LE CONFUSE GEOMETRIE ASTRATTE di Roberto G. · Non sapevo nemmeno cosa fosse il disegno e l’arte,...
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TESTO
Nicoletta Sturloni,
medico pediatra e neuropsichiatra infantile,
è stata ricercatrice e professore associato
dell’Università di Modena.
È presidente dell’Associazione Rosa Bianca.
Gianni Voltolini, medico psichiatra,
ha lavorato presso gli Istituti S. Lazzaro
di Reggio Emilia, da sempre interessato
all’art brut, ne ha ricercato e scritto.
Giuseppe Bernardoni, è stato docente
di storia dell’arte, ha pubblicato
alcuni testi sull’argomento,
tuttora tiene corsi sull’arte antica,
moderna e contemporanea.
“Rosa Bianca” è un’associazione
di volontariato nata nel 2007 con
l’obiettivo di contribuire alla divulgazione di
una differente visione della disabilità psichica,
pensata più come risorsa per la comunità
che come problema.
Rosa Bianca ha proposto di introdurre
a Modena lo IESA (Inserimento Eterofamiliare
Supportato di Adulti con disagio psichico) che
realizza l’accoglienza di una persona
con diffi coltà in una famiglia diversa
da quella “naturale” per condividerne
la vita, gli affetti, le consuetudini e le relazioni.
L’Associazione inoltre è impegnata nella
divulgazione dell’arte irregolare
che rivela il volto creativo del disagio.
Ha partecipato attivamente
alle passate edizioni di “Mat”,
settimana della salute mentale a Modena,
con l’allestimento delle mostre di Art Brut
“I colori del Silenzio” nel 2011
e “Segni ribelli” nel 2012.
www.rosabiancaonlus.org
3405781516
In copertina Roberto G., senza titolo,
pennarello su carta, 7,5 x 6,5 cm
“Verso il 1993, senza una ragione precisa, per puro impulso,
sono uscito di casa per comprare una serie di matite grafi che e di fogli,
mi sono chiuso nella mia stanza ed ho iniziato a disegnare.
Non so perché, ripeto, non ho mai studiato disegno e
non mi sono mai interessato all’arte.
Sentivo semplicemente di doverlo fare.
Credo che non mi importasse quello che disegnavo,
ma come lo disegnavo.
Avevo scoperto la concentrazione,
l’immersione totale in quello che facevo,
che sospendeva tutto quello che c’era fuori e anche
la sofferenza dentro.
Avevo scoperto che la mia mente
poteva funzionare in un altro modo,
pacato e felice, a modo suo.”
LE CONFUSE GEOMETRIE ASTRATTEdi Roberto G.
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Introduzione e note biografiche pag. 7 Nicoletta Sturloni
Conversando con l’autore pag. 9 Nicoletta Sturloni
Guardando i segni pag. 15 Giambattista Voltolini
L’astrattismo di Roberto G. pag. 17 Giuseppe Bernardoni
Note dei curatori pag. 19 Nicoletta Sturloni, Giambattista Voltolini
Opere pag. 21
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INTRODUZIONE E NOTE BIOGRAFICHE
Nicoletta Sturloni
In tutti questi anni i suoi disegni sono rimasti custoditi in alcuni cassetti, nel disordine, solo apparente, nel quale Roberto G. sa perfettamente dove mettere le mani per ritrovare anche il più piccolo pezzo di carta e riprendere quell’intima ed appartata conversazione che ha accompagnato la sua creazione. Roberto ci spiega che quando iniziava a disegnare non aveva un piano in testa e non sapeva assolutamente cosa sarebbe uscito dalla sua matita, ma alla fine veniva conquistato dalla sua opera ed iniziava con lei un dialogo amoroso fatto di assorta contemplazione, in una perfetta e reciproca conoscenza che non aveva alcun bisogno di testimoni. E così la maggior parte delle sue opere è rimasta ben custodita, non vista da altri, se non quando, di tanto in tanto, qualche disegno veniva donato ad una persona fidata, un amico, la dottoressa, l’infermiera. Non si trattava di gelosia e neppure di parsimonia, ma di una specie di autosufficienza della relazione tra il creatore e la sua creatura, che bastava a se stessa. A chi altri avrebbero potuto interessare quelle figure, che non volevano rappresentare assolutamente niente, fatte solo di linee e punti? Ed è stata una fortuna che sia andata così, perché ora, in un movimento di generosa fiducia, Roberto li ha messi a nostra disposizione per accompagnarli ad incontrare altri sguardi.
Roberto G. è nato nel 1966 a Modena, ove risiede tuttora. Dopo aver conseguito il diploma di scuola media superiore ha fatto numerose esperienze lavorative, in contesti molto differenti, tutte di breve durata. Dal 1993 è seguito dal centro di salute mentale. Ha iniziato a disegnare in solitudine, come autodidatta, non avendo alcuna formazione specifica. La maggior parte delle sue opere sono state prodotte tra il 1993 ed il 2010. La prima esposizione al pubblico di suoi disegni è stata fatta nell’ambito di una mostra collettiva durante Mat (Settimana della salute mentale di Modena) nel 2014. Ancora oggi Roberto G. continua a disegnare, riproponendo le sue infinite variazioni di geometrie astratte, con una certa continuità, seguendo l’intermittenza del desiderio e della necessità.
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CONVERSANDO CON ROBERTO G.
Nicoletta Sturloni
Non ho trovato parole migliori di quelle che mi ha detto Roberto G. durante una conversazione
che abbiamo avuto riguardo a quello che avrei dovuto scrivere per farlo conoscere. Quasi tutto
è letterale, anche se alcuni passaggi sono stati leggermente modificati per far scorrere la lettura.
“Per favore, scriva Roberto. Roberto G., se proprio vuole, il punto va bene. E, soprattutto, non
parli di arte, perché tutto è iniziato praticamente dal nulla. Anche all’asilo e alle elementari,
quando tutti i bambini qualche disegnino sono obbligati a farlo, io non facevo neppure uno
scarabocchio, non mi è mai interessato. Del resto io sono sempre stato un bambino ed un
ragazzo superficiale, non mi sono mai fatto domande, nemmeno sui 12 anni, quando mi sembra
che tutti dovrebbero incominciare a farsene. Io vivevo bene così, senza impegni, senza pensieri,
senza tormenti e senza progetti, se non il fatto che una laurea me la dovevo prendere, per poi
farne che cosa non avrei saputo. Ma era normale che studiassi, lo dovevo ai miei che si erano
ammazzati di fatica per farmi crescere come un signorino, con un destino diverso da quello che
era capitato a loro, che poi a forza di lavorare e di risparmiare sono diventati benestanti.
Non mi mancava niente, neanche quello che non desideravo avere, come, per fare un
esempio, uno scrittoio in legno che la mamma, di suo gusto, mi aveva imposto e sistemato
nella “cameretta”. Sì, perché io ho avuto sempre la mia stanza, nella casa della mamma, fino
a pochi anni fa, a più di quarant’anni. Insomma la strada era segnata ed io dovevo soltanto
percorrerla, anche perché non ne vedevo altre e, in fondo, non mi dispiaceva. Anche se,
proprio riguardo allo studio, per dire la verità, non ho mai capito bene come si facesse, ero
semplicemente convinto che, se i miei amici studiavano, anch’io ci sarei riuscito.
Adesso capisco che mi sbagliavo, perché, per esempio, quando sapevo di essere interrogato,
andavo a scuola a piedi e mi leggevo in mezz’ora la lezione, così, naturalmente, quando ero
lì davanti al professore non ricordavo più niente, eppure, secondo me, avevo studiato.
Invece con gli amici andavo alla grande, sempre in giro a divertirmi.
Non sapevo nemmeno cosa fosse il disegno e l’arte, o meglio, qualche volta mi era
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capitato di entrare in un museo, ma per i ritratti e i paesaggi non avevo la sensibilità
adatta, adesso un poco ne ho. Dopo il militare mi sono iscritto all’università, scienze
politiche, una facoltà a caso, tanto per laurearmi. È stato il diritto costituzionale che ha
fatto crollare il mio castello di carte, perché non c’era verso di superare l’esame, se non mi
fossi chiuso in casa a studiare. E così ho fatto.
L’esame non l’ho superato, ma ho preso gusto all’isolamento che ho incominciato
a praticare ogni anno in estate, quando mi finiva l’energia, con una certa costanza e
resistenza, chiuso nella mia stanza, in una specie di letargo che finiva verso settembre,
quando si avvicinava l’inverno.
Così è incominciato il periodo dei lavori che iniziavo in autunno e lasciavo in primavera.
La mia carriera di utente del servizio di salute mentale è iniziata quando mia mamma ha
capito che da sola non ce l’avrebbe fatta ed ha chiesto aiuto. Mi sembra di essere sempre
stato un paziente tranquillo, dopo il primo ricovero. Devo riconoscere che durante il primo
ricovero mi sentivo esattamente come McMurphy, ha presente “Qualcuno volò sul nido del
cuculo”? Andavo in giro per il reparto e dicevo agli altri ricoverati che loro andavano bene,
erano meravigliosi, che si svegliassero, che non accettassero tutto passivamente.
E quelli veramente si rianimavano, mi credevano, ma dopo una settimana tutto si era
spento e qualcuno, anzi, mi guardava di traverso, come se lo avessi ingannato.
I farmaci sono così, lo sa anche lei, ti aiutano a calmare l’energia del caos, ma poi ti spengono.
Verso il 1993, senza una ragione precisa, per puro impulso, sono uscito di casa per
comprare una serie di matite grafiche e di fogli, mi sono chiuso nella mia stanza ed ho
iniziato a disegnare. Non so perché, ripeto, non ho mai studiato disegno e non mi sono
mai interessato all’arte. Sentivo semplicemente di doverlo fare. Dei primi disegni ho
conservato poco, alcuni li ho regalati, altri li ho buttati, ma ricordo che erano molto diversi
da quelli che ho fatto dopo, forse più simbolisti, mi verrebbe da dire, oggi, tipo una mano
che toglie la maschera da una faccia. Forse allora lasciavo che fosse il subconscio ad
esprimersi, mi sembra che si dica così.
Credo che non mi importasse quello che disegnavo, ma come lo disegnavo. Avevo scoperto
la concentrazione, l’immersione totale in quello che facevo, che sospendeva tutto quello che
c’era fuori e anche la sofferenza dentro. Avevo scoperto che la mia mente poteva funzionare
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in un altro modo, pacato e felice, a modo suo. Ma il figurativo, anche se si trattava di simboli,
come quello della mano, non di cose reali, non faceva per me. Per un poco ho sospeso e poi
ho ricominciato a disegnare su quello che mi capitava, un ritaglio di giornale, i blocnotes
del ristorante Fini, certi foglietti con la pubblicità di farmaci che mi dava la dottoressa, il
cartoncino delle confezioni di calze di mia mamma, il supporto dei cerini, la scatola del tè.
Lo facevo con quello che mi trovavo in mano, la matita, la biro, i pennarelli ed anche con
le tempere, ad un certo punto. E poi ho visto che era possibile creare una piccola armonia
finita, soltanto con le linee, dritte o curve, da sole o insieme ad altre, e con i punti, piccoli,
grossi, isolati o tanti insieme. Sempre senza sapere quello che stavo facendo, non lo so
neppure ora mentre disegno. Mi piaceva che tutto venisse sospeso, i ragionamenti giusti e
quelli sbagliati, le cose sensate e quelle assurde. Solo quiete che prolungavo, prima, nella
rifinitura e poi, dopo, nella contemplazione. Disegnavo per me, solo per me, non ho mai
pensato che i miei disegni potessero piacere anche ad altri. Io credo che sia un po’ come
quando le racconto quali sono i miei progetti per una società ideale, dove non circola denaro
e dove quei potenti geni che sono i bambini, anche i neonati, sono liberi di espandere la
loro capacità di costruire mondi infiniti, ed infiniti modi di vederli, senza che noi adulti
li condizioniamo. Mi piacerebbe che ci fosse una scuola speciale per loro. Non so se
queste idee c’entrano qualcosa. Poi ho scoperto l’arte astratta su certi articoli che venivano
pubblicati sul giornale che si leggeva in casa, ho visto quello che avevano disegnato Klee,
Kandinsky, Mirò, ed allora mi è venuto un accidente, perché ho capito che non avevo fatto
niente di nuovo e di originale, anche se non ho mai avuto la pretesa di fare arte, lo ripeto.
Ed inoltre tutto era stato fatto molto prima e meglio, con una intenzione che io, invece, non
avevo. Non sapevo come prendere questa rivelazione. L’ho presa bene, mi sembra, perché
ho cercato di saperne di più ed allora ho incominciato a seguire le televendite di arte.
Le persone che le fanno se ne intendono e devono spiegare quello che cercano di
vendere. Ora ne so qualcosa di più, anche se continuo a chiedermi da dove mi siano
venuti quei segni che poi ho ritrovato nei veri artisti. Non so, forse è stato un dono che mi
è stato permesso di sperimentare e mi è venuto in aiuto. E’ per questo che vi ho chiesto di
non parlare di arte, troppa responsabilità, oltretutto. Guardi, io in tutta questa avventura,
cioè quella di mostrare i miei disegni anche agli altri, spero che si ripeta quello che mi ha
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detto che succede a lei: un momento, mentre si guarda, in cui tutto il resto si sospende e
rimane la serenità e lo stupore infantile.
Dimenticavo il titolo che vorrei fosse dato alla mostra:
Confuse geometrie astratte.”
Io, tuttavia, Roberto, parlerò di arte, non la prenda male. Parlerò, riguardo al suo lavoro, di
quella particolare forma di arte che accade all’improvviso nella vita di una persona, che non
la sta cercando e non si è preparata per farne un mestiere o un modo per avere conferme.
Generalmente si tratta di una persona che sta soffrendo, o perché vive isolata, o perché la sua
mente funziona in modo da non poter essere riconosciuta ed assimilata a quella degli altri.
Accade, questo tipo di arte, quando i punti di contatto con la realtà diventano variabili ed
incerti. Ma tutto ciò ancora non basta.
Bisogna che l’Imprevista sia dotata di un certo tono imperioso che si impone, come a dire che
arriva, non invitata e non attesa, e si accomoda esattamente nel posto più importante. Diventa un
punto di riferimento dal quale la persona che l’accoglie attinge momenti di autentica sospensione
dalla sofferenza per aver perso la certezza del proprio punto di vista sul mondo. Occorre ancora
che l’Arte sia impaziente di esprimersi: non prepara esattamente tutto il corredo necessario, basta
un qualsiasi ritaglio di carta, la bustina del tè, un foglio di giornale, un post-it, il cartoncino di una
scatola, un foglio di scottex, perché dentro ad ogni pezzetto sente il richiamo di una forma che abita
solo in quel frammento e che vuole farsi immagine.
Generalmente questo tipo di artista gode di una assoluta autonomia ignorando i generi e le
correnti, anche se, per la sua produzione, Roberto G., possiamo senz’altro parlare di astrattismo,
con misteriosi echi e legami con maestri riconosciuti. Ma forse esiste una qualche genetica,
anche nelle famiglie espressive, che imprime certi caratteri e ricorrenze che si ripresentano in
epoche, latitudini e climi culturali anche molto distanti fra loro.
Fino ad ora abbiamo preso in considerazione il lato decisamente “outsider” dei suoi disegni,
il che non basterebbe, di per sé, a giustificare la sua inclusione in questa categoria di artisti,
anche se di questi possiede la necessità di combinare forme e colori in una copiosa quantità
di esemplari di differenti tipologie. Le sue sono opere di piccolo formato, a volte anche
piccolissimo, di solito a contorni regolari, a volte con periferia gibbosa e curvilinea, che
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custodisce dentro cassetti in una certa confusione, sebbene poi ognuno venga da lei, Roberto,
recuperato con un’affettuosa sorpresa - ma guarda questo! - nella quale si indovina la sua
accurata ed assorta gestazione.
Oltre a tutto ciò mi permetto di introdurre una mia personalissima valutazione, a favore della
qualità artistica delle sue opere, che parte da un piccolo trasalimento ad ogni sua presentazione
di un nuovo disegno, perché ognuno di essi rappresenta l’instancabile riproposizione di linee,
piccole forme geometriche e punti, elementi accostati in insiemi sempre nuovi. Composizioni,
generalmente in serie di più esemplari, sorprendenti per invenzione di collegamenti e
accostamenti di colori che portano ad un risultato finale in cui tutto, anche il più periferico dei
puntini, è necessario al compimento di una armonia, finita, ma aperta e in movimento verso la
figura successiva della serie.
Allora, lei dovrà convenire che forse la meraviglia, quella serena emozione provocata in chi
guarda, è uno dei segnali che ci avverte che siamo in presenza di una qualche forma di arte.
Una meraviglia che corrisponde a segrete domande. Da dove sono sbucate questa visionarie e
geometriche occupazioni dello spazio di certi foglietti di pochi centimetri per lato?
A quale sereno riferimento ricorre la sua mente, per altri versi così inquieta? Mi dispiace
contraddirla, signor Roberto G., non vedo molte alternative e, forse mi sbaglio, ma io la
considero arte, ossia un universo cui la maggior parte di noi, non ha alcun accesso, se non
attraverso opere che, come le sue, ci conducono in un altrove.
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GUARDANDO I SEGNI DI ROBERTO G.
Giambattista Voltolini
Roberto G. disegna da anni, da solo, senza nasconderlo, ma neppure senza mostrare
ad altri ciò che fa.
Disegna senza fretta, quando e perché ne sente il bisogno, tanto è vero che usa il materiale
di recupero che si trova sotto mano.
Il suo modo è volutamente ed assolutamente astratto: linee rigorose, razionali, senza tante
curve che concedano vie di fuga e scappatoie varie.
Non un paesaggio, non un ritratto, non una figura.
Sono solo linee fuori dal tempo, linee che si avvicinano, si sfiorano, si toccano: il più delle
volte si intersecano in una costruzione che accosta colori forti, ma anche forme e colori
delicatissimi.
Sono opere compiute, sobrie, ripulite, essenziali.
La produzione di Roberto G., che non conosciamo ancora nella sua completezza,
perché sviluppata in anni di pensoso e solitario raccoglimento e conservate puntualmente,
ha almeno due emergenze.
La più evidente è rappresentata da un minuzioso lavoro fino all’estrema rarefazione del
segno: una linea, un punto, tutto il resto è superfluo e quindi bandito.
Ne riceviamo un messaggio di necessaria pulizia, di leggerezza quasi incorporea, di liberazione.
L’altra si esprime nel dialogo con sé stesso attraverso un lavoro sul vocabolario: partendo da
una parola, per lui particolarmente significativa, Roberto svolge, scrivendo, cioè disegnando
in lettere, i significati che premono per emergere. Nello stesso foglio disegna la sua visione
geometrica della parola, in una forma conglomerata che rappresenta quel concetto: in tal
modo possiamo vedere, contemporaneamente, il suo pensiero ed il disegno nella sua sintesi
sublimata.
Si tratta di un accostamento-fusione dei due livelli espressivi, che gli permette di aprirsi e
di mostrarsi agli altri, pur rimanendo appartato.
Se si entra nel suo mondo risulta difficile restare indifferenti.
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Composizione di 2 disegni su carta di block notes (2 x cm 14,5 x 10,5): a sx tecnica mista, pennarello e matita colorata, a dx pennarello.
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L’ASTRATTISMO DI ROBERTO G.
Giuseppe Bernardoni
Le fonti profonde, autentiche, dell’opera di Roberto G. sono molteplici, ma quelle essenziali
sono rintracciabili nelle creazioni di Kandinsky e Klee, talvolta di Mirò e Calder.
Tuttavia le sue prime composizioni astratte le aveva realizzate senza conoscere queste fonti.
Si trattava quindi di un’affinità sensibile e inconscia di matrice Junghiana, frutto dei misteriosi
percorsi carsici dell’inconscio collettivo.
La scoperta, soprattutto di Kandinsky e Klee, è stata per Roberto G. una rivelazione ed al
tempo stesso la conferma delle sue intuizioni. Con intelligente modestia però, ha capito che
se voleva sviluppare in modo articolato ed autonomo quelle sue prime composizioni doveva
studiare, entrare dentro all’intimità ed al senso di quelle fonti. Matrici che infatti Roberto G.
rielabora in modo personale realizzando raffinate sintesi, sottili tensioni creative.
Ossimori oscillanti tra inquietudine e felice equilibrio dinamico.
Creatività autentica che non ha eguali nei molti citazionisti postmoderni, ritenuti
protagonisti dalla critica d’arte. A guidare le sintesi aperte di Roberto è la sua mente pura,
incontaminata e per questo ritenuta irregolare dalla cultura ufficiale.
Tra i concetti espressivi, astratti e compositivi, che avvicinano Roberto G. a Kandinsky e a
Klee c’è, ad esempio, quello del “punto”. Come in Kandinsky, anche in Roberto, il punto è un
seme germinativo e, come in Klee, punto di arrivo, elemento minimalista, ma fondamentale
per svolgere la funzione di “peso”, di equilibrio.
Ma in G. questo equilibrio è solo momentaneo, ogni composizione è aperta dinamicamente
a quella che l’ha preceduta, verso quella nuova. E’ così che l’arte astratta può essere l’essenza,
la trama e il ritmo invisibile del mondo reale (apparente) e del flusso della vita nei suoi
molteplici, non catalogabili aspetti.
A differenza dei citazionisti postmoderni, qui abbiamo l’opera di una mente pura.
La purificazione di un’inquietudine autentica sublimata dalla creazione.
Un “esserci” nel creare e nel comunicare.
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NOTE DEI CURATORI
Nicoletta Sturloni e Giambattista Voltolini
Ogni disegno è indipendente e compiuto, ed il loro accostamento è frutto della scelta dei
curatori per l’allestimento della mostra “Confuse geometrie astratte”.
Anche l’esposizione progressiva delle composizioni dipende dalla sensibilità e dalla scelta
dei curatori, non essendo disponibile alcun criterio di sistemazione cronologica.
Quasi tutte sono state prodotte nel periodo compreso tra il 1994 ed il 2010.
Riteniamo che i disegni di Roberto siano ad oggi (2015) nell’ordine di qualche centinaio:
sarà preciso impegno dei curatori acquisirne le immagini per una documentazione iconografica
completa, anche se non sarà possibile ricostruirne l’ordine temporale.
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Composizione di 3 disegni a tecnica mista, pennarello e matita colorata su
carta di block notes (3 x cm 14,5 x 10,5)
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Composizione di 3 disegni a tecnica mista,
pennarello e penna biro su cartoncino (3 x cm 14,5 x 10,5)
72
Composizione di 3 disegni a tecnica mista,
pennarello e penna biro su cartoncino (3 x cm 14,5 x 10,5)
79
Composizione di 4
disegni a tecnica mista,
pennarello e matita
su carta di post-it
(4 x cm 7,5 x 7,5)
84
Composizione di 4 disegni a pennarello e su carta di post-it
(4 x cm 6,5 x 7,5)
Disegno a penna biro su cartoncino
(cm 15,7 x 18,5)
Disegno
a penna biro
su cartoncino
(cm 15,5 x 21,2)
Disegno a
penna biro
su cartoncino
(cm 21,5 x 15,7)
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RINGRAZIAMENTI
Il presente catalogo è stato pubblicato in occasione della mostra “LE CONFUSE
GEOMETRIE ASTRATTE di Roberto G.” che si è tenuta a Modena nell’ambito della 5°
settimana di MAT 2015 (17 – 23 ottobre 2015) presso la sede del Teatro Nero.
La sua realizzazione non sarebbe stata possibile se alcuni amici non ci avessero dimostrato
concretamente di credere in questo progetto.
A loro va il nostro grazie.
Si ringrazia la dott.ssa Donatella Marrama che segue Roberto G. da molti anni, conosce il
valore della sua produzione artistica e ci ha suggerito la possibilità di questa mostra.
La dott.ssa ha seguito con attenzione il nostro lavoro ed ha sostenuto noi e l’autore durante a
sua realizzazione.
Si ringrazia anche l’infermiera Vittoriana di Carlo che in molte occasioni si è fatta tramite tra
i curatori e Roberto, facilitando la loro conoscenza.
Un grazie particolare a Fabrizio Starace, direttore del Dipartimento di Salute Mentale e
Dipendenze Patologiche di Modena, che ha dato un impulso decisivo alla collaborazione
sul campo tra Rosa Bianca e gli operatori del Servizio da lui diretto e che in più occasioni ha
sostenuto le nostre iniziative.
Grazie ancora a Giuliana Urbelli, assessore alla Coesione sociale, Sanità, Welfare, Integrazione
e Cittadinanza, per la sua sensibilità nei confronti dei temi che sono proposti dall’Associazione
e per essersi fatta interprete, anche in questa occasione, del supporto del Comune di Modena
al nostro impegno.
Roberto G. desidera ringraziare personalmente, oltre ai curatori della mostra, il prof.
Giuseppe Bernardoni che ha partecipato alla stesura di questo volume con il suo autorevole
contributo ed il fotografo Massimo Trenti che ha curato l’allestimento del presente catalogo.