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1 L’ULTIMO NEL PRIMO L’UOMO AD IMMAGINE E SOMIGLIANZA NELLA TRADIZIONE CRISTIANA PRIMITIVA E PATRISTICA A Pier Cesare Bori, con gratitudine Un tema enormemente complesso quale quello dell’imago Dei non può, in questa sede, che essere affrontato per schematizzazioni, tagli e semplificazioni. Cercherò quindi di fornire una semplice, ovviamente selettiva rassegna storico-teologica del tema, per mezzo della quale almeno emergano le linee di tendenza predominanti di quella traiettoria evolutiva, che segna – al tempo stesso – l’ellenizzazione sempre più sistematica dell’antropologia cristiana primitiva e la capacità di resistenza che questa pure testimonia, polarità di un’irriducibile tensione dialettica tra kerygma semitico (escatologico-carismatico) e cultura greca (ontologizzante, intellettualizzante, moralizzante). Certo, nell’assestarsi protocattolico del cristianesimo patristico, evidente sarà il il passaggio di predominanza dal primo al secondo polo, che trasforma a) la rivelazione escatologica del dono di grazia fruito in Cristo, redivivo o nuovo Adamo, nella b) perfezione protologica, archeologica, ontoteologica del primo Adamo, ripensando a) il Signore escatologico in b) Principio ontoteologico che è l’Immagine; d’altra parte, inevitabilmente la polarità semitica, apparentemente recessiva, condizionerà la genesi della protologia metafisica patristica (tant’è che il Primo Uomo-Immagine diviene storicamente l’Ultimo redentore dell’immagine lapsa), fino al punto da riconvertirla radicalmente, con Agostino, alla sua immanente, gratuita, “anarchica” matrice escatologico-carismatica. Insomma, l’ultimo Adamo, spirituale rivivificazione messianica del primo Adamo, sarà capace prima di escatologizzare l’archeologia ontoteologica ellenisticamente configurata, quindi di riaffermare la sua carismatica, eccedente, ultima egemonia sullo stesso assetto metafisico che aveva cercato di imbrigliarlo. L’ultimo nel primo è, quindi, una formula con la quale si vuole indicare al tempo stesso a) un processo di normalizzazione ontotelogica che è, paradossalmente, anche b) un processo di escatologizzazione carismatica della protologia metafisica. La portata culturale di questa contaminazione teologica è incalcolabile: la definizione di un’antropologia ontologicamente, quindi universalmente “graziata”, a partire dall’annuncio della carismatica ed escatologica donazione della pienezza che Cristo opera nel primo Adamo, è probabilmente la memoria più profonda della nozione occidentale di universale dignità della persona/creatura umana, e forse, in ultima analisi – ovviamente eccedente i limiti di questo lavoro –, della nostra (sempre “a-venire”, mai secolarmente realizzata e realizzabile, erede non sempre consapevole dell’antica attesa escatologica cristiana) “idea” di democrazia. I- LA TRADIZIONE GIUDEOCRISTIANA PRIMITIVA ED IL NUOVO TESTAMENTO Chiaramente, è necessario prendere le mosse dai testi cristiani primitivi e dalla loro interpretazione di Gesù come il Messia/Cristo rivelatore/ispiratore di un’autentica/nuova identità umana, mettendo in rilievo la forte tensione che precocemente caratterizza modalità alternativa di interpretazione della portata rivelativa del messianico “Uomo ad immagine”. Mi limito ad indagare molto approssimativamente: 1) i testi confluiti, poi, nel Nuovo Testamento (comunque attestanti linee teologiche ed antropologiche assai diverse, talvolta persino reciprocamente conflittuali); 2) la cosiddetta tradizione giudeo-cristiana, che potremmo meglio connotare come tradizione ebionitica antipaolina; 3) la decisiva, e per certi aspetti almeno, vincente interpretazione paolina; 4) le profonde innovazioni operate all’interno della tradizione deuteropaolina e giovannea. I,1 - La tradizione giudeocristiana primitiva E’ stata rintracciata, nella descrizione del battesimo e della tentazione di Gesù che apre il Vangelo di Marco, una velata presenza di una cristologia che potemmo definire adamitica 1 . L’uomo Gesù, ricevendo dall’alto lo Spirito Santo e la proclamazione di Figlio prediletto («oJ uiJovò mou oJ 1 Cf. R. PESCH, Das Markusevangelium, Freiburg im Breisgrau 1977(2), tr. it. Il vangelo di Marco, Brescia 1980, I, 159- 178, in part. 166-173; e più recentemente M.É. BOISMARD, L’évangile de Marc. Sa prèhistoire, Paris 1994, 55-58. Sul tema, rimando a G. LETTIERI, L’ambiguità dell’Eden e l’enigma di Adamo. Da Filone ad Agostino, Roma 1999, in part. 27-31; una traduzione inglese parziale, con il titolo The Ambiguity of Eden and the Enigma of Adam, è in F.R. Psaki- Ch. Hindley (edd.), The Earthly Paradise. The Garden of Eden from Antiquity to Modernity, Binghamton-New York 2002, 23-54; cf., in part., 25-29. La connessione adamitica tra battesimo e tentazione nel deserto è già proposta da GIUSTINO, Dialogo con Trifone 103,6; cf. anche IRENEO, Adversus Haereses V,21,2.

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L’ULTIMO NEL PRIMO L’UOMO AD IMMAGINE E SOMIGLIANZA NELLA TRADIZIONE CRISTIANA PRIMITIVA E PATRISTICA

A Pier Cesare Bori,

con gratitudine

Un tema enormemente complesso quale quello dell’imago Dei non può, in questa sede, che essere affrontato per schematizzazioni, tagli e semplificazioni. Cercherò quindi di fornire una semplice, ovviamente selettiva rassegna storico-teologica del tema, per mezzo della quale almeno emergano le linee di tendenza predominanti di quella traiettoria evolutiva, che segna – al tempo stesso – l’ellenizzazione sempre più sistematica dell’antropologia cristiana primitiva e la capacità di resistenza che questa pure testimonia, polarità di un’irriducibile tensione dialettica tra kerygma semitico (escatologico-carismatico) e cultura greca (ontologizzante, intellettualizzante, moralizzante). Certo, nell’assestarsi protocattolico del cristianesimo patristico, evidente sarà il il passaggio di predominanza dal primo al secondo polo, che trasforma a) la rivelazione escatologica del dono di grazia fruito in Cristo, redivivo o nuovo Adamo, nella b) perfezione protologica, archeologica, ontoteologica del primo Adamo, ripensando a) il Signore escatologico in b) Principio ontoteologico che è l’Immagine; d’altra parte, inevitabilmente la polarità semitica, apparentemente recessiva, condizionerà la genesi della protologia metafisica patristica (tant’è che il Primo Uomo-Immagine diviene storicamente l’Ultimo redentore dell’immagine lapsa), fino al punto da riconvertirla radicalmente, con Agostino, alla sua immanente, gratuita, “anarchica” matrice escatologico-carismatica. Insomma, l’ultimo Adamo, spirituale rivivificazione messianica del primo Adamo, sarà capace prima di escatologizzare l’archeologia ontoteologica ellenisticamente configurata, quindi di riaffermare la sua carismatica, eccedente, ultima egemonia sullo stesso assetto metafisico che aveva cercato di imbrigliarlo. L’ultimo nel primo è, quindi, una formula con la quale si vuole indicare al tempo stesso a) un processo di normalizzazione ontotelogica che è, paradossalmente, anche b) un processo di escatologizzazione carismatica della protologia metafisica. La portata culturale di questa contaminazione teologica è incalcolabile: la definizione di un’antropologia ontologicamente, quindi universalmente “graziata”, a partire dall’annuncio della carismatica ed escatologica donazione della pienezza che Cristo opera nel primo Adamo, è probabilmente la memoria più profonda della nozione occidentale di universale dignità della persona/creatura umana, e forse, in ultima analisi – ovviamente eccedente i limiti di questo lavoro –, della nostra (sempre “a-venire”, mai secolarmente realizzata e realizzabile, erede non sempre consapevole dell’antica attesa escatologica cristiana) “idea” di democrazia.

I- LA TRADIZIONE GIUDEOCRISTIANA PRIMITIVA ED IL NUOVO TESTAMENTO Chiaramente, è necessario prendere le mosse dai testi cristiani primitivi e dalla loro

interpretazione di Gesù come il Messia/Cristo rivelatore/ispiratore di un’autentica/nuova identità umana, mettendo in rilievo la forte tensione che precocemente caratterizza modalità alternativa di interpretazione della portata rivelativa del messianico “Uomo ad immagine”. Mi limito ad indagare molto approssimativamente: 1) i testi confluiti, poi, nel Nuovo Testamento (comunque attestanti linee teologiche ed antropologiche assai diverse, talvolta persino reciprocamente conflittuali); 2) la cosiddetta tradizione giudeo-cristiana, che potremmo meglio connotare come tradizione ebionitica antipaolina; 3) la decisiva, e per certi aspetti almeno, vincente interpretazione paolina; 4) le profonde innovazioni operate all’interno della tradizione deuteropaolina e giovannea.

I,1 - La tradizione giudeocristiana primitiva E’ stata rintracciata, nella descrizione del battesimo e della tentazione di Gesù che apre il

Vangelo di Marco, una velata presenza di una cristologia che potemmo definire adamitica1. L’uomo Gesù, ricevendo dall’alto lo Spirito Santo e la proclamazione di Figlio prediletto («oJ uiJovò mou oJ

1Cf. R. PESCH, Das Markusevangelium, Freiburg im Breisgrau 1977(2), tr. it. Il vangelo di Marco, Brescia 1980, I, 159-

178, in part. 166-173; e più recentemente M.É. BOISMARD, L’évangile de Marc. Sa prèhistoire, Paris 1994, 55-58. Sul tema, rimando a G. LETTIERI, L’ambiguità dell’Eden e l’enigma di Adamo. Da Filone ad Agostino, Roma 1999, in part. 27-31; una traduzione inglese parziale, con il titolo The Ambiguity of Eden and the Enigma of Adam, è in F.R. Psaki- Ch. Hindley (edd.), The Earthly Paradise. The Garden of Eden from Antiquity to Modernity, Binghamton-New York 2002, 23-54; cf., in part., 25-29. La connessione adamitica tra battesimo e tentazione nel deserto è già proposta da GIUSTINO, Dialogo con Trifone 103,6; cf. anche IRENEO, Adversus Haereses V,21,2.

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ajgaphtovò»: 1,11), sarebbe il nuovo Adamo, generato spiritualmente dalla femminile Ruah, che, discendendo sulle acque di nuova vita, lo “cova”2, generandolo come uomo “ad immagine e somiglianza” di Dio3. La prova del carattere adamitico della restituzione marciana dell’evento battesimale è quella fornita dall’episodio delle tentazioni nel deserto, ove Gesù – trasportato violentemente dallo Spirito – è inutilmente tentato da Satana per quaranta giorni4, mentre, in compagnia delle bestie feroci rese mansuete, è servito dagli angeli5: la rivincita dell’“uomo ad immagine di Dio” contro Satana tentatore nel deserto (antiEden) è simbolicamente indicata dalla ricostituzione della condizione edenica (signoria sugli angeli e sulle bestie feroci6), come profetizzato da Isaia, che connetteva l’escatologica discesa dello «Spirito dall’alto» sul Messia atteso alla trasformazione del deserto in paradiso7. Gesù è quindi l’uomo messianico, il “Figlio prediletto” (Mc 1,11 e 9,7) adottato da Dio al Giordano8 e trasfigurato nella luce, insieme con Mosè ed Elia, sul Tabor (cf. Mc 9,2-8).

Ma anche se paresse forzato ipotizzare nel racconto del battesimo di Gesù, nuovo Adamo, un’eco di Gen 2,7 – Dio crea Adamo soffiandogli il suo soffio/Spirito vitale –, ritengo sia assai probabile che in Marco affiori, pure se piuttosto indirettamente, la nozione dello Spirito come madre di Gesù. In Mc 3,20-21 e 3,31-35 è presentato lo scandaloso episodio della reciproca sconfessione tra Gesù e la sua famiglia: a sua madre e ai suoi fratelli che lo considerano ossesso – «è fuori di sé (ejxevsth)» (3,21), cioè «posseduto da uno spirito immondo (pneu=ma ajkavqarton ejvcei)» (3,30) –, Gesù risponde disconoscendo la sua famiglia ed affermando: «Ecco mia madre e i miei fratelli. Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella, madre» (3,34-35). Mi pare evidente che qui il pur non perfettamente coerente testo di Marco faccia emergere l’idea di Gesù come figlio non (più) della madre carnale, ma dello Spirito Santo: l’uomo generato dallo Spirito (al battesimo) è colui che chiama i discepoli ad una nuova identità antropologica, che, chiedendo l’abbandono alla volontà di Dio, affratella, universalizzando il dono dell’elezione e strappando all’ambito ristretto della famiglia naturale. Mi pare rilevante sottolineare come, nello specifico contesto “premarciano” di questo brano, l’annuncio della “nuova” famiglia pneumatica da parte del “nuovo” Adamo non sembri prevedere una particolare preminenza di Gesù rispetto ai fratelli, nella condivisa fruizione dello Spirito Santo, escatologica madre del popolo di Dio.

2Cf. quanto afferma GIROLAMO, Liber quaestionum hebraicarum in Genesim, 4,8: «Et Spiritus Dei ferebatur super

aquas. Pro eo, quod in nostris codicibus scriptum est ferebatur, in hebraeo habet marahaefeth, quod nos appellare possumus incubabat sive confovebat, in similitudinem volucris ova calore animantis».

3Ricordo che, per alcune tradizioni rabbiniche (anticristiane?), lo Spirito che aleggiava (o meglio “covava”) sulle acque in Gen 1,2 era identificabile con l’anima di Adamo (contrazione protologica delle anime di tutti gli uomini) o con la stessa anima del Messia: cf. L. GINZBERG, The Legends of the Jews, I, New York 1909, tr. it. Le leggende degli ebrei. I: dalla creazione al diluvio, Milano 1995, 185, nota 15. Sulla caratterizzazione adamitica dell’attesa messianica giudaica in età ellenistica, cf. W. BOUSSET, Die Religion des Judentums im späthellenistischen Zeitalter, Tübingen 1926, 259-268, in part. 261. Rivelativo un brano dal Testamento di Levi: «Egli [il messia] aprirà le porte del paradiso e devierà la spada puntata contro Adamo. Darà da mangiare dall’albero della vita ai santi e su di essi starà lo spirito di santità» (18,10-11). Che l’interpretazione adamitica della rivelazione di Gesù (e della chiesa come nuova Eva) agisse anche al di fuori della tradizione più strettamente giudeo-cristiana, come anche di quella paolina, è attestato, oltre che da vari spunti della tradizione giovannea (cf. Ap 12; 17; 21), dal frammento 16 di Papia, trasmessoci da Anastasio Sinaita: cf. PAPIA DI GERAPOLI, Esposizione degli oracoli del Signore. I frammenti, Milano 2005, 428-429 e le relative note di commento di E. Norelli, 430-433.

4Nel Libro dei Giubilei III,9, Adamo attende quaranta giorni, dopo essere stato creato sulla terra, prima di entrare nell’Eden; cf. A. ORBE, Los primeros 40 dias de Adán, in «Gregorianum» 46, 1965, 96-103.

5Sugli alberi del paradiso dei quali Adamo può nutrirsi come angeli, cf. Apocalisse di Mosè 7; ne Il libro di Baruch dello gnostico Giustino, in ps.Ippolito, Elenchos V,23-27, in part. 26,5-6, tutti gli alberi del paradiso sono interpretati come angeli. In Vita di Adamo ed Eva 4, è contrapposto il cibo animale che i progenitori sono costretti a mangiare dopo la cacciata dal paradiso al cibo paradisiaco; Adamo propone pertanto una penitenza di quaranta giorni.

6Un esito altamente simbolico della perdita della divinizzante “immagine di Dio” da parte di Adamo è l’inimicizia con le bestie feroci: cf. Apocalisse di Mosè 10-11; Vita di Adamo ed Eva 37-38; Apocalisse siriaca di Baruch 73,6-7.

7Sulla connessione tra effusione escatologica dello Spirito, rivelazione del messia (su di lui «riposerà lo Spirito»: sec. LXX ajnapauvsetai), riconciliazione tra gli animali (feroci e mansueti) e gli uomini, ristabilimento della pace paradisiaca (con riferimento al «santo monte» di Dio), cf. ovviamente Isaia 11. La tradizionale dialettica Eden-deserto affiora, del tutto evidentemente, in Isaia 51,3 («Il Signore… rende il suo deserto come l’Eden, il suo deserto come il giardino (sec. LXX: paravdeison) del Signore») e soprattutto 32,15-18: «Ma infine in noi sarà infuso uno spirito dall’alto (LXX: pneu=ma ajf*uJyhlou=); allora il deserto diventerà un giardino»; cf. anche Isaia 29,17, ove il Libano è trasformato da Dio in giardino (sec. LXX: «in monte Carmelo»); 35,1-2; 65,25. Per la discesa dello Spirito sul servo eletto portatore pacifico di misericordia e di riscatto, cf. Isaia 41,2-9; sulla discesa dello Spirito sull’eletto come unzione messianica, cf. Isaia 61,1-2.

8Sul Giordano come vera e propria porta del cielo, luogo deputato all’elezione del profeta messianico ripieno di Spirito, cf. ovviamente 2Re 2,1-25: è al Giordano che Elia (che, dirigendosi verso l’Oreb, il monte della teofania di Dio, era stato nutrito per quaranta giorni nel deserto dagli angeli: cf. 1Re 19,4-13) ascende al cielo; è al Giordano che Eliseo riceve lo spirito di Elia; al Giordano il Battista, profeta ripieno di Spirito, somministra il suo battesimo escatologico; è al Giordano che la comunità primitiva vede Gesù, nuovo Eliseo battezzato da Giovanni, come il messia-profeta atteso.

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Che quest’ipotesi sia tutt’altro che peregrina è confermato – oltre che da una rivelativa testimonianza di Epifanio sugli ebioniti9 – da alcuni importantissimi fossili di vangeli giudeocristiani, in particolare da alcuni frammenti – trasmessici da Origene e Girolamo – del Vangelo degli Ebrei. Origene ci riporta un fondamentale

«passo del Vangelo secondo gli Ebrei, dove il Salvatore pronuncia queste parole: “Poco fa mi prese mia madre, lo Spirito Santo, per uno dei miei capelli e mi trasportò sul gran monte Tabor”»10. Il testo torna ben tre volte, con minime varianti, in Girolamo11. Questo testo rappresenta un

illuminante parallelo con Mc 3,24: «Subito lo Spirito lo sospinse (ejkbavllei) nel deserto». Il Figlio è abitato dallo Spirito – Madre divina e non più carnale – che lo strappa alla sua vecchia identità, gli dona una nuova identità pneumatica, lo muove con divina, indominabile potenza: dal battesimo al deserto, o dal battesimo al Tabor, monte della tentazione (cf. Mt 4,8) e della trasfigurazione (la tradizione cristiana identificherà proprio con il Tabor l’alto monte in questione)12, ove ripetutamente è riaffermata l’identità pneumatica del nuovo Figlio ajgaphtovò; è in forza di questa potenza divina che opera in lui, che Gesù – immagine di Dio in quanto “ossesso dello Spirito” – opera i suoi miracoli, attestando personalmente la presenza di Dio nel regno che viene, quindi la realizzazione dell’attesa escatologica. Si noti comunque che l’immagine dell’essere preso per i capelli dalla Madre-Spirito dipende da Ezechiele 8,3 (ma cf. anche 37,1): a testimonianza della natura eminentemente profetica della cristologia giudeocristiana. Un’altra testimonianza geronimiana, sempre derivata dal Vangelo secondo gli ebrei, è altamente significativa:

«Nel vangelo scritto in ebraico che leggono i nazarei… troviamo scritto: Ora, quando il Signore fu uscito dall’acqua, discese l’intera sorgente dello Spirito Santo, si riposò su di lui e gli disse: “Figlio mio, io ti attesi in tutti i profeti, perché tu venissi ed io mi potessi riposare su di te. Tu difatti sei la mia requie. Tu, il figlio mio primogenito, che regni in eterno”»13. Il brano è particolarmente interessante proprio perché mette in bocca allo stesso Spirito Santo-

Madre, discesa sulle acque in tutta la sua potenza vivificante, la proclamazione di Gesù come proprio Figlio eletto. Egli è definito come primogenito (è possibile qui scorgervi un riferimento ad Adamo redivivo?) e come «requies» dello Spirito divino, presentando una profonda assonanza – come vedremo tra breve – con alcuni passi di altri fossili giudeocristiani presenti nelle Pseudoclementine, che propongono – in particolare nelle Omelie – l’identificazione di Gesù con l’Adamo edenico impeccabile. Ma prima di affacciarci sul complicato scenario pseudoclementino, è opportuno ricordare la variante lucana della proclamazione battesimale della filialità divina di Gesù – attestata ad esempio da Giustino14 –

9Cf. EPIFANIO DI SALAMINA, Panarion I,XXX,14,5: «Essi [gli ebioniti] ricusano di conoscerlo [Cristo] come un uomo,

evidentemente a causa della frase che il Salvatore pronunciò quando gli fu detto: “Ecco tua madre e i tuoi fratelli sono fuori”, vale a dire: “Chi è mia madre e i miei fratelli?”». Ovviamente, il non riconoscere Gesù come uomo se spinge questa specifica tradizione “ebionitica” o giudeocristiana al di fuori di una troppo ristretta interpretazione della cristologia del “nudo uomo”, d’altra parte non significa affatto affermare una cristologia alta; sarebbe piuttosto definibile come peculiare cristologia dello Spirito: Gesù diviene figlio di Dio in senso forte, in quanto adottato da Dio e generato dal suo Spirito al momento del battesimo. Essa risulta affine – come vedremo – a quella dei due Teodoto, rivelando una certa parentela con quella degli strati “ebionitici” delle Pseudoclementine.

10ORIGENE, Commento a Giovanni II,87; cf. Omelie su Geremia 15,4. Sull’essere trasportato dallo Spirito per i capelli, cf. Ez 8,3, sec. LXX.

11Girolamo, che dichiara di aver tradotto in greco e latino (GIROLAMO, De viris inlustribus 2-3) «il Vangelo degli ebrei utilizzato presso “i nazarei”» (Commentarii in Isaiam IV,11,1; XI,40,9; XVIII, Praefatio), non fa mai riferimento al Tabor, sicché le sue affermazioni potrebbero essere riferibili alla tentazione postbattesimale: cf. Commentarii in Micheam II,7,6 (ove ricorre la specificazione che Gesù è stato preso per un capello e si sottolinea il genere femminile dell’ebraico ruah); ComIsaiam XI, 40,9; Commentarii in Ezechielem IV,16,13. Si noti che lo stesso ORIGENE, in ComGv II,88, interpreta il passo del Vangelo degli Ebrei tramite l’esegesi di Mt 12,50=Mc 3,34, evidenziandone la profonda affinità. Per un’interpretazione dei frammenti origeniani e geronimiani in questione, cf. A.F.J. KLIJN, Jewish-Christian Gospel Tradition, Leiden-New York-Kobenhavn-Köln 1992, 52-55.

12Sull’identificazione del Tabor come monte della trasfigurazione, cf. ORIGENE, Selecta in psalmum 88; sull’identificazione del Tabor come monte della tentazione, cf. EPIFANIO, Panarius LI,7.

13«Porro in evangelio, cuius supra fecimus mentionem, haec scripta reperimus: “Factum est autem cum ascendisset dominus de aqua, descendit fons omnis Spiritus Sancti, et requievit super eum, et dixit illi: Fili mi, in omnibus prophetis exspectabam te, ut venires, et requiescerem in te. Tu es enim requies mea, tu es filius meus primogenitus, qui regnas in sempiternum”» (Vangelo secondo gli ebrei, in GIROLAMO, ComIsaiam IV,11,1-2); sul frammento in questione, cf. A.F.J. KLIJN, Jewish-Christian Gospel Tradition…, 98-101.

14«… quando Gesù salì dal fiume Giordano e la voce gli ebbe detto: “Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato”…» (GIUSTINO, DialTrif 103,6); in 88,8, Giustino chiaramente cerca di accordare con la sua cristologia del Logos la battesimale citazione adozionistica del Salmo 2: il “generare oggi” il Figlio significa il cominciare a farlo conoscere a partire dal battesimo.

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, che fa coincidere il dettato della voce divina con la citazione del Salmo 2,7: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»15. Concludendo, se la scena sinottica della discesa dello Spirito su Gesù al Giordano è interpretata come generazione del Figlio da parte di Dio e del suo Spirito, non le è inevitabilmente sottesa l’interpretazione di Gesù come (nuovo) Adamo, come “l’uomo ad immagine” nel quale si riflette la natura androgina del Dio genesiaco, che in Gen 1,27 crea il protoplasto come “maschio-femmina”? Certo, una domanda può mettere in radicale discussione quest’ipotesi: perché Marco, Matteo, Luca non definiscono Gesù come “immagine” di Dio o addirittura come (nuovo) Adamo (come farà esplicitamente Paolo, che tra l’altro restituirà come “maschio-femmina” l’uomo nuovo generato dal battesimo)? E’ quest’interrogativo l’unico forte argomento che trattiene dal proclamare come sistematica cristologia adamitica quella applicata alla memoria del battesimo di Gesù dai sinottici ed eventualmente dalle tradizioni alle quali essi attingono.

I,2 – I fossili giudeo-cristiani del corpus pseudoclementino Certo, alcune tradizioni giudeo-cristiane primitive non hanno avuto esitazione alcuna a procedere

nella direzione di una sistematica adamizzazione di Gesù profeta-messia. Mi riferisco in particolare a quella per noi davvero sfuggente tradizione “ebionitica”16, che si richiamava all’autorità di Giacomo e di Pietro ed avversava violentemente l’apostata Paolo: tradizione sempre più settaria – perché messa in minoranza dalle interpretazioni prima “matteana”, quindi soprattutto paolina e giovannea, infine protocattolica del messaggio –, affine a quella elcasaitica, la cui riflessione teologica è confluita nel cosiddetto corpus pseudoclementino (attualmente composto da tre lettere e venti Omelie greche e dal romanzo delle Recognitiones, tradotto in latino da Rufino), diacronica stratificazione di prospettive teologiche assai diverse, all’interno della quale è comunque possibile risalire ad un strato arcaico giudaico-cristiano17. Nelle Omelie pseudoclementine, Gesù è identificato con l’archetipico, preesistente Adamo, interpretato come principale angelo creato da Dio. Egli è «il vero Profeta, l’uomo, creato ad immagine e somiglianza [di Dio]»18, arconte degli uomini e dotato inalienabilmente dello Spirito Santo, che lo rende ab origine Cristo19, in quanto unto con l’olio dell’albero edenico della vita20. Proprio perché originariamente ripieno di Spirito Santo, Adamo è impeccabile, prima e definitiva personificazione di quella funzione rivelativa e soterica, che soltanto in Gesù approda alla sua ultima requies/ajnauvpasiò21:

«Se non si vul concedere che l’uomo concepito dalle mani di Dio ha il santo Spirito di Cristo (toV aJvgion Cristou=... pneu=ma), come si potrà, senza un’enorme empietà, concedere che lo abbia un altro, nato da una goccia impura? Sarà invece il culmine della pietà il rifiutare il possesso di questo Spirito a chiunque altro

15Cf. Ebrei 1,5 e 5,5 (ove il riferimento al battesimo non è comunque esplicito) ed Atti 13,33 (ove il versetto è però

riferito al Gesù risorto). 16In tal senso, essa può essere definita, seppure con un’inevitabile approssimazione, ebionitica, considerando quanto agli

ebioniti attribuisce Eusebio: «si dovevano rifiutare tutte le epistole dell’apostolo, da loro chiamato apostata della Legge» (EUSEBIO DI CESAREA, Storia ecclesiastica III,27,4). Come vedremo, l’ispirazione antipaolina è costante e fondamentale nel corpus pseudoclementino, anche se diacronicamente dilatato, sicché sulle originarie figura e teologia del nemico Paolo (pure mai apertamente nominato), si sovrappongono prima la maschera tradizionalmente polemica di Simon Mago, quindi le teologie “deuteropaoline” marcionite e gnostiche.

17Sull’intricatissima questione del corpus pseudoclementino, sulla formazione dei testi che vi confluiscono (in particolare sul rapporto tra Omelie e Recognitiones) e sulla sua secolare stratificazione, qui mi limito a rinviare alle introduzioni ai testi in P. Geoltrain e J.-D. Kaestli (edd.), Écrits apocryphes chrétiens, II, Paris 2005, nella sezione intitolata Roman pseudo-clémentin, 1173-2003, in part. L. CIRILLO, Introduction, 1175-1192; ad A. LE BOULLUEC, Introduction aux “Omelies”, 1195-1214; L. CIRILLO e A. SCHNEIDER, Introduction aux “Reconnaissances”, 1593-1621; più in particolare, su uno strato assai antico delle Recognitiones, cf. F.S. JONES, An Ancient Jewish Christian Source on the History of Christianity. Pseudo-Clementine Recognitions, I, 27-71, Atlanta 1995; C. GIANOTTO, Alcune riflessioni a proposito di Recognitiones I,27-71: la storia della salvezza, in S.C. Mimouni e F.S. Jones (edd.), Le Judéo-christianisme dans tous ses états, Paris 2001, 213-230; F. MANNS, Jérusalem, Antioche, Rome. Jalons pour une théologie de l’eglise de la circoncision, Milano-Jerusalem 2009, 216-242, con una documentata ricostruzione della storia della ricerca.

18PSEUDO-CLEMENTE, Omelie X,3,3; cf. VIII,10,1-2. 19Cf. PSEUDO-CLEMENTE, Omelie III,17,1-3. 20«Deus, cum fecisset mundum, tamquam universitatis dominus singulis quibusque creaturis principes statuit… statuit

ergo angelis angelum principem et spiritibus spiritum, sideribus sidus, daemonibus daemonem… Ominibus Ominem, qui est Christus Iesus. Ita apud Iudaeos Christus communi nomine rex appellatur. Causa autem appellationis huius haec est: quoniam quidem cum esset filius Dei et initium omnium, Omo factus est, hunc primum Pater oleo perunxit, quod ex lingo vitae fuerat sumptum. Ex illo unguento Christus appellatur… Inde denique etiam ipse… pios quosque, cum ad regnum eius pervenerint, simili oleo perunguet, ut et ipsorum lux luceat et Spiritu Sancto repleti inmortalitate donentur» (Rec I,45,1-5).

21Con poche eccezioni (ad es. II,22,4 e I,45,1-5, cit. supra) le normalizzatrici Recognitiones tendono a correggere gli aspetti cristologici più arditi ed arcaici, giudeo-cristiani (in particolare l’identificazione di Gesù con l’Adamo edenico impeccabile), mantenutisi nelle Omelie, pure restituendo con maggiore fedeltà la struttura romanzesca del testo originario; dall’identificazione del Vero Profeta con Adamo impeccabile (e alla connessa dottrina delle false pericopi scritturistiche), il redivivo archetipico “uomo ad immagine di Dio”, si slitta verso l’univoca identificazione del Vero Profeta con Gesù: cf. Rec IV,9,1.

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per darlo a colui che, dall’inizio del mondo, è il solo che attraversa tutti i tempi, cambiando (ajllavsswn) ogni volta di forma e di nome, fin quando, una volta giunto al suo tempo e unto (crisqeivò) dalla misericordia di Dio in ricompensa per le sue fatiche, godrà per sempre del riposo (eJvxei thVn ajnavpausin)22. Egli è colui che è stato giudicato degno di essere il re (ajvrcein ) e il signore (kurieuvein) di tutti gli esseri che popolano l’aria, la terra e le acque. Egli ha inoltre ricevuto quel soffio (thVn pnohvn) di vita – quel soffio, involucro infrangibile dell’anima, destinata a renderla immortale – che è di Colui che ha creato l’uomo. Nella sua qualità di solo vero profeta egli ha imposto, come il suo creatore, un nome che indica in maniera appropriata la natura di ogni animale. Il nome che diede era infatti quello stesso che il creatore aveva già dato alle sue creature. Quale motivo aveva quindi di cogliere il frutto di un albero per vedere cosa è buono e cosa è cattivo, se aveva ricevuto l’ordine di non mangiare? E’ ciò che nondimeno credono gli uomini privi di senno»; «Io non credo che si ottenga il perdono, dopo aver ingannato per mezzo di un passaggio inautentico della Scrittura, avendo così concepito delle idee malvage contro il Padre di tutte le cose; infatti, con la violenza inflitta all’immagine, in particolare quella del Re eterno, il colpevole attribuisce l’offesa a Colui di cui l’immagine porta la somiglianza»23. L’escatologica relazione divinizzante tra Spirito e uomo eletto, tra unzione messianica e storico

profeta escatologico del regno di Dio, viene pertanto proiettata nella dimensione miticamente (e non ancora ontoteologicamente) protologica dell’Adamo edenico. Il Messia escatologico, il perfetto “uomo ad immagine e somiglianza” di Dio ripieno dello Spirito Santo, è l’impeccabile Adamo, che Dio non può non avere filonianamente24 voluto creare che come sua perfetta, “arcontica” creatura, archetipo assoluto di un Israele/un’umanità pienamente riconciliato/a al suo Dio25. Gen 1,26-27 può così essere interpretato tramite Gen 2,7: lo Spirito messianico dell’adozione del Figlio al Giordano26 diviene il soffio divinizzante donato all’uomo ad immagine. Torna, poi, l’interpretazione androgina di Dio, il modello di Adamo-Uomo ad immagine:

«Unico è il Dio che ha detto alla sua Sapienza: “Facciamo l’uomo”. La Sapienza, con la quale si rallegra senza fine come con il suo Spirito, è unita come un’anima a Dio e si estende fuori di lui come una mano con la quale creare l’universo. E’ per questo che è stato creato un uomo unico e che la femmina è uscita da lui. E se si dà effettivamente una monade [umana], secondo il genere è una diade»27.

Così, il profeta escatologico diviene l’unica archetipica figura soterica, che, rediviva, visita

periodicamente la storia di Israele (apparendo in Abramo, Noè, Mosè) per insegnare la fedeltà salvifica alla Legge di Dio, fino a trovare “riposo”, come ultimo, supremo, Vero Profeta in Gesù di Nazareth, che redime non con la sua morte in croce, ma con il suo battesimo di vita, che sostituisce gli abrogati sacrifici del tempio. Gesù, comunque, rimane il supremo Maestro della Legge, che chiama il libero arbitrio delle creature all’ubbidienza ai comandamenti di Dio, in relazione alla quale giudicherà, donando a ciascuno il suo28. L’uomo, creato in Adamo-Arconte ad immagine di Dio, è quindi chiamato ad acquisire la più perfetta somiglianza con Dio, recuperando la perfezione originaria della natura umana che gli è immanente29, seguendo gli insegnamenti della verità-Legge del Maestro: in tal senso, il riconoscimento dell’unico Dio e la giudaicamente tradizionale polemica antiidolatrica rappresentano il cuore della Legge stessa, che consente agli uomini di scoprire che non gli idoli, ma loro stessi sono l’immagine di Dio invisibile30. Fuggiti gli idoli e in particolare i sacrifici contaminanti (compresi quelli del tempio di Gerusalemme)31, sono le opere di misericordia che consentono di realizzare l’immagine di Dio:

22Sull’ajnauvpausiò del Vero Profeta, cf. Rec II,22,4. 23Om III,20,1-2 e III,17,2; cf. Om II,52,2; III,17,1-6 e 21,1-2. 24Sulla complessa, divisiva esegesi filoniana di Gen 1,26-27 (creazione dell’Uomo ad immagine, che è lo stesso Logos) e

2,7 (creazione dell’uomo libero e terreno, dotato di corpo, abitato dalla sensualità-Eva, decaduto), cf. G. LETTIERI, L’ambiguità dell’Eden…, 7-25.

25Cf. Om III,62,2-3: Cristo è l’unico «capo», «re unico della totalità», essendo «immagine di Dio», dell’unico Dio; riflettendo «l’unità del principio della monarchia», Cristo può quindi realizzare la pace.

26Cf. Rec I,48,4-5. 27Om XVI,12,1-2. 28«Soltanto il Vero Profeta conosce la verità... Ecco il suo pensiero e la sua autentica predicazione: c’è un solo Dio, il

mondo è la sua opera, questo Dio è giusto e un giorno renderà certamente a ciascuno il suo, a partire dalle sue azioni» (Om II,12,1e3).

29Cf. Om X,7,3: l’uomo continua a «portare l’immagine di Dio, anche se ha perduto la sua somiglianza»; cf. Rec V,2,1-2. 30Cf. Om XI,21,1-5; XVII,6,2-12,6; XVII,7,4-5 e XVII,9-10; Rec I,28,4: VI,1-3. Gli uomini portano «nel loro corpo

l’immagine di Dio, come nel loro intelletto la rassomiglianza del suo pensiero» (Om X,6,1); è la loro «nobiltà originaria» che è possibile riattingere rendendosi «simili a Dio con le buone azioni», tornando quindi ad essere «figli e… maestri di tutte le cose» (X,6,3). Sull’uomo creato ad immagine come colui che «respira la divinità del suo creatore», fissando un’universale, salvifica

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«Voi siete l’immagine del Dio invisibile. Pertanto, coloro che vogliono compiere un atto di pietà non pretendano che gli idoli siano immagini di Dio… Infatti è l’uomo ad essere immagine di Dio. Allora, chi voglia compiere un atto di pietà nei confronti di Dio faccia del bene agli uomini, perché il corpo umano porta in lui l’immagine di Dio. Ormai non tutti posseggono la somiglianza, ma soltanto il puro intelletto di un’anima buona… Ecco come è necessario rendere omaggio all’immagine di Dio che è l’uomo: aiutare, per quanto possibile, colui che ha fame dandogli da mangiare, colui che ha sete dandogli da bere, colui che è nudo vestendolo, colui che è malato curandolo, colui che è straniero ospitandolo, colui che è prigioniero visitandolo… E tutti i beni che si desiderano per sé, che siano procurati anche agli altri, se questi ne hanno bisogno e, così, a chi ha onorato l’immagine di Dio con un atto di pietà, sarà riconosciuto un buon salario; e, secondo lo stesso principio, colui che non accetta di agire in tal modo sarà castigato per aver trascurato l’immagine»32. Come testimoniano le esegesi rabbiniche di Gen 1,26-27 (ma cf. anche Gen 5,1-3, sulla

genealogia di Adamo “ad immagine e somiglianza”), a partire da Gen 9,6 – «Chi sparge il sangue dell’uomo dall’uomo il suo sangue sarà sparso, perché ad immagine di Dio (ejn eijkovni qeou=) Egli ha fatto l’uomo» –33, il comandamento di rispettare (non uccidere) l’uomo come immagine di Dio viene a dilatarsi nel gesuano comandamento dell’amore del prossimo, immagine di Dio. Il Vangelo è, pertanto, interpretato come la riaffermazione della Legge contro i suoi nemici demoniaci e la fede che salva è quella della giustizia, della messa in pratica del comandamento dell’amore34, irriducibile alle complesse speculazioni teologiche, infettate dalla demoniaca filosofia35. E’ quindi l’universale dipendenza dell’umanità dalla perfetta, impeccabile forma archetipica di Adamo – immagine perfetta del Dio di misericordia – a consentire l’universalizzazione del messaggio al di fuori dell’elezione di Israele: la Legge, che mantiene la sua profonda connotazione giudaica (l’orrore per la contaminazione degli idoli e degli idolotiti), si risolve nell’amore dell’immagine, nella pratica della misericordia, nel rifiuto della violenza (quindi nell’orrore per i sacrifici, tolti dal battesimo), nell’evangelica sequela che chiama ogni libertà alla scelta del suo destino. Al contrario, il messaggio paolino di grazia indebita è stigmatizzato come deresponsabilizzante eresia – nascosta sotto la maschera simbolica di ogni eresia, il samaritano Simone, sul quale si proiettano, con quella di Paolo, le ombre delle sue radicalizzazioni eretiche, gnosticismo e marcionismo36 –. La tenebra paolina, propalata dal «vaso d’elezione del Maligno»37, precede la rivelazione salvifica della Luce del Vero Profeta mediata da Pietro e da Giacomo38, così come Caino precede Abele, il Battista precede Gesù, Simone (Paolo) precede Pietro (nella sua predicazione presso le genti!). Attingiamo, in proposito, la dottrina – di difficile contestualizzazione – della scansione dialettica della storia per sizigie, interpretate come coppie antitetiche, rivelative dello storico conflitto tra bene e male, vera (divina) e falsa (demoniaca) profezia39. Mentre, nella creazione di Dio, il perfetto «Legge eterna» (che è «il culto universale dato all’umanità come via di salvezza»: Om IX,20,2), cf. Om VIII,10. Sull’anima come interiore immagine di Dio, cf. Om XVI,10,6-8.

31Cf., in Om X,23,2, il riferimento alla «tavola dei demonii». 32Om XI,4,1-5; cf. il testo corrispondente in Rec 23,1-8, ove si insiste sull’opposizione tra il culto degli idoli insensibili e

il culto dell’immagine vivente e sensibile di Dio che è l’uomo. Cf. Om XVII,4,4-6, ove si afferma che l’uomo è immagine visibile di Dio invisibile e si ribadisce che tutto quello che è fatto all’uomo, è fatto a Dio; e Rec V,13,1-14,4, ove bisogna imitare Dio e la sua misericordia per ritornare alla bellezza originaria, divenendo a sua immagine e somiglianza.

33Per una rassegna delle principali interpretazioni rabbiniche relative all’uomo come immagine di Dio e la loro piena continuità con l’interpretazione pseudo-clementine qui richiamata, cf. la voce di G. von Rad, G. Kittel e H. Kleinknecht, eijkwvn, in G. Kittel e G. Friedrich (edd.), Theologisches Wörterbuch zum Neuen Testament, Stuttgart 1936, tr. it. Grande Lessico del Nuovo Testamento, Brescia 1967, III, 139-183, in part. 171-177.

34Cf. Om IX,21,3: «la giusta fede è un’immagine di Dio». In Om X,23,3, il culto monoteista, il rifuggire i sacrifici idolatrici, il praticare la temperanza, la carità e la giustizia, insieme con il battesimo, sono le condizioni per la messa in «pratica di una purezza perfetta».

35Cf., ad es., Om XV,5,3-5, ove Fausto, pure se problematicamente, contrappone alle raffinatezze filosofiche e teologiche (con quelle simoniane, cioè con l’eresie gnostiche e marcionitiche, quelle stesse paoline) la religione e la dottrina della verità, che è quella dell’«umanità»: porgere l’altra guancia, donare il doppio del richiesto. Si noti comunque che, in 5,2, ci si chiede: «Quale comandamento è più nuovo del precetto degli antichi?». Così, in XV,7,4-5, l’affidarsi al «re straniero» a questo mondo, perché sovrano del mondo futuro, si traduce in totale espropriazione: l’immagine di Dio è, quindi, utopica in questo secolo.

36Cf. L. CIRILLO, Introduction…, 1611. 37Rec III,49,5: l’espressione è un’evidente caricatura polemica della teologia della giustificazione per grazia di Paolo.

Fondamentale l’excursus di Om XVII,13,1-19,7, ove Pietro sottolinea la natura ingannevole delle visioni private, equiparate a sogni ingannevoli, sulle quali non è possibile fondare l’autorità dell’apostolo («di una sola ora»: 19,4!), che comunque dovrebbe riconoscersi dal suo amore e dalla sua deferenza nei confronti di quegli apostoli che hanno avuto rapporto diretto con Gesù, in particolare di Pietro (che invece Simone-Paolo tratta da «condannato»: 19,6), che è stata la roccia cui il Maestro ha fondato la trasmissione del suo insegnamento (19,5-7).

38Cf. Om II,17,2-5, ove l’opposizione Simone(=Paolo)-Pietro corrisponde a quella falso vangelo-nuovo vangelo e persino a quella Anticristo-Cristo.

39Cf. il lungo excursus di Om II,15,1-17-1.

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precede l’imperfetto, la storia dell’umanità si costituisce nell’inversione di questa successione: il primo (il perfetto) diviene l’ultimo; soltanto la protologia è perfetta, perché divinamente operata; la salvezza è la rivelazione escatologica che rovescia il pervertimento umano dell’ordine divino. In proposito, di grande interesse l’interpretazione della prima sizigia (della quale è pressocché impossibile determinare l’altezza storica all’interno della stratificazione del corpus pseudoclementino), che scandisce la storia umana: quella di Adamo-Eva. Eva, pure creata successivamente ad Adamo40, è la vera iniziatrice della storia umana, caratterizzata dall’egemonia terrena del male, cui succede comunque la restaurazione dell’egemonia divina rappresentata da Adamo/Vero Profeta, suo paradossale compagno di sizigia, rivelatore protologico, ma redentore escatologico:

«Il primo, che è maschio, è collocato al secondo posto nell’ordine di progressione e la seconda, che è femmina, ha dovuto, secondo la regola fissata, precedere nella processione della sizigia» (Om III,23,1). Indipendentemente dall’irrisolubile questione della arcaicità della dottrina delle sizigie

(dipendente da dottrine gnostiche?) in riferimento al patrimonio primitivo della comunità giudeocristiana che è all’origine della tradizione pseudoclementina, è evidente che l’esaltazione del “secondo” (maschile) rispetto al “primo” (femminile), pur riflettendo un innegabile carattere escatologico (il Vero Profeta è l’ultimo che salva), comunque non è in alcun modo interpretabile come affine alla nozione di novità escatologica paolina: il secondo ha il compito di contrastare l’innovazione (il primo), la deformazione della perfezione dell’immagine originaria; l’escatologia, allora, è interepretata come restaurazione definitiva della perfezione protologica e niente affatto come novità inaudita del dono di grazia. Prova ne è la violenta deformazione della dottrina paolina dell’«uomo nuovo (oJ kainoVò ajvnqtrwpoò)» (Efes 2,15; 4,24) come «nuova creazione (kainhV ktivsiò)» (cf. 2Cor 5,17) in Cristo datore di Spirito di vita, che ricrea l’uomo celeste con un corpo spirituale. Essa è polemicamente degradata a demoniaca operazione di magia nera. Simon Mago (alias Paolo), infatti, prima sottrae l’anima dal corpo di un bambino, quindi opera la «formazione dall’aria» (Om II,26,2) della sua nuova identità «per mezzo di trasformazioni di origine divina» (26,2); Simone ricrea così «un uomo nuovo» (26,5), «non tratto dalla terra, ma a partire dall’aria» (26,4), per poi sostituirlo con «un’immagine che tiene sospesa nel fondo della sua casa» (26,2). Infine, Simone (alias Paolo rivale di Pietro) «restituisce all’aria» (26,5) la sua creatura (il goethiano Euforione, il figlio di Faust-Simone redivivo ed Elena di Troia dissoltosi nell’aria, ha qui il suo remoto prototipo41). Ove è evidente la deformazione delle affermazioni paoline in 1Cor 15,45-50, relative al «corpo spirituale» pneumaticamente ricreato dal «corpo psichico» e all’«uomo che viene dal cielo» (Cristo che dà la vita/soffio all’uomo nuovo, trasformato «in quella medesima Immagine [di Cristo]»: 2Cor 3,18) contrapposto all’«uomo fatto di terra»42.

I,3 - Paolo Nell’epistolario paolino, la riflessione del rapporto tra Gesù il Cristo e l’Adamo ad Immagine è –

com’è noto – non soltanto centralissima, ma anche potentemente innovativa nella direzione di una radicale escatologizzazione carismatica dell’uomo ad immagine. Recependo interpretazioni di cristologia adamatica, presupposte come abbiamo visto anche dall’episodio marciano della tentazione, se da una parte Cristo viene definito come Immagine e nuovo Adamo, dall’altra viene nettamente distinto, anzi contrapposto a lui, a partire dalla fondamentale opposizione profetica (cf. in particolare Geremia ed Ezechiele) tra antica e nuova alleanza, tra vecchia economia divina della creazione e della Legge e nuova economia divina della grazia redentiva e dello Spirito43.

40Cf. Om III,22,1. 41Sarebbe di straordinario interesse documentare la ben precisa traiettoria teologica e culturale che dal Simone Messia di

Samaria (nelle fonti eresiologiche accompagnato da Elena di Troia) conduce al Faust di Goethe, quindi al Doktor Faustus di Mann (del tutto consapevole del legame tra Simone e Faust) ed oltre. Per ora, mi limito a rinviare ad un ciclo radiofonico da me scritto e condotto per la trasmissione di RadioTre, Uomini e profeti, andato in onda il 10/11/17/18 dicembre 2005: G. LETTIERI, Le metamorfosi di Simon Mago: Messia, Anticristo, Gnostico, Faust, Roma 2005, disponibile sul sito web di RadioTre della RAI.

42Cf. anche Rec III,15,4-6, ove Simone crea «una nuova creatura umana… assai più nobile di quella del Dio creatore; egli, in effetti, ha creato un uomo di terra, ma io un uomo d’aria, il che è più difficile. Poi, dopo averlo nuovamente disfatto, l’ho ritrasformato in aria, non senza aver collocato il suo ritratto, immagine dipinta, nella mia camera da letto, come prova e ricordo della mia opera» (4-5). Significativamente, qui emerge – tramite il riferimento antidemiurgico di evidente provenienza marcionitica – la natura paolinamente carismatico-escatologica del golem simoniano: la nuova creatura è quella del nuovo/trascendente Dio di grazia.

43Assolutamente centrale, in proposito, 2Cor 3,5-11: «La nostra capacità viene da Dio, che ci ha resi ministri adatti di una nuova alleanza (kainh=ò diaqhvkhò), non della lettera, ma dello Spirito (ouj gravmmatoò ajllaV pneuvmatoò); perché la lettera uccide (toV gaVr gravmma ajpoktevnnei), lo Spirito dà vita (toV deV pneu=ma zw/opoiei=). Se il ministero della morte, inciso in lettere su pietre, fu circonfuso di gloria, al punto che i figli d'Israele non potevano fissare il volto di Mosè a causa dello splendore pure effimero del suo volto, quanto più sarà glorioso il ministero dello Spirito? Se già il ministero della condanna fu glorioso, molto di più abbonda di

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E’ opportuno identificare immediatamente il principio dialettico strutturante l’intera logica rivelativa di Paolo, principio che definirei eminentemente semitico: antiumanisticamente, Dio si rivela attraverso l’annullamento o il rovesciamento di qualsiasi realtà, identità, grandezza umane. Qualsiasi oggetto dell’amore di Dio – del suo atto creativo e rivelativo – è pertanto inesorabilmente svuotato, perché venga ulteriormente esaltata la gratuita pienezza della misericordia del Padre. Si pensi, in Rom 9-11, alla dolorosa, eppure inesorabile decostruzione della stessa elezione di Israele: lo stesso popolo eletto diviene – almeno nella sua maggioranza – nient’altro che ramo reciso e gettato via, accecato e momentaneamente escluso dall’elezione di Cristo, perché possa entrare «contro natura» il popolo innestato delle genti, l’universale resto prima escluso, poi assunto. Ma il legno innestato, qualora si inorgoglisse non considerando la gratuità dell’elezione divina che lo costituisce erede del regno, potrebbe esso stesso essere reciso e gettato via, mentre Israele – dopo il suo temporaneo esilio “sacrificale”, inconsapevolmente “cristologico”, finalizzato a dilatare universalmente la salvezza ai pagani –, comunque verrà riammesso nell’albero dell’elezione. Se, quindi, la strategia ultima dell’elezione paolina è l’universale introduzione dell’umanità nell’elezione della filialità spirituale, essa procede storicamente per rovesciamenti, catastrofi, svuotamenti, reiezioni dell’umano: «Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia!» (Rom 11,32). L’identificazione di questa logica dialettica (temporaneamente) reiettiva-elettiva (eternamente) dell’annientare/ricreare, uccidere/vivificare, svuotare (katargei=n)44/riempire di Spirito, è l’unica chiave che consente davvero di comprendere a fondo la paolina interpretazione di Adamo. Adamo è l’umanità intera amata e creata da Dio, che dev’essere però svuotata, persino perduta, attraverso l’esperienza storica della sua mortalità, peccaminosità, insufficienza, per essere infine salvata per pura grazia da un atto ricreativo di Dio. L’immagine è un dono, quindi non può mai tradursi in proprietà antropologica, ma può essere soltanto accolta come evento indebito. Al contrario, qualsiasi appropriazione naturale ed ontologica (si consenta l’utilizzazione di due aggettivi certo non paolini) del dono dell’essere creati, come del dono dell’essere eletti (la Legge), comporta la loro teologica vanificazione, quindi il loro pervertimento peccaminoso, che solo l’assolutizzazione della grazia di Dio può salvare. Quanto più dono di grazia tanto più peccato, quanta più pienezza escatologica tanta più manchevolezza protologica, quanta più vita nello Spirito tanta più morte nella stessa antica alleanza di Dio, culminata nella Legge, insomma quanto più Cristo-recettore-datore-di-Spirito viene considerato come escatologico culmine gratuito e vivificante della rivelazione di Dio, tanto più il protologico Adamo (la natura, il potere dell’uomo, la sua libertà, la stessa pretesa di giustificarsi al cospetto di Dio tramite la messa in pratica della Legge)45 viene svuotato.

«Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché/in lui (ejf*®/in quo) tutti hanno peccato. Fino alla legge infatti c'era peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la legge, la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato con una trasgressione simile a quella di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire ( jAdaVm o{ò ejstin tuvpoò tou= mevllontoò). Ma il dono di grazia (toV cavrisma) non è come la caduta (toV paravptwma): se infatti per la caduta di uno solo morirono tutti, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia di un solo uomo, Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti gli uomini… Come dunque per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli

gloria il ministero della giustizia. Anzi sotto quest'aspetto, quello che era glorioso non lo è più a confronto della sovraeminente gloria della Nuova Alleanza. Se dunque ciò che era effimero fu glorioso, molto più lo sarà ciò che è duraturo». Il testo chiaramente dipende da Ger 31,31-34 (la nuova alleanza come scrittura della Legge direttamente nei cuori degli uomini) e da Ezech 11,19-20 e 36,25-35 (ove al dono di un nuovo cuore di carne, visitato dallo Spirito e per questo amante della Legge, si associano i riferimenti alla purificazione tramite l’acqua pura e alla trasformazione della terra desolata in Eden). Cf., infine, Ezech 37,1-14, sul dono dello Spirito come rivivificazione delle ossa dei morti.

44Sarebbe assai importante analizzare sistematicamente l’utilizzazione paolina del verbo katargei=n, che al tempo stesso indica lo svuotare, l’abolire, l’annientare, il rendere vano, il contraddire e il liberare, l’abolire qualcosa di inferiore. Non a caso, Lutero l’ha talvolta tradotto con il “fatale” aufheben: cf., in proposito, G. AGAMBEN, Il tempo che resta. Un commento alla Lettera ai romani, Torino 2000, 90-102. Qui mi limito a pochi straordinari esempi: «Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla (taV mhV ojvnta) per ridurre a nulla le cose che sono (iJvna taV ojvnta katarghvsh» (1Cor 1,28); «Ora però siamo stati liberati dalla legge (nuniV deV kathrghvqhmen ajpoV tou= novmou), essendo morti a ciò che ci teneva prigionieri (ajpoqanovnteò ejn ® kateicovmeqa), per servire nella novità dello Spirito (ejn kainovthti pneuvmatoò) e non nella vetustà della lettera (ouj palaiovthti gravmmatoò)» (Rom 7,6). «Ma quando verrà ciò che è perfetto, ciò che è imperfetto scomparirà (toV ejk mevrouç katarghqhvsetai)» (1Cor 13,10); «Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto a nulla (oJvtan katarghvsh/; Lutero: wenn er auffheben wird) ogni principato e ogni potestà e potenza… L’ultimo nemico che sarà annientato (katargei=tai; Lutero: der auffgehaben wird) sarà la morte» (1Cor 15,24). «Ma le loro menti furono accecate; infatti fino ad oggi quel medesimo velo rimane, non rimosso, alla lettura dell’Antico Testamento, perché è in Cristo che viene eliminato (katargei=tai)» (2Cor 3,14). «…annullando (katarghvsaò), per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti» (Efes 2,15).

45Cf. il capitolo “Adamo” (e la relativa discussione storiografica) di J. DUNN, The Theology of Paul the Apostle, Edinburgh 1998, tr. it. La teologia dell’apostolo Paolo, Brescia 1999, 101-122; si noti l’interpretazione adamitica di Rom 7,7-13, in La teologia dell’apostolo Paolo…, 119-121.

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uomini la condanna, così anche per l'opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita (dikaivwsiò zwh=ò). Similmente, come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l'obbedienza (diaV th=ò uJpakoh=ò tou= eJnovò) di uno solo tutti saranno costituiti giusti. La legge poi sopraggiunse a dare piena coscienza della caduta, ma laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia, perché come il peccato aveva regnato con la morte, così regni anche la grazia con la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore» (Rom 5,12-15 e 18-21). Se il recupero di dottrine apocalittiche relative alla umanamente irreparabile gravità del peccato

d’Adamo (sostanzialmente ignorata dall’Antico Testamento come dalle tradizioni giudaiche dominanti) parrebbe schiacciare il progenitore sotto una condanna definitiva e irreparabile, all’intera sua progenie mortalmente trasmessa (esemplarmente o radicalmente, a seconda dell’interpretazione dell’ ejf*®, forzato e “appesantito” nell’in quo della traduzione latina), il suo essere definito come «figura (tuvpoò) di colui che doveva venire» rivela perfettamente la portata teologicamente relativa del pur radicale svuotamento dell’uomo ad immagine protologico. Adamo è l’ombra dell’uomo escatologico datore di Spirito e di vita, è colui che è creato da Dio come segno e attesa della pienezza di grazia, nella quale soltanto si manifesta, del tutto gratuita, l’unica fonte vivificante dell’amore per l’Adamo universalmente eletto. Ciò significa che la dottrina adamitica di Paolo è intimamente cristologica: in Gesù – il maledetto dalla Legge eletto dalla grazia46, il morto crocifisso resuscitato dallo Spirito di Dio47 – Adamo stesso è contratto, come ombra della luce, morte universalmente assunta e resuscitata48, peccato espiato e svuotato, umanità reietta ed eletta. Analogamente ad Adamo, la Legge – l’intera economia salvifica giudaica – è svuotata come mezzo di salvezza, come pretesa pienezza del dono di Dio; in effetti, la Legge è data per uccidere, per rinchiudere l’intera umanità nella disobbedienza, nel peccato, nella morte49, ma non per perdere o maledire, ma per vivificare, ricreare escatologicamente dal nulla qualsiasi realtà della creatura universalmente annichilita, svuotata e simul universalmente eletta, benedetta nella grazia: nella croce di Cristo, solo chi muore può vivere, solo chi è svuotato di sé può essere riempito del dono. L’Adamo pseudo-clementino, protologica perfetta creatura in possesso inalienabile della Legge-Spirito-Sapienza salvifici, è davvero l’antitesi teologica dell’Adamo paolino, creatura mortale e peccaminosa, “uccisa” e svuotata dalla Legge, che solo lo Spirito di Cristo può escatologicamente resuscitare.

Sono comunque le due attuali I e II epistola ai Corinzi a presentare quella che si potrebbe definire la cristologia hyperadamitica di Paolo, decisiva per l’intera storia dell’antropologia occidentale. In 2Cor 3,17-18 e 4,4-650, Cristo è definito prima Spirito, quindi Immagine di Dio, Gloria di Dio (sostitutiva della Legge rivelata), alla quale ogni uomo redento si conforma progressivamente nella grazia: l’escatologico dono messianico che redime e spiritualizza l’identità mortale e peccaminosa della creatura. Significativamente, il “fiat lux” genesiaco (culminante nella creazione di Adamo) viene riferito all’escatologica rivelazione della Gloria del Messia, che dona agli eletti lo Spirito che visita interiormente il cuore – realizzando quella nuova alleanza oggetto della profezia di Geremia e di Ezechiele, richiamata da Paolo in 1Cor 11,25 e 2Cor 3,6; cf. Ebrei 8,8 e 9,15 –, ricreando con la sua potenza la creatura, introducendola progressivamente nella luce di Dio. L’immagine non è l’origine ontologica, non è la protologica perfezione dell’essere, bensì è la nuova identità messianica riplasmata dal dono carismatico ed escatologico, di cui la prima creatura, l’Adamo ad immagine, è soltanto ombra mortale, tipo, figura inadeguata. L’Epistola ai Romani riassume:

«Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'Immagine del Figlio suo (summovrfouò th=ò eijkovnoò tou= uiJou= aujtou=), perché egli sia il primogenito (prwrovtokon) tra molti fratelli» (Rom 8,29).

46«Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto:

“Maledetto chi pende dal legno” (Deut 21,23), perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse alle genti e noi ricevessimo la promessa dello Spirito mediante la fede» (Gal 3,13-14).

47«Cristo è risuscitato dai morti, primizia (ajparchv) di coloro che sono morti» (1Cor 15,20). 48«Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti

muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo» (1Cor 15,21-22). 49«Se infatti fosse stata data una legge capace di conferire la vita, la giustificazione scaturirebbe davvero dalla legge; la

Scrittura invece ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, perché ai credenti la promessa venisse data in virtù della fede in Gesù Cristo» (Gal 3,21-22).

50«Il Signore è lo Spirito e dove c'è lo Spirito del Signore c'è libertà. E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine (thVn aujthVn eijkovna metamorfouvmeqa), di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore… Cristo che è immagine di Dio (eijkwVn tou= qeou=)… E Dio che disse: Rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo» (2Cor 3,17-18 e 4,4e6).

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Al protologico Adamo è contrapposto l’escatologico primogenito di molti fratelli, l’eterno oggetto della predestinazione divina: l’Immagine ultima nella quale l’intera umanità redenta è chiamata a conformarsi, unificandosi nella fraternità e trasfigurandosi per opera dello Spirito Santo.

E’ comunque in 1Cor 15,44-53 (il testo capitale dell’antropologia paolina) che la tensione dialettica tra Adamo e Cristo, significativamente definito «l’ultimo Adamo», raggiunge il suo culmine.

«Sta scritto che il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente (ejgevneto oJ prw=toò ajvnqrwpoò jAdaVm eijò yuchVn zw=san), ma l'ultimo Adamo divenne spirito vivificante (oJ ejvscatoò jAdaVm eijò pneu=ma zw/opoiou=n). Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale. Il primo uomo tratto dalla terra è di terra (oJ prw=toò ajvnqrwpoò ejk gh=ò coúkovò), il secondo uomo viene dal cielo (oJ deuvteroò ajvnqrwpoò ejx oujranou=). Quale è l'uomo fatto di terra, così sono quelli di terra; ma quale il celeste, così anche i celesti. E come abbiamo portato l'immagine dell'uomo di terra (thVn eijkovna tou= coúkou=), così porteremo l'immagine dell'uomo celeste (thVn eijkovna tou= ejpouranivou). Questo vi dico, o fratelli: la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che è corruttibile può ereditare l'incorruttibilità. Ecco io vi annunzio un mistero: non tutti, certo, moriremo, ma tutti saremo trasformati, in un istante, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba; suonerà infatti la tromba e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati. È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità» (1Cor 15,44-53). «Il primo uomo, Adamo, essere vivente», terreno e mortale – immagine protologica di tutti gli

uomini psichici, “naturali”, che sono viventi corpi mortali, carnali, carne corruttibile (non esiste in Paolo, come in nessun altro testo del NT, alcuna dottrina dell’immortalità naturale dell’anima51) – è contrapposto all’«ultimo uomo, che viene dal cielo», Cristo, «l’ultimo Adamo divenuto Spirito datore di vita», capace di trasformare e vivificare il terreno in celeste, quindi di donare «l’immagine dell’uomo celeste» a coloro che ricevono il ricreativo Spirito messianico. L’uomo creato da Dio ad immagine dell’Adamo protologico è, quindi, mortale, corruttibile, terreno, carnale; l’uomo ricreato dallo Spirito ad immagine dell’Adamo escatologico che è Cristo, diviene, invece, immortale, incorruttibile, celeste, spirituale. L’immagine celeste (cioè spirituale) è, quindi, cristica, dono escatologico, novità irriducibile alla creazione, evento di grazia eccedente la natura corruttibile e peccaminosa derivata dall’Adamo creato nel principio. E non tragga in inganno l’espressione «il secondo uomo è dal cielo», che parrebbe suggerire una dimensione di preesistenza personale di Cristo, analoga a quella del Logos giovanneo o, come vedremo, di Cristo Immagine nella deuteropaolina Epistola ai Colossesi. In realtà, è lo Spirito che discende dal cielo, quello Spirito che, donato (ma quando, sin dalla nascita? Con il battesimo? Con la resurrezione?) a Gesù, lo trasforma in «Spirito datore di vita», in divino mediatore di quel flusso carismatico vivificante che lo ha costituito Messia risorto (si noti il dinamismo dell’espressione «divenne Spirito vivificante (ejgevneto... oJ ejvscatoò jAdaVm eijò pneu=ma zw/opoiou=n)»52), analogamente al divino soffio di vitalità psichica che ha costituito il corpo plasmato di Adamo in corpo animale. Infatti, mai Paolo considera Cristo come dio preesistente, Immagine assoluta, a partire dalla quale Adamo e tutti gli uomini che da lui derivano traggono la loro identità ontologica. Cristo è soltanto il Messia escatologico, l’“HyperAdamo”. Insomma, non si ha, inscritta nella propria natura creata, la suprema immagine di Dio53, ma si diviene soltanto escatologicamente grazie allo Spirito di Cristo ad immagine della sua Immagine rivelativa, appunto escatologica, carismatica e non protologica, ontoteologica.

Sicchè diviene legittimo sollevare almeno un interrogativo: se il segreto di 1Cor 15,44-53 fosse proprio il battesimo di Cristo? Considerando che: a) il lungo excursus sui due Adamo segue l’enigmatico excursus sul battesimo vivificante per i morti (cf. 15,29); b) che la costituzione del perfetto uomo ad immagine (ajvrsen kaiV qh=lu: cf. Gal 3,28, ove sono intenzionalmente ripresi gli stessi termini di Gen 1,27) è evidentemente collocato in contesto battesimale, come costituzione dell’umanità escatologicamente

51Cf. G. LETTIERI, La mente immagine. Paolo, gli gnostici, Origene, Agostino, in E. Canone (ed.), Per una storia del concetto di mente. Atti dei seminari di terminologia filosofica dell’istituto CNR Lessico intellettuale europeo e storia delle idee, Firenze 2005, 63-122, in part. 66-76.

52«L’ultimo Adamo rappresenta l’umanità escatologica, la vita della nuova creazione, dalla resurrezione in poi. A rigor di termini, quindi, come il primo Adamo cominciò («divenne») con la creazione (Gen 2,7), così «l’ultimo Adamo» cominciò («divenne» è sottointeso) con la resurrezione di Gesù» (J. DUNN, La teologia dell’apostolo Paolo…, 253); in tal senso, è soltanto «il Cristo esaltato» ad essere considerato come «l’ultimo Adamo, il prototipo degli esseri umani resuscitati, il fratello maggiore della nuova famiglia, il primogenito dai morti» (320).

53Interessante il saggio di G.E. STERLING, “Wisdom among the Perfect”: Creation Traditions in Alexandrian Judaism and Corinthian Christianity, in «Novum Testamentum» 37, 1995, 353-384: a Corinto, Paolo polemizzerebbe contro cristiani sostenitori di una protognostica cristologia adamitica di origine giudaico-alessandrina, che avrebbe identificato Sophia=Spirito di Dio e nou=ò umano, presentando punti di notevole contatto con l’esegesi filoniana di Gen 1,26-27 e 2,7 (sulla quale cf. G. LETTIERI, Adamo in Eden…, 7-25): per i corinti avversati da Paolo, il battesimo sarebbe l’illuminazione che rivelerebbe l’incorporazione ontologica degli eletti-sapienti-celesti nello stesso divino Uomo-ad-immagine.

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riunificata in Cristo; c) che, per 1Cor 15,44, Cristo appunto diviene, riceve lo Spirito vivificante, di cui poi si fa mediatore; d) che soltanto con il battesimo gli uomini muoiono nel loro vecchio uomo (oJ palaioVò ajvnqrwpoò: Rom 6,6) terreno e rinascono come nuova creazione (cf. Rom 6,1-11), come uomo spirituale ad immagine; e) forse, Cristo stesso diviene da uomo terreno, grazie alla caparra dello Spirito (che è la stessa Gloria del Padre: cf. Rom 6,4), battesimalmente ricevuta, uomo celeste-Spirito di vita, compiendo la sua identità celeste-carismatica di immagine nel ricevere la pienezza dello Spirito vivificante con la resurrezione Cristo diviene “l’uomo celeste”, così come tutti i cristificati (cioè i battezzati) divengono celesti, divenendo così immagine nell’Immagine, sicché quella celeste, contrapposta alla terrestre, è niente affatto un’identità ontoteologica (che specificherebbe il Cristo preesistente), ma il carisma escatologico dello Spirito. Riassumendo: quando Cristo diviene uomo celeste ad immagine, accogliendo lo Spirito vivificante che dona, trasformando gli uomini in immagini di Dio? Io penso al battesimo, che non a caso è per Paolo l’evento escatologico in cui ci si cristifica, si diviene immagini, ci si incorpora in Cristo ricevendo il suo Spirito. Pertanto, malgrado mai Paolo ci descriva il battesimo d’acqua di Cristo, il battesimo (d’acqua e soprattutto di morte) mi pare comunque l’unico presupposto possibile della sua antropologia divinizzata: la discesa al Giordano dello Spirito sul Figlio eletto e generato come Messia sarebbe la caparra della pienezza dello Spirito ricevuta con la resurrezione (evento escatologico-carismatico fondamentale, che determina la retroproiezione dell’identità messianica dell’Uomo ad immagine sull’evento battesimale), la quale costituisce definitivamente Gesù come suprema Immagine celeste e Spirito vivificante per i suoi fratelli battezzati e riunificati (immagini nell’Immagine di Gloria) nel corpo del Macranthropos. Insomma, il segreto della cristologia paolina è evidentemente pneumatico, rivelato nella dialettica battesimo d’acqua/battesimo di morte, costituzione messianica e caparra dello Spirito/resurrezione del Cristo-Immagine celeste-carismatica e pienezza dello Spirito.

Si pensi, a partire da questa prospettiva, al fondamentale Inno(?) cristologico dell’Epistola ai Filippesi (2,5-11), testo assai controverso, considerato da alcuni studiosi non soltanto come frammento cristiano prepaolino, ma persino come restituzione cristianizzata di un testo protognostico, testimone di una precristiana cristologia dall’alto, applicata quindi da un autore cristiano alla figura di Gesù54. Attribuendo più sobriamente questo testo straordinario – esso influente sulle successive variazioni gnostiche ed eremetiche – allo stesso Paolo (geniale teologo, candidato più plausibile alla sua paternità rispetto ad un’anonima e indistinta origine comunitaria), è per il nostro tema del massimo interesse rilevare come anch’esso pare presupporre un’opposizione tra Adamo e Cristo. Questi

«pur essendo nella forma di Dio (ejn morfh=/ qeou= uJpavrcwn), non considerò un tesoro geloso (oujc ajrpagmoVn hJghvsato) la sua uguaglianza con Dio (toV ei^nai ijvsa qew=/); ma svuotò se stesso (eJautoVn ejkevnwsen), assumendo la forma di servo (morfhVn douvlou labwvn) e divenendo simile agli uomini (ejn oJmoiwvmati ajnqrwvpwn genovmenoò); apparso in aspetto umano (schvmati eujreqeiVò wJò ajvnqrwpoò), umiliò se stesso (ejtapeivnwsen eJautovn) facendosi obbediente (genovmenoò uJphvkooò) fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre» (Filip 2,6-11)55. In quella che è stato definito «dopo Ebrei 2,5-9, la più completa espressione della cristologia di

Adamo nel Nuovo Testamento»56, l’umiltà di Gesù Messia (uJphvkooò) risulta contrapposta alla peccaminosa avaritia (il possesso geloso e rapace espresso dall’ajrpagmovò) di chi era stato creato nella forma/immagine dell’“uguaglianza Dio” (2,6), con evidente corrispondenza con l’opposizione di Rom

54Cf., ad esempio, E. BRANDENBURGER, Adam und Christus. Exegetisch-religionsgeschichtliche Untersuchung zu Rm 5

12-21 (I Cor 15), Neukirchen 1962, in part. 153-157 (la dottrina dei due Adamo, il secondo dei quali identificato con l’Adamo redentore, viene fatto dipendere da preesistenti tradizioni giudaico-ellenistiche, in particolare alessandrine ed ermetiche, già sostanzialmente gnostiche); G. QUISPEL, Ezekiel 1:26 in Jewish Mysticism and Gnosis, in «Vigiliae Christianae» 34, 1980, 1-13, in part. 8-13 (sia l’inno paolino che il Poimandres dipenderebbero parallelamemte da un preesistente testo giudaico-ellenistico di carattere gnostico); J. HOLZHAUSEN, Der “Mythos vom Menschen” im hellenistischen Ägypten: Eine Studie zum 'Poimandres' (= CH 1) zu Valentin und dem gnostischen Mythos, Bodenheim 1994, 118-129 (l’inno paolino è fatto dipendere da un inno giudaico-ellenistico attestante un mito dell’Urmensch – coincidente con il mito del Poimandres ermetico – fondato su un’esegesi platonizzante di Gen 1,26).

55Sulla storia dell’interpretazione dell’inno e sulla tesi che nega di identificarvi un’affermazione di cristologia della preesistenza, cf. K.-J. KUSCHEL, Geboren vor aller Zeit? Der Streit um Christi Ursprung, München 1990, tr. it. Generato prima di tutti i secoli? La controversia sull’origine di Cristo, Brescia 1996, 323-356; in particolare, sull’antitesi Gesù-Adamo, cf. 334-337; Kuschel, comunque, fonde questo tema con quello dell’interpretazione di un’embiornale “cristologia” sapienziale, ove l’idea di preesistenza è sì avanzata, ma soltanto come «“idea accessoria”… pura funzione dell’affermazione riguardante l’abbassamento e l’elevazione» (351), di eversiva, anzi «esplosiva» portata teologico-politica (cf. 354-356). Cf. anche l’equilibrata sintesi (e alla relativa bibliografia) di J. DUNN, La teologia dell’apostolo Paolo…, 289-296.

56J. DUNN, La teologia dell’apostolo Paolo…, 294.

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5,19 tra la parakohv di Adamo e la uJpakohv di Cristo. Il serpentino eritis sicut Dei perversamente fatto proprio da Adamo (Gen 3,5) è, così, contrapposto alla kenosis di Gesù, costituito (ma quando, con il battesimo?) immagine perfetta di Dio, eppure capace di svuotarsi, per amore, della sua gloriosa immagine, ove proprio l’esaltazione divina della nullità e del vuoto di gloria e di merito risulta il paradossale fuoco creativo della stessa cristologia dell’esaltazione paolina. E’ vera immagine di Dio quella che si riconosce nulla in sé (l’umile svuotarsi di Cristo sino alla morte) e tutto in Dio e per Dio che la ricrea dal nulla, l’esalta nella resurrezione. Sicché pensare ad una cristologia della preesistenza personale e, ancor peggio, della divinità ipostatica di Cristo57 risulta, in proposito, del tutto fuorviante, in quanto l’esaltazione messianica dipende proprio dalla capacità di non trattenere per sé, di non esaltarsi dell’immagine divina ricevuta – potenzialmente propria di ogni creatura, eppure certo prerogativa singolare dei due Adamo, tipi predestinati a riassumere l’intera dialettica antropologica tesa tra inizio ed eschaton –, riconoscendosi quindi nient’altro – sino all’estremo della croce – che mortale umanità eletta. Insomma, il “merito” di Cristo (ovvero la rivelata funzione della sua identità salvifica eletta per grazia) è riconoscere che non si è quel che si ha per grazia58: è questo il senso più profondo e sistematicamente coerente della stessa cristologia di Paolo, non a caso tutta incentrata niente affatto su un’irrintracciabile preesistenza (tutt’al più interpretabile come quella propria di «Gesù nel ruolo di Adamo, l’Adamo come Dio lo intendeva»59), bensì sull’escatologica esaltazione del Cristo risorto in Spirito.

In tal senso, rivelativa risulta la peculiare interpretazione paolina del tempo escatologico come tempo dell’universale dilatazione redentiva della grazia di Dio, dal solo Israele a tutte le genti, per tornare prima della fine a ricomprendere anche Israele (cf. 1Cor 15,20-28; Rom 9-11). La sottomissione di tutte le cose a Dio non è affatto il riattingimento dell’unità originaria creata da Dio, ma il miracolo inaudito della fine insperata: il ricongiungersi “innaturale” e graziato, nel battesimo escatologico dello Spirito del Messia, di tutte le differenze naturali, tra le quali quella massimamente simbolica di maschio e femmina (sec. LXX: ajvrsen kaiV qh=lu)60, cioè dell’uomo ad immagine di Gen 1,27:

«Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è più giudeo né greco (oujk ejvni jIoudai=oò oujdeV {Ellhn); non c'è più schiavo né libero (oujk ejvni dou=loò oujdeV ejleuvqeroò); non c'è più uomo né donna (oujk ejvni ajvrsen kaiV qh=lu), poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù (pavnteò gavr uJmei=ò ei|ò ejste ejn Cristw=/ jIhsou=)» (Gal 3,26-28)61. Ogni asimmetria naturale, che è affermazione di superiorità ed imposizione di inferiorità, viene

tolta; Cristo diviene l’uno-di-tutti, la riconciliazione di ogni differenza nell’amore, di cui il battesimo nello Spirito – che fa morire alla propria identità di vecchio Adamo morente, per far rinascere all’identità di nuovo Adamo vivificante – è decisiva fruizione. Quindi, nello Spirito di Cristo, il dono opera (ci si consenta la forzatura) “democraticamente”62, proprio perché escatologica ricostituzione dell’originaria

57Già Schelling, con straordinaria finezza esegetica, aveva dimostrato l’impossibilità di interpretare l’inno dell’Epistola

ai Filippesi come attestazione di una cristologia della divina preesistenza ipostatica, pur dichiarandosi a favore di una cristologia della preesistenza affine a quella dell’inno cristologico dell’Epistola ai Colossesi: cf. la XXV lezione di G.W.F. SCHELLING, Philosophie der Offenbarung, I-II, 1854, quindi Frankfurt am Main 1977, tr. it. Filosofia della rivelazione, I-II, Bologna 1972, II, 137-155, in part. 144-150.

58«Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché te ne vanti come non l'avessi ricevuto?... Ritengo infatti che Dio abbia messo noi, gli apostoli, all'ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo diventati spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini» (1Cor 4,7e9).

59J. DUNN, La teologia dell’apostolo Paolo…, 296. 60Come esempio di sopravvivenza tradizionale in Paolo di una concezione antropologica e non escatologica del tema

dell’uomo come immagine di Dio, cf. 1Cor 11,7-12: «L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell'uomo. E infatti non l'uomo deriva dalla donna, ma la donna dall'uomo; né l'uomo fu creato per la donna, ma la donna per l'uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza a motivo degli angeli. Tuttavia, nel Signore, né la donna è senza l'uomo, né l'uomo è senza la donna; come infatti la donna deriva dall'uomo, così l'uomo ha vita dalla donna; tutto poi proviene da Dio». Il testo è comunque molto interessante, perché mentre antopologicamente identifica il solo uomo come immagine di Dio, subordinandogli la donna, escatologicamente e “cristologicamente” riunifica inseparabilmente uomo e donna: la natura divide e subordina, la grazia unifica e riscatta dalla subordinazione.

61Cf. Rom 10,12 e soprattutto 1Cor 12,12-14: «Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo (ejn eJniV pneuvmati hJmei=ò pavnteò eijò eJvn sw=ma ejbaptivsqhmen), Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito (pavnteò eJvn pneu=ma ejpotivsqhmen)». Cf., poi, i testi deuteropaolini dipendenti: « Vi siete infatti spogliati dell'uomo vecchio (oJ palaiovò ajvnqrwpoò) con le sue azioni e avete rivestito il nuovo (toVn nevon toVn ajnakainouvmenon), che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine (kat*eijkovna) del suo Creatore. Qui non c'è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti» (Col 3,9-11); Efes 2,13-22.

62Una lunga analisi meriterebbe la straordinaria Epistola a Filemone, ove la gerarchia sociale padrone-schiavo è, simul, esteriormente mantenuta e carismaticamente svuotata e abbattuta, a partire dalla stessa carismatica gerarchia padre (Paolo)/figlio (Filemone) nella fede, simul avanzata e ritrattata (nello Spirito, il potere è rovesciato in servizio). Davvero la storia della democrazia

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proclamazione del disegno di Dio. Soltanto l’evento storico della rivelazione di Cristo, della nuova alleanza dello Spirito, compie il miracolo dell’uomo ad immagine, che la struttura dell’essere naturale restituisce soltanto come mortale, infranta, peccaminosamente divisa in opposizioni gerarchiche. Il dono è evento ultimo e non dato di natura. L’uomo ad immagine – di cui Cristo Immagine è l’escatologico archetipo – è davvero l’eterno oggetto predestinato dell’elezione di Dio, che soltanto alla fine del vecchio eone e della vecchia economia, nella novità di Cristo e nel battesimo dello Spirito vivificante che in Cristo incorpora, si realizza. Infatti, in Rom 1,23, l’ambito della natura (propria non soltanto di ogni pagano, ma degli stessi ebrei vistitati dalla Legge di Dio) non può che restituire come inconciliata l’opposizione tra la dovxa di Dio e l’idolatrica «somiglianza dell’immagine dell’uomo corruttibile (ejn oJmoiwvmati eijkovnoò fqartou= ajnqrwvpou)», mentre soltanto il Cristo escatologico, che è proclamato dovxa ed eijkwvn di Dio in 2Cor 4,4, può nello Spirito riconciliare gloria della pienezza divina e deformata immagine corruttibile. L’uomo ad immagine, anzi la stessa Immagine è l’ultimo, Cristo, e non il primo, Adamo. Se il passaggio figurale da Adamo a Cristo è un passaggio dall’ontologico/protologico al carismatico/escatologico, dalla natura all’evento della grazia, in un rovesciamento assolutamente paradossale Adamo non ha alcun valore o senso in se stesso, ma soltanto come ombra ed “attesa” di Cristo: la creazione spera ed attende sin dal suo primo palpito la redenzione di Cristo (cf. Rom 8,19-25), la natura (l’uomo come corpo psichico, naturale, quindi il primo Adamo) è soltanto figura della grazia (dello Spirito vivificante e del secondo Adamo che lo concede). In Paolo qualsiasi nostalgia per una perfezione originaria perduta è definitivamente consumata63 a favore dell’esaltazione carismatica dell’irruzione escatologica della nuova alleanza dello Spirito, del vivificante dono di Dio in Cristo, nel quale l’intera umanità è tutta riunificata come universalmente simul reietta ed eletta, uccisa e resuscitata.

I,4 – Cenni alla Lettera ai Colossesi, alla Lettera agli Ebrei e al Vangelo di Giovanni. L’inno

cristologico (1,15-20) della deutero-paolina Lettera ai Colossesi innova profondamente questa prospettiva del Paolo autentico64, in quanto avvia quel processo di identificazione di Cristo con la preesistente mediazione ontoteologica tra Dio e il mondo. E ciò in analogia con quanto opera la tradizione giovannea, che nel Prologo del IV vangelo arriverà a proclamare la protologica identità di Cristo, definito come Dio presso il Dio e come creatore del mondo, pur essendo confessato come l’escatologico rivelatore di salvezza. Nell’Epistola ai Colossesi, Cristo è quindi proclamato come l’Immagine gloriosa di Dio sin dall’inizio della creazione, anticipando quel decisivo feed back che caratterizza la traiettoria dell’evoluzione della cristologia e quindi dell’antropologia cristiana. Si tratta, insomma, del passaggio da un’escatologia dell’Immagine ad una protologia dell’Immagine, che tende a rileggere il racconto della creazione di Gen 1,26-27 a partire dall’identificazione del Dio creatore con Cristo, in analogia con l’identificazione filoniana tra l’Uomo ad immagine ed il Logos, potenza creatrice-rivelatrice dell’unico Dio. Infatti, Cristo è definito

«Immagine del Dio invisibile (eijkwVn tou= qeou= tou= ajoravtou), primogenito (prwtovtokoò) di ogni creatura, poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili… Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui. Egli è anche il capo del corpo, cioè della chiesa; il principio (ajrchv), il primogenito (prwtovtokoò) di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose. Perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza (pa=n toV plhvrwma) e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli» (1,15-20).

La persistente e ancora dominante prospettiva escatologica, che interpreta l’Immagine assoluta

del Padre come Capo del corpo dei redenti, viene esaltata attraverso la sua assolutizzazione protologica ed ontoteologica, sicché il tutto redento finisce per coincidere, almeno tendenzialmente, con il tutto creato, in una significativa ontologizzazione dell’escatologica universalizzazione del dono di grazia così come era stato pensato da Paolo. In tal senso, anche i primi due capitoli dell’Epistola agli Ebrei, con il loro dichiarare Cristo «irradiazione della gloria e impronta dell’ipostasi (ajpauvgasma th=ò dovxhò kaiV carakthVr th=ò uJpostavsewò)» (1,3) del Padre ed insistere sulla sua natura superiore a quella degli angeli (cf. 1,4-2,9),

occidentale potrebbe essere interpretata come secolarizzazione del nuovo, carismatico svuotamento escatologico di tutte le antiche gerarchiche scissioni mondane.

63Cf. J. DANIÉLOU, Sacramentum futuri. Études sur les origines de la typologie biblique, Paris 1950, 9-12; M. HENGEL, Der Sohn Gottes. Die Entstehung der Christologie und die jüdisch-hellenistische Religionsgeschichte, Tübingen 1977(2), tr. it. Il figlio di Dio. L’origine della cristologia e la storia della religione giudeo-ellenistica, Brescia 1984, 108-111.

64Cf. R. CANTALAMESSA, Cristo “Immagine di Dio”. Le tradizioni patristiche su Col 1,15, in «Rivista di storia e letteratura religiosa» 16, 1980, 181-212 e 345-380, quindi in Dal kerygma al dogma. Studi sulla cristologia dei Padri, Milano 2006, 153-214.

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attribuendogli la creazione del mondo (cf. 1,2 e 2,10), parrebbe presupporre al tempo stesso un innalzamento della riflessione protocristiana su Cristo Immagine ed una polemica antigiudeocristiana (Cristo abolisce e toglie in sé allegoricamente il culto giudaico) contro una cristologia adamitica (Cristo come Adamo arconte/angelo dell’umanità) analoga a quella pseudoclementina65: Cristo è l’intima, divina, onnicreativa immagine/impronta del Padre, che pure, divenendo partecipe di «carne e sangue» dell’umanità, diviene il capo di un corpo costituito da molti fratelli, dei quali espia il peccato con la sua passione e la sua morte (cf. 2,11-18).

Malgrado dal Vangelo di Giovanni sia del tutto assente una citazione di Adamo o un riferimento esplicito all’uomo ad immagine, nel colloquio con Nicodemo incontriamo l’identificazione di Cristo con «il Figlio dell’uomo disceso dal cielo» (Gv 3,13) e, d’altra parte, la contrapposizione tra ciò che nasce dallo Spirito e dal cielo e ciò che nasce dalla carne ed è di terra66, che parrebbe ricordare la contrapposizione paolina tra l’Adamo nato dalla terra e “l’ultimo Adamo… dal cielo” che riceve e dona (battezzando) lo Spirito vivificante (così, in Gv 3,15, il Figlio dell’Uomo è colui che «dona la vita eterna»), come è affermato dal Battista in Gv 1,32-34. Non è da trascurare, infine, la rivoluzionaria definizione del Prologo di Gv del principio divino cosmologico preesistente con il termine Logos, che è decisiva premessa dell’identificazione della creata pienezza protologica (il tutto creato in principio come vita e luce) con la natura logica, che precocemente, nel processo di progressiva e sistematica ellenizzazione del kerygma primitivo ancora espresso secondo predominanti categorie giudaiche (e in particolare secondo categorie carismatiche, escatologiche e persino apocalittiche), sarà interpretata a partire dalle ontologiche categorie filosofiche greche. In proposito, è della massima importanza segnalare un’impressionante corrispondenza, che mi sembra generalmente trascurata: sia il Prologo giovanneo che l’inno dell’Epistola ai Colossesi, entrambi impegnati a innalzare Cristo crocifisso all’ajrchv universale, presentano impressionanti analogie terminologiche con il Timeo di Platone! Mi limito a segnalare l’ultimo periodo dell’opera (92c), nel quale il cosmo viene definito «dio sensibile immagine dell’intellegibile (eijkwVn tou= nohtou= qeoVò aijsqhtovò)», «essendo completato (sumplhrwqeivò) nel ricevere realtà mortali e immortali», infine persino definito «uno ed unigenito (ei|ò… monogenhVò)». Il dio visibile platonico, che tutto abbraccia nella sua pienezza, è Immagine ed Unigenito, come il preesistente Figlio divenuto visibile e sensibile uomo di carne, appunto definito Qeovò (Gv 1,1 e 14) e Monogenhvò nel Prologo giovanneo (Gv 1,14) ed Eijkwvn nella lettera deuteropaolina, in entrambi i casi luogo protologico ed escatologico della pienezza (plhvrwma: cf. Gv 16; Col 1,19). Una precocissima restituzione platonica del cristianizzato Uomo ad immagine?

II - La gnosi eretica L’enormemente complesso fenomeno della gnosi dualistica cristiana (qui sommariamente

accorpata, tenendo comunque presenti le due sue principali tradizioni, quella sethiana o barbelognostica e quella valentiniana) si spiega proprio come ambigua convergenza tra tradizione paolino-giovannea e ontologizzazione ellenistica. a) Il dualismo gnostico restituisce come opposizione di divinità, di nature, di irriducibili rivelazioni teologiche la dialettica tra antica (la Legge) e nuova, escatologica alleanza (la grazia dello Spirito di Cristo) dell’unico Dio di Israele ripensata da Paolo a partire da Geremia ed Ezechiele; b) le complesse teogonie gnostiche restituiscono come eterno dramma divino la rivelazione storica (vangelo, passione, morte, resurrezione) di Gesù, Figlio di Dio patiens, divinizzato all’interno della tradizione giovannea, sicché la proclamazione del Logos divino preesistente comporta l’alterazione passionale (generativa della filialità) dell’Assoluto. La dottrina gnostica dell’uomo ad immagine67 risulta, così, il nodo decisivo nel quale si intrecciano queste due tensioni giudaicamente eversive della tradizione protocristiana: essa, infatti, al tempo stesso a) restituisce l’opposizione (apparentemente analoga a quella filoniana e in continuità con quella cattolica alessandrina) tra il divino, pneumatico uomo ad immagine (il

65La tendenza teologica combattuta da Ebrei sarebbe caratterizzata da «un profondo attaccamento ai valori del culto

giudaico, con la tendenza concomitante a far rientrare Gesù in uno schema ininterrotto di storia della salvezza come successore degli angeli e di Mosè in quanto rivelatori della volontà di Dio» (R.E. BROWN, Rome, in R.E. Brown-J.P. Meier, Antioch and Rome, New York 1983, tr. it. Antiochia e Roma. Chiese-madri della cattolicità antica, Assisi 1986, 109-252, in part. 188).

66«Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito. Non ti meravigliare se t'ho detto: dovete rinascere dall'alto… Se vi ho parlato di cose della terra (taV ejpivgeia) e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo (taV ejpouravnia)? Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo (oJ ejk tou= oujranou= katabasavò)» (Gv 3,6-7 e 12-13).

67Indispensabili i testi ormai classici, seppure assai discutibili, di J. JERVELL, Imago Dei (Gn 1,26 f.) im Spätjudentum in der Gnosis und in den paulinischen Briefen, Göttingen 1960; di H.-M. SCHENKE, Der Gott “Mensch” in Der Gnosis. Ein Religionsgeschichtlicher Beitrag zur Diskussion über die paulinische Anschauung von der Kirche als Leib Christi, Göttingen 1962; di W. SCHMITHALS, Die Gnosis in Korinth, Göttingen 1956, 1969(3); Paulus und die Gnostiker, Hamburg 1965; Neues Testament und Gnosis, Darmstadt 1984, tr. it. Nuovo Testamento e gnosi, Brescia 2008.

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paolino ultimo Adamo) e il degradato uomo plasmato dalla terra (lo psichico-coico primo Adamo) come irriducibilità tra il figlio amato nella grazia e la creatura dominata dal suo arrogante Demiurgo, perversa caricatura della Filialità, quindi degradata immagine dell’Immagine; e b) come complessa implicazione/opposizione tra il creato uomo ad immagine (tripartito in nature irriducibili) e un’Immagine eterna intradivina, il Figlio dell’Uomo, talmente penetrato nel cuore dell’assoluto, da definire il Padre come Uomo che genera ed ama eternamente suo Figlio/i suoi figli68.

Chiarissimo, in tal senso, lo straordinario I frammento di Valentino, riportatoci da Clemente d’Alessandria nei suoi Stromateis69:

«Una specie di timore prese gli angeli di fronte a quella creatura, quando, parlando liberamente, diceva cose superiori alla propria condizione di creatura, grazie a colui che aveva posto in lei il seme della sostanza superiore (spevrma th=ò ajvnwqen oujsivaò). Così anche nelle generazioni degli uomini del mondo incutono timore agli artefici le loro opere, quali statue, immagini e tutto ciò che le mani fanno in nome di Dio. Così Adamo plasmato nel Nome dell’Uomo suscitò il timore dell’Uomo preesistente, come di quello che stava dentro di lui. Perciò gli angeli furono colpiti da stupore e subito celarono l’opera»70. Il frammento nasconde un’interpretazione divisiva della creazione di Adamo, creatura degli

angeli-arconti, ma visitato da un “evento ontologico” (cioè dalla nuova rivelazione cristiana dello Spirito) assolutamente eccedente rispetto all’attività demiurgica: il simulacro di Dio, l’immagine inerte e ontologicamente degradata della rivelazione del Nome pleromatico – evidentemente presupposto come trascendente archetipo della fattura arcontica – è visitata dal dono dello Spirito. Il seme della sostanza superiore avviene in lei, rivelando una consustanzialità con il Nome assolutamente trascendente e tremendo, nei confronti del quale gli arconti non possono che provare religioso terrore. Adamo, insomma, è l’immagine visitata dall’Immagine, dall’Uomo dall’alto, cioè dal cielo, la mescolanza paradossale di sostanze pneumatica (dall’alto, consustanziale al Nome, cioè al Figlio e al Padre pleromatici) e psichico-ilica (quelle plasmate dagli arconti), di dono e creazione, di libertà filiale e sudditanza creaturale. Il dono paolino risulta antropologicamente ontologizzato in seme spirituale, in natura divina, in realtà immateriale ed intelligente, eppure conserva la sua eccedenza gratuita rispetto al mondo delle cose, alla realtà dominata da un dio creatore e dominatore, attraverso lo strumento assoggettante della sua Legge. D’altra parte, in direzione giovannea, l’ultimo Adamo è l’Uomo preesistente, il Figlio eternamente presso il Padre, la cui immagine spirituale parla, dice cose tremente perché rivela un’eccedenza di libertà: quella del dono gratuito. Così nel frammento V di Valentino – ancora riportatoci da Clemente71 e a mio parere da interpretare non soltanto come descrizione della cosmogonia, ma ancora e soprattutto dell’antropogonia –, il kovsmoò (l’intero ambito della creazione) è platonicamente definito come eijkwvn, ma cristianamente come eijkwvn del provswpon, del Volto vivente (ove Volto è per i valentiniani termine tecnico che designa il Figlio pleromatico che rivela il Padre72). Evidentemente, Valentino presuppone anche in questo caso la scena rivelativa che è presupposta all’origine della creazione di Adamo: una prima apparizione nel mondo inferiore del Volto-Figlio, che l’immagine creata dal Demiurgo cerca di imitare, potendo però realizzare qualcosa di ontologicamente inferiore (ejlavttwn) rispetto al modello. Soltanto la rivelazione personale del Nome, del Figlio redentivo, può comunque colmare (ejplhvrwsen) la deficienza (toV uJsterh=san) dell’immagine, inserendo una realtà, una «morfhv» divina nel “corpo” inferiore della realtà. La dialettica paolina tra vecchia e nuova creazione, tra Adamo psichico-ilico ed ultimo Adamo pneumatico, viene anche qui ontologizzata e cosmologizzata, rivelando intere strutture dell’essere, certo teologicamente governate ed antropologicamente finalizzate. La cosmologica inferiorità nello spazio si sovrappone all’escatologica degradazione del vecchio eone, della vecchia alleanza; l’eccedenza pleromatica e la sua redentiva teofania sono il Volto dell’immagine, l’unica possibilità di fare avvenire nell’inferiore il dono della filialità, il Volto-Figlio eternamente amato dallo sguardo del Padre.

Questi due frammenti di Valentino trovano una notevole corrispondenza (al punto da originare un rilevante dibattito storiografico relativo alla determinazione della reciproca dipendenza) nel mito antropogonico del principale testo della tradizione barbelo-gnostica o sethiana: l’Apocrifo di Giovanni, ritrovato in ben tre distinti codici a Nag Hammadi, oltre che nello gnostico papiro di Berlino. Ho già

68Per un’introduzione al tema, cf. G. LETTIERI, La mente immagine…, 76-86; sull’interpretazione di Adamo e del

paradiso, cf. L’ambiguità dell’Eden…, 45-59. 69Per un esauriente commento del frammento, cf. E. THOMASSEN, The Spiritual Seed. The Church of the “Valentinians”,

Leiden-Boston 2006, 430-451. 70CLEMENTE D’ALESSANDRIA, Strom II,8,36. 71CLEMENTE D’ALESSANDRIA, Strom IV,13,89-90. 72Oltre al Vangelo di verità, attribuito allo stesso Valentino e ritrovato a Nag Hammadi, cf., ad es., Excerpta ex Theodoto

23,5.

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definito questo mito antropogonico come «mito della teofania sulle acque»73, interpretandolo come reduplicazione protologizzata dell’evento salvifico del battesimo di Gesù al Giordano, quando sull’uomo Gesù discende lo Spirito Santo che lo genera come Figlio. Proprio il battesimo, per Paolo incorporazione in Cristo e ricreazione nello Spirito dell’uomo nuovo, consente di interpretare la creazione di Adamo come ontologica anticipazione della dialettica tra vecchia (ilico-psichica) e nuova (pneumatica) creatura, dipendenti dalla vecchia alleanza (l’economia demiurgica, che “ad immagine” dell’Uomo di luce manifestatosi sulle acque cosmiche, crea un uomo imperfetto, perverso e impotente, subordinato e imprigionato dalla Legge, quindi “a somiglianza” degli arconti) e nuova alleanza (l’economia dello Spirito, che produce l’insufflazione in Adamo dello Spirito, quindi l’avvento del trascendente seme divino, libero, incorruttibile, consustanziale al pleroma). La rivelazione di Cristo – redentore della Sophia extrapleromatica, pentitasi del suo peccato, sulla quale discende dal pleroma lo Spirito Santo e per la quale è prima proclamato il nome pleromatico binitario “Esiste l’Uomo e il Figlio dell’Uomo”, quindi manifestato sulle acque cosmiche l’Immagine luminosa dell’Uomo pleromatico – avvia pertanto prima la creazione del vecchio uomo mortale, corruttibile, peccaminoso, poi l’intervento salvifico degli Eoni spirituali, che, tramite Sophia e il suo strumento demiurgico, donano lo Spirito che dà vita alla fattura ilico-psichica del Demiurgo.

Anche la complessa notizia dell’autore dell’Elenchos sulla Predica dei Naasseni74 testimonia del ruolo strategico all’interno della logica gnostica del mito della creazione di Adamo come dipendente da una teofania dell’Uomo primordiale, che gli arconti cercano di imprigionare tramite una loro fattura di natura inferiore, ma ad immagine dell’apparizione divina. In Elenchos V,7,6-7, Adamo viene descritto come «immagine dell’Uomo superiore (eijkwvn ejkeivnou tou= ajvnw)», immagine puramente materiale, immobile, priva di vita, creata dalle «molte potenze» perché il suo eterno modello (Adamas) «fosse completamente asservito» e tramite la creazione di una yuchv passibile e sofferente, inserita dagli arconti in Adamo, «soffrisse e fosse punito in servitù l’essere plasmato [ad immagine] del grande bellissimo perfetto uomo». Gli arconti, pertanto, imprigionano «l’uomo interiore (oJ ejvsw ajvnqrwpoò: Rom 7,22; Efes 3,16)… nell’opera di oblio, di terra (toV coúnovn), d’argilla (toV ojstravkikon)»75. La salvezza dell’uomo consisterà, al contrario, nell’essere illuminato76 da Cristo, Figlio dell’Uomo che si rivela kenoticamente nel mondo della prigione arcontica. L’immagine di Adamas, l’uomo interiore, «l’uomo vivente (oj ajvnqrwpoò oJ zw=n))»77 viene così «trasferito in alto all’essenza eterna, dove non c’è né femmina né maschio, ma nuova creazione, uomo nuovo (cf. Gal 3,28 e Efes 2,15; 4,24) che è androgino»78, ove è evidente la traccia battesimale, come testimonia apertamente Elenchos V,7,18-19, che interpreta il battesimo come abbandono della differenza sessuale ed attingimento dell’unita assoluta del divino trascendente, con il quale lo spirituale è «consustanziale»79.

«Infatti è mortale tutta la generazione di quaggiù, immortale invece quella generata in alto. Infatti nasce spirituale dall’acqua soltanto e dallo Spirito, non carnale»80.

D’altra parte, proprio nella discesa al battesimo sul Giordano, nel suo nascondersi nel corpo

coico di Gesù, il Figlio dell’Uomo (il Figlio di Adamas), ovvero il divino ed invisibile ei^doò celeste – «che abita il diluvio e che fa udire la sua voce e il suo grido da molte acque… “Se attraverserai i fiumi, non ti sommergeranno”»81 – avvia la sua opera redentiva, che al tempo stesso compie il mistero di salvezza e proletticamente (davvero tramite un feed back) fonda l’archetipico modello antropomorfo, che protologicamente aveva permesso agli arconti l’imprigionamento dell’anima, dell’uomo interiore patiens all’interno della loro creatura coica:

73Cf. G. LETTIERI, La teofania sulle acque: il fondamento cristologico del mito gnostico, in «Cassiodorus» 1, 1995, 151-

165. Cf. Apocrifo di Giovanni 13,13-15,15 e 19,12-20,4. 74PSEUDO-IPPOLITO, Elenchos V,7,2-10,2. 75PSEUDO-IPPOLITO, Elenchos V,7,36. 76Cf. PSEUDO-IPPOLITO, Elenchos V,7,33. 77PSEUDO-IPPOLITO, Elenchos V,8,23 e 32. 78PSEUDO-IPPOLITO, Elenchos V,7,15. 79«Lo spirituale rigenerato [è] in tutto consustanziale (oJmoouvsioò) all’uomo primigenio (ajrcavnqrwpoò)» (PSEUDO-

IPPOLITO, Elenchos V,8,10). 80PSEUDO-IPPOLITO, Elenchos V,7,40. Cf. V,8,37: «L’uomo perfetto [è] quello rigenerato dall’acqua e dallo Spirito,

quello non carnale». 81PSEUDO-IPPOLITO, Elenchos V,8,15-16.

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«Di lui che è stato circoscritto e che ha preso figura si ode la voce (fwnhv), ma nessuno può vedere qual è la forma (toV ei^doò) che scende dall’alto, da colui che è senza figura. Sta nel corpo terreno (ejn tw/= plavsmati tw=/ coúkw=/), ma nessuno lo conosce»82.

Questo testo dalla Predica dei Naasseni corrisponde perfettamente alla variante del mito della teofania sulle acque e della creazione di Adamo riportato nella notizia barbelitica da Ireneo, Adversus Haereses I,30,6, che superficialmente potrebbe sembrare assai diversa da quella riportata dall’Apocrifo di Giovanni. Infatti, nel resoconto ireneano manca la teofania dell’uomo luminoso, sostituito dalla «nova vox et inopinabilis nuncupatio» di Sophia, che proclama – come nell’ApGv – l’esistenza binitaria dell’Uomo e del Figlio dell’Uomo al di là del Demiurgo. Questi reagisce volendo creare, in risposta alla tremenda rivelazione teofonica, un Adamo «a nostra [degli arconti] immagine»83: prima produce un gigantesco uomo coico, capace soltanto di strisciare («scarizans»), nel quale però insuffla quel soffio di vita psichico che è la stessa natura del Demiurgo e, inconsapevolmente suo tramite, soprattutto il seme pneumatico ispirato da Sophia84. Ora, proprio il brano naasseno sopra analizzato ci dimostra come la Voce sia identificata con l’unica possibile manifestazione della Forma dell’Uomo che scende dall’alto nel corpo coico di Adamo. Che il contesto ermeneutico sia in quest’ambito antropogonico ancora battesimale è confermato dalla narrazione della rivelazione dell’incarnazione di Cristo in Gesù al battesimo (cf. AdvHaer I,30,11-12), anticipata dalla profezia veterotestamentaria incentrata, per opera di Sophia che la ispira, sulla rivelazione del Primo Uomo e della prima «discesa di Cristo»85, che non può che essere quella della Voce e del Nome (sinonimo del rivelarsi del Figlio già nel Vangelo di Giovanni) che originava la decisione arcontica di creare Adamo.

Anche le notizie relative ai discepoli di Valentino confermano che il più complesso e raffinato sistema gnostico presuppone o varia il mito della rivelazione dell’Immagine nella teofania sulle acque. La narrazione della creazione di Adamo presentata dalla Grande Notizia ireneana, che omette il mito della teofania sulle acque presente in Valentino e nell’Apocrifo di Giovanni, presuppone comunque un’esegesi di 1Cor 15,44-53: il Demiurgo crea l’Adamo coúkovò dalla uJvlh della terra informe e invisibile di Gen 1,2, insufflando in lui l’Adamo psichico (cf. Gen 2,7 e la creazione del corpo psichico, cioè del corpo vivificato dall’anima, in 1Cor 15,45); ma nascostamente, Sophia (la mitica personificazione dell’alter ego del Redentore, la spirituale umanità patiens, peccatrice e decaduta dal pleroma nel kenoma, escatologicamente chiamata a divenire il corpo spirituale e la sposa escatologica del Cristo pleromatico86) immette, nel soffio demiurgico che dona la vita psichica all’Adamo coico, il seme-frutto pneumatico87 della sostanza spirituale88 (evidente la dipendenza dalla reinterpretazione cristologica del soffio di Dio di Gen 2,7 operata in 1Cor 15,45, ove l’ultimo Adamo riceve/diviene lo Spirito vivificante). L’affermazione paolina dell’anteriorità dello psichico rispetto allo spirituale (cf. 1Cor 15,46), evento escatologico e donativo, ritorna dislocata dall’ambito escatologico all’ambito protologico ed antropogonico: il seme che Sophia insuffla tramite il Demiurgo ignaro in Adamo è comunque definito «frutto ad immagine… e a somiglianza» delle personali realtà pneumatiche (gli angeli, le figure dello stesso destino escatologico degli uomini spirituali) rivelate dal Salvatore. L’uomo spirituale, l’uomo-immagine del pleroma è, quindi, l’ultimo insufflato nel primo, l’evento spirituale/redento che avviene nella dimensione defettiva e imperfetta della creazione demiurgica; è l’uomo escatologicamente redento da Cristo che, in quanto immagine, viene retroproiettato nell’interiore e “storicamente/rivelativamente” scandita articolazione antropologica di Adamo. L’analogia con l’intima struttura mitoteologica della teofania sulle acque è evidente: nei frammenti di Valentino e nell’Apocrifo di Giovanni era la rivelazione salvifica del Nome-

82PSEUDO-IPPOLITO, Elenchos V,8,14. 83IRENEO, AdvHaer I,30,6. 84IRENEO, AdvHaer I,30,6. 85IRENEO, AdvHaer I,30,11. 86La stessa Sophia Achamoth, decaduta dal pleroma e divenuta madre del Demiurgo e delle stesse realtà cosmiche

inferiori (psichiche ed iliche), è comunque definita Immagine, in quanto principio spirituale originario della realtà kenomatica ed architetto della sua formazione e (pure relativa) redenzione: Sophia, comunque, «conserva l’immagine del Padre invisibile (aujthVn meVn ejn eijkovni tou= ajoravtou PatroVò tethrekevnai)» (IRENEO, AdvHaer I,5,1).

87«Quanto ad Achamoth…, liberata dalla passione, ebbe la visione con la gioia che le veniva dalle luci che erano con lui [con il Salvatore], cioè degli angeli insieme con lui, e diventata incinta da parte loro, partorì frutti ad immagine (karpouVò kataV thVn eijkovna), un prodotto spirituale nato a somiglianza (kaq*oJmoivwsin gegonovò) degli accompagnatori del Salvatore» (IRENEO, AdvHaer I,4,5).

88«Quanto al frutto che la loro Madre Achamoth partorì alla vista degli angeli che stavano intorno al Salvatore, spirituale e consustanziale (oJmoouvsioò) alla Madre, essi affermano che fu ignorato dal Demiurgo e nascostamente fu inserito in lui senza che egli se ne accorgesse, affinché seminato per suo mezzo nell’anima derivata da lui e in questo corpo ilico, portato ed alimentato in essi diventasse pronto ad accogliere il Logos perfetto. Sfuggì al Demiurgo l’uomo spirituale, seminato insieme con il suo soffio da Sophia con misteriosa potenza e provvidenza… Il suo seme… è la chiesa, immagine della Chiesa superiore» (IRENEO, AdvHaer I,5,6).

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Uomo di Luce, che redimeva/battezzava Sophia, ad avviare la creazione dell’uomo, culminante nell’introduzione nel composto ilico-psichico dell’escatologico-carismatico-cristologica identità spirituale; così nella Grande Notizia tolomeana è la rivelazione salvifica del Salvatore-Luce che, disceso nel pleroma, redime Sophia Achamoth, producendo – tramite i suoi angeli –quella sostanza luminosa spirituale che si identifica con il frutto ad immagine che verrà seminato – potenzialmente già battezzato, redento, escatologicamente consustanziale con il Salvatore – in Adamo.

Originalissima l’esegesi di Gen 1,26-27 negli Excerpta ex Theodoto, non unitaria conflazione di testi e tradizioni valentiniane raccolti e commentati da Clemente d’Alessandria. L’immagine di Dio (cioè del Demiurgo) è degradata ad indicare la mera componente ilica o coica di Adamo89; la somiglianza di Dio (cioè del Demiurgo) è invece riferita alla natura psichica di Adamo, insufflatagli dal Demiurgo90; il seme spirituale, generato da Sophia, è invece nascosto in Adamo come la sua componente interiore e insieme del tutto eccedente91.

«L’uomo terreno è a immagine (oJ meVn coúovò ejsti kat*eijkovna); invece quello psichico è a somiglianza di Dio (oJ deV yucikoVò kaq*oJmoivwsin qeou=); lo spirituale, poi, è parte a sé (oJ deV pneumatikovò kat*ijdivan)»92. In questa dimensione di separatezza, di eccedente perfezione divina propria della realtà

pneumatica, leggo la traccia dell’origine metaantropologica, carismatica, escatologicamente avveniente della componente spirituale e filiale dell’uomo eletto. Non a caso, in ExcTh 60,3, è proprio il battesimo l’evento attraverso il quale (cf. 1Cor 15,49) lo gnostico depone «l’immagine del terreno» ed assume «l’immagine del celeste». Dobbiamo qui tornare a riflettere, allora, sull’enigmatica tradizione valentiniana (in Grande Notizia e in ExcTh corrispondenti), che fa dipendere dall’apparizione degli angeli del Salvatore l’origine da Sophia Achamoth del seme spirituale “ad immagine” del pleroma, immessa in Adamo, quindi elettivamente concessa agli uomini gnostici93. Gli intricatissimi ExcTh 21-22 possono, forse, fornirci una chiave di interpretazione: Gen 1,27 («ad immagine di Dio li creò, maschio e femmina li creò») è qui riferito alla duplice, maschile (angelica-spirituale)-femminile (umana-spirituale) «migliore emissione (hJ probolhv hJ ajrivsth) di Sophia [Achamoth]» (evidentemente interpretata come simbolo della fecondità femminile in Dio, essendole attribuita anche la generazione degli angeli pleromatici del Salvatore)94. Significativamente, la componente maschile (gli angeli del Salvatore) è definita «concentrarsi nel Logos»95, mentre quella femminile (il seme spirituale informe che dev’essere redento dal Salvatore pneumatico) è ovviamente identificata con la stessa Sophia, ovvero con la componente femminile dell’immagine assoluta del paradossale Deus patiens pleromatico (Padre-Madre, Logos-Vita, Uomo-Chiesa, Cristo-Sophia), destinata escatologicamente ad essere riassunta nel pleroma. Insomma, l’Immagine androgina del pleroma è la contrazione dell’evento rivelativo cristiano, dell’escatologica e carismatica assunzione del reietto nell’assoluto, dell’uomo peccatore e morente nel Dio rivelato: Cristo Logos (la “divinità” divina, spirituale) che redime la Sophia Spirito (l’“umanità” divina, spirituale, decaduta). Davvero l’ultimo nel primo: la tensione rivelativa e soteriologica che lega Sposo e Sposa, Cristo-Dio (il Salvatore) e Chiesa-Umanità (Sophia) è il segreto dell’eterno mistero relazionale di Dio, al punto che la femminilità può essere persino interpretata come la madre dell’emissione angelica, ovvero come la radice femminile e passibile dell’eterno alterarsi di Dio in filialità e relazione d’amore per l’umanità. In tal senso, non può certo essere casuale – ma in limpida connessione con il fondante mito della teofania sulle acque – constatare il riferimento al battesimo all’interno della descrizione dinamico-rivelativa, escatologico-carismatica del divino replicarsi del modello pleromatico nella probolhv di Sophia. Infatti, in ExcTh 22, a partire dall’enigmatico riferimento paolino al battesimo per i morti (cf. 1Cor 15,29), il testo valentiniano si diffonde sul battesimo degli angeli, che redentivamente si fanno battezzare per condividere il destino di kenosi e redenzione proprio del seme di Sophia debole, femminile, umano, morto. Non a caso, in ExcTh 36, si interpreta il battesimo di Cristo come kenotico dividersi dell’Uno per rendersi simile alle nature spirituali generate da Sophia divise nel kenoma, chiamate in

89Cf. ExcTh 50,1 90Cf. ExcTh 50,2. 91Cf. ExcTh 53,2-5. 92ExcTh 54,2. Del tutto corrispondente l’interpretazione di Gen 1,26 proposta dalla Grande notizia: «Sostengono che il

Demiurgo, dopo aver creato il mondo, ha fatto anche l’uomo terrestre (toVn ajvnqrwpon toVn coúkovn)… in questo ha infuso l’uomo psichico. Questo è l’uomo fatto ad immagine e somiglianza: ad immagine è l’uomo ilico, che è quasi simile (paraplhvsion), ma non consustanziale (oujc oJmoouvsion) a Dio [al Demiurgo]; invece a somiglianza è l’uomo psichico, per cui la sua sostanza è detta anche spirito/soffio di vita» (IRENEO, AdvHaer I,5,5).

93Cf. ExcTh 53-57. 94Cf. ExcTh 21,1-3. Su Sophia come interiorizzazione della materia in Dio, cf. G. LETTIERI, It doesn’t matter. Le

metamorfosi della materia nella tradizione cristiana antica e nei dualismi teologici, di prossima pubblicazione. 95ExcTh 21,3.

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Cristo a divenire esse stesse uno; a questo kenotico dividersi, corrisponde il procedere al di fuori del pleroma degli angeli del Salvatore, che attendono la riunificazione con gli uomini spirituali, senza i quali non possono rientrare nel pleroma dal quale provengono96. Ma leggiamo alcuni passi dall’ExcTh 22:

«I battezzati per i morti sono gli angeli battezzati per noi, affinché anche noi, possedendo il Nome, non siamo trattenuti, impediti dall’entrare nel pleroma… Gli angeli sono stati battezzati in principio nella redenzione del Nome, che è disceso su Gesù in forma di colomba, e lo ha redento» (ExcTh 22,4 e 6). Il battesimo (con Paolo interpretato come dialettico evento salvifico di morte e resurrezione, nel

quale tutte le scissioni secolari si riunificano, in particolare quella tra maschio e femmina: cf. Gal 3,28) è la rivelazione-discesa del Nome (=il Salvatore pleromatico) su Gesù (qui simbolo della natura pneumatica femminile, quindi come spirituali corpo/carne assunti). Gli stessi angeli (la controparte perfetta e redentiva di ogni gnostico-femminile battezzato, convertito, formato, assunto, redento, infine riportato nel pleroma) sono battezzati, vivono l’esperienza kenotica di discesa, morte e divisione dal pleroma, propria del Salvatore-Nome. Insomma è il battesimo (la discesa del Salvatore, l’“incarnazione”) l’evento rivelativo decisivo che spiega la stessa strana dottrina valentiniana della generazione del frutto spirituale informe (la componente femminile dell’Immagine androgina, della sizigia angeli-uomini, Logos-Sophia) da parte di Sophia, redenta dalla prima discesa nel kenoma del Salvatore-Luce e dei suoi angeli. L’Uomo di Luce disceso, anche per gli ExcTh, determina la generazione dell’uomo spirituale, dell’Adamo ultimo-celeste, che Sophia, tramite il suo inconsapevole strumento demiurgico, insufflerà nell’Adamo “primo”, cioè in quell’Adamo ilico-psichico, creato ad immagine della natura ilica e a somiglianza della natura psichica demiurgica.

Lo stesso dato della Grande Notizia97 sembra, allora, illuminarsi: gli angeli-luci del Salvatore, apparsi a Sophia, prima convertitasi ed invocante la Luce di Cristo, quindi illuminata-battezzata dalla discesa su di lei dello Spirito Santo-Paraclito (nome rivelativo del Salvatore), determinano la luminosa generazione del seme-frutto pneumatico a lei consustanziale; è l’evento salvifico rivelativo, il battesimo di luce (fwtismovò), che genera la luminosa sostanza degli eletti, degli spirituali, dei celesti. Così come sono le passioni inferiori di Sophia che producono le sostanze iliche e psichiche che daranno origine, tramite la creazione del Demiurgo, alle due nature inferiori di Adamo. Sicché, così come era interpretato il battesimo in ambito gnostico come in ambito cattolico, l’avvento del nuovo uomo, l’Adamo spirituale di luce vivificato da Cristo, corrisponde all’abbandono del vecchio uomo, il mortale, corruttibile Adamo coico e psichico, analogamente la Sophia gnostica – battezzata dal Paraclito e redenta dalla sua Luce salvifica – separa e abbandona la sua probolhv spirituale da quella psichico-ilica, la materia della passione e del peccato, che originerà il vecchio, inferiore Adamo.

Insomma, la costante presenza assolutamente determinante dell’evento battesimale all’interno del mitoteologumeno gnostico della creazione di Adamo (e della diversificata origine della sua triplice natura), tanto più significativa quanto più apparentemente diverse appaiono le varianti che comunque ne dipendono, conferma come l’intuizione dell’ultimo nel primo, dell’escatologico-carismatico nel protologico-antropogonico sia il segreto più profondo della dottrina gnostica dell’uomo divinizzato. Il battesimo di Cristo (la teofania, l’irruzione redentiva del Salvatore nel mondo) è l’evento rivelativo che permette l’ultima ricomprensione della creazione di Adamo: l’ultimo Adamo è all’origine del primo Adamo, il Redentore “ispira”, “illumina” – pure se soltanto attraverso la mediazione di Sophia – il creatore.

Conseguentemente, la dottrina delle nature gnostiche dipende chiaramente dalla tripartizione paolina di 1Cor 15,44-53, che determina la stessa interpretazione di 1Tess 5,23. Gli uomini gnostici sono le pneumatiche, nuove immagini del pleroma, coloro che per natura derivano dal Padre trascendente e dal Figlio preesistente e, pure se generati in seguito ad un peccato intradivino e alla frattura del pleroma (la caduta di Sophia), rimangono intelletti immateriali a loro consustanziali, divini e immortali. Invece, i semplici cristiani e i giudei sono interpretati come le creature psichiche, dotate di libero arbitrio quindi di autodeterminazione, che o può portarli verso l’annichilimento proprio della natura meramente ilica (quella propria dei pagani) o verso la salvezza relativa analoga, ma non identica a quella della natura trascendente, la cui pienezza pneumatica sarà agli psichici comunque eternamente negata. La tripartizione paolina pneumatico/psichico/ilico-coico da escatologica (volta a differenziare la proprietà corruttibile della natura da quella incorruttibile della grazia donata alla fine del tempo dal Messia) è divenuta ontologica, in quanto lo spirituale è una natura intellettuale, una sostanza divina trascendente; anche se,

96Cf. ExcTh 35,3-4. 97Cf. IRENEO, AdvHaer I,4,5-5,6.

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ambiguamente, la sua irriducibilità alla natura cosmica psichico-ilica conserva, pure se ontologizzata e come spazializzata (il trascendente), l’eccedenza della realtà spirituale rispetto a quella naturale. L’escatologico dono di grazia è divenuto natura logica, che mantiene la sua “novità” sotto la forma del suo essere immagine dell’altro mondo, del Dio nascosto, irriducibile alla creazione del Dio biblico e greco. L’immagine escatologica paolina è ormai la nuova-arcaica immagine protologica escatologicamente rivelata, fruita dai soli eletti o predestinati, in un’ambigua commistione tra ontologizzazione greca ed elezione giudaico-cristiana.

III – La tradizione cattolica antidualistica III,1 - Ireneo: il riscatto del primo Adamo La questione fondamentale che ci permette di interpretare l’interpretazione ireneana di Gen 1,26-

27 è certamente quella relativa alla sua fedeltà all’antropologia paolina, che uno studioso del livello di Antonio Orbe considera innegabile e piena98. In effetti, a partire da una profonda comprensione della dialettica paolina, Ireneo – che condivide i cardini dell’antropologia asiatica, fedele al materialismo ebraico, quindi ancora immune dalla platonizzazione ormai operante all’interno degli apologisti99 – interpreta la creazione del primo come non soltanto finalizzata alla rivelazione dell’ultimo Adamo, ma da essa dipendente. Cristo – comunque confessato con le deuteropaoline come divino creatore del tutto, quindi dello stesso Adamo – è infatti il paradossale archetipo escatologico dell’uomo terreno, animale e mortale: Adamo è creato ad immagine dell’uomo Gesù, che escatologicamente il Verbo assume in sé, vivificando l’intera umanità100. Se allora una maggiore prossimità di Ireneo a Paolo rispetto a quella del cristianesimo alessandrino risulta evidente – soprattutto se confrontata con la sua protologizzazione platonizzante dell’uomo ad immagine ed il suo sdoppiamento dell’atto creativo relativamente a Gen 1,26-27 e 2,7 –, mi pare comunque opportuno segnalare la sua notevole distanza rispetto al modello paolino. 1) Se in effetti è l’Adamo escatologico ad essere per Ireneo il vero modello della creazione di Adamo, ricapitolato101 quindi in Cristo, comunque questi viene interpretato come Dio incarnato102 e non come Messia spirituale, che dona uno Spirito che egli stesso riceve per grazia; 2) se in effetti l’intera creazione di Dio è orientata al culmine di grazia della rivelazione di Cristo, comunque in Ireneo l’eccedenza del dono escatologico rispetto al dono protologico risulta notevolmente ridotta: la dialettica paolina svuotamento/misericordia viene stemperata in funzione antignostica e restituita all’interno di una pedagogia divina, comunque incentrata sulla libertà della creatura: ad un’antropologia del paradosso della donazione è sostituita un’antropologia della progressiva formazione razionale, che finisce per reinterpretare la grazia salvifica (che per Paolo era irriducibile alla Legge, essendo puro dono) come nuova legge spirituale, legge dell’amore, capace di aiutare il libero arbitrio nel suo sforzo di innalzamento a Dio e di progresso morale; tant’è che il vangelo di Cristo è interpretato come amorevole riproposizione del Decalogo103, che consente appunto l’unione spirituale con Cristo-Immagine di Dio e il

98Cf. A. ORBE, Antropología de San Ireneo, Madrid 1969, 7-31. 99Sostanzialmente ambigua è l’antropologia di Giustino e degli apologisti, oscillante tra il tradizionale protocristiano

riconoscimento della mortalità naturale di tutto l’uomo, anima compresa, e il progressivo penetrare dell’ellenistica dottrina dell’immortalità dell’anima. In Giustino, probabilmente già in prospettiva antignostica, la creazione di Adamo è non soltanto interpretata come plasmazione del corpo da parte dell’unico Dio creatore, ma anche come dono all’uomo dello Spirito divino: «Che la forma in cui Dio aveva plasmato Adamo sia divenuta “casa” del soffio inspirato da Dio, voi tutti lo potete capire» (Dialogo con Trifone 40,1); cf. 6,1-2; 62,1-4 (ove il riferimento a Gen 1,26-27 è utilizzato per postulare, a partire dal plurale che rivela la decisione divina, l’esistenza accanto al Padre del Figlio creatore ). Cf. inoltre I Apologia, 32,8, ove la presenza dello Spirito (comunque ontologicamente, seminalmente presente in ogni uomo creato dal Logos) viene connessa alla fede: «Ciò che tramite il profeta è stato definito “veste” dallo Spirito divino, sono gli uomini che hanno fede in lui, nei quale è presente il seme di Dio (ejn oij=ò oijkei= toV paraV tou= Qeou= spevrma), il Logos». Comunque, già prima di Ireneo e Tertulliano, Giustino connette implicitamente la dignità perfetta di Adamo al possesso della libertà, unica responsabile della caduta dall’Eden (cf. DialTrif 88,5; IApol 28,3; 43,8).

100«Unde et a Paulo typus futuri dictus est ipse Adam, quoniam futuram circa Filium Dei humani generis dispositionem in semetipsum Fabricator omnium Verbum praeformaverat, praedestinante Deo primum animalem hominem videlicet uti ab spiritali salvaretur» (IRENEO, AdvHaer III,22,3); cf. III,23,1-2 e V,16,2.

101Su Adamo ricapitolato in Cristo, cf. IRENEO, Epideixis 31-33; AdvHaer III,21,10-23,8; V,19,1; V,21,1; V,23,2. Su Cristo incarnato e glorificato come modello di Adamo, appunto in Cristo ricapitolato e rivelato nella sua escatologica perfezione, cf. Epideixis 22; AdvHaer IV,33,4; V,13,3; V,16,2; A. ORBE, Antropología de San Ireneo…, 16-31; 42-47; 89-149; Teología de San Ireneo. Comentario al Libro V del “Adversus Haereses”, I-III, Madrid 1985-1988; J. FANTINO, L’homme image de Dieu chez saint Irénée de Lyon, Paris 1986.

102«Ostendimus enim quia non tunc coepit Filius Dei, exsistens semper apud Patrem; sed quando incarnatus et homo factus, longam hominum expositionem in seipso recapitulavit, in compendio nobis salutem praestans, ut quod perdideramus in Adam, id est secundum imaginem et similitudinem esse Dei, hoc in Christo Iesu reciperemus» (IRENEO, AdvHaer III,18,1).

103«In quam vitam praestruens hominem, decalogi quidem verba ipse per semetipsum omnibus similiter Dominus locutus est: et ideo similiter permanent apud nos, extensionem et augmentum, sed non dissolutionem accipientia per carnalem eius

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perfezionamento (interrotto da Adamo) della propria immagine nella somiglianza; 3) l’esaltazione della concretezza materiale dell’uomo ad immagine – inseparabile sinolo di anima e corpo104, direttamente plasmato dalla mani di Dio105 e in Cristo vivificato dal suo Spirito sino alla somiglianza106 –, se certo recupera la concretezza carnale dell’antropologia paolina, d’altra parte sottovaluta o meglio riduce lo scandalo in essa inscritta, quello di svalutare l’atto protologico-creativo di Dio rispetto a quello escatologico-donativo107. Per Paolo, Dio crea un uomo corruttibile, coico, imperfetto per far risaltare l’assoluta eccezionalità del suo dono spirituale; per Ireneo, Dio crea sin dall’inizio, proprio nell’umiltà della creatura terrena, l’uomo ad immagine come (almeno potenzialmente) già cristificato, capace di perfezione spirituale tramite la sua libertà obbediente, sicché anche in questo caso si dà una retroproiezione dell’ultimo nel primo, in quanto la salvezza escatologica è comunque interpretata come il recupero di una pienezza potenzialmente già inscritta nella prima creatura e soltanto provvisoriamente perduta108 (tant’è che del tutto eretica e scandalosa appare ad Ireneo la tesi, sostenuta da Taziano, di una dannazione del primo uomo peccatore109).

Rivelativa, in AdvHaer V,9,1-3, l’esegesi di 1Cor 15,44-53110: la tripartizione dell’uomo in carne, anima e spirito viene interpretata antignosticamente come relazione tra il vivificante atto dello Spirito che opera nell’uomo, identificato con il suo corpo, rispetto al quale l’anima è il principio libero che sceglie di seguire o la carne o lo Spirito:

«L’uomo perfetto è composto di tre realtà: la carne, l’anima e lo spirito. L’uno, cioè lo Spirito, salva e forma; l’altra, cioè la carne, è salvata e formata; e l’altra, che si trova tra queste due, cioè l’anima, ora segue lo Spirito e grazie a lui vola, ora obbedisce alla carne e cade in desideri terreni… Che cos’è dunque il terrestre? L’opera plasmata. Che cos’è il celeste? Lo spirito»111. Il principio paolino della dipendenza della componente spirituale dall’evento escatologico di

grazia viene quindi riconosciuto e conservato, eppure insieme tolto e contratto, in quanto reinterpretato come rivelazione di una componente antropologica disponibile alla scelta della libertà, dell’anima appunto. Ne deriva l’ambiguità tra spirito e Spirito, appunto riconosciuto come evento escatologico112, eppure contratto in componente antropologica, donata, eppure subordinata al potere dell’anima, forza mediana, capace di divenire immagine spirituale, come di deformarsi in mera realtà terrestre. E’ davvero sorprendente e rivelativo constatare che l’innesto paolino dell’oleastro sull’ulivo dell’elezione,

adventum» (IRENEO, AdvHaer IV,16,4).Infatti lo stesso Mosè «erga Deum dilectionem praecipiebat et eam quae ad proximum est iustitiam insinuabat, ut neque iniustus neque indignus sit Deo, praestruens hominem per decalogum in suam amicitiam et eam quae circa proximum est concordiam: quae quidem ipsi proderant homini, nihil tamen indigente Deo ab homine» (IV,16,3). Cf. IV,27,2-28,2.

104Cf. ad es. IRENEO, AdvHaer V,6,1 e V,8,1. Anzi, a partire da Gen 2,7, in un primo momento soltanto il corpo di Adamo è plasmato ad immagine, mentre in un secondo momento riceve il soffio vitale (l’anima) da Dio: cf. V,11,1-12,4; Epideixis 11.

105Le mani di Dio che creano Adamo ad immagine e somiglianza sono il Verbo e la Sapienza (o lo Spirito Santo), ove il primo specifica il ruolo creativo e formatore, la seconda il ruolo santificatore e perfezionatore: cf. IRENEO, AdvHaer IV,Praef,4; IV,20,1; IV,38,3; V,28,4.

106La somiglianza è interpretata come approdo di quel processo di santificazione e divinizzazione interrotto dal peccato di Adamo, quindi come escatologico pieno accoglimento dello Spirito di Dio nel plasma: cf. IRENEO, AdvHaer V,1,3; V,8,2; V,13,3. Soltanto il Verbo incarnato è quell’Immagine nella quale lo Spirito di Dio abita interamente, il Redentore capace di avviare, con il suo amore per la creatura, il processo di attingimento della somiglianza (cf. V,16,2), quindi di consentire alla libertà della creatura di progredire dall’animale allo spirituale: cf. V,5,1; V,9,1-3; V,11,1-12,3; V,36,3. Proprio nella prospettiva della redenzione escatologica, culmine del processo formativo e pedagogico di Dio nei confronti della sua creatura bambina, Ireneo può quindi affermare: «Non effugit aliquando Adam manus Dei, ad quas Pater loquens dicit: “Faciamus hominem ad imaginem et similitudinem nostram”» (V,1,3).

107Rivelativa, in IRENEO, AdvHaer IV,38,1, la confutazione dell’obiezione dualistica che stigmatizzava l’imperfezione peccabile del primo uomo; per Ireneo, la perfezione della somiglianza è conquista della libera crescita e della consapevole maturità, inattingibile ex abrupto da parte di un uomo ancora bambino. Agli eretici, quindi, che accusano il creatore di impotenza e imprevidenza, manca l’intelligenza del «tempus augmenti» (IV,38,4).

108Il dono dello Spirito al corpo dell’uomo immagine era stato, infatti, soltanto potenziale, chiamando la libertà dell’uomo a perfezionarlo: cf. IRENEO, AdvHaer V,6,1; V,1,3; IV,Praef 4.

109Sulla violenta confutazione della tesi della dannazione di Adamo peccatore, attribuita a Taziano, cf. IRENEO, AdvHaer III,23,8.

110Cf. A. ORBE, Antropología de San Ireneo…, 89-148, in part. 99-105; 112-117; 146-148; El hombre ideal en la teología de s. Ireneo, in «Gregorianum» 43, 1962, 449-491; E. PETERSON, L’immagine di Dio in S. Ireneo, in «La scuola cattolica» 69, 1941, 46-54; Y. DE ANDIA, Homo vivens. Incorruptibilité et divinisation de l'homme selon Irénée de Lyon, Paris 1986.

111«Perfectus homo constat, carne, anima et spiritu, et altero quidem salvante et figurante, qui est Spiritus, altero quod salvatur et formatur, quod est caro, altero quod inter haec est duo, quod est anima: quae aliquando quidem subsequens Spiritum, elevatur ab eo; aliquando autem consentiens carni, decidit in terrenas concupiscentias… Quid ergo est terrenum? Plasma. Quid autem caeleste? Spiritus» (IRENEO, AdvHaer V,9,1 e 3).

112Cf. IRENEO, AdvHaer V,12,2.

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interpretato come innesto della naturale carne dell’uomo sullo Spirito di grazia, venga fatto dipendere dal libero arbitrio dell’uomo (che «si trasforma») e non dalla gratuita, misericordiosa azione di Dio113. In questo schema di fedeltà infedele a Paolo, diviene decisiva la pienezza dell’uomo edenico. Il dono escatologico dello Spirito vivificante era già protologicamente accessibile ad Adamo; è stata la sua libertà a scegliere le realtà terrene come suo mortale principio di identificazione. Ancora una volta, l’apologia del libero arbitrio diviene il punto critico e decisivo di massima innovazione rispetto a Paolo. Sicché, all’uomo creato ad immagine è paolinamente concesso un soffio di vitalità psichica mortale, ma con esso anche offerta la possibilità del soffio eternizzante dello Spirito, che la libertà del protoplasto ha voluto alienare:

«L’uomo prima doveva essere plasmato e una volta plasmato ricevere l’anima e poi, in questa condizione, ricevere la comunione dello Spirito. Perciò “il primo Adamo divenne anima vivente, il secondo Adamo Spirito vivificante”. Dunque, come colui che è divenuto anima vivente, volgendosi verso il peggio, perse la vita, così viceversa quello stesso, ritornando verso il meglio e ricevendo lo Spirito vivificante, troverà la vita»114.

Insomma, la specificità ireneana dell’interpretazione eminentemente cattolica dell’uomo ad immagine sta proprio nell’interpretare l’uomo spirituale o celeste come potenzialità originariamente già inscritta nel primo Adamo, eppure liberamente perduta115, sicché il potere della costituzione effettiva della somiglianza (nella quale l’immagine è chiamata a perfezionarsi) finisce (a differenza di Paolo) per essere affidata alla libertà della componente psichica dell’uomo, chiamata a spiritualizzarsi116, di conseguenza a ricevere la vita divinizzatrice dello Spirito117. E se in effetti già nell’Adamo creato, tipo del Cristo escatologico, riluce la perfezione del modello divino-umano che lo salverà e lo ricostituirà nella somiglianza grazie al suo Spirito118, comunque la grazia cui Adamo è ordinato finisce per essere «la restaurazione»119 di una proprietà ontologica, il recupero e l’inveramento della perfezione originaria120. Tant’è che l’uomo ad immagine e somiglianza risulta l’approdo di un lento processo pedagogico, di formazione nella legge dell’ubbidienza (AT) e dell’amore (NT), più che la morta e terrestre identità miracolosamente graziata nel tempo ultimo della nuova alleanza. La metafora antidualistica (finalizzata ad una vera e propria teodicea, del tutto assente nella prospettiva paolina) del bambino che dev’essere educato, applicata al primo Adamo121, non soltanto intende minimizzare il danno della caduta122, ma determina l’interpretazione della maturità insegnata dalla rivelazione dell’ultimo Adamo – Cristo che rivelando il comandamento dell’amore si fa tutto a tutti, per tutti far progredire verso l’attingimento della somiglianza potenzialmente iscritta in ogni uomo123 – come condizione “dottrinale”, “legale”, “pedagogica” di perfezionamento dell’immagine, piuttosto che come avvento indebito del dono escatologico. L’immagine di Adamo, chiamata alla somiglianza tramite l’esercizio della sua libertà, è insomma subordinata alla e storicamente costretta nella obbedienza di due leggi, quella edenica infranta dall’uomo immaturo e quella evangelica accessibile all’uomo ormai adulto III,2 - Tertulliano: l’immagine come libertà e potenza

113Cf. IRENEO, AdvHaer V,10,1-2. 114«Oportuerat enim primo plasmari hominem et plasmatum accipere animam, deinde sic communionem Spiritus

recipere. Quapropter “et primus Adam factus est a Domino in animam viventem, secundus Adam in Spiritum vivificantem”. Sicut igitur qui in animam viventem factus est devertens in peius perdidit vitam, sic rursus idem ipse in melius recurrens <et> assumens vivificantem Spiritum, inveniet vitam» (IRENEO, AdvHaer V,12,2).

115Cf. IRENEO, AdvHaer IV,4,3; IV,39,2-3. 116Cf. IRENEO, AdvHaer V,9,2; 10,1; 11,1 («Sicut igitur qui in melius profecerit et fructum operatus fuerit Spiritus omni

modo salvatur propter Spiritus communionem, sic is qui remanserit in praedictis carnis operationibus, carnalis vere deputatus eo quod non assumat Spiritum Dei, regnum non poterit possidere caelorum») e 2 («operantes ea quae sunt Spiritus»); 12,4; Epideixis 32.

117Cf., ad es., Epideixis 15-16 e soprattutto il fondamentale excursus in IRENEO, AdvHaer IV,37,1-39,4, che meriterebbe davvero un commento sistematico.

118Cf., ad es., IRENEO, AdvHaer V,6,1; 8,1-2; 9,3; 10,1; 12,4. 119«… [Verbum] restaurans suo plasmati quod dictum est in principio factum esse hominem secundum imaginem et

similitudinem Dei» (IRENEO, AdvHaer V,2,1). 120«Ostendimus enim quia non tunc coepit Filius Dei, exsistens semper apud Patrem; sed quando incarnatus et homo

factus, longam hominum expositionem in seipso recapitulavit, in compendio nobis salutem praestans, ut quod perdideramus in Adam, id est secundum imaginem et similitudinem esse Dei, hoc in Christo Iesu reciperemus» (IRENEO, AdvHaer III,18,1). Cf. V,16,2.

121Cf., ad es., IRENEO, AdvHaer IV,38,1; Epideixis 12 e 14. 122«L’uomo aveva accolto la disobbedienza per negligenza e non per malizia (ajmelw=ò... ajll*ajkavkwò)» (IRENEO, AdvHaer

IV,40,3); negligenza tipica dell’imprudenza infantile. 123Cf. IRENEO, AdvHaer II,22,4.

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L’interpretazione dell’uomo ad immagine di Tertulliano risulta sostanzialmente affine e dipendente da quella di Ireneo. Certo, con più forza, la nozione di immagine è sistematicamente ricondotta alla potenza e capacità umana di scegliere; contro Marcione, è proprio la subordinazione del perfezionamento dell’identità umana alla Legge divina a rivelare la presenza dell’imago Dei, l’esistenza di un’anima che condivide la “stessa” sostanza di Dio proprio perché, come Dio, è libera e potente:

«Libero e dotato di proprio arbitrio e di proprio potere, io trovo che l’uomo è stato creato da Dio, non verificando in esso nessuna immagine e nessuna somiglianza con Dio più valida della conformazione nel medesimo stato… in quella sostanza che trasse da Dio stesso, cioè nell’anima, che corrispondeva alla forma di Dio, fu caratterizzato con la libertà e il potere del suo arbitrio. Questa sua condizione fu confermata anche dalla legge che allora fu stabilita da Dio. Non si sarebbe potuto porre, infatti, una legge a colui che non avesse avuto in suo potere l’obbedienza che alla legge è dovuta… Bisognava dunque che l’immagine e la somiglianza di Dio fossero create dotate del libero arbitrio e del dominio su se stesse, perché esattamente questo sarebbe stato considerato immagine e somiglianza, cioè la libertà e il potere sul proprio libero arbitrio. A questo scopo fu data all’uomo una sostanza che fosse in questa condizione e cioè il soffio di Dio, più che mai libero e dotato del potere su se stesso... Una completa libertà di arbitrio gli fu concessa, dunque, in entrambi i sensi, perché, signore di sé, affrontasse sempre il compito di conservare liberamente il bene e di evitare liberamente il male»124. Chiaramente, la pienezza del dono è inscritta nella creazione del primo Adamo, proprio perché

soltanto il dominio del proprio arbitrio, quindi la piena libertà di scegliersi e di crearsi, «sui dominus», in relazione al comandamento e alla disciplina di Dio, costituisce l’immagine, del tutto accessibile alla scelta del protoplasto. Sicché indizio della precarietà e del rischio del divenire se stesso è la marcata differenza ontologica tra la perfezione assoluta dello Spiritus di Dio e la perfezione relativa della sua immagine, il soffio (adflatus) chiamato a divinizzarsi e a dominare pienamente se stesso adeguandosi all’eterno modello divino125. Ove comunque è evidente il filtro filosofico che condiziona profondamente – pure se all’interno della fondamentale opzione antiplatonica di Tertulliano126 – la restituzione dell’immagine come anima immortale per natura, razionale e capace di scienza, autonoma nella sua capacità di libera determinazione127. In tal senso, se Cristo Verbo incarnato è – con Ireneo interprete di Paolo – il modello escatologico della creazione di Adamo128, modello nel quale prende corpo l’intera sostanza dello Spirito di Dio e non soltanto l’adflatus dell’immagine umana129, comunque l’uomo terreno di Tertulliano (carne, semiticamente ed asiaticamente formata con il fango della terra130) è chiamato a divenire liberamente celeste e spirituale: il primo Adamo può divenire immagine spiritualizzata ed eternizzata dell’ultimo Adamo, recuperando il protologico, inalienabile potere di se stesso su se stesso che, naturalmente, possiede in quanto creato ad immagine di Dio, sicché il passaggio dal primo all’ultimo Adamo, dall’immagine terrena all’immagine celeste, viene fatta dipendere – antignosticamente ed antimarcioniticamente – non dalla rivelazione escatologica di grazia, ma dalla capacità umana di adattarsi alla «disciplina» rivelata da Cristo131, distaccandosi dall’amore e dalle opere carnali per convertirsi

124«Liberum et sui arbitrii et suae potestatis invenio hominem a Deo institutum, nullam magis imaginem et similitudinem Dei in illo animadvertens quam eiusmodi status formam.… in ea substantia, quam ab ipso Deo traxit, id est anima, ad formam Dei, spondentis et arbitrii sui libertatem et potestatem, signatus est. Hunc statum eius confirmavit etiam ipsa lex tunc a Deo posita. Non enim poneretur lex ei, qui non haberet obsequium debitum legi in sua potestate… Oportebat igitur imaginem et similitudinem Dei liberi arbitrii et suae potestatis institui, in qua hoc ipsum imago et similitudo Dei reputaretur, arbitrii scilicet libertas et potestas. In quam rem ea substantia homini accommodata est, quae huius status esset, adflatus Dei, utique liberi et suae potestati… Tota ergo libertas arbitrii in utramque partem concessa est illi, ut sui dominus constanter occurreret et bono seruando et malo sponte vitando, quoniam et alias positum hominem sub iudicio Dei oportebat iustum illud efficere de arbitrii sui meritis, liberi scilicet.» (TERTULLIANO, AdvMarc II,5,6-7 e 6,3 e 6).

125Cf. il fondamentale excursus in TERTULLIANO, AdvMarc II,9,1-9. 126Sull’origine e la natura (corporea) dell’anima, in prospettiva antiplatonica, cf. TERTULLIANO, De anima 3,1-16,7 e

23,1-24,12. 127«In hoc erit imago minor Veritate et adflatus Spiritu inferior, habens illas utique lineas Dei, qua inmortalis, [anima]

qua libera et sui arbitrii, qua praescia plerumque, qua rationalis, capax intellectus et scientiae, tamen et in his imago et non usque ad ipsam vim divinitatis; sic nec usque ad integritatem a delicto, quia hoc soli Deo cedit, id est Veritati, et hoc solum imagini non licet» (TERTULLIANO, AdvMarc II,9,4). Cf. DeAnima 21,1-22,2.

128Cf. TERTULLIANO, AdvMarc V,8,1; De resurrectione mortuorum 5,8-6,5, in particolare 6,3; Adversus Praxean 12,3-4; De baptismo 5,7; De carne Christi 17,4 (l’immagine di Dio, perduta dalla carne umana con il peccato di Adamo, viene riattinta, certo ad un livello eccedente in quanto divino, con l’incarnazione di Cristo). Sul tema della ricapitolazione di Adamo in Cristo (e di Eva in Maria), cf. Adversus Iudaeos 13,19; DeCarneChr 17,1-6; DeAnima 43.

129Cf. TERTULLIANO, AdvMarc V,8,4. 130Cf. lo stupendo brano, incentrato sul paradosso dell’immagine di Dio collocata nel fango della creatura tramite le mani

di Dio che non ne disdegnano l’assoluta umiltà, TERTULLIANO, DeResurMort 5,6-6,8; AdvMarc II,4,4. 131Sull’interpretazione dello stesso vangelo come «disciplina» salvifica, cf. TERTULLIANO, AdvMarc II,11,3-4; 13,1-5;

V,14,11-14.

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all’amore e alle opere spirituali132. Significativa, in proposito, la lunga interpretazione di 1Cor 15,44-49 nel De resurrectione mortuorum 49,1-54,5133: la differenza tra l’identità coica e quella celeste dell’uomo viene appunto fatta dipendere unicamente dall’adeguarsi alla divina «disciplina», piuttosto che dalla fruizione di un dono ultimo ed indebito:

«Dobbiamo deporre la vita nella carne… E’ così vero che tutta questa discussione l’apostolo la riferisce alla disciplina (ad disciplinam totum hoc dirigit), che egli dice che anche noi dobbiamo portare l’immagine di Cristo nella carne e in questo tempo di disciplina.... L’immagine dell’uomo coico e l’immagine dell’uomo celeste l’apostolo le pone nel comportamento (in conversatione) e sostiene che l’una dev’essere esclusa, l’altra invece ricercata… Questa immagine [quella dell’uomo coico] ha origine dal modo di vivere che è conforme alla precedente nostra natura (in conversatione vetustatis)»134.

L’evento escatologico del dono pare davvero riassorbito nel dono egemone della creazione, cui

la stessa rivelazione rinvia, indicando nella presenza dell’immagine la naturale potentia che consente all’uomo di spiritualizzarsi in Cristo. Tant’è che Adamo, creato uomo psichico, sceglie di non diventare spirituale, divenendo così il primo “eretico”, il quale, scegliendo di disubbidire alla lex divina ritenuta stulta, finisce per divenire terreno e carnale135. Ove l’essere coico e mortale, condizione naturale ed universale del primo Adamo paolino, diviene l’esito negativo che l’anima libera e in pieno potere di sé ha scelto, piuttosto che spiritualizzarsi ed “escatologizzarsi” da sola136. Insomma, a partire dall’esaltazione del dono creativo descritto in Gen 1,26-27, la protologica immagine di Dio è esaltata, eppure anche moralizzata, subordinata all’esercizio della prova e dell’ubbidienza alla lex137, quindi resa antropologicamente disponibile (l’anima diverrebbe spirituale, scegliendo liberamente la propria stessa libertà di immagine138), piuttosto che paolinamente identificata con il gratuito, spirituale dono escatologico che soltanto Cristo e il suo Spirito dispensano. Sicché il Dio di Tertulliano – polemicamente opposto all’«inrationaliter bonus» Dio marcionita139 – è misericordioso proprio nel suo essere giusto e razionale140, nel chiamare la sua immagine alla piena determinazione di sé, al suo libero spiritualizzarsi, certo ontologicamente possibile soltanto grazie alla mediazione (creatrice prima, redentiva poi) di Cristo.

III, 3 - Clemente: l’Adamo platonico Quello che sorprende nello studio dell’antropologia di Clemente è constatare il suo sostanziale.

cattolico convergere con le posizioni di Ireneo e di Tertulliano, pure se da una prospettiva teologica non soltanto del tutto indipendente, ma anche profondamente diversa. Anzi, non soltanto per il comune, intrinseco platonismo (l’immagine creata di Dio non è da ricercare nel fango del plasma, pure dotato di libero arbitrio, ma nella luminosa, immateriale sostanza dell’intelletto), ma anche per la condivisa interpretazione della verità cristiana come profondo, esoterico mistero spirituale, Clemente sembrerebbe condividere prospettive della stessa gnosi eretica alessandrina, in particolare quella valentiniana. Eppure, proprio la sua ontologia cattolica antidualistica lo spinge, pur nella sua assoluta originalità, su posizioni affini con quelle cattoliche dell’asiatico Ireneo e del materialista Tertulliano. Decisiva, in proposito, quella che possiamo definire la netta opzione protologica o archeologica di Clemente, rispetto

132Cf. TERTULLIANO, AdvMarc V,10,5-11. 133Ma cf. anche TERTULLIANO, DeResurMort 53,5-19. 134TERTULLIANO, DeResurMort 49,7-10. 135Cf. TERTULLIANO, AdvMarc II,2,6-7. 136Cf. TERTULLIANO, DeAnima 21,7, ove, contro i valentiniani, Tertulliano afferma una «trinitas animae» (materiale,

psichica, spirituale), non interpretabile ontologicamente, bensì moralmente. Ma questo significa affermare l’identificazione della natura dell’anima con il solo elemento intermedio valentiniano ed il suo libero determinarsi: «rimane che il solo e l’unico elemento naturale in Adamo fu quello che viene dichiarato psichico,… semplice, uniforme…, variabile», mentre «né l’elemento spirituale, né quello così detto materiale furono parti del suo essere» (21,3), sicché «se dovessimo accogliere la trinità dell’anima [secondo la quale alla natura psichica si aggiungono le determinazioni dello spirituale e del materiale], essa verrebbe attribuita alla mutazione dei suoi accidenti e non alla sua natura (ex mutatione accidentiae, non ex institutione naturae)» (21,7), semplice e capace di divenire uno dei due accidenti che sceglie (cf. 18,5). Così in DeAnima 22,1-2 e 6, l’aujtexouvsion è definito «subiacens sibi libera arbitrii potestas..., quae quoquo vertitur, natura convertitur»; la stessa configurazione spirituale della natura dipende, pertanto, dal libero potere di scelta, ontologicamente determinante.

137Cf. TERTULLIANO, AdvMarc II,8,1. 138Cf. TERTULLIANO, AdvMarc II,9,8: «Potuisse enim habuit per substantiae exilitatem, qua adflatus, non spiritus, non

debuisse autem per arbitrii potestatem, qua liber, non servus, adsistente amplius demonstratione non delinquendi sub comminatione moriendi, qua substrueretur substantiae exilitas et regeretur sententiae libertas Itaque non per illud iam videri potest anima deliquisse, quod illi cum Deo adfine est, id est per adflatum, sed per illud, quod substantiae accessit, id est per liberum arbitrium, a Deo quidem rationaliter adtributum, ab homine vero qua voluit agitatum».

139TERTULLIANO, AdvMarc II,6,2; cf. I,23,1-27,6 (ove si mettono in rilievo i paradossi derivanti dalla marcionitica affermazione di un Dio di pura, assoluta bontà).

140Cf. TERTULLIANO, AdvMarc II,4,4; 5,1-8,3; V,13,12-15.

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all’ambigua ontologizzazione del carismatico escatologico operata dallo gnosticismo eretico: il Dio redentore è l’identico Dio creatore, sicché il novum è la rivelazione dell’eterna ajrchv, il dono spirituale della rivelazione di Cristo coincide con la pienezza del dono protologico. L’ultimo Adamo, allora, non potrà che coincidere perfettamente con il primo Adamo, a partire dalla cattolicizzazione della dottrina filoniana della doppia creazione dell’uomo, che gli gnostici avevano comunque piegato a descrivere l’irriducibilità della rivelazione e quindi della sostanza spirituali rispetto alla rivelazione legalistica e alla sostanza naturale, ilico-psichica, demiurgicamente governata.

Che l’interpretazione clementina dell’immagine sia profondamente condizionata da modelli filosofici è apertamente testimoniato da un brano degli Stromati, nel quale viene descritta l’identità dello “gnostico”, cioè – contro la dottrina eretica della natura pneumatica – di ogni natura razionale e libera, capace di spiritualizzarsi, assimilandosi platonicamente a Dio, in particolare al «Logos divino e sovrano, Immagine di Dio, Uomo non soggetto a passioni», di cui «la ragione umana è immagine dell’immagine»141:

«Questi è lo “gnostico” ad immagine e somiglianza: colui che imita Dio per quanto è possibile, nulla tralasciando di quanto giova a questa realizzabile somiglianza. Egli è continente e paziente, vive secondo giustizia, domina le passioni… Platone, il filosofo, dove pone come fine ultimo la felicità, dice che esso è “l’assimilazione a Dio per quanto è possibile”… La Scrittura, con l’espressione “ad immagine e somiglianza”, non si riferisce a ciò che è secondo il corpo, poiché non si può assimilare mortale ad immortale, ma soltanto secondo spirito e ragione. E in ciò il Signore suggella convenientemente la somiglianza sia in rapporto al suo essere benefico, sia al suo essere potente. L’autorità non si regge sulle qualità del corpo, ma sui giudizi del pensiero»142.

L’immagine – platonicamente identificata con l’interiorità intelligente e immateriale, l’unica componente umana degna di assimilarsi liberamente con Dio ed con il suo Logos immateriale – si perfeziona attraverso quella che potremmo definire ascesi intellettuale, scandita da giudizi conoscitivi e pratiche di impassibilità, sino all’approdo dell’effettiva somiglianza143 con il modello eterno. Ma questo significa che l’antropologia protologica archeologicamente fondata di Gen 1,26 (il primo Adamo creato dal Padre e dal Figlio “a nostra immagine e somiglianza”) governa la stessa antropologia escatologica di 1Cor 15,45-50: l’ultimo Adamo è il Principio assoluto, il Logos creatore delle sue immateriali immagini, sicché la salvezza cristiana è l’appropriazione dell’identità intellettuale ontologicamente inscritta in ogni creatura umana, chiamata dalla sua stessa natura ad essere assolutamente libera dall’alienazione carnale delle passioni144 – passando dall’immagine terrestre all’immagine celeste145 – quindi a “salvarsi”, cioè a divenire quello che è, divinizzandosi146: platonico principio di automovimento noetico147, per questo

141CLEMENTE D’ALESSANDRIA, Strom V,14,94. «Immagine divina e simile a Dio è l’anima del giusto. In essa, per

l’ubbidienza ai precetti, si costituisce e si erge in tempio la guida di tutti, mortali ed immortali, sovrana e generatrice del bene, veramente Legge e divino ordinamento e Logos eterno, unico Salvatore per ciascuno singolarmente e per tutti in comune. Questi è il vero Unigenito, “impronta della gloria” del Padre, sovrano universale e onnipotente, che imprime nello gnostico la perfetta attività contemplativa a sua immagine» (VII,3,16). «“Immagine di Dio” è il suo Logos (è figlio autentico della Mente, il Logos divino, luce archetipo della luce), immagine del Logos è l’uomo vero, cioè l’intelletto che è nell’uomo, il quale per questo è detto creato “a immagine e a somiglianza” di Dio, poiché per l’intelligenza del suo cuore è fatto simile al Logos divino e perciò razionale» (Protrettico 10,98,4); cf. Pedagogo I,3,7,1-2, ove si afferma che, creandolo, Dio infonde in Adamo «qualcosa di proprio a lui stesso».

142CLEMENTE D’ALESSANDRIA, Strom II,19,97; 100 e 102; cf. VI,9,62; VII,9,52. «O voi tutti che siete immagini, non tutte somiglianti, voglio raddrizzarvi secondo l’archetipo, affinché diventiate anche simili a me» (CLEMENTE D’ALESSANDRIA, Protr XI,120,4).

143Sulla somiglianza come approdo divinizzante e gnostico del meritorio perfezionamento progressivo dell’intelletto-immagine, chiamato a divenire «autosufficiente» nell’imitazione di Cristo-Immagine, cf. CLEMENTE D’ALESSANDRIA, Pedag I,11,97,2 e I,12,98,2-4; Strom II,22,131-133 (in particolare: «Alcuni dei nostri interpretano che l’uomo abbia ricevuto l’essenza secondo immagine subito alla nascita, mentre secondo somiglianza dovrà riceverla in seguito, via via che diviene perfetto»: 131); IV,6,30; VI,14,114-15,115.

144Cf. CLEMENTE D’ALESSANDRIA, Strom VI,16,35-36, ove il retto e naturale dominio dello spirito egemonico (cioè intellettuale) nell’anima umana, realizzato tramite l’assoggettamento delle passioni dello spirito carnale, è identificato con il libero attingimento dell’immagine di Dio, sicché come Dio regna su tutto il creato con il suo Logos, così lo “gnostico” signoreggia sulla sua materia interiore. Nulla si dice, in proposito, sull’azione del divino Spirito vivificante.

145Sull’esegesi clementina dell’opposizione paolina tra immagine terrestre dell’uomo vecchio (interpretata come farsi marchiare dalle passioni terrene e dalla signoria del demonio) ed immagine celeste (impressa nell’anima dal sigillo battesinale) in CLEMENTE D’ALESSANDRIA, Eclogae Propheticae 24,1-3, cf. C. NARDI, Il battesimo in Clemente Alessandrino. Interpretazione di Eclogae propheticae 1-26, Roma 1984, 205-215.

146Sul divenire spirituali come divinizzarsi, distaccandosi da qualsiasi passione e «ripudiando per quanto si può tutto ciò che è umano», cf. CLEMENTE D’ALESSANDRIA, Strom II,20,125.

147«Sarebbe una specie di costrizione, se [Dio], con fatti meravigliosi, spaventasse e facesse violenza all’uomo, che (invece) egli vuole si salvi da se stesso, prendendo semplicemente spunto dal comandamento. Dio dunque non è violento e non è che

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immagine dell’assoluto e impassibile Dio-Intelligenza. Così, respingendo l’obiezione gnostica (che in realtà riposava sulla dialettica paolina di 1Cor 15.45-50) dell’originaria non perfetta creazione del primo Adamo148 e combattendo la gnostica differenza di nature umane, Clemente afferma cattolicamente che l’immagine divinizzante è stata donata, almeno come potenzialità da fare virtuosamente propria, ad ogni intelletto dall’unico Dio creatore149: «Dio creò l’uomo incorruttibile e lo fece immagine della sua stessa natura (cf. Sap 2,23)». Corollario di questa esaltazione del dono creaturale è, pertanto, che «il Signore vuole che ci salviamo da soli», in quanto «la natura dell’anima è di trarre da se stessa impulso al moto»150. Lo stesso decadere o offuscarsi dell’immagine non può, pertanto, che essere interpretato come corruzione contingente, incapace di alterare intimamente l’incorruttibile marchio intellettuale dell’archetipo. Insomma, come conferma un folgorante excerptum ex Theodoto clementino, il passaggio dall’immagine terrestre all’immagine celeste, quindi dalla vecchia condizione naturale alla nuova151 perfezione spirituale, non dipende affatto da una rivelazione gratuita dello Spirito vivificante, da una nuova eccedenza rivelativa, ma dal progresso (prokophv) della virtù umana nell’immagine di grazia originariamente rivelata da Dio, che chiede all’uomo di perfezionarsi, appropriandosi liberamente della sua profonda identità:

«”E come noi abbiamo portato l’immagine del terrestre, così porteremo anche l’immagine del celeste”, dello pneumatico, resi perfetti secondo il progresso (kataV prokophVn teleiouvmenoi)»152. Non sorprende, pertanto, constatare l’antignostica intima connessione tra Antico e Nuovo

Testamento, la cui frattura rivelativa (culminante nell’eccedenza carismatica del nuovo) è ridotta tramite la normalizzazione intellettualizzante dell’allegoria, nel segno della progressiva cultura logica dell’uomo promossa dal comandamento spirituale, nel quale la rivelazione del Figlio è risolta153. Ogni natura intellettuale è quindi guidata da Dio alla riscoperta del dono dell’immagine divina che, inalienabile, custodisce in sé e che soltanto la pratica delle virtù e la dottrina spirituale, culminanti nella contemplazione intellettuale, possono perfezionare nell’assimilazione all’eterno modello del Logos154. Analogamente a quanto abbiamo rilevato in riferimento a Tertulliano, dobbiamo quindi concludere che per Clemente essere ad immagine di Dio significa essere signore di se stesso, esercitare potere, dispiegare il proprio volere libero e intelligente155, non dipendere da una potenza coattiva156 o essere mosso da altro (da tutto ciò che è materiale, sensibile, servile), ma essere principio di movimento per se stesso, compiere infine se stesso, ricongiungendosi con l’immateriale fonte ontologica assoluta. Significativamente, la dimensione dell’immagine, che per Paolo indicava passività e donazione, è non soltanto divenuta “ellenicamente” la proprietà naturale della creatura intellettuale, ma anche la sua attività, il meritorio e potente attingimento di sé, pure favorito e accompagnato dall’aiuto della grazia.

III,4 – Origene: l’assolutezza del primo Adamo

l’anima automovente (aijtokivnhton) venga condotta, al modo di statue prive di anima, da una causa esterna» (CLEMENTE D’ALESSANDRIA, Frammento 29 del “Sulla Pasqua”).

148«Siamo nati per la virtù, non però nel senso di possederla dalla nascita, ma abbiamo i mezzi adatti per conquistarcela. Con questo ragionamento si risolve l’obiezione postaci dagli eretici, se Adamo fu creato perfetto o imperfetto. Se imperfetto, come può l’opera di un Dio perfetto, in particolare l’uomo, essere imperfetta? Se invece perfetto, come può trasgredire i comandamenti? Ebbene, essi si sentiranno rispondere da noi che [Adamo] non nacque perfetto nella sua costituzione, ma atto ad accogliere la virtù; ed importa non poco, riguardo la virtù, essere atti al suo acquisto» (CLEMENTE D’ALESSANDRIA, Strom VI,11,95-12,96).

149«Che tutti gli uomini siano creazione di un unico Dio, rivestiti di una sola immagine sopra una sola sostanza, pure se in alcuni più offuscata che in altri, solo colui che sa lo riconosce. Egli adora attraverso le creature l’attività creatrice e attraverso questa la volontà di Dio» (CLEMENTE D’ALESSANDRIA, Strom VII,14,86).

150CLEMENTE D’ALESSANDRIA, Strom VI,12,96. 151Cf. CLEMENTE D’ALESSANDRIA, Strom VII,3,14, ove il passaggio dall’uomo vecchio all’uomo nuovo è segnato

dall’uccidere le passioni. 152CLEMENTE D’ALESSANDRIA, Excerpta ex Theodoto 15,1. Sulla prokophv come scandita da comandamenti sempre più

spirituali, cf. Strom VII,2,9-12. 153«Ci è proposto di giungere ad un fine che non ha fine, se ubbidiremo ai comandamenti, cioè a Dio e se avremo vissuto

secondo quelli in modo irreprensibile e con piena coscienza, aiutati dalla conoscenza della volontà di Dio. L’assimilazione al retto Logos nella misura del possibile è il nostro fine e così pure la riabilitazione alla perfetta adozione filiale attraverso il Figlio» (CLEMENTE D’ALESSANDRIA, Strom II,22,134); cf. II,6,29; I,6,35; I,11,51-52; II,23,147 («La Legge non è in dissidio con il Vangelo, ma anzi vi si accorda. E come non potrebbe, su Uno solo ha provveduto ad entrambi, il Signore?»); V,1,3 («… salvandosi perciò gli eletti mediante la dottrina, la purificazione, la bontà delle opere e non per natura); V,1,7; VII,2,3. Si noti che, in VII,9,53, è proprio la capacità di trasmettere dottrine spirituali quella che rende il maestro gnostico «immagine vivente del Signore».

154CLEMENTE D’ALESSANDRIA, Strom VI,9,77. 155Cf. CLEMENTE D’ALESSANDRIA, Pedag I,6,33,3. 156Cf. CLEMENTE D’ALESSANDRIA, Quis dives salvetur X,1-2.

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Profonda è la continuità della platonizzante interpretazione origeniana dell’imago Dei157 rispetto a quella clementina, malgrado la maggiore quantità (malgrado la sciagurata perdita del Commentario alla Genesi) e la maggiore chiarezza dei suoi testi possano suggerire l’impressione di una più evidente radicalità teologica. Se la dottrina della preesistenza degli intelletti e quella dell’apocatastasi affiorano soltanto per rapidissimi cenni e spiragli dagli scritti clementini, in Origene esse divengono i ribaditi assi portanti della sua antropologia, intimamente connessa con l’antidualistica esigenza di teorizzare un’incontrovertibile teodicea. Il Dio di misericordia rivelato da Cristo – eterna Immagine del Padre assolutamente trascendente158, “Dio” generato da “il Dio” – non può che amare assolutamente la totalità della sua creazione, chiamata all’intima, platonicamente immateriale partecipazione alla stessa natura di Dio. Se, quindi, il Figlio è Logos-Immagine che dona l’intellettuale verità alle sue creature intelligenti, mai egli è potuto essere privo di logoi-immagini, creati eppure divini159, in quanto intelletti chiamati alla partecipazione ontologicamente inalienabile della stessa eterna, teoretica natura divina ed intellettuale, nella quale il Figlio stesso si costituisce160. In tal senso, la prossimità dell’originario pleroma origeniano a quello valentiniano risulta notevole161: se la filialità è il segreto di Dio, essa non può essere esclusivo e geloso. Eppure, mentre per gli gnostici esso era inconciliabile con l’atto creativo, per Origene proprio nella paradossale partecipazione della creatura (filialità contingente, gratuita) attinge la sua massima profondità. Ne deriva un’idea di originario pleroma divino come incarnazione eterna del Logos nel suo corpo creato di intelletti, tutti contingenti in quanto tratti dal nulla, quindi tutti liberi nella loro relazione di identificazione della propria intelligenza donata. Adamo, l’alessandrino (già filoniano, valentiniano e clementino) Uomo ad immagine, immagine dell’Immagine del Figlio162, può quindi essere il nome della

157Cf. G. LETTIERI, La mente immagine…, 86-99. 158Sull’interpretazione del Figlio come eterna, inseparabile, generata, assolutamente divina Immagine del Padre, che

personalmente rivela alle immagini create, cf. ORIGENE, De Principiis I,2,5-8 e 12-13. 159«Vero Dio è dunque “il Dio” (ajlhqinoVò qeoVò oJ qeovò); coloro invece che sono dèi in quanto prendono forma da lui (oiJ

deV kat*ejkei=non morfouvmenoi qeoiV), sono come immagini di un prototipo (wJò eijkovneò prwtotuvpou). E l’Immagine archetipa (hJ ajrcevtupoò eijkwvn) delle varie immagini e il Logos che era presso il Dio, che era nel principio… Il logos che è in ciascun logikós ha, rispetto al Logos…, lo stesso rapporto (lovgon) che il Logos che è Dio (qeovò) ha nei confronti del Dio (oJ qeovò). Il Padre, il Dio vero, il Dio-in-sé (oJ aujtovqeoò) sta alla sua Immagine e alle immagini dell’Immagine – ed è anche per questo che gli uomini non sono detti “immagini” di Dio, ma “secondo l’Immagine” –, come il Logos in sé (oJ aujtovlogoò) sta al logos che è in ciascun logikós. L’uno e l’altro sono sorgenti: di divinità il Padre, di logos il Figlio» (ComGv II,17-18; 20-21).

160«Incorruptibilem namque fecit esse rationabilem naturam, quam et ad imaginem suam ac similitudinem condidit; et ideo non excluditur brevitate temporis huius vitae nostrae a cura et remediis divinis anima, quae immortalis est» (ORIGENE, DePrinc III,1,13). Chiaramente, l’incorruttibilità non è soltanto relativa all’immortalità naturale dell’anima, ma alla sua stessa perfezione intellettuale, oscurata e obliata, eppure ontologicamente inalienabile, proprio perché originariamente chiamata alla stessa intima comunione con il Logos. Questa è addirittura pensata come partecipazione (per gratuita creazione, comunque) alla stessa natura puramente intellettuale di Dio, cui ontologicamente è chiamato ogni intelletto – creato ad immagine e somiglianza di Dio ed identificato con il paolino uomo interiore e razionale –: «Omnis mens, quae de intellectuali luce participat, cum omni mente, quae simili modo de intellectuali luce participat, unius sine dubio debet esse naturae. Si ergo caelestes virtutes intellectualis lucis, id est divinae naturae, per hoc quod sapientiae et sanctificationis participant, participium sumunt, et humana anima eiusdem lucis et sapientiae participium sumit, erunt et ista unius naturae se cum invicem unius que substantiae; incorruptae autem sunt et inmortales caelestes virtutes: incorrupta sine dubio et inmortalis erit etiam animae humanae substantia. Non solum autem, sed quoniam ipsa Patris et Filii et Spiritus Sancti natura, cuius solius intellectualis lucis universa creatura participium trahit, incorrupta est et aeterna, valde et consequens et necessarium est etiam omnem substantiam, quae aeternae illius naturae participium trahit, perdurare etiam ipsam semper et incorruptibilem et aeternam, ut divinae bonitatis aeternitas etiam in eo intellegatur, dum aeterni sunt et hi, qui eius beneficia consequuntur… Alioquin consideremus, si non etiam impium videtur ut mens, quae Dei capax est, substantialem recipiat interitum: tamquam hoc ipsum, quod intellegere Deum potest et sentire, non ei sufficere possit ad perpetuitatem, maxime cum, etiamsi per neglegentiam decidat mens ne pure et integre in se recipiat Deum, semper tamen habeat in se velut semina quaedam reparandi ac revocandi melioris intellectus, cum “ad imaginem et similitudinem” Dei, qui creavit eum, “interior homo”, qui et rationabilis dicitur, revocatur. Si qui vero audet substantialem corruptionem dare ei, qui secundum imaginem et similitudinem Dei factus est, ut ego puto, etiam in ipsum Filium Dei causam impietatis extendit; imago namque Dei etiam ipse appellatus est in scripturis» (IV,4,9-10). Se quindi l’uomo ad immagine può perdere, per libera scelta, la pienezza della somiglianza, quindi offuscare la sua immagine, comunque escatologicamente non potrà non riattingerla, essendo la sua stessa intima, inalienabile natura. L’immagine è cioè inseparabilmente immanente all’Immagine, la sua natura è ab initio intima allo stesso essere eterno del Logos creatore. Di straordinario interesse HomGen XIII,4, ove l’opposizione tra l’interiore uomo ad immagine (dipinta direttamente dal Logos e indelebile, malgrado il peccato) ed uomo terrestre (dipinto dal libero arbitrio della creatura che pecca) presuppone, a mio avviso, una polemica contro l’antropologia di Valentino, attestataci dai frammenti I,II e V riportatici negli Stromateis di Clemente Alessandrino; si noti come la stessa possibilità di divenire interiore lettera scritta dallo Spirito, quindi di tornare ad essere immagine di Dio, dipende dalla libera conversione dell’anima.

161Cf. G. LETTIERI, Il nou=ò mistico. Il superamento origeniano dello gnosticismo nel “Commento a Giovanni”, in E. Prinzivalli (ed.), Il Commento a Giovanni di Origene: il testo e i suoi contesti, Villa Verucchio 2005, 177-275.

162«Gli uomini sono fatti a immagine non secondo colui al quale l’immagine appartiene [il Padre], ma secondo l’Immagine stessa [il Figlio]» (ORIGENE, ComGv I,105). Il Figlio, allora, «è non soltanto primogenito di ogni creatura, ma anche Adamo, che tradotto significa “Uomo”. E che egli sia Adamo, lo dice Paolo: “L’ultimo Adamo divenne spirito vivificante”» (I,108); si noti, che l’Adamo escatologico è qui identificato con l’assoluto, creatore principio protologico.

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totalità della natura intelligente creata163; chiamata al compito del perfezionamento attraverso l’adesione libera al dono nel quale essa è costituita. Soltanto l’assoluta, universale parità del dono creativo di Dio ne prova, comunque, la perfetta misericordia: donare la partecipazione a sé a tutte le sue creature, eleggere il tutto degli intelletti all’eterna comunione con sé, soltanto questo può essere degno del Dio di Cristo. E questo da sempre164, sicché il «dies una», il primo giorno della creazione come perfezione partecipe dell’eterno e sottratta al tempo, non può che essere l’eterno rilucere del dono creativo del Logos, il suo accendere dal nulla la mens dell’universale homo spirituale, il cielo immateriale sul quale Dio siede come sul suo trono, la totalità delle intelligenze create che il Figlio accoglie nel suo stesso eterno atto contemplativo del Padre165.

Per questo, le differenze di grado, di dignità, di perfezione, non possono irrompere nella creazione che come effetto non dell’elezione di Dio, ma della libera scelta degli intelletti, capace di dividerli tra di loro e di determinare un nuovo, inferiore ordine di creazione, quella del cosmo sensibile166. All’Adamo ad immagine si sovrappone l’inferiore Adamo plasmato dal fango della terra (cui il peccato aggiunge le tuniche di pelle dei corpi sensibili), il primo Adamo terrestre, degradato al punto da essere identificato con il diavolo stesso:

«E’ lui infatti quel “primo terrestre” (oJ prw=toò coúkovò), perché è caduto per primo dalla condizione superiore ed ha desiderato una vita diversa da quella superiore, meritando così di essere il principio non della creatura (ktivsma) e nemmeno della fattura (poivhma), ma soltanto di ciò che è stato plasmato con il fango (plavsma) dal Signore, divenuto tale da costituire ludibrio per gli angeli del Signore. Anche la nostra

163«Appellandosi a quel passo “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”, si dirà che tutto ciò che è stato fatto

a immagine e somiglianza di Dio è un uomo… Il soggetto di tali categorie [la molteplicità di nomi attravero i quali la Scrittura designa «le creature viventi»] non è altro che un uomo a cui si aggiunge come accidente l’essere “trono”, “dominazione”, “potestà”» (ORIGENE, ComGv II,144); «Ogni essere dotato di logos, per il fatto di essere a immagine e somiglianza di Dio, è un uomo» (II,148); «Prendiamo il termine “uomo” come relativo ad ogni essere a immagine di Dio o dotato di logos» (X,315).

164«Quemadmodum Pater non potest esse quis, si Filius non sit, neque dominus esse quis potest sine possessione vel servo: ita ne omnipotens quidem Deus dici potest, si non sint in quos exerceat potentatum; et ideo ut omnipotens ostendatur Deus, omnia subsistere necesse est. Nam si quis est qui velit vel saecula aliqua transisse vel spatia vel quodcumque illud nominare vult, cum nondum facta essent quae facta sunt, sine dubio hoc ostendet, quod in illis vel saeculis vel spatiis omnipotens non erat Deus et postmodum omnipotens factus est, ex quo habere coepit in quos ageret potentatum: et per hoc videbitur profectum quendam accepisse et ex inferioribus ad meliora venisse, si quidem melius esse non dubitatur, esse eum omnipotentem quam non esse. Et quomodo non videtur absurdum, ut cum non haberet aliquid ex his deus, quae eum habere dignum erat, postmodum per profectum quendam in hoc venerit ut haberet? Quodsi numquam est quando non omnipotens fuerit, necessario subsistere oportet etiam ea, per quae omnipotens dicitur, et semper habuerit in quibus exercuerit potentatum et quae fuerint ab ipso vel rege vel principe moderata; de quibus plenius in locis propriis, in quibus de creaturis eius disputandum fuerit, disseremus» (ORIGENE, DePrinc I,2,10); cf. I,4,3-5.

165«Secundum spiritalem vero intelligentiam videamus, quid sit, quod, cum Deus in initio illo, quo superius diximus, “fecerit coelum et terram”, dixerit quoque, ut “lux fieret”, et “diviserit inter medium lucis et tenebrarum, et vocaverit lucem diem, et tenebras noctem”, et dixerit, quia “factum est vespere, et factum est mane”, non dixit: dies prima, sed dixit: “dies una”. Quia tempus nondum erat, antequam esset mundus. Tempus autem esse incipit ex consequentibus diebus. Secunda namque dies et tertia et quarta et reliquae omnes tempus incipiunt designare» (ORIGENE, Omelie sulla Genesi I,1). Si noti che in I,2, Origene identifica la lux creata con il «primum coelum» della «mens» creaturale, l’«homo» interiore o spirituale che vede Dio, sul quale Dio stesso costituisce la sua sede, cielo creato prima del firmamento corporeo, identificato con l’uomo esteriore: «Cum iam antea Deus fecisset coelum, nunc firmamentum facit. Fecit enim coelum prius, de quo dicit: “coelum mihi sedes”. Post illud autem firmamentum facit, id est corporeum coelum… Et ideo illud quidem primum coelum, quod spiritale diximus, mens nostra est, quae et ipsa spiritus est, id est spiritalis homo noster qui videt ac perspicit Deum. Istud autem corporale coelum, quod firmamentum dicitur, exterior homo noster est, qui corporaliter intuetur». Su Cristo come Sole-Luce che illumina l’incoporea natura dei logoi (=mondo intellegibile), cf. ComGv: «Cristo è “luce degli uomini” (Gv 1,4), “luce vera” (Gv 1,9), “luce del mondo” (Gv 9,4-5), in quanto illumina la parte dominante (hJgemonikovn) degli uomini o in generale dei logikoi… Egli è quindi luce del mondo intellegibile… costituendone pertanto la parte più eccelsa e più nobile e per così dire il sole» (I,161) «Il Salvatore, in quanto è luce del mondo, non illumina i corpi, ma l’intelletto incorporeo con una potenza incorporea, affiché ciascuno di noi possa vedere, quasi fosse illuminato da un sole, anche gli altri intellegibili» (I,164). «Luce degli uomini non è chiamato il Logos, ma la vita che è stata fatta in lui… non quella che è comune a tutti, logikoi o non logikoi, ma quella che sopraggiunge al logos che è in noi quando raggiunge la sua completezza, in quanto partecipa del primo Logos» (II,156). Scrive in proposito J. DANIÉLOU, Origène, Paris 1948, tr. it. Origene. Genio del cristianesimo, Roma 1991, 312-313: «Tra il Logos e i logikoi Origene non riconosce una differenza sufficiente. Qui è stato influenzato dalla concezione stoica dell’immanenza del Logos in tutti i logoi particolari… Certamente gli spiriti, in seguito al peccato, possono essere incapaci, senza il soccorso del Logos, di una piena vita spirituale. Essi avranno bisogno della sua azione per pervenirvi. Ma, secondo Origene, rimane che questa vita spirituale non è che lo sbocciare di questa partecipazione radicale al Logos che ogni spirito possiede per natura e che quindi si tratta soltanto di una differenza di grado. Questo distrugge il carattere radicalmente gratuito della grazia». Cf., in tal senso, H. CORNÉLIS, Les fondements cosmologiques de l’eschatologie d’Origène, Paris 1959, 30-31; 35-39; 42; G. BÜRKE, Des Origenes Lehre vom Urstand der Menschen, in «Zeitschrift für katholische Theologie» 72, 1950, 1-39, in part. 7; H.-U. VON BALTHASAR, Origenes. Geist und Feuer, Salzburg 1938, 265-266.

166Sulla katabolhv, ovvero sulla creazione materiale come caduta, cf. DePrinc III,5,4; ComGv XIX,143-150; Commentario sull’Epistola ai Romani VII,IV,1110a-1111a, ove l’origine del cosmo sensibile è riportata alla katabolhv dell’interiore uomo ad immagine, immateriale intelligenza preesistente, in quello esteriore e plasmato, corporeo e corruttibile; cf. anche ComRm V,I,1010a-c; II,XIII,912d-913d.

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ipostasi principale (hJ prohgoumevnh uJpovstasiò) consiste in ciò che è a immagine del Creatore; invece quella che ci viene dalla colpa consiste nel corpo plasmato con la polvere della terra. E così quando, quasi dimentichi della nostra sostanza migliore, ci sottomettiamo a ciò che è plasmato con la polvere, anche la nostra parte migliore riceve l’immagine del Terrestre; quando invece abbiamo compreso sia l’elemento che è stato fatto ad immagine sia quello che è stato preso dalla polvere della terra, e ci rivolgiamo interamente verso colui a immagine del quale siamo stati fatti, saremo anche a somiglianza (oJmoivwsiò) di Dio, spogliandoci interamente di ogni affezione non solo per ciò che è materiale e corporeo, ma anche per certi esseri che sono a somiglianza… Ogni natura generata vuole fare i desideri del proprio padre, così come effettivamente compie le opere del proprio padre, vale a dire da una parte le opere di quel Padre che è la santità originaria (prwvtwò aJvgioò), di quel Padre che è ingenerato (ajvevnetoò), dall’altra le opere di quel padre che è la malvagità originaria (prwvtwò ponhrovò), anch’egli non derivato da alcun padre, perché la malvagità che è in lui non l’ha fatta sussistere un padre, ma l’ha generata la sua deviazione da Dio»167. In questo brano sono contratte l’intera interpretazione origeniana della doppia creazione di

Adamo168, l’interpretazione dell’opposizione paolina tra immagine celeste e terrestre, la differenza tra immagine e somiglianza, identificata a partire dalla variante di Gen 1,27 (Adamo creato soltanto ad immagine) rispetto a 1,26 (proclamazione dell’intenzione divina di creare Adamo ad immagine e somiglianza). 1) «L’ipostasi principale» dell’uomo è identificata con la sua sostanza ad immagine, quindi con la sua intelligenza interiore e immateriale. 2) Avvicinandosi pericolosamente alla prospettiva gnostica, che attribuiva ad un dio inferiore e talvolta dai tratti demoniaci la creazione del cosmo e dell’uomo materiale, Origene fa dipendere la plasmazione dell’Adamo terrestre dal Diavolo! E’ evidente, comunque, la reinterpretazione allegorica e morale del teologumeno gnostico: è il libero arbitrio della creatura che si distacca da Dio (simboleggiata dal Demonio che “per primo” decade dal Logos) quella malvagità originaria (senza padre, perché del tutto autonoma, antignosticamente non creata dal Demiurgo, né frutto di una natura cattiva) che produce la materia inferiore delle passioni terrene e cattive. 3) Soltanto l’interiorizzante conversione al Logos, l’Immagine del Padre Ingenerato di cui la creatura è immagine, consente alla libertà dell’uomo di liberarsi del corpo del secondo Adamo, cioè della sua identità materiale e malvagia, comunque esteriore ed avventizia (in quanto non identificata con la sostanza principale ed egemonica). 4) A differenza della traiettoria paolina, che faceva succedere all’uomo coico, cioè “naturale”, l’uomo celeste escatologico, “graziato” dal dono dello Spirito, Origene a) interpreta l’uomo coico e mortale come secondo Adamo, quindi come uomo decaduto e b) addirittura come “uomo” demoniaco, evidentemente interpretando la terra della quale è plasmato come sostanza/passione inferiore, accidentale e malvagia. L’opposizione tra coico e celeste/ad immagine è quindi del tutto deescatologizzata e moralizzata, essendo fatta dipendere dall’esercizio della libertà, chiamata a scegliere tra desiderio/opere del Padre di cui è immagine intellettuale e desiderio/opere del Demonio, di cui è divenuto immagine peccando169. 5) La conversione dalla sua identità terrestre alla sua identità celeste consente all’uomo non soltanto di ridentificarsi con la sua immagine originaria e profonda, ma anche di attingere la somiglianza di Dio170, la quale è l’immagine divina consapevolmente scelta, amata, quindi perfezionata dalla libertà.

167ORIGENE, ComGv XX,182-183. 168Cf. G. SFAMENI GASPARRO, Doppia creazione e peccato di Adamo nel “Perì Archon” di Origene: fondamenti biblici e

presupposti platonici dell’esegesi origeniana, in U. Bianchi (ed.), La “doppia creazione” dell’uomo negli Alessandrini, nei Cappadoci e nella gnosi, Roma 1978, 43-82; Restaurazione dell’immagine del celeste e abbandono dell’immagine del terrestre nella prospettiva origeniana della doppia creazione, in U. Bianchi (ed.), Arché e Telos. L’antropologia di Origene e di Gregorio di Nissa. Analisi storico-religiosa, Milano 1981, 231-266, quindi in Origene. Studi di antropologia e di storia della tradizione, Roma 1984, 101-138 e 157-192; cf. anche 139-155; G. LETTIERI, L’ambiguità dell’Eden…, 61-86.

169L’opposizione tra celeste e terreno corrisponde quindi all’opposizione tra immateriale «prima conditio» degli intelletti ad immagine e realtà avventizia dell’anima decaduta e materializzatasi: «Pars eius [animae] melior illa dicetur, quae ad imaginem Dei et similitudinem facta est, alia autem pars ea, quae postmodum per liberi arbitrii lapsum contra naturam primae conditionis et puritatis adsumpta est, quae utique pars utpote amica et cara materiae corporalis cum infidelium sorte multatur» (ORIGENE, DePrinc II,10,7). Sull’interpretazione morale della contrapposizione paolina tra uomo coico e uomo celeste, come opposizione tra chi vuole essere cittadino della realtà divina e immateriale e chi vuole essere cittadino di questo mondo, cf. ComGv XIX,127-137; II,134-136 (dalla libertà della creatura dipende divenire coico o pneumatico); OmGen IX,1-2. Ovviamente, la spirituale elezione del celeste, rivelata dall’insegnamento di Cristo e liberamente adottata dall’anima, culmina nel perfezionamento intellettuale della mens, capace quindi di ritornare nell’originaria integrità dell’immagine: «Quibus sapientiae escis nutrita mens ad integrum et perfectum, sicut ex initio factus est homo, ad imaginem Dei ac similitudinem reparetur» (DePrinc II,11,3).

170Il libero attingimento del perfezionamento dell’immagine, quindi il platonico assimilarsi a Dio, a partire dal quale Origene rilegge il testo genesiaco, è fatto dipendere dalla stessa rivelazione mosaica! «Igitur summum bonum, ad quod natura rationabilis universa festinat, qui etiam finis omnium dicitur, a quam plurimis etiam philosophorum hoc modo terminatur, quia summum bonum sit, prout possibile est, similem fieri Deo. Sed hoc non tam ipsorum inventum, quam ex divinis libris ab eis adsumptum puto. Hoc namque indicat Moyses ante omnes, cum primam conditionem hominis enarrat dicens: “Et dixit Deus: Faciamus hominem ad imaginem et similitudinem nostram”…Hoc ergo quod dixit “ad imaginem Dei fecit eum” et de similitudine siluit, non aliud indicat nisi quod imaginis quidem dignitatem in prima conditione percepit, similitudinis vero ei perfectio in

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Del tutto coerentemente, commentando 1Cor 15,22 (“Tutti muoiono in Adamo e tutti saranno vivificati in Cristo”) e più in generale 15,44-53, Origene – rovesciando l’ordine paolino tra protologia ed escatologia – identifica la vita donata dall’ultimo Adamo come originaria «vita dell’uomo secondo l’immagine»171, cui succede la morte inferta dall’Adamo coico, cioè dal diavolo omicida (intelligenza personale che simboleggia il libero irrompere del male nell’immagine)172, che

«ha ucciso l’uomo vivente… e non un singolo individuo, ma il genere [umano] nella sua totalità… E quest’omicidio egli l’ha compiuto a partire dall’inizio… Quindi nella misura in cui l’uomo vive, non porta in sé l’immagine del Terrestre; ma in quanto muore, ucciso dall’omicida, l’uomo non solo non conserva l’immagine di Dio, ma assume quella del Terrestre e del Morto, perché infatti il Terrestre è morto, così come il Celeste è vivo»173. A partire dalla protologica perfezione del celeste uomo ad immagine è da interpretare la stessa

dottrina origeniana dell’incarnazione di Cristo, Logos-uomo celeste che prende corpo terreno per rivelare alle creature decadute la loro intima natura spirituale, rivivificando le loro immagini “morte” o, meglio, divenute dimentiche della loro stessa inalienabile identità. Il Logos, infatti, discende dalla sua assoluta perfezione divina nel mondo decaduto insieme con l’intelletto preesistente dell’uomo Gesù174: l’unico singolare “residuo” del perfetto uomo ad immagine, l’unico intelletto creato nel Logos e poi resosi ab initio liberamente inseparabile da lui, sino alla perfetta somiglianza, alla mistica trasfigurazione della sua natura creata in quella del Figlio Dio. Davvero, allora, l’intelletto di Cristo è l’Uomo: l’unico personale testimone dell’uomo ad immagine originario, mai alienatosi da Cristo e quindi meritevole della sua inseparabile incarnazione175, e l’archetipo del suo universale apocatastatico perfezionamento, intellettuale ferro creaturale fuso nel fuoco divino del Logos176. L’apocatastasi, infatti, non potrà essere che la

consummatione servata est: scilicet ut ipse sibi eam propriae industriae studiis ex Dei imitatione conscisceret, quo possibilitate sibi perfectionis in initiis data per imaginis dignitatem, in fine demum per operum expletionem perfectam sibi ipse similitudinem consummaret» (ORIGENE, DePrinc III,6,1).

171ORIGENE, ComGv XX,224. 172«Occorre chiedersi se, mentre i santi [la totalità degli intelletti che costituivano l’originario Uomo ad immagine]

vivevano una vita del tutto immateriale e incorporea (ajvu>lon pavnth kaiV ajswvmaton zwhvn), colui che è stato chiamato dragone sia divenuto degno, per essere caduto dalla sua vita pura (ajpopeswVn th=ò kaqara=ò zwh=ò), di essere incatenato prima di tutti alla materia e nel corpo... E’ certamente possibile che il dragone sia non il principio in senso generale della creazione materiale del Signore, ma piuttosto il principio dei molti esseri che sono in un corpo» (ORIGENE, ComGv I,97-98).

173ORIGENE, ComGv XX,224-225 e 229. Si noti, in 226-228, il riferimento a Cristo, come datore di grazia che rivela nuovamente agli uomini morti la dignità dell’immagine di vita, invitandoli quindi alla resurrezione/conversione dal terreno-morto al celeste-vivo.

174«L’anima di Gesù, nella sua condizione di perfezione, dimorava in Dio e nel pleroma (ejn qew=/ kaiV tw=/ plhrwvmati); uscita di là perché il Padre l’ha inviata, assume il corpo nel seno di Maria. Altre anime, invece, non uscirono in questo modo da Dio (ouJc ouJvtwò ejxh=lqon ajpoV tou= qeou=)» (ORIGENE, ComGv XX,162); cf. I,236.

175«Nam cum invisibilis Dei ipse sit imago invisibilis (cf. Col 1,15), participationem sui universis rationabilibus creaturis invisibiliter praebuit ita, ut tantum ex eo unusquisque participii sumeret, quanto erga eum dilectionis inhaesisset adfectu. Verum cum pro liberi arbitrii facultate varietas unumquemque ac diversitas habuisset animorum, ut alius ardentiore, alius tenuiore ex exiliore erga auctorem suum amore teneretur, illa anima, de qua dixit Iesus quia “nemo aufert a me animam meam”, ab initio creaturae et deinceps inseparabiliter ei atque indissociabiliter inhaerens, utpote sapientiae et Verbo Dei et veritati ac luci verae, et tota totum recipiens atque in eius lucem splendorem que ipsa cedens, facta est cum ipso principaliter unus spiritus, sicut et apostolus his, qui eam imitari deberent, promittit, quia “qui se iungit domino, unus spiritus est”. Hac ergo substantia animae inter Deum carnemque mediante (non enim possibile erat Dei naturam corpori sine mediatore misceri) nascitur, ut diximus, Deus-homo, illa substantia media existente, cui utique contra naturam non erat corpus assumere» (ORIGENE, DePrinc II,6,3). «Il corpo [di Gesù] o la Chiesa sono chiamati a buon diritto tempio di Dio, perché contengono in sé il Primogenito di ogni creatura, che è immagine e gloria di Dio» (ComGv X,264). «Mi chiedo se forse Salomone non possa intendersi per il Primogenito di ogni creatura e Hiram per l’uomo da lui assunto, che conteneva il genere [umano] in virtù della connessione (sunochv) che lega gli uomini per natura… Quest’uomo assunto era ripieno di perizia, saggezza e intelligenza e fu condotto al primogenito di ogni creazione per cooperare con lui alla costruzione del tempio» (X,286).

176«Naturam quidem animae illius [di Cristo] hanc fuisse, quae est omnium animarum, non potest dubitari; alioquin nec dici anima potuit, si vere non fuit anima…Verum quoniam boni malique eligendi facultas omnibus praesto est, haec anima, quae Christi est, ita elegit diligere iustitiam, ut pro inmensitate dilectionis inconvertibiliter ei atque inseparabiliter inhaereret, ita ut propositi firmitas et affectus inmensitas et dilectionis inextinguibilis calor omnem sensum conversionis atque inmutationis abscideret, ut quod in arbitrio erat positum, longi usus affectu iam versum sit in naturam; ita et fuisse quidem in Christo humana et rationabilis anima credenda est, et nullum sensum vel possibilitatem eam putandum est habuisse peccati. Ad pleniorem tamen rei explanationem non videtur absurdum, si etiam similitudine aliqua utamur, licet in re tam ardua tam que difficili ne exemplis quidem uti commodis copia est. Tamen ut absque aliquo praeiudicio dicamus, ferri metallum capax est et frigoris et caloris; si ergo massa aliqua ferri semper in igne sit posita, omnibus suis poris omnibus que venis ignem recipiens et tota ignis effecta, si neque ignis ab ea cesset aliquando neque ipsa ab igne separetur: numquidnam dicemus hanc, quae natura quidem ferri massa est, in igne positam et indesinenter ardentem posse frigus aliquando recipere? Quin immo (quod verius est) magis eam, sicut in fornacibus saepe fieri oculis deprehendimus, totam ignem effectam dicimus, quia nec aliud in ea nisi ignis cernitur; sed et si qui contingere atque adtrectare temtaverit, non ferri, sed ignis vim sentiet. Hoc ergo modo etiam illa anima, quae quasi ferrum in igne sic semper in verbo, semper in sapientia, semper in deo posita est, omne quod agit, quod sentit, quod intellegit, deus est: et ideo nec convertibilis

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ricostituzione del creaturale Uomo ad immagine protologico, sicché l’ultimo Adamo non è che la rivelata originaria identità divino-umana dei logoi ab initio immanenti nel Logos eterno177.

«Cristo Unigenito è tutto in tutti, come principio, nell’Uomo che ha assunto e come fine nell’ultimo dei santi e in quelli di mezzo. Ovvero, come principio in Adamo, come fine nella sua venuta, secondo quelle parole: “L’ultimo Adamo divenne spirito vivificante”»178.

L’ultimo Adamo è l’inveramento del primo Adamo, l’escatologia è la verità profonda della

protologia, il dono ultimo di grazia è l’illuminante riappropriazione della grazia originaria della creazione, l’incarnazione salvifica del Figlio è la rivelazione dell’incarnazione eterna del Logos nei logoi, del Figlio nei figli, dell’Immagine nell’uomo ad immagine179. «Semper enim similis est finis initiis»180.

III,5 - Basilio di Cesarea, Gregorio Nazianzeno, Gregorio Nisseno: un’antropologia

dialettica Intimamente origeniani, eppure intenti ad atternuare la spericolata audacia teologica

dell’Alessandrino, i grandi cappadoci restituiscono la dottrina della doppia creazione depurata dalla dottrina della preesistenza delle anime, eppure finalizzata all’apocatastatica riunificazione di tutti gli uomini, universalmente redenti da Cristo, nella costituzione di quell’Adamo perfetta immagine di Dio e del suo Logos, alla quale originariamente lo stesso atto creativo mira.

Un rapido, ma profondo cenno dedica all’uomo ad immagine Basilio di Cesarea nelle sue Omelie sull’Esamerone, connettendo ormai tradizionalmente l’Immagine dell’invisibile di Col 1,15 con l’immagine di Dio di Gen 1,27. Ciò che però è interessante rilevare è l’utilizzazione antiariana del tema dell’immagine per dedurne non soltanto la pluralità delle ipostasi divine (a partire dal “Facciamo” di Gen 1,26), ma anche la perfetta unità ed identità dell’oujsiva, de «la stessa forma (hJ aujthV morfhv)»181 divina, proclamata nell’unica immagine creata nella quale riluce la perfezione assoluta del modello:

«Se l’immagine è unica (eij miva eijkwvn), da dove è derivata l’intollerabile empietà di affermare che il Figlio è dissimile (ajnovmoion)182 dal Padre? Oh ingratitudine! La somiglianza di cui sei partecipe non la concedi al divino benefattore? Tu ritieni che ti appartengano per tuo proprio diritto i benefici offerti dalla grazia, mentre tu non accordi al Figlio la somiglianza di natura (ejk th=ò fuvsewò oJmoiovthta) che Egli ha con il Padre»183. Se certo ardita pare essere la connessione tra la “somiglianza” ontologica delle ipostasi divine e

la somiglianza donata all’immagine creata – si noti: qui identificata con lo stesso dono di grazia –, la sua esaltazione la rende principio rivelativo dello stesso mistero trinitario, eterna ed ontologica identità di donazione. Le due Omelie sulla creazione dell’uomo184 – di dubbia attribuzione, comunque più

aut mutabilis dici potest, quae inconvertibilitatem ex verbi Dei unitate indesinenter ignita possedit. Ad omnes denique sanctos calor aliquis verbi dei putandus est pervenisse; in hac autem anima ignis ipse divinus substantialiter requievisse credendus est, ex quo ad ceteros calor aliquis venerit» (ORIGENE, DePrinc II,6,5-6). Cf. ComGv I,191-200. «Feu divin, on peut même dire qu’il est avant tout le feu du Logos, de la raison divine immanente dans les logikoi et qui ne cesse d’agir afin de les ramener à leur pureté ignée initiale» (H. CORNÉLIS, Les fondements cosmologiques…, 54).

177Mi limito a rinviare alla lunga trattazione dell’apocatastasi, cioè del ritorno della fine alla perfezione assoluta del principio, in ORIGENE, DePrinc I,6,1-6; e a ComGv I,276 e 289-290, ove si descrive rispettivamente il ritorno del Logos incarnato alla sua dimensione assoluta originaria e l’inseparabile relazione originaria tra il Logos e le molteplici potenze (gli intelletti, gli dèi: cf. II,23-32 e 43-44) da lui inseparabili.

178ORIGENE, ComGv I,225. 179Nell’apocatastasi, «quelli che sono giunti a Dio per il tramite del Logos che è presso di lui, avranno un’attività unica:

conoscere a fondo Dio, in modo da diventare, conformati in tal modo nella gnosi di Dio, tutti quanti esattamente un solo Figlio, nel modo in cui ora soltanto il Figlio conosce il Padre… Soltanto lo conosceranno quando diventeranno una cosa sola, come il Figlio e il Padre sono una cosa sola» (ORIGENE, ComGv I,92-93). Ma l’apocatastasi è ritorno al principio, anzi all’”in principio” (cf. lo straordinario excursus di ComGv I,95-118; e 221-225), a quella Sapienza (il Figlio che contempla il Padre) nella quale eternamente sta il Logos (il Figlio che dona alle immagini intellettuali la partecipazione alla sua contemplazione del Padre), che crea la vita (la sua immagine creata); sulla vita creata nel Logos ed inseparabile da lui, cf. I,112; 188; II,114-115; soprattutto 128-132; 156-157.

180ORIGENE, DePrinc I,6,2. Sull’interpretazione allegorica (filosofica, ontologica e morale) alessandrina (da Filone a Clemente ed Origene; ma cf. lo stesso Ambrogio) dell’Eden e di Adamo come nostalgia dell’origine e sulla sua irriducibilità all’escatologica tipologia paolina, cf. J. DANIÉLOU, Sacramentum futuri…, 4; 45-52 (in part. su Origene 49-50).

181BASILIO DI CESAREA, Omelie sull’Esamerone IX,6,11. 182Sull’opposizione tra toV ajnovmoion ed eijkwvn (rivelativa dell’identità!) in ambito trinitario, cf. BASILIO DI CESAREA,

Contro Eunomio I,17. In I,18, a partire da Col 1,15, il Figlio è così definito eterna «Immagine vivente» del Padre, «nell’identità dell’essenza (ejn aujth=/ th=/ oujsiva/)»; cf. I,20; II,16-17; II,31-32.

183BASILIO DI CESAREA, Omelie sull’Esamerone IX,6,14-15. 184BASILIO DI CESAREA(?), Omelie sull’Esamerone X-XI = SCh 160.

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attendibilmente riferibili all’insegnamento di Basilio che a quello del fratello Gregorio185 – si presentano come conclusione dell’esegesi basiliana dell’esamerone: se in esse ritorna la riflessione antiariana dell’esegesi del “Facciamo” di Gen 1,26186, l’imago Dei viene identificata con l’uomo interiore paolino (2Cor 4,16), ovvero con quel logismovò, la componente razionale o intellettuale nella quale risiede «l’egemonico (toV ajvrcon; toV ajrcikovn)»187.

«Distinguo due uomini. L’uno che appare e l’altro, nascosto sotto quello che appare (toVn uJpokekrummevnon tw=/ fainomevnw/=), invisibile (ajovraton): è l’uomo interiore (toVn ejvsw ajvnqrwpon). Noi abbiamo un uomo interiore e siamo in qualche modo duplici (diploi=), ma, a dire il vero, noi siamo l’uomo interiore. Ciò che è l’uomo esteriore non sono io, ma è mio (oujk ejgwv, ajllaV ejmav). La mano non sono io, ma l’io è il principio razionale dell’anima (ejgwV toV logikoVn th=ò yuch=ò). La mano è una parte (mevroò) dell’uomo, così il corpo è lo strumento dell’anima. Ma l’uomo si dice innanzitutto dell’anima stessa»188. Il dominio delle passioni, radice della contingente esteriorità sopraggiunta in seguito al peccato,

diviene quindi, origenianamente, lo stesso riattingimento della propria nascosta identità profonda dell’immagine189, identificata con la natura intellettuale direttamente creata dalla Trinità divina. Ancora in continuità con la tradizione cattolica alessandrina, è quindi compito della libertà dell’uomo realizzare tramite la propria libertà il «divenire cristiano»190, dunque il perfezionamento del dono gratuito191 dell’immagine logica nella somiglianza spirituale perfetta, aristotelica attuazione della potenza divinizzatrice concessa dal dono creativo di Dio:

«Nella prima creazione ci è stato dato di essere nati ad immagine di Dio. Per mezzo della volontà (ejk proairevsewò) si forma in noi l’essere secondo la somiglianza di Dio. Ciò che riguarda la volontà si trova in noi in potenza (dunavmei), ma ce lo procuriamo mediante l’attività (ejnergeiva/)»192. E’ quindi la libertà della creatura a realizzare il passaggio dall’immagine del primo (potenziale)

Adamo all’immagine/somiglianza dell’ultimo (attuale) Adamo, del quale Cristo è modello assoluto di perfezione, più che operante atto di donazione. Tant’è che la distinzione tra l’atto deliberativo divino (fare l’uomo ad immagine e somiglianza) e quello attuativo-demiurgico (l’uomo è creato soltanto ad immagine) è appunto finalizzato a rimettere all’uomo l’operante compimento dell’atto di assimilazione al divino archetipo dell’immagine193. Significativo è comunque il distaccarsi dall’interpretazione alessandrina della doppia creazione dell’uomo: Gen 1,27 e Gen 2,7 descrivono un unico evento, pure secondo la duplice angolatura relativa a) al creare l’anima immateriale (razionale, quindi comune a maschi e femmine) dell’uomo interiore e b) al plasmare194 “con le proprie mani” il corpo materiale dell’uomo esteriore (ove pare riecheggiare l’esaltazione del contatto misericordioso tra Dio e la materia, rilevata da Teofilo di Antiochia, Ireneo, Tertulliano); prova che l’armonia tra l’egemone anima impassibile e l’umile corpo connessole da Dio rivelano l’originaria intenzione creativa di Dio, l’esaltazione della creatura microcosmica, e non il disarmonico e provvisorio confondersi di piani ontologici originariamente distinti.

Assai densa è l’interpretazione dell’imago Dei offertaci da Gregorio Nazianzeno. Nell’Orazione XXXVIII, egli descrive la creazione dell’uomo come microcosmo, sinolo della creazione visibile o corporea ed invisibile o intelligente, identificando comunque – con Clemente ed Origene – il soffio di vita di Gen 2,7, tratto dallo stesso Logos ed identificato con l’imago Dei, con l’intelligenza immateriale.

185Cf. G. SFAMENI GASPARRO, Influssi origeniani ed elementi basiliani nell’antropologia delle Omelie “Sull’origine

dell’uomo”, in Origene…, Roma 1984, 315-366. 186Cf. BASILIO DI CESAREA(?), Omelie sull’Esamerone X,4-6. 187BASILIO DI CESAREA(?), Omelie sull’Esamerone X,6-7. 188BASILIO DI CESAREA(?), Omelie sull’Esamerone X,7. 189Cf. BASILIO DI CESAREA(?), Omelie sull’Esamerone X,8, ove il «logismovò» è definito «immagine e dominatore

(despovthò) delle passioni». 190BASILIO DI CESAREA(?), Omelie sull’Esamerone X,16-17. 191La grazia è identificata con l’atto creativo di Dio, il quale «ha fatto dono (ejcarivsato)» all’uomo dell’immagine, quindi

della possibilità della somiglianza. 192BASILIO DI CESAREA(?), Omelie sull’Esamerone X,16. 193«La deliberazione (hJ boulhv) comprendeva due elementi, ad immagine e a somiglianza; l’atto creativo (hJ dhmiourgiva)

ne contiene soltanto uno» (BASILIO DI CESAREA(?), Omelie sull’Esamerone X,15). 194Sulla distinzione già origeniana tra la poivhsiò di Gen 1,26-27 e la plavsiò di Gen 2,7, cf. BASILIO DI CESAREA(?),

Omelie sull’Esamerone XI,3.

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«Il Logos artefice crea l’uomo, unico essere vivente formato dalle due sostanze, cioè dalla natura invisibile e da quella visibile: dalla materia già prima creata prese il corpo, da se stesso prese il soffio che inserì nel corpo: quello che la Scrittura chiama anima intelligente e immagine di Dio (oJv dhV noeraVn yuchVn kaiV eijkovna Qeou= oi\den oJ lovgoò). L’uomo fu creato come un secondo mondo, un mondo grande in un essere piccolo (ejn mikrw?/ mevgan [kovsmon]), che Dio pose sulla terra come un secondo angelo, un adoratore formato di natura mista… un essere terreno e celeste, effimero ed immortale, visibile ed intellegibile, posto a metà tra grandezza e umiltà, nello stesso tempo spirito e carne, spirito per la grazia che ricevette, carne a causa della sua superbia. Spirito perché continuasse a vivere e glorificasse il suo benefattore, carne perché soffrisse e, soffrendo, si ricordasse di quello che era… per divenire divino proprio per il suo tendere a Dio»195. Il testo è di straordinaria potenza teologica, in quanto permette di apprezzare lo straordinario

sforzo di sintesi specifico dei cappadoci: il platonismo origeniano (l’immagine rimane appunto soltanto quella dell’intelligenza immateriale ed affine allo stesso Logos divino) convive con il riscatto della natura sensibile, tant’è che Adamo è stato eletto come armonica contrazione dell’intera creazione, distinta in creazione sensibile ed intellegibile. Così, la perfezione dell’immagine e l’affermazione della sua libertà convivono con l’affermazione dell’eccedente dono di grazia196, capace di redimere – grazie all’escatologica rivelazione di Cristo – il peccato e di trasfigurare l’elemento più imperfetto del sinolo (la carne) in corpo redento e spiritualizzato. Ove la carne è, insieme, creaturalità sofferente da riscattare e malvagia perversione da redimere, così come lo spirito è insieme intellettuale immagine divina e fruizione di un atto di grazia redentivo, senza il quale l’uomo – chiamato a progredire sino alla divinizzazione della somiglianza – non è che vanità. Infatti, soltanto «l’Immagine immutabile» eterna ed assoluta di Dio, l’Intelligenza assolutamente incorporea può salvare «la sua immagine», sicché quella «porta su di sé la carne a causa della mia carne e si unisce ad un’anima dotata di ragione a causa della mia anima, purificando la sostanza simile con quella simile»; ove la somiglianza redentiva è attingibile soltanto attraverso l’incarnazione del Logos nella carne di Gesù, grazie alla quale la carne decaduta di ogni uomo è abilitata a ricevere lo Spirito vivificante197. L’immagine escatologica è, quindi, non soltanto il riscatto, ma l’eccedente, gratuito perfezionamento dell’immagine protologica – «immagine regale (hJ basilikhV eijkwvn) che era stata sepolta dalle passioni»198 –, perfezionata nella stessa identità personale dell’ultimo Adamo199.

Certo il culmine della riflessione antropologica dei tre cappadoci è rappresentato dal trattato di Gregorio di Nissa De hominis opificio. Ricapitolando la lunga esegesi della doppia creazione di Adamo, il Nisseno distingue alessandrinamente la perfetta creatura originaria di Dio – l’uomo ad immagine, immateriale ed intellegibile, quindi affine per natura allo stesso Dio creatore – dall’imperfetto, peccabile, sessualmente differenziato uomo creato maschio-femmina, anima dotata di corpo, sinolo tra intellegibile e sensibile. Si registrano, però, decisive innovazioni. La tesi origeniana di un’originaria, preesistente creatura divina assolutamente perfetta – l’uomo ad immagine perfetta dell’Immagine-Logos, prova dell’assoluta e non invidiosa bontà di Dio che tutto dona sin dall’inizio alla sua creatura – viene faticosamente corretta tramite l’affermazione dell’originaria creazione di una pienezza intellegibile e divinizzata dell’immagine umana, unica vera intenzione donativa di Dio, comunque contraddetta dalla caduta della creatura, eternamente prevista dalla prescienza divina, quindi determinante la decisione divina di creare l’uomo perfetto già segnato dall’imperfezione della distinzione sessuale, filonianamente indicativa della mescolanza antropologica tra impassibilità intelligente dell’immagine e peccaminosa

195GREGORIO NAZIANZENO, Orazioni XXXVIII,10,8. 196Riferendosi al battesimo, il Nazianzeno riconosce l’eccedenza del nuovo dono di grazia, capace di costituire la

somiglianza con Dio, rispetto allo stesso dono della creazione: «Ma come ci aveva portato all’esistenza mentre prima non eravamo, così ci riformò, mentre già sussistevamo, per mezzo di una formazione più divina e più sublime della precedente (plavsin qeiotevran te kaiV th=ò prwvthò uJyhlotevran)… correzione dell’immagine offesa dal peccato… [Il battesimo] è un rimedio alla nostra prima generazione e così ci rende nuovi da vecchi che eravamo e simili a Dio (qeoeidei=ò) invece di quelli che siamo ora» (GREGORIO NAZIANZENO, Orazioni XL,5,7-6,8). Significativamente, si esalta il carattere universale del battesimo, che nella sua grazia riunifica – paolinamente – da tutte le scissioni secolari e sociali: «Purificazione comune a tutti…, ugualmente valevole per tutti, per i signori e per gli schiavi, per i poveri e per i ricchi, per gli umili e per i grandi, per i nobili e per gli ignobili, per i debitori e per coloro che non lo sono» (XL,6,8); la kenosi di Cristo, infatti, uguaglia nel dono comune l’intera umanità: «Non ti rifiutare di ricevere il battesimo insieme con un povero solo perché sei ricco, con una persona umile perché sei di nobili natali, con uno che fino ad ora è stato schiavo perché tu sei il padrone. Tu non ti sei ancora umiliato quanto si umiliò Cristo, per il quale tu sei battezzato oggi e che per causa tua assunse la forma di uno schiavo. A partire dal giorno in cui sei cambiato, sono sparite tutte le vecchie impronte (oiJ palaioiV carakth=reò): Cristo si è imposto a tutti in una sola forma (mia=/ morfh=/)» (XL,13,27), la quale è appunto la morfhV douvlou di Fil 2,7.

197GREGORIO NAZIANZENO, Orazioni XXXVIII,10,13. 198GREGORIO NAZIANZENO, Orazioni XXXVIII,10,14. 199«Io ebbi parte all’immagine di Dio, però non la conservai. Egli allora prende parte alla mia carne, sia per salvare

l’immagine, sia per rendere immortale la carne» (GREGORIO NAZIANZENO, Orazioni XXXVIII,10,13).

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passibilità carnale. Al peccato degli intelletti preesistenti viene quindi sostituito il peccato divinamente previsto dell’uomo intellegibile, concretamente creato come umanità imperfetta e divisa. L’uomo intellegibile, allora, permane soltanto come profonda identità archetipica immanente nello stesso Adamo imperfetto e soprattutto come suprema intenzione donativa di Dio, escatologicamente attinta attraverso la redenzione di Cristo.

Scendendo nel dettaglio, è importante rilevare come il Nisseno non accolga la tradizionale (ireneana, clementina, origeniana, basileana) distinzione tra la potenzialità dell’immagine e la perfezione liberamente attuata della somiglianza: la mancanza della somiglianza pregiudicherebbe, infatti, la stessa natura dell’immagine200. Questa è non soltanto identificata con la beata, originaria201 identità intellegibile della creatura, ma addirittura con la partecipazione (certo non interpretabile come identità202) alla stessa natura di Dio:

«Il Creatore concesse una grazia divina (qeoeidh= tinaV cavrin) alla nostra creazione, immettendo nell’immagine la somiglianza dei suoi beni. I rimanenti beni li diede alla natura umana per liberalità, ma l’intelligenza e il pensiero (nou=ò deV kaiV frovnhsiò) non è proprio dire che li donò, ma piuttosto che li partecipò (metevdwke), avendo posto nell’immagine l’ordine proprio della sua natura (toVn ijvdion aujtou= th=ò fuvsewò kovsmon ejpibalwvn th=/ eijkovni)»203. D’altra parte, come conferma la connessione tra la creazione dell’immagine immateriale e la

creazione delle componenti fonetiche che consentono provvidenzialmente all’uomo di comunicare e di costituire relazioni sociali204, la perfezione dell’immagine è originariamente connessa alla bontà del corpo nel quale Dio ha voluto collocarla. Eppure proprio quando – pur nel respingimento della definizione dell’uomo come microcosmo, interpretata come materialisticamente fondata sulla sua componente corporea, piuttosto che sulla componente “divina” dell’uomo, che lo apparenta a Dio e non al cosmo205 – si celebra la bellezza provvidenziale dell’umano sinolo intellegibile-sensibile, questo finisce per scindersi nella constazione della precarietà dolorosa, della contraddizione enigmatica e della vanità peccaminosa dell’esistenza umana:

«Qual è il significato dell’immagine? Come si dirà simile al corpo l’incorporeo? Come all’eterno ciò che è nel tempo? Con ciò che non muta, ciò che è nel mutamento? Ciò che è perfettamente libero e incorruttibile con ciò che è soggetto a passione? Come [sarà simile] a ciò che manca di ogni male ciò cui da ogni parte il male è compagno e con lui si nutre? Grande, infatti, è lo spazio tra ciò che è pensato nell’archetipo e ciò che è creato nell’immagine… La compassionevole pena della natura umana non può essere paragonata con la beatitudine della perfetta libertà… Altro è ciò che è secondo l’immagine e altro ciò che si mostra nel presente affanno… Dunque duplice è la creazione della nostra natura, quella che è ad immagine di Dio e quella che è divisa in queste diversità»206.

La difficoltà della peculiare interpretazione gregoriana della doppia creazione dell’uomo sta nell’affermarne, allora, l’originaria simultaneità, che apparentemente torna a proiettare su Dio l’ombra dualistica della responsabilità dell’introduzione dell’imperfezione, se non del male stesso, nella propria creazione. Mentre per Origene, la relazione tra prima e seconda creazione poteva essere scandita a partire

200Cf. GREGORIO DI NISSA,DeHomOpif 11: «L’immagine è immagine finché in nulla abbandona le cose che si pensano

nell’archetipo. Quando decade dalla somiglianza con il prototipo per questa parte, non è più immagine»; cf. L’anima e la resurrezione 25.

201L’immagine coincide, infatti, con la «beatitudine originaria (prwvth) della nostra natura, bella ad immagine e somiglianza della bellezza primigenia e vera e unica» (GREGORIO DI NISSA, Omelie sul Cantico dei cantici XV,6,3,439).

202Cf. GREGORIO DI NISSA, AnimResur 14, ove l’ipotesi per assurdo di Gregorio «che la mente è identica alla natura divina» viene confutata da Macrina, che sottolinea come l’anima, pure condividendo con il modello divino l’incorporeità e la somiglianza, comunque «è qualcosa di diverso dall’altro. Non sarebbe più infatti immagine, se fosse identica (taujtovn) in tutto all’altro, ma quelle caratteristiche della natura increata in cui si osserva l’una sono uguali a quelle da cui emerge quest’altra, che è natura creata». Cf. DeHomOpif 16: «L’immagine porta in ogni momento il carattere della bellezza prototipa. Ma se essa fosse del tutto senza differenza (diaforavn), per nulla sarebbe somiglianza, ma si mostrerebbe la stessa cosa (taujtovn) [di Colui] del quale è immagine, non distinguendosene in nulla. Quale differenza vedremo dunque tra la divinità e ciò che ad essa è simile? Questa: che l’una è increata, l’altra ha esistenza per la creazione».

203GREGORIO DI NISSA,DeHomOpif 9. 204«Ora, l’intelligenza sarebbe stata un dono incomunicabile e senza relazioni, se non grazie a qualche inventiva che

manifestasse il suo movimento. In grazia di ciò fu necessaria la creazione di un organismo, affinché le parti fonetiche, alla maniera del plettro, attraverso il variare dei suoni traducessero il movimento dell’interno» (GREGORIO DI NISSA,DeHomOpif 9).

205Cf. GREGORIO DI NISSA,DeHomOpif 16: «Hanno detto che l’uomo è un microcosmo (mikroVn kovsmon), composto degli stessi elementi del tutto… Ma in che cosa consiste, secondo la chiesa, la grandezza dell’uomo? Non nella somiglianza con il cosmo, ma nell’essere ad immagine e somiglianza del Creatore della nostra natura».

206GREGORIO DI NISSA,DeHomOpif 16.

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dalla libera scelta/decadenza degli intelletti preesistenti – che originavano la loro materializzazione, quindi l’intervento demiurgico formativo di Dio, volto alla futura conversione delle creature decadute –, in Gregorio di Nissa la negazione della preesistenza costringe a far dipendere dalla prescienza207 di Dio (che conosce il libero divenire irrazionale e passibile della creatura) l’introduzione della contraddizione (rappresentata dalla differenza sessuale maschio-femmina)208 nell’unitaria e perfetta, divina immagine di Dio209. Ciò significa che, del tutto coerentemente con l’intera tradizione cattolica (almeno fino ad Agostino, come vedremo!), l’immagine immateriale si costituisce soltanto in relazione all’esercizio del libero arbitrio. Libero arbitrio, però, non più origenianamente rimesso all’autonomo determinarsi di ogni singola creatura, ma stranamente ricapitolato nell’unitaria perfezione dell’immagine, nella quale paiono riassumersi contratte tutte le volontà degli uomini210. Sicché il divinamente previsto peccato (l’intimo differenziarsi) dell’Adamo intellegibile (l’anima del composto umano) pare divenire il destino di tutte le future creature. Soltanto l’escatologica rivelazione di Cristo consente di riscattare, pertanto, la problematica perfezione dell’imago Dei, sicché paolinamente essa torna ad essere ombra o tipo dell’apocatastasi/resurrezione, insomma della redenzione ed enosi spirituale del primo Adamo, consentendo di affermare che «tutta la natura che si distende dalla prima alle ultime cose costituisce un’unica immagine dell’essere (miva tiò tou= ojvntoò ejstiVn eijkwvn)»211. Ove, comunque, «il ristabilimento nello stato primitivo (hJ eijò toV ajrcai=on ajpokatavstasiò)»212, pure assicurato dall’escatologica «grazia della resurrezione (hJ te=ò ajnastavsewò cavriò)»213, è finalizzato a celebrare la pienezza del dono protologico divino, nel quale, ancora una volta, l’evento gratuito del nuovo, naturalmente eccedente, pare essere riassorbito: «di nuovo, dunque, il paradiso, di nuovo, dunque, la grazia dell’immagine e la dignità del comando»214. Di nuovo, l’ultimo Adamo, il Cristo dello Spirito, non corre il rischio di divenire allora funzione soterica del primo Adamo? Il dono della grazia non è forse il temporale dispiegarsi della perfezione potenziale del dono creato, il culmine del progresso spirituale della natura, chiamata a divenire liberamente se stessa? Tant’è che l’assimilazione dell’anima all’archetipo divino è fatta dipendere dal progresso infinito (l’ejpevktasiò) del suo intelligente (platonico!) desiderio dell’intellegibile, certo guidato dalle misericordiose teofanie divine, eppure ontologicamente, necessariamente215 inscritto nella stessa natura razionale della creatura ad immagine. La natura è necessariamente graziata, l’immagine è la predestinata, universale perfezione del dono protologico, pure soltanto escatologicamente compiuto nella sua infinita pienezza.

IV – Agostino: l’eccedenza dell’ultimo Adamo La teologia dell’immagine di Agostino è di straordinario interesse proprio a causa della sua

torsione da una prima prospettiva tradizionalmente cattolica e platonizzante (dominante in tutte le sue

207«Colui che conosce tutte le cose prima della nascita, avendo seguito o meglio avendo percepito con la prescienza verso dove sarebbe inclinato il movimento dell’umana libertà di scelta (th=ò ajnqrwpivnhò proairevsewò hJ kivnhsiò), padrone di sé e indipendente, nella sua conoscenza del futuro ha stabilito per l’immagine la differenza (diaforavn) tra maschio e femmina, che non guarda più verso l’archetipo divino, ma, come si è detto, diventa familiare (proswkeivwtai) con la natura irrazionale» (GREGORIO DI NISSA,DeHomOpif 16).

208«La differenza (diaforav) del genere umano in maschio e femmina fu aggiunta alla fine all’uomo già creato» (GREGORIO DI NISSA,DeHomOpif 16).

209«Ma cosa divina era la natura umana, prima che l’elemento umano fosse in balia dell’impulso al male» (AnimResur 70).

210Riferendosi al nome “uomo” di Gen 1,26-27, scrive GREGORIO DI NISSA, DeHomOpif 16: «In questa creazione non è nominato Adamo come nel seguito del racconto. Il nome dato all’uomo creato non è singolare (oJ tiVò), ma universale (oJ kaqovlou), relativo all’universalità della natura (th=/ kaqolikh=/ th=ò fuvsewò). Siamo spinti a supporre che dalla prescienza e potenza divina sia stata, in questa creazione, abbracciata tutta l’umanità (pa=sa hJ ajnqrwpovthò)… In un solo corpo è contenuto tutto l’insieme dell’umanità per la forza della prescienza che Dio ha di tutte le cose».

211GREGORIO DI NISSA,DeHomOpif 16. 212GREGORIO DI NISSA, DeHomOpif 17. 213GREGORIO DI NISSA, DeHomOpif 17. 214GREGORIO DI NISSA, DeHomOpif 21; «La resurrezione non è altro che la ricostituzione della nostra natura nella

condizione iniziale (mhdeVn eJvteron ei\nai ajnavstasin hjv thVn eijò toV ajrcai=on th=ò fuvsewò hJmw=n ajpokatavstasin)» (GREGORIO DI NISSA, AnimResur 75). Sull’origeniana universalità dell’apocatastasi escatologica, nella quale l’intera natura intellettuale sarà intimamente riunita in Dio, cf. AnimResur 50; 64 («non ci sarà più differenza che divida la natura razionale nella partecipazione, perché tutto sarà uguale»); 75-77.

215Cf. GREGORIO DI NISSA, AnimResur 43-47. In particolare: «Quando l’anima, divenuta semplice ed uniforme e perfettamente simile a Dio (qeoeivkeloò), avrà potuto trovare quel bene che è veramente semplice e immateriale, cioè quella cosa, quale che essa sia, che è l’unica amabile e desiderabile, allora si congiunge e si unisce ad essa grazie all’impulso e all’attività dell’amore e assume una forma corrispondente a quello che di volta in volta è da lei compreso e trovato, divenendo, grazie alla sua assimilazione al bene, esattamente uguale, sin nel suo intimo, alla natura alla quale essa partecipa (tou=to ginomevnh diaV th=ò tou= ajgaqou oJmoiovthtoò oJvper hJ tou= metecomevnou fuvsiò ejstin)» (45); «Poiché, dunque, ogni natura attira a sé quello che le è affine e l’umano è affine, in un modo o nell’altro, a Dio, in quanto reca entro di sé l’imitazione dell’archetipo (tou= ajrcetuvpou mimhvma), è assolutamente necessario (kataV pa=san ajnavgkhn) che l’anima sia attratta verso quello che è divino e le è affine (suggenevò)» (47).

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prime opere dai Dialoghi di Cassiciaco sino al De doctrina christiana interrotto nel 397) ad una nuova, rivoluzionaria prospettiva, inaugurata dalla II quaestio delle diverse a Simpliciano e per la prima volta sistematizzata nelle Confessiones (397-400ca.)216. 1) Nella prima fase del suo pensiero – ove comunque latita una sistematica esegesi di Gen 1,26-27 e 2,7 –, Agostino ribadisce il tradizionale rifiuto del dualismo gnostico e delle differenze di nature umane, affermando una platonizzante concezione (ereditata dalla normalizzazione dell’origenismo in ambito occidentale operata da Ambrogio e Girolamo) della mens imago di Dio, realtà intellettuale, immateriale e immortale per natura (luogo dell’illuminazione interiore di Dio, maestro interiore universalmente docente). Ne deriva un’apologia antimanichea del libero arbitrio, che culmina nell’esaltazione della giustizia razionale di Dio. Questi premia o punisce le scelte delle creature, a seconda della conversione della loro anima – immagine di Dio217 – alla luce intellettuale ed eterna che risplende nella loro interiorità. Il peso del male nella realtà creata dall’unico Dio assolutamente buono è quindi tradizionalmente attribuito al libero peccato di Adamo, uomo ad immagine creato perfetto, ma proprio perché razionale, responsabile dei suoi atti. Caratteristica della concezione del peccato del primo Agostino (che rivela in tal senso una vera e propria teologia della giustificazione proto pelagiana) è la sua riduzione a cattivo esempio o a colpa capace di indebolire gli uomini nati dal progenitore, certo non a peccato irreparabile che getta l’intera umanità creata nella dannazione, a meno che non intervenga l’indebita grazia di Dio. 2) A questa prospettiva si sostituisce quella del nuovo o altro Agostino, che potremmo definire di neopaolinismo o di cattolicesimo ripaolinizzato, in quanto impegnata a ripensare il tradizionale e ormai platonizzato monoteismo trinitario cattolico (con la sua prospettiva antidualistica e con la sua apologia del libero arbitrio) a partire da una potente e dominante riattivazione della dimensione carismatica della nozione di Spirito, grazia, immagine. Ne deriva una radicale, originalissima e sempre più sistematicamente strutturata teologia, incentrata su: la negazione del libero arbitrio, la dipendenza assoluta della conversione e del progresso meritorio nel bene dall’irresistibile dono della grazia divina, l’occulta predestinazione di Dio come causa assoluta, che salva chi vuole gratis, indebitamente, senza merito umano e senza ragione umanamente comprensibile, e abbandona al contrario Adamo al suo peccato senza volerlo impedire, così come condanna alla morte eterna la massa damnationis dell’umanità derivatane. Questo inedito cristianesimo tragico, che riattiva potentemente alcuni elementi paolini all’interno di una prospettiva monoteistica cattolica soltanto parzialmente in grado di contenerne il dinamismo eversivo, è incentrato quindi sulla netta differenza tra creazione (primo Adamo) e redenzione (secondo Adamo), natura e grazia, dono protologico (e ontologico, platonicamente reinterpretato) e dono escatologico, immagine potenziale (la mens creata ad immagine di Dio, ancora pensata secondo categorie platoniche) e immagine attuale di Dio (la mens che si pensa, si conosce e si ama come immagine dell’Essere, della Verità e dell’Amore di Dio, in quanto visitata e mossa dall’indebito avvento dello Spirito di grazia).

Nell’interpretazione di Gen 1,26-27 e 2,7, Agostino – malgrado la sua antropologia platonizzante – respinge con nettezza la prospettiva alessandrina della doppia creazione: riallacciandosi all’esegesi cattolica di origine asiatica, quindi mediata da Ireneo e Tertulliano e in qualche modo recuperata dalla stessa svolta cappadoce, con la sua riforma della teoria della doppia creazione alessandrina, nota ad Ambrogio –, già il De Genesi contra Manichaeos – testo che pure opta per una privilegiata interpretazione allegorica del paradiso218, sistematicamente ritrattata nel più maturo De Genesi ad

216Cf. G. LETTIERI, L’altro Agostino. Ermeneutica e retorica della grazia dalla crisi alla metamorfosi del De doctrina

christiana, Brescia 2001. Per un’analisi dell’evoluzione dell’antropologia agostiniana della mens, cf. G. LETTIERI, La mente immagine…, 99-122; R.A. MARKUS, Imago and Similitude in Augustine, in «Revue des études augustiniennes» 10, 1964, 125-143, quindi in Sacred and Secular. Studies on Augustine and Latin Christianity, Aldershot 1994, XVI; H. SOMERS, La gnose augustinienne: sens et valeur de la doctrine de l’image, in «Revue des études augustiniennes» 7, 1961, 1-15; e Image de Dieu. Les sources de l’exégèse augustinienne, in «Revue des études augustiniennes» 7, 1961, 105-125; J.E. SULLIVAN, The Image of God. The Doctrine of St. Augustine and Its Influence, Dubuque 1963, in part. 3-162. Sull’interpretazione di Adamo e del paradiso, cf. G. LETTIERI, L’ambiguità dell’Eden…, 87-100.

217Cf. AGOSTINO, DeGenContraManich I,17,27-28; in particolare, l’«imago» è identificata con l’«interior homo… ubi est ratio et intellectus» (28); significativamente, in analogia con quanto rilevato in Tertulliano, si considera la natura immateriale e intelligente dell’immagine come rivelata dalla «potestas» dell’uomo, assegnatagli da Dio per dominare sulle bestie (cf. Gen 1,26): «Quo significatur, etiam animum nostrum in superna sua, id est in aeterna spiritualia, erectum esse debere. Iita intelligitur per animum maxime, attestante etiam erecta corporis forma, homo factus ad imaginem et similitudinem Dei» (28). Cf., in tal senso, De doctrina christiana I,22,20: «Magna enim quaedam res est homo, factus ad imaginem et similitudinem Dei, non in quantum mortali corpore includitur, sed in quantum bestias rationalis animae honore praecedit»; De vera religione 44,82. Si noti che in DeVeraRel 45,85-46,47,90, ove è l’amore prescrittivo di Dio immateriale e del prossimo sua immagine a garantire la salvezza della propria anima e la sua realizzazione come immagine interiore della Verità eterna.

218Sul totalizzante allegorismo del DeGenContraManich, cf. II,2,3; II,12,17: l’interpretazione letterale del testo biblico non è affatto sistematicamente respinta, ma certo posta in secondo piano e spesso definita impossibile; così, in II,5,6-6,7, il paradiso viene tutto risolto in una filoniana, origeniana, quindi ambrosiana allegoria spirituale: la fonte edenica non può rappresentare dell’acqua materiale, ma dev’essere identificata con la sorgente di Gv 4,14, cioè con la vita eterna donata dalla Verità divina

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litteram219 – afferma che i due racconti biblici sono relativi ad un unico atto creativo di Dio operato su un unico indissolubile composto umano, pure se descritto da due diversi punti di vista. Gen 1,26-27 descriverebbe la creazione dell’anima (della mens, dell’uomo interiore platonicamente interpretato)220, Gen 2,7 descriverebbe la creazione del corpo che le è inseparabile, quindi componente originaria e non seconda o decaduta dell’unica natura umana221, come conferma la tripartizione paolina di spirito, anima e corpo (cf. 1Tessalonicesi 5,23):

«La natura completa dell’uomo sono certamente lo spirito, l’anima e il corpo. E’ pazzo, dunque, chi vuole considerare estraneo alla natura umana il corpo»222.

Quest’interpretazione è sostanzialmente ribadita nel De Genesi ad litteram223, che pure torna ad affacciare un’originalissima distinzione tra una creazione primordiale dell’uomo (quella di Gen 1,26) e una creazione temporale dell’uomo (quella di Gen 2,7)224. Viene infatti nettamente respinta l’ipotesi alessandrina della creazione di una dimensione incorporea e perfetta degli intelletti preesistenti ai corpi e alla loro distinzione sessuale225; come interpretare, allora, il primo racconto della creazione dell’uomo? Riportandola alla simultanea creazione dell’intera realtà materiale del mondo (gli «omnia simul»), espressa dall’unico dies della creazione, all’interno del quale l’uomo era stato creato soltanto «latenter», «in occulto»226, seminalmente, sicché soltanto successivamente – nella progressiva manifestazione e determinazioni di tutte le creature – egli sarebbe stato formato dal fango della terra; ove è il corpo dell’uomo il sostrato differenziato nei suoi due stati, quello latente, potenziale, immediatamente contratto e quello determinato, attuato, temporalmente dispiegato227. Sicché, in un singolare rovesciamento della doppia creazione platonizzante, l’anteriorità dell’uomo creato nel primo giorno può essere paragonata a quella del fenum, materialmente bisognoso di crescita e di progressiva determinazione; anche se nella contrazione degli omnia simul del primo giorno, identificati con la totalità delle create «futurarum

all’uomo interiore; in II,9,12, se l’Eden è allegoria della gioia derivante dalla luce della Sapienza, rappresentata dall’albero della vita al centro del giardino, gli alberi edenici e i loro frutti sono allegorie di «deliciae immortales et intelligibiles»; infine l’albero del bene e del male «ipsa item medietas animae et ordinata integritas significatur»; in II,10,13-14, i quattro fiumi edenici simboleggiano tradizionalmente le quattro virtù cardinali; in II,11,15, lavorare e custodire il paradiso significa mantenersi nella felicità spirituale, mentre l’unione tra Adamo ed Eva simboleggia l’unione gerarchicamente ordinata tra mens (Adamo) e la componente appetitiva dell’anima (Eva) che muove il corpo.

219Per la retractatio dell’opera, cf. AGOSTINO, DeGenLitt VIII,2,5; Retractationes I,10,1-3 e I,13,8. 220AGOSTINO, DeGenContraManich I,17,28; DeGenLitt III,19,29-22,34; VI,12,21; De civitate Dei XI,2; XI,28; XII,24

(ove Gen 1,26 e 2,7 vengono fusi); XI,26 (ove torna l’interpretazione alessandrina della somiglianza come perfezionamento dell’immagine).

221AGOSTINO, DeGenContraManich II,7,8-8,11; Gen 2,7 vi viene interpretata come sostanziale ripetizione di Gen 1,26-27, tutt’al più come «dilegentior retractatio» (7,9), contenente alcune precisazioni relative alla componente corporea. L’ipotesi di Gen 2,7 come «recapitulatio» torna in DeGenLitt VI,1,1 e 2,3. In DeGenLitt III,22,34, la dottrina della doppia creazione dell’uomo viene confutata tramite l’osservazione che la distinzione in maschio-femmina dell’immagine creata non può spiegarsi senza la presenza del corpo e delle sue determinazioni sessuali, mentre sarebbe del tutto illogica in riferimento all’intellegibile e immateriale sostanza dell’anima. Viene pertanto respinta un’interpretazione allegorica della distinzione maschio (conoscenza delle realtà eterne) –femmina (conoscenza delle realtà temporali), in quanto l’immagine perfetta di Dio non può essere specificata tramite il riferimento alla “femminile” attività temporale. In proposito, cf. R.J. MCGOVAN, Augustine’s spiritual Equality: the Allegory of Man and Woman with Regard to Imago Dei, in «Revue des études augustiniennes» 33, 1987, 255-264.

222«Natura certe tota hominis est spiritus, anima et corpus; quisquis ergo a natura humana corpus alienare vult, desipit» AGOSTINO, De natura et origine animae IV,2,3.

223Cf. AGOSTINO, DeGenLitt VI,1,1-18,29. 224Cf. AGOSTINO, DeGenLitt VI,1,1-18,29. 225Cf. AGOSTINO, DeGenLitt VI,7,9 e 12. 226AGOSTINO, DeGenLitt VI,1,1-2. 227«Hic primo videndum est, utrum ista recapitulatio sit, ut nunc dicatur, quomodo factus sit homo, quem sexto illo die

factum legimus, an vero tunc quidem, cum fecit omnia simul, in his etiam hominem latenter fecit, sicut fenum terrae antequam esset exortum, ut eo modo et ipse, cum iam esset in secreto quodam naturae aliter factus, sicut illa, quae simul creavit, cum factus esset dies, accessu temporis etiam isto modo fieret, quo in hac perspicua forma vitam gerit, vel male vel bene, sicut fenum, quod factum est, antequam exoreretur super terram, accedente iam tempore et fontis illius inrigatione exortum est, ut esset super terram» (AGOSTINO, DeGenLitt VI,1,1). «Tunc utique potentialiter et causaliter in opere pertinente ad creanda omnia simul, a quibus consummatis in die septimo requievit, nunc autem visibiliter in opere pertinente ad temporum cursum, sicut usque nunc operatur» (VI,4,5).

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causales rationes»228, sono contratte non soltanto le realtà materiali, ma anche i semi della totalità delle realtà intelligenti (le anime), esse stesse soltanto temporalmente determinate229. In tal senso:

«Nella creazione primordiale del mondo, allorché Dio creò tutte le cose simultaneamente, l’uomo fu fatto quale era destinato ad essere, cioè fu fatta la ragione causale dell’uomo (ratio creandi hominis), non l’attualità dell’uomo già creato (actio creati)»230.

L’unica creatura umana effettiva è quella di Gen 2,7, dispiegamento ed attuazione temporale della realtà si archetipica, eppure ancora potenzialmente contratta e sospesa nell’unico atto creativo di Dio. Il Verbo cioè crea la forma primordiale di uomo di Gen 1,26-27 non come realtà assoluta ed ideale, di cui l’uomo sensibile sarebbe solo colpevole deformazione, ma come forma virtuale, finalizzata proprio alla sua attuazione temporale e sensibile. Adamo ed Eva, individui storici dotati di anime e corpi, sono quindi il vero oggetto dell’eterna intenzionalità divina, creati «invisibilmente, potenzialmente, nelle loro cause, come sono fatti gli esseri destinati ad essere fatti, ma non ancora fatti»231. L’interpretazione agostiniana di Gen 1,27 risulta, quindi, estremamente complessa: il versetto “Dio creò l’uomo a propria immagine… Maschio e femmina Dio li creò” viene scomposto: la prima frase viene riferita alla creazione della mens immateriale, (platonico-cristiana) immagine di Dio; la seconda alla creazione del corpo sessualmente individuato232. Nell’ambito della primordiale creazione simultanea del primo giorno, il Verbo crea l’uomo già come sinolo di anima e corpo: l’anima di Adamo è creata in vista della sua futura insufflazione da parte di Dio nel corpo plasmato di Gen 2,7, ma è comunque erroneo affermare che essa sia stata creata prima del corpo, in quanto immediatamente, nella stessa creazione primordiale, l’anima di Adamo è unita al corpo originario seminalmente contratto, ovvero alla «corporis humani ratio causalis»233, alla materiale virtualità corporea già potenzialmente distinta in maschio e femmina, quindi attuata compiutamente nel corpo plasmato di Adamo e nello stesso differenziato corpo di Eva.

Assunta come originariamente inseparabile la realtà immateriale della mens imago da quella materiale del corpo sessuato, la stessa interpretazione del paradiso come luogo non soltanto spirituale, ma anche reale e storicamente decisivo acquisisce assoluta importanza234. Il paradiso diviene lo spazio della prova di Adamo, della verifica della capacità della libertà dell’uomo, della dignità della natura originariamente creata da Dio. Niente di particolarmente nuovo, si potrebbe dire, tenendo presenti Ireneo o Tertulliano; eppure Agostino, erede di questa tradizionale esegesi cattolica, la reinterpreta con assoluta originalità, proponendo qualcosa di assolutamente nuovo nella storia dell’interpretazione di Adamo, capace insieme di riattivare decisivi elementi paolini, di celebrare l’unico Dio cattolico creatore e giudice della libertà dell’uomo e persino di riformulare, pure se all’interno di un incrollabile monoteismo, le profonde questioni sollevate dal dualismo gnostico. Di grande chiarezza è, in tal senso, la trattazione degli eventi edenici nel De civitate Dei235: nel suo paradiso, Dio chiama l’uomo, creatura temporale, alla partecipazione progressiva all’unità e all’eternità, ovvero alla realizzazione di una triplice armonia:

228AGOSTINO, DeGenLitt VII,22,32; cf. IX,17,32 e VI,10,17, ove si distingue nettamente la realtà delle idee eterne nel Verbo dalla realtà creata delle causae primordiali e da quella delle res temporalmente dispiegate da queste: «Sed haec aliter in Verbo Dei, ubi ista non facta, sed aeterna sunt, aliter in elementis mundi, ubi omnia simul facta futura sunt, aliter in rebus, quae secundum causas simul creatas non iam simul, sed suo quaeque tempore creantur: in quibus Adam iam formatus ex limo et Dei flatu animatus, sicut fenum exortum, aliter in seminibus, in quibus rursus quasi primordiales causae repetuntur de rebus ductae, quae secundum causas, quas primum condidit, extiterunt, velut herba ex terra, semen ex herba».

229Cf. AGOSTINO, DeCivDei XII,26. 230«In illa enim prima conditione mundi, cum Deus creavit omnia simul, homo factus est, qui esset futurus - ratio creandi

hominis, non actio creati» (AGOSTINO, DeGenLitt VI,9,16). Cf. VI,18,29: «Quapropter, si omnium futurorum causae mundo sunt insitae, cum ille factus est dies, quando Deus creauit omnia simul, non aliter Adam factus est, cum de limo formatus est, sicut est credibilius iam perfectae uirilitatis, quam erat in illis causis, ubi Deus hominem in sex dierum operibus fecit. Ibi enim erat non solum, ut ita fieri posset, verum etiam ut ita eum fieri necesse esset. Tam enim non facit Deus contra causam, quam sine dubio volens praestituit, quam contra voluntatem suam non facit».

231«Invisibiliter, potentialiter, causaliter, quomodo fiunt futura non facta» (AGOSTINO, DeGenLitt VI,9,16). 232Cf. AGOSTINO, DeGenLitt VI,7,12; VII,22,32-24,35; e il riassunto in X,2,3: «Certe enim sexto die “fecit Deus

hominem ad imaginem suam”; ubi etiam dictum est: “masculum et feminam fecit eos!” Quorum illud superius, ubi imago Dei commemorata est, secundum animam, hoc autem, ubi sexus differentia, secundum carnem accipiebamus.... Ipsa hominis anima in illis operibus [della creazione primordiale] facta est, corporis vero eius in mundo corporeo tamquam in semine ratio».

233AGOSTINO, DeGenLitt VII,24,35. 234In generale, l’interpretazione del paradiso proposta da DeGenLitt può essere riassunta da queste due affermazioni:

«Mirum est autem et vix ferendum, quemadmodum velint homines paradisum figurate dictum et nolint etiam figurate factum» (DeGenLitt VIII,5,10); «Viuebat itaque homo secundum Deum in paradiso et corporali et spiritali. Neque enim erat paradisus corporalis propter corporis bona et propter mentis non erat spiritalis; aut vero erat spiritalis quo per interiores et non erat corporalis quo per exteriores sensus homo frueretur. Erat plane utrumque propter utrumque» (DeCivDei XIV,11); cf. XIII,21; DeGenLitt VIII,1,1-25; VI,23,24; Opus imperfectum contra Iulianum VI,39; De gratia Christi et peccato originali II,23,27: da qualche parte, pure ormai ignota all’uomo, esiste il paradiso di Adamo.

235Cf. AGOSTINO, DeCivDei XIII,24 e XIV,10-11.

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l’armonia spirituale e divinizzante dell’uomo con Dio (armonia culminante nella contemplazione dell’eterno mistero divino, nel quale si realizza pienamente la natura intellettuale della mens imago), l’armonia antropologica dell’anima umana con il corpo umano (culminante nella trasfigurazione del corpo mortale e animale in corpo immortale e spirituale), l’armonia sociale tra l’uomo e il suo simile (non solo tra Adamo, Eva e i loro discendenti, ma anche tra gli uomini e gli angeli di Dio nell’unica civitas Dei). L’interpretazione dell’edenico albero della vita è in tal senso rivelativa: esso fornisce il portentoso nutrimento capace di rendere immortale il corpo dei protoplasti ed è simul capace di simboleggiare la vivificante Sapientia divina nella quale sempre più Adamo si sarebbe potuto inoltrare, conoscendo e unificando in se stesso il bipartito atto creatore di Dio, fonte della natura e della grazia236, senza la quale il suo perfezionamento a somiglianza di Dio non si sarebbe potuto realizzare237. La stessa dipendenza della compiuta realizzazione della creatura dalla più semplice obbedienza (l’osservanza di un comandamento del tutto banale e lieve da realizzare, del tutto letteralmente interpretato da Agostino: non mangiare un determinato frutto)238 accentua lo scandalo della caduta, la stessa contraddittoria brama di autoannientamento239 nascosta nella perversa volontà di autodivinizzazione, nel quale il peccato originale si risolve. L’originaria perfetta creazione di Dio, capace di divinizzarsi, è quindi radicalmente corrotta dalla libertà dell’uomo, pienamente responsabile della triplice alienazione della sua identità, ormai alienatasi da Dio: morire, ingannarsi, odiare, anziché fruire dell’eterno Essere, Conoscere e Amare della Trinità, di cui appunto è immagine240.

La straordinaria originalità e la stessa radicale paradossalità dell’interpretazione agostiniana dell’uomo ad immagine dipende da alcuni interrogativi profondi, alcuni dei quali capaci di far riecheggiare le terribili obiezioni gnostiche e marcionitiche contro l’onnipotente e provvidente bontà del Dio-Demiurgo. L’Adamo edenico, creato ad immagine di Dio, era poi realmente perfetto241? Se «la chiesa [predestinata] è chiamata paradiso»242, non è quest’ultimo Eden di piena grazia del tutto imparagonabile all’Eden originario, accidentale e precario di Adamo, natura peccabile e corruttibile, anzi peccatrice e morta, quindi non pienamente operata dalla grazia? Anzi, non è soltanto l’eletta civitas Dei, l’escatologico terzo cielo paolino, il simbolo dell’eterna beatitudine donata da Dio alla sua immagine, essendo invece il giardino perduto di Adamo soltanto il simbolo di una relativa e comunque temporale felicità della natura, ancora non compiutamente operata dalla grazia243?

La matura esegesi agostiniana di Gen 1,26-27 e 2,7 si rivela pertanto governata da Rom 5, 1Cor 11-12 e 15 e Col 3,9-10: dopo il peccato, l’essere creatura “ad immagine”, ricevuto in dono da Adamo, può essere recuperato soltanto tramite la predestinata grazia operante244, l’atto vivificante dello Spiritus,

236Cf. AGOSTINO, DeGenLitt VIII,9,17; IX,14,25-15,26; 18,35; 19,38; IX,15,28. 237Cf. AGOSTINO, DeGenLitt VIII,4,8-5,11; e De peccatorum meritis et remissione II,21,35: ««Sicut haec arbor in

corporali sic illa [Sapientia] in spiritali paradiso. Ista exterioris, illa interioris hominis sensibus praebens vigorem sine ulla in deterius temporis commutatione vitalem».

238Cf. AGOSTINO, DeGenLitt VIII,6,12 e 13,18-28-29; DeCivDei XIII,20; DePeccMerRem II,21,35; Contra Iulianum III,18,35; OpusImp VI,23. Non sempre si mette in rilievo come le pagine sul furto delle pere dell’adolescente Agostino siano un’attualizzazione del peccato originale, rivissuto personalmente proprio nella dialettica tra assoluta gratuità e pochezza dell’atto e perversa, metafisica brama di annientamento: cf. Confessiones II,4,9-10,18.

239La creatura tratta dal nulla, anche se immagine di Dio, alienatasi dal suo atto creatore, è naturalmente attratta dal vuoto di essere da cui deriva: su quest’inanitas, sulla potenza e la violenza del nulla, cui tende irresistibilmente il nichilismo del peccato, cf. le profonde obiezioni di Giuliano e la risposta di Agostino in OpusImp V,32.

240Per una dettagliata analisi del peccato di Adamo ed Eva e sulla contraddizione storica dell’immagine che esso comporta, con il conseguente perverso, terreno, disperato tentativo umano di ricostituzione dell’infranto, cf. G. LETTIERI, Il senso della storia in Agostino d’Ippona. Il saeculum e la gloria nel De civitate Dei, Roma 1987, 28-111.

241O Adamo prevedeva il proprio stesso peccato, vivendo quindi incertus e insecurus, angosciato e niente affatto pienamente felice, o beato perché incapace di prevedere il proprio incombente peccato, quindi stolto, sì che l’agostiniano tentativo di compromesso (Adamo viveva pienamente felice, ma con un pio timore di perdere la propria felicità) risulta talmente debole da rafforzare gli scandalosi interrogativi che cerca di dominare: cf. DeGenLitt XI,18,23-24; DeCivDei XI,12.

242AGOSTINO, DeGenLitt XI,25,32; per l’identificazione della chiesa graziata con l’autentico paradiso di Dio, cf. XII,34,65; OpusImp I,67; DeCivDei XIII,21, con la sua nuova allegorizzazione dell’Eden: «Possunt haec etiam in ecclesia intellegi, ut ea melius accipiamus tamquam prophetica indicia praecedentia futurorum; paradisum scilicet ipsam ecclesiam, sicut de illa legitur in cantico canticorum; quattuor autem paradisi flumina quattuor evangelia, ligna fructifera sanctos, fructus autem eorum opera eorum, lignum vitae sanctum sanctorum utique Christum, lignum scientiae boni et mali proprium voluntatis arbitrium».

243Cf. AGOSTINO, DeGenLitt XII,28,56. 244«Per gratiam nostrae animae ad imaginem Dei renovatione formantur» (AGOSTINO, DeGenLitt X,6,10); cf. VI,22,33-

28,39; X,6,11; X,8,14; XII,35,68-36,69; DePeccMerRem I,2,2-15,20; II,7,9-8,10; OpusImp VI,20. Nel De Trinitate, infatti, Agostino opera un’interiorizzazione dell’evento escatologico paolino, che diviene l’irruzione gratuita e sempre ultima della grazia nell’interiorità, nella mens imago, che nella sua stessa interiore natura si articola trinitariamente come memoria, notitia, amor, in quanto immagine della stessa eterna Trinità: soltanto il dono di grazia, l’operazione intrinseca dello Spiritus nell’imago creata, consente però alla mens di realizzarsi davvero come memoria Dei, notitia Dei, amor Dei. L’interiore evento carismatico, l’irruzione “escatologica” della grazia di Dio nell’interiorità della coscienza, vivifica la dimensione ontologica dell’immagine, altrimenti abbandonata alla sua vanità naturale, quindi perversamente ripiegata su se stessa e sull’affermazione della propria vana potenza di

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che non solo consente all’uomo già in quest’esistenza il progressivo perfezionamento dello spiritus mentis (certo soltanto escatologicamente compiuto), ma anche l’escatologica trasfigurazione del corruttibile corpo animale, qui vivente ma mortale, in corpo spirituale, del tutto immortale:

«Quest’immagine, impressa nello spirito della nostra mente e perduta da Adamo a causa del suo peccato, noi la riceviamo per la grazia della giustificazione»245.

Così, esempio supremo della grazia come unica possibile ricreazione del perfetto uomo ad

immagine è lo stesso Gesù Cristo, l’ultimo Adamo, «princeps regenerationis, secundus homo», paolinamente contrapposto al primo Adamo, «princeps generationis, primus homo»246. Mentre nell’assunzione di Gesù, il Logos origeniano non elegge propriamente, ma rimane fisso nell’universale ed amorevole volontà di unità con la sua (unica non decaduta e per questo assolutamente meritevole) creatura intellettuale, il Dio agostiniano, eleggendo Gesù sin dall’eternità, lo separa del tutto singolarmente, elettivamente e gratuitamente da tutte le altre creature, unendosi con lui in un’unica persona sin dalla nascita, senza che quindi Gesù abbia potuto meritare con il suo libero arbitrio l’incarnazione di Dio in lui247. L’ultimo Adamo, l’unica Immagine-immagine di Dio, è il Verbo che predestina gratuitamente l’uomo, vivificandolo, immortalizzandolo, costituendolo nel suo Spirito irresistibilmente. Ma chiarita in tal senso la cristologia agostiniana, nel rapporto dialettico tra Adamo e Cristo culmina la suprema tensione della teologia agostiniana, come è apertamente evidenziato da uno degli ultimi trattati antipelagiani di Agostino, il De correptione et gratia (databila al 427): da un punto di vista umano, Adamo (il primo Adamo, immagine e corpo corruttibili e mortiferi) e Cristo (l’ultimo Adamo, immagine e corpo incorruttibili e vivificanti) sono distinti non dalla prescienza di qualche merito, ma soltanto dalla predestinazione divina. E’ soltanto la predestinazione divina quella che determina indebitamente l’irriducibile differenza tra grazia creatrice e grazia redentrice assolutamente operante, tra adiutorium sine quo non (grazia sufficiente, senza la quale è possibile non peccare e divinizzarsi) proprio di Adamo e adiutorium quo (grazia irresistibilmente efficiente e divinizzante) operante in Cristo e per Cristo248. Adamo riceve in dono una grazia che non gli toglie il libero arbitrio, ma gli dona il «posse non peccare»; il cristiano riceve invece da Cristo il dono di «non posse peccare»249. Mentre quella di Adamo era una libertà integra, eppure abbandonata a se stessa da una grazia prima creatrice, quindi suasiva ed estrinseca, al punto da trasformarsi in giudizio di condanna; quella di Cristo e donata da Cristo è una libertà perfetta, perché interiormente penetrata (sino alla non replicabile unione ipostatica, dalla quale scaturisce lo Spirito che vivifica gli eltti) da un’irresistibile, intrinseca grazia redentrice del tutto gratuitamente donata. Se quindi anche nella persona di Adamo e degli uomini non eletti Dio si rivela come datore di grazia – nel crearli, nel chiamarli prima imperativamente, quindi suasivamente alla salvezza –, comunque la grazia edenica, creativa o “naturale” e rivelativa appare irriducibile all’autentica grazia redentrice:

desiderio. In tal senso, in Agostino coesistono la ontologizzazione platonizzante dell’imago Dei propria della tradizione cattolica antidualistica e la riattivazione carismatica della nozione di imago Dei propria originariamente di Paolo e, pure se contraddittoriamente, ripresa e deformata dalle eresie dualistiche, capaci o di riconoscere come evento novissimum e straordinario la rivelazione salvifica, indebita e gratuita, del Dio nascosto trascendente il Dio creatore (marcionismo), o di ontologizzare la categoria di Spirito e di elezione (gnosticismo). In Agostino, la sintesi tra paolinismo e cattolicesimo antidualistico si realizza in un sistema teologico originalissimo e strutturalmente paradossale, nel quale l’immagine creata di Dio è divenuta solo l’ombra vana dell’immagine redenta di Cristo. Per un’analisi della complessa antropologia del De Trinitate, ove appunto solo la grazia è capace di ricostituire la piena immagine di Dio latente nell’interiorità dell’uomo (cf. ad es. XIV,14,19-15,21; XV,15,25-23,42), cf. G. LETTIERI, La dialettica della coscienza nel De Trinitate, in L. Alici (ed.), Interiorità e intenzionalità in S. Agostino, Roma 1990, 145-176; e La mente immagine…, 115-122.

245«Hanc imaginem in spiritu mentis inpressam perdidit Adam per peccatum, quam recipimus per gratiam iustitiae, non spiritale atque inmortale corpus, in quo ille nondum fuit, et in quo erunt omnes sancti resurgentes a mortuis; hoc enim praemium est illius meriti, quod amisit» (AGOSTINO, DeGenLitt VI,27,38); cf. VI,25,36; DeCivDei XIII,22.

246AGOSTINO, OpusImp II,177; 190; 193. 247Cf. AGOSTINO, De correptione et gratia 11,30, ove si dimostra come questa tesi divenga incontrovertibile, una volta

esclusa la (origeniana) possibilità di una vita preesistente nella quale guadagnarsi dei meriti. Cf. De Trinitate XIII,17,22; Enchiridion 11,36-12.40; De praedestinatione sanctorum 12,23 e 15,30-31; De dono perseverantiae 7,14; 24,67; OpusImp I,138-140; IV,84.

248Cf. AGOSTINO, DeCorrGrat 12,34-38. 249«Quapropter, bina ista quid inter se differant, diligenter et vigilanter intuendum est; posse non peccare et non posse

peccare, posse non mori et non posse mori, bonum posse non deserere et bonum non posse deserere... Prima ergo libertas voluntatis erat, posse non peccare; novissima erit multo maior, non posse peccare: prima immortalitas erat, posse non mori; novissima erit multo maior, non posse mori: prima erat perseverantiae potestas, bonum posse non deserere; novissima erit felicitas perseverantiae, bonum non posse deserere» (DeCorrGrat 12,33).

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«Adamo non ebbe la grazia di dio? Anzi al contrario: l’ebbe grande ma diversa»250.

Se quindi, per Agostino, proprio in questa disparità risplende l’indebita gratuità della paradossale grazia divina, comunque in essa si manifesta anche l’umanamente incomprensibile severità del suo giudizio, implicita nell’inferiore grandezza della grazia edenica, naturale e suasiva. Certo, l’Adamo edenico era integro, quieto nella sua possibilità di progresso, non ancora scisso e tormentato dal peccato, mentre l’eletto può vivere la stessa grazia di Dio soltanto come origine di un non edenico, ma tutto secolare conflitto interiore; ma può una beatitudine illusoria e contingente essere messa in proporzione con la «potentior»251 grazia necessitante donata da Cristo, nell’eschaton assolutamente beatificante e già in hoc saeculo liberante? Se l’impossibilità escatologica di peccato è una «desideranda necessitas»252, perché Dio non ha donato questa necessitas già all’Adamo edenico? Paradossalmente, contro ogni apparenza, l’Eden agostiniano si rivela allora come il luogo della incompiutezza d’amore di Dio, del latitare del suo più pieno atto di grazia, quindi della contraddittorietà del suo amare, finalizzato, almeno nel caso di Adamo, all’alienante e infallibilmente previsto giudizio di condanna, e non alla cristologica, misericordiosa identificazione con la creatura. Se infatti Agostino ripete sistematicamente, ossessivamente – contro le obiezioni gnostiche e manichee – che il peccato adamitico, quindi la corruzione radicale della natura sono dipesi esclusivamente dall’ancora integra libertà di Adamo e non certo da Dio stesso, ben poco può rispondere non solo all’obiezione più immediata “perché consentire la devastante tentazione demoniaca?”253, ma soprattutto alle obiezioni:

«“Se Dio avesse voluto, sarebbero stati buoni anche i cattivi… avrebbe potuto volgere al bene anche le volontà dei malvagi”; lo avrebbe potuto certamente. “E perché allora non lo fece?”. Perché non lo volle. “E perché non lo volle?”. Il motivo per cui non lo volle è un segreto che sa lui solo. Non dobbiamo infatti sapere più di quanto dobbiamo sapere»254.

Se l’Eden è il luogo perfetto della pienezza del dono dell’immagine, perché porvi ed educarvi

una creatura di cui già si è conosciuto il precipitare nel peccato, il divenire insensata e morente, lo schizofrenico volersi annullandosi? Se nella sua creativa prescienza Dio onnipotente conosce “prima ancora” di creare la scelta perversa dell’uomo ad immagine, perché la tollera, perché anzi la sceglie dinanzi ad altre possibilità creative255? Perché Dio consente che la sua immagine, l’anima spirituale divenga del tutto animale e quindi morta, quando l’uomo era stato naturalmente ordinato a spiritualizzare il suo corpo carnale, a perfezionare la sua natura mediana256? Nell’Eden stesso Dio non pare smentire l’infinita bontà del suo stesso gratuito atto creativo? La terribile risposta di Agostino (ripensamento di tesi neoplatoniche, che mediano tesi platonico-stoiche), su cui è basata l’intera dottrina delle due civitates, coincide al tempo stesso con il fondamento e l’impossibilità di qualsiasi teodicea, razionalmente talmente assurda, crudele ed inaccettabile, da essere assumibile soltanto come scandalo della ragione e confessione dell’assoluta, gratuita (non razionalmente comprensibile) trascendenza dell’amore di Dio. Questa risposta si limita ad affermare: dialetticamente, il male serve ad esaltare la bellezza del bene, l’oscuro fa risplendere pienamente il luminoso, la lacuna rimanda alla gloria della pienezza257. Il male, certo non operato direttamente da Dio, è comunque voluto e consentito da Dio, perché meglio risplenda la gloria della sua grazia, perché quindi gli eletti apprendano dal male dei reietti la grandezza dell’amore di Dio, l’assoluta gratuità del suo dono. L’Eden allora non era il vero paradiso di Dio, perché – malgrado l’eterna prescienza della caduta di Adamo – vi latitava quella grazia efficace, che soltanto fuori di esso Dio vuole donare alla creatura decaduta. Paradossalmente, l’autentica maior grazia di Dio, quella escatologica e vivificante, irresistibile ed efficace – che paolinamente elegge l’ignobile e ciò che non è, per svuotare il nobile e ciò che pare detenere essere e dignità – non è donata al meraviglioso, apparentemente perfetto uomo ad immagine, ma soltanto al coico, reietto Adamo morente e decaduto. Come se – del tutto antiorigenianamente – l’Adamo ad immagine fosse respinto proprio perché “perfetto”, libero e puro,

250«Quid ergo? Adam non habuit Dei gratiam? Imo vero habuit magnam, sed disparem» (AGOSTINO, DeCorrGrat

11,29). 251AGOSTINO, DeCorrGrat 11,31. Cf. DeDonoPersev 7,14; Enchir 3,11-4,15 e 28,105-106. 252AGOSTINO, OpusImp V,61. 253«Si ergo quaeritur, cur Seus temptari permiserit hominem, quem temptatori consensurum esse praesciebat, altitudinem

quidem consilii eius penetrare non possum et longe supra vires meas hoc esse confiteor» (AGOSTINO, DeGenLitt XI,4,6). 254«Sed posset [Deus], inquit, etiam ipsorum uoluntatem in bonum convertere, quoniam omnipotens est. Posset plane.

Cur ergo non fecit? Quia noluit. Cur noluerit, penes ipsum est. Debemus enim non plus sapere quam oportet sapere» (AGOSTINO, DeGenLitt XI,10,13); cf. il tremendo OpusImp V,64.

255Cf. AGOSTINO, DeGenLitt XI,6,8-11,15. 256Cf. AGOSTINO, DeCivDei XII,22. 257Cf. AGOSTINO, DeCivDei XI,17-19; DeGenLitt XI,6,8-7,9; Enchir 24,95-26,100; OpusImp IV,131.

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mentre l’Adamo coico fosse eletto proprio perché empio, servo del peccato e morto. Al punto che soltanto la terribile constatazione del dilagare secolare del male può – comunque antipaolinamente – arrestare l’universalizzazione dell’elezione, irrigidendola in selettiva predestinazione, mentre con Paolo Agostino avrebbe dovuto (ma non ha potuto, constatando il ritardo della parousia e il perdurare nel mondo del male irredento) confessare che tutti riceveranno misericordia, in quanto tutti sono in loro stessi rinchiusi nella disobbedienza. Ambiguamente, allora, opponendo l’edenica, protologica grazia di natura all’escatologica grazia soprannaturale, rasentando la schizofrenia teologica, 1) Agostino si avvicina pericolosamente al dualismo gnostico e alla svalutazione del dono della creazione, 2) eppure Agostino in questo ubbidisce, certo del tutto paradossalmente, ad una logica profondamente cristiana, paolina in particolare. La grazia è “un di più”, è il nuovo, l’inaudito, l’indebito, ciò che realmente non si riconosce inscritto nell’origine. Nella sua grazia redentiva, Dio rivela il suo elettivo amore assoluto come singolare e non universale, gratuito e non razionalmente o debitamente fondato. L’Eden agostiniano è davvero «umbra vitae»258, ottenebrato dall’eccedente luce di una grazia escatologica, negata al primo uomo ad immagine. Luogo e tempo in realtà teologicamente fittizi, puramente “negativi”, ovvero relativi ad una possibilità di salvezza eternamente non eletta da Dio, ma soltanto additata come lacuna, traccia di una colpa, coscienza di un’alienazione umanamente insuperabile, ombra di un amore assolutamente trascendente, nuovo, extra-ordinario: gratuito, incomprensibile, umanamente privo di ragione.

Conclusione L’intera storia della teologia e dell’antropologia cristiana si è rivelata costretta ad

oscillare tra la nozione ontologica e creativa di immagine (presente nei testi giudeocristiani, recuperata e riaffermata, sempre più coerentemente e potentemente nella tradizione cattolica, sin dalle lettere deuteropaoline) e la nozione escatologica e redentiva di immagine (presente nei testi autentici paolini, radicalizzata dualisticamente nelle eresie marcionita e gnostica, riattivata come dominante nella teologia cattolico-paolina di Agostino), rispettivamente dipendenti dalla predominanza 1) o di una nozione ontologico-legalistico-dottrinale di Cristo, inevitabilmente protologicamente fissata, o 2) di una nozione escatologico-carismatica di Cristo. Nel primo caso, l’uomo creato ad immagine è l’oggetto originariamente perfetto dell’amore di Dio, che chiama le creature da lui derivate a conformarsi liberamente ad esso, pure se aiutandole con la sua grazia; nel secondo caso l’uomo ad immagine è l’oggetto assolutamente nuovo e gratuito di Dio, che dona la sua partecipazione alla salvezza (l’essere immagine nell’Immagine) come evento indebito, inaudito; nel primo caso prevale una nozione universale di immagine, nel secondo caso prevale una nozione elettiva (quindi inevitabilmente limitata) di immagine; nel primo caso l’immagine rivela la verità assoluta e suasivamente, eppure comunque imperativamente liberante, nel secondo caso l’immagine rivela la grazia assoluta e gratuitamente liberante. I vari sistemi teologici cristiani e le teologie e antropologie dell’immagine storicamente succedutisi si sono rivelati come i diversi punti di mediazione e combinazione possibile tra questi due estremi. Se si volesse contrarre in due formule il bilancio almeno tendenziale dello straordinariamente complesso lavorio patristico sull’interpretazione dell’imago Dei, si potrebbe concludere: l’evento escatologico di grazia dell’ultimo Adamo è progressivamente ontologizzato e retroproiettato sul primo Adamo, con la conseguente rilettura carismatica dell’ontologico. In Cristo (Immagine escatologico-protologica), l’intera natura umana si rivela da sempre escatologicamente creata: la pienezza del dono è già nel principio, per questo il dono è universalmente inscritto in ogni creatura, da sempre e ovunque chiamata alla comunione spirituale con Dio e con ogni sua immagine.

Gaetano Lettieri Sapienza Università di Roma

INTEGRAZIONI Fondamentale De civitate Dei XIII,23: terrestre=natura/celeste=grazia. «Nutrita di questi cibi di sapienza, l’anima è restituita ad immagine e somiglianza di Dio, come l’uomo è stato

fatto in principio» (ORIGENE, DePrinc II,11,3). Sull’opposizione celeste/terrestre = buono/cattivo desiderio, cf. ComCanticoCantici p. 41. Sulla natura ambigua dell’uomo, creato da Dio come «mescolanza delle due realtà [intellegibile e sensibile],

unione dei contrari…, adoratore formato di natura mista…, essere visibile ed intellegibile» e come «un secondo mondo, un mondo grande in un essere piccolo…, terreno e celeste, effimero e immortale», cf. rispettivamente GREGORIO NAZIANZENO, Orazione XXXVIII,8,11 e XLV,6.

Tertulliano, Apologeticum: anima naturaliter christiana. Tertulliano, De carne Christi 8,5ss: decisivo. Terreno (=carne umana), Celeste (=natura spirituale o divina).

Atti di Pietro (in part. Martirio di Pietro 8): Pietro rovescia ciò che peccaminosamente Adamo ha rovesciato.

258AGOSTINO, Enchir 8,25.