Le Grandi Parodie Disney

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Autori: Pier Paolo Argiolas, Andrea Cannas, Giovanni Vito Distefano, Marina Guglielmi Formato: 15x21 cm, b/n, brossurato, 196 pp. Dall’Inferno di Topolino ai Promessi Paperi, da Paperino di Munchhausen al Dracula di Bram Topker, il nuovo saggio della Nicola Pesce Editore ripercorre con occhio critico e appassionato le Grandi Storie Disney, fornendo al lettore un'efficace cronistoria e una tecnica interpretativa universitaria ricalcata sui metodi interpretativi della letteratura “alta”.

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le grandi parodie disneyovvero i Classici fra le Nuvole

di AA.VV.© degli Autori dei tesi

© Tespi srl per questa edizione© degli ave i dirito per le i agi i uilizzate

Collana: L’arte delle Nuvole, 9

Diretore Editoriale: Ni ola Pes eOrdi i e i for azio i: i fo@edizio i pe.it

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U iversità degli Studi di CagliariDipari e to di Filologia, Leteratura, Li guisi a

Pu li azio e realizzata o il o tri utodella Fo dazio e Ba o di Sardeg a

Pier Paolo Argiolas, Andrea Cannas, Giovanni Vito Distefano, Marina Guglielmi

Le Grandi Parodie Disney

ovveroI Classici fra le Nuvole

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INTRODUZIONE

Dall’Odissea a Guerre stellari:

l’ETERNO RITORNO DEI PaPERI

1.1 L’universo Disney: lo spazio e il tempo attraversati dall’anti-eroe Paperino1.2 La parodia come macchina del tempo1.3 Gli universi letterari e il libernauta Paperino

S h – ahe cosa intendiamo per parodiaS h – ahe cosa intendiamo per cronotopo ?

la PaRODIa DIsNEy, fIsIONOmIa

DI UN mONDO mITIcO

2.1 La parodia letteraria a fumetti. Premesse di una grande impresa2.2 Classici con il becco e con la coda. Teoria dei generi e de-generazione disneyana2.3 Dalla letteratura al fumetto. Storia e gloria di Guido Martina

S h – ahe cosa intendiamo per genere ?S h – ahe cosa intendiamo per cornice ?

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PaPERI E TOPI alla PROva DEl PERsONaggIO

3.1 Le molte vite dei Topi e dei Paperi3.2 Star system disneyano3.3 L’)nferno da commedia di Topolino & co.

S h – ahe cosa intendiamo per adattamento ?

PaPERI E TOPI alla RIcERca DI TEmI

PERDUTI

4.1 I temi nel mondo Disney 4.2 Se Paperone fosse povero4.3 Morire a Topolinia?

S h – ahe cosa intendiamo per tema ?

NOTE

ElENcO PaRODIE cITaTE

bIblIOgRafIa

glI aUTORI

INDIcE DEI NOmI

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Ai nostri bambini,e a quelli di tutte le età.

Topolino , «Topolino» n. 2000 (1994), testo di Bruno Sarda, disegni di Giorgio Cavazzano

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Introduzione

I classici sono quei libri che s’intrufolano nella vita dei lettori con l’idea di non mollare la presa, sono densi per via della storia che vantano alle loro spalle e lievi, per una intrinseca capacità di attraversare tutte le stagioni, e dunque si costituiscono come presenza fantasmatica e onnicomprensiva ad un tempo: si può dire che fondano la nostra esistenza su questa apparente-mente irrisolvibile contraddizione. Com’è possibile? Ce lo ha spiegato con la consueta lucida leggerezza Italo Calvino in Perché leggere i classici. Se-gnaliamo in particolare due definizioni: «) classici sono libri che esercitano un’influenza particolare sia quando s’impongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria mimetizzandosi da in-conscio collettivo o individuale». Il che equivale a riconoscerli come solidali compagni della nostra quotidianità, sia nella sua dimensione intricata di in-terazioni sociali, sia per quanto concerne l’esercizio della propria individua personalità culturale. ja seconda formula è sintetica: «Chiamasi classico un libro che si configura come equivalente dell’universo, al pari degli antichi talismani». Scopriamo inopinatamente che il loro disegno complessivo è così vasto da comprendere insieme la metropoli e la grotta dell’eremita, da contemplare in uno stesso spazio improvvisamente ristretto l’autore e il critico, il lettore e l’esperto bibliotecario, l’industria che produce il best-seller e la panchina dove la lettrice ha lasciato in eredità all’ignaro viandante un libro straordinario.

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Con un’imponderabile escursione verso la cultura “bassa” - ma in verità di grado minore solo se accettassimo le ormai desuete e finanche un po’ becere gerarchie che impongono una graduatoria di generi e forme - sarebbe forse il caso di citare lo slogan reso celebre da Alberto Lupo in un indimenticabile duetto con Mina (Parole, parole) del 1972: «Se tu non ci fossi bisognereb-be inventarti». Per la cronaca, in un secondo tempo esso veniva riplasmato, inconsapevole trionfo del post-moderno, nella formula pubblicitaria di un successo automobilistico firmato da eiorgetto eiugiaro: eravamo ancora nel secolo scorso. Ecco, il senso è un po’ quello. Costretti a coniare una nostra definizione per quel grande e ambizioso programma messo in piedi con le erandi Parodie dalla Disney Italia, dovremmo partire dalla considerazione che queste ludiche rivisitazioni nutrono un rapporto ambiguo e discutibile con i classici della letteratura, del tipo: «Se (i Classici) non ci fossero, biso-gnerebbe re-inventarli». Notiamo di sfuggita che una delle più sorprenden-ti attitudini riconosciute agli abitanti di Paperopoli e a quelli di Topolinia consiste proprio nella facoltà di coniugare l’alto e il basso, col risultato di saper intrigare il topo di biblioteca alla stessa stregua del bambino alla sua prima esperienza di lettura. lello specifico, alle parodie va riconosciuta la capacità di combinare i codici e i linguaggi più disparati, con l’opportunità di mescolare insieme la citazione pescata dall’)nferno dantesco e i versi della canzonetta sanremese - o il refrain di uno spot televisivo - tutti elementi che alla fine convivono con le loro significanti contraddizioni all’interno della stessa vignetta. Quale migliore occasione per far saltare gli schemi e i luoghi comuni della cultura popolare, attraverso salutari iniezioni di poesia d’ogni tempo e luogo (e viceversa)?

Quando ci si pone l’obiettivo di studiare la relazione fra un sistema lette-rario, fitto di relazioni problematiche fra personaggi che sono vere e pro-prie celebrità pronte a ri-affiorare dalle nostre biblioteche mentali - i cui padri hanno fondato nei casi più eccezionali il nostro immaginario, e come minimo una discreta percentuale del nostro parlare quotidiano - quando, dicevamo, si deve sondare il livello d’interazione fra i classici e l’universo dei fumetti Disney, il quale ha talvolta pervasivamente invaso il nostro, oc-corre intendersi fin da principio sulla natura del rapporto: che può essere del tutto parassitario o, al contrario, proficuamente simbiotico. Due grandi apparati mitici s’incontrano, e a volte si scontrano: quello di volta in volta poetico, epico o narrativo in senso stretto e l’altro, riconducibile appunto al mondo dei Paperi e dei Topi. Le trasposizioni fumettistiche che ne derivano

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meriterebbero di essere analizzate, come ha puntualizzato la studiosa Linda Hutcheon in Teoria degli adattamenti, in quanto opere che godono di una loro piena autonomia e dignità artistica, e non prodotti derivati o di serie B.

È vero che gli autori delle storie a fumetti, sceneggiatori e disegnatori, hanno spesso favorito e avallato una vera e propria politica di cannibaliz-zazione delle fonti letterarie. Divorando i classici l’universo dei fumetti ne ha assimilato l’anima e lo spirito, nel senso che le erandi Parodie hanno ac-quisito uno spessore testuale inedito, il quale dipende sostanzialmente dal fatto che quelle storie si sono riconnesse alle grandi matrici narrative in cui affonda le proprie radici il più vasto mondo della finzione, poiché sono gli archetipi, condivisi da tutte le arti - al di là delle differenze tecniche -, da cui derivano tutte le storie del mondo.

A loro volta, i classici sono entrati nell’immaginario di quell’immenso popolo dei bambini, quelli più piccoli e i bambini adulti, che ha imparato a riconoscersi negli archetipi, che si è sentito magari inconsciamente parte integrante di una cultura più sconfinata e che, almeno in buona parte, non ha più smarrito una particolare confidenza con la pagina letteraria, inoculata quasi fosse una salutare medicina attraverso quel particolare medium che è il fumetto.

Soprattutto, chi ha praticato da piccolo lo sport mentale della lettura tra-visata in forma di parodia, una volta diventato grande, magari dopo aver incautamente deciso di varcare le porte dell’Accademia, non ha avuto alcuna difficoltà ad entrare in sintonia con i meccanismi che sovraintendono i fe-nomeni dell’intertestualità: ovvero, è stato in grado di cogliere il legame e il dialogo che ciascun libro, e ogni prodotto artistico nel senso più ampio del termine, intrattiene con le opere che precedono, ispirano e suggestionano quell’immaginario comune - senza contare che ogni libro si sforza di instau-rare un colloquio pure con gli autori che verranno dopo: ogni testo sa di far parte di un disegno più ampio.

Se vogliamo dedicarci oggi a rivalutare e interpretare quelle che Walter Benjamin chiama in Parigi capitale del X)X secolo «le infinite tracce del quotidiano» all’interno di una micro-storia nazionale, o di un macro-discorso sovranazionale, diventa cruciale focalizzarsi sulla costruzione dell’immaginario nella cultura popolare e in quella per l’infanzia: il fumetto, la nona arte, diventa allora una chiave di lettura decisiva. Esportate in tutto il pianeta, le erandi Parodie della Disney, pubblicate dal 1949 - l’abbrivio fu per l’Italia L’)nferno di Topolino -, hanno scortato più o meno fedelmente nel mondo del fumetto decine e decine di “monumenti” della letteratura

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mondiale, da Dickens a Tolkien, da Dante a Hoffmann, dall’Ariosto a Cervantes, raggiungendo un risultato che raramente è riscontrabile in modo così oggettivo: hanno riscosso insieme l’attenzione della critica e quella di un pubblico esteso ed eterogeneo ad un tempo.) quattro autori che firmano il volume che avete fra le mani, a partire da questo diffuso attestato di stima - e probabilmente risentendo ancora del ricordo di un’infanzia piacevolmente “disturbata” dai bipedi fatti di becco, piume o code di topo - tentano di dare una spiegazione a questo succes-so, ed entrano nel merito di una relazione, quella fra letteratura e fumet-to, che hanno inteso nel senso del rapporto simbiotico. I relativi contributi si sforzano di indagare il mondo delle erandi Parodie a partire dai quattro punti cardinali necessari per orientarsi dentro un sistema tanto articolato. Andrea Cannas ha affrontato la questione del cronotopo (cap. 1), ovvero dello spazio/tempo all’interno del quale si muovono i nostri protagonisti, i quali ovviamente interagiscono a loro volta con la geografia e la storia del testo parodiato - ma sempre chiamano in causa, in ultima istanza, il Tempo e il Luogo abitato dal lettore. Alla questione dei generi letterari (cap. 2), con relative ricadute e condizionamenti sulle strutture delle storie a fumetti, è dedicato il capitolo di Pier Paolo Argiolas: la parodia delle grandi “istituzio-ni della poesia e della narrativa delinea il profilo di una creatività forgiata sull’immaginario letterario, e desiderosa di competere positivamente con gli illustri modelli, diversificati nel tempo, rispetto ai quali si presenta come variante espressiva finalmente libera da complessi di sorta. Ai personaggi disneyani investiti dai loro fratelli gemelli letterari si è dedicato Giovanni tito Distefano cap. , rintracciando le affinità e le rotture fra i profili umani che da sempre accompagnano le nostre letture e i meno conformi profili ani-mali che li interpretano. Noti al grande pubblico i primi (da Ulisse a Renzo Tramaglino), notissimi ai lettori più giovani i secondi (Paperino e Topolino in prima istanza), il raffronto dei panni rivestiti dai diversi “attori” disneyani rivela insospettate aperture critiche. )nfine, alla questione dei temi cap. ha rivolto l’attenzione Marina Guglielmi, nella convinzione che la prospetti-va di studio tematico, come le tre che la precedono, non solo inauguri nuove potenzialità di interpretazione dei fumetti ma possa fornire spunti e sugge-stioni originali anche alla rilettura dei grandi “precursori” che hanno ispira-to le parodie.

S’intende che ciascuno degli autori ha dovuto invadere il campo d’azione del proprio compagno di viaggio, circostanza che non stupisce se conside-riamo che ogni napero e ogni ropo si muove in uno spazio e tempo defini-

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to, pronto tuttavia ad appropriarsi delle forme appartenute ad altri generi e a declinare in modo assolutamente personale temi che erano una volta appannaggio esclusivo della letteratura. S’intende che ciascuno degli autori condivide l’idea di fondo che ha guidato il progetto, che forse non ostenta un ossessivo centro ideologico proprio perché si riprometteva di sfuggire alla gravità di formule e scale di valori già precostituite. L’idea che le erandi Parodie le sentissimo un po’ come nostri amatissimi Classici…

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capitolo 1

Dall’Odissea a Guerre stellari:

l’eterno ritorno dei Paperi

L’artista del futuro capirà che inventare una favola […] e disegnare un’immagine capace di allietare decine di generazioni o milioni di bambini e di adulti è immen-samente più importante e fecondo che non scrivere un romanzo o una sinfonia, o dipingere un quadro in grado di distrarre per un po’ di tempo qualche persona delle classi ricche per poi essere dimenticato per sempre.j r , ahe cos’è l’arte?

Un numero sbalorditivo di bambini nel nostro Paese ha vissuto il primo incontro con l’arte di inanellare parole e immagini, da cui scaturiscono le storie, grazie ai fumetti Disney, e in particolare attraverso il lavoro, per lungo tempo anonimo, della “scuola italiana”. Se poi allargassimo lo sguardo alla cinematografia, non ci sfuggirebbero le modalità per mezzo delle quali la “casa madre” Disney ha fondato un im-maginario che potesse risultare largamente condiviso, la qual cosa tuttavia non comporta necessariamente un giudizio esaltante. La globalizzazione del marchio può in effetti suscitare, e in più di una circostanza ha determinato un effetto omogeneizzante1: alla domanda «dov’è che Pinocchio recupera il babbo Geppetto?» gli intervistati di tutte le età, in ogni angolo d’Italia, ri-sponderebbero probabilmente «nella pancia della Balena». Non v’è dubbio che Collodi avesse messo in scena un pescecane rassicurante e capiente come il cetaceo della tradizione mitica, dunque capace di ospitare marinai, avventurieri e intere imbarcazioni ben equipaggiate di viveri, ma questa considerazione consola fino a un certo punto: il problema consiste nel capi-

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re il senso di un ninocchio abbondantemente edulcorato, oltreché agghinda-to in modo improbabile, come quello del cartone americano, il quale ha poco da spartire con l’eroe della fame e della fuga e un po’ straccione dell’origina-le, degnamente rappresentato nella traduzione filmica di juigi Comencini.

Il fenomeno Disney ha scomodato, nel recente passato, anche gli intellet-tuali e i campioni dell’agone letterario. Se Cesare Pavese può vantare, nel suo palmares di traduttore, non solo Melville e Joyce, ma anche alcune shorts di Mickey Mouse – nel 1933, per incarico dell’editore torinese Frassinelli – Pier Paolo Pasolini e Italo Calvino dal canto loro esprimevano dei giudizi tanto sintetici quanto categorici (e del tutto speculari). Il primo commentò la morte di Walt Disney, sulle pagine di «Paese Sera» il 16 dicembre 1966, con parole sprezzanti: «Disney è uno dei personaggi più mefitici che abbia-no mai abitato la Terra. È riuscito a creare una serie di ritratti dell’irrealtà quotidiana, è stato un pioniere del gusto di massa nel senso peggiore del termine». L’altro, a sua volta, ebbe a scrivere che «il più moderno e il più grande dei favolisti è senza dubbio Walt Disney, in cui non saprei dire dove finisce lo studio della psicologia animale, e dove comincia quello della psi-cologia umana»2.

L’universo delle produzioni disneyane è in realtà piuttosto complesso poi-ché comprende il lavoro di una moltitudine di autori i quali hanno maturato percorsi differenti sia per quanto concerne la formazione culturale, sia in relazione all’affinamento del bagaglio tecnico. )l marchio di fabbrica com-porta un’uniformità di ricezione che a volte non tiene conto della varietà dei contributi in partenza: per tornare all’ambito specifico dei fumetti, ualt Disney non è Carl Barks, il quale a sua volta non è semplicemente l’omologo in chiave paperinesca di Floyd Gottfredson - per quanto in modo comple-mentare ciascuno abbia dato il suo fondamentale impulso all’evoluzione di Donald Duck e Mickey Mouse. Guido Martina e Romano Scarpa faranno pure riferimento agli archetipi nordamericani, ma sviluppano i mondi di Papero-poli e Topolinia in forme e secondo criteri assolutamente personali. E se non condizionata, per lo meno istigata da una cultura specificamente letteraria, la “costola” italiana della Disney è stata nel contempo capace di esportare il sistema delle erandi Parodie, o perlomeno i più fortunati episodi, in buona parte del pianeta…

Un numero sbalorditivo di bambini in Italia, nell’epoca d’oro dei fumetti Disney, aspettava trepidante la nuova puntata di «Topolino», mentre i più grandi ne approfittavano per nutrire quel ragazzino che viveva dentro di

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loro: la qualità del prodotto era tale da consentire una lettura intergenera-zionale e ampiamente condivisa3. Anche Dino Buzzati ha voluto dire la sua in proposito, nella prefazione al volumetto Vita e dollari di Paperon de’ Papero-ni4, dove rigettava elegantemente i preconcetti che incombevano sulle storie a fumetti, relegate nell’ambito riduttivo dei prodotti per l’infanzia:

Colleghi e amici, quando per caso vengono a sapere che io leggo volentieri le storie di Paperino, ridono di me, quasi fossi rimbambito. Ridano pure. Personalmente sono convinto che si tratta di una delle più grandi inven-zioni narrative dei tempi moderni. Lasciamo pur stare la vertiginosa fan-tasia e ingegnosità delle vicende, ammirevoli in un mondo dove la regola quasi sovrana dei romanzi è la noia. Sono i due protagonisti, Paperino e Paperon de’ Paperoni, a fare la gloria maggiore di Walt Disney. La loro sta-tura, umanamente parlando, non mi sembra inferiore a quella dei famosi personaggi di Molière, o di Goldoni, o di Balzac, o di Dickens5.

Sfogliando quelle pagine animate, forse nessuno dei lettori di «Topolino», né tra i grandi né tra i piccini, pensava di godere di un’espressione artistica di categoria inferiore, eppure molti di noi sono ancora condizionati dal pre-giudizio secondo il quale esisterebbe una gerarchia di generi e di forme, se non addirittura di destinatari.

Il complesso d’inferiorità rischia di propagarsi, coinvolgendo insieme al fumetto anche altre espressioni della cultura popolare. Interrogato sulla differenza fra canzone e poesia, il cantautore genovese dabrizio De André in una (rara) intervista televisiva rispose: «io non ho mai pensato che esi-stessero arti maggiori o arti minori6, casomai artisti maggiori e artisti mi-nori, quindi, se si deve parlare di differenza […] credo che la si dovrebbe ricercare soprattutto in dati tecnici». Una comune ispirazione dovrebbe muovere l’intuito del lettore e l’arguzia del critico nel valutare lo spessore delle “narrazioni” a fumetti: a partire da una volontà di discernere che colga le differenze tecniche nella costruzione dei linguaggi e, nello specifico delle erandi narodie, le modalità attraverso le quali un gruppo fino a un certo punto omogeneo di autori interagisce con un patrimonio di immagini e pa-role ampiamente condiviso.

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1.1 l’universo Disney: lo spazio e il tempo attraversati

dall’anti-eroe Paperino

Quasi evocando La Biblioteca di Babele7 di Jorge Luis Borges, anni fa Carl Barks proponeva la sua visione dell’universo dei Paperi, la quale assomi-gliava a «quella di un cieco che avanza a tentoni in un labirinto sconfina-to», infine concludeva il suo ragionamento con la costatazione che la mappa spazio-temporale relativa ai «limiti di questo universo ha continuato a cam-biare e ad espandersi»8. Non è un caso che la grande stagione delle parodie degli autori nostrani abbia avuto nel geniale patriarca nordamericano uno dei più o meno dissimulati archetipi. I Paperi (e i Topi) costituiscono di fatto un sistema mitico costituito di relazioni che sono linee di forza ben definite, e la serie di narrazioni che ne scaturisce non funziona seguendo una scan-sione di tempo progressivo - cioè non si racconta una vicenda che ha inizio a partire da un evento fondativo e si conclude magari con una morte anche solo adombrata - ma secondo una logica circolare: ogni storia ricomincia da capo9. Gli eroi del fumetto non solo non possono morire, per statuto, ci mancherebbe10. Gli è che non possono neppure permettersi di invecchiare, e tantomeno è concesso l’atto riproduttivo, anche se può capitare che si alluda all’uovo schiuso da cui è nato l’Avo piumato11. Inoltre, sono creature sempre perfettamente sincroniche, vivono cioè lo stesso tempo del lettore12, anche all’interno della più ampia evoluzione temporale, come accade nel caso del-le Parodie: dalla Grecia dell’Odissea fino all’epoca non meglio precisata ma comunque futuribile di euerre stellari.

La logica circolare è in effetti quella che domina le più strutturate narra-zioni mitiche, le quali prevedono che l’eroe ritorni sui propri passi con una certa indefettibile costanza. nrendiamo il caso della figura dal blasone più illustre: Ulisse. Il re di Itaca è in primo luogo l’eroe del nostos, ovvero del ritorno. ta a rroia, si ferma da Calipso, osa fino al paese dei Cimmeri, incon-tra nolifemo… pure da vecchio, senza tregua, viaggia fino a un paese i cui abitanti non conoscono il mare e non usano condire il cibo col sale – almeno se diamo retta alle tracce baluginanti sparse dall’indovino Tiresia. Ebbene, Ulisse realizza tutto ciò in funzione del ritorno in patria. La sua stessa esi-stenza profila la compiutezza del cerchio, un ossessivo riposizionarsi sulla linea di partenza. E di una persistente tendenza a rigenerarsi, a rinascere sotto nuove spoglie, danno una congrua testimonianza le riscritture, le qua-li impediscono al mito di invecchiare mentre ripercorrono daccapo la sua vicenda, la complicano e l’arricchiscono in un’inesauribile proliferazione

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delle versioni del mito: tirgilio, Dante, Shakespeare, iafka, Joyce, Calvino… Come ha brillantemente messo in evidenza Piero Boitani, Ulisse è l’«eroe della continuità e della metamorfosi, può forse congiungere dentro ciascuno di noi quelle due rive del tempo [antichità e modernità] fra le quali vive ogni cittadino d’Europa»13.

Quasi all’epilogo della Repubblica, Platone descrive, attraverso il mito di Er, il regno dei morti e narra la circostanza in cui l’anima di Ulisse è chiamata a scegliere una nuova vita in cui reincarnarsi: memore dei «cento mila peri-gli», delle lotte e dei rischi innumerevoli tollerati nella sua esistenza passata, l’eroe sceglie la via più banale, quella più appartata, l’anonimo tragitto di un uomo comune. Per approdare di nuovo al mondo dei fumetti, quasi per scherzo potremmo dire che Ulisse si è reincarnato in Paperino, il cittadino/papero medio per eccellenza14. nurché sia chiaro che quella mediocrità va intesa come l’esito del cozzare degli estremi: deriva cioè dalla compresenza dell’alto e del basso15, del sublime e del triviale, mai davvero riconciliati. Se considerassimo l’insieme delle sue avventure, scopriremmo che Paperino è al contempo estremamente intollerante e incline all’ira, ma anche l’essere più pacifico del pianeta; è pigro ma gli tocca lavorare come uno schiavo; è il pessimo fra gli zii e il migliore dei padri - e soprattutto è sciocco e ingegnoso nell’arco di una stessa avventura, sempre assecondato da una struttura ca-ratteriale che è tendenzialmente bipolare.)n effetti le innumerevoli gesta definiscono naperino come l’anti-eroe16, l’anti-mito per eccellenza, e proprio per il fatto d’essere, con la sua casacca da marinaio, la più naturale forma di contestazione/ribaltamento di Ulisse17, lupo di mare dalle mille astuzie. Non è frutto di circostanze casuali la reite-rata disponibilità del campione di Paperopoli a vestirne i panni con entusia-smo e buona approssimazione. Nella Paperodissea (1961)18 il suo ingegno gli consente per una volta di gabbare Gastone - il quale insidiava una Penelo-pe indaffarata nella tessitura di mostruosi maglioni di lana; nella Paperiade (1959)19, Paperino interpreta almeno tre ruoli: è Menelao defraudato, Achil-le in preda all’ira ma soprattutto è colui il quale ordisce l’inganno del cavallo come mascheramento e al contempo come armamentario bellico. Soprattut-to, ne L’)nferno di Topolino (1949)20, è del tutto inaspettatamente l’abitante della fiamma biforcuta fig. ). dove palesa la sua natura schizofrenica e sostanzialmente ambigua - almeno quanto lo è, ambigua, la figura di slisse ()nf. XXVI) che Dante eredita dalla tradizione latina e romanza.

Nel caso di Paperino, in verità, la tendenza al travestimento burlesco costituisce forse l’origine stessa della sua vicenda. Poi, col passare delle

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stagioni, maturerà altre potenzialità latenti, quali, ad esempio, la piena libertà di contraddirsi. Ma è a partire da tali premesse che diviene il fulcro della maggior parte delle parodie Disney proprio quel Donald Duck che nasceva come semplice “spalla” del più celebrato topo d’America. c deriva probabilmente dall’esigenza di fissarne meglio l’identità la

consuetudine di tirare in ballo il concetto di Maschera e la Commedia dell’arte. Paolino Paperino è però così versatile da giocare dentro la stessa commedia, ricucendoli assieme, il ruolo del servo sciocco e quello del servo astuto. Alla stregua di un Pinocchio – che è Burattino in quanto erede della tradizione degli Zanni – è mosso dalla fame, vorrebbe diventare milionario seminando quattro monete nel Campo dei miracoli, rifiuta il lavoro e in generale i vincoli della “società stretta”: per esempio l’intollerabile coercizione a pagare quei beni che garantiscano la pura sopravvivenza. Nonostante l’assenza di un Grillo parlante (ma Qui Quo e Qua?), a Paperino vengono costantemente minacciate la Prigione, cioè la schiavitù costituita da mansioni scarsamente retribuite, e in alternativa l’Ospedale, ovvero le botte che derivano da varie tipologie di corpi contundenti, branditi dallo Zio Paperone, secondo uno dei finali più consoni alle sue imprese.

Per tutte queste ragioni, è un eroe costantemente in fuga: da un punto di vista geografico, naperino fugge costantemente dalla natria la città dei Paperi), esplora terre fantastiche oltre ogni limite, vive tutte le avventure già pensate dalla letteratura, e fa inevitabilmente ritorno a casa. ccco perché Paperopoli può facilmente adattarsi al tempo delle svariate generazioni di lettori senza smarrire una propria identità: le macchine che circolano per le strade, il tipo di illuminazione, i velivoli che ne solcano i cieli segnano, mutando di stagione in stagione, il tempo che passa esclusivamente per uno

Fig. I.1 – L’)nferno di Topolino (1949) – naperino e la fiamma biforcuta, par-ticolare.

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specifico lettore che diventa adulto. Ma naperopoli in sé e per sé non è un luogo fisico, è uno spazio mentale, l’)taca di un slisse di secondo grado, ov-vero un luogo opprimente (Zio Paperone, i creditori) se hai il desiderio di evadere dalle imposizioni periodicamente inflitte da chi sta sopra di te, ma rassicurante (il divano, l’amaca) quando nei hai abbastanza di scarpinate, intemperie ed eventualmente altre batoste, e vuoi tornare a casa.È difficile dar torto ad Andrea rosti quando scrive: «naperino siamo noi. Topolino è come dovremmo essere, l’ideale in cui siamo portati, socialmen-te, a identificarci»21. Si può supporre che le parodie realizzate dai Topi siano meno riuscite (anche quantitativamente lo scarto è rilevantissimo) proprio a causa di una certa rigidità del protagonista. Al contrario, Paperino non solo è supportato da una squadra con professionisti di primo livello: il più scarso, Ciccio, è straordinario caratterista: basti pensare al Don Cicciondio di man-zoniana memoria o allo scudiero che soffia - e impalma - la bella Angelica al naperino paladino che diventerà durioso fig. ). ; ma è egli stesso, come Ulisse, capace di mille travestimenti, e dunque d’interpretare un numero po-tenzialmente illimitato di ruoli. Ha avuto una grande chance, Topolino, se avesse avuto successo la linea proposta da Martina in Topolino e il doppio segreto di Macchia Nera (1955) e da Scarpa in Topolino e la collana di ahi-rikawa (1960), dove - anche sull’onda delle avventure americane di Floyd Gottfredson22 - compare un personaggio vulnerabile e psicologicamente de-stabilizzabile, non il modello di cittadino infallibile che appare a volte persi-no un po’ presuntuoso.

In conclusione, non va dimenticato che l’anti-campione in divisa da ma-rinaio può diventare (quasi) invincibile, non appena abbia indossato il co-stume di Fantomius/Paperinik. Ora, prima di stabilire una qualche forma di relazione (ludica) fra Paperinik e gli altri supereroi del fumetto, va ribadito in primo luogo che è lo stesso Paperino a costituire la sublimazione dell’uo-mo mediocre. Superman aveva in Clark Kent la sua appendice quotidiana e rassicurante, la quale garantiva al lettore una possibile adesione sul piano dell’umanità: Paperino, straordinario fuoriclasse della medietà oltre ogni limite, vanta il suo complemento distensivo in Paperinik, che offre l’esotica possibilità di sgattaiolare verso uno spazio quieto di successi, e prendere fia-to rispetto a una superquotidianità fitta di fallimenti come regola generale: in questo caso il lettore si identifica col vendicatore che perseguita i mini-stri della Burocrazia, del Fato e del Tempo, che passa marcato da sventure. Paperinik costituisce insomma la rivincita del libero arbitrio sul destino. Se

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Fig. I.2 – Paperin durioso (1966)

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è vero che Paperino si colloca in un certo senso a metà strada fra Ulisse e Pinocchio, come qui si è proposto, tuttavia la sua compagna più fedele non sarà né Atena né la data dai capelli turchini - benefiche, benché ambigue, protettrici - bensì la Sfortuna. Più moderno degli altri due, trova in se stesso e nella sua malcelata schizofrenia le risorse per riscattarsi. Diventa Paperi-nik. Paperopoli è lo spazio eternamente uguale a se stesso in cui l’uomo me-diocre è quotidianamente perseguitato23: eppure sui tetti, fra terra e cielo, come il barone rampante di Italo Calvino, si muove il diabolico vendicatore.

1.2 la parodia come macchina del tempoA partire dalla gerarchia dei ruoli e relativi conflitti, prende vita il sistema dei Paperi, il quale a sua volta dà sostanza a un corpo potenzialmente illimi-tato di storie, definibile come un intero aperto all’accrescimento. Alla ma-niera del cespo di cavolo di Lotman, il quale, nella Semiosfera, spiegava come la narrazione mitologica non procedesse in modo lineare, e si qualificasse invece come una struttura «dove ogni foglia ripete con note varianti tutte le altre» in «un’eterna ripetizione dello stesso nucleo profondo di intreccio»24. Dal sistema emerge quell’assoluto e indiscusso protagonista che è Paolino Paperino, l’antieroe che ritorna perennemente sui propri passi e ha l’agio di violare il principio di non contraddizione, come accade in ogni buona tradi-zione di un mito: qui la ricchezza consiste proprio nel numero di variabili che l’organismo narrabile riesce a innescare. Se la star è una personalità vario-pinta, multisfaccettata o addirittura ambigua, tanto meglio, perché ogni suo gesto potrà essere variamente interpretato, riletto e riscritto, contribuendo alla moltiplicazione delle versioni di uno stesso racconto. Come ha ben rile-vato Andrea rosti, fin dal principio «tanto eottfredson quanto soprattutto Barks lavorarono alla creazione di una mitologia moderna complessa e stra-tificata»25. nerché un universo di tal fatta possa funzionare a pieno regime e avere successo, è necessario che sia governato da leggi le quali garantiscano la coesione interna al sistema e al contempo, a vantaggio del lettore, uno spazio/tempo insieme tangibile e vario: quali sono i fattori che possono as-sicurare, senza attriti, la coerenza e insieme il proliferare delle storie?

Luca Boschi, Leonardo Gori e Andrea Sani26, per quanto concerne il cor-po delle avventure realizzate dalla Disney italiana, propongono la formula della simbiosi di fiabesco e realismo. oualcosa di simile aveva già suggerito Alberto Asor Rosa a proposito delle Avventure di Pinocchio27, dove convivo-

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no, appunto, e non per semplice giustapposizione, il realismo dei racconti toscani - le perfette riproduzioni d’interni squallidi e dappertutto l’ombra della fame - insieme alle risorse illusionistiche del fantastico. Il critico ha coniato in proposito la definizione di struttura di compromesso, il cui perno fondamentale è lo stesso pezzo di legno Pinocchio, che prende vita meravi-gliosamente ma viene da tutti riconosciuto ed è credibile proprio in quanto bambino28.

Nel caso dei Paperi, l’ambiente non sarà ovviamente più quello “rustico” della campagna toscana, ma la città del Novecento e il suo prototipo occiden-tale, con le relative nevrosi e la riconoscibilissima sequela di segni ed em-blemi di modernità. notrebbe essere identificato come un mondo parallelo al nostro, Paperopoli, se non fosse che, in questo caso, l’evoluzione naturale ha premiato i Pennuti29. E, tuttavia, è a partire da queste coordinate perfet-tamente definite - le quali vengono dal lettore simultaneamente tradotte in termini antropici - è a partire da questi solidi punti di riferimento che ai Pa-peri è concessa la più ampia capacità di muoversi nello spazio e nel tempo, in particolare grazie: ai mezzi finanziari di Zio naperone, illimitati per quanto sempre ammi-nistrati con parsimonia) quando si tratti di capitalizzare almeno dieci volte tanto;

2) alla vena di inventore/scienziato pazzo di Archimede Pitagorico, vero elemento di congiunzione fra l’ambizione della scienza e gli orizzonti scon-finati della fantascienza: il topos della macchina del tempo è il minimo garantito; eventualmente all’irruzione della magia, e nello specifico delle erandi Parodie in virtù della partecipazione della strega Nocciola (Amelia, la maga che ammalia, può costituire una significativa variante , contraltare irrazio-nale e misterico alla scienza patafisica incarnata da Archimede30; soprattutto alla Sfiga di naperino, che è onnipotente.

Tali fattori non di rado complicano il tessuto narrativo intrecciandosi - d’altra parte sono innumerevoli i pretesti fantastici che possono innescare il movimento centrifugo dei personaggi verso uno spazio/tempo posto al di fuori della routine quotidiana.

La geniale intuizione di espandere quasi illimitatamente l’albero genea-logico dei Paperi ha offerto agli autori della Disney Italia un’ulteriore capi-tale risorsa: da qui deriva infatti l’opportunità di riprodurre i ruoli in cui si

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articola il sistema dei naperi in ogni epoca della storia. c, perché no, anche prima. È già stato osservato come Dio non compaia mai nella produzione Di-sney. Tuttavia, se mai una qualche forma di religione dovesse manifestarsi, essa assumerebbe con tutta probabilità i connotati del politeismo, e Zeus sa-rebbe iconograficamente riconducibile a naperon de’ naperoni… )n un certo senso, i Paperi son sempre esistiti: costituiscono infatti, da una prospettiva interna al sistema, un vero e proprio mito cosmogonico.

In tal senso, il caso più affascinante e sistematico è offerto dalla vasta epopea pubblicata col titolo Storia e gloria della dinastia dei paperi su «To-polino», dall’aprile al maggio 197031. Prendendo l’abbrivio da una cornice narrativa che risente delle suggestioni diffuse dalla allora recente conquista della Luna, essa racconta per grandi tappe tutta la storia dei Paperi, a partire dall’Antico Egitto, e conferma la grande capacità dei nostri pennuti di oscil-lare fra universi paralleli , dalle taverne della poma antica fino ai razzi spa-ziali, con grande disinvoltura. È, per quanto concerne il nostro discorso, una saga particolarmente significativa poiché stavolta lo sguardo ironico degli autori non si esercita solo su testi letterari, che possono pure restare sotto-traccia, ma ancor più ambiziosamente agisce proprio sull’asse cronologico: Storia e gloria della dinastia dei paperi si configura come il rovesciamento l’ennesimo di un’immagine evolutiva dei gruppi sociali, che in definitiva ri-mangono sempre fedeli a se stessi, e va intesa dunque come scardinamento del concetto di Tempo come progressione lineare32.

Da tutto ciò consegue non solo che possano viaggiare avanti e indietro nel tessuto dello spazio/tempo, ma pure che in ogni epoca c’è stata - e ci sarà ancora - una famiglia di naperi, identica a quella attualmente definita, nelle forme degli Antenati o, al limite, dei Discendenti. I ruoli e i caratteri in cui si articola il sistema sono in definitiva archetipici, e i rapporti di forza fami-liari e sociali) che incoraggiano l’interazione tra i vari componenti di quel microcosmo sono gli stessi, basilari, su cui si fondano le comunità umane.

Moltiplicare dunque gli spazi e i tempi e lasciare che i Paperi siano perfet-tamente riconoscibili: questo è il più facile marchingegno per rendere ine-stinguibili le loro avventure. L’altra capitale risorsa, per gli autori, scaturisce da quell’eterno bacino di storie che è la letteratura. Qualcuno ha scritto che le espressioni popolari dell’arte sono sempre state incentivate dai processi della riscrittura - e, specularmente, succede pure che tanta poesia “colta” ri-attivi materiali che avevano già conosciuto un’ampia diffusione orale. Ma, al di là delle formule di prammatica, la riscrittura è in generale il vero (e il

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più potente) motore che genera le storie: male che vada, si tratterebbe di mutuare uno schema narrativo che funziona, lasciare in controluce per la soddisfazione del lettore onnivoro ciò che da sempre ha suscitato la solita devastante emozione, e infine modificare quel tanto che basta affinché l’o-pera sia adeguata al nuovo contesto… La faccenda è ovviamente un po’ più complicata, eppure Bart Simpson, in una delle ormai celebri sigle d’apertura del cartone animato The Simpsons - era una puntata della tredicesima sta-gione, dedicata alle parodie di classici della letteratura (tra gli altri, una tan-to gustosa quanto rapida Odissea) -, verga sulla lavagna un monito valido per gli autori d’ogni tempo: «il vampirismo non è una carriera». Ecco, in un certo senso si può affermare che ogni scrittore è un parassita che succhia il sangue in circolo nella sterminata biblioteca universale. E straordinari vampiri sono stati gli autori delle erandi Parodie della Disney Italia. In verità, come ho cercato di spiegare poc’anzi, la natura ambigua e poliedrica di Paperino, e al-meno originariamente anche quella di Topolino, è geneticamente connessa alla sua versatilità parodica33. Difatti, ben prima dello straordinario successo della “scuola italiana”, con le relative rivisitazioni dei grandi classici, anche i maestri americani non avevano disdegnato alcune fugaci ma paradigmatiche escursioni in campo letterario, con l’intento di riattualizzare formule narra-tive di già consolidato successo. Se in verità lo stesso zio Paperone (Uncle Scrooge) era stato creato da Carl Barks34 a partire dal modello di Ebenezer Scrooge, protagonista de )l aanto di Natale (A ahristmas aarol) di Charles Di-ckens, sempre restando in ambito Disney, ma sul versante dei Topi, occorre indicare come punto di partenza il Mickey’s man driday del 193535, rilettura ludica del capolavoro di Defoe. Scrive a proposito Antonio Faeti36:

Chiunque possieda qualche frequentazione, anche episodica, di certi sentieri poco noti, rintracciabili nelle cartografie della Storia della let-teratura per l’infanzia”, sa che i “riscrittori parodici” sono numerosi, in questo ambito, e può seguirne le tracce entro varie dimensioni culturali e in molteplici letterature “adulte” […] Esiste un’ipotesi “bassa”, ma non per questo trascurabile, secondo cui il “letterato per l’infanzia” è quasi naturalmente un riscrittore , perché, privo di originali propensioni alla creazione, usa “appoggiarsi” ai più celebri prodotti dell’immaginazione umana come un parassita autoconsapevole che si ciba senza rimorsi dei brandelli dell’altrui grandezza. drutto di una diversa riflessione è inve-ce l’opinione di chi ritiene che la riduzione in briciole parodiche di tanti “classici”, a cui ci si dovrebbe accostare solo con reverente cautela, scatu-risca da un’irresistibile vocazione pedagogica. I “riscrittori” sminuzzano, triturano e soprattutto (almeno apparentemente) addolciscono, con il

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miele dell’ironia, i bocconi indubitabilmente salutari per lo stomaco adul-to e poco appetibili per le bocche infantili.lon è arduo verificare come le arti novelle , le quali agli esordi devono

spesso cimentarsi in una sorta di rito d’iniziazione, abbiano spesso ricercato l’approvazione di un padrino illustre, fino a chiamare in causa, in uno spazio condiviso per la loro consacrazione, i grandi successi delle arti “maggiori”. In Italia è valso per il cinema: si pensi a L’)nferno, film muto del diretto da Francesco Bertolini, Giuseppe de Liguoro e Adolfo Padovan, che ovviamente è ispirato alla aommedia di Dante ma al contempo alle celebri illustrazioni di Doré. c il discorso si può in un certo senso estendere anche al fumetto, se consideriamo che la pubblicazione de L’)nferno di Topolino nel 194937 si lega, come prima grande parodia, al lancio di un rinnovato «Topolino» in versione tascabile per iniziativa del duo composto da Guido Martina (testi) e Angelo Bioletto (disegni). Una volta superata la prova d’esordio, l’approccio non potrà che essere più maturo e disinvolto. A proposito di Mickey Mouse Mighty Whale (unter (Topolino e il mostro bianco) del 1938 è ancora Faeti a rilevare che:

In storie come queste […] il fumetto, in quanto medium, celebra se stesso e chiarisce la propria identità. Agguantando, con rapace baldanza, i Miti più segreti e gli Emblemi meno facilmente accessibili di un Immaginario di per sé nutrito da fonti controverse, il fumetto rivela di essere, così come lo si volle alle origini, un medium popolare e pedagogico […] Rilegge anche i classici americani con un’impudenza che non ha nulla di gratuitamente provocatorio: il Moby bick disneyano non dissacra Melville, ma si accosta con affettuosa partecipazione al mondo di leggende e di miti marini in cui è immerso anche il capolavoro dello scrittore38.

Il segreto del successo di un periodico come «Topolino», negli anni in cui il settimanale toccò il picco delle vendite, credo consistesse nella sua capacità di rivolgersi a un pubblico eterogeneo in primo luogo in relazione alle fasce d’età. Sotto questo aspetto, proprio le erandi Parodie si contraddistinguono per i diversi piani di accesso che mettono in gioco; in particolare, il livello intertestuale, cioè il dialogo che i nostri testi intrattengono con le fonti let-terarie in forma di citazione, allusione o rovesciamento ironico, può esse-re pienamente colto quasi esclusivamente da chi, possibilmente dotato di una “memoria poetica”, vanti una certa esperienza di letture alle spalle. In più, come la critica ha già avuto modo di sottolineare, rispetto agli apripista nordamericani:

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i soggettisti disneyani di casa nostra hanno anche sperimentato una strut-tura narrativa di tipo completamente diverso, che ha pochi punti di con-tatto sia con la daily strip di Floyd Gottfredson, sia con i comic books di Cark Barks, e che, semmai, ricorda molto da vicino lo stile dei feuilletons ottocenteschi. Guido Martina, Carlo Chendi, Luciano Bottaro e molti altri autori si sono ispirati, in altre parole, alla matrice del romanzo popolare, adattandolo alle psicologie di Topolino e dei Paperi, e ridotto ad un livello accettabile anche per i lettori più giovani. Con questa tecnica sono state scritte le più “italiane” fra le storie dei nostri autori, e cioè le erandi Pa-rodie che sono esplicitamente modellate sui “romanzoni” del passato39.)l lettore viene dunque gratificato per mezzo dei «classici espedienti del-

la narrativa d’appendice: le avventure fantasiose, lo smascheramento di un personaggio, la rivelazione improvvisa e lo scioglimento di un nodo dell’in-treccio sino ad allora ignoto al protagonista».

Prima di passare ad alcuni esempi in carne e piume, tratti dall’universo rivoluzionato dei grandi classici, una piccola appendice. Occorre tornare al punto da cui eravamo partiti, la questione dell’immortalità dei Paperi - nel senso che, come s’è visto, essi sono sottratti al divenire e conseguentemente al logorio del tempo che pure fa ingiallire la pagina. Concetto espresso a suo tempo da Umberto Eco, a proposito di Superman, in Apocalittici e integrati - qui riportiamo i punti salienti40:

Il personaggio mitologico del fumetto si trova ora in questa singolare si-tuazione: esso deve essere un archetipo, la somma di determinate aspira-zioni collettive, e quindi deve necessariamente immobilizzarsi in una sua fissità emblematica che lo renda facilmente riconoscibile […] ma poiché è commerciato nell’ambito di una produzione “romanzesca” per un pubbli-co che consuma “romanzi”, deve essere sottoposto a quello sviluppo che è caratteristico […] del personaggio del romanzo.

Superman deve dunque rimanere inconsumabile e tuttavia consumar-

si secondo i modi dell’esistenza quotidiana. Possiede le caratteristiche del mito intemporale, ma viene accettato solo perché la sua azione si svolge nel mondo quotidiano e umano della temporalità.

Il paradosso esige una soluzione che si collochi «nell’ordine della temporalità»:

se Superman sposasse Lois Lane farebbe, come si è già detto, un altro pas-so in direzione della morte, porrebbe una premessa irreversibile; e tutta-

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via occorre trovare sempre nuovi stimoli narrativi e soddisfare le esigen-ze “romanzesche” del pubblico. Si racconta così “cosa sarebbe accaduto se Superman avesse sposato Lois”. Si sviluppa tale premessa in tutte le sue implicanze drammatiche e alla fine si avverte: badate, questa era una storia immaginaria che in verità non si è verificata41.

Conseguentemente

[il lettore] smarrisce la nozione dell’ordine temporale. E gli accade di vi-vere in un universo immaginativo in cui, a differenza di quanto accade nel nostro, le catene causali non siano aperte (A provoca B, B provoca C, C provoca D e così via all’infinito ma chiuse A provoca B, B provoca C, C provoca D e D provoca A), e non abbia più senso quindi parlare di quell’or-dine del tempo in base al quale descriviamo abitualmente gli accadimenti del macrocosmo.

Per concludere

una nozione confusa del tempo è l’unica condizione di credibilità del rac-conto. Superman si sostiene come mito solo se il lettore perde il controllo dei rapporti temporali e rinuncia a ragionare in base ad essi, abbando-nandosi così al flusso incontrollabile delle storie che gli vengono dette e mantenendosi nell’illusione di un continuo presente. noiché il mito non è isolato esemplarmente in una dimensione di eternità ma, per essere com-partecipabile, deve essere immesso nel flusso della storia in atto, questa storia in atto viene negata come flusso e vista come presente immobile.

Nel caso dei Paperi, ma non scordiamoci degli sterminati bis-progenitori di Pippo, per risolvere il nodo concettuale - e manovrare il tempo in modo che questo scorra avventurosamente, traendo a sé l’attenzione partecipata del lettore, senza tuttavia consumare i protagonisti dei racconti - mi pare che gli autori abbiano agito sull’orizzonte delle origini, giovandosi dell’op-portunità di moltiplicare gli Antenati. Di conseguenza è difficile computare quanto illimitati siano i territori che i Paperi possono popolare per innumerabili stagioni… Da ciascun ceppo di questo sconfinato albero genealogico trae origine un universo che assomi-glia, ma non è esattamente identico in ogni dettaglio, a tutti gli altri. D’altra parte Paperopoli, intesa come cronotopo, è straordinariamente simile alle nostre città se non fosse che le forme viventi di cui pullulano le strade sono una straordinaria mescolanza di forme animali in assetto da bipedi evoluti. Ecco, sotto questo aspetto le Parodie costituiscono una chiave di volta, per-

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ché consentono di incrementare viepiù la mole di luoghi e tempi vivificabili, ed erodibili, dai naperi. ) quali, finito di leggere il racconto, trascorso l’in-cubo o esaurita la magia della strega (o dell’inventore) di turno, tornano a vorticare nel loro tempo eterno. D’altra parte il processo di trasfusione, dalla letteratura al fumetto, è reversibile. Italo Calvino indicò tra le fonti delle sue aosmicomiche anche Popeye e in generale le strisce dei giornaletti per ragaz-zi. Ne è derivato il più fumettistico e seriale dei personaggi letterari, il signor Qfwfq, capace in quanto tale di abitare ogni spazio e ogni epoca.

Ultimo appunto. Se, come ha sottolineato Umberto Eco, le strutture dell’i-terazione sono quelle più amate dai bambini, non è forse un caso che le erandi Parodie propongano, rispetto alle consuetudini, delle rilevanti ecce-zioni nei rapporti fra le parti - con conseguenze strutturali anche profonde (vedremo il caso clamoroso di Paperina che fugge e sposa lo scudiero Ciccio) - le quali possono tuttavia essere riassorbite dal sistema. Per quanto sia-no classificabili come anomalie o irregolarità, tali eccezioni evidentemente strizzano l’occhio al lettore adulto: costituiscono di fatto anch’esse uno sche-ma riproducibile ma, come dire, perverso.

1.3 gli universi letterari e il libernauta Paperino

La serie delle erandi Parodie mostra, in effetti, la capacità dei bipedi piumati di attraversare la storia della letteratura mondiale conservando intatta la pro-pria spiccata fisionomia. ner dirla tutta, l’universo dei naperi ha cannibalizzato, riattualizzandolo, il variegato immaginario poetico con il quale di volta in volta è entrato in contatto. In testa al gruppo, Paolino Paperino: pur forse derivando dai tipi della Commedia dell’Arte una certa disponibilità alla performance scenica, il nostro protagonista non è limitato dalla rigidità della maschera ma attinge direttamente alla versatilità metamorfica degli archetipi universali, tra i quali spiccano, come due polarità dinamiche, gli eroi dalle infinite peripezie slisse - colui che gabba sempre il prossimo - e Pinocchio - l’eterno gabbato.

Il testo classico, che volta per volta è tradotto in fumetti, viene assimilato attraverso tre modalità di approssimazione temporale:

A Parodia con corniceI Paperi (o i Topi) vivono il loro tempo e il loro spazio, che sono perlopiù identificabili con la dimensione in cui vive il lettore. Mediante vari espe-

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dienti, come la lettura di un libro, o il fatto che Paperon de’ Paperoni abbia deciso d’improvvisarsi impresario teatrale o produttore cinematografico, o ancora per facoltà onirica magari indotta dalla magia di una fattucchiera, il racconto in primo piano si apre a un ulteriore e più profondo livello di finzione42, il quale consiste nel riadattamento del testo classico, con i perso-naggi disneyani che interpretano i ruoli dei personaggi letterari. La parodia è dunque accompagnata e preceduta da una sorta di cornice (più o meno robusta che definisce in maniera abbastanza netta il confine fra la dimen-sione della contemporaneità e quella della finzione - la quale tendenzial-mente si svolge in un passato più o meno remoto. Ne consegue un notevole effetto illusionistico. ouando nei cartoni animati firmati da Matt eroening la famiglia Simpson sprofonda sul divano davanti al televisore, e l’apparecchio trasmette una puntata di «Grattachecca & Fichetto», grazie all’allestimento di un vero e proprio gioco di specchi lo spettatore è, almeno per un istante, spinto a identificarsi e dunque a considerare i Simpson come una famiglia americana in carne e ossa che si gode il suo programma preferito. In ge-nerale, quando la finzione di primo livello apre un ulteriore spazio ancor più marcatamente fantastico attraverso l’artificio della cornice, l’effetto può consistere, per il lettore o lo spettatore, nell’opportunità di recepire quella soglia come una dimensione a sé prossima. )l meccanismo di scatole cinesi conduce il fruitore verso una percezione realistica della zona di confine che precede il libero artificio dell’invenzione letteraria/fumettistica/animata.

La cornice costituisce anche la zona d’attrito, laddove la popolarità del fumetto si confronta con il prestigio del modello letterario. Le erandi Pa-rodie tendono tuttavia, in più di un’occasione, a valorizzarla come pre-testo per una rappresentazione “magica” e sciamanica: a quel punto la narrazio-ne profusa oralmente, magari a “puntate”, davanti a un pubblico incantato che attende la puntata successiva, può diventare il territorio condiviso fra fumetto e fonte letteraria. O, viceversa, può svilupparsi una forma di ludi-ca competizione, per cui (per esempio in Zio Paperone e la Locandiera del 198943 non di rado chi all’interno della finzione è deputato a leggere o rac-contare dichiara di riportare la versione autentica, cioè la variante parodica s’impone a partire dalla messa in discussione o addirittura dalla dichiarata falsità dell’archetipo classico44. Del resto, e più in generale dentro un siste-ma narrativo, se ogni mito si fonda su un intreccio di racconti, ogni singolo “aggiornamento” per affermarsi deve annunciare l’inattendibilità delle altre redazioni, a partire dal modello tràdito che viene dunque tradito.

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B Parodia in costumeI Paperi (o i Topi), senza alcun tipo di preambolo, vestono i panni e interpre-tano i ruoli dei protagonisti della fonte letteraria, sempre ben identificabile a

partire dal titolo dell’episodio. Apparentemente si tratta dell’immersione più completa e indistinta nella sostanza e nello spirito cui dà accesso la pagina lette-raria, vissuti - nella quasi totalità dei casi - in quella stagione trascorsa che viene immediatamente evocata dai costumi indossati dai personaggi Disney. Il riadat-tamento sfrutta in questo caso tutte le risorse di un ricercato esotismo, che si gio-ca tuttavia non solo e forse non tanto sul piano dello spazio (i più vari paesaggi dell’immaginario letterario) quanto invece proprio su quello temporale.ner quel che concerne tale specifica modalità di trasposizione parodica, è tuttavia particolarmente efficace il cortocircuito temporale prodotto dai copiosi e clamorosi anacronismi - frequentissimi peraltro anche nelle altre categorie qui segnalate - per cui anche in pieno medioevo potremmo rileva-re, nella forma dell’allusione o della nitida epifania, la presenza o perlomeno l’interferenza del tempo del lettore e dei suoi inequivocabili segni identitari.

a Parodia in tempo realeI Paperi (o i Topi) vivono il loro presente - nel quale tendenzialmente può identificarsi anche il lettore che sfogli quelle pagine a fumetti - senza con-

cedere nulla alle coordinate spazio-temporali della fonte letteraria, la quale viene dunque interamente e forzosamente traslata sull’orizzonte della con-temporaneità. Paperopoli (o Topolinia) si dimostra, da questo punto di vista, un luogo così versatile da accogliere le trame e le gesta di una buona parte della letteratura mondiale. Se, in generale nelle erandi Parodie, si crea sem-pre un rapporto dinamico fra il sistema dei personaggi Disney e il complesso dei protagonisti dell’opera che viene reinterpretata - una relazione che può sempre manifestare tensioni o attriti, e insomma il rischio almeno potenzia-le del rigetto, - in questa specifica modalità il mondo a fumetti possiede di norma la capacità di piegare totalmente alle proprie esigenze, e alla propria tradizionale rete di rapporti, la fisionomia originaria del modello. Ancor più di quanto accade negli altri due casi (A e B), dove la rilettura era già imposta-ta secondo criteri ispirati alla libera reinterpretazione, qui il riferimento al testo “classico” può essere ridotto ai minimi termini, se non addirittura ma-nifestarsi attraverso strizzatine d’occhio del tutto pretestuose. Ovviamente l’accesso all’opera letteraria, e le relative interferenze (capita di scorgere i Paperi in un atteggiamento bizzarro, come se ogni tanto scivolassero incon-

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Fig.I.3 – Paperin durioso (1966) – La parodia innescata dalla magia di Nocciola.

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sapevolmente verso un remoto passato che non gli appartiene) sono quasi esclusivo appannaggio del lettore “maturo” che abbia già un’autonoma co-noscenza della fonte primaria d’ispirazione.

Di seguito proporremo tre casi emblematici, corrispondenti alle modalità di rivisitazione parodica (A, B e C) alle quali abbiamo fatto cenno, scelti per la qualità tecnica delle storie, per la sagacia e raffinatezza con cui gli autori hanno impostato il dialogo intertestuale, ma soprattutto per la loro straor-dinaria capacità di dilettare.

A) na a . )l Paperin durioso Poema poco cavalleresco (1966)45, ispirato all’Orlando furioso di Ludovico Ariosto46.

a. )nversioniTutto ha inizio con una gran riunione presso la fattoria di Nonna Papera in

occasione dell’annuale raccolta delle mele. Ogni componente della famiglia dei Paperi si comporta secondo le aspettative del lettore - in particolare, no-nostante venga espressamente invitato a vigilare sull’operato dei nipotini, tradizionalmente votati all’indigestione di frutta, naperino approfitta della prima occasione utile per disertare dal lavoro: si apparta e si appisola beata-mente sotto la grande quercia dei bei ricordi infantili. Per il nostro eroe essa rappresenta la vera condizione edenica: uno stato di perfezione originaria verso cui tendere senza esitazione. A questo punto fa il suo ingresso in scena la strega Nocciola, la quale innesca di fatto la parodia favorendo l’accesso in quel mondo fantastico che viene costantemente alimentato proprio dall’ele-mento magico - secondo una delle caratteristiche peculiari tanto dell’Orlan-do )nnamorato di Matteo Maria Boiardo quanto dell’Orlando furioso47. Difatti Nocciola decide di punire il lavativo, e insieme a lui anche Ciccio, il factotum (?) di Nonna Papera, conformemente ai crismi di una pedagogia vagamente terroristica: la potente maga trasfigura il pisolino in incubo fig. ). , nel cor-so del quale i due pagheranno il fio della loro neghittosità affrontando prove massacranti come fossero immersi in un sogno condiviso, e quasi nella lo-gica di un contrappasso dantesco. Per esempio Paperino presta soccorso a una beffarda vecchina (in realtà si tratta sempre della dispettosa Nocciola, la quale fa ampio uso della magia per “tormentare” i paladini) che lo costringe-rà a lavorare come un somaro e a tagliar legna per un mese di fila. ripiche del sogno saranno, fin da principio, una certa rarefazione della lo-gica e una discreta fantasmaticità delle entità fisiche. )n questo caso, la soglia

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fra racconto cornice (che appare essere uno spazio reale, almeno dal punto di vista del mondo onirico) e racconto parodico consiste appunto nel pas-saggio dalla veglia al sonno, ma la leva per il salto spazio-temporale è data dalle formule alchemiche della strega. I due Paperi vengono catapultati nel mondo di Carlo (Papero) Magno, ma in verità si ritrovano in una dimensione che è ancor più nutrita di sostanza letteraria e cavalleresca di quanto non sia fondata su fedeli coordinate storico-geografiche.

Il lettore potrà dilettarsi a rintracciare le corrispondenze, le incongruenze e i ribaltamenti che intercorrono, e in gran quantità, fra il modello poetico e la trasposizione a fumetti, ma qui ci limiteremo ad osservare alcuni fat-ti salienti, e qualche elemento addirittura “deviante”. È già stato osservato come, nel rapporto fra l’organismo di partenza (il testo letterario che viene tradotto in fumetti) e il sistema mitico disneyano che lo reinterpreta, le linee di forza si dispieghino a tutto vantaggio della struttura d’arrivo: per esem-pio le caratteristiche dei personaggi della fonte sono flesse assecondando le peculiarità e le esigenze degli eroi disegnati. Così anche stavolta accade che Carlo Magno sia decisamente troppo propenso a concedersi alle perversioni dello Zio Paperone (avarizia, bagno nelle monete d’oro, irascibilità verso il nipote etc.) al punto da smarrire qualsiasi barlume di un alone poetico. E non è un caso che i Mori siano in tutto e per tutto assimilabili ai Bassotti e desiderino ardentemente derubarlo dell’immane tesoro. O, ancora, la splen-dida creatura miscuglio di forme animali che fu l’Ippogrifo diventa qui una

Fig. I.4 – Paperin durioso (1966) – Gastolfo sulla Luna.

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sorta di razzo spaziale - la parodia è scritta negli anni Sessanta e risente della straordinaria epopea dei viaggi nello spazio - brevettato dal grande alchimista/inventore Archimede, il quale consentirà a eastolfo fig. ). di provare a recuperare l’ampolla con il senno di Paperino. Eppure l’ordinaria routine viene turbata nel momento in cui si perpetrano alcune clamorose infrazioni alle regole che governano tradizionalmente il mondo dei Pape-ri - io credo per istigazione, per la forza dissacrante e centrifuga esercitata dal grande modello ariostesco, indiscusso campione di ludici tradimenti ai danni delle forme e norme che definivano la materia cavalleresca. ner esem-pio Angelica, interpretata da naperina, finisce per sposare Ciccio, scudiero del nostro campione – per banale accidente, è tratta in inganno dalle circo-stanze fino a pensare che fosse stato l’ineffabile palafreniere a salvarla dalle grinfie del mago Basilisco. mvviamente non sarebbe concesso, entro le abi-tuali coordinate, un simile tradimento: al limite, e normalmente per ripicca nei confronti di una qualche scortesia del fidanzato, le si può concedere, a Paperina dico, un fugace appuntamento galante con il fortunato Gastone, e (s’intende) all’insegna di un programma puramente platonico48. Ma Paperi-na che se la svigna con Ciccio, questo davvero è, oltreché una beffa, un vero e proprio sacrilegio!

Invece accade nell’Orlando furioso che Angelica preferisca al più nobile dei cavalieri un semplice fante dell’esercito saraceno, un tale Medoro… Inutile dirlo, Orlando - non appena scopre quello che, dal suo punto di vista, costitu-isce un intollerabile tradimento - va fuori di testa esattamente come capiterà a Paperino, al quale, peraltro, la furia e l’ira calzano a pennello.Altra significativa inversione, rispetto al copione tradizionale, si realizza nel momento in cui il nostro eroe è interamente pervaso dalla pazzia: mos-so da un’istintiva sete di vendetta, che probabilmente ha radici più antiche, insegue napero Magno e ne minaccia l’incolumità fisica - rovesciando il to-pos che, contemplando in generale l’universo paperopolese, chiude un buon numero delle avventure a fumetti. Del resto, anche la fortuna dell’odiato Gastolfo è impotente contro la furia straordinaria e devastatrice di Paolino Paperino.

a. aortocircuitiAbbandonata la dimensione consueta - e ben radicata nella realtà di Pa-

peropoli49 - della cornice, quasi si trovasse nel palazzo del mago Atlante, lo sguardo vaga in un labirinto fitto di segnali contraddittori e illusori. )l ri-schio è il disorientamento: il lettore non può neppure affidarsi al corpo della

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storia originale - sempre riconoscibile, al di là del travestimento fumetti-stico - poiché essa è abbondantemente travisata. mccorre invece affrontare l’avventura con lo spirito del libernauta Paperino, provvisti di quella leg-gerezza che lo contraddistingue, che gli consente di sfuggire alla gravità di una tradizione, di un sistema di riferimenti, di una funzione rigidamente precostituita - quella stessa calviniana leggerezza che ha portato gli autori delle parodie Disney a privilegiare un rapporto ludico con le fonti letterarie.

Fig. I.5 – Paperin durioso – ja mongolfiera di Archimede sfugge all’assedio dei Mori.

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Lo spaesamento può dipendere in buona misura dall’assenza di coordinate storico-geografiche ben definite e salde: certo siamo all’epoca dei paladini di Carlo Magno, in un Medioevo dove la cavalleria comporterebbe regole e ruoli ben definiti se lo scioglimento narrativo già non ponesse una serie di interrogativi inquietanti sull’opportunità di rispettare i princìpi del gioco. Ecco tuttavia svelarsi una nuova complicazione, un vero e proprio congegno destabilizzante: una fitta serie di anacronismi ci fa oscillare ripetutamen-te da uno spazio-tempo all’altro. Direi quasi come ci fossimo infilati dentro un paradosso quantistico: se riconosci il personaggio non capisci più dove l’hanno collocato, se identifichi con una certa approssimazione dove si trova, allora non distingui più la fisionomia del personaggio… j’effimero Medioevo attraversato da Paperino e Ciccio prevede infatti, anzi sbandiera l’intuizione dell’ascensore, un servizio espresso gestito da avvoltoi, una sferovisione per mezzo della quale si accede al meraviglioso mondo dei quiz e alla pubblicità di prodotti usa e getta, un canguro, l’idea della precedenza stradale, una bu-rocrazia kafkiana, il concetto del paracadute e della contraerea - dell’ippo-grifo a razzo, con tanto di conto alla rovescia, si è già discusso - e infine anche un pallone aerostatico a pedali per sfuggire all’assedio dei Mori, invenzione di Archimede fig. ). la quale, per inciso, rievoca l’impresa di quell’astro-nomo che, come un moderno Icaro, si era librato in volo sui cieli di Parigi stretta dalle truppe prussiane, per osservare in santa pace un’eclisse di sole dalle coste settentrionali dell’Africa50.

Da un lato la schizofrenia del protagonista si contagia a tutto ciò che lo circonda, suggerendo l’ipotesi che il reale, di cui la finzione è pur sempre il riflesso, non abbia nulla a che fare col razionale: la follia sarebbe quindi una condizione universale. Dall’altro, troviamo una conferma della grande duttilità e capacità dei Paperi in generale, e del loro campione in particolare, ad attraversare con sommo compiacimento qualunque circostanza. Questo perché ognuno di loro possiede una psicologia umanissima ed è anzi spinto ad agire dalla più potente delle pulsioni - il desiderio - che incalza e spinge i nostri a vivere una condizione di perenne allerta, che il più delle volte si traduce in movimento; in più, perfeziona la consistenza di ciascun papero - eventualmente nelle forme di un antenato che è pure ritratto vivente del bis-bis nipote - quella tendenza del tutto fantastica ad essere ubiqui nel tessuto dello spazio/tempo: la più formidabile delle leve, per mezzo della quale gli autori possono scalzare un mondo e sostituirlo con un altro.

Il lettore, intanto, vede eclissarsi anche la solida certezza del referente letterario, poiché nel bel mezzo di un orizzonte ariostesco vede materializ-

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zarsi, per mezzo della citazione di canzonette (Non son degno di te e Viva la pappa col pomodoro), nientemeno che Gianni Morandi e Rita Pavone, e insieme a loro incautamente l’Ugolino e la Francesca di Dante, le cui vicende vengono alluse per lacerti di versi. nerfino l’Amleto di Shakespeare: la que-stione è appunto relativa all’«essere o non essere». Tutte queste opere, una volta evocate, coesistono sincronicamente sullo stesso orizzonte di eventi. mgni volume, appena sfilato, introduce in un mondo differente ma solo fino a un certo punto esclusivo - visto che ciascuno potrebbe ospitare un Papero.

Fig. I.6 – ) promessi Paperi (1976)

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B) na a . ) promessi Paperi (1976)51, ispirata a ) promessi sposi di Alessandro Manzoni.

b. )nversioniAlmeno per quanto con-cerne le figure in primo pia-

no, il sistema dei personaggi disneyani ha decisamente la meglio, fino al punto di can-nibalizzare le fisionomie ori-ginarie. Don Rodrigo diventa Don Paperigo (impersonato da Paperone52), e vive con l’ossessione attiva dell’accu-mulo delle monete d’oro e quella tutta passiva di resi-stere alla corte serrata della «scocciatrice di Monza», al-trimenti detta «la rompisca-tole lombarda» (ovviamente interpretata da Brigitta) ac-compagnata dal fido tutore nonché saccheggiatore di di-spense Don Cicciondio (Cic-cio). Con l’ausilio dei Bravotti, e proprio allo scopo di affran-carsi dalla presenza asfissiante della spasimante, Don naperigo pretende che il «poeta ditirambico a tassametro» naperenzo Strafalcino rompa il fidanzamento

con Lucilla Paperella per sposare, appunto, Gertruda. C’è un ribaltamento dai risvolti comici, rispetto al punto cruciale della vicenda com’era descritta nell’ar-chetipo: i Bravotti gridano in faccia a Paperenzo che «Questo matrimonio s’ha da fare! c al più presto!» fig. ). - intimidazione che in seguito viene duplica-ta da Lucilla Paperella, al primo tentennamento percepito nelle intenzioni del fidanzato. Da qui ha inizio la serie di disavventure - impossibile darne conto esaustivamente - che rimandano in maniera più o meno puntuale al romanzo manzoniano: basti dire che le fila della narrazione non sono più governate dalla

Fig. I.7 – ) promessi Paperi (1976) – La vendettadelle due napere in combutta con l’sfficiotorchiatura del Fisco.

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Provvidenza, ma vengono gestite dal topos paperinesco della Sfortuna, la quale accompagna Paperenzo come un’ombra. A rimettere a posto le cose, con la ca-tartica punizione inferta al riccastro, ci penseranno invece le due papere coaliz-zate e i eabellotti d’assalto del disco fig. ). . tale la pena segnalare che la neste di Milano si rinnova e si adegua al gusto moderno nelle forme di uno sciopero delle poste di Milano - e di conseguenza fioccheranno i giochi di parole del tipo: scoppiano le poste di Milano, la città in preda alle poste e la città impostata. )l meccanismo parodico rende palpabile fino a che punto quello disneyano possa essere definito come un sistema mitologico di secondo livello: più che portatori di una propria originale vicenda di lunga durata, o depositari di

Fig. I.8 – ) promessi Paperi (1976) – Milano in preda alle Poste.

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un racconto archetipico, i Paperi si rivelano essere straordinari interpreti di storie o narrazioni già attivate e funzionanti: l’effetto di fidelizzazione nei confronti del pubblico di lettori si fonda d’altra parte molto più sugli scanto-namenti rispetto alla linea suggerita dal modello letterario - e dallo scarto, peraltro, deriva la comicità - che non sulla conservazione, una volta che il “classico” di turno sia riconoscibile anche e solo a partire dal titolo.

b. aortocircuitiSiamo direttamente catapultati in un contesto che appartiene al passato,

più o meno corrispondente a quello materializzato dalla voce narrante ne ) promessi sposi. Non mancano, tuttavia, le oscillazioni temporali che di nuovo strizzano l’occhio all’attualità del lettore, il quale riconosce in un contesto “estraneo” - tutt’al più familiare per un lettore di Alessandro Manzoni - una serie di situazioni, consuetudini o fenomeni di costume che lo riconducono inesorabilmente al presente. Abbiamo già brevemente illustrato il fenomeno della peste del Seicento che inopinatamente cede il passo allo sciopero che fa scoppiare le poste fig. ). . je contrade di quella che dovrebbe essere la jombardia del sono tuttavia fittamente pervase da segnali anche so-cialmente destabilizzanti: il concetto di svalutazione della berlinga, l’incom-bere di nuovi balzelli tipo l’una tantum sulle chitarre, il miraggio dei ponti festivi - fino all’epifania di un paio d’icone che appaiono del tutto fuori luogo, quali la bomba molotov e una coppia di devastanti urlatori d’impronta ro-ckettara, debitamente amplificati. tiene pure riproposta l’efficace formula della contaminazione delle fonti, per cui la parabola manzoniana è costantemente disturbata dall’emergere di altri referenti, i quali coprono un esasperato arco diacronico: si va dall’im-mancabile Dante Alighieri (con citazioni almeno da )nferno ))) e t per finire di nuovo con le canzonette sanremesi. La tavola riccamente imbandita dagli autori prevede insomma che la parodia possa proporre il classico capola-voro ascrivibile a una letteratura “alta” servito in combinazione con piatti decisamente più popolari. La varietà, oltre a garantire un’ampia accessibilità e fruizione della storia a fumetti, assicura quella comicità che deriva dalle associazioni più improbabili e stridenti, secondo la logica dell’accostamento alto/basso - che è peraltro la prima impressione che qualunque lettore rica-va nell’osservare Dante e Manzoni interpretati da Paperi e Topi.

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Fig. I.9 – Paperodissea (1961) – Paperino torna a casa e trova naperina/nenelope che fila la tela .

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C) na a a g a a . La Paperodissea (1961)53, ispira-ta all’Odissea di Omero54.

c. )nversioniSi è già accennato al valore paradigmatico che può assumere l’individua-

zione di Paperino come antieroe per eccellenza, in un’iperbolica esaltazio-ne della mediocrità dell’uomo comune - e, sotto questo aspetto, è segnale inequivocabile la sua tendenza a impersonare Ulisse. Il caso più eclatante è rappresentato dalla Paperodissea, lunga vicenda di cui il Nostro è incontra-stato primo attore; come accade nella versione originale, tutti gli altri perso-naggi, come satelliti, gli gravitano intorno: agiscono, nel bene e nel male, in funzione di naperino. )nutile perdersi in dettagli, e specificare per esempio che Telemaco è diventato giocoforza trino, essendo obbligato a reincarnar-si in oui, ouo e oua; o esporre fino a che punto la fedele naperina calzi a pennello il ruolo di Penelope, impegnata com’è a lavorare ai ferri per il suo eroe improbabili maglioni di lana sempre destinati a passare di moda fig. I.9). Tutto ciò scivola in secondo piano, rispetto all’assoluta evidenza con la quale Paperino riduce le imprese e lo spirito dell’eroe dal più ricco curricu-lum mitico a un livello di totale contingenza. Il fuoriclasse dal poco senno, in definitiva, è come sempre gabbato dalla sorte, e specificamente da naperone e Gastone - oltretutto proprio quando per una volta l’esito pareva trionfale: e tuttavia, quelle vittorie ai danni dei proci/creditori erano state imprese di bassa lega, trovate da saltimbanco che non possono impedire l’approdo a un triste finale in gattabuia.

La profezia di Tiresia annunciava che a Ulisse spettava un ultimo viaggio - ancora un distacco da Penelope - verso il paese abitato da indigeni che non conoscono il mare e l’uso di condire il cibo col sale. Come l’Homer/Ulisse della famiglia Simpson misinterpreta quel vaticinio avventurandosi, secon-do il suo stile, fino al bancone del bar di Boe, così naperino vivrà la sua ulti-ma impresa al tavolo da gioco, a sfidare la dortuna, sognando di trasformare quattro zecchini d’oro in un tesoro.

c. aortocircuitiIl tempo della Paperodissea sembra combaciare con le atmosfere che so-litamente animano i vicoli e l’esistenza dei cittadini di naperopoli; lo spazio

è invece decisamente vario, trattandosi comunque della riscrittura di un’o-pera che, più di ogni altra, ha formato l’immaginario occidentale relativo ai viaggi per mare. Anche in questo caso, tuttavia, il discorso si fa più contorto,

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intanto poiché il prologo della vicenda è del tutto adeguato alle scenografie di un film western già spaghetti western55?). Nel capolavoro eroicomico di Alessandro Tassoni accadeva che il ratto di Elena venisse rimpiazzato con una Secchia rapita: qui, con modalità analoghe, Paperino, perfettamente bardato da cavalleggero dell’esercito degli Stati Uniti, è chiamato a combat-tere contro gli Indiani per recuperare un bufalo impunemente sottratto allo Zio Paperone. La guerra dura i dieci anni prescritti dal copione classico, do-podiché l’eroe dovrebbe tornare in patria )taca/naperopoli . Della rassegna delle successive disgrazie il lettore è avvertito, come nell’originale, in modo retrospettivo, mediante un flashback tecnologicamente allestito: Archimede ha infatti inventato il telepass, un «apparato da ripresa televisiva» (siamo all’inizio degli anni Sessanta) che permette di vedere gli accadimenti del passato.

In maniera speculare rispetto a quanto veniva allestito per le “parodie in costume”, nella Paperodissea la prospettiva dell’attualità è incrinata da flussi temporali che possono precipitare il lettore in un’epoca antica, condiziona-to com’è dal peso degli archetipi - in particolare quello omerico lievemente complicato da pochi ma significativi echi della rilettura dantesca: in fondo anche naperino viene a un certo punto travolto da un «turbo» fig. ). , come Ulisse ()nf. XXVI) di fronte alla montagna del Purgatorio, anche se nel nostro caso non si può affermare che fosse in vista di una terra “promessa”.

Fig. I.10 – Paperodissea (1961) – Paperino/Ulisse e il “turbo”.

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Fig. I.11 – Paperodissea (1961) – Copertina.

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Viceversa, la sua nave era appena salpata da un’isola sospesa a metà strada fra il paese dei Lotofagi e l’Eden - dove Paperino e i suoi compagni avevano malauguratamente assaggiato il frutto proibito.

Eppure il cortocircuito storico più rilevante, e l’archetipo tutto moderno col quale il papero per antonomasia deve confrontarsi, consiste nell’impre-vedibile materializzarsi della guerra fra Cowboy e Indiani alle porte di Pa-peropoli e oltre la soglia d’ingresso alla contemporaneità. Il senso va ricer-cato probabilmente in un voluto fraintendimento del concetto di frontiera. Quella antica, già messa in discussione dall’Ulisse omerico e poi da Dante identificata col margine estremo delle colonne d’crcole varcate in direzione dell’ultramondo, si trasforma nella più popolare, moderna e cinematografi-ca frontiera del dar uest fig. ). 56. Ecco allora che il segreto di Paperino finalmente si svela: questo papero poco eroico e sfortunato, bisnipote dege-nerato di Ulisse, è il migliore interprete della stagione che segue alla caduta della frontiera. Mito postumo, degradato per costituzione, vive il presente senza lasciarsi troppo condizionare dagli emblemi del passato, senza farsi soverchiare dal peso del sogno americano tecnologicamente estinto.

Nel frattempo svanisce anche l’ultimo malinteso: la tensione ludica non destabilizza solo i modelli, letterari e sempre più cinematografici. ja paro-dia agisce in ultima istanza deformando la percezione che il lettore ha del proprio Tempo.

(Andrea Cannas)

Fin dal 1932 la produzione di storie e personaggi disneyani ha fatto sognare i lettori di tutte le età e oggi Edizioni NPE vuole ripercorrere con voi la strada solcata dalla fabbrica dei sogni in ottant’anni indimenticabi-li. Dal primo «Topolino» della Nerbini al iume di tavole che ogni settimana riempie i nostri scafali e i nostri cuori, nessun particolare è sfuggito agli auto-ri di quest’opera monumentale. L’opera ha ricevuto la Menzio-ne Speciale al Romics 2013, La Menzione Speciale per la saggi-stica della Top Ten 2012 stilata da lospaziobianco.it e il Premio Franco Fossati 2013.

I Disney italiani

Alberto Becattini, Luca Boschi, Leonardo Gori, Andrea Sani

Due volumi cartonati 195x265 in cofanetto deluxe.

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