Le rotte dell'animo

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15 La produzione artistica di un pittore è stata sempre espressione e quasi specchio del suo animo, riverberan- do eco più o meno nascoste dei grandi eventi che hanno segnato la vita dell’artista stesso. Questo, com’è ampia- mente noto, soprattutto nel Novecento, quando il diffon- dersi della fotografia e, contestualmente, delle ricerche psicanalitiche di Sigmund Freud hanno decretato la sostanziale fine della pittura come mera raf figurazione della realtà, per aprire la nuova e stimolante via di un’ar- te che raffigurasse l’emotività dell’animo umano, i sen- timenti e le emozioni più intime dell’artista, e questo non solo attraverso l’astrazione, più o meno ‘classica’, lirica oppure gestualmente informale e ‘fauve’. Orbene, tutta l’opera di Davide Orler, che si distende fino ad oggi per oltre mezzo secolo di attività indefessa e magmaticamente travolgente, è quasi l’esempio più paradigmatico di come l’arte possa e debba essere espressione autentica - e quasi poetica- mente psicologica - di un’anima, divenendo (quando di arte vera si parli) intuizione di un messaggio universale, antesignano, non soggetto a mode o a correnti. Le sue quasi cinquemila opere finora prodotte lo stanno inequi- vocabilmente a dimostrare. La vigorosa gestualità onirica e ‘profetica’ dell’ulti- ma sua produzione non si potrebbe comprendere appie- no senza considerare le precedenti tappe (talvolta diffi- coltose, dolorose ed apparentemente buie) della sua maturazione umana e professionale, river- berate volutamente ed in parte Davide Orler: il viaggio tormentato ed esaltante di un’anima 1. Gli alpini sciatori , 1942, tecnica mista su carta, cm 24x20 1. Alpine Skiers, 1942, mixed technique on paper, 24x20 cm 2. San Pietro, 1947, olio su tela, cm 65x55 2. Saint Peter , 1947, oil on canvas, 65x55 cm

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rotte dell'animo

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La produzione artistica di un pittore è stata sempreespressione e quasi specchio del suo animo, riverberan-do eco più o meno nascoste dei grandi eventi che hannosegnato la vita dell’artista stesso. Questo, com’è ampia-mente noto, soprattutto nel Novecento, quando il diffon-dersi della fotografia e, contestualmente, delle ricerchepsicanalitiche di Sigmund Freud hanno decretato lasostanziale fine della pittura come mera raf figurazionedella realtà, per aprire la nuova e stimolante via di un’ar-te che raffigurasse l’emotività dell’animo umano, i sen-timenti e le emozioni più intime dell’artista, e questonon solo attraverso l’astrazione, più o meno ‘classica’,lirica oppure gestualmente informale e ‘fauve’. Orbene,tutta l’opera di Davide Orler, che si distende fino ad oggiper oltre mezzo secolo di attività indefessa emagmaticamente travolgente, è

quasi l’esempio più paradigmatico di come l’arte possae debba essere espressione autentica - e quasi poetica-mente psicologica - di un’anima, divenendo (quando diarte vera si parli) intuizione di un messaggio universale,antesignano, non soggetto a mode o a correnti. Le suequasi cinquemila opere finora prodotte lo stanno inequi-vocabilmente a dimostrare.

La vigorosa gestualità onirica e ‘profetica’ dell’ulti-ma sua produzione non si potrebbe comprendere appie-no senza considerare le precedenti tappe (talvolta diffi-coltose, dolorose ed apparentemente buie) della suamaturazione umana e professionale, river-berate volutamente ed inparte

Davide Orler: il viaggio tormentato ed esaltante di un’anima

1. Gli alpini sciatori, 1942, tecnica mista su carta, cm 24x201. Alpine Skiers, 1942, mixed technique on paper, 24x20 cm

2. San Pietro, 1947, olio su tela, cm 65x55

2. Saint Peter, 1947, oil on canvas, 65x55 cm

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inconsciamente nelle sue tele e nelle sue tavole, dove la‘concettualità’ del messaggio sotteso diviene altissimalirica disincantata della fragilità umana, tutta riposta nelmistero del Divino, come anche il suo quasi af fannosodesiderio di raccontarsi pare voler sottolineare.

Nell’ultimo Orler si radica, attraverso le vie di unaconcreta caparbietà ‘montanara’, il messaggio di quellanuova arte figurativa sacra, così squisitamente e genui-namente nuova, fresca e cristallina, così apertamente eprogrammaticamente non astratta e, in ultima analisi,però, così intimamente ‘informale’, se per informaleintendiamo la scissione, nel messaggio indotto dall’arti-sta, dal significato oggettivo della raf figurazione stessa,per accedere a più profonde intuizioni esistenziali e difede. Ancor più che in altri artisti, le vicende umane diOrler divengono chiave indispensabile per poter leggeree comprendere a fondo le sue opere, il suo messaggio, la

sua vis artistica. Il primo contatto

di Davide Orler con la pittura si può dire che sia avve-nuto attraverso l’amico e ‘maestro’ Riccardo Schweizer(1925-2004), più vecchio di lui di appena sei anni e cheallora, non senza fortuna, si era potuto allontanare dalpaese natio ed iscrivere all’Accademia di Belle Arti diVenezia. Come lo stesso Orler rammenta, nell’immedia-to Dopoguerra ebbe modo di frequentare Schweizer e,con lui, “un ristretto gruppo di amanti dell’arte e dellacultura, un piccolo cenacolo di intellettuali ansiosi ecuriosi di esplorare quei nuovi fermenti che si facevanolargo in Europa”; tra essi vi erano anche lo scrittore epoeta ungherese Zoltan Rakoi ed il pittore Bruno Saetti(1902-1984), indimenticabile riscopritore (o meglio,interprete) dell’antica e modernissima tecnica dell’affre-sco.

In realtà, però, possiamo andare un po’ più indietronel tempo, quando Davide, all’età di dodici o tredicianni, fu letteralmente folgorato dalla magia delle formee dei colori nel suo paese natale, Mezzano, uno degliantichi nuclei abitati della Valle di Primiero, nel

Trentino, paese caratterizzato da architettu-

3. Autoritratto, 1953, olio su compensato, cm 40,5x34,53. Self-portrait, 1953, oil on plywood,40.5x34.5 cm

4. Colline di La Spezia , 1953, olio su faesite,

cm 47,5x64,54. Hills of La Spezia ,

1953, oil on board, 47.5x64.5 cm

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re tipicamente rurali e montane, in pietra e legno (comel’abitazione dei suoi genitori, risalente al 1807), dovetalvolta le pareti esterne erano ricoperte di semplici epopolari pitture murali, traenti in parte origine dalla tra-dizione artistica sviluppatasi nella non distante Feltre, dasempre luogo di confine e cerniera tra la pianura venetacentro-orientale già della Serenissima e l’area alpina delTrentino austroungarico (quel “Contado del Tirolo”,come ancora si legge nelle mappe antiche). E proprio lacultura e le forme d’arte della Valle di Primiero, sempresospese tra la Germania e Venezia, influenzeranno inde-lebilmente l’opera orleriana, costituendone il naturaleretroterra.

Pur tra infinite traversie legate alla dura esistenza inun paese di montagna che usciva dalla guerra, ancoraruotante attorno ai ritmi antichi della fienagione, dell’al-peggio e della transumanza, Orler si mise a dipingereingenue ma fresche ed immediate raf figurazioni dellaMadonna sui muri della propria casa, di gusto popolare,e quindi, quattordicenne, una Crocifissione su un asciu-gamano sottratto alla madre oppure un

‘affresco’ sulle pareti del mulino dove lavorava il padre(una ‘vocazione’, comunque, maturata in seno alla fami-glia: lo zio Giovanni era stato, agli inizi del secolo, unrinomato affrescatore di chiese, allorché era emigrato inNord America, portando colà la tradizione delle sueterre).

Proprio al 1942 (quando il nostro esercito era impe-gnato in quella che sarà la disastrosa avventura russa)risale una schietta raf figurazione de Gli Alpini sciatori(fig. 1), che pur nell’ancor acerba restituzione, rivela, adappena undici anni, una sorprendente abilità di Davidenel disegno, dalle indubbie assonanze con i grandi grafi-ci del tempo, quali Marcello Dudovich o Walter Molino.

Orler giunse nel 1946, quindicenne, per la primavolta a Venezia, la città dei suoi sogni e delle sue piùprofonde aspirazioni, com’egli stesso ricorda, ancoratrepidante d’emozione: “Non avevo che quindici anniquando sono scappato di casa dal miopaese […] per vede-

5. Paesaggio a Mezzano, 1956, olio su tela, cm 140x1955. Landscape in Mezzano , 1956, oil on canvas, 140x195 cm

6. La Toch, 1958, olio su tela, cm 100x69,5

6. La Toch, 1958, oil on canvas, 100x69.5 cm

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re la città dei miei sogni, la città costruita sull’acqua dicui tanto avevo sentito parlare da amici e conoscenti, dapoeti e pittori innamorati - come dovevo esserlo io - del-l’arte e della cultura che Venezia emanava. Quandoripenso a quei giorni mi commuovo ancora. Era l’inver-no del ’46 allorché, con solo pochi spiccioli in tasca asenza amici su cui fare affidamento, lasciai il mio paeseper Venezia”. È del 1947 un olio raffigurante San Pietro(fig. 2), che, al di là della stereotipata rappresentazionedei simboli connotanti il santo, rivela una certa ingenuaimmediatezza, tipica dell’Orler di quegli anni.

Pieno di entusiasmo, in seguito (all’età di diciott’an-ni), si iscrisse all’Accademia di Belle Arti, ma poi benpresto l’abbandonerà per arruolarsi volontario nellaMarina Militare, alla ricerca giovanile di una vita avven-turosa e di esperienze forti.

Così, percorse le varie rotte del Mediterraneo su dra-gamine e su corvette in servizio di pat-

tuglia, conoscendo

porti, popolazioni e civiltà diverse e, come egli ricorda,“soprattutto il Sud, carico di colori e di quella luce inten-sa, così diversa da Venezia e dalle mie montagne delTrentino” (si veda, in tal senso, anche la tav. 2). Quando,per servizio, si trovava nella base di Messina, aprì unsuo piccolo studio a Contesse, luogo segreto dove rifu-giarsi nelle pause e nei momenti di sosta dalle attivitàmilitari: “fu allora che sentii in me il desiderio irrefrena-bile di dipingere. Dipingere seguendo il mio istinto, lamia passione, senza maestri e senza Accademie. Quelloche vedevo e quello che sentivo lo traducevo di gettonella tela, senza ripensamenti, senza compromessi, alter-nando il lavoro a bordo con i miei pennelli”. Nel 1953dipinse, tra l’altro, un suo Autoritratto (fig. 3), in divisada marinaio e contraddistinto dalla folta e chiara barba:una raffigurazione che risente ancora del clima pittoricoeuropeo e segnatamente francese di fin de siècle.

Sempre come egli stesso ama sottolineare, nelle sueopere di allora entrò prepotente “il calore di quella terra,i volti della gente” qualunque, segnata epicamente dal

dolore, dalla fatica, dal sole. Osservando

7. La processione in costumesardo, 1959, olio su tela, cm 124,5x2007. Procession in Sardinian Costume,1959, oil on canvas, 124.5x200 cm

8. La raccolta delle olive ,1959, olio su tela,

cm 100,5x70,58. Olive Harvest,

1959, oil on canvas, 100.5x70.5 cm

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più approfonditamente, però, in quegli anni focosi e‘fauve’ il ventenne Davide mostrava una sua interna fra-gilità: proiettato dal piccolo paese montano nella granderealtà dei Paesi mediterranei, la sua forte sensibilità fumessa duramente alla prova, specialmente dalle granditragedie di calamità naturali nelle quali fu coinvoltocome soccorritore, insieme ai suoi commilitoni. Taliesperienze drammatiche si riverberano nei colori accesie nelle deformate figure spettrali dagli accenti espressio-nisti (quasi interiore urlo munchiano) di quei corpiinformi, sfaldati e decomposti di annegati, da lui recu-perati con la Marina a Salerno ( Recupero degli alluvio-nati di Salerno, del 1955: tav. 5; cfr. anche tav. 6), oppu-re nelle opere ‘allucinate’dedicate al Terremoto a Salinao ancora nel groviglio e cartoccio di carni e lamiere raf-figurante lo scontro fra due camion ( Scontro siciliano ,sempre del 1955), dove la Pasquali ha voluto quasi vede-re la concretizzazione inconscia di una pura Art brutorleriana, vale a dire di quell’arte così definita da JeanDubuffet nel 1945 e propria degli outsiders, fuori dalleistituzioni e dagli schemi culturali del siste-

ma artistico. In effetti, l’opera di questo giovane Orler èspontanea e sincera, immune da qualsiasi forma di con-dizionamento monodirezionale, fondata su impulsi crea-tivi individuali, ora irregolarmente compulsivi, ora inge-nuamente ‘primitivi’.

In una visione panteistica e della Divinità coinciden-te con la Natura, anche la pittura, elaborata nel suo pic-colo rifugio siciliano, venne prepotentemente attraversa-ta dalla tempesta di quelle tragedie, rese per tinte forti econ una scomposizione ‘schizofrenica’ delle figure diascendenza cubista e picassiana (il grande maestro delNovecento da Lui incondizionatamente ammirato), fil-trata attraverso un’interpretazione espressionista e nor-dica, desunta in parte da Schweizer , o meglio con luicondivisa con sincerità. Proprio i paesaggi eseguitidurante una licenza nel 1955, impiegando frammenti dilegni incollati, rappresentano un omaggio a quel suopanteismo, dove ancora una volta laNatura dona all’Arte

9. Ritratto, 1957, tecnica mista su carta, cm 62x599. Portrait, 1957, mixed technique on paper,62x59 cm

10. Ragazza in poltrona, 1957, olio su carta, cm 100x74

10. Girl on Armchair, 1957, oil on paper, 100x74 cm

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quei suoi legni bruciati dal sole, corrosi e tormentati daltempo.

Fin dagli anni 1955/1956 inizia per Orler , a LaSpezia, un periodo di crisi profonda, per certi versi para-gonabile a quella di Geor ges Rouault (1871-1958), cheraggiungerà il suo acme nel 1958: il continuo contattocon le grandi tragedie legate al mare provocarono in luiuna sofferenza esistenziale che generò un senso amarodi impotente solitudine, segnale o punta di un iceberg didepressione che lo portò anche sull’orlo del suicidio. Lapleurite, contratta durante le esercitazioni militari, che locondusse in ospedale (1956), gli fece abbracciare la tec-nica del collage (elitaria del Cubismo), non avendo adisposizione colori per dipingere.

Di questo periodo rimangono paradigmatici ‘harem’con le ‘donne dei marinai’, opere intrise di desolantesolitudine e di sconsolato realismo: tutto un mondo di

emblematiche e ambigue figure, talvol-ta ritratte con spie-

tata violenza, che popola le tele e i collages di queglianni, elaborando un linguaggio aderente alla sue più inti-me esigenze di drammaticità espressiva. L ’amore mer-cenario e senz’anima rappresentato in quelle opere erasimbolo del tentativo di sottrarsi all’angoscia della real-tà opprimente, ma come una droga che crea paradisi arti-ficiali finiva per essere una trappola esistenziale, amma-liante ma vuota. Si pensi, in tal senso, alla Donna al bal-cone, del 1956, nelle forme di un’enigmatica e fatalesfinge tentatrice, oppure ai vari collage del medesimoanno, aventi per tema l’immagine misteriosa, deformatae ‘deformante’ di una donna sensuale negli attributi manon più nelle forme, che diventano quasi simboli di uncrudo e antiestetico kamasutra (si ricordano, solo percitare alcuni esempi, Donna in poltrona - tav. 15; Donnacol cane ; Ragazza in giar dino; Donna allo specchio ;Donna al sole ; Interno con donna sdraiata ; Donne albalcone - tav. 16; cfr. anche tav. 14). Pur avvicinandosialle esperienze dell’Espressionismo tedesco e segnata-mente a certo clima caro a George Grosz (dove la donna,

come giustamente ha rilevato Paolo Levi,

11. Ritratto di Silvio Alchini, 1958, olio su tela, cm 125x8411. Portrait of Silvio Alchini,1958, oil on canvas, 125x84 cm

12. Maternità, 1958, tecnica mista su tela,

cm 122x7412. Motherhood,

1958, mixed technique on canvas, 122x74 cm

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“è terra aggressiva, arida, dal sesso spinto al ridicolo”),non compaiono, però, come del resto anche in Rouault,motivi di denuncia sociale o intenti politici dalla fortetensione morale, ma, più che altro, accenti di un profon-do travaglio interiore tutto psicologico.

Come altra fuga dalle rammentate tragedie del mare,che nelle sue tele si erano tinte di toni accesi e passiona-li, quasi fauve, durante le sue licenze trascorse nellebiblioteche di Napoli e Messina o seguendo mostre ebiennali d’arte, già precedentemente aveva avuto unsimbolico ed utopico slancio verso eteree, primordiali ed‘ingenue’ isole serene, estranee alla sua vita di allora,che si erano poi rivestite della corografia dolcissimadelle morbide e sinuose colline attorno a La Spezia(basti pensare a quel suo olio su faesite del 1953, diimpianto quasi naïf, dove l’azzurro del mare contrastacon il candore delle cime lontane e le colline in primopiano, dai toni bruni e contrassegnate da alberi sui mor-bidi crinali, rimandano, in un certo senso, al primitivi-smo delle colline idealizzate da Zoran Music: fig. 4; cfr.anche tav. 8).

Unica altra pausa in quegli angoscianti ‘incubi’ sono,forse, la grande tela raf figurante Mezzano e i cristalliniNotturni a Mezzano del 1958 (tav . 18) - poi ripresi neinotturni incantati Sul lago di Gar da del 1961 - quasi ilriposo ‘fanciullesco’ nel sereno, sicuro e rasserenanteventre della Madre Terra, coperta di neve e baciata dallaluce discreta di una luna tur gida e boteriana, notturnistellati di incantato stupore che rappresentano anch’essiuna sorta di fuga dalla quotidiana guerra con se stesso.

Il rammentato e grande dipinto (m 3x7,40), raffigura,invece, una veduta estiva e nostalgica del paese diMezzano, con le Pale di San Martino sullo sfondo enumerosi personaggi del luogo, conosciuti da Orlerquando era ragazzo. Fu realizzato dall’artista iniziando-lo nel 1956, quando era a bordo della nave militare sucui era imbarcato ed impiegando teli di amache, fatti dicanapa, da lui cuciti insieme, man mano che proseguivanell’opera. Il dipinto fu ultimato sola-mente nel 1958 ed

13. Gatti e chitarra, 1959, smalta su carta, cm 70,5x10013. Cats and Guitars , 1959, enamel on paper,70.5x100 cm

14. Sant’Erasmo, 1961, olio su tela, cm 64x48

14. Saint Erasmus, 1961, oil on canvas, 64x48 cm

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esposto ad Antibes. Ogni volta, però, i disastri naturali e le varie alluvio-

ni, nelle quali veniva comandato quale soccorritore, loavevano prepotentemente e violentemente riportato nelgorgo delle sue tempeste esistenziali. Così La guerra del1954 (tav. 2) già allora significativamente contrastavacon il tentativo di ‘evasione’ rappresentato dalla Balleri-na picassiana (tav. 4) ovvero dalle equivoche e sensuali‘donne dei marinai’ rammentate.

Nel 1958, lasciata oramai la Marina, Orler fu invitatoper la prima volta dal conservatore Dor de la Souchère atenere una personale al Musée Grimaldi di Antibes, ilrinomato centro d’arte moderna dove era presente ancheMarc Chagall e dove con lui esporrà anche Schweizer ,ricevendo positivi commenti dalla critica.

Precedentemente Orler aveva esposto le sue operein una località non distante dal suo paese natale: a

San Martino di Castrozza, un anticocastrum romano al-

l’estremità settentrionale della sottostante Valle diPrimiero, dove sor gerà, nel Medioevo, lo ‘spedale’ per‘bianti’ dei Santi Martino e Giuliano (cioè l’ospizio peri viandanti provenienti o diretti nella Val di Fiemmeattraverso il Passo Rolle), poi località sciistica e turisti-ca fin dalla seconda metà dell’Ottocento; proprio l’Alpedi Castrozza, insieme a Mezzano, diverrà un luogomagico nei suoi ricordi.

Specialmente la mostra francese dette la possibilitàad Orler di aprire la sua arte ad esperienze internaziona-li e di conoscere alcune delle figure più eminenti nelpanorama culturale dell’epoca, come lo stesso ‘sacromostro’ Pablo Picasso (al quale, tra gli artisti italiani, siera precocemente avvicinato, al di là delle mode ‘servi-li’), la scultrice Germaine Richier (1904-1959), gli scrit-tori e poeti Jean Cocteau (1889-1963, che fu anche illu-stratore delle sue stesse opere e pittore) e JacquesPrévert (1900-1977). Inoltre, a Venezia aveva avuto lapossibilità di entrare a far parte di quella sorprendenteélite di giovani artisti emergenti, nella quale si incontra-

vano e si scontravano le nuove poetiche e

15. Meli in fiore in laguna,1961, olio su tela, cm 67x10015. Flowering Apple Trees onthe Lagoon, 1961, oil on canvas67x100 cm

16. Case a Sant’Erasmo , 1961, olio su tela, cm 70x100

16. Homes on Saint Erasmus ,1961, oil on canvas, 70x100 cm

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le nuove filosofie neorealiste, neoespressioniste, astratti-ste e informali.

Come fosse allora letta e sentita l’opera di Orler lopossiamo constatare nelle ‘datatissime’ recensioni delcritico Paolo Rizzi dalle colonne del “Gazzettino”. Nel1957, in occasione della mostra alla FondazioneBevilacqua La Masa, egli parlava di “focoso tempera-mento, sempre alla ricerca di nuove forme di espressio-ne” e individuava subito in lui una matrice picassiana,del resto già presente fin dalle composizioni eseguitedall’artista nel 1954 (opere nelle quali Marilena Pasqualiavrebbe in seguito individuato un modello picassianorelativamente alle “figure contorte, brulicanti, fortemen-te espressive che popolano le Tempeste, i Porti e leGuerre”). La ceramica con un San Gior gio, espostaappunto alla Bevilacqua La Masa, aveva, a suo dire, un“calore primitivo”, che colpiva l’osservatore. Qualchemese più tardi, nel 1958, Orler espose, con l’amicoSchweizer, ancora alla Bevilacqua La Masa: questavolta fu notato come più evidente il suo picassisme; mavi erano pure delle composizioni più libere

nelle quali, secondo Rizzi, l’artista “riesce meglio adesprimere le sue innegabili qualità espressive”. Seguivauna personale al galleria del Centro San Vidal, sempre aVenezia, sul finire del 1959. Ed è in quell’occasione che“la pittura di Orler acquista il significato di una risco-perta, fatta con occhi nuovi e smaliziati”. Furono alloraesposti alcuni paesaggi montani nei quali, sempre secon-do Rizzi, “par di sentire l’espressione intensa di un ricor-do lontano, pieno di calore”. I brani più riusciti eranoquelli che “ritraggono, in uno stile che ha il fascino delracconto ingenuo e un po’ rozzo, le vecchie case delpaese natio, cariche di suggestivi toni bruniti, rischiara-te qua e là da macchie vive di colore”: significativo, intal senso, è l’olio del 1956, con il paesaggio montano diMezzano (fig. 5), dominato, quasi per dissonanze, daiprati verdi e dagli alberi naïf (la sua naïveté verrà sotto-lineata anche dal rammentato de la Souchère; cfr . anchetav. 7), dalla chiesa e dalle case ruralitipicamente trentine

17. Venezia, 1960, olio su tela, cm 100x7517. Venice, 1960, oil on canvas, 100x75 cm

18. Campo Santa Maria Mater Domini, 1961,

olio su tela, cm 78x10018. Campo Santa Maria

Mater Domini, 1961, oil on canvas, 78x100 cm

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(con la legnaia e il piol per l’essiccazione del granturco)deformate nella volumetria e, in parte, cubisticamentedissezionate. Accenti naïf, intrisi di reminiscenze esi-stenzialiste amaramente nostalgiche verso certo ambien-te meridionale, immortalato da Giuseppe Migneco, sonoriscontrabili anche ne La Toch, del 1958 (fig. 6) o ne LaProcessione in costume sar do (fig. 7) e ne La Raccoltadelle olive (fig. 8), ambedue del 1959.

Anche altri critici, come Guido Perocco e GigiScarpa, lodano la forza “nativa” di Orler , la verità dellasua nostalgia montana, l’essenza sentimentale e lirica diuna pittura al di fuori dei manierismi di moda. Ancorarecentemente (in “Arte a Cortina”, inverno 2004) PaoloRizzi ricorda, di allora, “quei quadri rozzi e forti, ricol-mi di energia” e “fuori dalle maniere […], densi di colo-re, talora agitati secondo l’impulso vangoghiano” eDavide Orler come un “montanaro […], un ‘puro’che ha

sempre viaggiato lungo la stradadell’Utopia, tra pri-

mitivo e colto […]. In sostanza: il senso rude della terranatia rivelato attraverso una pittura visionariamenteespressiva”.

Sta qui, probabilmente, il motivo primo e più ‘super-ficiale’ del successo dell’artista e forse anche dei variriconoscimenti pubblici e privati che egli ottenne nelfecondo periodo veneziano degli Anni Cinquanta, cal-cando allora la mano sugli aspetti esteriori e cromatici diquella sorta di suo indubitabile lirismo naïf, naïveté chela Pasquali, però, nel 2003 ha voluto addirittura, maimpropriamente, negare, dando a tale termine, oltretutto, una connotazione quasi di falsità e demagogia, peraltro, non rispondente alla realtà storica di tale ‘movi-mento’. Così facendo, però, a nostro avviso si era persodi vista il significato più autentico e profondo sottesoalle sue opere, che sarebbe più liberamente sgorgato solonella sua produzione posteriore.

Così, ‘naïf’ e ‘picassismo’ (si vedano, a confronto, letavv. 3; 9-1 1) avrebbero segnato per troppi anni, nellacritica, l’opera orleriana, decontestualizzando tali carat-

teristiche dalla forza oniricamente profeti-

19. Un canale a Venezia, 1961, olio su tela, cm 100x9019. Canal in Venice, 1961, oil on canvas, 100x90 cm

20. Interno d’atelier, 1963, olio su tela,

cm 154x99,520. Atelier Interior, 1963, oil on canvas,

154x99.5 cm

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ca (o poetica?) sottesa ai suoi dipinti ‘esistenziali’, for-temente emotivi, che così venivano ad essere, in qualchemodo, banalizzati e ridotti nel più genuino messaggioartistico, ancorché il picassismo di quegli anni, in Italia,vada ancora considerato come ‘precoce’ e non certoun’adesione alla moda o di maniera, come, purtroppo, losarà in seguito in molti ambienti e per vari pittori.

Significativo resta, invece, l’incontro-scontro conPeggy Guggenheim, nel cui salotto era stato introdottodall’amico spazialista Tancredi (1927-1964): un’occa-sione perduta, certamente (come egli stesso ci ricorda),ma anche una conferma dell’onestà del suo tempera-mento di uomo e di artista, che la dice lunga sulla suaconcezione dell’arte, ben al di là dei suoi “toni bruni delpaese natio” o della scontata volontà di voler ricercare inlui una matrice picassiana, in seguito (ma, ribadiamo,solo in seguito!) praticamente comune a tutti i pittori.

Più significativa per comprendere il vero Orler, senzaincorrere in equivoci o abbagli storiografici, a nostroavviso, è la serie di splendidi ritratti del 1957-1958,alcuni di ascendenza latamente tedesca e

kirchneriana, dalla Figura di donna (fig. 9), resa conveloci pennellate nere ed ocra, alla Ragazza in poltrona(un olio dai forti accenti espressionisti: fig. 10), alRitratto dello scultor e Silvio Alchini (dagli accenti piùmarcatamente realisti e psicologici: fig. 1 1), allaMaternità (fig. 12), di gusto - questa sì - più simbolica-mente picassiano (si vedano anche le tavv . 20-24; 27-28). Pause di serenità sono, in questo periodo, alcunecomposizioni plastiche e di immediato realismo, come,ad esempio, il gioco sapiente di panneggi, oggetti e ani-mali dello smalto su carta Gatti e chitarra, del 1959 (fig.13).

In questo delicato e travagliato momento la riflessio-ne su letture sacre e di letteratura francese - in particola-re del poeta e scrittore Paul Valéry (1871-1945), indi-menticabile autore de Il cimitero marino - lo spinse aduna riconsiderazione dell’universo panteistico giovanile,per approdare ad una più autentica fedecristiana.

21. In croce, 1962, olio su tela, cm 200x11021. On the Cross, 1962, oil on canvas, 200x110 cm

22. Deposizione, 1962, olio su tela, cm 161x140,5

22. Deposition, 1962, oil on canvas, 161x140.5 cm

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Altre sue costruttive letture di quegli anni riguardaro-no i ‘Poeti Maledetti’, ad iniziare da Charles Baudelaire(1821-1867), ma anche Paul Verlaine (1844-1896),Rainer Maria Rilke (1875-1926), i poeti russidell’Avanguardia - come Ser gej Aleksandrovi� Esenin(1895-1925) - e Federico Garcia Lorca (1898-1936).

La svolta religiosa ed esistenziale quasi si concretiz-zerà emblematicamente nella distruzione delle prece-denti opere in ceramica da lui eseguite, gettate da duebarconi nelle solitarie calli di Venezia nella secondametà degli Anni Sessanta.

Frattanto, al 1960 risale il primo prestigioso ricono-scimento, la medaglia d’oro ottenuta alla Quadriennaledi Roma.

Proprio negli anni 1959/1960, con l’af fiorare nellesue opere del tema a carattere sacro e nel ritrovare l’ar-tista la propria identità nel rapporto con Dio, si può indi-

care la grande ‘svolta’ esistenziale edartistica. Così, nei

dolci paesaggi dipinti a partire dal 1960-1961 ( S.Erasmo - fig. 14; Meli in fiore in Laguna - fig. 15; Casea S. Erasmo, dalle solide volumetrie di ascendenza quasinordica: fig. 16; Scorcio veneziano, di indubbio fascinoanche per il taglio prospettico degli edifici che si rispec-chiano in acque immobili alla Carrà: fig. 17; Notturno aCampo Santa Maria Montedomini , con l’accensionegialla delle luci delle case nella notte, che ci fa venire inmente alcuni notturni ‘popolari’ livornesi del postmac-chiaiolo Renato Natali: fig. 18; Un canale a Venezia: fig.19; v. anche tavv. 25-26; 29), al di là delle pur apprezza-bili, ma esteriori componenti naïf, si intravede chiara-mente la prima serenità riconquistata, con tenacia e fati-ca: l’alba radiosa e piena di speranze di un nuovo gior-no esistenziale si dischiude nella contemplazione fran-cescana del creato, visto quasi con gli occhi di un bam-bino (nonostante egli avesse oramai trent’anni), con lapurezza e la genuina freschezza che trasforma tutto in unEden primordiale. Ora i notturni divengono notturnisilenti di pace e di serenità e anche la morte (basti pen-

sare al Transito di San Francesco , del

23. Resurrezione, 1963, olio su tela, cm 140x18023. Resurrection, 1963, oil on canvas, 140x180 cm

24. Stefano Meneghin, 1963, olio su tela, cm 70x50

24. Stefano Meneghin, 1963, oil on canvas, 70x50 cm

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1961: tav . 63) diviene accettabile, accettata e quasi‘sorella’. Sempre in tal senso si osservino le due raffigu-razioni dello studio dell’artista, rispettivamente del 1958(tav. 19) e del 1963 ( Interno d’atelier , fig. 20, reinter-pretando, nella composizione, lo stesso soggetto diJohannes Vermeer, del 1666) e così profondamentediverse tra di loro: vuoto (o meglio, con un’assenza cheè un’angosciante, incombente presenza) e ‘scompagina-to’ nella confusione il primo, ordinato e con la solidapresenza fisica del pittore il secondo. L’impiccato (tras-litterazione poetica attraverso il ricordo di un fatto realedi cronaca: v . tav. 37) sta quasi a sigillare un passato,’uccidendo’ ovvero chiudendo, con quella corda robusta,un passato di traversie e un’età di incubi e di mostri tuttifreudianamente nascenti dal di dentro e proiettati al difuori, per approdare all’età dei mandorli in fiore e delsole radioso (pensiamo agli omonimi soggetti dipinti inalcune sue opere del 1964). Una visione di limpide cer-tezze in una rinnovata Età dell’Oro, dove, quasi ficinia-namente, nel sole, nella sua luce e nel suo calore, sirispecchia la pace e la grandezza del Divino

(“in lumine tuo videbimus Lumen” aveva scritto nelQuattrocento il filosofo toscano, a conclusione del terzolibro del De vita). E ancora in quell’interno con il panefrugale e la Bibbia sul nudo tavolo di legno antico sirispecchia l’aspirazione autentica ad un rigore e ad unasemplicità tutte proprie di un francescanesimo vissutonella convinzione che anche l’arte divenga o possa dive-nite un instrumentum provvidenziale.

Nel 1964 giunge il secondo ambito riconoscimento: ilpremio ottenuto presso la Fondazione Bevilacqua LaMasa di Venezia.

Tra le nuove opere a carattere sacro di Orler risalentiagli anni Sessanta (cfr. anche tavv. 62-70) non possiamodimenticare due grandi oli del 1962: In Croce (fig. 21) eDeposizione (fig. 22), il primo con una visione di Cristocrocifisso desuetamente visto di profilo, dove il rossoscarlatto del perizoma contrasta con il blu notte del fon-dale e con il livido paesaggio dalle lon-tane eco annigonia-

25. Natura morta, 1965, olio su tela, cm 60x4025. Still Life, 1965, oil on canvas, 60x40 cm

26. Natura morta, 1963, olio su tela, cm 55x75

26. Still Life, 1963, oil on canvas, 55x75 cm

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ne, personalizzate attraverso turgide ed ‘ingenue’nubi. Ilsecondo è qualificato dalla solenne postura delle imma-gini, in una composizione estremamente moderna e sof-ferta, ma dalle suggestive reminiscenze antiche da sacrarappresentazione, con riferimenti precisi tratti anche dalprimitivismo popolare del ‘doganiere’ Henri Rousseau(1844-1910). Nella Resurrezione (fig. 23), dell’annoseguente, dalle connotazioni più marcatamente simboli-che, il Cristo, nel giardino fiorito della nuova vita, emer-ge dal sepolcro, vincendo con la croce le fiamme delpeccato e della morte.

A tale periodo appartengono ancora schietti e genuiniritratti, contrastanti con fondi informali dalle veloci edampie pennellate (Stefano Meneghin, del 1963: fig. 24),semplici nature morte di grande immediatezza nei vivi-di e rutilanti colori ( Natura morta, 1963: fig. 25; Pane,cipolla, finocchio e carota, 1965: fig. 26; cfr. anche tav.

30) e una suggestiva tela raf figurantei Bracconieri con

spiedo sulle Dolomiti (fig. 27), incentrato sulla vivacefiamma che illumina la selvaggina mentre tutt’intorno,nell’oscurità della notte e nel fumo emergono le statichee provate figure dei bracconieri, dove possiamo leggervianche un omaggio a certi ‘omini’ di Ottone Rosai.

Spesso i suoi quadri, i quadri di questo nuovo Orler ,convertitosi nell’esuberanza, appunto, del neofita, sonoora influenzati anche dall’opera di un grande maestroitaliano del tempo, da lui conosciuto nel 1958 e profon-damente stimato ed ammirato: Felice Carena, che si eratrasferito da Firenze a Venezia dopo la guerra.Specialmente dal 1967, il periodo per così dire ‘carenia-no’ di Orler, egli trasforma la rappresentazione delle tra-gedie umane da una pessimistica e passiva visione didisperazione ad un momento epico di positiva e costrut-tiva riflessione. Un figurativo sanguigno e decisamenteanticonformista, giustamente propugnato come innova-tore, in un’Italia intellettuale che allora quasi riconosce-va esclusivamente come arte la via dello Spazialismoastratto di Lucio Fontana (e la querelle tra Orler e

Fontana stesso dimostrano ampiamente

27. Bracconieri con spiedosulle Dolomiti, 1963, olio su tela, cm 150x20027. Poachers with Spit in theDolomites, 1963, oil on canvas, 150x200 cm

28. Dietro le sbarre, 1965, olio su tela, cm 45x35

28. Behind Bars, 1965, oil on canvas, 45x35 cm

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l’humus di quei fecondi e indimenticabili AnniSessanta).

I richiami, pur presenti nelle opere di Orler , allamorte non sono più - o lo sono sempre meno frequente-mente - angoscianti incubi (come Dietro le sbarr e, del1965 - fig. 28, dai riferimenti ancora un volta ad EdvardMunch), né fughe dal gor go sof focante e insostenibiledella depressione, né esorcizzazioni ubriacate e storditenella presenza di una ‘materia-dio’ opprimente, madivengono una tranquilla, serena e naturale constatazio-ne, un non temuto memento mori , simboleggiato dallaripetuta presenza di quel teschio che il fratello missiona-rio Cesare gli aveva portato dal Sud Africa, appartenen-te ad un giovane di colore ucciso in quei funesti momen-ti, dominati dal bestiale razzismo della Apartheid: sipensi, ad esempio, a Composizione con teschio e ananase Composizione con teschio, ambedue del 1965, oppurea Fiori, conchiglie e teschio, del 1968 (fig. 29), che già,per taluni aspetti, instaurano il periodo careniano diOrler (si confronti, ad esempio, Natura morta con teschie clessidra , dipinta da Felice Carena nel

1950). La trasfigurazione di quel teschio in un simbolodi risurrezione dello spirito oltre la morte si trasforma,così, indirettamente, anche in una pacata denuncia socia-le, ponendosi dalla parte dei ‘piccoli’ di evangelicamemoria. La stessa serenità traspare dalla trasfigurazio-ne de La montagna incantata del 1965 (tav . 40), dovel’astro rosso risplende tingendo le vette purpuree e icampi di grano quasi come in una notte d’eclisse, oppu-re nel Sole a Fedai (del medesimo anno), dominatoappunto da un gigantesco sole all’orizzonte, ingrandito eonnipresente come attraverso suggestive lenti telescopi-che.

Nel 1966/1967 Orler torna al vecchio tema legato aidrammi di calamità naturali, ma questa volta le “alluvio-ni” a Mezzano di Primiero, evento risalente a quel 4novembre 1966 noto soprattutto per i grandi danni cheallora subirono anche Firenze e Venezia, rispecchianouna maestosità solennemente etica evibratamente care-

29. Fiori, conchiglia e teschio ,1968, olio su tela, cm 45x7529. Flowers, Shells and Skull ,1968, oil on canvas, 45x75 cm

30. Campagna al tramonto,1972, olio su tela, cm 60x70

30. Countryside at Sunset, 1972, oil on canvas, 60x70 cm