzatti l’unico controllo utile era quello della Corte dei conti, poiché l’efficacia dei controlli operati da altre amministrazioni poteva venir annullata dalla solidarietà politi­ca a livello ministeriale. Entrambe le tesi vennero riprese da Sichel (Apcd, Discussioni, L. XXIII, l a Sessione, 26 giugno 1910) nel corso della discussione del disegno di legge su Amministrazione e contabilità dei corpi, istituti e stabilimenti militari, a proposito del quale si veda la nota 70.27 A ll’opposizione Giolitti sottolineò in generale l’oscurità e l’imprecisione dei bilanci, la mancanza di rispetto del­le direttive e del controllo parlamentare sulle spese, l’importanza dei controlli effettuati da Corte dei conti e Consi­glio di Stato: cfr. Apcd, Discussioni, L. XVI, l a Sessione, 18-19 gennaio 1887 e 14 giugno 1899.28 Cfr. Relazione, cit., Parte sesta. Il controllo della Corte dei conti, pp. 101 ss.29 Cfr. Giovanni Giolitti, Memorie della mia vita, Milano, Treves, 1922, vol. I, p. 26 e, ad es., Frank Coppa, Plan­ning, Protectionism and Politics in Liberal Italy: Economics and Politics in the Giolittian Age, Washington D.C., The Catholic University o f American Press, 1971, p. 111.30 Cfr. Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, pp. 723-724.

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limitatezza dei mezzi dei quali essa dispone­va31. Secondo i socialisti l’influenza gover­nativa era attuata soprattutto attraverso il sistema di reclutamento dei membri dell’Al­ta Corte, che poteva annullare il lavoro svol­to dai funzionari, riducendo l’organo di controllo “ad essere una docile ed osse­quiente e riconoscente appendice del potere esecutivo”32. In ogni caso la Corte dei conti segnalò ogni anno diverse irregolarità al par­lamento, al quale spetta la responsabilità di non averne appoggiato sufficientemente l’a­zione e della mancanza di iniziative volte a cancellare decisioni e procedure indicate co­me irregolari33. Numerose erano le analogie tra i due ministeri militari, a partire da una accentuazione, rispetto alle altre ammini­strazioni statali, di alcuni aspetti della strut­tura del bilancio, che si presentava come “molto complicato, poco sincero e poco spe­cializzato”34. Caratteristica ammessa dal mi­nistero della Guerra35 e di cui la Giunta ge­nerale del bilancio riteneva corresponsabile il potere legislativo36. Oltre a limitare drasti­camente le conoscenze a disposizione del parlamento, la struttura del bilancio riduce­va l’efficacia dell’esame delle spese effettua­to da altri poteri esterni all’amministrazio- ne. Inoltre aH’interno del ministero il con­trollo non era affidato a un organo con suf­

ficiente autonomia e forza nei confronti del­l’amministrazione centrale nel suo com­plesso.

A partire dallo ‘scollamento’ delineato tra parlamento e amministrazione, è possibile precisare alcune conseguenze sul terreno specifico della gestione della spesa, dal mo­mento che l’imprecisa formulazione dei ca­pitoli poteva consentire all’amministrazione di dirottare fondi verso scopi diversi da quelli indicati nei preventivi37. E in parte ri­sultavano utilizzabili in via discrezionale an­che le spese variabili, la cui considerevole entità rappresentava un elemento tipico dei ministeri militari. Sottostimato nei consunti­vi si presentava il costo dell’amministrazio­ne centrale, soprattutto poiché erano distri­buite in diversi capitoli le somme corrisposte al personale comandato, cioè appartenente ai ruoli di uffici periferici, ma effettivamen­te impiegato nel ministero. Il fenomeno, presente anche in altre amministrazioni cen­trali, assumeva particolare rilievo coinvol­gendo, nel 1902, 100 ufficiali e 124 impiega­ti. La Giunta generale del bilancio sottoli­neava come si ricorresse a questo metodo per ampliare gli organici degli uffici centrali proprio perché non era possibile fornire una giustificazione sulla base del carico di lavo­ro. Ne risultava un costo eccessivo in rap-

31 Cfr. Relazione, cit., Parte settima. Sintesi, p. 132. Cfr. inoltre: G. Merloni, La Corte dei conti (Come funziona in Italia il supremo controllo dello Stato), “Critica sociale”, 1° aprile 1907. Le altre parti dell’articolo comparvero sui numero del 1° e del 16 maggio.32 Cfr. G. Merloni, La Corte dei conti, cit., “Critica Sociale”, 16 maggio 1907, p. 154.33 La Giunta generale del bilancio osservò come “la relazione della Corte dei conti fosse assai poco conosciuta an­che in Parlamento; circostanza però questa che ne deve fare andare cauti nel giudicare l’opera complessiva della Corte, e ci obbliga a portare prima il giudizio sull’opera nostra” (Relazione, cit., Parte sesta. Il controllo della Cor­te dei conti, pp. 101 ss.). Anche il controllo sulle forniture dava luogo alla produzione di elenchi “spediti senz’altro all’archivio”.34 Cfr. Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 621.35 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, pp. 621-622.36 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 553.37 “Non crediamo di essere lontani dal vero nell’affermare che sia questo uno degli studi dei Ministeri, e che gli stessi richiami della Corte dei conti sulla imputazione delle spese, servano di chiave e d’indirizzo nella ricerca di ac­corgimenti per evitare che, in un nuovo esercizio, la Corte dei conti abbia da fare osservazioni o, se le fa, che ab­biano seguito” (Relazione, cit., Parte settima. Sintesi, p. 136).

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porto alle risorse assegnate al ministero, an­che perché il personale spesso non veniva utilizzato secondo la preparazione e le atti­tudini38. A partire dagli organi centrali esi­stevano istituti il cui funzionamento si sot­traeva alle disposizioni della legge di conta­bilità generale dello Stato, tanto da rendere quasi impossibile la ricostruzione della desti­nazione effettiva delle somme stanziate. Si trattava di un “sistema che permette[va] a certi enti di apparire nel bilancio passivo della guerra, solo per attingervi i mezzi per il loro funzionamento”39, e sul quale si avrà modo di ritornare. D’altra parte, per l’am- ministrazione centrale, questo fenomeno, così come la distrazione di somme per scopi diversi da quelli indicati nei capitoli del bi­lancio40, riguardava importi abbastanza li­mitati.

Tralasciando il debito vitalizio, anche per la difficoltà di esprimersi sulle cause del suo costante aumento41, si entra “nel vivo del­l’amministrazione militare” con le spese per l’esercito. Dal bilancio emerge in primo luo­go l’accorpamento, in molti capitoli, di spe­

se di diverso tipo, che rendeva impossibile il controllo sull’esecuzione delle leggi riguar­danti il personale e sulle scelte compiute dal­l’amministrazione. Diveniva pertanto possi­bile accrescere il numero degli ufficiali su­balterni di fanteria, mentre non si poteva valutare il costo reale di ciascun servizio:nel bilancio della guerra, a differenza di quanto si verifica nei bilanci delle altre amministrazioni dello Stato, non si hanno tanti capitoli di spesa, quanti sono i personali che la cagionano, ma in­vece [...] ogni capitolo, riflettente i corpi di fan­teria, di cavalleria, ecc. non è che uno zibaldone; e si potrebbe dire quasi un bilancio a sé e senza quasi determinazione e regola alcuna42.

Risultava possibile utilizzare una parte de­gli stanziamenti indipendentemente dagli scopi per i quali erano stati concessi e gli esempi della scarsa incisività delle leggi e dei margini di discrezione dell’amministrazio­ne sono così numerosi da delineare l’esisten­za di un’istituzione sottratta a controlli esterni e della quale i vertici risultavano “so­vrani assoluti”43. D’altra parte le caratte­ristiche proprie della struttura del bilancio

38 In molti casi, ad esemio, ad ufficiali con una preparazione tecnica erano assegnati compiti di carattere ammini­strativo. Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, pp. 558 ss. Non intendendo affrontare in questa sede il problema del personale delle amministrazioni militari, si rimanda a Alessandro Taradel, Gli organici delle ammini­strazioni militari centrali dal 1904 a! 1914, “Quaderni storici”, 1971, n. 18; Cesare Mozzarelli, Stefano Nespor, Il personale e le strutture amministrative, in L ’amministrazione centrale, a cura di Sabino Cassese, Torino, Utet, 1984.39 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 569. Sulla questione dei comandati, cfr. M. Meriggi, Ammini­strazione civile e comando militare, cit., pp. 1388-1392.40 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 573.41 Si vedano anche le osservazioni contenute nella successiva Relazione della Giunta generale del bilancio sul dise­gno di legge presentato dal Ministro del Tesoro (Corcano) nella seduta del 28 novembre 1907. Rendiconto generale consuntivo dell’Amministrazione dello Stato per l ’esercizio finanziario 1906-1907, in Apcd, Documenti, L. XXIII, Sessione 1909-1911, n. 7-A, pp. 661 ss.42 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 580. Per limitarsi ad un solo esempio, il costo del personale sanitaro gravava sui capitoli relativi ai corpi, istituti militari, ecc. ai quali il personale stesso veniva destinato. Veni­vano così alterati sia questi capitoli che quello formalmente destinato al “Corpo e servizio sanitario”.43 “Quando la struttura del bilancio è tale che, come abbiamo veduto, non rende possibile nemmeno il riscontro contabile delle cifre, che si prevedono; quando, come in passato è avvenuto, il Ministero può a detrimento della forza organica della truppa, mantenere nei quadri un numero di ufficiali subalterni superiore a quello stabilito dal­la legge; quando può fare a meno di chiamare sotto le armi i militari in congedo per la istruzione dei quali il Parla­mento ebbe a stanziare i fondi necessari, devolvendo queste somme a beneficio della forza permanente; quando, in­fine, non si è in grado né preventivamente, né consuntivamente di accertare il costo di ogni servizio, è inutile parla­re di riscontro costituzionale da parte della Corte dei conti e di controllo parlamentare. Così come stanno le cose il

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erano riscontrabili anche nella compilazione dei rendiconti, mentre all’inizio del secolo più della metà degli stanziamenti per l’eser­cito era gestita attraverso mandati di antici­pazione. Le contabilità delle compagnie di ciascun corpo costituivano l’unità ammini­strativa elementare dell’esercito, nella quale erano registrate dettagliatamente le singole operazioni, suddivise secondo le distinzioni proprie del bilancio di previsione. In questo modo si riproducevano gli inconvenienti sommariamente indicati a proposito della struttura del bilancio. Ogni corpo formava la propria contabilità riunendo quella delle diverse compagnie, ma la Corte dei conti non riceveva questa documentazione, bensì una sintesi, che riportava soltanto il numero complessivo dei soldati e degli ufficiali ed evidenziava, all’inizio di ogni trimestre, le variazioni rispetto a quello precedente (il che tra l’altro implicava che gli eventuali errori venivano perpetuati).

I criteri stessi in base ai quali la documen­tazione veniva prodotta rendevano così im­possibile una revisione efficace da parte del­la Corte dei conti. Le unità amministrative dipendenti dal ministero della Guerra, infat­ti, istituivano due tipi di rapporti ammini­strativi: il primo, destinato a provare il dirit­

to a percepire i finanziamenti, dava luogo a una documentazione che era resa pubblica all’esterno del ministero; il secondo, correla­to alla reale gestione delle risorse, era sot­tratto all’esame di organi esterni e veniva re­datto sulla base di ordinamenti e criteri au­tonomi rispetto al complesso delle leggi e de­gli ordinamenti dello Stato. La contabilità in possesso della Corte dei conti, quindi, servi­va soltanto a dimostrare il credito di ciascun corpo nei confronti dell’erario e non rappre­sentava il reale svolgimento dei fatti ammi­nistrativi44.

Formalmente i cardini del ministero della Guerra erano costituiti dall’autorità centrale e dalle numerose — circa trecento — unità amministrative, denominate genericamente “corpi” , che operavano in base a un regola­mento, privo di sanzione legale e modificato di continuo sulla base delle diverse esigenze, che risultava “all’infuori delle norme di con­tabilità generale”45 e che forniva la giustifi­cazione — sebbene sussistessero dubbi in proposito46 — dell’istituto delle masse, di notevole importanza per comprendere il funzionamento delle amministrazioni milita­ri. I conti delle masse facevano dunque par­te della contabilità interna dei corpi, dalla quale emergeva il risultato della gestione e i

ministro della guerra è sovrano assoluto nel suo dicastero, ed i legami di questo coi maggiori organi esterni di ri­scontro, dell’esistenza dei quali pur si lagna continuamente, quasi gli fossero di grande ostacolo a fare quanto è ne­cessario per le esigenze dei servizi, che da lui dipendono, non sono che vincoli apparenti e di scarsa efficacia” (Rela­zione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 582). Per primo ha richiamato l ’attenzione sulla questione G. Ro- chat, L ’esercito italiano nell’estate 1914, cit.44 Relazione, cit., p. 586. La cui gestione assumeva “la forma patriarcale della famiglia”, per cui, ad esempio, tra­mite la trattenuta sullo stipendio, ciascun corpo provvedeva a molteplici bisogni degli ufficiali. Ciò, oltre a costitui­re una violazione della legge sulla insequestrabilità degli stipendi, comportava un trattamento degli ufficiali — ed analogamente avveniva per i soldati — difforme rispetto a quello adottato nei confronti degli altri funzionari dello Stato e, ancora una volta, sottratto a controlli esterni. Su questi temi cfr. Orazio Monaco, L ’amministrazione nel­l ’esercito. Dal sistema delle “masse” aI decentramento, “Esercito e nazione”, gennaio 1929, pp. 62-63.45 Commissione d ’inchiesta per l’esercito, Roma, Tipografia delle Mantellate, 1908-1910, vol. IV, p. 141. Sulle proposte della commissione, cfr. p. 142. Anche a questo proposito essa riprese le osservazioni formulate dalla Giunta generale del bilancio: “Il servizio di amministrazione e di contabilità dei corpi del regio esercito è disciplina­to presentemente da un regolamento del 10 giugno 1898: regolamento anomalo perché emanato non solo in disso­nanza alla legge di contabilità dello Stato, ma in dissonanza alle norme, onde hanno esistenza ed efficacia giuridica i regolamenti di amministrazione” (Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 587).46 Commissione d ’inchiesta per l ’esercito, cit., vol. IV, p. 141.

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movimenti di magazzino. Lo Stato, in rap­porto al numero degli uomini e alle giornate di presenza, erogava somme che soltanto in piccola parte venivano incassate direttamen­te dagli interessati. I consigli di amministra­zione dei corpi percependo gli assegni rende­vano impossibile a organi esterni conoscere i risultati della gestione. Ne derivava la possi­bilità di commettere irregolarità di vario ge­nere e di costituire fondi utilizzabili per vari scopi. I consigli erano inoltre soggetti al controllo e all’ingerenza dell’autorità mini­steriale, che poteva decidere sulla destina­zione delle risorse, sebbene in linea di princi­pio queste potessero essere utilizzate soltan­to per il servizio dei corpi.

In gran parte le somme costituivano una serie di fondi — le “masse” — che dovevano servire alle diverse necessità, dall’alimenta­zione al vestiario, alle spese di ospedale, la cui gestione, che poteva comportare resi­stenza di somme non spese alla fine di cia­scun esercizio, spettava, in origine, a ciascun corpo47. La giustificazione originaria dell’i­stituto delle masse era la maggiore economi­cità e adeguatezza con la quale si potevano soddisfare le esigenze dei diversi corpi attra­verso un’amministrazione decentrata48. Il ministero aveva progressivamente ristretto i margini di autonomia delle autorità periferi­che, ottenendo in pratica di gestire la mag­gior parte delle quote assegnate ai corpi. La Commissione d’inchiesta sull’esercito calco­lò che su 89 centesimi destinati al manteni­mento dei soldati (esclusi i dieci centesimi della paga) soltanto 17 (il 19 per cento) era­no amministrati effettivamente dai corpi. Di

conseguenza alla fine del secolo l’istituto delle masse non era più giustificabile sulla base della motivazione originaria, che risale al Cinquecento, anche perché l’aumento ge­neralizzato del prezzo delle forniture aveva eliminato la possibilità di ottenere delle eco­nomie. Inoltre, nel caso si fossero verificate, il ministero poteva utilizzarle per ridurre i deficit di altri corpi, mentre l’utilità origina­ria delle masse era anche correlata al loro carattere di “gestione di lungo periodo”, in grado di affrontare esigenze particolari, sen­za rendere necessari, entro certi limiti, au­menti degli stanziamenti di bilancio. Alla fi­ne dell’Ottocento, quindi, il ministero non soltanto provvedeva a numerose esigenze delle truppe, ma invadeva la sfera di compe­tenza dei corpi. Occorre quindi capire per­ché le masse vennero mantenute fino al 1910 e delineare le trasformazioni attraversate dall’amministrazione della Guerra.

All’inizio del secolo le principali caratteri­stiche dell’istituto delle masse possono esse­re così riassunte: a) la crescita dei rapporti tra ministero e corpi aveva complicato le scritture contabili, con la conseguente scom­parsa dei vantaggi che da questo punto di vi­sta generalmente offre un’amministrazione decentrata; b) attraverso il conto corrente presso il ministero del Tesoro potevano esse­re oltrepassate le somme destinate dal parla­mento al mantenimento delle truppe, co­stringendo quindi quest’ultimo a intervenire periodicamente per eliminare i disavanzi49;c) il ministero poteva anche utilizzare i fondi per fini diversi da quelli indicati nei bilanci;d) la prassi consistente nel considerare le

47 Commissione d ’inchiesta per l ’esercito, cit., vol. IV, p. 138. Cfr. inoltre Felice De Chaurand De Saint Eustache, Come l ’esercito italiano entrò in guerra, Milano, Mondadori, 1929, pp. 68-70.48 In questo senso si esprimeva anche la Giunta generale del bilancio (Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passi­vo, p. 594) riconoscendo però subito dopo che “Siamo [...] di fronte ad un ordinamento contabile dei più compli­cati, e retto da norme che non hanno carattere legale: ordinamento che impedisce di conoscere quanto effettiva­mente costano i nostri soldati, e che non presenta in gran parte le garanzie di un controllo serio ed efficace”.49 In questo modo erano stati erogati ben 45 milioni tra l’esercizio finanziario 1880 ed il 1908-1909, attraverso il conto corrente intestato all’ufficio di amministrazione dei personali militari vari, sul quale si ritornerà. Si veda an­che M. Meriggi, Amministrazione civile e comando militare, cit., pp. 1384-1385.

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masse proprietà dei corpi permetteva di elu­dere il controllo parlamentare e degli organi “consultivi e sindacatori dello Stato”50; e) se formalmente la responsabilità per la gestio­ne degli stanziamenti era dei consigli di am­ministrazione dei corpi, questi disponevano di un potere decisionale assai ridotto, sia perché ciascun membro aveva nel coman­dante del corpo il proprio superiore gerar­chico, sia perché il ministero avocava a sé la maggior parte delle decisioni. Inoltre l’as­sorbimento del comandante nell’attività am­ministrativa limitava il tempo disponibile per quella strettamente militare. Figura chiave nel funzionamento dei corpi diveniva quindi spesso il direttore dei conti, sebbene, secondo le norme, la responsabilità spettasse al consiglio di amministrazione nel suo com­plesso51. Questa organizzazione, formal­mente basata sull’“accentramento nel mini­stero di ogni indirizzo amministrativo e dei servizi di carattere generale e di sindacato” e sull’“autonomia dei Corpi nella gestione della propria azienda, costituita come un en­te giuridico particolare mediante l’istituto delle masse”, “dovrebbe far presumere una maggiore semplicità ed un minor costo in confronto agli ordinamenti degli altri eserci­ti”52. Al contrario impediva il raggiungimen­to dello scopo soprattutto l’eccessivo accen­tramento del potere decisionale. Infatti l’au­torità centrale interveniva nelle più diverse materie di carattere strettamente militare e amministrativo (comprese le forniture), fa­vorendo la deresponsabilizzazione e la man­

canza di iniziativa dei comandi territoriali. Inoltre, disponendo di limitate informazio­ni, l’amministrazione centrale rendeva il controllo meno incisivo e il processo decisio­nale più lento e meno adeguato alle differen­ti necessità53. Un decentramento delle scelte avrebbe consentito di ridurre la spesa per il personale e di sottoscrivere contratti per for­niture sfruttando al meglio le possibilità of­ferte dai diversi mercati.

Si deve a questo punto delineare il ruolo dell’ufficio di amministrazione dei personali militari vari, “strumento potente ed accen- tratore” che “rende[va] possibile al Ministe­ro della guerra, d’infrangere anche le auto­rizzazioni limitative della legge del bilancio, menomando i diritti del Parlamento”54. Sor­to con il compito limitato di amministrare le “unità militari divise e sparpagliate in tutto il territorio del regno, che per la loro picco­lezza non potevano essere costituite in enti speciali con proprii consigli amministrati­vi”55, l’ufficio mutò funzioni da quando, nel 1875, potè disporre di un conto corrente con la tesoreria centrale dal quale attingere fon­di. Il ministero trasferì all’ufficio la compe­tenza relativa a varie somme spettanti ai cor­pi, per poterne quindi disporre per scopi non previsti dal bilancio. Inoltre l’ufficio creò un fondo gestito autonomamente sulla base, oltre che delle masse, dei contratti sti­pulati dall’amministrazione56. Regolamenti approvati tramite decreto reale stabilivano infatti che i lavori eseguiti a economia fosse­ro gravati a questo scopo da un aumento del

50 Cfr. anche Commissione per l'esercito, cit., vol. IV, pp. 155 sgg.51 Cfr. Commissione d ’inchiesta per l'esercito, cit., vol. IV, pp. 157 ss. e Enrico Bertini, L ’ordinamento ammìni- strativo-contabile militare. Critiche e proposte, Parma, 1919, pp. 12 ss., secondo' il quale “i Corpi dell’esercito, cioè le amministrazioni dipendenti [...] sembra abbiano ricevuto forma e regime tali che siano foggiate ed abbiano vita solo nel modo più conveniente all’amministrazione centrale” (pp. 12-13).52 Commissione d ’inchiesta per l ’esercito, cit., vol. IV, p. 142.53 Sulle caratteristiche che una efficace riforma avrebbe dovuto avere, cfr. Commissione d ’inchiesta per l ’esercito, cit., vol. IV, pp. 149 ss.54 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 621.55 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 590.56 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, pp. 602 sgg.

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tre per cento, con il duplice effetto di alterare il costo reale dei materiali e dei lavori forniti all’autorità militare e di spingere l’ammini- strazione a preferire questa forma contrat­tuale a quella, normalmente più vantaggiosa, che prevedeva il ricorso ad aste pubbliche. Crescita dei fondi gestiti discrezionalmente e aumento delle spese procedevano così paral­lelamente57. Con il conto corrente, gestito in “stato quasi permanente di illegalità” con l’approvazione dell’esecutivo e, in particola­re, del ministro del Tesoro, il ministero pote­va superare i limiti stabiliti dal bilancio per effettuare spese non previste e far fronte al­l’aumento del prezzo dei beni acquistati58. All’inizio del secolo l’ufficio di amministra­zione dei personali militari vari era divenuto “il massimo fattore d’illegalità amministrati­ve e contabili di ogni specie”59, un potente strumento dell’autorità ministeriale per aggi­rare le direttive parlamentari ovvero “uno dei massimi organi dell’amministrazione centrale, ed anzi lo strumento trasformatore della gestione sindacabile del bilancio per il servizio dei corpi dell’esercito, in gestione in­terna insindacabile”60.

Il quadro generale che si è cercato di deli­neare viene confermato dall’esame della ge­

stione delle forniture dei generi destinati alle truppe e ai quadrupedi. Al servizio viveri non era riservato un capitolo di bilancio, poiché le somme corrispondenti rappresenta­vano una quota del capitolo degli assegni per le truppe. Così l’amministrazione non era soggetta ad alcun controllo, mentre i con­tratti potevano essere stipulati indipendente­mente dalle norme di contabilità generale61. Su un totale di 8.807 e 8.921 contratti esami­nati dalla Corte dei conti, relativi rispettiva­mente agli esercizi finanziari 1901-1902 e 1902-1903, soltanto 1.691 e 1.707 erano stati preceduti da “pubblici incanti”, mentre i re­stanti erano stati aggiudicati tramite licita­zione o trattativa privata. In un numero an­cora più ridotto di casi (rispettivamente1.618 e 1.677), infine, era stato “preventiva­mente inteso” il Consiglio di Stato62, così co­me la legge richiedeva: “nello sconfinato campo della materia contrattuale” l’ammini­strazione poteva disporre di un ampio potere discrezionale, riducendo, in particolare, il ri­corso alle aste pubbliche63. Più in generale, procedure in contrasto con norme di legge e iniziative scarsamente pianificate e collegate tra loro denunciavano la difficoltà per l’am­ministrazione nel trattare con i fornitori64.

57 “Questa tendenza a procurarsi un artificiale e non legittimo incremento dei fondi di masse per poterne disporre senza controllo alcuno, è costante e continua per parte dell’amministrazione militare” (ivi, pp. 602-603). Erano as­segnate alle masse le multe e le trattenute sul salario degli operai degli stabilimenti militari, i salari degli operai av­ventizi relativi ai periodi in cui essi non prestavano lavoro, ecc. La Farmacia centrale militare, oltre a non giustifi­care una parte delle spese, sulla base del regolamento interno del 10 giugno 1898 accresceva la propria massa interna, peraltro non costituita per i bisogni delle truppe, con il ricavato dalla vendita dei medicinali (cfr. p. 604). Sulle masse e l’ufficio dei personali militari vari, cfr. anche Commissione d ’inchiesta per l ’esercito, cit., vol. IV, p. 150 sgg.58 Relazione, cit., Parte terza. li bilancio passivo, p. 592.59 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 591.60 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 560.61 Cfr. Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, pp. 506-607.62 Cfr. Relazione, cit., Parte sesta. Il controllo della Corte dei conti, pp. 117 ss., anche per la richiesta di maggiori informazioni sui contratti. Per elementi di valutazione degli interessi agrari legati alle forniture, cfr. Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 626-639. Per i fornitori i problemi erano soprattutto correlati alle clausole con­trattuali ed ai criteri seguiti nei collaudi; in diverse occasioni i tribunali civili avevano condannato il ministero per le procedure adottate (ivi, p. 612-613).63 Cfr. Relazione, cit., Parte sesta. Il controllo della Corte dei conti, pp. 117 ss., anche per le generiche informa­zioni fornite al parlamento.64 Cfr. anche l’intervento di Marazzi in Apcd, Discussioni, L. XXIII, l a Sessione, 26 giugno 1910.

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Per le commesse alle industrie si ricorreva spesso alla trattativa privata con le singole imprese65; anche la Commissione parlamen­tare di inchiesta sull’esercito rilevò irregola­rità nella stipulazione ed esecuzione dei con­tratti e, più in generale, le difficoltà dello Stato di fronte alle pressioni esercitate dai fornitori. Le ricerche svolte evidenziarono casi di esecuzione anticipata di contratti — riconoscendone tuttavia la necessità in rela­zione a “esigenze straordinarie” , in special modo per le commesse di artiglieria —, ri­tardi nelle consegne degli ordini di lavoro ai produttori, irregolare condono di multe, in­sufficiente celerità e severità nei collaudi. Altre osservazioni critiche riguardavano poi il fallimento di imprese, la variazione dei compensi mentre i contratti erano in corso, la distruzione di documenti concernenti le forniture66 nonché clausole di capitolati e schemi di contratto.

Per la stipulazione dei contratti, la legge stabiliva che oltre determinati importi (40.000 lire se conclusi dopo pubbliche ga­re, 8.000 se a partiti privati e 4.000 se a eco­nomia) l’amministrazione dovesse sentire il parere del Consiglio di Stato, in modo da “assicurare non solo la legalità, ma anche la convenienza e l’utilità delle clausole con­trattuali, e [da] impedire quelle postume controversie [tra lo Stato ed i suoi fornitori] che riescono tante volte dannose”67. Pur non essendo l’amministrazione obbligata a seguire i pareri di questo organismo, essa tentava in diversi modi di sottrarre i propri atti al suo esame, per esempio frazionando un unico acquisto in più contratti, ciascuno

dei quali fosse al di sotto dei limiti stabiliti dalla legge. L’autonomia nei confronti di organi esterni va sottolineata poiché essa consentì una più efficace azione degli inte­ressi privati, per i quali divenne un prezioso elemento il “tradizionale” sottrarsi delle amministrazioni militari alle istanze di pub­blicità e controllo.

Se il quadro delineato si riferisce in parti­colare ai primi anni del secolo, non si deve pensare che il “nuovo corso” giolittiano, in particolare con la crescita delle spese militari dalla metà del primo decennio del Novecen­to, abbia comportato l’adozione di criteri di­versi68. Per quanto riguarda il personale, nel­l’amministrazione centrale, per esempio, il bilancio di previsione per il 1909-1910 affian­cava ai 496 impiegati di ruolo, civili e milita­ri, ben 336 comandati69 e particolare impor­tanza aveva la progressiva occupazione delle cariche superiori da parte di militari a scapi­to di civili.

Un momento centrale della riorganizzazio­ne delle amministrazioni militari può essere individuato nel disegno di legge presentato alla Camera alla fine di aprile del 1910 e ri­guardante l’“amministrazione e contabilità dei corpi, istituti e stabilimenti militari” . Il provvedimento avrebbe modificato in più punti la legge di contabilità dello Stato e, benché discusso soprattutto in relazione al­l’esercito, interessava anche altre ammini­strazioni e, in particolare, la Marina. Il prov­vedimento venne presentato dalla Giunta ge­nerale del bilancio come una concessione nei confronti delle richieste della Camera, riba­dite dalla Commissione di inchiesta, relativa-

65 Ad esempio la fornitura di proiettili per il rinnovamento dell’artiglieria da campagna venne suddivisa tra la Me­tallurgica Tempini e la Metallurgica Glisenti, destinatarie, rispettivamente, di 1,8 e 2,4 milioni fino all’esercizio 1902-1903.66 Commissione d ’inchiesta per l'esercito, cit., vol. V ili, pp. 129 sgg.67 Commissione d ’inchiesta per l ’esercito, cit., vol. V ili, p. 110.68 Relazione per l ’esercizio finanziario 1906-1907, cit., p. 653, a proposito della mancanza di controlli sulle spese straordinarie. Sul perdurare delle difficoltà dei controlli sull’amministrazione, si vedano in particolare le conclu­sioni.69 Relazione per l ’esercizio finanziario 1906-1907, cit., pp. 653 sgg.

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mente al controllo delle spese militari70. Il regolamento di amministrazione, in vigore dal 1898, non era in linea con la legge di contabilità generale né era stato approvato nelle forme dovute71 e la nuova legge doveva costituire anche la base legale di un nuovo regolamento e, “con una serie di deroghe al­le tassative disposizioni contenute nella con­tabilità di Stato, permette[re] quella libertà d’azione necessaria all’amministrazione mi­litare”72.

Le disposizioni principali riguardavano l’eliminazione dell’istituto delle masse e del conto corrente con il Tesoro; stanziamenti più adeguati ai bisogni dei corpi (ovvero maggiori) e assegnati dalle direzioni di com­missariato, alle quali era trasferito il servizio di cassa; la costituzione in bilancio di un fondo di riserva destinato ai corpi, al quale ricorrere attraverso anticipazioni del mini­stero del Tesoro, per eventuali deficienze di cassa — e ciò significava “che il conto cor­rente col Tesoro, più che soppresso, v[eniva] trasformato con maggiori garanzie e disci­plina nel suo funzionamento e nel suo sco­po”73. Inoltre, al Consiglio dei ministri era conferita la facoltà di aprire un credito pres­so la Tesoreria centrale, utilizzabile per biso­gni straordinari, mentre erano previsti lo snellimento delle procedure e le modifiche

alle disposizioni sulle ispezioni e sui con­trolli. Il relatore parlamentare, Pais-Serra, sostenne che la proposta, oltre a semplifi­care notevolmente i servizi e consentire l’at­tuazione di economie e il controllo della Corte dei conti, comportava un decentra­mento amministrativo nella direzione più volte richiesta dalla Camera. È tuttavia possibile un’interpretazione diversa del provvedimento legislativo. Come si è visto, le masse rappresentavano ormai un istituto completamente trasformato rispetto ai tem­pi della loro costituzione e svuotato di gran parte delle funzioni da parte dell’autorità ministeriale. Come osservò Marazzi, un de­putato proveniente dal corpo ufficiali e più volte relatore sulle questioni militari, la leg­ge non soddisfaceva chi propugnava nell’e­sercito il decentramento, inteso come tra­sferimento alle autorità periferiche di poteri e responsabilità effettive74. Rendeva al con­trario l’amministrazione ancora più accen­trata, rafforzando la tendenza che aveva portato a sottrarre ai corpi la possibilità di utilizzare gli eventuali attivi della gestione delle masse. Scompariva così l’interesse di­retto delle unità amministrative periferiche a una oculata gestione in quanto le econo­mie potevano essere trasferite ad altri corpi.

70 Relazione della Giunta generale del bilancio sul disegno di legge presentato dal Ministro della guerra (Spingardi) di concerto col Ministro della Marina (Leonardi-Cattolica) e col Ministro del Tesoro (Tedesco) nella seduta del 28 aprile 1910: Amministrazione e contabilità dei corpi, istituti e stabilimenti militari, in Apcd, Documenti, L. XXIII, Sessione 1909-1910, n. 464-A, nonché l’intervento in aula del relatore Pais-Serra (Apcd, Discussioni, L. XXIII, 26 giugno 1910. Sulle critiche della Commissione d’inchiesta sulla struttura del bilancio e sul conto corrente col Teso­ro, cfr. Commissione d ’inchiesta per l’esercito, cit., vol. IV, pp. 160-167; sulla necessità di semplificare il funziona­mento dei servizi amministrativi e contabili si vedano le “Conclusioni finali” (vol. V ili, pp. 333-334).71 Cfr. Orazio Monaco, L ’amministrazione nell’esercito. II. Cenni retrospettivi, “Esercito e nazione”, 1928, p. 380.72 O. Monaco, L ’amministrazione nell’esercito. II, cit., p. 381.73 Relazione della Giunta generale del bilancio sul disegno di legge presentato dal Ministro della guerra, cit., p. 2 e M. Meriggi, Amministrazione militare e comando civile, cit., pp. 1415-1417.74 Egli sostenne che “le disposizioni proposte rispondono forse ad un concetto di accentramento e tendono forse a far sì che gli enti locali non abbiano quell’interesse che viene dall’amor proprio diretto ad occuparsi della Ammini­strazione”. Prendendo però atto della trasformazione in corso, annunciava comunque il proprio voto favorevole, in attesa di future iniziative nel senso del decentramento (Apcd, Discussioni, L. XXIII, l a Sessione, 26 giugno 1910.

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La Giunta generale del bilancio, sostenen­do che l’amminsitrazione militare rientrava “nella legge comune per quanto ha rapporto ai controlli costituzionali”, ne evidenziava i “bisogni” e la “fisionomia” singolari rispet­to agli altri ministeri, per giustificare la pre­senza, nella proposta, di “deroghe alla legge di contabilità dello Stato”75. Il disegno di legge semplificava le procedure necessarie allo svolgimento dei “fatti amministrativi maggiori, quali sono la amministrazione dei fondi e la esecuzione e la stipulazione dei contratti”76: questo, secondo lo stesso mini­stro, significava “affievolire o [...] togliere, talora, del tutto molti di quei freni che il prudente criterio del legislatore volle porre a garanzia della retta gestione del pubblico de­naro”, senza che questa maggiore “libertà” fosse bilanciata da un intensificarsi dei con­trolli. Mentre, infatti, la Commissione d’in­chiesta sull’esercito aveva sostenuto la ne­cessità di affidare tutte le ispezioni a funzio­nari civili, il ministero aveva preferito pro­porre l’esclusiva competenza di “autorità militari di grado elevato” per le ispezioni normali dei corpi di truppa (“senza esclude­re però per le ispezioni straordinarie il per­sonale civile”). Per gli altri scopi si stabilì una distinzione tra il controllo sulla parte tecnica, affidata al personale militare, e quello sulla parte amministrativa, affidato a funzionari civili. Infine si attribuì al ministe­ro del Tesoro il potere di svolgere ispezioni sulle direzioni di commissariato e sugli stabi­limenti dipendenti. Se si è già accennato allo scarso significato dei controlli interni al mi­nistero o effettuati dal Tesoro, va rilevato che, affidando le ispezioni ad autorità mili­

tari, si limitava la possibilità di sanzionare gli atti compiuti in violazioni a leggi o a re­golamenti, ma con il consenso dei superiori gerarchici. Contemporaneamente, come de­nunciava il deputato repubblicano Mazza, altre disposizioni portavano alla restrizione dei controlli della Corte dei conti, alla tra­sformazione del bilancio di competenza in bilancio di cassa (con la possibilità di creare debiti sui successivi esercizi) e attribuivano alle autorità periferiche maggiori poteri in materia contrattuale. Come si è detto, venne creato un conto corrente, la cui disponibilità massima doveva essere votata dal parlamen­to con lo stato di previsione della spesa77 e l’articolo 16 della legge conferì al Consiglio dei ministri il potere di ottenere crediti illi­mitati in condizioni particolari, definite in modo suscettibile di ampie interpretazioni. Con la legge del 1910, non soltanto i con­trolli divennero meno efficaci, ma si pensò che le semplificazioni introdotte giustificas­sero lo “sfascio” del corpo contabile, il cui organico venne immediatamente ridotto da 1.165 a 356 ufficiali. Di conseguenza le fun­zioni del direttore dei conti, figura centrale nell’amministrazione dei corpi, “furono spesso affidate ad ufficiali inesperti proprio nel momento in cui si sentiva maggiore il bi­sogno del tecnicismo per liquidare il passato ed iniziare il nuovo sistema”78.

I successivi eventi bellici accentuarono la crisi del sistema contabile-amministrativo, mentre non si realizzarono né una maggiore subordinazione dell’amministrazione al legi­slativo (prospettata dal governo e dal relato­re parlamentare) né il contenimento delle spese:

75 Relazione della Giunta generale del bilancio sul disegno di legge presentato dal Ministro della guerra, cit., p. 1.76 Relazione della Giunta generale sul disegno di legge presentato dal Ministro della guerra, cit., p. 3.77 Analogamente era stato aperto in precedenza un conto corrente tra il ministero del Tesoro e quella della Marina “per il servizio di cassa delle RR. navi che non si trovano nella posizione amministrativa di disarmo” (legge 20 giu­gno 1909, n. 366)78 O. Monaco, L'amministrazione nell’esercito. Dal sistema delle “masse” al decentramento, cit., p. 64. Diversa- mente la Commissione d’inchiesta aveva sostenuto la necessità di un’intensificazione dei controlli parallelamente al decentramento ed alla soppressione delle masse (Commissione d ’inchiesta per l ’esercito, cit., vol. V, pp. 18 sgg.).

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i Corpi infrenati sino allora dalla minuziosa rigi­dità delle masse furono naturalmente inclini a spendere, senza eccessiva ponderazione, e la compilazione dei rendiconti si arrestò, sia per de­ficienza di personale idoneo e sia per le due cause eccezionali gravissime quali la guerra di Libia pri­ma e la grande guerra poi79.

D’altra parte, la struttura amministrativa centrale restava rigidamente accentrata, mentre il decentramento veniva attuato al­l’esterno di essa, dal momento che ciascuna divisione poteva agire autonomamente80. In questo senso la trasformazione è, quindi, parallela al coevo aumento delle attribuzioni dei capi di stato maggiore della Guerra e della Marina81, che poterono così disporre di strutture più autonome nei confronti di or­gani costituzionali esterni e dello stesso po­tere espresso dal ministro.

Il ministero della Marina

Il bilancio della Marina presenta numerose affinità con quello della Guerra, dalla strut­tura criptica alla ripartizione in capitoli con denominazione generica e troppo ampia, al­la suddivisione della stessa materia in diversi capitoli. Tra le ragioni di questo assetto vi era la volontà di poter spostare il personale da un ufficio all’altro e accrescere le retribu­zioni, specie degli alti gradi, nascondendo il costo di alcuni settori deH’ammimstrazione senza rispettare le disposizioni sugli stipen­di. Anche il ricorso a comandati servita a occultare parte delle spese connesse al fun­zionamento dell’apparato centrale. La con­tinua crescita del numero degli impiegati e del loro potere derivava anche dall’accentra­

mento delle decisioni, che accresceva il pote­re dei ministri82. La stessa costituzione orga­nica degli uffici si sottraeva alle disposizioni di legge, mentre venivano creati incarichi speciali e cariche a beneficio di singoli. Gli impiegati del ministero potevano inoltre at­tingere da diversi capitoli per accrescere le proprie retribuzioni; soprassaldi e gratifica­zioni erano infatti ottenuti dalle spese casua­li e destinate alla marina mercantile, ma so­prattutto dal fondo per il pagamento degli operai degli arsenali. Per gli impiegati collo­cati ai livelli più bassi, inoltre, i “soprassol­di” venivano assegnati regolarmente, costi­tuendo, quindi, l’equivalente di un aumento di stipendio deciso dall’amministrazione. Più in generale, alcune caratteristiche della struttura del bilancio accentuavano il potere discrezionale dell’amministrazione in rap­porto alle spese per il personale.

Speciale rilevanza assumeva, all’inizio del secolo, la gestione del debito vitalizio, banco di prova della capacità del ministero di ap­plicare le leggi in maniera conforme alla vo­lontà del parlamento. La legge del 13 giugno 1901, n. 258, relativa agli operai degli arse­nali militari, stabiliva la riduzione del perso­nale mediante il blocco delle assunzioni, sen­za indicare un limite di tempo per arrivare a un totale di 12.000 lavoratori in tutto il re­gno e permettendo inoltre assunzioni nei gradi più bassi della gerarchia, in rapporto alle esigenze del processo produttivo. Nel complesso, si sarebbe dovuta ottenere una riduzione della spesa per i salari, ma non, necessariamente, del debito vitalizio, dal momento che il pensionamento doveva co­stituire uno dei principali canali di uscita dal servizio del personale. Oltre a rendere im-

79 O. Monaco, L ’amministrazione nell’esercito. Dal sistema delle “masse” al decentramento, cit., p. 64.80 E. Bertini, L ’ordinamento amministrativo-contabile militare, cit., p. 7.81 Cfr. G. Rochat, L ’esercito italiano nell’estate 1914, cit., pp. 321-323; Giorgio Rochat-Giulio Massobrio, Breve storia dell’esercito italiano dal 1861 al 1943, Torino, Einaudi, 1978, p. 155; M. Meriggi, Militari e istituzioni politi­che, cit.; Id., Amministrazione civile e comando militare, cit., pp. 1412 ss.82 Cfr. Apcd, Discussioni, L. XXII, 7 maggio 1901, intervento di Magnaghi e replica del ministro Morin.

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possibile il controllo del parlamento sull’ese­cuzione della legge, non essendo disponibili separatamente i dati relativi alla spesa per le pensioni e quelli sulle retribuzioni degli ope­rai (la cui differenza avrebbe rappresentato il vantaggio ottenuto dall’erario in conse­guenza della legge del 1901), l’amministra­zione adottò il provvedimento, contrario al­lo spirito della legge, consistente nell’asse- gnare premi ai lavoratori che, presentando domanda di riposo, avrebbero evitato che la spesa per la loro pensione rientrasse in quel­le assegnate d’autorità.

Tralasciando in questa sede il problema degli stanziamenti destinati alla marina mer­cantile, si devono proporre alcune conside­razioni sui rapporti che le somme per com­pensi di costruzione e premi di navigazione avevano con il resto del bilancio. Anche in questo caso, la capacità del parlamento di usare i fondi per potenziare determinati set­tori produttivi risultava limitata dalla caren­za di informazioni: l’insufficiente specializ­

zazione del bilancio, infatti, non consentiva di conoscere la portata finanziaria delle di­verse forme di promozione della marina mercantile (premi di costruzione, premi di viaggio per piroscafi e velieri e, infine, com­pensi per riparazioni), elemento necessario per valutarne i benefici. A proposito di que­sto capitolo, la legge del 16 maggio 1901, n. 176, stabiliva uno stanziamento di 40 milio­ni in cinque anni, al termine dei quali si sa­rebbero versate le eventuali economie albe­rano o provveduto ai maggiori impegni con nuovi finanziamenti. Il ministero interpretò in maniera estensiva la legge sul consolida­mento del bilancio, di poco posteriore a quella sulla marina mercantile e non conce­pita in modo da riformarne uno degli aspetti principali, e quando, alla fine dell’esercizio 1903-1904, una forte somma risultò non uti­lizzata, la trasferì al fondo per la riprodu­zione del naviglio da guerra. Il capitolo ven­ne quindi accresciuto, come nel caso della spedizione in Cina83, da somme destinate dal

83 Le cifre indicate a questo proposito dalla Ragioneria generale delio Stato (Il bilancio del regno d ’Italia negli esercizi finanziari dal 1862 al 1912-1913, Roma, 1914) differiscono lievemente da quelle fornite da Mario De Ver- gottini (Le statistiche finanziarie, cit.). In ogni caso occorre considerare che tra il 1902-1903 ed il 1912-1913 in se­guito al trattato di Pechino l’Italia ricevette 40,35 milioni di lire (ivi, p. 564). Tuttavia nemmeno le somme residue (14-16 milioni) rappresentano il costo reale dell’operazione, poiché le amministrazioni gonfiarono le spese con som­me destinate al “normale” funzionamento delle forze armate. La sotto-commissione per i rendiconti consuntivi rile­vò anzitutto l’estremo disordine amministrativo delle contabilità per gli esercizi 1901-1902 e 1902-1903. Non si era ricorso a normali anticipazioni di bilancio, mentre le autorità militari in Cina adottarono erronei provvedimenti amministrativi. Ne derivò “lo sconcio amministrativo di non trovare ancora [alla metà del 1905] sistemate le conta­bilità riferentisi all’esercizio 1900-1901”. Due irregolarità illustrano il carattere della gestione e le sue finalità. La conseguenza dell’esistenza del conto corrente dell’ufficio dei personali militari vari era che “nel caso presente noi abbiamo in complesso la grossa somma di lire 4,024,827.77 [...] la quale non è neppure in piccola parte coperta da anticipazioni; il che vuol dire che fino a quando non ne sia avvenuta la regolazione completa, cioè fino al saldo del conto mediante mandati di rimborso a carico del bilancio passivo, tutta quella spesa si può considerare fatta ed an­zi lo è effettivamente, fuori bilancio [...] Altra cosa degna di essere segnalata è la impossibilità in cui si sono trovati la Corte dei conti prima, e di conseguenza il Parlamento, di controllare le ingenti spese attribuite alle masse, le qua­li soltanto nella contabilità allegata al primo dei decreti citati [il d.m. n. 4 del 9 giugno 1904], figurerebbe nella co­spicua somma di lire 560 mila [...] questi due gravi appunti di massima [...] di per se stessi conferiscono un caratte­re di irregolarità costituzionale a tutta la gestione relativa alle truppe italiane all’estremo oriente”. Analogamente per la Marina: mentre “tutte le spese le quali si sarebbero ugualmente eseguite [...] avrebbero dovuto imputarsi ai capitoli ordinari del bilancio”, lo stanziamento per l’impresa finì per comprendere “tutte le spese relative alle navi ed agli equipaggi, meno gli stipendi dovuti agli ufficiali addetti al corpo di spedizione”: “si sono caricate sul capito­lo della Cina tutte quelle spese riferentesi a navi che stavano nei nostri porti o cantieri, sol perché esse avevano rice­vuto l’ordine di raggiuntere quanto prima quella squadra” (Cfr. Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 617 e p. 733). Veniva così falsato il rendiconto consuntivo e soprattutto venivano accresciuti i crediti totali. Infatti nella legge 13 giugno 1901, n. 217, sul consolidamento del bilancio della Marina, non erano comprese le spese per

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parlamento ad altri scopi. Nel caso della leg­ge sull’incoraggiamento della marina mer­cantile, la manovra del ministero si risolse in un aumento dei sussidi e dei premi totali e non in un trasferimento di somme da un ca­pitolo all’altro, dal momento che l’imposta­zione di nuove unità nei cantieri privati — allo scopo di usufruire dei vantaggi previsti dalla legge — rese in seguito necessari nuovi stanziamenti.

A proposito della parte principale, in ter­mini quantitativi, del bilancio — la spesa per la marina militare — si può anzitutto notare che la definizione della “posizione” delle navi, ovvero il loro concreto utilizzo, era materia di esclusiva competenza dell’ese­cutivo84, che poteva sfruttare anche questi capitoli per “correggere” le retribuzioni, specialmente delle alte gerarchie, nonostante le direttive parlamentari, creando palesi dif­ferenze di trattamento non evidenziate in bi­lancio. Più in generale, capitoli dal contenu­to eterogeneo consentivano di alterare la de­stinazione di somme che avrebbero dovuto servire unicamente al servizio delle navi.

La gestione dei quattro principali corpi della marina (Stato Maggiore, Genio, Com­missariato e Sanitario) si caratterizzava ana­logamente per la mancata distinzione tra spese fisse e variabili e per l’ampia discrezio­nalità dell’amministrazione nella determina­zione delle indennità speciali. Entrambi i fe­nomeni contribuivano ad accrescere note­volmente le spese85; inoltre più volte il mini­stero aveva aumentato irregolarmente il nu­mero dei posti ai livelli più alti della gerar­chia. Particolare era l’organizzazione del

corpo di Commissariato, non soltanto per­ché esso riuniva funzioni incompatibili se­condo la legge di contabilità generale dello Stato, quali quelle ordinative della spesa e di riscontro contabile, ma perché in realtà si trattava di un ente che amministrava soltan­to “sulla carta” , dal momento che ogni uni­tà aziendale della marina poteva decidere sulle spese in maniera autonoma. Sulle navi, infine, si ripeteva la mancata distinzione tra la gestione di cassa e l’aggiornamento delle scritture86. La complicazione dei meccanismi burocratici era dovuta sia all’ampliarsi delle funzioni amministrative, sia alla difesa nei confronti di interventi e controlli esterni. In realtà i veri amministratori erano coloro che si trovavano al vertice delle singole unità aziendali; nel 1904, con l’intento di modifi­care una situazione del tutto irregolare, ven­nero attribuite nuove funzioni amministrati­ve alle direzioni di commissariato esistenti a Taranto e presso i tre dipartimenti marittimi nei quali era suddiviso il territorio naziona­le. Così gli stanziamenti destinati agli arse­nali, alle navi e alle altre unità erano intesta­ti a tali direzioni e inoltre a ciascuno di tali “enti amministrativi fittizi” era attribuita una competenza per materia e non territo­riale, fonte di notevoli complicazioni e spe­se87.

Le successive trasformazioni resero anco­ra più complicato il funzionamento del mi­nistero, tanto che, secondo la Giunta gene­rale del bilancio, soltanto una radicale rifor­ma avrebbe potuto stabilire chiaramente le attribuzioni e responsabilità di ciascun ente, così come le modalità e i soggetti istituziona-

guerre o spedizioni militari. Attribuendo quindi alle spese per la Cina somme appartenenti a quello che potremmo chiamare il bilancio normale, si otteneva la riduzione di diversi capitoli che andava, data l’invariabilità verso il basso dei crediti militari complessivi, ad accrescere di una somma equivalente il capitolo sulla riproduzione del naviglio.84 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 669.85 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, pp. 680-681.86 “La distinzione [...] delle funzioni amministrative in applicazione alla quale si sono in tutte le aziende ben ordi­nate assegnati ad ognuna di esse organi separati [...] non è stata introdotta negli ordinamenti amministrativi-conta- bili della regia marina” (Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, pp. 682-683).87 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 683.

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li incaricati di controllarne l’operato. Né la Corte dei conti né la ragioneria del ministe­ro, infatti, disponevano degli strumenti ido­nei al controllo della contabilità, dovendosi quindi basare sul lavoro svolto dall’ufficio di revisione del commissariato militare, che, proprio per la dipendenza diretta nei con­fronti dell’amministrazione, funzionava in pratica sulla base delle indicazioni ministe­riali e non poteva quindi svolgere un con­trollo autonomo sulle spese. Ne derivava che la contabilità prodotta dall’amministrazione non poteva essere utilizzata per un controllo dei suoi atti88. Queste osservazioni risultano confermate anche dall’analisi di singoli enti. I capitoli relativi al corpo reali equipaggi non soltanto riunivano spese di diverso ge­nere, ma comprendevano fondi gestiti irre­golarmente. Sulla composizione delle som­me stanziate per il vestiario né la Corte dei conti, né la Giunta generale del bilancio di­sponevano di alcun elemento conoscitivo. Cosìmentre per tutti i servizi le minime spese sono sottoposte ad una quantità di cautele, da taluno ritenute eccessive, si [è] lasciata la mano libera al corpo reali equipaggi per una gestione così im­portante come quella del vestiario, giacché esso può fare i suoi contratti nei modi e nelle forme che meglio a lui piacciono senza essere sottoposto a nessuna autorità tutoria, giacché l’approvazio­ne del ministero [...] non può rappresentare in al­cun modo il riscontro costituzionale che deve es­sere fatto soltanto dalla Corte dei conti89.

Risultava inoltre il mancato rispetto della norma generale secondo la quale “tutti i contratti de[vono] essere approvati con de­creto da registrarsi alla Corte dei conti” . Ne

conseguiva che non tutte le somme erano usate per il rinnovamento del vestiario e che le carenze, più volte denunciate, nei magaz­zini di mobilitazione erano anche dovute al­la volontà dell’amministrazione di costituire un proprio patrimonio liquido, formalmente capitalizzato fino agli ultimi anni del secolo. Successivamente il fondo venne mantenuto e il parere contrario della Giunta generale del bilancio, nella presentazione dello stato di previsione della spesa per l’esercizio 1899- 1900, rimase senza esito pratico poiché il parlamento cessò di occuparsene.

Il mancato versamento al Tesoro delle somme non utilizzate per l’acquisto del ve­stiario portò dunque alla creazione di un fondo gestito senza alcun controllo che, pri­ma del febbraio 1899, ammontava a 1.990.000 lire. Dal momento che la somma era depositata presso la Cassa depositi e pre­stiti, si verificava la situazione paradossale per cui un fondo pubblico costituito in vio­lazione a leggi di spesa era fonte di utili a ca­rico dell’erario stesso e a favore di una sin­gola amministrazione. In seguito all’inter­vento della Giunta generale del bilancio, il deposito venne ritirato dalla Marina, per una destinazione che i parlamentari incari­cati della relazione sul conto consuntivo non poterono appurare.

Analogamente, dal momento che la ge­stione delle masse risultava “cosa di ordine interno, non sottoposto ad altro riscontro che quello amministrativo esercitato dal Mi­nistero, che spesso si vale della sua autorità per ordinare anche pagamenti non aventi nessun rapporto col servizio del corpo”90, l’amministrazione ricorreva “a tutti gli espe-

8 Tanto che “un’azienda la quale volesse nelle parvenze esteriori dimostrare di essere controllata all’eccesso, per avere nella sostanza la massima libertà di azione, non potrebbe escogitare espedienti migliori” (Relazione, cit., Par­te terza. Il bilancio passivo, p. 686).89 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 688.90 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 692, ove si ricorda anche l’espediente, “sanzionato dal regola­mento per i lavori del genio militare [...], in forza del quale tutti i lavori ed economia subiscono una umento del 3 per cento da andare a vantaggio delle masse”.

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dienti” per accrescerne i fondi. Più in gene­rale, l’amministrazione tendeva a perpetuare le gestioni — dal servizio di sanità militare91, all’accademia, alla scuola macchinisti, al fondo di scorta per le navi — che si sottrae­vano alle disposizioni generali. Questa ten­denza non costituiva una semplice sopravvi­venza di strutture amministrative arcaiche, ma corrispondeva a una precisa politica nei confronti della temuta invadenza del parla­mento nel “sottosistema economico mili­tare”:Appena un dato servizio si presti, ecco che si dà ad esso una configurazione speciale in modo da permettere il costituirsi di un fondo da spendersi alPinfuori di ogni vigilanza, tanto perché l’ammi­nistrazione possa aumentare le somme da erogar­si senza la più piccola ingerenza di un potere ad essa estraneo92.

Dal momento che le eventuali economie potevano essere utilizzate discrezionalmente, al parlamento risultava anche preclusa la possibilità di stabilire la congruità degli stanziamenti rispetto alle varie funzioni del­le forze armate.

Se si passa alla questione delle forniture e, in generale, alla organizzazione della produ­zione di armamenti, si comprende quale li­bertà d’azione rispetto ai committenti l’am­ministrazione mirasse a mantenere. È evi­dente che soltanto conoscendo i costi di cia­scuna unità navale era possibile valutare l’efficienza degli arsenali della Marina. Di­versi erano tuttavia gli ostacoli frapposti al­l’acquisizione dei dati necessari, anche per la mancanza di decise iniziative parlamentari

in proposito, nonostante le irregolarità ri­scontrate nella gestione. Tra gli impedimenti di natura tecnica vi era la difficoltà di sepa­rare nettamente i materiali destinati ai diver­si usi (riparazioni, costruzioni di nuove uni­tà, lavori negli arsenali, eccetera) e destina­zioni (per 1’esistenza di due direzioni, di co­struzioni e di artiglieria e armamenti). An­che il personale veniva impiegato in entram­be le direzioni a seconda delle necessità, seb­bene il bilancio prevedesse distintamente i fondi relativi. Infine vi erano capitoli nei quali le spese per il personale erano confuse con quelle di altro genere. Gravi risultavano le conseguenze, dal momento cheil Ministero nell’esercitare il suo riscontro ammi­nistrativo sugli stabilimenti aventi carattere indu­striale, non si trova[va], rispetto alle direzioni dei lavori, in migliori condizioni di quelle nelle quali si trova[va] l’ufficio preposto al riscontro costitu­zionale nell’adempimento del proprio mandato, onde le direzioni suddette divengono delle vere amministratrici senza controllo93.

In definitiva tutti i materiali acquistati o prodotti negli arsenali venivano considerati come un blocco unico, del quale disporre in­dipendentemente dalle indicazioni parla­mentari e dal controllo della Corte dei con­ti94.

Più in generale, si palesavano i limiti della struttura del bilancio dello Stato, dal mo­mento che i cantieri militari erano imprese di tipo industriale, per le quali quindi erano importanti sia le variazioni patrimoniali sia il risultato economico della gestione. L’“a- nomalia amministrativo-contabile della

91 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 693. Il Procuratore generale della Corte dei conti parla, in un documento del 7 dicembre 1905, del “gran disordine che regnava presso l’ospedale della Maddalena”, della viola­zione delle norme generali di contabilità e delle Istruzioni sul servizio dei lavori e del materiale del genio (Archivio storico della Camera dei deputati, Inchiesta Marina militare, Contabilità. Documenti dal n. I al n. 188, vol. I, Cor­te dei conti. Procura generale. Affari trattati dal 1900 al 1905 in materia di responsabilità di funzionari dipendenti dal Ministero della Marina).92 Cfr., anche per altri particolari, Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 693.93 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 701.94 Cfr. Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 702.

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mancanza di corrispondenza fra l’ordina­mento degli arsenali e la compilazione del bilancio” non venne neppure intaccata dalla legge sul consolidamento delle spese militari dell’inizio del secolo, che, anzi, complicò le cose dal punto di vista contabile95. È a que­sto punto opportuno aggiungere che, per en­trambi i ministeri, soltanto un’analisi più ravvicinata delle singole spese potrebbe pre­cisare in quali casi lo spostamento di fondi tra capitali diversi fosse motivato non dalla volontà di sottrarsi alle indicazioni del par­lamento quanto dal fatto che le leggi impo­nevano criteri troppo rigidi rispetto alle mu- tevoli necessità del sistema militare. In defi­nitiva, una volta che i materiali erano usciti dai magazzini, veniva a mancare qualsiasi vigilanza, proprio quando era più importan­te verificarne l’uso; tanto che, secondo la più volte citata relazione Saporito,neppure l’amministrazione colla scorta dei sinda­cati tecnici, eseguiti in base al regolamento nelle Direzioni dei lavori, potrebbe stabilire il rapporto fra i consumi da una parte ed i prodotti ricavati dall’altra. Quanto al controllo della Corte dei conti esiste a questo riguardo una lacuna immen­sa, ciò che rende inefficace ed inutile qualunque altro riscontro precedente e susseguente: un vero salto nel buio96.

Tralasciando una valutazione dell’effi­cienza degli arsenali, si può quindi sottoli­neare che il decentramento non comportava necessariamente economie di spesa.

Per quanto riguarda il tema, decisivo, del­la distribuzione delle commesse, occorre quindi valutare il grado di autonomia del­l’amministrazione militare esaminando le procedure adottate in rapporto alle disposi­zioni vigenti. Un primo elemento significati­vo è la prevalenza delle “licitazioni e tratta­

tive private”, previste dalla legge soltanto in casi particolari, rispetto al ricorso, che avrebbe dovuto costituire la regola, ai “pub­blici incanti”, che temperavano il potere di­screzionale dell’amministrazione. Su 789 contratti relativi all’esercizio 1901-1902, in­fatti, soltanto 113 (il 14 per cento circa) fu­rono preceduti da pubbliche gare, mentre nel successivo esercizio lo furono 154 (il 18,5 per cento) su 834. Inoltre il ministero si ri­servava la possibilità di scegliere autonoma­mente, adottando nei concorsi un duplice parametro per l’acquisto dei materiali, sosti­tuendo cioè alla sola considerazione di ordi­ne finanziario, sulla base di un preciso capi­tolato tecnico, un giudizio di carattere sia fi­nanziario che tecnico. Non è una differenza di poco conto, perché in questo modo si im­pediva alle commissioni dei concorsi di for­mulare una decisione, non essendo queste ultime competenti pèr una valutazione tecni­ca. Lo stesso motivo precludeva al Consiglio di stato e alla Corte dei conti (incaricati, ri­spettivamente, di “dar parere sulla conve­nienza amministrativa e sulle forme legali” e di registrare i decreti dopo averne constatata la regolarità) la possibilità di svolgere effica­cemente il proprio mandato. Il ministero ac­quisiva così piena libertà di decisione, po­tendo “accettare patti economicamente me­no convenienti per considerazioni d’indole sulla quale l’autorità tutoria non può poi pronunciarsi”97. Vi erano inoltre inadem­pienze rispetto alla legge di contabilità gene­rale che risultavano utili ai fornitori, come le disposizioni sulla dispensa dall’obbligo di versare cauzione o sui termini per il paga­mento del saldo delle forniture, indipenden­temente dall’avvenuto collaudo. Questa clausola, in apparenza volta a tutelare il for­

95 Sulle proposte di riforma, miranti a non lasciare “il Parlamento all’oscuro di tutto” cfr. Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, pp. 706 ss.; sull’attendibilità dei consuntivi si veda in particolare p. 708.96 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 711.9' Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 716.

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nitore, rivelava un funzionamento irregolare dell’amministrazione sotto il profilo legale, ma anche produttivo. Dal carente coordina­mento delle lavorazioni conseguiva in que­sto caso un trattamento di favore per i for­nitori, accentuato dalla scarsa severità e dal­le insufficienti garanzie al momento dell’ac­cettazione dei materiali prodotti dalle indu­strie private.

In materia contrattuale anche la Commis­sione d’inchiesta sulla marina riscontrò pro­cedure irregolari, in particolare volte a elu­dere i controlli98. Risultavadominante nella gestione relativa alle forniture delle artiglierie, e non in quella sola, cotesta ten­denza ad eliminare l’intervento dei corpi consulti­vi voluti dalla legge, a sottrarvisi in tutti i modi, sia eludendo la legge ed i regolamenti, sia violan­doli addirittura, quasiché l’opposizione di inte­resse non fosse fra lo Stato ed i suoi fornitori, ma fra l’Amministrazione della marina e i corpi con­sultivi, anche quando questi sono nel suo seno99.

Per aggirare le disposizioni si ricorreva al frazionamento delle commesse in più con­tratti, ciascuno relativo a somme comprese nei limiti entro i quali non si doveva ricorre­re al parere del Consiglio di stato. Spesso veniva adottato il tipo di contratto più sem­plice, a economia, caratterizzato dalla trat­tativa verbale e consentito per motivi urgenti e per somme non eccedenti le 4.000 lire. L’amministrazione, inoltre, assegnava a vol­te le forniture prima che i contratti fossero approvati e utilizzava la clausola detta del “quinto facoltativo” — che permetteva di acquistare un ulteriore 20 per cento dei ma­

teriali previsti nei contratti — per ottenere invece generi diversi. Spesso erano adottate procedure semplificate sfruttando le dero­ghe previste per i casi di urgenza; si ricorre­va in maniera eccessiva ai mandati di antici­pazione; si condonavano le multe o addirit­tura non le si prevedevano al momento della stesura dei contratti100. Nell’eseguire i paga­menti, come si è detto, la regola generale di ricorrere ai mandati diretti veniva sovvertita sistematicamente con il ricorso, giustificato in un numero limitato di casi, alle anticipa­zioni, che raggiunsero i 57,6 milioni nell’e­sercizio 1901-1902 e i 58,2 in quello successi­vo: cifre non indifferenti, alle quali si devo­no aggiungere le altre su cui il controllo era susseguente. Inoltre esse erano utilizzate senza le garanzie previste: basti pensare che a metà del 1905 la Corte dei conti non aveva ancora ricevuto la documentazione sulle an­ticipazioni fatte nell’esercizio 1901-1902101. A queste irregolarità si aggiungeva la varia­zione dei contratti e dei relativi prezzi men­tre ne era in corso l’esecuzione, anche se quest’ultimo procedimento poteva essere giustificato in presenza di clausole di revisio­ne dei prezzi o di materiali bellici soggetti a rapida obsolescenza.

Anche nei rapporti con il personale, il mi­nistero della Marina presentava diverse pe­culiarità. Anzitutto le contabilità indicavano le somme totali assegnate a ciascun corpo, ma non la destinazione reale dei fondi. Quelli destinati alle retribuzioni operaie era­no suddivisi in quattro capitoli, due dei qua­li comprendevano però spese di altro ge-

98 A questo proposito si sottolineava “l’isolamento dal parlamento nel quale l’Amministrazione della marina si [era] costantemente mantenuta nel prendere le sue risoluzioni”. Sui collaudi cfr. Relazione, cit., Parte terza. II bi­lancio passivo, p. 718 ss.99 Commissione di inchiesta sulla R. Marina, Roma, BerteroeC., 1906, vol. I, p. 155.100 Le irregolarità indicate ed i metodi seguiti per eludere i controlli sono ampiamente documentati nei volumi della Commissione di inchiesta sulla R. Marina, cit.101 Cfr. Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, pp. 722 ss. Così il parlamento doveva esprimersi su rendi­conti non completamente controllati, mentre le osservazioni della Corte risultavano prive di conseguenze dal mo­mento che erano espresse molto tempo dopo la chiusura della contabilità alle quali si riferivano.

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nere. Di conseguenza non era possibile calco­lare l’ammontare totale dei salari, uno degli elementi necessari per un giudizio sulla pro­duttività e per valutare il raggiungimento del­l’obiettivo (la riduzione della manodopera e quindi delle spese) indicato dalla legge del giu­gno 1901 sui cantieri navali militari. Non a ca­so la sottocommissione per il bilancio attri­buiva il fallimento della legge102 all’errore compiuto dal legislatore affidandone l’appli­cazione all’amministrazione, senza uno stret­to controllo della Corte dei conti, lasciando inoltre alla Marina, unica tra i ministeri, il po­tere di assumere illimitatamente personale straordinario. Negli anni successivi il funzio­namento del dicastero non variò molto rispet­to al modello delineato e permasero il peso sproporzionato delle spese generali e il ricorso sistematico ai mandati di anticipazione, an­che se con alcune iniziative l’amministrazione sembrò accogliere le richieste della Giunta ge­nerale del bilancio. 11 personale dell’ammini- strazione centrale continuò a essere formato in maggioranza da militari: il fenomeno, pari- menti riscontrabile nel ministero della Guer­ra, determinava la sovrapposizione della struttura gerarchica militare a quella ammini­strativa e la possibilità della prima di condi­zionare il potere espresso dal ministro103.

Il bilancio fu inoltre reso ancora più crip­tico: dal 1905-1906 si riunirono in due capi­

toli le spese (per manutenzione e manodope­ra) relative alla costruzione e alla riparazio­ne delle navi, con il risultato di “legalizzare e rendere definitivo l’inconveniente gravissi­mo della confusione di ordine di lavori, i quali, nella contabilità interna del Ministe­ro, come nel riscontro parlamentare, devo­no essere distinti”104. Dal 1909 venne adotta­ta anche una deroga a quello che, secondo10 stesso ministro del Tesoro, rappresentava11 “principio fondamentale del bilancio ita­liano”, ovverossia il “principio della compe­tenza degl’impegni”105. Si consentì infatti, per le spese straordinarie della Guerra e del­la Marina, che, nel corso di ciascun eserci­zio, si pagassero anche somme inserite in quello successivo. Né la gravità della scel­ta106 viene ridimensionata dai tentativi, l’an­no seguente, di mitigarne gli effetti modifi­cando il bilancio. Che il fatto non fosse iso­lato lo dimostrarono l’impresa libica — quando, per quanto concerne le forniture, le autorità militari mirarono ad ampliare le scorte e a sostituire i materiali prelevati dai magazzini militari con i migliori prodotti di­sponibili107 — e le successive trasformazioni nella struttura dei bilanci che, alla vigilia della prima guerra mondiale, divennero an­cora più sintetici. Nello stato di previsione per l’esercizio 1914-1915 a un unico capitolo era destinata la somma di 90 milioni, con

102 Nel 1901-1902 vennero spesi 16,7 milioni per la manodopera e, nell’esercizio successivo, 0,36 milioni in più (Re­lazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, pp. 727-732).103 Relazione per l ’esercizio finanziario 1906-1907, cit.104 Commissione di inchiesta sulla R. Marina, cit., vol. I, p. 307.105 Cfr. Apcd, Discussioni, L. XXIII, l a Sessione, 28 dicembre 1912. Sulla questione della trasformazione del bi­lancio di competenza in bilancio di cassa, cfr. Relazione, cit., Parte settima. Sintesi, pp. 142-143. Le critiche vole­vano far sì che “il Parlamento ritorn[asse] al dignitoso suo ufficio, o meglio lo raggiungesse]: quello di approvare le spese prima che il potere esecutivo le abbia già fatte, divenendo questo con inversione di termini costituzionali, il padrone e l’arbitro” (p. 143).106 Si vedano inoltre le analoghe disposizioni della legge 17 luglio 1910, n. 511.107 Ciò valse non soltanto per i materiali soggetti ad una rapida obsolescenza, ma per tutte le dotazioni. Si sosten­nero quindi, con i fondi per la spedizione, spese rappresentanti incrementi del patrimonio dello Stato pari a 39,5 milioni per la Marina e 131 per la Guerra, il 14,8% delle spese totali (1.149,7 milioni), ovvero il 16% circa di quelle dei due ministeri. Considerando anche gli aumenti patrimoniali dovuti a spese non legate al conflitto, si può soste­nere che quest’ultimo, in linea generale, non indebolì le forze armate alla vigilia della guerra mondiale (cfr. Apcd, Documenti, L. XXIV, Sessione 1913-1914, n. V ili, pp. 28 ss., 43 ss., 52 ss., 64 ss., Allegati 3, 17, 18).

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l’ampia e generica dizione “materiali per la costruzione di nuove navi e manutenzione delle navi esistenti, scafi, motori, armi a bordo ed a terra” . Era, secondo Giretti, “una caricatura ridicola del diritto parla­mentare di controllo”108, nel momento in cui il ministero della Marina, oltre a chiedere l’approvazione di spese effettuate senza l’autorizzazione del legislativo, presentava un nuovo massiccio programma navale. Po­co dopo l’inizio del conflitto mondiale, il ministero si trovava ad avere già iniziato le procedure per la costruzione della quarta dreadnought, oltre alle tre per le quali il bi­lancio per l’esercizio 1914-1915 aveva già previsto i relativi stanziamenti, sebbene il piano di costruzioni approvato dal parla­mento avesse previsto le somme per la quar­ta nave da battaglia di prima classe soltanto nell’esercizio 1918-1919. Il ministro della Marina auspicava quindi che il Consiglio dei ministri ponesse il parlamento di fronte al fatto compiuto, decidendo1°) di addivenire alla stipulazione di contratto a trattativa privata con la Ditta Fratelli Orlando di Livorno per la costruzione dello scafo, dell’appa­rato motore e per l’allestimento della r. nave ‘F. Morosini’;

2°) di provvedere mediante gare o trattative private alla fornitura delle corazze, macchinari e parti di armamento.

In seguito a ciò sarà altresì indispensabile prov­vedere mediante un articolo aggiuntivo alla legge del bilancio 1914-1915 da presentarsi al Parla­mento in occasione dell’approvazione definitiva del bilancio medesimo, portante l’aumento di 30 milioni di assegnazione al capitolo 129 dell’eser­cizio 1914-1915 e al corrispondente capitolo dei due esercizi susseguenti109.

Ancora una volta, aumento degli stanzia­menti e accentuazione del carattere di istitu­zione “separata” rispetto al sistema parla­mentare procedevano parallelamente.

Considerazioni conclusive

Un primo approccio al complicato funzio­namento delle amministrazioni militari sug­gerisce il prevalere di una organizzazione farraginosa, incapace di seguire costante- mente procedure conformi alle leggi. In que­sto senso il fenomeno più eclatante può esse­re individuato nei vari uffici e cariche creati per soddisfare esigenze corporative110. Le esemplificazioni riportate vogliono appunto suggerire come le “irregolarità” non fossero isolate, ma che il funzionamento dei mini­steri risultava irriducibile al quadro delinea­to dalle norme. Questo fatto era probabil­mente accentuato dalla chiusura delle ammi­nistrazioni militari, mentre confusione e

108 Apcd, Discussioni, L. XXIV, 23 maggio 1914.109 Archivio centrale dello Stato, Presidenza del Consiglio dei ministri, 1914, f. 3 /3 , “Pro-memoria per S.E. il Pre­sidente del Consiglio dei ministri” del ministro della Marina (Roma, 5 settembre 1914). La commessa alla Orlando rispondeva ad un criterio di ripartizione in base al quale la costruzione delle altre tre dreadnought era stata assegna­ta ad Odero, ad Ansaldo ed al R. Cantiere di Castellamare. Al documento indicato è allegato un “Pro-memoria. Si­stemazione del piano finanziario relativo alle costruzioni navali”, che chiarisce come le spese straordinarie accorda­te per gli esercizi dal 1914-1915 al 1921-1922 “mediante facoltà date al Ministro del Tesoro in caso di maggiori ma­turazioni di pagamenti po[tessero] essere anticipate mediante operazioni di tesoreria e stanziate negli esercizi 1914- 1915, 1915-1916 e 1916-1917”. Il documento chiarisce che il ministero aveva di fatto già previsto tale manovra e propone misure finanziarie in grado di sopperire alla “mancanza di corrispondenza fra le scadenze dei pagamenti e gli stanziamenti di ogni singolo esercizio” e all’ “insufficienza di stanziamenti per quanto ha tratto alle costruzioni navali future”.110 La Giunta generale del bilancio parlava, a proposito degli arsenali, di “unità amministrative che sembrano più essere istituite per la necessità di collocare delle persone, che non per corrispondere a vere necessità di servizio” (Re­lazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 732). Analoghe le considerazioni in Commissione d ’inchiesta per l ’esercito, cit., vol. V, pp. 15 ss. e p. 25.

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inefficienza erano state aggravate per il so­vrapporsi, in maniera disorganica, di leggi e di regolamenti111. Si tratta di elementi che rientrano in una più generale dinamica bu­rocratica, la cui incidenza su ciascuna ammi­nistrazione resta tuttavia ancora da studiare in maniera analitica. Analogamente, i tenta­tivi di sottrarsi alle norme generali sulla ge­stione dei fondi e la schematicità dei bilanci riguardavano anche altre amministrazioni dello Stato112. Tuttavia i fenomeni descritti assumono particolare consistenza nelle am­ministrazioni militari, dove risultano funzio­nali al raggiungimento di precisi obiettivi.

Le ricorrenti lamentele relative all’eccessi­vo formalismo e al conseguente carico di la­voro burocratico corrispondono d’altra par­te a un problema reale, in quanto, oltre alla “doppia contabilità” descritta per i corpi dell’esercito, in generale tutti i fatti ammini­strativi venivano registrati analiticamente. Non si può invece accettare la tesi secondo la quale le accurate contabilità costituivano una garanzia del procedere dell’amministra­zione in linea con le leggi e le direttive parla­mentari. Infatti le informazioni sull’anda­mento dell’amministrazione disponibili a os­servatori esterni erano molto ridotte113 e la stessa doppia contabilità svolgeva la funzio­ne di trasmettere all’estemo atti giustificati­vi delle spese che non rispecchiavano il reale

andamento dei servizi e risultavano quindi inutili ai fini del controllo114. L’eccessivo formalismo non era in contraddizione, ma rendeva possibile una gestione tendenzial­mente libera da controlli esterni. Inoltre, se spese di piccola entità comportavano un ca­rico di lavoro burocratico spropositato, no­tevoli cifre davano luogo ad atti giustificati­vi molto sintetici o erano comunque gestite sulla base di una violazione — o quanto me­no di una interpretazione “forzata” — delle leggi di spesa115.

Per evitare un giudizio generico si devo­no quindi individuare gli scopi ai quali la ricerca di autonomia era subordinata. Per molti studiosi e protagonisti di queste vi­cende la “specialità” delle amministrazioni militari era correlata a fattori “oggettivi” . Pais-Serra espresse una tesi diffusa, presen­tando proposte di deroga alla legge di con­tabilità nazionale per le amministrazioni militari:

non è chi non vegga che l’esercito per la sua natu­ra, per gli uffici a cui attende, per le peculiari condizioni e circostanze attraverso le quali molto spesso deve svolgere la propria attività, ha biso­gno di una certa libertà di movimenti non incep­pati da vincoli formali116.

Il riferimento implicito è forse non soltan­to alle forze armate come amministrazione

111 Sulla possibilità per il ministro della Marina di influenzare il funzionamento della struttura burocratica, si veda Tintervento di Morin in Apcd, Discussioni, L. XXI, 7 maggio 1901. Per il ministero della Guerra cfr. Commissione d ’inchiesta per l ’esercito, cit., vol. V, pp. 7-10.112 Relazione, cit., Parte settima. Sintesi, p. 131. Viene sottolineata in particolare la lontananza da “un assetto e un indirizzo di legalità e di regolarità amministrativa, specialmente nella gestione del denaro pubblico”. Si vedano an­che le altre considerazioni comprese in questa parte, che costituisce una esposizione sintetica riferita al complesso delle amministrazioni statali.113 Cfr. Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, pp. 605 e 621; Lucio Ceva, Le forze armate, Torino, Utet, 1981, p. 106.114 Ne era una precisa dimostrazione la gestione degli stabilimenti marittimi: “Lo scopo del ponderoso sistema am­ministrativo e contabile [...] è di far tornare i conti cartolariamente [...] E dietro il trasparente scenario delle cifre minuziosamente bilanciate, vanno per conto proprio svolgendosi disordinatamente i fatti, che dovrebbero essere da codeste cifre rispecchaiti” (Commissione di inchiesta sulla R. Marina, cit., vol. I, p. 299).115 Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, pp. 553 e 621.116 Cfr. Amministrazione e contabilità dei corpi, cit., p. 2. Sono invece contestate le giustificazioni “tecniche” delle particolarità delle amministrazioni militari in Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, pp. 621-623.

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di “cose” e, soprattutto, di uomini117, “mi­crosocietà” dal punto di vista del consumo — e in parte per compiti produttivi —, ma anche alla peculiarità dell’esercito e della marina come organizzazioni esistenti in re­lazione al coinvolgimento del paese in una guerra. Un evento, quest’ultimo, ritenuto in ogni momento possibile e affrontabile effi­cacemente, almeno in epoca moderna118, soltanto da “esperti” portatori di discipline “esoteriche”119 che il rapido mutamento del­le tecnologie applicate alla produzione di armamenti costringeva a un processo conti­nuo di revisione. Occorre quindi chiedersi se sia la specializzazione tecnica ad assicura­re a quello “stato nello stato” che è l’eserci­to (ma analoghe osservazioni valgono per la marina) “un potere egemonico, che lo pone al di sopra delle altre amministrazioni”120. Preliminarmente si può ritenere soltanto parzialmente fondata l’argomentazione se­condo la quale l’organizzazione delle forze armate risulta interpretabile a partire dal suo essere in relazione all’evento-guerra. Come ha scritto Marco Meriggi,l’amministrazione dell’esercito è, fondamental­mente, un’amministrazione di previsione. Ed il controllo della veridicità e legittimità delle previ­sioni belliche è compito che la classe politica normale — ovvero il ceto degli amministratori di pace — non è in grado di espletare, non solo perché manca ad essa il necessario corredo di ca­pacità tecniche, ma anche, e soprattutto, perché a determinare quelle previsioni concorre in misu­ra sostanziale un elemento [il nemico] che è estraneo alla vita costituzionale interna dello Stato121.

Se al momento dell’entrata in guerra le forze armate possono esplicare la propria capacità egemonica nei confronti delle altre amministrazioni, si trovano anche di fronte, sotto il profilo organizzativo, a difficoltà particolari, come avvenne non soltanto con il primo conflitto mondiale (che pose pro­blemi altrettanto gravi ad altri eserciti), ma anche con la spedizione libica, pur analoga ad altre imprese coloniali. L’eccessivo ac­centramento nel ministero, rilevato dalla Commissione d’inchiesta sull’esercito, delle competenze riguardanti le forniture avrebbe comportato in guerra un processo decisiona­le più lento e una minore capacità di tener conto delle situazioni locali. Anche la spe­cializzazione del personale risultava più fun­zionale allo stato di pace che ai compiti ete­rogenei che sarebbero stati assegnati, con la mobilitazione, ai singoli responsabili del­l’amministrazione. Cosìl’esonero [...] degli organismi di Comando del Corpo d’Armata e della Divisione da ogni effetti­va ingerenza in tempo di pace nella trattativa e nella conclusione degli atti amministrativi ai qua­li intende il Commissariato, può lasciarli meno preparati per il caso di guerra, nel quale sono da organizzarsi di sana pianta i centri di direzione dei vari servizi.

Analogamente la riduzione del Corpo di Commissariato a “istrumento di esecuzione di ordini ministeriali” avrebbe comportato diversi problemi al momento dell’incorpora­mento degli organi amministrativi “nelle va­rie unità di truppe in movimento”122. Anche uno scrittore militare esperto in problemi

117 Cfr. M. Meriggi, Amministrazione civile e comando militare, cit., p. 1363.118 Cfr. le tesi di Pierre Legendre sulla Francia, formulate nel noto studio Stato e società in Francia [ed. orig. 1968], Milano, Comunità, 1978, p. 205.119 Nel senso di note a pochi e scarsamente approfondito da parte dei non appartenenti alla casta militare. Non a caso all’inizio del secolo l’opposizione socialista ricorreva ad ex-ufficiali per trattarne sulle colonne della “Critica sociale” .120 P. Legendre, Stato e società in Francia, cit., p. 196.121 M. Meriggi, Amministrazione civile, cit., pp. 1365-1366.122 Commissione d ’inchiesta per l ’esercito, cit., vol. IV, pp. 146-147.

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amministrativi non nascondeva le difficoltà del passaggio al “piede di guerra” ancora esistenti alla fine degli anni venti123 e la crisi del sistema contabile conseguente alla spedi­zione di Libia e alla guerra mondiale, nel corso delle quali venne messa alla prova la riforma attuata nel 1911, le cui lacune ven­nero accentuate dal fatto che era da poco entrata in vigore al momento dell’ultimatum alla Turchia124. La presenza del nemico, d’altra parte, giustifica soltanto in parte gli ambiti di segretezza che le amministrazioni militari difesero accanitamente e che, come si è visto, servivano a tutelare la propria li­bertà d’azione in relazione a controlli esterni.

In ogni caso la Giunta generale del bilan­cio non criticava il merito delle scelte stretta- mente militari, ma, al massimo, la congruità dei mezzi rispetto ai fini, sui quali del resto in parlamento si esprimevano quasi soltanto deputati e senatori provenienti dalle gerar­chie militari. Lo stesso Giolitti affermava di volersi occupare di questioni militari esclusi­vamente dal punto di vista amministrativo, riconoscendo implicitamente 1’esistenza di una sfera tecnica separata. Occorre allora individuare tutte le condizioni che consenti­rono ai militari di imporsi in misura crescen­te nei ministeri a scapito del pesonale civile e delle pretese di controllo degli organi costi­tuzionali. Il ministero della Guerra nell’età

giolittiana venne progressivamente militariz­zato125 e vari elementi indicano anche per quello della Marina il progressivo ampliarsi delle competenze attribuite al personale mi­litare126. Inoltre esisteva la possibilità di in­fluenzare il funzionamento dell’amministra­zione attraverso i legami gerarchici127. Que­sta progressiva conquista di egemonia128 va spiegata considerando anche la compattezza del corpo militare, che deteneva capacità tecniche (e operative) che la classe dirigente liberale stimava necessarie sia in relazione al raggiungimento degli obiettivi della politica estera che come ausilio indispensabile per il limitato consenso di cui disponeva all’inter­no del paese.

Il problema, di portata assai più generale, del rapporto tra il momento della decisione politica e la crescente specializzazione tecni­ca in questo caso portò all’accrescimento del potere dei detentori di questa “scienza esote­rica” all’interno dei propri ministeri, anche in settori non specificamente militari. Venne così ridotta notevolmente l’efficacia dei con­trolli, con conseguenze precise sulla gestione della spesa pubblica, dal momento che ciò implicava attribuire potere decisionale anche a personale sprovvisto di specifiche cono­scenze legali e amministrative ed esporre quindi lo Stato a errori soprattutto nel setto­re delle forniture129. Crescenti erano infatti le difficoltà di fronteggiare un mondo del-

123 O. Monaco, L ’amministrazione nell’esercito. Dal sistema delle “masse al decentramento, cit., p. 68.124 O. Monaco, L ’amministrazione nell’esercito. Dal sistema delle “masse al decentramento, cit., p. 164.125 Si veda lo studio di M. Meriggi, Amministrazione civile, cit., anche a proposito di altri punti trattati.126 Per il controllo sulle strutture della marina mercantile, cfr. Relazione per l ’esercizio finanziario 1906-1907, cit.127 Preoccupazioni di questo tipo emergono anche dall’inchiesta sull’esercito. Per un confronto con la situazione più recente si veda Donatello Serrani, L ’organizzazione per ministeri. L ’amministrazione centrale dello Stato nel periodo repubblicano, Roma, Officina, 1979, secondo il quale oggi il ministero della Difesa rappresenta “una strut­tura amministrativa [...] nella quale il potere politico espresso dal ministro è ampiamente condizionato dal ‘corpo’ dei militari [...] Né il Parlamento è in grado di esercitare un efficace controllo attraverso l’approvazione del bilan­cio del ministero, data la struttura criptica di questo” (p. 60).128 II regolamento del 1910 sull’amministrazione centrale della guerra ne militarizzò ancora più il personale (M. Meriggi, Amministrazione civile, cit., p. 1415), mentre la legge 17 luglio 1910, n. 511 si occupò di quelle perife­riche.129 Per le conseguenze negative della mancata separazione delle funzioni si veda Commissione d ’inchiesta per l ’e­sercito, cit., vol. IV, pp. 11-12. Sul “conflitto fondamentale dell’amministrazione militare; vale a dire la coesisten-

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l’industria in rapida trasformazione, nel momento in cui il mutamento del modo di combattere imposto dalla tecnologia milita­re obbligava le amministrazioni a un con­fronto più serrato con le imprese industria­li. Gli interessi privati potevano stabilire rapporti per certi aspetti diversi rispetto a quelli esistenti con le altre amministrazioni, anche perché la tradizionale autonomia dei ministeri militari, rafforzatasi con Giolitti, incoraggiava contatti diretti sottratti alla vi­gilanza di un parlamento nel quale erano presenti posizioni critiche nei confronti del­le forze armate così come delle scelte econo­miche della classe dirigente.

La vicenda italiana si inserisce comunque all’interno delle trasformazioni che, nell’età dell’imperialismo, investirono i paesi più sviluppati sotto il profilo economico, acco­munati da processi di concentrazione delle risorse e del potere espresso dagli organi dello Stato. In Italia, nell’epoca del decollo industriale, acquisirono nuova rilevanza istituzioni tradizionali, legate alla monar­chia più che trasformate dalle iniziative par­lamentari, come quelle militari, non soltan­to in quanto coefficienti di sviluppo di co­spicui settori produttivi, ma anche perché la loro struttura di “centro di potere preesi­stente a quello legislativo parlamentare”130 le rendeva particolarmente adatte a stabilire contatti con forze che facevano leva, più che sul parlamento, sulle posizioni conqui­state nella società civile e sui legami con le pubbliche amministrazioni. Quando gli in­teressi privati si organizzarono indipenden­

temente da un parlamento nel quale sempre meno si riconoscevano, alcune delle caratte­ristiche dei ministeri militari si rivelarono particolarmente adatte alla nuova situazio­ne. Non a caso cessarono o diminuirono sensibilmente le accuse di spreco e ineffi­cienza spesso ripetute a fine secolo da espo­nenti della borghesia: tali fenomeni erano divenuti il prezzo da pagare per garantire un’autonomia per altri versi preziosa. Deci­sivo diviene quindi anche in questo caso studiare il processo di adattamento delle amministrazioni statali nella situazione ca­ratterizzata dal processo di industrializza­zione e dal passaggio allo Stato “pluriclas- se”131.

Saporito sottolineò gli aspetti “tradiziona­li” delle amministrazioni militari, rilevando che la loro specificità non derivava dalla

identità degli scopi [...] che sono quelli di provve­dere alla difesa nazionale, quanto dalla simiglian- za dei metodi di gestione, i quali si discostano, dove più, dove meno, dalle norme prescritte per tutti i dicasteri dalla legge sulla contabilità gene­rale dello Stato.

L’accusa era che, sebbene la legge avesse adeguatamente considerato le “speciali esi­genze delle amministrazioni militari”132, sta­bilendo “larghe concessioni” , ugualmente i ministeri continuavano a non rispettare il quadro normativo che avrebbe dovuto in­quadrarne il funzionamento. La spiegazione era quindi ricercata nella persistenza di strutture amministrative ereditate dalle mo­narchie assolute:

za di due logiche diverse in quei servizi amministrativi che avrebbero dovuto garantire il pacifico incontro tra esi­genze della ‘casa’ ed esigenze della ‘nazione’”, si veda M. Meriggi, Amministrazione civile, cit., (la frase citata è a p. 1371).130 Roberto Ruffilli, Problemi dell’organizzazione amministrativa nell’Italia liberale, “Quaderni storici”, n. 18, 1971, p. 709.131 Cfr. in particolare G. Melis, Amministrazione e mediazione degli interessi, cit. e M. Salvati, Dalla Francia all’I­talia, cit.132 II concetto è più volte sottolineato dai difensori del diritto di controllo del parlamento: cfr. Relazione per l ’eser­cizio finanziario 1906-1907, cit., p. 653.

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per quanto il legislatore stabilisse molto bene i concetti generali e speciali, in base ai quali avreb­bero dovuto costituirsi l’amministrazione dello Stato, pur tuttavia, nella pratica applicazione, il potere esecutivo serbò qualche cosa degli antichi sistemi133.

Questa continuità era particolarmente mar­cata nei ministeri militari, anche perché i vertici delle amministrazioni erano sempre stati affidati ad alti ufficiali, mentre lo Sta­tuto sottolineava uno speciale legame con

l’autorità regia. Tale persistenza comporta­va inoltre il mantenimento di strutture non costituite in modo tale da consentire il con­trollo di organi esterni134 e dalle quali deri­vava una ipoteca nei confronti del regime parlamentare, che nel corso dell’età giolit- tiana non seppe imporre strumenti istituzio­nali in grado di consentire l’estensione del proprio potere decisionale alle due ammini­strazioni.

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133 Saporito specificava che “più per ragioni di disciplina nell’esercito e nell’armata che per ragioni parlamentari o tecniche, a queste amminitrazioni ha quasi costantemente presieduto, nell’una un generale, nell’altra un ammira­glio. Se ciò ha creato dei benefici, non trascurabili da un lato, è stato causa di svantaggi dall’altro, specialmente per quanto riguarda l’amministrazione; ed è, secondo noi, principalmente per questo, che i due suddetti ministeri han­no conservato di più le forme, o meglio le tradizioni, degli antichi ordinamenti” (Relazione, cit., Parte terza. Il bi­lancio passivo, p. 552; sull’impronta della tradizione sui regolamenti, cfr. pp. 587 ss.).134 Cfr. Relazione, cit., Parte terza. Il bilancio passivo, p. 553 e O. Monaco, L ’amministrazione nell’esercito. Dal sistema delle “masse” al decentramento, cit. e Id., L ’amministrazione nell’esercito. L ’Azienda reggimentale, “Eser­cizio e nazione”, 1928, in particolare p. 478.

Paolo Ferrari è dottore di ricerca in storia e insegnante di storia e filosofia attualmente comandato presso l’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia. Ha studiato aspetti di storia economica e militare italiana.