LE FONTI RINNOVABILI SENZA RINNOVABILITÀ · 2012-10-31 · per rigenerare le fonti rinnovabili...

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Economia e Ambiente Articoli 3 LE FONTI RINNOVABILI SENZA RINNOVABILITÀ I PARADIGMI DELLA BIOECONOMIA NELL’ANALISI ENERGETICA di SERGIO VELLANTE La problematicità degli elementi materiali delle fonti energetiche sostenibili – La Bioeconomica e il bilancio energetico per rigenerare le fonti rinnovabili altrimenti irrinnovabili «Un giorno il mondo si sveglia e scopre che sono finiti il petrolio, il carbone, e l’energia elettrica. È pieno inverno,…e i denti aguzzi del freddo mordono le caviglie. ... Gli uomini si accorgono che tutto il benessere conquistato, fatto di oggetti meravigliosi e tecnologia all’avanguardia è perfettamente inutile. Circondati dal superfluo e privi del necessario, intuiscono che la salvezza esiste ... in un sapere antico da tempo dimenticato. … dovevano guardare indietro, tornare alla sapienza dei nonni che ancora erano in grado di fare le cose con le proprie mani e ascoltavano la natura per cogliere i suoi insegnamenti». Mauro Corona, La Fine del Mondo Storto 1 . Premessa 2 Il bellissimo romanzo di Mauro Corona, “con la forza di un’immaginazione visionaria e insieme in- tensamente realistica”, dovrebbe entrare a far parte della bibliografia consigliata per tutti i corsi universi- tari che riguardano l’applicazione delle Scienze (dall’Ingegneria all’Economia, dall’Agronomia alla Sociologia, dalla Biologia al Diritto ecc.) ai nuovi e inesplorati problemi posti dalla crisi economica e ambientale. E proprio rispetto a questa crisi che Mau- ro Corona offre un romanzo mozzafiato volto a crea- re spaventosi dubbi circa la certezza legata al modo - spesso arrogante e supponente - di pensare e fare scienza, ma anche a insegnare, attraverso l’emozioni della vita, ad essere umili e rispettosi di un passato che non si può e non si deve abbandonare vista “l’implacabile e accorata denuncia di un futuro che ci aspetta”. Un futuro infausto che potrebbe trovare una for- midabile spinta nelle «modifiche delle relazioni am- bientali tra idrosfera, atmosfera, litosfera e biosfera che stanno generando eventi sempre più calamitosi e distruttivi dell’umanità e del pianeta, quale reazione

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LE FONTI RINNOVABILI SENZA RINNOVABILITÀ

I PARADIGMI DELLA BIOECONOMIA NELL’ANALISI ENERGETICA

di

SERGIO VELLANTE

La problematicità degli elementi materiali delle fonti energetiche sostenibili – La Bioeconomica e il bilancio energetico

per rigenerare le fonti rinnovabili altrimenti irrinnovabili

«Un giorno il mondo si sveglia e scopre che sono finiti il petrolio, il carbone, e l’energia elettrica. È pieno inverno,…e i denti aguzzi del freddo mordono le caviglie. ... Gli uomini si accorgono che tutto il benessere conquistato, fatto di oggetti meravigliosi e tecnologia all’avanguardia è perfettamente inutile. Circondati dal superfluo e privi del necessario, intuiscono che la salvezza esiste ... in un sapere antico da tempo dimenticato. … dovevano guardare indietro, tornare alla sapienza dei nonni che ancora erano in grado di fare le cose con le proprie mani e ascoltavano la natura per cogliere i suoi insegnamenti». Mauro Corona, La Fine del Mondo Storto1.

Premessa2 Il bellissimo romanzo di Mauro Corona, “con la

forza di un’immaginazione visionaria e insieme in-tensamente realistica”, dovrebbe entrare a far parte della bibliografia consigliata per tutti i corsi universi-tari che riguardano l’applicazione delle Scienze (dall’Ingegneria all’Economia, dall’Agronomia alla Sociologia, dalla Biologia al Diritto ecc.) ai nuovi e inesplorati problemi posti dalla crisi economica e ambientale. E proprio rispetto a questa crisi che Mau-ro Corona offre un romanzo mozzafiato volto a crea-

re spaventosi dubbi circa la certezza legata al modo - spesso arrogante e supponente - di pensare e fare scienza, ma anche a insegnare, attraverso l’emozioni della vita, ad essere umili e rispettosi di un passato che non si può e non si deve abbandonare vista “l’implacabile e accorata denuncia di un futuro che ci aspetta”.

Un futuro infausto che potrebbe trovare una for-midabile spinta nelle «modifiche delle relazioni am-bientali tra idrosfera, atmosfera, litosfera e biosfera che stanno generando eventi sempre più calamitosi e distruttivi dell’umanità e del pianeta, quale reazione

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della natura a un’innaturale e violenta azione dell’uomo»3. Queste modifiche si manifestano con un susseguirsi – in lassi di tempo ristrettissimi ri-spetto al più recente passato – di eventi estremi che riguardano unitamente, secondo originali elabora-zioni4, tanto il clima che la finanza. È cosa “norma-le”, oramai, il verificarsi di continue e anomale tempeste climatiche a cui corrispondono quelle fi-nanziarie, di pari intensità ed anomalia, dovute alle fluttuazioni (sempre più crolli) delle borse. E se tra questi eventi estremi, afferma Perna5, non è ancora dimostrato che esistano delle relazioni dirette, tutta-via essi presentano delle analoghe performance e hanno un comune denominatore di squilibrio per-manente dovuto all’accelerazione esponenziale dei fenomeni tanto finanziari quanto climatici. Esempi di ciò sono gli eccessi: di denaro, e la sua alta velo-cità di circolazione negli scambi finanziari, non e-quiparabili a quelli ritmati dall’economia reale; di CO2 nell’atmosfera determinato dallo spreco ener-

getico del modo di produrre dominante che ci rende sempre più prossimi alla situazione ipotizzata da Mauro Corona. Qualche “Normale” Evento Estremo

La realtà planetaria contemporanea è un susse-

guirsi di eventi estremi che attengono a un modo di produzione di – per così dire - un capitalismo “libe-ralizzato”6 – dopo la caduta del muro di Berlino – da qualsiasi vincolo di rispetto socio-istituzionale e am-bientale, nonché dalla presenza di un contrario capi-talismo “collettivizzato”7 che paradossalmente ne li-mitava le azioni volte alla “distruzione” sociale (eli-minazione del welfare state) e l’appropriazione vio-lenta delle risorse del Pianeta attraverso guerre locali (Iraq, Libia ecc.).

L’inizio di tali è databile con la «distruzione di New Orleans determinata dall’uragano Katrina, per

Sopra e nella pagina a fianco: vedute invernali

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arrivare, dopo altri eventi catastrofici, alla “tragicis-sima tragedia” di Fukushima dovuta al più violento terremoto e maremoto del nostro tempo. Una trage-dia, resa ancora più grave dal connesso disastro nu-cleare, ma che rende evidenti i limiti di quella “deli-rante (in)cultura” dettata da una presunta onnipotenza tecnologica ed economico-gestionale – di cui il Giappone è una delle massime espressioni – in grado di mettere scientificamente (?) a punto delle tecnolo-gie e delle organizzazioni per la “distruzione del pia-neta” e non per difendersi dalle sue reazioni»8.

Agli scenari come questi si affiancano quelli de-terminati dai simili eventi manifestantisi in nel nostro Paese e nelle altre aree del Mediterraneo. Infatti men-tre si scrive giungono notizie che il comune di Ver-nazza delle Cinque Terre, ex incantevole deposito ambientale del paesaggio Mediterraneo terrazzato, è sottoposto ad una distruzione territoriale, economica e sociale dalla colata di fango generata da precipita-zioni, non più straordinarie dati i cambiamenti clima-tici, che hanno riversato in meno di sei ore 500 ml di acqua (pari a 500 litri per metro quadro). Un proces-so di devastazione non analogo, ma perfettamente simile, a quello manifestatosi a Casamicciola Terme, comune dell’Isola d’Ischia, due anni fa che causò, come oggi, morte e profonde ferite ambientali di dif-ficile rimarginazione. Si è trattato e si tratta, in am-bedue i casi, di consistenti volumi d’acqua che, giunti sui terrazzamenti ospitanti pregevoli e autoctoni vi-gneti, non hanno trovato la difesa adatta. Difesa che può essere garantita solo “dalla mano colta” dell’uomo, nell’accezione di Mauro Corona, e non dalle tecnologie convenzionali alloctone falsamente innovative e distanti dalle culture e dalle tradizioni tecnologiche maturata nella storia dei luoghi. Queste ultime – volte a mercificare (Il marketing e anche quello territoriale docet) beni comuni, uomini e terri-tori e a perseguire esclusivi obiettivi di produttività e di profittabilità – offrono sempre più quei paesaggi collinari, terrazzati o meno, contrassegnati da una omogeneità dovuta all’espansione della monocoltura della vite. Monocoltura che è spia di erosione di bio-diversità specialmente in quei contesti garantiti dalle diverse DOC9 e DOCG, dove la manipolazione gene-tica delle razze autoctone ha generato un numero ri-dotto di genotipi, non più sistemici (non interattivi) con l’ambiente di appartenenza, e coltivabili solo convenzionalmente, ovvero con quelle tecnologie diffuse da per tutto senza legami con le risorse endo-

gene . E ciò fa si che nel “turismo culturale del vino” il consumatore, se non informato preventivamente sulla località da visitare e se non persuaso in modo occulto dai sommelier, difficilmente capirebbe quale vino andrà a bere e quale paesaggio della vite a visi-tare: il vino di Stellenobosch in Sud Africa? Il vino del Chianti in Italia? Il vino di Sacramento in Cali-fornia? Tre realtà che offrono quasi la stessa bevanda e lo stesso territorio/paesaggio concepito nei “mo-derni” (?) grattacieli dei centri direzionali di Città del Capo, di Firenze o Siena e di San Francisco emblemi dello spreco energetico, dell’indotto cambiamento climatico e della distruzione delle risorse del Pianeta.

Se i consistenti volumi d’acqua fossero caduti su di un soprassuolo terrazzato, non abbandonato o de-stinato alla monocoltura della vite, ma coltivato per ottenere i prodotti dell’orto-giardino mediterraneo, i danni, non annullabili, sarebbero stati infinitamente minori. E ciò perché i prodotti dei terrazzamenti, or-ganizzati e gestiti nell’ottica della “produttività medi-terranea” delle risorse locali, sono ( o meglio erano, ma sicuramente saranno) il risultato di un peculiare e compatibile modo di produrre nel quale gli alberi, compresi quelli delle macchie boschive (castagneto), s’integrano con l’orto e la zootecnia salvaguardando e rigenerando la biodiversità. È quest’ultimo un fatto-re importante per l’ecosviluppo, da cui non si può prescindere se non adottando adeguate e sostenibili tecnologie. Le quali, nell’ascolto degli insegnamenti della natura (come dice Corona), migliorano la capa-cità dei suoli a trattenere l’acqua (maggiore permea-bilità) e la CO2, (maggiori contenuti di sostanza orga-nica nel terreno), ma anche la resistenza del terreno che, costantemente ricoperto da vegetazione, ostacola il ruscellamento delle acque e la creazione della di-struttiva e nefasta lava di fango. Inoltre la pluralità vegetativa fa (o meglio faceva, ma necessariamente farà) emergere dei peculiari e distinti paesaggi ter-razzati a “vite immersa” nei giardini mediterranei. Grazie ai quali “il turista del vino” non necessiterà di persuasioni e informazioni preventive, ma saprà au-tonomamente e naturalmente catturare la grande bon-tà di un bicchiere di vino di “Biancolella” bevuto sul-le “Parracine”10 nello scenario mozzafiato del “Cuot-to” di Sant’Angelo d’Ischia e distinguerla da quella altrettanta grande del passito di “Sciacchetrà” bevuto sulle incantevoli terrazze di Vernazza alle Cinque Terre.

La sostituzione, in questi contesti, di sentieri pro-

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duttivi ad alta sostenibilità a vantaggio di quelli non sostenibili, imperniati sull’esclusiva produttività del lavoro e la profittabilità, rappresenta il pilastro di “un sistema territoriale” teso verso l’autodistruzione. In-fatti l’accresciuta incapacità dei terrazzamenti di Ca-samicciola11 e di Vernazza a regolare il deflusso delle acque fangose è espressione di un “voluto”, se “non programmato” (gli eventi calamitosi accrescono il PIL) dissesto idrogeologico. Il quale si alimenta, au-mentando i danni, per l’incontrollata, spesso illecita e insostenibile espansione urbanistica sulla costa che, sottraendo gli spazi destinati al deflusso delle acque verso il mare, disattrezza questi luoghi per difendersi dalle prevedibili colate di fango.

Questo sentiero dell’insostenibilità è supportato anche dalle misure tecnologiche ed economomico-gestionali approntate per curare i danni provocati. Si tratta quasi esclusivamente di necessarie misure d’ingegneria idraulica (svuotamento degli alvei e ca-nalizzazioni derivate a valle) volte a riparare gli ef-fetti, ma che da sole non sono in grado di rimuovere le cause. Anzi, sono misure che rigenerano tali cause grazie: innanzitutto, al ripristino del terrazzamento “ecologicamente desertificato” (ovvero debiodiver-sizzato12) dalla monocoltura o dall’abbandono e che rimane una sorgente viva per future colate di fango; in secondo luogo, alla rivitalizzazione di quel model-lo di offerta turistica vigente che riprenderà progres-sivamente a riotturare gli alvei; infine, al ripristino dei presupposti per la ripresa dell’incontrollata e-spansione edilizia con relativi danni connessi.

Sono questi fatti descritti la perenne riproduzione su scala locale, ma anche su quella globale, di un modello emergenziale che, dati i profondi cambia-menti nel clima e nella società, non và più considera-to tale. L’emergenza è oramai divenuta un elemento strutturale delle relazioni tra ambiente ed economia nel dominante modo di produzione. E il suo costante riproporsi alimenta sempre più consistenti e distorti - rispetto ai fini originari- flussi di spesa pubblica non soggetti a vincoli di bilancio ed ai normali controlli incrementando il disavanzo e il debito pubblico. Si fanno crescere, così, le rendite della speculazione fi-nanziaria (i mercati osannati) che presta il denaro al-lo stato da erogare a chi ripristina lo squilibrio terri-toriale realizzando superprofitti. E poiché la realiz-zazione della rendita finanziaria e del profitto viene considerata la razionalità insita nei criteri d’efficienza del liberismo economico, paradossal-

mente i dissesti della geosfera e dell’idrosfera, nei casi qui considerati, sono ritenuti dell’esternalità non riconducibili al modello di turismo vigente che produce profitto con “la distruzione” delle risorse endogene.

Questa visione di curare gli effetti e di non ri-muovere le cause caratterizza anche quanto sta avve-nendo sulle emissioni della CO2. Non si punta su una decisa riconversione ecologica dei sistemi produttivi che nei fatti rimuoverebbe le cause delle emissioni. Viceversa sono stati ideati i mercati volontari del carbonio che rapportano la domanda d’inquinamento, determinata dal prezzo (carbon tax) di acquisto dei diritti di emissione, con l’offerta di disiquinamento determinata dal prezzo di vendita (certificati di carbonio) dei diritti riconosciuti alle at-tività trattenenti carbonio (forestazione e green techno-logy). Un equilibrio economico tra domanda e offerta che non potrà mai essere supportato da un altrettanto equilibrio ambientale nonostante che le politiche pro-mosse dopo il Protocollo di Kyoto lo farebbe intende-re. Ciò perché l’aria, considerata erroneamente un be-ne economico, sebbene comune, è una risorsa vitale non riproducibile dall’uomo e quindi impossibile sot-toporla a qualsivoglia scambio economico sia privato (merce) che pubblico (bene comune). E per questo motivo che il “debito di CO2“ (eccesso di emissioni) non può essere saldato con la finanza, ma soltanto ri-pristinando gli equilibri ecologici.

È questo l’artificiale elemento strutturale della crisi ambientale che rende impraticabile « una13 simi-le politica, e ciò14 dovrebbe balzare agli occhi delle classi dirigenti, ma le loro menti sono talmente for-mattate dalla legge del valore (prezzo di scambio del-le merci) e dalla venalità generalizzata che la conse-guenza è che non riescono neppure a concepire di po-ter risolvere diversamente il problema se non gio-strando sul prezzo del fattore scatenante». In effeti ci troviamo di fronte ad Crisi Planetaria in cui quella più avvertita è la finanziaria che «copre quella eco-nomico/strutturale che travalica il rapporto capita-le/lavoro, inclusivo anche di quello immateriale tra capitale virtuale e lavoro cognitivo dell’economia della conoscenza, per affondare le sue radici nel rap-porto, più complessivo e complesso, tra uomo e natu-ra. Ciò sta intaccando, irreversibilmente, le “strutture vitali” del pianeta e determinando una transizione economica e sociale che è spia di un declino di civiltà legato all’epoca storica del capitalismo e di un altret-

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tanto declino biologico connesso all’emergere di una nuova era geologica. Si sta andando a delineare uno scenario mondiale che, imperniato su un modo di produrre e di consumare volto allo spreco e alla di-struzione delle risorse, sopratutto energetiche, sta dissolvendo in modo differenziato l’equilibrio dovuto al rapporto tra territorio e produzione15 (paradigma della bioeconomia) nelle diverse aree geografiche»16, ma in tutta la Terra.

Del complesso scenario sin qui descritto ben si comprende che il futuro è legato all’energia. Nelle pagine successive, partendo da una rivisitazione del concetto di bilancio energetico, si tenta di definire cosa è lo spreco energetico rapportandolo ai reali fabbisogni. Il Bilancio Energetico nell’impostazione BioEconomica

L’ipotesi della Bioeconomia su cui costruire un

reale bilancio energetico, che completi e migliori i semplici conti energetici adottati nelle discipline inerenti all’energetica, trovano le loro assunzioni tanto nella fisica quanto nella biologia.

Sul primo versante l’elaborazioni di Georgescu-Roegen sulla termodinamica e l’entropia conducono a considerazioni per le quali il degrado dell’energia da utilizzabile a inutilizzabile (II° principio termo-dinamica) è riferibile anche alla materia attraverso la formulazione della “cosiddetta IVa legge della termodinamica”, non respinta e né tantomeno accet-tata dai fisici. Per questa legge che - dal punto di vi-sta della Teoria Economica della Produzione è scientificamente rilevantissima - la terra viene indi-viduata come un fondo (risorse di materia, di uomini e strumenti tecnologici) da cui si prelevano gli input che attraverso i processi di produzione e di consumo (flussi) sono trasformati in output per il sostenta-mento umano. Un fondo che, nei fatti, non viene reintegrato e bilanciato in eguale misura dei prelievi di energia e di risorse naturali per l’alta entropia ge-nerata dalle tecnologie adottate nei processi produt-tivi.

Sul secondo versante della biologia, si assume l’ipotesi che la fotosintesi clorofilliana - per la sua capacità di fissare l’energia derivante dal sole e con-temporaneamente di redistribuirla nei cicli biologici – è il fattore fondamentale per la reintegrazione e

per la successiva accumulazione energetica nel fon-do del pianeta dato il livello delle conoscenze sinora acquisite.

La peculiare “fusione tra fisica e biologia”, adot-tata in questo contesto, porta a concepire il bilancio energetico come strumento rapportabile al concetto di metabolismo per il quale «la fase anabolica, cioè di costruzione e di crescita del capitle natura è dovu-ta alla fotosintesi clorofilliana che origina la rigene-razione dell’energia con il suo relativo accumulo nel pianeta per gli usi futuri. Viceversa la fase cataboli-ca¸ cioè di declino fisico e distruzione creativa per realizzare beni economici, è dovuta» a quelle leggi della termodinamica – compresa la IVa – che condu-cono, grazie all’entropia, alla dissipazione di energie e materia.

L’introduzione, qui proposta, del concetto di metabolismo produttivo nell’apparato teorico della Bioeconomia ci potrebbe finalmente portare a con-cepire il Bilancio Energetico fuori dalle secche del riduzionismo deterministico. Si tratterebbe, come in un normale bilancio economico, di valutare come variano nel tempo lo stato patrimoniale e il conto e-conomico dell’impresa Terra. E cioè valutare se il fondo natura (stato patrimoniale), da un lato, viene reintegrato (ammortamento bio-energetico), o meno, con la restituzione delle forniture erogate per la costi-tuzione del capitale produttivo17 e, dall’altro, viene incrementato (l’accumulazione bio-energetica), o meno, dalle aumentate, o diminuite, capacità di ac-cumulo delle sostanze organiche biodegradabili per i risparmi18 derivati dagli utili energetici delle pro-duzioni.

Questo quadro relativo al fondo naturale, come è facile intuire, dipende molto dalla composizione del conto energetico volto a calcolare – o meglio stimare – gli utili o le perdite energetiche dei i flussi come differenza tra le “quantità” prodotte, di sola energia e di sola materia riconvertibili (cioè al netto di quelle allo stato libero sul totale) e le “quantita” complessive di energia e materia impiegata19 nei processi di trasformazione. Così impostato il conto energetico permetterebbe di distinguere nel conto economico di riferimento qual’è l’entità della com-ponente “verde” sul complessivo valore aggiunto ottenuto.

L’impostazione bioeconomica di bilancio energe-tico qui avanzata, richiede necessariamente ulteriori approfondimenti di natura empirica e teorica. Tuttavia

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Vista frontale del ghiacciaio Perito Moreno, in Argentina

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preoccupa che nel dibattito sulla questione energetica il problema di come restituire al pianeta le risorse prelevate goda di scarsa attenzione e che contempo-raneamente non si attrezzi nessuno sforzo per quanti-ficare un reale fabbisogno energetico compatibile a realizzare un percorso di benessere sociale ed am-bientale che ci faccia uscire in tempi rapidi dalla crisi economica e ambientale che domina la nostra epoca prima di raggiungere un catastrofico punto di non ri-torno.

Fabbisogno e spreco energetico: binomio inscindibile?

Facendo riferimento alle categorie analitiche

messe a disposizione dalla Bioeconomia, si è identi-ficato, attraverso il modello fondi e flussi elaborato da Georgescu-Roegen, un peculiare strumento di contabilità ambientale: il bilancio energetico (B.E) ù ancorato al metabolismo terrestre.

Ora prendendo in considerazione le due compo-nenti del BE, si può ipotizzare che il fondo, quale componente statica, vede dipendere le sue dimensio-ni (accumulo delle risorse) dalla dinamicità dei flussi esaminata attraverso il conto energetico. Il quale, come già detto, calcola la differenza tra la quantità di energia riutilizzabile e contenuta nella produzione e quella impegnata, come consumi energetici, nel pro-cesso produttivo.

I consumi energetici, elementi di costo del con-to, rappresentano la variabile su cui operare per ca-pire come sono utilizzate e finalizzate le energie impegnate nella produzione. Tali consumi, in base ai ragionamenti sin qui avanzati, circa la riduzione dell’entropia e la riconvertibilità dei materiali e dell’energia, sono stati distinti, come dimostrano le sottostanti formule, tra funzionali e non funzionali, facendo poi discendere da questa disagreggazione il reale fabbisogno energetico al netto dello spreco

funzionale incidente sui consumi totali. Infatti: L’impostazione di questo problema è partita

dall’ipotesi che i consumi energetici sono spropor-zionati rispetto alla funzionalità delle energie conte-nute. La Funzionalità è stata definita come quel va-lore capace di garantire la reintegrazione energetica per l’esistenza degli uomini. La non funzionalità, viceversa, è stata definita come un valore eccedente rispetto alla reintegrazione energetica necessaria al-la vita degli uomini. Si tratta di energie che vengono sprecate sottoforma di rifiuti non ecologici e utiliz-zate per creare un valore aggiunto immateriale e fit-tizio volto ad una persuasione occulta degli uomini spingendoli da un lato, a considerare più le forme che i contenuti dei beni consumati e dall’altro ad a-lienarli culturalmente rispetto alle ricadute deva-stanti che tali beni hanno sulla salubrità umana ed ambientale.»20

Tali criteri di ditinzione tra i consumi energetici funzionali e non, sono stati desunti applicando le fun-zioni Engeliane di spesa21 all’analisi dei consumi di primaria necessità nelle diverse areee del Paese.

Sono state valutate poi le relazioni tra la qualità di tali consumi e la composizione dei rifiuti solidi ur-bani prodotti verificando il corollario della legge di Engel. Tale corollario sostiene la tesi che nelle aree meno sviluppate la spesa primaria incide di più sul reddito pro-capite, inferiore a quello delle aree svi-luppate, e ciò incide sulla qualità dei consumi e dei rifiuti In base a ciò i dati esposti nella sottostante ta-bella riepilogano, limitandosi ai soli aspetti energetici (misurati in Kl.cal), l’applicazioni delle funzioni prima richiamate «nelle due più importati realtà ur-bane del nostro Paese come Napoli e Milano.

Capacità di spesa pri-

maria (€/mese)

Consumi Energetici

(CE )

Energie Funzionali

(EF)

Energie Non Fun-zionali

(ENF)

Coefficiente di spreco

(ENF/EF)

NAPOLI 500,00 100 30 70 2,33 MILANO 900,00 100 60 40 0,66 TOTALE 700,00 100 45 55 1,22

Fonte: Nostra Elaborazione

CE = EF + ENF; CE = livello dei Consumi Energetici; FR = CE – ENF; EF = Energie Funzionali; SF = CE – EF; ENF = Energie Non Funzionali

FR = Fabbisogno Reale; SF = Spreco Funzionale;

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I dati di tale tabella che relazionano le diverse capa-cità di spesa primaria con i consumi energetici im-pliciti ai prodotti acquistati fanno emergere che a li-vello nazionale il 55% delle energie contenute nei beni alimentari sono destinate allo spreco realizzando un omonimo coefficiente di 1,222. E che tali valori a Napoli – prima città in Europa per i volumi (e non per Kg) di spazzatura e per l’obesità delle classi di età inferiori ai 18 anni – sono relativamente del 70% e di 2,33 mentre a Milano del 40% e di 0,66. Come si può costatare il maggiore spreco energetico, sembra paradossale ma non lo è, si manifesta nelle aree ur-bane economicamente più deboli. Qui ci sono redditi pro-capite più bassi che generano una minore capaci-tà di spesa (vedi Tab.), grazie alla quale la domanda viene soddisfatta da prodotti di scarsa qualità e as-sorbenti molte energie (gli hamburger della Macdo-naldizzazione alimentare) che pervengono sui luoghi del consumo in contenitori di pessima qualità ed as-sorbenti anche essi molta energia sia nella fase di fabbricazione che in quella di smaltimento post-consumo per la resistenza alla biodegradabilità (la Carrefourzzazione della distribuzione alimentare). Dove invece, come nel caso di Milano e delle altre città del nord, ci sono aree urbane economicamente più forti di quelle del Mezzogiorno, il rapporto tra qualità e spreco pur dimezzandosi rimane tuttavia al-to. Una cosa analoga capita anche negli altri settori economici dove lo spreco viene misurato in termini di kilowattora e non di kilocalorie».23

Non si sottrae a questa relazione “funzionali-tà\spreco” neanche il concetto di efficienza energeti-ca normalmente adottato tanto in sede di analisi posi-tiva quanto di quella normativa. L’efficienza energe-tica è normalmente definita: a) come “la riduzione dell’impiego di energia necessaria per conseguire un determinato obiettivo senza ridimensionarlo” (au-mento della produttività); oppure b) come “risparmio energetico determinato dalla riduzione dell’impiego di energia realizzata attraverso un cambiamento del comportamento dei soggetti economici ed un ridi-mensionamento degli obiettivi”(riduzione dei consu-mi)..24 Si tratta di 2 definizioni di cui una è proiettata sugli aumenti di produttività e l’altra sulla riduzione dei consumi energetici. In ambedue, però, il rapporto fabbisogno/spreco non viene considerato e ciò induce «l’idea di una facile soluzione del problema». Ciò nel senso che non si può pensare: attiviamo il risparmio energetico e tutto è risolto.

Il problema è l’annullamento dello spreco che, invece, è divenuto una componente organica alla pro-duzione delle merci che assunti come beni standard, certificati dai sistemi di qualità non neutrali (analo-gamente a quanto fanno le società di rating), ci stan-no conducendo verso una deriva ambientale e socia-le. Dove Napoli come dimostrano i dati spreca, sotto-forma di obesità e monnezza, 2,33 kilocalorie per o-gnuna di esse che va alla reintegrazione energetica dei suoi cittadini. Siamo di fronte ad uno spreco strutturale che per eliminarlo, va rivoluzionato in modo completo l’attuale modello di produrre e di consumare che sta raggiungendo quel limite di rottu-ra dopo il quale una riconversione ecologica della produzione con le green technology sarebbe impossi-bile perché il pianeta dovrebbe propedeuticamente rigenerare le risorse del proprio fondo.

Conclusioni: le fonti rinnovabili nell’irrinnovabilità dei contesti

«In questo quadro strutturalmente allarmante

per i destini del pianeta va sgombrato il campo da al-cuni equivoci.

Innanzitutto, per le cose già dette e dimostrate, è realisticamente impossibile e non plausibile conti-nuare a sostenere, con lo spreco funzionalmente im-plicito, questo letale modello produttivo anche nel caso in cui vengano utilizzate le fonti energetiche al-ternative al fossile. Il problema risiede nel fatto che anche le energie funzionali contenute nei beni di con-sumo sono il risultato di processi produttivi con altis-sima entropia e alto impatto ambientale. Un esempio è l’impronta ecologica calcolata per la produzione di carne bovina proveniente da allevamenti intensivi. Tale impronta è abbastanza alta perché per ottenere un Kg di carne, fonte di reintegrazione energetica umana per circa 1600 Kcal, si spendono in termini energetici circa 17.000 Kcal (10.5 volte in più), si emettono nell’atmosfera in media 36.4 Kg di CO2,

340 gr di anidride solforosa e 59 gr di fosforo e si consumano non meno di 20.000 litri d’acqua. Si trat-ta di un folle meccanismo distruttivo dell’ambiente e dell’umanità e che necessariamente deve passare, per sopravvivere, attraverso l’appropriazione pri-vatistica – come già detto, ma è utile ribadire – dei beni comuni compresi acqua e aria. Tutto ciò rende evidente che realizzare risparmio energetico rispetto-

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so dell’ambiente bisogna agire profondamente sulle

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strutture produttive e modificare i rapporti tra pro-prietà, impresa e lavoro. È questa una cosa indispen-sabile, per i destini del mondo e dell’umanità, da far-si e anche in tempi brevi! Ciò perché è sempre più possibile, come informano dati scientifici non dipen-denti dai “voleri dei potentati”, ottenere quantità di carne più che sufficiente per soddisfare l’alimentazione, da quegli allevamenti estensivi e ad impronta ecologica negativa (quindi sostenibilità) che permettono il benessere degli animali facendoli pascolare liberamente nell’ambiente e fornendoci le 1600 Kcal per Kg di carne senza aver sprecato acqua, degradato le risorse naturali (che in questo caso sono addirittura reintegrate) ed inquinato l’atmosfera con la CO2 che resta nel terreno.

Un secondo equivoco da evitare, e che ha molte affinità con il precedente, riguarda la produzione di energie alternative che sebbene risultino essere pulite per l’atmosfera (CO2 non emessa) manifestano consi-stenti impatti sulla geosfera anche nel caso che le fonti siano rinnovabili. E l’equivoco – lasciando da parte il nucleare che assorbe dal pianeta le risorse di-rette (uranio e plutonio) e indirette per la produzione dell’energia e poi gliele restituisce sottoforma di sco-rie non più biodegradabili – riguarda l’insostenibilità degli impianti che si stanno diffondendo per lo sfrut-tamento delle energie rinnovabili come nel caso dell’eolico, del solare e delle biomasse. Si tratta d’impianti che, pur essendo possibile ottenere con materiali rinnovabili (si pensi ai mulini a vento, fatti di legno, diffusi nelle saline siciliane e in grado di produrre energie tali da macinare il sale), vengono costruiti in modo tale (si pensi alle pale eoliche in ferro cemento e plastica) da degradare definitivamen-te le risorse prelevate dal pianeta che non saranno mai reintegrate, neanche con le energie prodotte da tali impianti. Energie che tra l’altro servono solo par-zialmente a compensare gli sprechi del sistema pro-duttivo facendo diminuire il valore energetico del ca-pitale naturale e accrescendo il debito ambientale nei confronti della terra. È questo un quasi folle mecca-nismo che crea l’irrinovabilità dei materiali per pro-durre energia dalle fonti rinnovabili».25

Rispetto alla situazione sinora descritta permea-ta anche dagli equivoci prima richiamati è forte l’esigenza di uscirne fuori combinando onestà intel-lettuale e rigorosa autonomia del pensiero scientifico. Due cose che il rinnovato approccio della Bioecono-mia può sicuramente garantire e non metterci nella

condizione di giungere alla “Fine del mondo storto” di Mauro Corona. Anche se la bellezza del romanzo suggerirebbe di avere un’avventura in quella parte “storta e morta” della nostra mente che non ci fa più ascoltare la bellezza della natura e della vita.

Sergio Vellante

Sergio Vellante è professore ordinario nella Seconda Università di Napoli e referente dell’ANEAT per la Campania e la Basilicata.

Note 1 Mauro Corona: La Fine del Mondo Storto. Edizione Mondadori (Settembre 2010). 2 L’articolo è il risultato di alcune elaborazioni, sostenute dal modesto finanziamento (mancia) erogato dal F. R. A. SUN 2009, su: I consumi di primaria necessità, nei sistemi territoriali a ritardo di sviluppo e le ricadute sociali (obe-sità) e ambientali (rifiuti). I risultati di queste attività non vengono presi in considerazione dai sistemi di valutazione vigenti nell’Università. Inoltre tale articolo pur, considera-to degno di pubblicazione da parte di una “rivista certifica-ta ISI”, ciò non è avvenuto, perché la richiesta di contribu-to per il “sostegno scientifico” (o alla mercificazione dei saperi?) alla rivista era doppio rispetto alle disponibilità finanziarie. Si ringrazia pertanto Economia & Ambiente per averlo preso in carico pretendendo solo rigore scienti-fico e onestà intellettuale. 3 Sergio Vellante, BioEconomia e Questione Energetica, in Luca Carra (a cura di) ENERGIE: il punto di vista d’Italia Nostra; Quaderno n°28, Gangemi Editore (maggio 2011). 4 Tonino Perna, Eventi Estremi. Altreconomia Edizioni (maggio 2011). 5 Tonino Perna, op. cit. 6 In questa forma di capitalismo i mezzi di produzione e gran parte delle risorse naturali (compresa l’acqua per usi non umani e di recente anche l’aria attraverso il mercato dei diritti di emissione della CO2 scambiabili) sono di esclu-siva proprietà privata. Ciò avvantaggia la sola libertà d’impresa nell’ottenere profitti e di forte svantaggio, per una gerarchizzazione autoritaria dei rapporti sociali, delle altre forze di lavoro. 7 In questa forma di capitalismo i mezzi di produzione sono di esclusiva proprietà dello Stato che attraverso la pianifica-zione economica limita fortemente la libertà dei soggetti produttivi – i lavoratori – annullando qualsiasi relazione tra impresa e mercato in termini di competitività.

Economia e Ambiente Articoli

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8 Sergio Vellante, BioEconomia e Questione Energetica, op. cit. 9 DOC è l’acronimo di Denominazione di Origine Control-lata; appartengono a questa categoria i vini in cui la zona di origine della raccolta delle uve per la produzione del mede-simo vino è in sostanza delimitata come prevedono i disci-plinari di produzione. 10 Così definiti i muri a secco dei terrazzamenti ischitani. 11 Analizzando l’evento di Casamicciola si costata che a-spetti legati: a) alla geomeccanica hanno inciso per circa il 10%;, b) all’abbandono dei terrazzamenti o alla loro ricon-versione a monocoltura per un 30%; c) all’otturazione degli alvei di deflusso sotterranei nella zona pedemontana per il restante 60%. Otturazione dovuta ad un duplice motivo: 1) l’abbandono nelle cure termali dell’uso del fango naturale lasciato sedimentare negli alvei e sostituito da quello artifi-ciale prodotto dall’industria farmaceutica (grande investito-re nel settore termale locale); 2) dagli illeciti scarichi di ri-fiuti provenienti prevalentemente dall’edilizia speculativa. Quindi non è errato affermare che il 60% dei danni è ascri-vibile al perfetto abbinamento tra insostenibilità ambientale e illegalità. 12 Con il termine debiodiversizzato s’intende la salvaguardia biologica di una razza della quale però viene ridotta la plu-ralità dei patrimoni genetici che le appartengono. 13 Daniel Tanauro, L’impossibile Capitalismo Verde, Edi-zioni Alegre Roma 2011. 14 Il corsivo è nostro. 15 L’equilibrio tra territorio e produzione è un processo dina-mico che varia nel tempo e nello spazio e che è determinato dall’evoluzione dei rapporti tra crescita economica, variazioni del benessere sociale e riadeguamenti sostenibili delle struttu-re fisiche e naturali dei luoghi. Maggiori dettagli empirici e teorici su tale paradigma possono essere desunti da: - Andrea Micocci: The Metaphisics of Capitalism, Lexing-ton Books UK 2009; - Romano Molesti: I fondamenti della BioEconomia, Fran-co Angeli Milano 2006; - Sergio Vellante Mezzogiorno Rurale, risorse endogene e sviluppo: il caso Basilicata Donzelli Editore Roma 2001; - Stefano Zamberlan: Dall’Utilità al godimento della vita: La Bioeconomia di N. Georgescu-Roegen, IPEM Edizioni Pisa 2007. 16 Sergio Vellante, BioEconomia e Questione Energetica, op. cit. 17 Ad esempio se i materiali che vanno a costituire un capi-tale produttivo come le pale eoliche (ma la stessa cosa dica-si per i pannelli solari) provengono da una fonte rinnovabile

come il legno allora l’ammortamento bio-energetico è pos-sibile perché il degrado della materia a fine ciclo produttivo avviene nel rispetto dei ritmi biologici della natura. Ciò non è invece possibile con i materiali non biodegradabili nor-malmente usati in tale attività. 18 Ritornando all’esempio delle pale eoliche i risparmi da accumulare per poter poi investire in incremento di capitale naturale (più legno per più pale eoliche) può avvenire, dato l’attuale livello del progresso tecnico, solo per i materiali rinnovabili biologicamente come appunto, il legno. Infatti del totale delle energie prodotte da tali pale, nessuna quota viene destinata alle attività post-produttive connesse allo smaltimento biodegradabile dell’impianto. Ciò si prefigura come un risparmio di costo energetico che aumentato dei risparmi derivati dalla mancata emissione di CO2 nell’atmosfera, crea un’accumulazione delle risorse del fon-do che possono essere investite nell’espansione strutturale e territoriale dell’eolico sostenibile. Cosa questa, non possibi-le per gli altri impianti dove l’energie prodotte vengono as-sorbite per circa il 50% nello smaltimento post-produttivo e se a queste aggiungiamo quelle consumate per la costruzio-ne e il mantenimento degli impianti sforiamo il tetto del 100% e l’erosione del fondo naturale si accresce. 19 Si fa presente che il ragionamento attrezzato s’impernia su di un’ipotesi di sistema aperto riferito al paradigma oli-stico della biologia. Altrimenti ipotizzando un sistema chiu-so, che secondo i principi della termodinamica eguaglia le quantità di energia e materia in entrata con quelle in uscita, un utile derivante dal conto energetico non si potrebbe mai realizzare. Ciò non è vero nella realtà dei fatti. 20 Sergio Vellante, BioEconomia e Questione Energetica, op. cit. 21 Tali funzioni si rifanno alla legge di Engel e cioè che nel corso dello sviluppo economico ad una crescita del reddito pro-capite corrisponde un incremento meno che proporzio-nale della spesa destinata ai beni di primaria necessità.. 22 Tale coefficiente calcola le unità energetiche destinate allo spreco per ogni unità energetica funzionale. 23 Sergio Vellante, BioEconomia e Questione Energetica, op. cit. Quanto scritto in corsivo è una modifica alla versio-ne originaria. 24 Definizioni estratte da: Energy Efficiency Report: L’Efficienza energetica in Italia:modelli di Business, solu-zioni tecnologiche vincoli ed opportunità di sviluppo; Poli-tecnico di Milano Dip. Ingegneria Gestionale Novembre 2011. 25 Sergio Vellante, BioEconomia e Questione Energetica, op. cit.

▀Economia &Ambiente▀

COMITATO SCIENTIFICO

Rita Levi Montalcini, Premio Nobel; Ilya Prigogine, Premio Nobel;

† Kennet E. Boulding, prof. ord. nell’Univ. del Colorado; Vittorio Bonuzzi, prof. nell’Univ. di Verona;

Giovanni Cannata, Rettore dell’Università del Molise; Barry Commoner, prof. ord. nel Queens College

di New York; † Nicholas Georgescu-Roegen, prof. ord. nell’Univ. di Nashville (USA);

Emilio Gerelli, prof. ord. nell’Univ. di Pavia; Siro Lombardini, prof. ord. nell’Univ. di Torino;

Romano Molesti, prof. ord. nell’Univ. di Verona; Ignazio Musu, prof. ord. nell’Univ. di Venezia;

Giorgio Nebbia, prof. emerito nell’Univ. di Bari, Fulco Pratesi, Presidente del WWF;

Sergio Vellante, prof. ord. nella Seconda Univ. di Napoli; Antonino Zichichi, Presidente del World Lab.

COMITATO REDAZIONALE

Sergio Bindi, Stefano Presa, Silvio Trucco, Stefano Zamberlan Redattore Capo

DIRETTORE RESPONSABILE: Romano Molesti

Sommario Anno XXX - N. 6 Novembre-Dicembre 2011

ARTICOLI

Sergio Vellante, Le fonti rinnovabili

senza rinnovabilità . . . . . . . . . . Pag. 3

Stefano Zamberlan, Calamità “naturali”

e cambiamento climatico . . . . . . . . ” 19

Maria Innocente Litido, Rovena Preka,

La gestione ambientale in agricoltura . . . ” 25

Emanuele Poli, La realtà geografica

ambientale: teoria della complessità . . . . ” 35

RUBRICHE

INDUSTRIA E AMBIENTE (S. Presa)

Emilia-Romagna: enti, imprese

e agricoltura sempre più green . . . . . . ” 41

Campania: azioni per uno sviluppo

eco-compatibile . . . . . . . . . . . . ” 44

AGRICOLTURA E AMBIENTE (S. Bindi)

Lombardia: l’“agrovoltaico”

e il sostegno dell’agricoltura. . . . . . . ” 46

ENERGIA E AMBIENTE (V. Campetti)

Energy Days 2011 . . . . . . . . . . ” 51

ECONOMIA E TERRITORIO (S. Zamberlan)

Veneto: nanoparticelle e “car-pooling”. . ” 53 Regioni e Commissione Europea

per la qualità dell’aria . . . . . . . . ” 54

ARTE E AMBIENTE (S. Trucco)

L’archivio fotografico

dell’Ente Delta Padano . . . . . . . . ” 55

I LIBRI . . . . . . . . . . . . . . ” 59

Le foto in copertina sono di Romano Molesti, le foto da pagina 4 a pagina 17 e del retro di copertina sono di Stefano Zamberlan,

le foto dell’articolo a pagina 35 sono dell’autore.

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