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Il chitarrista spagnolo Andrés Segovia (1893-1987) di cui ricorre quest’anno il 25° anniversario della morte. Nel riquadro, la biografia “Andrés Segovia, l’uomo e l’artista” firmata da Angelo Gilardino (ed. Curci, 2012) IL PIÙ GRANDE CHITARRISTA DEL NOVECENTO L’uomo che sussurrava alla chitarra L’uomo che sussurrava alla chitarra SEGOVIA_BIO_3_12 corretto:SEICORDE_ARTICOLO 26-06-2013 17:36 Pagina 10

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Il chitarrista spagnolo Andrés Segovia(1893-1987) di cui ricorre quest’annoil 25° anniversario della morte.Nel riquadro, la biografia “AndrésSegovia, l’uomo e l’artista” firmatada Angelo Gilardino (ed. Curci, 2012)

IL PIÙ GRANDE CHITARRISTA DEL NOVECENTO

L’uomo chesussurrava alla chitarraL’uomo chesussurrava alla chitarra

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SEICORDE

SSono passati 25 anni dalla mor-te di Andrés Segovia. Il leg-gendario chitarrista andaluso

(Linares, 21 febbraio 1893 – Ma-drid, 2 giugno 1987) per la storiadelle sei corde è stato l’uomo che,da solo, ha riscattato un’intera ca-tegoria rivelando all’umanità il fa-scino e la bellezza della chitarraclassica. L’unico interprete, fino adoggi, ad essersi conquistato un po-sto da protagonista nelle stagionida concerto che contano e nellaconsiderazione dei grandi musici-sti e compositori. Prima di lui, tut-te figure di secondo piano, dopo dilui, un futuro difficile e pieno di in-cognite.Ma chi era veramente Segovia?

Che cosa lo ha reso diverso da tuttigli altri chitarristi? E quale era, ac-canto alla sua immensa dimensio-ne di artista, la sua vera natura diuomo? Come ha convinto i compo-sitori ad avvicinarsi alla chitarra?A tutte queste domande ha rispo-sto Angelo Gilardino con unasplendida e documentata biografia“Andrés Segovia, l’uomo e l’arti-sta”, la prima in italiano, appenapubblicata dalle edizioni Curci (eu-ro 19,00). In 256 pagine lo studio-so e compositore vercellese, già di-rettore artistico della FondazioneSegovia di Linares (1997-2005), ri-percorre le tappe fondamentali diun uomo il cui destino era diventa-re il più importante chitarrista delNovecento. Gli abbonati a Seicorde trove-

ranno, allegato a questo numero, ilvolume in edizione integrale.Per tutti gli altri, pubblichiamo

qui di seguito, per gentile conces-sione dell’editore, ampi stralci dellibro con le tappe più importantidella straordinaria carriera di Se-govia.

LINARES, JAÉN, VILLACARRILLO

Di ogni città andalusa è facilericonoscere all'istante la solarebellezza ma – caso raro –Linares nasconde e diluisce que-sta seduzione, anzi, a tuttaprima si può essere tentati – e iolo sono stato – di pensare che siauna città bruttina. Poi, si imparaa coglierne il fascino particolare,e si arriva a comprendere comegli abitanti possano amarla ecoltivare quella forma di campa-nilismo che induce a celebrareogni manifestazione del geniusloci con appassionato fervore, alpunto di innalzare un monumen-to a un cittadino ancora in vita –Andrés Segovia, che a Linaresaveva trascorso non più delprimo mese della sua esistenza –o a un visitatore occasionale – iltorero Manolete, eroe di temera-rie veronicas – soltanto perché aLinares, il 28 agosto 1947, il toroIslero l'aveva mandato incontroalla morte recidendogli, con unafiera cornata, l'arteria femorale. Linares, alla fine del secolo

XIX – a differenza di molte bor-gate andaluse – non era una cit-tadina rurale. La animavano itraffici creati dall'industriamineraria, che estraeva dal ter-ritorio ingenti quantità di piom-bo e di argento, alimentando ilcommercio e i servizi collegati.La sua popolazione ufficiale –allora meno di trentamila abi-tanti, oggi poco più del doppio –era infoltita da un andirivieni dilavoratori che si trattenevanosolo per il tempo necessario asvolgere le loro mansioni. A que-sta categoria di residenti tempo-ranei appartenevano i genitori di

Venticinque anni dopo la scomparsa di Andrés Segovia,esce una documentata biografia in italiano firmata daAngelo Gilardino. In 256 pagine è raccontata la vita e la carriera del più grande chitarrista del Novecento: da Linares, dove nacque, fino alle più prestigiose saleda concerto di tutto il mondo. Sullo sfondo, la vicendadellʼuomo Segovia: tre mogli, quattro figli, la guerra civile spagnola, la fuga a Montevideo, gli anni di NewYork fino al sereno declino nella patria ritrovata

di FILIPPO MICHELANGELI

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Andrés Segovia: BonifacioSegovia Montoro e Rosa TorresCruz, lui nato a Jaén, dove risie-deva e lavorava, lei originaria diMálaga. Bonifacio era ebanista,e venne da Jaén a Linares moltoprobabilmente per rifinire con lasua carpenteria in legno qualchenuova costruzione.La casa dove nacque Segovia

oggi non esiste più: è stata rifat-ta e assorbita da un edificiomolto più ampio, sede di unabanca. All'epoca della nascita delmaestro, era invece una tipicacasa andalusa a un solo piano, esorgeva a pochi metri dall'iniziodi calle Corredera, una strada ditransito battuta dalle carrozzeche, partendo da quello che ètuttora il centro di Linares –chiamato Las Ocho Puertas –saliva fino a quello che oggi ènoto come Pasaje del Comercio.Stretta tra due edifici più altiche la sovrastavano, la casa eradotata di un patio e di una dop-pia entrata: quella che davaaccesso all'abitazione dei coniugiSegovia, e un'altra, dalla qualeci s'introduceva nel taller di uncostruttore di chitarre, JuanSánchez Jiménez (primo segnodella moira segoviana).In quella casetta – non un

tugurio, ma nemmeno un palaz-zo – la sera del 21 febbraio 1893alle sei e mezza, Rosa Torresdiede alla luce colui che sarebbediventato il più grande chitarri-sta del Novecento. L'evento ècertificato dalla registrazione nelmunicipio di Linares. Al neonatofu imposto il nome di Andrés, inonore al nonno paterno, AndrésSegovia Villar, anch'egli, comesuo figlio Bonifacio, carpentierein legno in quel di Jaén; e tudimmi, o lettore, quale suono distrumento musicale avrà rag-giunto l'orecchio del nuovo natonei primissimi giorni della suavita, se non quello delle chitarredi Juan, beatamente ignaro diquel che stava bollendo in pento-la dall'altra parte del patio. Un mese più tardi, i Segovia –

terminato il lavoro di Bonifacioin quel di Linares – tornarono intreno alla loro casa di Jaén: dueore e mezza di viaggio per per-correre 55 chilometri: lo precisa

don Alberto, come nessun altroinformato di queste minuzie. I coniugi Segovia condussero

Andrés al fonte battesimale unmese dopo la sua nascita, il 24marzo, in quel di Jaén.Temevano per la sua sopravvi-venza: il clima ventoso dellacittà andalusa aveva fatto con-trarre all'infante una malattiapolmonare. L'occhio mi cade sul-l'atto di battesimo, redatto dalparroco della chiesa di SanPedro: la data di nascita (17marzo), che ingannò anche ildiligente Domingo Prat, è fasul-la: forse, si trattò solo di unbanale errore di trascrizione, manon è da escludere che i coniugiSegovia l'avessero “aggiornata”per avvicinarla a quella del bat-tesimo ed evitare così una repri-menda del parroco.Jaén era una città affascinan-

te, ma il piccolo Segovia non neavrebbe potuto assaporare le bel-lezze. Non aveva ancora tre anniquando i suoi genitori si separa-rono, ed egli fu affidato alla cop-pia di coniugi formata dagli ziiEduardo Bueno de los Herreros eMaría Matilde, sorella di Rosa,residenti a Villacarrillo, un'altraborgata andalusa. Questi nonavevano figli, e accolsero volen-tieri il nipotino, del quale evi-dentemente né il padre né lamadre volevano o potevano con-tinuare a occuparsi. Il maestro ricorda, nella sua

autobiografia, il momento deldoloroso distacco. Non occorreessere psicologi per immaginarele devastanti conseguenze di taleabbandono. Gli effetti della feri-ta che si apre nell'indifesa sensi-bilità di un infante quando vienestrappato alle braccia materne simanifestano in genere con soffe-renze e squilibri che affliggeran-no l'uomo per tutta la vita.Segovia invece – fattosi adulto esaldo padrone della propria esi-stenza – non mostrerà altro cheaffetto nei confronti della madre:continuerà ad assisterla, invian-dole regolarmente una sorta dipensione, come confessa nellasua corrispondenza con l'amicoManuel Ponce; non soltanto, silegherà di un affetto devoto eprofondo anche alla zia

Gertrudis, sorella di Rosa esuora in un convento di Málaga,alla cui indigenza porrà rimediomandando anche a lei, come allamadre, aiuti monetari e assi-stendola in ogni modo. La rimozione più completa

avrà luogo invece nei confrontidella figura paterna. Tolto unaccenno al mestiere di Bonifacioriferito da Poveda – non più diuna fugace menzione che il bio-grafo avrebbe captato in unaconversazione – non ho mai lettouna parola detta o scritta daSegovia riguardo a suo padre.Evidentemente, quando si trattò,più avanti nel tempo, di sceglie-re da quale parte schierarsi, egliparteggiò per la madre. Ècomunque chiaro il fatto che, inSegovia, il genio si manifestònon soltanto nella musica, maanche in quella particolare dota-zione di carattere che, accompa-gnando e proteggendo i doninaturali, permette il loro svilup-po anche nelle circostanze piùavverse. Egli fu capace di capo-volgere il rischio di diventarevittima del vuoto aperto nellasua tenera infanzia dall'abban-dono dei genitori: in particolare,la mancanza del padre fu da luicolmata con una sorta di parte-nogenesi psicologica, che lo fecesentire capace di iniziare la pro-pria esistenza a partire da séstesso, senza bisogno di alcunaascendenza tutelare. Credo chela determinazione incrollabileche il futuro maestro dimostrònel prendere possesso del suoruolo di protagonista nella vitamusicale, superando ostacoli ediffidenze come nessun altro chi-tarrista seppe fare, avesse avutoorigine proprio negli anni dell'in-fanzia, quando il piccolo Segoviatrovò in sé la forza di reagireall'angoscia causata dall'improv-viso allontanamento dai suoigenitori. Credo inoltre che egliabbia in seguito applicato il mec-canismo della rimozione dellafigura paterna anche ad altri“genitori”, che peraltro si eranopresi cura di lui, o che gli sierano avvicinati benignamente,ma che egli sentiva come incon-grui rispetto alla costruzionedella sua stessa figura: la sua

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insistenza nel proclamare diessere stato autodidatta è unsegno di tale tendenza a cancel-lare, nel suo passato, ciò che eglinon riteneva coerente o merite-vole rispetto al suo mondo.Tío Eduardo e tía María

divennero così i nuovi genitori diAndrés. Furono ottimi genitori,amorevoli, premurosi, attenti.Abitavano a Villacarrillo, dove lozio lavorava come scrivano pres-so il tribunale: per impararequella che sarebbe diventata lasua bella calligrafia, Segovia nonfu un autodidatta. Eduardo eraun gentiluomo dal carattere mitee dal tratto signorile che, insie-me alla moglie, impartì al figlioadottivo un'educazione impecca-bile: il portamento da grancaballero che sempre distinseSegovia ebbe radici nell'esempiofamiliare. Villacarrillo – che aveva dato i

natali a un altro grande dellachitarra, Antonio JiménezManjón (1866-1919), ormai lon-tano dalla cittadina quando vigiunse il piccolo Segovia – fu laculla dell'infanzia segoviana:Andrés vi frequentò l'unica scuo-la che avrebbe terminato in vitasua, quella elementare e, a giu-

dicare da quella che sarebbediventata la sua prosa, fine edelaborata, è verosimile ritenereche gli sia stato impartito unottimo insegnamento, come nonera raro trovare nelle scuolerurali, nelle quali spesso opera-vano maestri vocati ed espertis-simi. Gli zii si resero conto che ilbimbo era dotato per la musica, elo mandarono a lezione da unviolinista locale: fu un disastro.Ma un giorno...Un cieco chiamato Macareno

trascinava il suo passo per lestradine di Villacarrillo e,sostando di tanto in tanto, siarrischiava in rasgueos e falsetascon la sua vecchia e sgangheratachitarra, prima di affidarsi allamisericordia dei suoi occasionaliascoltatori, ai quali chiedeva l'e-lemosina. Non si sa se fosse unautentico chitarrista di flamencocaduto in miseria o un poverostrimpellatore che imitava dalontano qualche virtuoso – nellaregione, certamente non ne man-cavano! Chiunque fosse, il suotoque giunse all'orecchio del fan-ciullo che, seduto al balcone dellasua casa, stava compitando suilibri di scuola. In pochi istanti,Andrés – il quale aveva nove

anni – si fiondò nella calle e,senza por tempo in mezzo,ingiunse al poveraccio di farglimettere le dita sulle corde e diimpartirgli la prima lezione. DonEduardo, sbalordito, acconsentìa portarsi in casa l'altrettantosbalordito Macareno – che dicerto non si aspettava quellamanna dal cielo – come maestrodi chitarra. Le lezioni non dura-rono più di sei settimane:Andrés divorò il poco sapere delcieco lasciando di stucco anche ilprudente tío Eduardo, lui, uffi-ciale di scrittura che già vedeva,nel nipotino, un futuro avvocatoo un giudice.Per una missione comandata-

gli dal suo ufficio, il bravo scriva-no si trasferì temporaneamentea Manzanares, ma ben presto lafamiglia prese la strada chedoveva rivelarsi provvidenzialeper Andrés Segovia: quella diGranada.

L’ESORDIO A GRANADA Anche se si ha notizia di una

precedente esibizione di Segovia– pubblica ma informale, cioèlimitata a un pubblico di studen-ti – avvenuta, pare, nel 1907 aGranada al Teatro Español periniziativa degli amici flamenchi-sti – l'esordio ufficiale del gio-vane chitarrista ebbe luogo aGranada nell'autunno del 1909,dopo il fruttifero soggiorno cor-dobese. Purtroppo non è soprav-vissuta alcuna copia del pro-gramma di sala, e non è nemme-no possibile accertare con esat-tezza in quale data l'eventoabbia avuto luogo, ma l'investi-gazione svolta da López Povedaal riguardo conclude, con fondatimotivi, che Segovia tenne quelconcerto in una delle ultime duedomeniche del mese di settem-bre. È accertato invece che lasede fu la Sala de Música delCentro Artístico y Literario, lapiù attiva e importante istituzio-ne culturale di Granada.Sorprende il fatto che si siagiunti a individuare il nome del-l'autore della recensione, scrittada Alberto Álvarez Cienfuegosper El Noticiero Granadino,senza che il testo dell'articolo siastato recuperato. Quel critico di

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Segovia in una rarafotografia giovanile

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Granada fu il primo tra lemigliaia di autori di articoliriguardanti Segovia che sarebbe-ro stati pubblicati, nei decennisuccessivi, dai giornali di tutto ilmondo.Al primo concerto di Segovia –

tenuto alla fine del mese di set-tembre del 1909 – fece seguito,in un giorno imprecisato tra lafine di ottobre e l'inizio dinovembre, in quel di Cullera,una cittadina della regionevalenciana, l'ultimo concerto diFrancisco Tárrega – che sarebbemancato ai vivi il 15 dicembre.Chi attribuisce questi fatti amera coincidenza dovrà ammet-tere che si trattò di una bellacoincidenza – una sorta di pas-saggio delle consegne che, dalgrande maestro povero della chi-tarra romantica, pervenivano acolui che sarebbe diventato ilgrande maestro – non certopovero – della chitarra moderna.Chi invece sente di non poterattribuire questi fatti al ciecocaso, non avrà difficoltà a rap-presentarli alla luce della suafede. Segovia lasciò nuovamente

Granada nel mese di dicembre,non prima che gli giungesse,dalla voce di un amico, la notiziadel trapasso di colui che avevacomposto quei brani con i qualiGabriel Ruiz de Almodóvar l'ave-va conquistato alla chitarra fina,

e che erano diventati ora suoicavalli di battaglia, e non possonon annotare che, parecchi annidopo, quando, nel cimitero diBarcelona, furono esumati ipoveri resti mortali di Tárrega,in piedi dinnanzi alla tomba sco-perchiata stava, in prima fila tragli astanti, il giovane Segovia.

VALENCIAE I TARREGHIANIChe il piccolo mondo della chi-

tarra fosse popolato in granparte da mediocri senza ingegnoe da una pletora di dilettantifanatici era realtà sicuramentegià ben nota a Segovia, il qualedimostrò sempre scarsissimainclinazione ad avere a che farecon la categoria che adoperava –e adopera – la locuzione “ilnostro strumento”. Tuttavia, nonimmaginava di trovare un'assor-tita campionatura di chitarristiottusi e ignoranti proprio tra gliallievi di Tárrega: forse egli sup-poneva che la bella musica scrit-ta dal maestro valenciano fossevalsa a forgiare, tra i suoi disce-poli, persone colte, sensibili, dal-l'ingegno aperto e dall'animonobile. Si recò dunque aValencia, capitale della regionedove Tárrega era nato e cheaveva sempre avuto nel cuore,proponendosi di allacciare rela-zioni di amicizia con gli eredi del

grande chitarrista e compositoree di rivelarsi nella sua veste dicontinuatore dell'arte di tantomaestro. Lo accolse invece una confra-

ternita di bigotti genuflessi auna memoria nei riguardi dellaquale egli appariva come unpericoloso attentatore: suonavacon le unghie (ancorché flessibili,gli concedette il cappellano dellachiesuola tarreghiana, padreCorell, attenuando la gravità delpeccato), non si era scusato dinon essere stato un allievo delloro dio e non sembrava affattointimidito dal ritrovarsi in quelconclave. Gli chiesero di suona-re.A questo punto si verificò – io

credo – un equivoco: Segovianon si rese conto – né allora némai – di come, ancor prima diincominciare a suonare, e solopreludiando per riscaldare ledita e per prendere confidenzacon la chitarra che gli era stataprestata per l'occasione, avessesciorinato alcune eloquentidimostrazioni del suo valore.Come potevano reagire queipoveracci, che tutto avrebberoammesso, ma non che un altrochitarrista a questo mondopotesse uguagliare – o addirittu-ra superare – il veneratoTárrega? Ovviamente, rimaseroraggelati e ammutoliti: il silen-zio che scese nella tabaccheriadel devoto Loscos – sede dellariunione – fu di tomba. Segovialo interpretò come un segno diostilità, senza accorgersi cheaveva invece semplicemente tra-volto quei sacrestani, e fece allo-ra orgogliosamente scattare laritorsione culturalmente piùspietata: invece di andar loroincontro, suonando qualcosa cheavrebbero potuto comprendere,come il Capricho árabe o laDanza mora, li schiacciò con laDeuxième Arabesque di Debussy,un pezzo che a stento sarebbestato assorbito dal più sofisticatouditorio di Madrid o diBarcelona. Io sono sicuro che lofece di proposito: scegliendo quelbrano, egli scavava risolutamen-te il solco che lo avrebbe divisodal meschino culto tarreghiano esi isolava nella pienezza del suo

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Il complesso architettonico dell’Alhambra posto sulla collina di fronte a Granada. Gli splendidigiardini del Palazzo ispirarono il capolavoro di Tárrega, “Recuerdos de la Alhambra”

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genio. Poi, se ne andò senza pro-ferire verbo, lasciando dietro disé gelo e sgomento. Una confer-ma di questa interpretazione deifatti si avrà due anni dopo, inoccasione del primo concerto cheSegovia avrebbe finalmentetenuto a Valencia, al di fuoridella canonica tarreghiana, conesito trionfale. Confidandosi conun amico di Segovia, padreCorell avrebbe ammesso che«bisognava arrendersi allarealtà». I devoti di Tárregaavranno esposto, sull'insegnadella tabaccheria di Loscos, lebandiere valenciane a mezz'a-sta? A rimuovere gli ostacoli che

frenavano il riconoscimento diSegovia a Valencia fu un piccolocomitato di amici del quale face-vano parte Amparo e José Iturbi,sorella e fratello pianisti, i quali,delle beghe del piccolo mondochitarristico, erano beatamenteignari, e a loro si accodò anchel'ormai rassegnato padre Corell,che evidentemente non era nésordo né stupido. Segovia fu aValencia nella primavera del1915, e vi diede alcuni applaudi-tissimi concerti. Il primo furecensito dal nume della vitamusicale valenciana EduardoLópez Chavarri, compositore chebrandiva il laticlavio di sommocritico. Nell'articolo che egliscrisse, il suo riconoscimento diSegovia spuntava a stento allafine di un verboso elogio diTárrega e dei suoi allievi.Segovia lo lesse e, al momento,ingoiò il rospo, ma in seguito,quando la gloria aveva già cintoil suo capo, López Chavarri glimandò il manoscritto dellaSonata che aveva composto perlui. Non ricevette il minimocenno di risposta ma, nell'auto-biografia segoviana, la composi-zione venne impietosamenterasa al suolo come opera di undilettante. Il maestro, credente,a volte lasciava da parte lalezione del Vangelo per adottarequella del Vecchio Testamento, ea López Chavarri applicò il prin-cipio biblico: “occhio per occhio,dente per dente”. Deve essere sottolineato il

fatto che, nel concerto tenuto il

28 aprile 1915 alla SalaBeethoven di Valencia, compaio-no, nella prima parte del pro-gramma, due Studi di NapoléonCoste e un Minuetto di FernandoSor: sono queste le prime traccedi un interesse di Segovia per lamusica originale per chitarradell'Ottocento. Mentre, in segui-to, egli continuerà a occuparsi –seppur con moto ondivago – del-l'opera di Sor, i bellissimi Studiop. 38 di Coste scomparirannodal suo orizzonte: peccato!

MIGUEL LLOBETA BARCELONASegovia, invitato dai suoi

nuovi amici, andò a Valenciaanche per una vacanza estiva. Isuoi ospiti si meravigliarono alvedere la sua valigia colma divolumi di letteratura e di filoso-fia: forse, non comprendevanoquale utilità potessero avere aifini del suonare la chitarra.Stava per ripartire quando gligiunse la notizia dell'imminentearrivo di Miguel Llobet, il piùfamoso – e certamente il miglio-re – degli allievi di Tárrega.Desideroso di incontrarlo e diconoscerlo, Andrés si trattenne einsieme ad altri si recò ad aspet-tarlo alla stazione ferroviaria.L'incontro fu cordiale e privo

del benché minimo attrito: i due

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Il chitarrista e compositore spagnoloFrancisco Tárrega muore nel 1909,

lo stesso anno in cui Segovia debutta,appena 17enne, a Granada

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andarono d'accordo. Llobet diedeun concerto privato per gli allievidi Tárrega. Ipocriti oltre cheignoranti, questi erano disposti arimettergli – in quanto membrodella comunità – il peccato chenon perdonavano ad altri: suona-re con le unghie. Segovia elogiòcaldamente il più esperto colle-ga, ma in lui si era già definito ilquadro del giudizio poi espressoin modo articolato in un capitolodell'autobiografia: non fu un giu-dizio generoso, ma non vi è, inesso, ombra di quella lividamalevolenza che spesso scaturi-sce dalla rivalità. Fu severo, sevogliamo ingiusto, ma non scor-retto e sleale. A mio modo divedere, se egli avesse potuto col-locare sul leggio la musica diLlobet senza conoscere personal-mente l'autore, avrebbe compre-so meglio la statura del composi-tore. Non giunse a percepirne inpieno il valore a causa delle limi-tazioni che egli vedeva nell'artedi Llobet come chitarrista e forseanche della scarsa considerazio-ne che nutriva nei riguardi dellapersona: il ritratto che ne fa èimpietoso e vagamente caricatu-rale. Non gli sfuggì comunque laqualità di un brano come Elmestre, che sarebbe entrato sta-bilmente nel suo repertorio.Llobet ovviamente invitò

Segovia a suonare per lui, eSegovia accettò, ma si mostròinesorabile nell'esigere che, dal-l'uditorio, fossero esclusi i tarre-ghiani, eccettuati i Balaguer(padre e figlio, che l'avevanosostenuto fin dal suo primo infe-licissimo contatto con la pieve) epadre Corell, che nella vicendarivestiva i panni, per lui inusua-li, del pentito, e non quelli delconfessore.Tutto sembrava filare liscio, al

punto che i due maestri deciserodi compiere insieme il viaggioferroviario da Valencia aBarcelona, dove Segovia eraansioso di recarsi per la primavolta. Appena giunto, si resesubito conto che, nella capitalecatalana, Llobet era tutt'altroche un autorevole protagonista.Non vi aveva mai dato un soloconcerto e, mentre il giovaneSegovia sperava di essere pre-

sentato al celebre EnriqueGranados, Llobet lo introdusseinvece nel circolo di chitarristiaficionados radunato intorno aLeón Farré, un generoso e sim-patico personaggio, legatissimoal ricordo di Tárrega. Farré eraproprietario di una vaquería,nella quale soleva organizzare inmodo estemporaneo concerti dichitarra, appendendo alla portail cartello con la scritta «no sevende» (chissà come andavano isuoi affari). Ricompensava il vir-tuoso di turno e gratificava gliascoltatori convenuti con bicchie-roni di latte appena munto esquisiti biscotti. Mi permetto disupporre che, in quel locale,tutt'altro che privo di carattere,sulle delizie offerte all'udito e algusto pesasse qualche disturboolfattivo e qualche interferenzasonora non propriamente musi-cale. Ma Segovia – che era sag-gio e non schizzinoso – suonòanche lì, anzi proprio lì si speseun'altra volta nella DeuxièmeArabesque, stavolta però non perrappresaglia, ma con il propositodi compiacere Llobet, che avevarespirato per anni musica fran-cese, risiedendo a Parigi.L'entusiasmo di Llobet siappuntò più sull'esecutore chesul brano. «Che bravura! Chebravura!» andava ripetendo.

Nei giorni seguenti, nonpotendo realizzare la sua aspira-zione a conoscere Granados,Segovia si azzardò a chiedere aLlobet di passargli le sue trascri-zioni di alcuni pezzi dell'illustrepianista-compositore. Con sor-presa, si sentì rispondere chetali trascrizioni non erano maistate...trascritte, e che eranocustodite nella mente del lorocreatore: Segovia ebbe così larivelazione della pigrizia cheaffliggeva Llobet. Dovevacomunque trattarsi di una pigri-zia bizzarra, perché Llobet subi-to si offrì di trasmettere i testi aSegovia suonandogli ripetuta-mente le singole frasi musicali, epermettendogli di mandarle amemoria per imitazione, senzapassare attraverso la scrittura.Il che – faccio osservare – non èmeno faticoso, né più sbrigativo,dello scrivere una volta per tuttele note sul pentagramma. Nellafattispecie, il compito di Llobetfu aggravato da alcuni chitarri-sti cialtroni – non ne mancanomai! – che si misero di mezzo,dichiarando di voler a loro voltaimparare le composizioni.Obbligarono così il maestro aripetere i segmenti musicali finoall'esasperazione, mentre, facen-dosi da parte, Segovia elaboravale sue diteggiature delle note che

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La targa nella casa di Barcelona in Carrer de Sant Pere Més Baix dove visse e morì il chitarrista e compositore catalano Miguel Llobet (1878-1938)

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aveva captato inpoche dettature.Nelle sue con-

versazioni ami-chevoli conLlobet, Segoviaappurò chequesti nonaveva maisuonato aBarcelona per-ché, a suo dire,le sale da con-certo della cittàerano troppovaste, e il suonodella chitarra nonsarebbe stato udibi-le. Questo fu il primopunto sul quale le loroidee incominciarono adivergere. Segovia, invece,era convinto che il suono dellachitarra, se creato con arte, pote-va viaggiare e proiettarsi lonta-no. Poco tempo dopo, proprio aBarcelona avrebbe dimostrato lafondatezza della sua convinzio-ne.È precisamente nel raccontare

delle sue discrepanze dal pensie-ro di Llobet che Segovia – comerisulta dalla sua autobiografia –manifesta per la prima volta unaltro suo proposito-cardine: «Non fu facile per me accettare

quella svalutazione del potenzia-le della chitarra, ma se nonaltro, quelle parole rinforzaronola mia determinazione di cercarela collaborazione di compositoriseri e di favorire l'arricchimentodel repertorio del nostro assainegletto bell'istrumento. Inoltre,quelle parole mi convinsero allafine che i più notevoli liutai diSpagna dovevano essere incorag-giati a ricercare i mezzi peraumentare il volume della chi-tarra...».Risulta chiarissima, nel con-

fronto di tali posizioni, la diffe-renza tra l'atteggiamento rinun-ciatario di Llobet e quello vitalee volitivo di Segovia; egli diceche non gli fu facile accettare l'i-

deadi Llobet ma, in realtà, non laaccettò per niente, e fece esatta-mente il contrario. Per spronarloall'azione, non c'era stimolo piùefficace che quello di prospettar-gli un'impresa come irrealizzabi-le. Segovia ci tramanda una

memoria acidula del concertoche, a sua richiesta, Llobet gliorganizzò in un circolo di mode-sta levatura culturale, dimenti-candosi di invitare il pubblico ela stampa. Questo non fu certoun tiro mancino giocatogli conmalizia: il mite chitarrista bar-cellonese era uomo del tutto ina-datto a organizzare eventi diforte risonanza ed era, per giun-ta, tiranneggiato da una mogliedispotica, che vedeva Segoviacome il fumo negli occhi. Infatti,quando si arrivò alla scelta delprogramma e Andrés manifestòil suo proposito di eseguire letrascrizioni da Granados cheaveva “copiato” da Llobet, la con-sorte di questi esplose in unfurente diniego. Rivolgendosi aSegovia, ella proclamò infatti:«Questi pezzi non dovranno

essere ascoltati in pubblicoprima che li suoni mio mari-to». Praticamente, l'amiciziatra Llobet e Segoviaebbe fine in quelmomento: da lì inpoi tra di lorosarebbe esistitasoltanto unasuper f i c ia l e ,reciproca cor-tesia. Il pro-g r a m m a t oconcerto ebbec o m u n q u eluogo e, tra ip o c h i s s i m iascoltatori peri quali Segoviasuonò, si feceroavanti, alla finedelle esecuzioni, ildottor AntonioQuiroga, illustre

medico, e sua mogliePaz de Armesto, chitar-

rista che non poteva suo-nare in pubblico perché affet-

ta da timor panico. Segovia siconquistò quella sera due veriamici, che subito si impegnaronoper organizzargli un concertoben retribuito per una casa far-maceutica: il pubblico, formatoda medici, speziali e infermieri,fu strabocchevole, e il successoenorme. Non mancò, tra gli spet-tatori, il buon Llobet che, libera-to per l'occasione dalla presenzamuliebre, poté ripetere ad libi-tum il suo ormai noto refrain:«Che bravura! Che bravura!».

CUBA, IL MESSICOE MANUEL MARIA PONCEOltre agli ormai abituali con-

certi in Spagna, nel 1923Segovia venne imbarcato dallasua agenzia verso nuove metenell'America Latina, prima Cubae poi il Messico. Nella capitaledell'isola caraibica, La Habana,esordì con due concerti, tenutil'11 e il 21 marzo, al TeatroNacional. Segovia sapeva ironiz-zare anche su sé stesso, e quan-do un giornalista gli domandòquale fosse stata la sua impres-sione del pubblico cubano, rispo-se che gli era sembrato il piùgeneroso del mondo, perché l'a-

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Llobet, nella foto mentre suona lachitarra, conobbe e stimò moltissimoSegovia del quale riconobbe subitol’eccezionale talento artistico

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veva calorosamente applauditopur senza poterlo udire, a causadei rumori che entravano dalleporte del teatro, tenute aperteper non far morire di caldo i pre-senti. Dai Caraibi, si trasferì in

Messico, dove esordì il 4 maggioal Teatro Colón, presentando –forse per la prima volta – lafiammante Sonatina appenacomposta da Federico Moreno-Torroba. A quel concerto era pre-sente, in veste di critico musicaledel quotidiano El Universal, unnoto compositore e pianista,Manuel María Ponce, colui chesarebbe diventato l'artefice pre-diletto del repertorio segoviano.La sua recensione segnò l'iniziodi un'amicizia e di una coopera-zione che gli avrebbero dischiusoorizzonti artistici e professionalia lui altrimenti inaccessibili. Èmolto istruttiva la lettura dellaparte dell'articolo riguardante lacomposizione di Moreno-Torroba, perché, oltre a inqua-drare il lavoro del collega spa-gnolo in modo perspicace edesatto, Ponce sembra inconscia-mente descrivere i caratteridella musica che, negli anni suc-cessivi, egli scriverà per Segovia:«A conclusione del suo recital

suonò la Sonatina di Moreno-Torroba che, a mio modesto avvi-so, fu la composizione più impor-tante del programma magistral-mente eseguito da AndrésSegovia nel suo recital di presen-tazione davanti al pubblico delMessico. In questa Sonatina siscopre il compositore pieno diidee melodiche, il musicista cono-scitore delle forme classiche, ilsapiente folclorista che, con ele-menti di ritmi e melodie popola-ri, sa costruire opere importantiper il loro sviluppo e per le loronuove tendenze armoniche». Non è precisamente quello che

Ponce avrebbe fatto nella suaprima e nella sua ultima Sonataper chitarra, cioè le Sonate chia-mate da Segovia rispettivamenteMexicana e Meridional? Alla lettura di quell'articolo,

Segovia drizzò le antenne e subi-to si informò sul profilo di coluiche l'aveva redatto. Saputo chesi trattava di un egregio compo-

sitore, di impeccabile formazioneaccademica (aveva studiato inItalia e in Germania) e votatoalla fondazione di una scuolanazionale messicana, lo invitòsenza indugi a scrivere un pezzoper lui. Ponce agì� con prudenza,

inviando a Segovia una sola,breve composizione: evidente-mente, voleva saggiare tanto leproprie capacità� di scrivere perchitarra quanto le possibilita� diriscuotere l’approvazione deldedicatario. Il tentativo ebbe unesito folgorante: pochi mesi dopo,in quello stesso 1923, aveva già�dovuto costruire, intorno a quel-la pagina, una sonata in quattrotempi. Segovia aveva rispostocon entusiasmo, richiedendosubito un lavoro piu� ampio, dicui la Serenata appena ricevutaavrebbe fatto parte. Infatti,Ponce la adoperò� come terzomovimento (Intermezzo) dellaSonata poi detta Mexicana. Fuquesta la prima sonata per chi-tarra del Novecento, e segnò� l’i-nizio della fruttifera collabora-zione tra Ponce e Segovia, chesarebbe durata fino al 1940,anno in cui Ponce terminò� dicomporre il Concierto del Sur perchitarra e orchestra. Insiemealla Sonata, il compositore inviò�a Segovia anche una versioneper chitarra della canzone popo-lare La Valentina, in sostanzauna riduzione della precedenteversione per voce e pianoforte.Anche questa piacque a Segovia,e in seguito Ponce ne avrebbearrangiate per lui altre quattro,tra le quali la celeberrimaEstrellita.

HEITOR VILLA-LOBOSIl più geniale corpus di musi-

che per chitarra sola scritto nellaprima metà del Novecento, leDouze Études del compositorebrasiliano Heitor Villa-Lobos,ebbe origine in quel salotto, trapettegolezzi e pasticcini. Villa-Lobos si trovava a Parigi conuna borsa di studio del governobrasiliano e con la missione dipropagandare la musica del suopaese. Lui e Segovia avevano incomune un amico, il pianistaTomás Terán, ma non si erano

mai incontrati. Quella sera, nonfurono presentati formalmente, esi conobbero – anzi, si scontraro-no – in una situazione che – secorrispondente al racconto chene diede Villa-Lobos – sarebbestata imbarazzante e – se invececonforme a quel che risulta dalracconto di Segovia – sarebbestata irritante, ma anche ricca distimoli. Sorvolando sulle discre-panze – sostanzialmente irrile-vanti – tra le due versioni del-l'incontro e considerando i fatticerti, si può concludere che:1) Segovia, pur riluttante, per-

mise a Villa-Lobos di suonare lasua Manuel Ramirez, o meglio ditentare di farlo;2) anche se l'esecuzione fu vio-

lenta e disastrosa, il brano, o ilframmento, che il compositoreriuscì ad accennare, impressionòprofondamente il chitarrista, ilquale si rese conto di trovarsi difronte a un uomo di genio;3) vincendo il disagio che gli

procurava il vedere il suo prezio-so strumento nelle mani di quelchitarrista selvaggio, Segovia fucapace – come sempre – di pren-dere la decisione giusta, e glichiese di comporre uno studioper lui. Da quel contrastato summit

sprigionò la scintilla che avrebberiacceso la fiamma chitarristicavillalobiana: i due più grandiartefici della rinascita della chi-tarra nel primo Novecento non sisarebbero mai compresi a fondo,ma Segovia capì quello che dove-va fare – al di là della frizionedei suoi nervi – e Villa-Loboscapì che doveva accogliere larichiesta del chitarrista e met-tersi al lavoro, anche se ciò loavrebbe obbligato a una discipli-na alla quale era naturalmenterefrattario: non scrisse uno stu-dio, ma dodici.

EDITION ANDRÉS SEGOVIANello stesso 1926, prese avvio

la collezione di musiche per chi-tarra creata dalla casa editricetedesca B. Schott's Söhne diMainz (Magonza). Si intitolòGitarre Archiv – Edition AndrésSegovia. Anche nel settore dell'e-ditoria musicale, Segovia accede-va così ai massimi livelli,

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lasciandosi alle spalle la collabo-razione che aveva prestato allacasa editrice argentina Romero yFernandez. La collana Schottconteneva sia le opere contempo-ranee che Segovia andava annet-tendo al proprio repertorio sia lesue trascrizioni.Le pubblicazioni della collezio-

ne Schott-Segovia furono accolteda una grande risposta dei chi-tarristi, che le acquistarono inmassa: a quell'epoca, non esiste-vano fotocopie. Quanto aSegovia, non risulta che la suacollaborazione con l'editore tede-sco gli recasse sostanziosi pro-venti, ma certo costituiva per luiun fortissimo accredito nelle suerelazioni con i compositori.Moreno-Torroba, Turina, Ponce,Pedrell, non si sarebbero maisognati di vedere le loro composi-zioni pubblicate da Schott, maSegovia rese possibile la loroentrata in un catalogo che innal-zava il loro nome e il loro presti-gio. Questa forma di remunera-zione indiretta li compensò delfatto che Segovia, quando chie-deva musiche, non pagava com-missioni (anche se, a titolo per-sonale, non mancava di soccorre-re, di tanto in tanto, l'amicoPonce che, a Parigi, stentava acampare).

LA “CIACCONA”Nel 1935, Segovia si sentì

pronto per un'impresa per laquale si stava preparando daanni: quella di eseguire in pub-blico la Ciaccona (dalla Partitain Re minore per violino soloBWV 1004) di Johann SebastianBach. Fino ad allora, raramenteegli aveva omesso Bach dai pro-grammi dei suoi concerti, ma siera limitato a radunare alcunibrani sparsi tratti dalle Sonate ePartite per violino e, più rara-mente, dalle Suites per violon-cello, e il brano più ampio cheaveva affrontato era la Fugadalla Sonata in Sol minore(BWV 1000) già trascritta daFrancisco Tárrega. Tuttavia, in quegli anni,

Segovia stava accarezzando unsogno bachiano ben più ambizio-so. Ne lasciò trapelare un accen-no in una lettera scritta a

Manuel Ponceil 20 luglio1927 daThorens, dovesi trovava invacanza con lafamiglia:«Oltre a

occuparmi ditutti i tuoipezzi, lavoroalla Sonatinadi Cyril Scott(senza grandeentusiasmo, telo confesso),alla Ciaccona(con delirio) ealtre opere diBach». Alexandre

T a n s m a nasserì di averascoltato giànel 1924 laCiaccona da Segovia, che dun-que avrebbe lavorato il pezzo peruna decina d'anni, prima difidarsi a presentarlo in pubblico.E quando finalmente, nel 1935,si sentì all'altezza del compito, eprogrammò la prima esecuzione(che ebbe luogo a Londra, allaWigmore Hall, il 30 maggio), el'esecuzione parigina del 4 giu-gno, ancora resisteva nella suamente un timore reverenziale,che egli cercò di esorcizzare invo-cando la protezione del criticoMarc Pincherle. Nei programmidi Londra e Parigi, figuravainfatti una presentazione nellaquale Pincherle metteva Segoviaal riparo da critici pregiudizial-mente avversi. Pincherle, nelsuo ruolo di mallevadore, nonsembrava tanto preoccupato disalvaguardare la propria reputa-zione di musicologo (si spingevaa favoleggiare di un'origine chi-tarristica della composizione),quanto di legittimare quella diSegovia come interprete di Bach:di rado un musicologo è statoaltrettanto magnanimo e genero-so nei confronti di un concerti-sta!Anche se le ipotesi di

Pincherle non risultano oggi, dalpunto di vista musicologico,sostenibili, il suo scritto è utileper comprendere in quali, diffici-

li condizioni si muovesse alloraSegovia, e come fosse immenso ilsuo amore per la musica di Bach.L'autocritica che egli esercitavarigorosamente non era tuttaviameno forte della passione, se èvero che, per ascoltare laCiaccona in un disco di Segovia,si dovette aspettare fino al 1946. Si è detto che la trascrizione

segoviana si colloca nella scia diquella realizzata per pianoforteda Ferruccio Busoni. A me sem-bra che quest'affinità sia moltodifficile da riscontrare nella let-tura dei due testi. Busoni operòuna radicale riscrittura del capo-lavoro bachiano, trasferendone ivalori nell'ambito dell'esteticapianistica tardo-romantica: que-sto criterio lo spinse a modificarela struttura di intere variazioni– per esempio nel ritmo – e aintrodurre armonie liberamente(e ingegnosamente) inventate.Segovia armonizzò soltanto qual-che breve segmento melodico eaggiunse qualche rinforzo – rad-doppiando parti reali già presen-ti nell'originale – al solo scopo divalorizzare il suono della chitar-ra, ma non toccò in nessun modola struttura delle variazioni,delle quali conservò ogni elemen-to. Credo quindi che la sua tra-scrizione si possa considerareindipendente da ogni altra.

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Segovia (a destra) e il compositore brasilianoVilla-Lobos non si compresero mai fino in fondo.

Ma dal loro primo incontro a Parigi nacquero i 12 Studi per chitarra, il più geniale corpus diopere scritte per chitarra sola nel Novecento

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Ritengo inoltre che Segovia nonavesse contezza alcuna delle tra-scrizioni effettuate, prima di lui,da Antonio Jiménez Manjón(1913) e da Antonio Sinópoli(intorno al 1920), né che fosse alcorrente del fatto che, un annoprima di lui (1934), Regino Sainzde la Maza aveva presentato lapropria versione in un concertodato a Caracas il 27 febbraio1934. La sua Ciaccona non trovò

ostacolo alcuno nelle risposte deicritici e degli ascoltatori e diven-ne, da allora, una delle colonnedel suo repertorio. L'avrebbe ese-guita in tutto il mondo centinaiadi volte e ne avrebbe effettuatodue registrazioni discografiche(1946 e 1954). Mi piace sottolineare il fatto

che, nei programmi dei concertidi Londra e di Parigi in cui pre-sentò la Ciaccona, Segovia diedeanche le due prime esecuzionipubbliche della Sonata –Omaggio a Boccherini di MarioCastelnuovo-Tedesco. La musicadel maestro italiano era ormaistata adottata a pieno titolo nelrepertorio di Segovia, e l'annoseguente, l'8 novembre 1935, almadrileno Teatro de la Comedia,avrebbe avuto luogo la primaesecuzione del Capriccio diaboli-co – Omaggio a Paganini,anch'esso composto su specificaindicazione del chitarrista. Percomprendere come lavorassero lesinapsi di Andrés Segovia inquel periodo si può leggere, oltrealla data della prima esecuzione,anche quella scritta dall'autoredopo l'ultima misura del suopezzo: 19-29 settembre 1935. Dimezzo, il tempo necessario per laposta. Se Segovia non fuGieseking, certo gli si avvicinòmolto...

IL DUOSEGOVIA-MANDRIGUERACome preparava i concerti

Andrés Segovia, prima di pro-varli con l'orchestra? Non c'èdubbio: con la moglie PaquitaMadriguera che, dall'alto dellasua arte pianistica, non dovevafaticare molto nell'eseguire leriduzioni per pianoforte dellapartitura orchestrale. Segovia

era ben conscio del valore e del-l'importanza artistica di quellacollaborazione, perché non sol-tanto se ne servì abbondante-mente nel lavoro di preparazio-ne dei suoi concerti con orche-stra ma, quando si presentaro-no le occasioni propizie, li suonòin pubblico facendosi accompa-gnare da Paquita. Non dispongodi una cronologia delle esecu-zioni pubbliche in cui ilConcerto in Re o il Concierto delSur – o addirittura entrambinello stesso programma – furo-no eseguiti dal duo Segovia-Madriguera, ma credo che nonsiano state poche, e non manca,al riguardo, qualche eloquenterecensione, in cui si sottolineala perfetta unità raggiunta daidue interpreti. Questi concerti,in cui appariva in un ruoloancillare ma di alta responsabi-lità, servirono a PaquitaMadriguera come gradino perrilanciare la sua attività di con-certista, che sarebbe ripresavigorosamente, portandola aesibirsi in pubblico come ai beitempi, sia con il recital sia inalcuni concerti con orchestra(ad esempio, suonò il Concertodi Grieg). Che cosa apportò all'arte di

Segovia la collaborazione con lamoglie pianista? Io ritengo chele registrazioni degli anniQuaranta mostrino chiaramen-te un affinamento del suo stileinterpretativo rispetto a quellodei due decenni precedenti.L'energia vitalistica della giovi-nezza e la straripante musica-lità naturale erano passateattraverso il filtro di una rifles-sione più sottile e, senza smar-rire nulla del suo carattereestremamente originale, ilmondo di Segovia aveva trovatoun assetto più ordinato, unequilibrio più armonioso.Questo progresso ebbe causeendogene – l'evoluzione di unartista che si affinava pensandoe lavorando senza posa – ma fuanche la conseguenza di unapporto venuto dall'esterno, efu sigillato da un nome: PaquitaMadriguera, pianista che si pro-digò per la gloria di Segoviaassai più che per la propria.

LA REGISTRAZIONEDEL CONCERTODI CASTELNUOVO-TEDESCONel 1948, Segovia suonò in

pubblico due delle Douze Étudesdi Villa-Lobos, ma l'evento dimaggior rilevanza nella sua atti-vità di interprete in quel periodofu la registrazione del Concertoin Re op. 99 di MarioCastelnuovo-Tedesco, effettuatal'anno seguente. Dopo aver col-laudato il concerto per nove annicon orchestre e direttori, Segoviascelse, per l'incisione discografi-ca, la New London Orchestra, enon si affidò alla bacchetta di undivo, ma a quella del direttorestabile della compagine londine-se, Alec Sherman, che assecondòle scelte interpretative segovianecon perfetta aderenza. Quellaregistrazione discografica rima-ne tuttora come una delle piùeloquenti prove dell'arte diSegovia. Sembra lecito domandarsi se

la decisione di registrare il con-certo fu dettata da motivazionipuramente artistiche – sulla cuiconsistenza non si può sollevareil minimo dubbio – o se influiro-no anche considerazioni strategi-che, nella condotta professionaledi Segovia sempre molto benponderate. Io credo che egli aves-se valutato realisticamente ilpotenziale del Concierto deAranjuez, che aveva ascoltato aBuenos Aires due anni primanell'esecuzione – da lui definita«mas lamentable» – di ReginoSainz de la Maza. Questi avevaregistrato, tra il 1947 e il 1948,per la Columbia, il Concierto conla Orquesta Nacionál de Españadiretta dal grande AtaulfoArgenta, che presto avrebbecooptato, per le future esecuzionie registrazioni del capolavoro diRodrigo, il giovane, e nienteaffatto lamentable, NarcisoYepes. A fronte di tutto ciò è evi-dente che il più grande e famosochitarrista del mondo non potevarimanere immobile. Ecco quindila decisione di far avanzare pertempo la torre Castelnuovo-Tedesco: fu una mossa moltoavveduta. In quel periodo, le composizio-

ni del maestro fiorentino – così

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come quelle di tanti altri validicompositori europei – erano pra-ticamente scomparse dai pro-grammi dei concerti di musicasinfonica e da camera in Europa.I bei tempi in cui Toscanini,Heifetz, Gieseking, Piatigorsky,interpretavano i lavori diCastelnuovo-Tedesco erano fini-ti, e il furore ideologico dellanuova musica e del suo apparatoaveva fatto mettere al bandotutto ciò che non si allineava aidettami della scuola diDarmstadt. Segovia fu l'unicointerprete di grande prestigiocapace, non di ribellarsi aldogma postweberniano, ma –molto più efficacemente – diignorarlo: seguitò a programma-re il suo Castelnuovo-Tedesco, ilsuo Ponce, il suo Turina, il suoMoreno-Torroba, come se nullafosse stato. In seguito, qualchesiluro l'avrebbe lanciato, masenza appassionarsi troppo aquella che non riusciva a consi-derare una battaglia né, tantomeno, una guerra. O forse, sepensava di trovarsi in guerra,era già sicuro di avere vinto.

L’ACCADEMIA CHIGIANA

Segovia non aveva mai svoltoun'attività di insegnante: non neavrebbe avuto il tempo e, data lastoria della sua formazione, nonera e non si sentiva preparatoper fare da maestro a dei giovanichitarristi. L'unica eccezione erastata quella di Abel Carlevaro,ma forse proprio in quell'espe-rienza Segovia aveva trovatoconferma della sua scarsa dispo-nibilità all'insegnamento. Ciònonostante, nel 1950 egli decisedi accettare l'invito del conteGuido Chigi Saracini, fondatoredell'Accademia Chigiana diSiena, prestigiosissima istituzio-ne nella quale si svolgevanocorsi estivi di perfezionamentoaffidati a grandi maestri: AlfredCortot, Pablo Casals, GasparCassadó, Nicanor Zabaleta,Fernando Germani, GuidoAgosti, Vito Frazzi e altri.Vedere la chitarra collocata, insiffatto contesto, allo stesso livel-lo del pianoforte, del violino, delvioloncello, dell'organo, etc., eraprospettiva alla quale Segovia,che dalla sua giovinezza lottavaper tale scopo, non potevamostrarsi indifferente. Questaconsiderazione gli fece superarele riserve che non poteva non

nutrire circa le sue competenzedi didatta. Per essere accettati ai corsi

dell'Accademia Chigiana, occor-reva innanzitutto aver completa-to gli studi in conservatorio (onelle analoghe istituzioni per icandidati stranieri); poi, biso-gnava superare un esame. Lachitarra, a quell'epoca, era inclu-sa nei piani di studio di pochissi-mi conservatori europei: quellodi Madrid, dove era in cattedraRegino Sainz de la Maza, e quel-lo di Vienna, dove insegnavaKarl Scheit. Non sarebbe statorealistico, dunque, esigere titolidi studio inesistenti; quanto allaprova d'esame, se Segovia avesseimposto ai candidati un pro-gramma paragonabile a quelloche si esigeva dai pianisti o daiviolinisti, la sua classe sarebberimasta deserta. Abbassò quindila difficoltà dell'esame, limitan-dosi a chiedere l'esecuzione dellescale, degli arpeggi di Giuliani edi un Preludio di Ponce – dellaserie da lui stesso definita facile.Quest'agevolazione fece sì che,fin dal 1950, egli potesse averedegli allievi, il cui numero sareb-be aumentato sensibilmentenegli anni successivi.Con la creazione della classe

di Segovia, l'AccademiaChigiana diede una scossa all'i-nerzia burocratica dei conserva-tori europei, ai cui direttoririsultava imbarazzante giustifi-care l'assenza, nelle loro istitu-zioni, di una cattedra di chitarra– strumento invece rappresenta-to al più alto livello in una scuo-la internazionale di perfeziona-mento. L'altra faccia della meda-glia fu la promozione sul campodei perfezionandi che, entrandoin luglio nelle saledell'Accademia di Siena senzaalcun vaglio della loro prepara-zione in materie fondamentalicome teoria e solfeggio, armonia,storia della musica, ne uscivanoad agosto con un titolo equiva-lente a quello degli altri stru-mentisti, che avevano alle lorospalle una formazione ben piùsolida. Poiché l'elenco degli “allievi di

Segovia” è sterminato, ci si puòesimere dal compilarlo: i curricu-

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Dal 1950 Segovia, su invito del Conte Chigi Saracini, tenne per molti anni dei seguitissimicorsi estivi a Siena presso l’Accademia Chigiana frequentati da allievi italiani e stranieri

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la in cui si legge che un chitarri-sta “ha studiato con Segovia”fanno parte di quella sfera mito-logica che questo libro non sipropone di indagare. Segovia,che in gioventù aveva dovutoscontrarsi con il tarreghismo,non poté impedire che intorno alui si formasse il segovianesimo,cioè un fenomeno culturalmentee musicalmente deteriore, alquale avrebbero dato avvio pseu-doallievi, devoti e seguaci: sitrattò di un caricaturale esempiodi fraintendimento di un'arteche, incompresa nella sua essen-za, venne pedissequamente imi-tata nelle sue manifestazioniesteriori, senza alcun risultatodegno di nota.Quando non gli fu possibile

essere presente a Siena, Segoviadelegò all'insegnamento il giova-ne maestro venezuelano AlirioDiaz, proveniente dalla scuola diCaracas, ove si era formato conRaul Borges, terminando i suoistudi al conservatorio di Madridcon Regino Sainz de la Maza.

EMILITAIl corso chigiano del 1958 fu

portatore di un evento di capita-le importanza nella sfera perso-nale di Segovia. Tra gli allievidella sua classe si distinguevauna giovane chitarrista madrile-na che frequentava il corso per ilquarto anno consecutivo. Sichiamava Emilia MagdalenaCorral Sancho. Segovia intratte-neva dai tempi della gioventùamicizia con suo padreAdelardo, un economista cheamava cantare accompagnando-si con la chitarra. Nel 1952, appena tornato in

Spagna, Segovia aveva fattovisita ad Adelardo Corral e allasua famiglia, e aveva ascoltatola ragazza, poco più che adole-scente, che studiava chitarracon Emilio Pujol. Le aveva con-sigliato di frequentare il suocorso estivo all'AccademiaChigiana. Emilia infatti lo fre-quentò a partire dal 1955. Nonmetteva limiti alla sua prepara-zione musicale: era molto avan-zata nello studio dell'armonia esi accingeva a iniziare il corso dicomposizione in conservatorio. Il

profilo della sua formazione eraquindi, all'epoca, nettamentediverso da quello dei chitarristiche frequentavano l'Accademiasenese (fatte, ovviamente, alcu-ne eccezioni). Il 12 agosto 1958, di sera, l'al-

lieva accompagnava il maestroin una passeggiata per le vie diSiena. Improvvisamente, lui ledichiarò i suoi sentimenti, chenon erano soltanto l'affettopaterno e la sollecitudine deldocente. Con uno di quei sopras-salti che già in passato avevanoimpresso svolte imprevedibilinella sua vita, Segovia cancellòla differenza di età che lo divide-va da Emilia Corral, dimenticòla propria gloria e i propri affan-ni, e volle identificarsi soltantocon quei sentimenti. Li sentivaforti e veri dentro di sé, e sirifiutò di soffocarli nella paura:paura del rifiuto, del giudizioaltrui, delle riprovazioni allequali sarebbe andato incontro.Si espose senza riserve, come sefosse stato un coetaneo diEmilia, e le chiese di sposarlo.Con serena consapevolezza, leigli dichiarò che lo corrispondevae che accettava di diventare lanuova compagna della sua vita.Anch'ella dovette superare lapaura: era giovane, ma nonignara della montagna di mali-gni pettegolezzi che la sua sceltaavrebbe sollevato, dell'invidia edel livore che molti tra i devotidel maestro avrebbero nutritonei suoi confronti. Anche lei,come Segovia, seppe guardaresolo ai suoi sentimenti, e lasciarda parte ogni altra considerazio-ne.Il modo con cui Segovia diede

avvio al nuovo periodo della suaesistenza fu coerente con laforza della sua risoluzione.Semplicemente, non tornò piùnel suo appartamento di NewYork, come se questo fosse statoincenerito. Si sistemò provviso-riamente in casa dell'amicooftalmologo, il dottorCastroviejo, mentre prendevacorpo il progetto di fissare ladimora di quella che sarebbediventata la sua nuova famigliain quel di Madrid. Olga Coelholo aspettò invano. Non si rivi-

derò più. In seguito, anche leiabbandonò la casa di New Yorke fece ritorno in Brasile. Il fidanzamento tra Andrés ed

Emilita sarebbe durato fino al1962. Si sposarono civilmente(per la Chiesa Segovia era anco-ra il marito di Adelaida Portillo)il 23 agosto di quell'anno, aGibilterra. Il matrimonio religioso sareb-

be stato celebrato il 30 ottobre1980 a Madrid.La nuova famiglia si insediò

nella residenza madrilena diAvenida Concha Espina, doveavrebbe abitato fino alla scom-parsa del maestro. Quella fu lacasa in cui Segovia risiedettepiù a lungo nella sua vita.All'abitazione principale, sisarebbero aggiunte altre dueresidenze: la villa chiamata LosOlivos, situata sulla costa anda-lusa, nella cittadina diAlmuñecar, e precisamente inuna località chiamata LaHerradura, e la casa di Ginevra,città per la quale Segovia nutri-va una speciale predilezione:era, per lui, la Montevideod'Europa.Dopo tante peripezie, Segovia

aveva finalmente incontratoquella risposta che lo avrebbefatto sentire realizzato nella vitaoltre che nell'arte, e poco gliimportava di aver trovato taleapprodo soltanto nella fase con-clusiva della sua esistenza; anzi,non poteva aspettarsi di avereancora, davanti a sé, ben venti-cinque anni di sopravvivenza – ipiù sereni che avrebbe attraver-sato. Quanto a lei, sarebbestata Emilita e nient'altro. Lachitarra, la musica, la sua car-riera, tutto sarebbe stato custo-dito nello scrigno dei ricordi:essere degnamente la moglie diSegovia sarebbe diventato il suounico scopo. Che a ispirarla nei confronti

del maestro fosse un sentimentod'amore autentico e di devozionetotale e incondizionata, Emilitalo dimostrò nei venticinque annidi matrimonio, ma anche – esoprattutto – dopo la scomparsadi Segovia. L'ingresso della gio-vane sposa nella vita dell'anzia-no maestro portò una ventata di

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Page 14: L’uomoche sussurravaallachitarra · Andrés Segovia: Bonifacio Segovia Montoro e Rosa Torres Cruz, lui nato a Jaén, dove risie-deva e lavorava, lei originaria di Málaga. Bonifacio

fresca energia, ma anche l'ordi-ne, la tranquillità, la stabilitàche da lungo tempo egli invanocercava: dopo i fallimenti deimatrimoni con Adelaida Portilloe con Paquita Madriguera, edopo la tormentata relazione conOlga Praguer Coelho, le nozzecon Emilia Corral rappresenta-rono per Segovia l'approdo inquel porto di pace che avevasognato e cercato con tutte lesue forze.Lungi dal creare un caos gio-

vanile, Emilita mise, in casaSegovia, ogni cosa al suo posto –e non soltanto gli oggetti. Luifingeva una divertita sudditanzaalla “nuova padrona”, ma inrealtà era contentissimo di quel-la ripulitura. Ne beneficiavanola sua serenità, il suo tempo e lasua concentrazione, ora protettidalle pressioni dei molestatori. Dopo la dipartita di Segovia,

Emilita ha continuato a vivere

nell'amore e nella devozione perlui, e non ha minimamente pen-sato di “rifarsi una vita”: uscitadalla norma e dalla consuetudi-ne nel momento in cui avevaaccettato di sposarlo, se ne ètenuta fuori anche come vedova,sentendosi legata al vincolo difedeltà matrimoniale come se ilmarito fosse ancora accanto alei, vivo e presente in ognimomento. Non ho mai vistomatrimonio più saldo e verace diquello di Andrés Segovia e diEmilia Corral.

EXIT SEGOVIAIl 21 febbraio 1987 Segovia

festeggiò contemporaneamente ilsuo novantaquattresimo com-pleanno e le nozze d'argento conEmilita. Alla cerimonia parteci-parono numerosi amici, con iquali il maestro conversò ama-bilmente, annunciando alla finela sua prossima tournée negli

Stati Uniti. Constatato lo sbalor-dimento dei presenti, egliaggiunge:«Non dubitate: nonostante

l'età, il lavoro è il mezzo miglioreper tener viva una persona». Giunse a New York, insieme

alla moglie, il 5 marzo, e neigiorni 8, 9 e 10 tenne una seriedi masterclasses alla ManhattanSchool of Music, ricevendo lalaurea ad honorem dal direttoredella famosa istituzione.Sentendosi in buone condizioni,insistette affinché Emilita tor-nasse in Spagna: gli sarebbebastata l'assistenza del segreta-rio Stewart J. Warkow. Il 4 apri-le fu a Miami, dove suonò alTheatre of the Performing Arts.L'ultimo pezzo che egli suonò inpubblico fu un Allegretto del suoamico Manuel Ponce. Poi, le suecondizioni cardiache si fecero cri-tiche. Tornò a New York conWarkow, e lo raggiunse subitoEmilita. Fu ricoverato al CabriniHospital, e si riprese. I coniugitornarono a Madrid il 28 aprile.Si riposò per tutto il mese di

maggio nell'appartamento diAvenida Concha Espina. Erasereno, e faceva progetti per laprossima tournée, curandosidella scelta del programma. Nonusciva, ma riceveva gli amici.Il 3 giugno 1987, alle 7 del

mattino, Segovia si desta e chie-de a Emilita di aiutarlo ad alzar-si dal letto: vuole andare in sog-giorno. Lei lo persuade a rimane-re coricato, e si alza per prepara-re la colazione al figlio CarlosAndrés, che deve andare a scuo-la. Tuttavia, prega il ragazzo dirimanere accanto al padre e diassisterlo. Pochi minuti dopo,Carlos Andrés la chiama e ledice che non riesce più a sentireil polso del genitore. Telefonanosubito al dottor Ángel Castilla,medico curante. Trascorrerannopochi minuti prima che questi,come sempre sollecito, giunga.Nel frattempo, Segovia trova unfilo di voce e dice alla moglie e alfiglio le ultime due parole: «Memuero». Alle 7,30, cala il sipario.Andrés Segovia Torres è partitoper il viaggio definitivo.

(per gentile autorizzazionedelle edizioni Curci

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Nel 1958 si iscrive ai corsi che Segovia tiene a Siena Emilia Corral. Lui ha 65 anni, lei 42 in meno. Tra i due scocca il colpo di fulmine, si fidanzano e nel 1962 si sposano primacivilmente poi, alla morte di Adelita Portillo (la seconda moglie di Segovia da cui eraseparato), nel 1980 in chiesa. Dalla loro unione nascerà nel 1970 Carlos Andrés. Oggi Emilia Segovia ha 77 anni e si divide tra le sue case di Ginevra e di Madrid

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