Le origini delle lingue...

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Catal Hiiyiik è un antico sito agricolo nelle pianure dell'Anatolia centrale, in Turchia. L'agricoltura ebbe origine qui e in siti vicini intorno al 7000 a.C. l'Europa. Secondo l'autore, la forma ancestrale della lingua indo- e poco tempo dopo iniziò a diffondersi verso nord in direzione del- europea si è diffusa di pari passo con l'espandersi dell'agricoltura. di Colin Renfrew appartengano a questa famiglia (per esempio ungherese, finlandese e basco). Come ebbe origine un assetto lingui- stico così complesso? Il primo modello utile per rispondere a questa domanda venne dallo studio delle lingue romanze. Anche a chi non conoscesse il latino le profonde somiglianze tra queste lingue avrebbero naturalmente suggerito la lo- ro derivazione da un comune ceppo lin- guistico. Partendo dal presupposto che le caratteristiche condivise da queste lin- gue venissero dal comune ceppo lingui- stico (mentre le divergenze sarebbero sorte più tardi, per separazione) sarebbe stato possibile ricostruire molte caratte- ristiche della proto-lingua originaria. Al- lo stesso modo risultava chiaro che si po- tevano studiare le ramificazioni della fa- miglia indoeuropea e costruirne un ipo- tetico albero genealogico, a partire da un comune «protoindoeuropeo». Questa impostazione ad albero, pro- posta per la prima volta, intorno al 1860, dal filologo tedesco August Schleicher, costituisce il quadro concettuale entro cui ancora si muovono i glottologi per spiegare lo sviluppo delle diverse fami- glie linguistiche. Il processo di base rap- presentato dal modello ad albero è un processo di divergenza: quando le lingue rimangono isolate una dall'altra aumen- tano le differenze tra di esse e i dialetti che in questo modo si differenziano fini- scono gradualmente per diventare lin- gue autonome e distinte. Ma la divergenza non è affatto l'uni- ca tendenza possibile nell'evoluzione di una lingua. Solo dieci anni dopo la pro- posta della teoria dell'albero genealogi- co da parte di Schleicher, un altro lingui- sta tedesco, Johannes Schmidt , intro- dusse un modello «a onde» secondo cui le trasformazioni linguistiche si propa- gherebbero come onde, portando in ul- timo alla convergenza, cioè a una cre- scente somiglianza tra lingue inizial- mente molto diverse. Il linguista sovieti- co N. S. Trubeckoj, nel volume postumo Griindzuge der Phonologie (1939), arri- vò ad avanzare l'ipotesi che le somiglian- ze tra le lingue indoeuropee avrebbero potuto originarsi in questo modo. At- tualmente, però, la maggior parte dei linguisti respinge l'ipotesi di Trubeckoj e tende a ragionare prevalentemente in termini di alberi genealogici di famiglie linguistiche. ebbene il punto di partenza del pro- blema delle origini indoeuropee sia linguistico, la sua soluzione richiede ne- cessariamente il contributo dell'archeo- logia, che costituisce uno strumento di verifica delle ipotesi linguistiche. Gli ar- cheologi iniziarono ad affrontare il pro- blema ai primi del Novecento, in un pe- riodo in cui le conoscenze archeologi- che relative alle prime vicende storiche Le origini delle lingue indoeuropee Quasi tutte le lingue d'Europa derivano da uno stesso ceppo ed è plausibile che si siano diffuse nel continente non attraverso conquiste, come si riteneva, ma in concomitanza con il pacifico avanzare dell'agricoltura U nodei problemi più dibattuti di tutto il campo di studi dell'ar- cheologia e della preistoria è quello relativo alla spiegazione dei note- voli legami che esistono fra quasi tutte le lingue europee, molte delle lingue par- late in India e in Pakistan e alcune lingue delle regioni intermedie. Da più di due secoli si sa che le lingue «indoeuropee» sono imparentate tra loro. Ma quale processo preistorico sta alla base di que- sta parentela? Come è avvenuto che lin- gue imparentate si siano diffuse su un'a- rea così vasta? Quali implicazioni ha la loro distribuzione per la preistoria e la storia dell'Europa? (Si tenga anche pre- sente che, in seguito all'espansione co- loniale avutasi dal XVI al XIX secolo, le lingue indoeuropee costituiscono il gruppo linguistico attualmente più par- lato al mondo.) La teoria tradizionale sulla diffusione delle lingue indoeuropee sostiene che al- le origini vi fosse una proto-lingua par- lata da cavalieri nomadi che, agli inizi dell'Età del bronzo, vivevano in quella che oggi è la Russia occidentale, a nord del Mar Nero. Nel corso dei loro sposta- menti su territori sempre più vasti, que- sti guerrieri a cavallo avrebbero sotto- messo le popolazioni indigene imponen- do la loro lingua proto-indoeuropea, dalla quale nei secoli successivi si sareb- bero evolute, nelle diverse regioni, le lingue europee che oggi conosciamo. In 'pesti ultimi anni, tuttavia, molti studiosi, in particolare archeologi, non si considerano più soddisfatti dalla spiega- zione tradizionale. Io stesso ho conside- rato gli argomenti a favore della teoria finora accettata e li ho trovati assai poco convincenti. In questo articolo propon- go una teoria differente, basata su nuove interpretazioni del modo in cui avver- rebbero le trasformazioni culturali. Se- condo questa teoria, la diffusione delle lingue indoeuropee non richiese conqui- ste; al contrario, si trattò probabilmente di una avanzata pacifica legata alla dif- fusione dell'agricoltura dai suoi luoghi di origine in Anatolia e nel Vicino Oriente. La soluzione da me proposta, che è mol- to diversa da quella tradizionalmente ac- cettata, ha profonde implicazioni per la preistoria dell'Europa e per gli studi lin- guistici delle lingue indoeuropee. I ' problema delle origini indoeuropee ha un punto di partenza linguistico e non archeologico. I linguisti, di fronte alle lingue europee, si rendono imme- diatamente conto che esse sono impa- rentate in quanto a fonologia (inventario dei suoni realizzati e loro sviluppi), ca- tegorie morfologiche e lessico. Per dare un'idea della parentela lessicale è suffi- ciente confrontare le parole che denota- no i numeri da uno a 10 in diverse lingue indoeuropee. Questo confronto indica che esistono somiglianze significative tra molte lingue europee e il sanscrito, la lingua dei più antichi testi letterari india- ni, mentre lingue come il cinese o il giap- ponese si differenziano totalmente. Spingendo i confronti più nel detta- glio, i linguisti sono in grado di suddivi- dere ulteriormente in famiglie le lingue europee. Quella che fu la prima a essere riconosciuta, la famiglia delle lingue ro- manze (che come si sa discendono tutte dal latino), comprende, fra le altre, ita- liano, francese, spagnolo, portoghese e rumeno. Alla famiglia della lingue slave appartengono russo, polacco, ceco, slo- vacco, serbo-croato, bulgaro ecc. Di quella delle lingue germaniche fanno parte tedesco, norvegese, danese, sve- dese e così via. Queste tre famiglie pos- sono essere raggruppate a loro volta nel più vasto ambito della famiglia linguisti- ca indoeuropea. Sono ben poche, in ef- fetti, le lingue parlate in Europa che non 98 99

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  • Catal Hiiyiik è un antico sito agricolo nellepianure dell'Anatolia centrale, in Turchia.

    L'agricoltura ebbe origine qui e in siti vicini intorno al 7000 a.C. l'Europa. Secondo l'autore, la forma ancestrale della lingua indo-e poco tempo dopo iniziò a diffondersi verso nord in direzione del- europea si è diffusa di pari passo con l'espandersi dell'agricoltura.

    di Colin Renfrew

    appartengano a questa famiglia (peresempio ungherese, finlandese e basco).

    Come ebbe origine un assetto lingui-stico così complesso? Il primo modelloutile per rispondere a questa domandavenne dallo studio delle lingue romanze.Anche a chi non conoscesse il latino leprofonde somiglianze tra queste lingueavrebbero naturalmente suggerito la lo-ro derivazione da un comune ceppo lin-guistico. Partendo dal presupposto chele caratteristiche condivise da queste lin-gue venissero dal comune ceppo lingui-stico (mentre le divergenze sarebberosorte più tardi, per separazione) sarebbestato possibile ricostruire molte caratte-ristiche della proto-lingua originaria. Al-lo stesso modo risultava chiaro che si po-tevano studiare le ramificazioni della fa-miglia indoeuropea e costruirne un ipo-tetico albero genealogico, a partire da uncomune «protoindoeuropeo».

    Questa impostazione ad albero, pro-

    posta per la prima volta, intorno al 1860,dal filologo tedesco August Schleicher,costituisce il quadro concettuale entrocui ancora si muovono i glottologi perspiegare lo sviluppo delle diverse fami-glie linguistiche. Il processo di base rap-presentato dal modello ad albero è unprocesso di divergenza: quando le linguerimangono isolate una dall'altra aumen-tano le differenze tra di esse e i dialettiche in questo modo si differenziano fini-scono gradualmente per diventare lin-gue autonome e distinte.

    Ma la divergenza non è affatto l'uni-ca tendenza possibile nell'evoluzione diuna lingua. Solo dieci anni dopo la pro-posta della teoria dell'albero genealogi-co da parte di Schleicher, un altro lingui-sta tedesco, Johannes Schmidt , intro-dusse un modello «a onde» secondo cuile trasformazioni linguistiche si propa-gherebbero come onde, portando in ul-timo alla convergenza, cioè a una cre-

    scente somiglianza tra lingue inizial-mente molto diverse. Il linguista sovieti-co N. S. Trubeckoj, nel volume postumoGriindzuge der Phonologie (1939), arri-vò ad avanzare l'ipotesi che le somiglian-ze tra le lingue indoeuropee avrebberopotuto originarsi in questo modo. At-tualmente, però, la maggior parte deilinguisti respinge l'ipotesi di Trubeckoje tende a ragionare prevalentemente intermini di alberi genealogici di famiglielinguistiche.

    ebbene il punto di partenza del pro-blema delle origini indoeuropee sia

    linguistico, la sua soluzione richiede ne-cessariamente il contributo dell'archeo-logia, che costituisce uno strumento diverifica delle ipotesi linguistiche. Gli ar-cheologi iniziarono ad affrontare il pro-blema ai primi del Novecento, in un pe-riodo in cui le conoscenze archeologi-che relative alle prime vicende storiche

    Le originidelle lingue indoeuropee

    Quasi tutte le lingue d'Europa derivano da uno stesso ceppo ed è plausibileche si siano diffuse nel continente non attraverso conquiste, come siriteneva, ma in concomitanza con il pacifico avanzare dell'agricoltura

    U

    nodei problemi più dibattuti ditutto il campo di studi dell'ar-cheologia e della preistoria è

    quello relativo alla spiegazione dei note-voli legami che esistono fra quasi tutte lelingue europee, molte delle lingue par-late in India e in Pakistan e alcune linguedelle regioni intermedie. Da più di duesecoli si sa che le lingue «indoeuropee»sono imparentate tra loro. Ma qualeprocesso preistorico sta alla base di que-sta parentela? Come è avvenuto che lin-gue imparentate si siano diffuse su un'a-rea così vasta? Quali implicazioni ha laloro distribuzione per la preistoria e lastoria dell'Europa? (Si tenga anche pre-sente che, in seguito all'espansione co-loniale avutasi dal XVI al XIX secolo,le lingue indoeuropee costituiscono ilgruppo linguistico attualmente più par-lato al mondo.)

    La teoria tradizionale sulla diffusionedelle lingue indoeuropee sostiene che al-le origini vi fosse una proto-lingua par-lata da cavalieri nomadi che, agli inizidell'Età del bronzo, vivevano in quellache oggi è la Russia occidentale, a norddel Mar Nero. Nel corso dei loro sposta-menti su territori sempre più vasti, que-sti guerrieri a cavallo avrebbero sotto-messo le popolazioni indigene imponen-do la loro lingua proto-indoeuropea,dalla quale nei secoli successivi si sareb-bero evolute, nelle diverse regioni, lelingue europee che oggi conosciamo.

    In 'pesti ultimi anni, tuttavia, moltistudiosi, in particolare archeologi, non siconsiderano più soddisfatti dalla spiega-zione tradizionale. Io stesso ho conside-rato gli argomenti a favore della teoriafinora accettata e li ho trovati assai pococonvincenti. In questo articolo propon-go una teoria differente, basata su nuoveinterpretazioni del modo in cui avver-rebbero le trasformazioni culturali. Se-condo questa teoria, la diffusione delle

    lingue indoeuropee non richiese conqui-ste; al contrario, si trattò probabilmentedi una avanzata pacifica legata alla dif-fusione dell'agricoltura dai suoi luoghi diorigine in Anatolia e nel Vicino Oriente.La soluzione da me proposta, che è mol-to diversa da quella tradizionalmente ac-cettata, ha profonde implicazioni per lapreistoria dell'Europa e per gli studi lin-guistici delle lingue indoeuropee.

    I' problema delle origini indoeuropeeha un punto di partenza linguistico e

    non archeologico. I linguisti, di frontealle lingue europee, si rendono imme-diatamente conto che esse sono impa-rentate in quanto a fonologia (inventariodei suoni realizzati e loro sviluppi), ca-tegorie morfologiche e lessico. Per dareun'idea della parentela lessicale è suffi-ciente confrontare le parole che denota-no i numeri da uno a 10 in diverse lingueindoeuropee. Questo confronto indicache esistono somiglianze significative tramolte lingue europee e il sanscrito, lalingua dei più antichi testi letterari india-ni, mentre lingue come il cinese o il giap-ponese si differenziano totalmente.

    Spingendo i confronti più nel detta-glio, i linguisti sono in grado di suddivi-dere ulteriormente in famiglie le lingueeuropee. Quella che fu la prima a esserericonosciuta, la famiglia delle lingue ro-manze (che come si sa discendono tuttedal latino), comprende, fra le altre, ita-liano, francese, spagnolo, portoghese erumeno. Alla famiglia della lingue slaveappartengono russo, polacco, ceco, slo-vacco, serbo-croato, bulgaro ecc. Diquella delle lingue germaniche fannoparte tedesco, norvegese, danese, sve-dese e così via. Queste tre famiglie pos-sono essere raggruppate a loro volta nelpiù vasto ambito della famiglia linguisti-ca indoeuropea. Sono ben poche, in ef-fetti, le lingue parlate in Europa che non

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  • ITALIANO INGLESE GOTICO LATINOGRECO »

    CLASSICO•

    SANSCRITO GIAPPONE

    UNO ONE AINS UNUS HEIS EKAS HIITOTSU

    DUE TVVO TWAI DUO DUO DVA FUTATSU

    TRE THREE THRIJA TRES TREIS TRAYAS MITTSU

    QUATTRO FOUR FIDWOR QUATTUOR TETTARES CATVARAS •YOTTSU

    CINQUE FIVE FIMF QUINQUE PENTE PANCA ITSUTSU

    SEI SIX SAIHS SEX HEX SAT MUTTSU

    SETTE SEVEN SIBUN SEPTEM HEPTA SAPTA NANATSU

    OTTO EIGHT AHTAU OCTO OKTO ASTAU 0.11 YATTSU

    NOVE NINE NIUN NOVEM ENNEA NAVA KOKONOTSU

    DIECI TEN TAIHUN DECEM DEKA DASA TO

    I termini per i numeri da I a 10 evidenziano le relazioni tra le lingue indoeuropee e icarattere del tutto diverso del giapponese, che non fa parte di quella famiglia. Questeanalogie hanno stimolato l'interesse per il problema delle origini delle lingue indoeuropee.

    Le lingue indoeuropee sono diffuse dall'Irlanda all'India. Quasitutte le lingue parlate in Europa fanno parte di questa famiglia. Tra

    le eccezioni ci sono finlandese, estone e ungherese, che appartengo-no al gruppo ugro-finnico, e il basco, attualmente del tutto isolato.

    I IROMANZE

    GERMANICHEri SLAVEGRECO

    CELTICHE

    BALTICHE

    I I

    LINGUE NON INDOEUROPEE

    BASCO ESTONE

    UNGHERESE V. FINLANDESE

    I I

    INDIANE

    ANATOLICHE

    2 TOCARIO

    LINGUE INDOEUROPEE

    ARMENO

    ALBANESE

    IRANICHE

    dei romani, dei greci e dei celti si face-vano sempre più precise, arrivando a co-prire tutto il primo millennio a.C. Si sta-vano inoltre compiendo scoperte ar-cheologiche che facevano sperare diestendere le conoscenze scientifiche aepoche preistoriche più antiche, finoal Paleolitico, in quasi tutta l'Europa.Iniziava ad apparire plausibile l'ipote-si che queste testimonianze materialiavrebbero consentito di rintracciare leculture delle popolazioni parlanti lingueindoeuropee e di risalire fino alle loroorigini.

    In quella fase dell'archeologia si pre-supponeva che le trasformazioni cultu-rali più significative fossero il risultatodella migrazione di intere popolazioni otribù lungo direttrici che si pensava dipoter individuare rintracciando armi,utensili e vasellame di foggia caratteri-stica lasciati lungo i percorsi di sposta-mento. Si riteneva inoltre che uno spe-cifico insieme di manufatti - quello chegli archeologi chiamano una «cultura» -

    potesse documentare una specifica tribùavente una lingua sua propria. In questomodo i movimenti delle tribù, individua-ti tramite i reperti archeologici, avrebbe-ro spiegato la dispersione delle antichelingue indoeuropee. Si trattava allora ditrovare la «patria» d'origine degli indo-europei e di determinare le direttrici del-la loro dispersione attraverso la docu-mentazione materiale delle loro culturerinvenuta negli scavi archeologici.

    La ricerca di questa patria, però, si èrivelata molto controversa e non semprela discussione si è mantenuta a livelli pu-ramente accademici. Per gran parte diquesto secolo gli studiosi tedeschi sonostati generalmente propensi a vedere lapatria indoeuropea nell'Europa setten-trionale. Parte del loro lavoro vennesfruttato dai nazisti nello sforzo di dimo-strare che l'originaria lingua indoeuro-pea veniva parlata in Germania da unarazza superiore di «ariani». Le lingue se-mitiche, che formano un gruppo diffe-rente, erano associate a una ra77a che i

    nazisti consideravano inferiore. Da que-sto uso scorretto e confuso della lingui-stica e dell'antropologia ebbe in parteorigine la sordida giustificazione razio-nale del Terzo Reich. Non c'è da stupirsiche negli ultimi anni gli studiosi si sianoaddentrati in questo campo con estremacautela (quando non se ne sono total-mente astenuti).

    Tuttavia la teoria di una patria indo-europea nell'Europa settentrionale nonfu quella che ebbe la maggiore influenzanella cerchia degli studiosi. Nel 1926 V.Gordon Childe , del Royal Anthropolo-gical Institute di Londra, pubblicò un li-bro intitolato The Aryans in cui sostene-va che la patria d'origine andava indivi-duata nelle steppe a nord del Mar Nero,in quella che attualmente è la Russia, inun periodo compreso tra la fine del Neo-litico e l'inizio dell'Età del bronzo, chein alcune parti d'Europa si era già am-piamente attestata prima del 3000 a.C.

    Il testo di Childe ricorreva ad argo-mentazioni sia archeologiche sia lingui-

    stiche; queste ultime, particolarmenteingegnose, si basavano sui fruttuosi ri-sultati della linguistica nel definire un«nucleo» lessicale comune a molte lin-gue indoeuropee. L'idea era che questonucleo fosse una sopravvivenza della lin-gua proto-indoeuropea parlata nella pa-tria d'origine. Le parole appartenenti aquesto nucleo che indicavano piante eanimali vennero usate per raffigurarsil'ambiente in cui vivevano le prime po-polazioni che parlavano quella lingua.Altre parole fornirono un mezzo per da-tare la formazione della proto-lingua.Non esistevano «parole nucleo» per de-signare il ferro o il bronzo, ma vi eranoparole per indicare il cavallo e la ruota.Sembrava, quindi, che la dispersione ini-ziale degli indoeuropei dovesse essereavvenuta prima dell'inizio dell'Età delbronzo, ma successivamente alla dome-sticazione del cavallo e all'introduzionedel carro.

    hilde correlò poi queste nozioni lin-guistiche alle testimonianze fornite

    dall'archeologia. In particolare, fissò lapropria attenzione sulla ceramica «a fu-nicelle» (un tipo di ceramica con deco-razioni ottenute premendo cordicelle.sull'argilla umida), che è ampiamentediffusa nei siti risalenti agli inizi dell'Etàdel bronzo. Nell'Europa settentrionale eorientale, questa ceramica viene spessorinvenuta - insieme ad asce da guerra inpietra - in tumuli di terra, chiamati inrusso kurgan, che servivano come tombeper personaggi importanti. Childe avan-zò l'ipotesi che questi manufatti fosseroi resti materiali lasciati da gruppi di pa-stori nomadi armati e dotati di cavallidurante la migrazione dalle steppe d'o-rigine, situate a nord del Mar Nero, al-l'inizio dell'Età del bronzo. Si trattava,in poche parole, degli indoeuropei.

    In anni recenti, questa argomentazio-ne è stata ripresa in modo efficace e det-tagliato da Marija Gimbutas dell'Uni-versità della California a Los Angeles.Basandosi sui dati riportati da Childe esostenendoli con scoperte più recenti, laGimbutas ha ricostruito una serie di «in-vasioni del popolo dei kurgan» verso oc-cidente a partire dalle terre a nord delMar Nero. Questa teoria trova oggi ampiconsensi tra i glottologi. Anche molti ar-cheologi l'hanno accettata, e spesso oggialtre argomentazioni archeologiche ven-gono riformulate per dar loro una mag-giore conformità all'ipotesi delle inva-sioni del popolo dei kurgan. A mio pa-rere, però, questa ricostruzione non èsoddisfacente.

    Il mio ragionamento si può articolarenel modo seguente. Prima di tutto, latesi archeologica non è convincente: og-gi molti archeologi considerano le sepol-ture associate a ceramiche «a funicelle»come fenomeni essenzialmente locali;quando un membro dell'aristocrazia lo-cale emergente veniva inumato, con luisi seppellivano oggetti degni del presti-gio del personaggio. Nemmeno l'argo-

    mento delle parole nucleo è particolar-mente forte. Alcune delle cosiddette pa-role nucleo per indicare piante e animalihanno in realtà cambiato il loro signifi-cato nel corso del tempo, e comunquenon sono necessariamente specifiche diuna particolare area geografica. Le pa-role su cui ci si basa per le datazioni sonodel pari sospette. Robert Coleman, del-l'Università di Cambridge, ha messo indubbio l'idea che le parole che indicanoil cavallo e la ruota facessero realmenteparte di un protolessico antecedente auna dispersione generalizzata.

    Ma forse l'obiezione più efficace èsemplicemente il fatto che la ricostruzio-ne nel suo insieme è scarsamente convin-cente. Perché mai orde di guerrieri a ca-vallo avrebbero dovuto muovere versooccidente alla fine del Neolitico, soggio-gando gli abitanti d'Europa e imponen-do loro la lingua proto-indoeuropea?Quale enorme incremento di popolazio-ne nelle steppe avrebbe potuto essereresponsabile di questo fenomeno? Perquanto elegante ne sia la ricostruzione,questa storia non mi pare vera.

    Il problema di fondo, a mio giudizio,è che non si è data sufficiente attenzionealla questione di come i mutamenti lin-guistici possano essere rispecchiati dalletestimonianze archeologiche. Molti de-gli argomenti tradizionali, come ho det-to in precedenza, tendono a far corri-spondere un certo insieme di manufatticon un ipotetico gruppo ben definito, co-me una tribù. Gli archeologi ora com-prendono che sono essi stessi a ricono-scere e definire le «culture» archeologi-che e che quindi la corrisppndenza conipotetiche tribù è problematica. Ciò che

    più conta, l'ulteriore corrispondenza trauna popolazione così definita e una par-ticolare lingua o gruppo di lingue è benlungi dall'essere assodata.

    RitenRitengo che si debba evitare di stabi-go lire una corrispondenza tra un certo

    stile di ceramica, come quello della ce-ramica «a funicelle», e una popolazioneo una lingua. Ci si deve domandare in-vece quali processi sociali, economici edemografici possano essere correlati amutamenti nella lingua. Una volta che sisia data una risposta a questa domanda,ci si può poi chiedere come questi muta-menti si riflettano nelle testimonianzearcheologiche. Prima di passare alle te-stimonianze materiali, però, occorre co-struire modelli espliciti del modo in cuipuò svolgersi il mutamento linguistico.

    Ci sono quattro classi principali di mo-delli, che lo spazio limitato mi consentedi trattare solo brevemente. Il primo è ilprocesso di colonizzazione iniziale, conil quale un territorio inizialmente disabi-tato viene popolato; la lingua di questoterritorio sarà naturalmente quella deicolonizzatori. Ci sono poi i processi didivergenza, come la divergenza linguisti-ca che nasce dalla separazione o dall'iso-lamento, di cui ho parlato in relazione aiprimi modelli delle lingue indoeuropee.Il terzo gruppo di modelli si fonda suprocessi di convergenza linguistica. Ne èun esempio il modello a onde formulatoda Schmidt intorno al 1870, ma come hogià detto i modelli di convergenza nonhanno in generale incontrato molto fa-vore fra i linguisti.

    L'azione lenta e piuttosto statica diquesti processi è però complicata da un

    .N04.1

    100

    101

  • PROTO-

    -INDOEUROPEO IRANICO

    INDIANO1N0OIRANICO

    GERMANICO

    LITUANO

    SLAVO

    CELTICO

    ITALICO

    Il modello ad albero delle origini delle lingue indoeuropee si basa sulla divergenza daun ceppo comune: la lingua proto-indoeuropea. Questo schema venne ideato intorno al1860 dal filologo tedesco August Schleicher, il primo a proporre l'impostazione ad albero.

    L'ipotesi delle «invasioni del popolo dei kurgan» raffigura gli in-doeuropei originari come guerrieri a cavallo in movimento da unazona d'origine a nord del Mar Nero (in arandone) a partire dal4000 a.C. Questa carta si basa su una proposta di Marija Gimbutas

    dell'Università della California a Los Angeles. Secondo questo mo-dello, la prima ondata di invasioni avrebbe portato i guerrieri inGrecia verso il 3500 a.C. A partire dal 2500 a.C. circa, essi sisarebbero diffusi lungo le direttrici indicate dalle frecce in colore.

    altro fattore, la sostituzione linguistica,che è alla base della quarta classe di mo-delli. In parecchie zone del mondo lelingue inizialmente parlate dalle popola-zioni autoctone hanno finito con l'esseresostituite, interamente o in parte, da lin-gue parlate da popoli venuti dall'ester-no. Se non fosse per questo notevole fat-tore di complicazione, la storia linguisti-ca del mondo potrebbe essere fedelmen-te descritta dalla distribuzione inizialedi Homo sapiens sapiens e dalla succes-siva azione graduale, a lungo termine,della divergenza e della convergenza.

    A mio parere la sostituzione linguisti-ca ha un ruolo importantissimo nellaspiegazione delle origini delle lingue in-doeuropee . Le testimonianze archeolo-giche indicano che l'Europa è abitatasenza interruzioni fin da un'epoca moltoremota del Paleolitico. La colonizzazio-ne iniziale, quindi, ben difficilmente puòservire a dare una risposta efficace. Èanche inverosimile che la semplice diver-genza possa spiegare il complesso siste-ma di relazioni che sussiste tra le lingueeuropee. L'ipotesi dell'unità attraversola convergenza, proposta da Trubeckoj,è stata ampiamente respinta. Quasi peresclusione, sembrerebbe necessario unmodello basato sulla sostituzione lingui-stica. Il modello dell'invasione del popo-lo dei kurgan rientra in questa categoriama, come ho detto, non è del tutto sod-disfacente. Quali sono le alternative?

    ono molti i modi con cui una linguapotrebbe sostituirne un'altra in una

    certa regione. Il primo riguarda princi-palmente processi demografici ed eco-nomici. La popolazione già presente nel-

    la regione avrà di solito una ben definitaeconomia di sussistenza. Sia che quell'e-conomia si basi sulla caccia e sulla rac-colta, sia che si basi sull'agricoltura e l'al-levamento, avrà già iniziato ad appros-simarsi alla propria «massima capacità disostentamento». Se un gruppo di nuovivenuti vuole affermarsi con mezzi paci-fici, è necessario che possieda una tec-nologia che lo metta in grado di sfruttareuna diversa nicchia ecologica o di com-petere con successo nella stessa nicchia.Solo in questi casi la nuova popolazionesi espanderà in misura sufficiente a far sìche la sua lingua inizi a imporsi.

    Sono possibili anche altre forme di so-stituzione. Quando il gruppo in arrivo èben organizzato e possiede una tecnicamilitare superiore, può riuscire a sopraf-fare il sistema sociale preesistente e adominare con la forza delle armi. In que-sto caso la nuova élite dominante puòimporre la propria lingua. Questa so-praffazione, però, è possibile solo a de-terminate condizioni. Una, ovvia, è ilpossesso di una tecnica militare superio-re. Un'altra è che entrambi gli ordini so-ciali - quello della popolazione autocto-na e quello degli occupanti - possiedanoun alto livello di organizzazione: il grup-po in arrivo deve essere organizzato peresercitare il dominio; la società indi-gena deve essere altamente organizzataperché gli invasori possano controllarlacompletamente.

    Le invasioni del popolo dei kurgan sa-rebbero un buon esempio di modello disopraffazione elitaria se si potesse dimo-strare che questi criteri sono stati soddi-sfatti. Ma questo non è verosimile. Ilsupposto vantaggio militare dei guerrieri

    kurgan (il fatto che fossero a cavallo) èdel tutto ipotetico, in quanto non è chia-ro se a quel tempo vi fossero guerrieri acavallo. Inoltre, è ancora da dimostrareche sia gli invasori, sia i primi abitantidell'Europa avessero prima dell'iniziodell'Età del bronzo un grado di organiz-zazione sufficiente per un processo diquesto genere. In realtà, è probabile cheuna chiara stratificazione sociale sia e-mersa in Europa solo con l'Età del bron-zo; nel precedente periodo neolitico lamaggior palte delle società avevano pre-sumibilmente una struttura per lo piùegualitaria.

    Si dovrebbero ricordare, almeno disfuggita, altre due forme di sostituzione.Quando una società fortemente centra-lizzata crolla, le popolazioni precedente-mente tenute sotto controllo al di là dellefrontiere possono sfruttare il vuoto dipotere e iniziare una penetrazione, comeaccadde alla fine dell'Impero romano. Inoccasione di questi crolli, la lingua dei«barbari» invasori può soppiantare quel-la del centro imperiale.

    In alternativa, quando in una societàegualitaria si afferma il commercio sulunghe distanze, spesso si sviluppa unalingua commerciale, o lingua franca, unaversione semplificata di una lingua ori-ginariamente parlata al di fuori del ter-ritorio in questione. Quando una linguafranca comincia a essere parlata comemadre lingua dagli abitanti viene defini-ta «creolo», e la creolizzazione , che è untipo di sostituzione, viene attualmenteconsiderata un aspetto importante dellosviluppo linguistico.

    Applicando alla storia e alla preistoriadell'Europa queste forme di sostituzionelinguistica - mutamento demografico,dominanza di élite, collasso di un siste-ma e lingua franca - ci troviamo notevol-mente più vicini al nostro obiettivo. Ladominanza di élite e il collasso di un si-stema richiedono entrambi un grado diorganizzazione sociale che probabilmen-te mancava prima dell'Età del bronzo. Èben difficile che un sistema di commer-cio europeo fosse abbastanza intenso,prima dell'Età del bronzo, da promuo-vere la nascita di una lingua franca. Ri-mangono quindi i modelli demografici edi sussistenza. Se si esamina la preistoriaeuropea, c'è un evento di enorme porta-ta e dagli effetti sufficientemente ra-dicali da potersi candidare come elemen-to di spiegazione, e quell'evento ricadepienamente nella categoria della sussi-stenza: l'avvento dell'agricoltura e del-l'allevamento.

    Mei VII millennio a.C. iniziò a diffon-i dersi in Europa una nuova econo-mia agricola, basata sulla coltivazionedel frumento e dell'orzo e sull'alleva-mento di greggi di pecore e capre. Que-ste specie non vivevano in Europa allostato selvatico, ma erano importate. Sesi seguono le tracce della loro presenzaattraverso l'Europa fino alle regioni piùvicine in cui vivevano i loro antenati allo

    stato selvatico, si arriva all'Anatolia cen-trale, che fa oggi parte della Turchia. Inrealtà, pare che la domesticazione diqueste specie abbia avuto luogo, più omeno simultaneamente, in diverse re-gioni confinanti del Vicino Oriente, mal'Anatolia ha una particolare importan-za perché è da lì che le specie domesti-cate raggiunsero l'Europa.

    Che cosa rappresenta questa diffusio-ne in termini demografici? Albert J.Ammerman e Luca L. Cavalli-Sforza,della Stanford University, hanno fornitoun'elegante risposta sotto forma di unmodello che essi chiamano a «onda diavanzamento». Questo modello presup-pone che l'economia agricola si sia dif-fusa tramite spostamenti locali degliagricoltori e della loro prole.

    Quando l'agricoltura raggiungeva unacerta regione, la densità locale della po-polazione cresceva rapidamente. Am-merman e Cavalli-Sforza calcolano chel'agricoltura e l'allevamento potrebberoavere incrementato di 50 volte la densitàdi un abitante ogni 10 chilometri quadra-ti che era tipica di un'economia di cacciae raccolta. L'aumento della densità dipopolazione ha conseguenze imponenti

    nel modello a onda di avanzamento.Ammerman e Cavalli-Sforza assumo-

    no un intervallo fra generazioni pari a 25anni. Suppongono inoltre che ciascunagricoltore, raggiunta l'età dell'autono-mia, si spostasse di 18 chilometri dalleterre dove era nato (in una direzione ca-suale) per stabilire le proprie coltivazio-ni. Con questi postulati, che fornisconola base per i calcoli, Ammerman e Ca-valli-Sforza dimostrano che l'agricolturasi sarebbe diffusa per l'Europa comeun'onda propagantesi alla velocità me-dia di un chilometro all'anno. A questoritmo sarebbero occorsi circa 1500 anniperché l'economia agricola raggiungessel'Europa settentrionale dall'Anatolia, ilche è in perfetto accordo con le testimo-nianze archeologiche disponibili.

    Naturalmente nessun modello potreb-be da solo descrivere in modo ade-

    guato un processo sociale complesso co-me l'avvento dell'agricoltura e dell'alle-vamento in Europa. Condizioni qualiuna variazione nel terreno e nel climaimplicano significative differenze fra re-altà e modello. L'onda di avanzamento,inoltre, non è l'unico modello applicabi-

    le, come hanno rilevato Marek Zvelebil,dell'Università di Sheffield in Inghilter-ra, e suo padre Kamil Zvelebil, un lin-guista di origine ceca che attualmentevive nei Paesi Bassi. Nel caso la popola-zione locale di cacciatori e raccoglitoriavesse adottato l'agricoltura per contat-to con le popolazioni vicine, l'economiaagricola si sarebbe diffusa un po' più len-tamente e senza sostituzione linguistica,in quanto gli agricoltori sarebbero stati inativi con la loro nuova economia e nongli immigrati con la loro nuova lingua.

    In realtà vi fu probabilmente una com-mistione di questi due processi. Può dar-si che l'agricoltura sia stata portata danuovi arrivati in Grecia e poi nei Balca-ni, nell'Europa centrale e nell'Italia me-ridionale. In altre regioni, invece, l'agri-coltura potrebbe essere stata adottatadalla popolazione indigena e ciò spie-gherebbe l'anomala persistenza di linguenon indoeuropee. Una di queste lingue,sopravvissuta fino ai nostri giorni, è ilbasco. Un'altra è l'etrusco dell'Italiacentrale, conservatosi fino all'epoca ro-mana. Diverse altre lingue di oscura ori-gine, tra cui l'iberico, parlato anticamen-te in Spagna e la lingua dei pitti, popo-

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  • La diffusione dell'agricoltura in Europa, a partire dalla sua zonad'origine nel Vicino Oriente, richiese poco più di 2000 anni. Nellacarta sono indicati i siti in cui si sono trovati resti di piante coltivate

    tipiche delle primi fasi dell'agricoltura. Questi resti caratteristicisono attestati in Grecia tra il 6000 e il 5000 a.C.; 1000 anni doporisultano distribuiti in tutta l'area delle attuali Germania e Polonia.

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    • 6000-5000 a.C.

    • PRIMA DEL 6000 a.C.

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    250

    Secondo l'ipotesi dell'autore, la successione di trasformazioni lin-guistiche avvenne parallelamente alla diffusione dell'agricoltura;in questa carta ciascuna trasformazione è indicata con un numero.La trasformazione iniziale (1) fu quella dall'antica cultura agrico-

    la dell'Anatolia, patria della lingua proto-indoeuropea, a quelladella Grecia centrale, dove in seguito si sviluppò la lingua da cuiebbe origine il greco. Tutte le trasformazioni seguenti portarono aloro volta alla formazione di una nuova lingua o gruppo di lingue.

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    lazione pre-celtica della Scozia, possonoforse essere spiegate in modo analogo.

    Qualunque siano state, nei dettagli, lemodalità di comparsa dell'agricolturanelle diverse regioni, il processo nellasua globalità può fornire una coerentealternativa alla spiegazione convenzio-nale di come le lingue indoeuropee sianogiunte in Europa. Questo quadro espli-cativo differisce in modo notevole dalprecedente. In esso i movimenti di im-migrazione vengono dall'Anatolia anzi-ché dalle steppe e si svolgono in un'epo-ca (verso il 6500 a.C.) di diverse migliaiadi anni anteriore a quella generalmenteproposta. La mia ipotesi implica ancheche i primi a parlare indoeuropeo nonfossero guerrieri invasori con una societàa organizzazione centralizzata, ma paci-fici contadini che vivevano in società so-stanzialmente egualitarie e che nel corsodi un'intera esistenza si spostavano forsenon più di qualche chilometro.

    nuesta ipotesi ha alcuni significativicorollari per la preistoria delle step-

    pe della Russia e per quella europea ingenerale. In effetti, il modello inverti-rebbe la direzione dell'influenza fra lesteppe e l'Europa occidentale, quale erastata ipotizzata da Childe e dalla Gim-butas: esso prevede che l'agricoltura el'antica parlata indoeuropea siano giun-te nelle regioni steppose della Russia daoccidente e non viceversa. E in effetti cisono testimonianze di antichi villaggiagricoli ucraini in cui il frumento e l'orzoerano quasi certamente di provenienzaoccidentale: venivano dai Balcani, dovela coltivazione dei cereali era giunta dal-l'Anatolia attraverso la Grecia. Quindi iprimi popoli che parlavano il proto-in-doeuropeo nelle steppe comunicavanoprobabilmente in una lingua di origineanatolica che, per arrivare nelle terre anord del Mar Nero, era già passata perla Grecia e per i Balcani.

    In senso più generale, se si fa arretrarefino al 6500 a.C. l'arrivo delle lingue in-doeuropee in Europa, allora nella prei-storia europea vi è una continuità moltomaggiore di quanto si ritenesse in passa-to. All'inizio dell'Età del bronzo non vifu alcuna discontinuità improvvisa rap-presentata dall'arrivo degli indoeuropei,così come viene descritto da molti testidi preistoria. E neppure vi fu una discon-tinuità nell'Età del ferro, come si è spes-so pensato per descrivere l'arrivo dei cel-ti nell'Europa settentrionale. La linguaceltica si sarebbe evoluta nell'Europaoccidentale a partire da radici indoeuro-pee. Anziché essere un gruppo autocto-no cancellato dagli indoeuropei, il popo-lo che costruì Stonehenge e gli altri gran-di monumenti megalitici d'Europa eracostituito da indoeuropei che parlavanouna lingua da cui derivano le odiernelingue celtiche.

    Alla luce di quanto abbiamo detto,l'intera preistoria dell'Europa apparecome una serie di trasformazioni e adat-tamenti evolutivi su una comune base

    proto-indoeuropea, a cui si affiancavanoalcune sopravvivenze non indoeuropee.La spiegazione di fondo non è data da unsuccedersi di migrazioni dall'esterno, mada una serie di complesse interazioni al-l'interno di un'Europa che aveva un'e-conomia già sostanzialmente agricola euna lingua indoeuropea.

    Finora ho concentrato l'attenzionesull'Europa, ma l'ipotesi che la diffusio-ne della lingua sia collegata a quella del-l'agricoltura ha implicazioni anche fuoridi questo continente. I reperti archeolo-gici dimostrano che l'Anatolia non ful'unica regione in cui ebbero luogo leprime forme di domesticazione. La zonadi origine dell'agricoltura aveva almenoaltri due lobi, regioni più o meno chiusein se stesse all'interno di una zona piùvasta. Si tratta del Levante, una striscialarga approssimativamente da 50 a 100chilometri sulla costa del Mediterraneo,dove oggi si trovano la Giordania, il Li-bano, la Siria e Israele, e della regionedei monti Zagros in Iraq e Iran, entram-be comprese nella «Mezzaluna fertile».

    Dato che il modello di diffusione de-mica a onda di avanzamento si basa

    soprattutto sulla capacità dell'agricoltu-ra e dell'allevamento di aumentare ladensità della popolazione, ci si dovrebbeattendere che, ovunque abbia originel'agricoltura, si irradi verso l'esternoun'onda paragonabile a quella europea.Per quanto riguarda il Levante, la mor-fologia del territorio fa ritenere che l'on-da debba muoversi verso sud nella peni-sola arabica e verso ovest nell'Africa set-tentrionale. Nel caso della regione degliZagros, l'onda si muoverebbe probabil-mente in direzione sud-est ed est.

    Vi sono prove sempre più numeroseche l'agricoltura sia effettivamente giun-ta nell'Africa a nord del Sahara non mol-to tempo dopo il suo arrivo in Europa.A mio parere, vi è giunta tramite un pro-

    cesso di diffusione demica analogo aquello verificatosi in Europa. E perquanto riguarda l'aspetto linguistico? Ingran parte dell'Africa settentrionale ilgruppo linguistico dominante è il cami-to-semitico , comprendente l'antico egi-zio, le lingue berbere e il gruppo semiti-co, che secondo alcuni autori hanno avu-to origine in Arabia. È possibile però chetutte queste lingue possano essere fatterisalire a un ceppo linguistico afroasiati-co nel lobo levantino della zona di origi-ne dell'agricoltura.

    Passando al terzo lobo, quello deimonti Zagros, si potrebbe prevedereuna propagazione dell'economia agrico-la verso est attraverso l'Iran meridionalefino al Pakistan. È interessante notare,a questo proposito, che di recente il lin-guista David McAlpin, dell'Universitàdi Londra, ha dimostrato che l'elamita,una lingua parlata nell'antico regno diElam (che ora fa parte del Khuzistannell'Iran sudoccidentale) è collegato allelingue dravidiche dell'India. Può essereche l'onda di avanzamento verso sud-estabbia portato con sé il precursore dell'e-lamita e delle lingue dravidiche fino al-l'India e al Pakistan. In seguito, la linguaproto-dravidica sarebbe stata sostituitadalle lingue indoeuropee parlate attual-mente in India, in Pakistan e in Iran.

    Questa versione allargata del modelloa onda di avanzamento ha l'effetto disituare le lingue ancestrali dei gruppi in-doeuropeo, camito-semitico e dravidicoa stretto contatto tra loro nel VicinoOriente intorno a 10 000 anni fa. Perquanto sia ancora ipotetico, questo qua-dro descrittivo trova forti riscontri in re-centi lavori di linguistica e genetica.

    Oltre 20 anni fa, i linguisti sovieticiVladislav M. Illich-Svitych e Aron Dol-gopolsky avanzarono l'ipotesi che nume-rose famiglie di lingue eurasiatiche, tracui anche quella indoeuropea, quella ca-mito-semitica e quella dravidica, siano

    3000 2500 2000 1500 1000 500 1\ 500 1000 1500 2000 2500 3000

    CHILOMETRI DALL'ORIGINEORIGINE CHILOMETRI DALL'ORIGINE

    Il modello a «onda di avanzamento», formulato da Albert J. Ammerman e Luca L. Ca-valli-Sforza della Stanford University, simula gli effetti dell'agricoltura e dell'allevamentosull'andamento demografico: l'agricoltura può dare sostentamento a una maggiore densitàdi popolazione che non un'economia di caccia e raccolta. Con l'affermarsi dell'agricolturain nuove regioni, anche i piccoli spostamenti di agricoltori che dalle terre della fami-glia vanno ad avviare le proprie fattorie portano alla propagazione dell'agricoltura in nuoviterritori in un'«onda di avanzamento». Le curve misurano l'andamento della densi-tà di popolazione in relazione all'origine dell'agricoltura come viene simulato dal modello.

    105104

  • •JEITUN

    — ALI KOSH

    • MEHRGARH

    La zona d'origine dell'agricoltura ha tre «lobi», ciascuno dei qualipuò aver dato origine per diffusione a una grande famiglia di lin-gue. Il lobo anatolico, che contiene atal Hùyuk, è stato forse laculla delle lingue indoeuropee. Un secondo lobo, che contiene Ge-rico, potrebbe avere ospitato i precursori delle lingue dell'Egittoe dell'Africa settentrionale. Un terzo lobo, che contiene Ali Kosh,

    può essere stato il luogo d'origine di un gruppo di lingue dell'Indiae del Pakistan che furono in seguito sostituite da lingue del gruppoindoeuropeo. Elsloo, Jeitun e Mehrgarh sono antichi siti agricoliche appaiono collegati a queste grandi direttrici. I percorsi rappre-sentati sulla carta sono ipotetici, ma suffragati da recenti scopertenei campi della linguistica e della genetica delle popolazioni umane.

    imparentate in un'unica «superfamiglia»a cui essi diedero il nome di nostratica.Il riconoscimento delle superfamiglie,che potrebbe costituire un risultato rivo-luzionario in linguistica, è ancora consi-derato controverso. Anzi, il lavoro deidue studiosi sovietici comincia solo oraa essere conosciuto in Occidente. Ècomunque interessante che essi, comepatria del proto-indoeuropeo, abbianoproposto l'Anatolia. Dato che quandoho avanzato la mia ipotesi ero all'oscurodelle loro teorie, la convergenza di opi-nioni è decisamente singolare.

    La convergenza è rafforzata da alcunescoperte genetiche del gruppo di ricercadi Cavalli-Sforza e di quello di Allan C.Wilson dell'Università della California aBerkeley. Entrambi i gruppi hanno im-piegato metodi statistici per analizzare igruppi sanguigni di popolazioni attuali ericavare le affinità genetiche fra di esse.Tra le loro conclusioni vi è anche quellasecondo cui esisterebbe uno stretto lega-me genetico tra coloro che parlano lin-gue camito-semitiche, indoeuropee edravidiche. I loro risultati concordanoquindi con l'ipotesi del nostratico e forseanche con la teoria secondo cui l'arri-vo dell'agricoltura e dell'allevamento èstrettamente correlato alla formazione ealla distribuzione delle lingue odierne.

    Riprendendo la considerazione finalee adottando una prospettiva più globale,l'ipotesi che si possano fare affermazionisignificative a proposito delle proto-lin-gue e dei raggruppamenti linguistici ri-salendo fino al 10 000 a.C. può aprire in

    definitiva la strada a una migliore com-prensione del fenomeno della diversitàlinguistica nel suo complesso. Moltissimistudiosi (anche se certamente non tutti)ritengono oggi che la compiuta abilitàlinguistica delle popolazioni umane siacomparsa con Homo sapiens sapiens, laforma anatomicamente moderna dellanostra specie. Recenti scoperte effettua-te in Israele e in Africa meridionale fan-no pensare che la transizione a Homosapiens sapiens risalga a circa 100 000 an-ni fa. Non molto tempo dopo, questi es-seri umani di tipo moderno andaronoprobabilmente diffondendosi fuori dal-l'Africa, popolando vaste regioni delglobo. Questa evoluzione biologica e laconcomitante dispersione forniscono ilquadro di riferimento entro cui devonoessere spiegati il linguaggio umano e ladiversità linguistica.

    Sarebbe sbagliato, però, considerarequanto ho detto come un'acquisizionedefinitiva. In realtà, anche se ho termi-nato con alcune considerazioni di carat-tere globale, in un primo momento ilmio obiettivo era abbastanza limitato:analizzare criticamente la spiegazioneoggi accettata delle origini delle lingueindoeuropee. La mia ipotesi provvisoriadi un'antica origine anatolica trova effet-tivamente qualche conferma in recentiricerche linguistiche e genetiche. Il qua-dro finale sarà senza dubbio più com-plesso di quello che ho tracciato, e inclu-derà numerosi eventi storici e una gran-de varietà di modelli teorici. La mia pre-visione però è che, quando le conoscen-

    ze saranno più complete, la diffusionedell'agricoltura e dell'allevamento dal-l'Anatolia all'Europa si rivelerà una par-te significativa di questo quadro.

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