LAVORAZIONI NON CONVENZIONALI

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TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI Ver. 01 CAP. 15 - TECNOLOGIE SOTTRATTIVE NON CONVENZIONALI Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 1 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale Politecnico di Milano CAPITOLO 15 15 TECNOLOGIE SOTTRATTIVE NON CONVENZIONALI Sinossi e metodologie produttive illustrate nel capitolo precedente (le tecnologie sottrattive convenzionali) sono estremamente potenti e flessibili e ben si adattano alle esigenze delle costruzioni aeronautiche, in termini di qualità e di numerosità produttiva. Ciononostante, esse non sempre possono essere adottate: talvolta i materiali da lavorare sono troppo duri e abrasivi, si deteriorano a causa del riscaldamento o producono polveri tossiche. In altri casi le morfologie da ottenere sono difficilmente producibili tramite le normali lavorazioni alle macchine utensili: si pensi a travi di grande lunghezza e debole rastremazione o a manufatti di forma complicata dei quali si voglia diminuire lo spessore oppure a fori o cavità con spigoli vivi. In questi casi è necessario adottare metodi produttivi sottrattivi, ma non fondati sull’asportazione meccanica del materiale da parte di un utensile solido, bensì su fenomeni particolari (ultrasuoni) o principi chimici (fresatura chimica), elettrochimici (fresatura elettrochimica) o termoelettrici (elettroerosione). Tali tecniche vanno sotto il nome di tecnologie sottrattive non convenzionali e godono di una vasta popolarità nelle costruzioni aerospaziali, in quanto consentono di lavorare materiali ostici, come le leghe di titanio e le superleghe, conferendo loro forme tipiche delle strutture aeronautiche (pareti sottili a doppia curva, elementi esili e rastremati, particolari di forma complicata e dimensioni accurate). Esse verranno trattate nel presente capitolo, mentre altre tecnologie sottrattive non convenzionali quali l’idrotaglio (water-jet) e le lavorazioni con raggio LASER e fascio elettronico (LASER beam, electron beam) verranno prese in considerazioni nel Cap.43, relativo alle lavorazioni sottrattive dei materiali compositi. 15.1 Processi sottrattivi non convenzionali e lavorazioni convenzionali alla macchina utensile descritte nel capitolo precedente rimuovono il materiale attraverso la formazione di trucioli o tramite meccanismi di abrasione. Si possono però presentare situazioni nelle quali tali processi non sono efficienti, convenienti o addirittura possibili, per le seguenti ragioni: la durezza e la resistenza del materiale è molto alta (tipicamente superiore ai 400 HB) oppure il materiale è troppo fragile; il pezzo da lavorare è troppo flessibile, esile o delicato per sopportare le forze applicate dall’utensile oppure esso è difficile da staffare; la morfologia del pezzo è complessa, presenta sagomature interne o esterne oppure fori non circolari di profilo complicato; L L

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Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza

autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633.

G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 1 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano

CAPITOLO

15

15 TECNOLOGIE SOTTRATTIVE NON

CONVENZIONALI

Sinossi

e metodologie produttive illustrate nel capitolo

precedente (le tecnologie sottrattive

convenzionali) sono estremamente potenti e flessibili e

ben si adattano alle esigenze delle costruzioni

aeronautiche, in termini di qualità e di numerosità

produttiva. Ciononostante, esse non sempre possono

essere adottate: talvolta i materiali da lavorare sono

troppo duri e abrasivi, si deteriorano a causa del

riscaldamento o producono polveri tossiche. In altri

casi le morfologie da ottenere sono difficilmente

producibili tramite le normali lavorazioni alle

macchine utensili: si pensi a travi di grande lunghezza

e debole rastremazione o a manufatti di forma

complicata dei quali si voglia diminuire lo spessore

oppure a fori o cavità con spigoli vivi. In questi casi è

necessario adottare metodi produttivi sottrattivi, ma

non fondati sull’asportazione meccanica del materiale

da parte di un utensile solido, bensì su fenomeni

particolari (ultrasuoni) o principi chimici (fresatura

chimica), elettrochimici (fresatura elettrochimica) o

termoelettrici (elettroerosione). Tali tecniche vanno

sotto il nome di tecnologie sottrattive non

convenzionali e godono di una vasta popolarità nelle

costruzioni aerospaziali, in quanto consentono di

lavorare materiali ostici, come le leghe di titanio e le

superleghe, conferendo loro forme tipiche delle

strutture aeronautiche (pareti sottili a doppia curva,

elementi esili e rastremati, particolari di forma complicata

e dimensioni accurate). Esse verranno trattate nel presente

capitolo, mentre altre tecnologie sottrattive non

convenzionali quali l’idrotaglio (water-jet) e le lavorazioni

con raggio LASER e fascio elettronico (LASER beam,

electron beam) verranno prese in considerazioni nel

Cap.43, relativo alle lavorazioni sottrattive dei materiali

compositi.

15.1 Processi sottrattivi non convenzionali

e lavorazioni convenzionali alla macchina utensile

descritte nel capitolo precedente rimuovono il

materiale attraverso la formazione di trucioli o tramite

meccanismi di abrasione. Si possono però presentare

situazioni nelle quali tali processi non sono efficienti,

convenienti o addirittura possibili, per le seguenti ragioni:

la durezza e la resistenza del materiale è molto alta

(tipicamente superiore ai 400 HB) oppure il

materiale è troppo fragile;

il pezzo da lavorare è troppo flessibile, esile o

delicato per sopportare le forze applicate

dall’utensile oppure esso è difficile da staffare;

la morfologia del pezzo è complessa, presenta

sagomature interne o esterne oppure fori non

circolari di profilo complicato;

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i requisiti in termini di rugosità superficiale e/o

di tolleranze dimensionali sono troppo

restrittivi per essere ottenuti con tecnologie

convenzionali;

l’incremento di temperatura dovuto all’azione

dell’utensile ed i conseguenti sforzi residui nel

pezzo non sono accettabili;

è necessario lavorare nuovi materiali (metalli e

non metalli), tipici delle costruzioni

aerospaziali, quali le leghe di titanio, di nichel e

di cobalto, i vetri, le ceramiche ed i carburi.

Per ovviare a questi inconvenienti, a partire dagli anni

‘40 della Seconda Guerra Mondiale, sono state

sviluppate le tecnologie sottrattive non convenzionali.

Al momento sono disponibili numerosissime tecniche,

le quali possono però essere sempre classificate in base

al tipo di energia che viene utilizzata per rimuovere il

materiale:

energia meccanica – viene sfruttato un tipo di

energia meccanica in qualche modo diverso da

quello utilizzato nei processi convenzionali: per

esempio derivante da un flusso ad alta velocità

di particelle abrasive trascinate da un fluido;

energia elettrica – i processi non convenzionali

usano l’energia elettrochimica per rimuovere il

materiale attraverso un meccanismo inverso

rispetto a quello dell’elettro-placcatura;

energia termica – questi processi utilizzano

l’energia termica per tagliare o conformare il

pezzo. In genere, l’energia è trasferita a

porzioni molto piccole della superficie da

lavorare, in maniera da provocarne la rimozione

per fusione e/o vaporizzazione. L’energia

termica deriva dalla conversione di energia

elettrica.

energia chimica – la maggior parte dei

materiali (specie i metalli) sono suscettibili

all’attacco chimico da parte di taluni acidi o

basi. Nelle tecnologie per sottrazione chimica,

la sostanza aggressiva rimuove selettivamente il

materiale da alcune porzioni del pezzo da

lavorare, mentre le altre parti sono protette da

una mascheratura.

15.2 Lavorazioni ad ultrasuoni

e lavorazioni agli ultrasuoni (Ultra Sonic Maching

– USM) sono processi non convenzionali ove

particelle abrasive disperse in un liquido sono guidate

ad elevata velocità contro la superficie del materiale da

lavorare da un utensile. Quest’ultimo vibra ad

un’ampiezza modesta (circa 0.075mm), ma ad alta

frequenza (circa 20KHz). L’utensile oscilla in

direzione parallela alla superficie del pezzo ed è

lentamente spinto contro di esso, in modo che la sua

forma venga riprodotta in modo complementare nel

pezzo stesso. Ad ogni modo, è l’azione esercitata dalle

particelle abrasive a rimuovere il materiale (cfr. Figura

15.1).

Figura 15.1 - Schema della lavorazione ad ultrasuoni

Gli utensili sono generalmente realizzati in acciai dolci o

inossidabili. L’abrasivo può essere costituito da particelle

di nitruro o carburo di boro, alumina, carburo di silicio o

diamante sintetico, con una granulometria variabile da 100

a 2000. L’ampiezza della vibrazione dovrebbe coincidere

con le dimensioni delle particelle ed il meato tra utensile e

pezzo in lavorazione essere pari al doppio di tale misura.

Il grado di finitura superficiale dipende essenzialmente

dalla granulometria dell’abrasivo, mentre il rateo di

rimozione del materiale aumenta all’aumentare

dell’ampiezza e della frequenza della vibrazione, come

mostrato in Figura 15.2.

Figura 15.2 - Rateo di asportazione in funzione

dell’ampiezza e della frequenza di vibrazione

Il meccanismo di abrasione agisce sia sul materiale da

lavorare che sull’utensile, modificandone le dimensioni e

la forma. Questo fenomeno è descritto da un parametro

molto importante, il rapporto di asportazione tra i volumi

rimossi del materiale da lavorare e dell’utensile. Esso

dipende dalla natura dei materiali, ma può variare da

100:1 quando si lavora il vetro, a 1:1 quando si lavorano

gli acciai speciali da utensili.

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Il fluido (acqua) contenente una percentuale variabile

dal 20% al 60% di abrasivo deve essere continuamente

rinnovato per apportare sempre nuove particelle

taglienti e per dilavare i trucioli e le particelle esauste.

Le lavorazioni agli ultrasuoni sono in grado di lavorare

materiali duri e fragili come i vetri, le ceramiche ed i

carburi, nonché metalli particolari quali le leghe di

titanio e gli acciai inossidabili. Si possono ottenere

forature non circolari e con asse non rettilineo oppure

coniature, dove una forma presente sull’utensile viene

riportata sul pezzo.

15.3 Fresatura elettrochimica

na categoria molto importante delle lavorazioni

non convenzionali usa l’energia elettrica

combinata con reazioni chimiche per asportare il

materiale. Tali tecniche sono inverse all’elettro-

placcatura e possono lavorare solo materiali

elettricamente conduttivi. La principale è la fresatura

elettrochimica (Electro-Chemical Machining – ECM),

che rimuove il metallo dal grezzo in lavorazione

tramite dissoluzione anodica. Nel metallo si ottiene

una forma complementare a quella dell’elettrodo. Le

due parti vengono mantenute in stretta prossimità, ma

separate, dal flusso di un elettrolita. Dalla Figura 15.3

si evince che il metallo da lavorare agisce da anodo,

mentre l’utensile di formatura agisce da catodo. Il

metallo viene rimosso dall’anodo (polo positivo) e

deposto sul catodo (polo negativo) in presenza del

bagno elettrolitico, il quale però fluisce velocemente

tra i due poli, così da asportare il metallo rimosso ed

evitare che si depositi sul catodo.

Figura 15.3 - Schema di impianto per la fresatura

elettrochimica

L’utensile/elettrodo di formatura viene realizzato in

rame, bronzo, ottone o acciaio inox ed ha

approssimativamente la forma dello scavo che si vuole

ottenere nel metallo da lavorare; viene mantenuto un

sottile meato per consentire il flusso dell’elettrolita.

Perché avvenga l’asportazione del materiale, viene

conferito all’utensile un lento moto di penetrazione,

pari al rateo di rimozione. Quest’ultimo è definito dalla

prima legge di Faraday, la quale stabilisce che il rateo di

modificazione chimica indotta da una corrente elettrica

(quantità di metallo dissolto) è proporzionale alla quantità

di corrente (corrente x tempo).

V = CIt

dove:

V = volume di metallo rimosso [mm3]

C1 = rateo di rimozione specifico [mm

3A

-1s

-1]

I = corrente [A]

t = tempo [s]

In base alla legge di Ohm risulta:

I = E/R = E/(gr/A)

essendo:

E = tensione [V]

R = resistenza [Ohm]

g = meato tra anodo e catodo [mm]

r = resistività dell’elettrolita [Ohm mm]

A = area proiettata dal catodo sull’anodo [mm2]

Sostituendo nell’espressione della legge di Faraday:

V = C(EAt)/gr

e esplicitando il rateo di alimentazione fr [mms-1

], cioè la

velocità di avvicinamento dell’elettrodo al metallo, si ha:

fr = V/At = CE/gr = CI/A

In realtà l’efficienza del processo di rimozione è inferiore

all’unità (0.9) e dipende da forma dell’utensile, tensione e

densità di corrente. I parametri fondamentali per calcolare

il rateo di alimentazione dell’utensile e di rimozione del

metallo sono g, r, I e A. Se g aumenta troppo, la velocità

di processo diminuisce, mentre se il suo valore si annulla

avviene un cortocircuito e il processo si arresta. In pratica

il valore di g viene mantenuto tra 0.075 e 0.75 mm. Per

quanto riguarda l’elettrolita, in genere si usa acqua con

l’aggiunta di sali, quali il cloruro di sodio NaCl o il nitrato

di sodio NaNO3, per ridurne la resistività. Da notare che il

flusso di elettrolita svolge anche la funzione di evacuare il

calore dissipato, l’idrogeno generato dalla reazione,

nonché le particelle di metallo asportato.

La fresatura elettrochimica richiede una gran quantità di

potenza elettrica: infatti il rateo di asportazione dipende

dalla densità di corrente (continua), che deve essere la più

elevata possibile (1.5-8 Amm-2

; al contrario, la tensione

viene mantenuta bassa (5-25 V) per evitare l’innesco di

archi elettrici attraverso il meato. Commercialmente sono

disponibili impianti con capacità variabili da 40,000 a 5A.

1 C dipende da numero atomico, valenza e densità del metallo da

asportare. Valori di C sono riportati in Tabella 15.1per diversi metalli.

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Tabella 15.1 -Valori del rateo di rimozione specifico per diversi tipi di metallo da lavorare

La fresatura elettrochimica viene adottata quando si

vogliano lavorare materiali molto duri, in quanto il

meccanismo di asportazione non è affatto influenzato

da tale caratteristica. Il processo è altresì adatto per

produrre forme ostiche per altre tecnologie, quali

stampi e trafile, forature e fessurazioni multiple e, nel

campo aerospaziale, palette di turbina, ugelli e parti

motori a getto realizzate con leghe di nichel-cobalto,

come mostrato in Figura 15.4.

Figura 15.4 - Tipiche forme ottenibili con la fresatura

elettrochimica

La fresatura elettrochimica offre i seguenti vantaggi:

trascurabili danneggiamenti superficiali

assenza di bave di lavorazione

assenza di distorsioni

meccaniche/termoelastiche

trascurabile usura dell’utensile

elevati ratei di asportazione di metalli duri.

Per contro, essa presenta i seguenti svantaggi:

elevati costi richiesti per l’energia elettrica

problemi di smaltimento del metallo asportato.

Infine, dal punto di vista progettuale, occorre ricordare

che, a causa della tendenza ad erodere i profili sottili,

la fresatura elettrochimica è inadatta a produrre spigoli

vivi e fondelli sottili piani. Inoltre il controllo del flusso di

elettrolita può essere difficoltoso, cosicché può diventare

impossibile realizzare cavità di forma irregolare dotate di

un’accettabile accuratezza dimensionale. Da ultimo, è

sempre consigliabile fornire una lieve rastremazione alle

pareti dei fori e delle cavità.

Con il tempo sono state messe a punto delle tecniche

elettrochimiche ancor più specializzate, tra le quali:

fresatura elettrochimica pulsata (pulsed electro-

chemical machining – PECM); è un raffinamento di ECM

che utilizza densità di corrente elevatissime (104 Amm

-2),

ma con corrente pulsata anzichè continua. Così facendo è

possibile ridurre la portata di elettrolita; inoltre è stato

dimostrato che superfici prodotte per PECM possiedono

maggior resistenza a fatica rispetto a quelle prodotte con

la tecnica ECM convenzionale. D’altro canto, la ridotta

portata di elettrolita lascia particelle di metallo sospese

nell’acqua, il cui smaltimento diviene così problematico.

In conclusione, la tecnica PECM è particolarmente adatta

per le microlavorazioni (micromachining), in virtù della

minima asportazione di metallo e della pressoché nulla

usura dell’elettrodo;

rettifica elettrochimica (electro-chemical grinding –

ECG); essa combina l’asportazione elettrochimica con la

rettifica convenzionale: una ruota abrasiva (che funge da

catodo rotante a 1200-2000mmin-1

) è costituita da granelli

abrasivi (alumina o diamante sintetico) immersi in un

legante elettricamente conduttivo (metallo o polimero con

cariche metalliche) ed agisce sulla superficie da lavorare,

aggiungendo il proprio effetto a quello della dissoluzione

anodica (cfr. schema funzionale di Figura 15.5).

I granelli abrasivi (che fungono da isolante) sporgono dal

profilo della ruota e definiscono lo spessore del meato,

attraverso cui fluisce l’elettrolita (NaNO3) che svolge il

consueto ruolo, con densità di corrente pari a 1-3 Amm-2

.

Poiché il 95% della rimozione deriva dalla dissoluzione

anodica e solo il 5% dall’azione meccanica della ruota,

quest’ultima ha durate molto maggiori e richiede affilature

molto meno frequenti; inoltre il processo gode di elevati

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rapporti di rettifica (volume di materiale rimosso/usura

della ruota) ed è in grado di lavorare materiali molto

duri.

Figura 15.5 - Schema funzionale della rettifica

elettrochimica

Figura 15.6 - Schema d’impianto della sbavatura

elettrochimica

sbavatura elettrochimica – (electro-chemical

deburring – ECD); si tratta di un adattamento della

ECM progettato per eliminare bave e spigoli vivi dai

manufatti tramite la dissoluzione anodica. Un possibile

schema d’impianto è mostrato nella Figura 15.6.

L’elettrodo/utensile è progettato per focalizzare l’azione

di rimozione sulla bava: infatti le zone dell’elettrodo non

dedicate alla rimozione sono isolate. Il flusso di elettrolita

scorre attraverso il foro e trasporta via i minimi residui di

metallo con tempi-ciclo molto brevi (inferiori al minuto),

che devono invece essere aumentati nel caso si voglia

ottenere anche una smussatura del bordo del foro.

15.4 Elettroerosione

processi per elettroerosione asportano il materiale

tramite una serie discreta di archi elettrici, i quali

inducono un incremento localizzato della temperatura tale

da provocare la fusione o la vaporizzazione del materiale

circostante. Le principali tecnologie (applicabili solo ai

materiali elettricamente conduttivi) appartenenti a questa

categoria sono: l’elettroerosione a tuffo (electric

discharge machining – EDM), l’elettroerosione a filo

(electric discharge wire cutting – EDWC), la rettifica per

elettroerosione (electric discharge grinding – EDG) e il

taglio per elettroerosione (electric discharge sawing –

EDS); di seguito vengono descritte le prime due tecniche:

elettroerosione a tuffo – si tratta di uno dei processi non

convenzionali maggiormente utilizzati. Il suo schema

funzionale è rappresentato in Figura 15.7a,b.

Figura 15.7 - Schema funzionale dell’elettroerosione a tuffo: a) assieme; b) ingrandimento della zona di innesco dell’arco

Esso consiste in un utensile conformato (elettrodo) e

nel pezzo da lavorare, collegati ad un generatore di

corrente continua pulsante ed immersi in un fluido

dielettrico (cioè non elettricamente conduttivo).

Allorché la differenza di potenziale tra l’utensile e il

pezzo è sufficientemente alta, un arco istantaneo

attraversa il fluido e rimuove (tramite fusione o

sublimazione) una piccola porzione di materiale. La

scarica del condensatore si ripete con una frequenza di 50-

500 Hz; la tensione è di 50-380 V, la corrente 1-500A.

Il fluido dielettrico svolge le seguenti funzione:

isolare l’utensile ed il pezzo finché la tensione non

diviene sufficientemente elevata;

I

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flussare ed asportare le particelle di metallo,

fuse e solidificate a causa dell’elettroerosione;

agire da liquido di raffreddamento.

Il pezzo da lavorare è staffato all’interno del serbatoio

contenente il fluido dielettrico ed è movimentato da un

sistema a controllo numerico. Poiché il meato tra

utensile e pezzo da lavorare rappresenta un parametro

critico, il sistema di movimentazione ha anche il

compito precipuo di mantenerne costante il valore.

Infatti la scarica avviene nel punto in cui le superfici

dell’utensile e del pezzo sono più vicine: ivi il fluido

dielettrico si ionizza e crea un percorso per la scarica.

La porzione di superficie ove avviene la scarica viene

fusa o sublimata all’istante e poi rimossa dal flusso di

dielettrico. Localmente, la superficie del pezzo viene

così a trovarsi ad una distanza maggiore dall’utensile e

non sarà più soggetta a scariche finché anche nella

regione circostante la distanza non si sarà ridotta della

stessa quantità. Sebbene solo esigue quantità di

materiale vengano rimosse in punti localizzati dalle

singole scariche, l’elevata frequenza di queste ultime

produce globalmente un effetto di rimozione diffusa.

I fluidi dielettrici più comunemente utilizzati sono

l’acqua distillata deionizzata, il kerosene e gli oli

minerali in genere. L’impianto è dotato di sistemi di

filtraggio e di pompaggio per la loro rimessa in

circolo.

Gli elettrodi sono generalmente costituiti da grafite,

ma anche da leghe rame-stagno (bronzi), rame-

tungsteno e argento-tungsteno. Il materiale degli

elettrodi va scelto in base al tipo di alimentazione del

circuito e alla natura del materiale da lavorare. Gli

elettrodi (prodotti per fusione, sinterizzazione o CNC)

possono anche essere molto esili (diametro 0.1mm), ed

essere in grado di realizzare forature con rapporto

lunghezza/diametro 400:1. L’usura degli utensili deve

essere considerata con grande attenzione, in quanto

influisce sull’accuratezza di forma e dimensione del

manufatto finale: essa viene misurata come rapporto

tra il volume del materiale asportato ed il volume di

utensile usurato (i valori tipici variano da 1:1 a 100:1

in dipendenza dei materiali). Tanto minore è la

temperatura di fusione del materiale, tanto maggiore il

suo rateo di erosione. Per minimizzare l’erosione, è

consigliabile utilizzare utensili di grafite (che non

fonde, ma vaporizza a temperature molto elevate) o di

rame, in quest’ultimo caso invertendo periodicamente

la polarità degli elettrodi.

Il processo di elettroerosione può essere utilizzato con

ogni materiale elettricamente conduttivo. La

temperatura ed il calore latente di fusione del materiale

da lavorare ne determinano il volume asportato per

ogni singolo arco. Se i valori di tali grandezze

aumentano, il rateo di rimozione diminuisce: valori

tipici sono di 10-6

– 10-4

mm3. Il rateo di rimozione

RMR può essere stimato grazie alla relazione empirica di

Weller:

RMR = KI/Tm1.23

dove:

RMR = rateo di rimozione [mm3s

-1]

K = 664 costante di proporzionalità [°Cmm3/As]

I = densità di corrente di scarica [A]

Tm = temperatura di fusione del materiale [°C]

Resistenza, tenacità e durezza del materiale in lavorazione

non influiscono sul rateo di rimozione, poiché questa non

avviene a causa dell’applicazione di energia meccanica.

La frequenza delle scariche e l’energia per ogni scarica,

come pure la tensione e la densità di corrente, vengono

generalmente variate per controllare il rateo di rimozione.

Questo e la rugosità della superficie ottenuta aumentano

all’aumentare della densità di corrente e al diminuire della

frequenza delle scariche, come illustrato in Figura 15.8a,b.

Nella medesima figura viene altresì mostrata l’influenza

esercitata da questi parametri sull’overcut, ovvero sulla

distanza laterale tra utensile e pezzo. L’overcut si verifica

in quanto il fenomeno di elettroerosione si verifica non

solo in corrispondenza della superficie frontale, ma anche

di quella laterale, ed il suo valore può raggiungere diverse

centinaia di micron.

Figura 15.8 -Influenza della densità di corrente e della

frequenza della scariche su: a) rugosità; b) distanza laterale

tra utensile e pezzo (overcut)

L’elettroerosione a tuffo ha numerose applicazioni: essa è

in grado di realizzare forme intricate (palette di turbina),

stampi, trafile, forature profondissime, cavità con sezione

variabile a gradini e con sottosquadri. Le velocità globali

di asportazione del materiale possono variare da 2 a 400

mm3min

-1, ma i valori più elevati danno luogo a superfici

fuse e ri-solidificate, molto rugose e con ridotta resistenza

a fatica, cosicché le lavorazioni di finitura sono effettuate

con bassi ratei di rimozione oppure gli strati ri-solidificati

vengono asportati tramite lavorazioni meccaniche.

In definitiva, da un punto di vista progettuale, per rendere

l’elettroerosione un processo conveniente, è consigliabile

adottare i seguenti accorgimenti:

progettare i manufatti in modo che gli elettrodi

necessari siano facili ed economici da realizzare;

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evitare fessure e cavità troppo profonde;

non prescrivere valori di rugosità superficiale

eccessivamente e ingiustificatamente bassi;

prevedere una massiccia asportazione

meccanica preliminare, in modo da effettuare

per EDM solo una limitata rimozione finale

elettroerosione a filo – costituisce una variazione

della tecnologia di lavorazione per elettroerosione ed è

simile alle tecniche di contornatura con utensile

meccanico. Il suo schema funzionale è mostrato in

Figura 15.9 e consiste in un filo (l’elettrodo) che trasla

lentamente lungo un percorso pre-determinato e in tal

modo taglia il materiale tramite una scarica di archi

elettrici, che agiscono come i denti di una sega. In

realtà il moto relativo tra l’utensile e il materiale

deriva dal moto di quest’ultimo (conferito dal sistema

a controllo numerico), mentre il filo è stazionario.

Figura 15.9 - Schema funzionale dell’elettroerosione a

filo

Il filo è in genere realizzato in ottone, rame, molibdeno

o tungsteno, eventualmente rivestito in zinco o ottone.

I diametri variano da 0.80mm per operazioni di

sgrossatura fino a 0.20mm per lavorazioni di finitura.

Esso deve possedere una sufficiente resistenza e

tenacità, nonché elevata conduttività elettrica e

capacità di eliminare i detriti prodotti durante il taglio.

Il filo viene utilizzato una sola volta: infatti esso trasla

a velocità costante (da 0.15 a 9 m/min), svolgendosi da

una bobina di alimentazione e riavvolgendosi su una

bobina di raccolta. In tal modo esso presenta al

materiale un elettrodo sempre fresco e in grado di

garantire una larghezza del taglio (kerf) costante. Il

fluido dielettrico (di solito acqua deionizzata oppure

olio) viene apportato da un ugello sotto forma di getto.

Come per la tecnica vista in precedenza, anche

l’elettro-erosione a filo presenta il problema

dell’overcut, variabile da 20 a 50 m, che rende il kerf

maggiore del diametro del filo (mostrato in Figura

15.10). Una volta stabilizzate le condizioni di taglio, il

valore dell’overcut resta costante.

La velocità di taglio viene di solito espressa in termini

di area sezionata per unità di tempo. Essa dipende

dalla natura del metallo lavorato: può variare da 18.000

mm2h

-1 per una piastra di acciaio spessa 50mm, a 45.000

mm2h

-1 per una piastra in lega d’alluminio spessa 150m;

ovvero velocità lineari pari rispettivamente a 6 e 5

mm/min.

Figura 15.10 - Diametro del filo, kerf e overcut

Il processo, in grado di tagliare piastre spesse fino a

300mm, viene utilizzato per produrre punzoni, trafile,

attrezzi di formatura in genere ed anche profili intricati in

materiali duri. Sebbene assimilabile all’operazione di

contornatura con la sega a nastro, l’elettroerosione a filo è

più precisa, la larghezza del taglio è minore e si possono

realizzare spigoli acuti. Inoltre, le forze scambiate sono

nulle e non è necessario alcuno staffaggio. Infine, come

per tutte le lavorazioni di elettroerosione, la resistenza e la

durezza del materiale non rappresentano un problema: la

sola condizione è che esso sia elettricamente conduttivo.

15.5 Fresatura chimica

e tecnologie che genericamente vanno sotto il nome

di lavorazioni per asportazione chimica (chemical

machining – CHM) sono i più antichi processi sottrattivi

non tradizionali (applicati per la prima volta dalla North

American Aviation come tecnica chem-mill, alla fine della

II Guerra Mondiale) e sono basati sull’asportazione di

piccole quantità di materiale per dissoluzione chimica, a

causa del contatto con liquidi corrosivi, quali soluzioni

acide o basiche. A questa categoria appartengono diverse

tecniche, quali la tranciatura chimica (chemical blanking –

CHB), l’incisione chimica (chemical engraving – CHE),

la lavorazione fotochimica (photochemical machining –

PCM) e la fresatura chimica (chemical milling – CHM).

Di queste tecnologie, le prime sono utilizzate

principalmente nell’industria elettronica dei circuiti

stampati e solo l’ultima, la fresatura chimica, è di grande e

specifico interesse per l’industria aerospaziale; per questo

essa verrà trattata più diffusamente nel seguito.

fresatura chimica – permette di ottenere riduzioni di

spessore (totale, selettivo o progressivo) o cavità e tasche

di alleggerimento in lamiere, piastre, pannelli, forgiati.

Essa può essere adottata anche per componenti di grandi

dimensioni (le vasche per i reagenti talvolta raggiungono

L

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le dimensioni di 4x15m), da cui si rimuovono sottili

strati di materiale che possono però raggiungere anche

spessori ragguardevoli (fino a 12-15mm). La fresatura

chimica dà luogo a finiture superficiali la cui qualità

dipende dal tipo di materiale: alcuni esempi sono

riassunti in Tabella 15.2.

Tabella 15.2 - Gradi di finitura ottenibili con la

fresatura chimica

La rugosità superficiale dipende altresì dalla profondità

della penetrazione: allorché la profondità aumenta, la

finitura peggiora, avvicinandosi ai valori più alti riportati

nella tabella. I danni metallurgici provocati dalla fresatura

chimica sono in genere limitati, di solito non più profondi

di 5m. Talvolta possono però verificarsi fenomeni di

corrosione preferenziale e attacco intergranulare, i quali

peggiorano le proprietà superficiali. Inoltre, la fresatura

chimica di strutture saldate o brasate può dar luogo a

superfici irregolari. Infine, la fresatura chimica dei getti di

fusione può generare irregolarità superficiali causate da

porosità e disuniformità del materiale.

La tecnica di fresatura chimica consta dei seguenti passi,

schematizzati nella Figura 15.11:

Figura 15.11 - Schema generale del processo di fresatura chimica

se il componente che deve essere fresato

presenta sforzi residui derivanti dalle

lavorazioni precedenti, essi devono essere

rilassati, per evitare distorsioni conseguenti alla

fresatura chimica;

la superficie deve essere accuratamente pulita e

sgrassata per garantire una buona adesione del

materiale di mascheratura (vedi oltre) ed una

asportazione uniforme. Devono essere

eliminate anche le scaglie dovute a precedenti

trattamenti termici;

viene applicato il materiale di mascheratura. La

pratica comune comporta l’utilizzo di nastri o

vernici, ma vengono utilizzati anche elastomeri

o polimeri. Il materiale di mascheratura deve

resistere chimicamente al liquido corrosivo,

perciò esso viene applicato solo alle porzioni di

superficie che non devono essere rimosse;

il materiale di mascheratura che ricopre le

porzioni di superficie che devono essere

rimosse viene invece asportato;

il componente da fresare chimicamente viene

immerso in un bagno corrosivo che attacca

chimicamente le porzioni di superficie rimaste

esposte. Il metodo convenzionale di attacco

consiste nella conversione del materiale in un sale

il quale si dissolve nel liquido corrosivo e quindi

viene rimosso dalla superficie da fresare. Per

garantire l’uniformità di asportazione, in questa

fase è di importanza fondamentale il controllo della

temperatura ed il rimescolamento;

allorché viene raggiunto lo spessore desiderato di

asportazione, il componente viene estratto dalla

vasca e lavato accuratamente2 per bloccare il

processo di corrosione;

la restante parte del materiale di mascheratura

viene rimosso; il componente viene poi pulito e

sottoposto ai controlli metrologici e ND;

vengono eseguite eventuali ulteriori lavorazioni di

finitura.

2 Si sono dati casi di cedimenti strutturali in esercizio per fatica in tenso-corrosione di componenti realizzati per fresatura chimica, imputabili ad

insufficiente lavaggio ed incompleta eliminazione dei liquidi corrosivi.

La tecnica di lavaggio che dà i risultati migliori in termini di resistenza a

fatica è quella del vapour blast, come mostrato in Figura 15.12.

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NOTA BENE: questa sequenza di operazioni può

essere ripetuta per ottenere cavità a gradino o profili

particolari, come mostrato in Figura 15.13.

Figura 15.12 - Influenza del processo di lavaggio (vapour blast) sulla vita a fatica delle leghe d’alluminio lavorate per fresatura

chimica

Figura 15.13 - Cavità a gradini ottenuta per fresatura chimica

I materiali di mascheratura possono essere costituiti da

neoprene, polivinilcloruro PVC, polietilene,

polipropilene o altri elastomeri e polimeri. La tecnica

di mascheratura cut and peel consiste nell’applicazione

del mascherante sull’intera superficie tramite

immersione, pennellatura o spruzzatura fino ad

ottenere uno spessore di 25-125m. Una volta

completato l’indurimento, la parte eccedente del

mascherante viene ritagliata con un utensile tagliente e

strappata via dalle porzioni di superficie che devono

esser rimosse. Generalmente, l’operazione di taglio

viene eseguita manualmente con l’ausilio di apposite

dime. La tecnica del cut and peel è adatta alla

realizzazione di componenti di grandi dimensioni,

prodotti in piccola serie, dotati di tolleranze

dimensionali non più strette di +/-0.075mm, come quelli

delle costruzioni aerospaziali.

I liquidi corrosivi devono essere scelti in base alla natura

del materiale da asportare, alla profondità ed al rateo di

asportazione, nonché ai requisiti in termini di finitura

superficiale. Essi devono altresì essere compatibili con i

materiali di mascheratura per garantire che questi ultimi

non vengano chimicamente attaccati. Tipicamente si

usano idrossido di sodio (per l’alluminio), soluzioni di

acido cloridrico o nitrico (per gli acciai) o cloruro di ferro

(per gli acciai inossidabili). La Tabella 15.3 elenca più in

dettaglio tali reagenti, indicando i materiali che da essi

possono essere attaccati ed i relativi ratei di asportazione.

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Tabella 15.3 - Materiali, reagenti e ratei di asportazione

Nella fresatura chimica, i ratei di asportazione sono in

genere indicati come ratei di penetrazione (in

mm/min), poiché il gradiente di attacco chimico del

materiale in lavorazione è diretto perpendicolarmente e

verso la sua superficie. Nel caso si vogliano ottenere

rastremazioni progressive, p.e. di longheroni estrusi

(cfr. Figura 15.14a,b) devono essere disponibili grafici

parametrici che legano il rapporto di rastremazione, il

rateo di penetrazione e la velocità Ve con cui il

manufatto viene estratto dalla vasca di corrosione (cfr.

Figura 15.15).

Figura 15.14 a,b - Sezioni di un cassone alare estruso e

rastremato per fresatura chimica: a) sezione d’incastro;

b) sezione d’estremità

Il rateo di penetrazione è indipendente dall’area della

superficie.

Figura 15.15 - Legame tra rapporto di rastremazione, rateo

di penetrazione e velocità Ve di estrazione

Le massime profondità di penetrazione possono

raggiungere i 15mm negli estrusi (cfr. Figura 15.16a,b) e

nei grandi pannelli delle strutture aeronautiche e spaziali

(cfr. Figura 15.17), ma la maggior parte delle applicazioni

richiede penetrazioni di pochi centesimi di millimetro.

Nel corso del processo, l’attacco chimico avviene non

solo perpendicolarmente alla superficie, ma anche

lateralmente, al di sotto dello strato di mascherante (cfr.

Figura 15.18). Tale effetto va sotto il nome di undercut

(sottosquadro) e può essere tenuto in conto al momento

della progettazione topologica della mascheratura, così da

ottenere, alla fine, dimensioni corrette della lavorazione.

a

b

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Figura 15.16 a,b - Profili alari estrusi e alleggeriti per

fresatura chimica: a) stabilizzatore; b) alettone

Figura 15.17 - Pannelli di rivestimento di un lanciatore

spaziale calandrati e poi irrigiditi selettivamente per

fresatura chimica

Figura 15.18 - Parametri geometrici dell’undercut

Per un dato materiale da lavorare, il sottosquadro u è

direttamente correlato alla profondità della

penetrazione d e la costante di proporzionalità Fe è

chiamata fattore di erosione (etch factor), definito

come:

Fe = d/u

Ciascun materiale possiede uno specifico fattore di

erosione, come si evince dalla citata Tabella 15.3, ed il

suo valore deve essere utilizzato per

sovradimensionare la mascheratura in modo di

ottenere le corrette dimensioni del manufatto finale.

Occorre inoltre tener conto che la penetrazione laterale

della corrosione ha caratteristiche ortotrope: procede

cioè con velocità diverse in direzione parallela e

perpendicolare all’orientazione dei grani di una

lamiera, come mostrato nella Tabella 15.4.

Tabella 15.4 - Avanzamento ortotropo dell’erosione laterale

Infine, una volta creatosi, l’undercut può interagire con i

gas generati durante il processo di corrosione: a questo

riguardo, speciale attenzione va posta nel posizionare ed

orientare il manufatto dopo mascheratura all’interno della

vasca di corrosione, come illustrato in Figura 15.19.

Figura 15.19 - Influenza della giacitura del manufatto dopo

mascheratura all’interno della vasca di fresatura: gas di

reazione, geometria ed evoluzione dell’undercut.

Il buon progetto di un componente prodotto per fresatura

non può prescindere dai seguenti accorgimenti:

poiché il reagente corrode con continuità tutte le

superfici esposte, si devono evitare spigoli vivi,

cavità strette e profonde e rastremazioni molto

pronunciate;

poiché il reagente corrode il materiale sia in

direzione verticale che laterale, si manifesta un

undercut, che deve essere tenuto in conto tramite

opportuno dimensionamento della mascheratura;

per migliorare il rateo produttivo, il grosso della

rimozione dovrebbe venire preliminarmente

effettuata tramite lavorazioni convenzionali.

a

b

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15.6 Considerazioni economiche

e tecnologie non convenzionali esaminate in questo

capitolo (le cui sigle anglosassoni vengono riassunte in

Tabella 15.5) sono in grado di lavorare materiali ostici e

di ottenere forme non altrimenti realizzabili, alcune

delle quali si trovano elencate nella

Tabella 15.6.

Tabella 15.5 - Sigle anglosassoni delle lavorazioni non

convenzionali

ITALIANO INGLESE SIGLA

Lavorazione ultrasonora Ultrasonic machining USM

Idrotaglio Water jet cutting WJC Idrotaglio con abrasivo Abrasive water jet cutting AWJC

Idrofresatura con abrasiv. Abrasive jet machining AJM

Fresatura elettrochimica Electrochemical machining ECM Sbavatura elettrochimica Electrochemical deburring ECD

Rettifica elettrochimica Electrochemical grinding ECG

Elettroerosione a tuffo Electric discharge machin. EDM Elettroerosione a filo Electric discharge wire cutt. EDWC

Lav. con fascio elettronico Electron beam machining EBM

Lavorazione LASER LASER beam machining LBM Taglio al plasma Plasma arc cutting PAC

Fresatura chimica Chemical milling CHM Fresatura fotochimica Photochemical machining PCM

Tabella 15.6 - Forme e particolari di disegno che possono

essere ottenuti tramite le lavorazioni non convenzionali

PECULIARITA’ TECNOLOGIA

Forature di piccolo diametro (< 0.025mm) EBM, LBM

Forature profonde (profondità/diametro >20) ECM, EDM

Forature non circolari EDM, ECM Intagli sottili e non rettilinei in piastre

non necessariamente piane

AWJC, EDWC,

EBM, LBM, WJC

Microlavorazioni PCM, LBM, EBM Alleggerimenti poco profondi in piastre piane CHM

Contornature complesse per stampi e trafile EDM, ECM

Globalmente, le tecnologie non convenzionali sono adatte

a quasi tutti i materiali metallici e non metallici. In pratica

alcuni processi non possono essere adottati per alcuni

materiali, come mostrato in Tabella 15.7. Molti processi

sono adatti ai metalli, ma non ai non-metalli. Per esempio,

ECM e EDM funzionano solo su materiali elettricamente

conduttivi e quindi possono realizzare solo particolari

metallici.

La fresatura chimica è applicabile solo se esiste un liquido

di attacco adatto al materiale che si intende lavorare.

Poiché i metalli sono in genere più suscettibili all’attacco

chimico delle ceramiche, CHM è di solito utilizzata per

lavorare i metalli.

Tabella 15.7 - Applicabilità delle lavorazioni non convenzionali a diverse classi di materiali.

Con alcune eccezioni, USM, AJM, EBM e LBM

possono essere usati sia con i metalli che con i non

metalli. WJC è di solito utilizzato con i compositi, i

polimeri, i tessuti e con tutti i materiali flessibili che

non posseggono la resistenza dei metalli.Le

lavorazioni non convenzionali sono caratterizzate in

genere da un basso rateo di asportazione di materiale e

da elevate energie specifiche in confronto alle

lavorazioni convenzionali. Le capacità di controllo

dimensionale e di finitura superficiale delle lavorazioni

non convenzionali possono variare ampiamente da una

tecnica all’altra, mentre è sempre possibile l’eventualità di

indurre danni superficiali, specie da parte delle tecniche

che mettono in gioco energia di tipo termico, come EBM,

LBM e PAC.

L

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Tali caratteristiche sono riassunte nella Tabella 15.8, la

quale riporta altresì un confronto con le tecniche

convenzionali. Dati più quantitativi in relazione al

rateo di asportazione o velocità di taglio, nonché alla

rugosità superficiale ed alle tolleranze dimensionali sono

riportati rispettivamente in Tabella 15.9 ed in Figura

15.20.

Tabella 15.8 - Principali caratteristiche delle lavorazioni sottrattive non convenzionali

Tabella 15.9 - Ratei di asportazione e velocità di taglio tipici delle tecnologie non convenzionali

La convenienza economica di un particolare processo

dipende dal costo dell’impianto e delle attrezzature,

dai costi operativi, dal rateo di asportazione del

materiale, dal livello di specializzazione della

manodopera, nonché dalle operazioni secondarie di

finitura che dovessero rendersi necessarie. In CHM, le più

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rilevanti voci di costo sono costituite da reagenti,

mascherature e materiali di consumo, oltre che dagli

oneri di pulizia dei manufatti. In EDM, il costo degli

elettrodi e della loro periodica sostituzione può

risultare molto rilevante. Il rateo di asportazione del

materiale, e con esso il rateo produttivo, può variare

significativamente da processo a processo, come pure i

costi di investimento e quelli ricorrenti. Gli elevati costi

iniziali necessari per gli impianti di ECM, EDM, EBM e

LBM devono essere giustificati da grandi volumi

produttivi oppure dall’impossibilità di produrre i

medesimi manufatti tramite tecnologie convenzionali.

Figura 15.20 - Finiture superficiali e tolleranze dimensionali ottenibili per mezzo delle tecnologie non convenzionali

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