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1 L’ARTE EGIZIANA ANTICA

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L’ARTE EGIZIANA ANTICA

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Anno 2950-2660 a.C.: unificazione dell’Egitto. Invenzione della scrittura geroglifica e del

calendario. Fondazione di Menfi. Inizio delle dinastie. 2660-2134 a.C.: Periodo dell’Antico

Regno. Costruzione delle grandi piramidi: Cheope, Chefren, Micerino. Religione solare.

2134-1785 a.C.:Periodo del Medio Regno. Ricostituzione dell’unità dello stato ad opera di

Mentuhotep II. Capitale Tebe. 1660-1557 a.C.:Dominazione straniera degli Hyksos.

1557-1085 a.C.:Periodo del Nuovo Regno. Apogeo della potenza culturale e politica egizia.

Tombe della Valle dei re, tra le montagne di Tebe. 1082-332 a.C.: Bassa Epoca. Periodi di

anarchia si alternano a restaurazioni faraoniche fino al momento della conquista del paese da parte

di Alessandro Magno.

L’arte egiziana si sviluppa per circa tre millenni e rappresenta una delle più remote e grandiose

manifestazioni della storia. Ne sono temi fondamentali e ispiratori l’ordinamento faraonico e la

concezione religiosa, sentiti ed espressi con intensa spiritualità. L’archeologia ha ormai precisato i

grandi cicli di quest’arte, che, priva di conseguenze dirette per la futura civiltà europea, può

apparire chiusa in schemi rituali. Eppure ogni periodo storico dell’arte dell’Antico Egitto è

caratterizzato da ideali e forme diversi, così da non risultare difficile, precisati alcuni fondamentali

caratteri stilistici, distinguere i prodotti delle singole epoche.

L’ARTE THINITA

Nel periodo iniziale, detto Thinita, la figura conserva un aspetto plastico massiccio, di blocco

unitario e ricorda soluzioni tipiche della tradizione più arcaica. Accenti realistici animano lo

schema frontale del personaggio, che risulta immerso in un’impenetrabile solitudine,

In tutta l’arte egiziana, astrazione e concretezza si alternano, anche con riferimento al tema e alla

destinazione dell’opera. Geometria e natura, idea perfetta immutabile e aspetto del mondo sempre

mutevole,sono i poli opposti entro cui si muove l’artista, che sceglie, volta a volta, la soluzione più

idonea. Così avviene nel periodo Menfita con le realizzazioni della IV dinastia.

Nell’architettura, le grandi masse di calcare lavorato si dispongono con estrema perizia tecnica

entro schemi geometrici. Il culmine di una tale ricerca è dato dalle piramidi, che esprimono

armoniosamente il sentimento del grandioso e dell’elementare. In tale felice momento storico,

anche nella pittura e nella scultura gli artisti egiziani raggiungono una singolare potenza

espressiva, organizzando gli elementi interni della figura secondo principi dinamici, che si

traducono in un sentimento drammatico della vita, o realizzando con sorprendente immediatezza

scene di ambiente naturale.

IL MEDIO REGNO

Durante il periodo successivo, detto del Medio Regno, nell’arte egiziana si verifica un mutamento

profondo: alla plasticità dei secoli precedenti si sostituisce un senso acuto della linea e la

geometrizzazione della figura non è più il punto d’arrivo dell’artista, ma il punto di partenza.

Da tale posizione si giunge a caratterizzazioni estremamente precise, per cui il volto del faraone

non è più un simbolo religioso, ma il ritratto di un uomo, con impressi i segni della propria

inconfondibile personalità.

IL NUOVO REGNO

Con il Nuovo Regno, di cui è capitale Tebe, l’architettura conosce un periodo di grande floridezza:

i maestosi templi di Karnak, di Luxor e di Amarnac testimoniano una complessità di forme non

disgiunte da un senso di raffinata eleganza, che caratterizza anche i prodotti della scultura e della

pittura. Nell’Epoca Bassa, che comprende gli ultimi sette secoli dell’Egitto faraonico prima della

conquista di Alessandro, si avverte il lento esaurirsi delle facoltà inventive e subentra un

atteggiamento spesso accademico di ripetizione di forme precedenti.

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La conquista dell’Egitto da parte dei Macedoni porta a grandi trasformazioni anche nel campo

artistico. Il regno dei Tolomei è dunque caratterizzato dalla penetrazione in Egitto della civiltà

greca.

COMPLESSO DI SAQQARAH

Forza incorruttibile e umana gentilezza sono espresse dalle antiche pietre di Saqqàrah, che

Jmhotep, per la prima volta nella storia dell’Egitto, usò con sapienza e sentimento poetico, per

glorificare la potenza terrena e celeste di Djoser. Gli elementi naturali, dal papiro all’albero, che

da millenni erano serviti all’egiziano per costruirsi la capanna sulle rive del Nilo, sono ancora la

fonte d’ispirazione di questo straordinario architetto.

Vicino a Menfi, divenuta capitale dell’alto e basso Egitto, unificati sotto l’impero di Djoser,

capostipite della III° dinastia, sorge a Saqqàrah, intorno al 2650 a.C., la prima piramide. Ne è

autore Jmhotep, il geniale architetto elevato dalla fantasia popolare ad onori divini.

Il complesso degli edifici di Saqqàrah rappresenta il momento di fusione di due civiltà: l’aspetto

monumentale della tomba discende dall’Alto Egitto, mentre l’organizzazione dell’ambiente

funerario, ad imitazione del palazzo di Menfi, è tipica del Basso Egitto. Così l’unificazione

politica viene interpretata da Jmhotep anche sul piano culturale e artistico..Dentro all’imponente

muro di cinta rettangolare troviamo infatti costruiti tutti gli ambienti tipici della residenza regale:

la sala dell’incoronazione, gli uffici amministrativi, il padiglione delle feste;ma tali costruzioni

assumono un puro significato simbolico, senza alcun contenuto funzionale. Il muro di cinta è

contrassegnato da 14 finti portali, mentre uno solo, aperto sul lato est, immette in un vasto atrio

illuminato dall’alto. Venti tramezzi in muratura dividono l’atrio in celle, e terminano in fasci di

colonne di forma vegetale.

Trovano posto ancora dentro il recinto sacro il cortile delle feste, destinato alla celebrazione del

giubileo del re, due edifici fittizi simboleggianti gli uffici amministrativi dei due paesi, e una

costruzione praticabile a forma di palazzo che si leva davanti alla piramide. Questa è il centro del

complesso architettonico e la sua forma risulta dalla sovrapposizione su di una originaria mastaba

(in arabo: tavola) quadrata, di altre mastabe di decrescenti dimensioni; il grande architetto realizza

così una tomba a gradoni dell’altezza di 60 m., visibile, oltre il muro di cinta, da tutta la pianura

circostante.

TEMPIO DI HATSEPSOWE

L’architettura egizia crea immense scenografie di pietra, ordinate con rigore geometrico quasi una

nuova, eterna natura, immaginata e costruita dall’uomo. La poderosa plasticità dei colonnati, delle

mura, degli ambulacri, dei cortili popolati di immagini divine e umane, determina, nel vuoto del

paesaggio africano, il sentimento di uno spazio greve e impenetrabile.

Tebe “dalle cento porte”, celebrata metropoli del Nuovo Impero, conosce un periodo di grande

splendore artistico sotto la guida della regina Hatsepsowe (1511-1480 a. Cr.).

Circa nel 1490 a.Cr. sorge il tempio che porta il suo nome, dedicato al dio Ammon, unitamente ad

altre divinità, e destinato in parte al culto funebre della famiglia regnante. Il geniale architetto, che

la tradizione indica con il nome del Cancelliere reale Seneumut, progetta una grandiosa

costruzione a terrazze, aperta, sul lato nord est, verso la città, e saldamente ancorata di spalle alla

roccia della montagna. La pianta del complesso architettonico è realizzata su più livelli, congiunti

da rampe che conducono dal recinto d’ingresso alle terrazze superiori, e di qui, attraverso cortili,

sale e colonnati, al Sancta Sanctorum del tempio, profondamente scavato nella roccia e avente a

lato la cappella funeraria della regina.

Al tempio di Hatsepsowe si giungeva, originariamente, dalla vicina oasi attraverso un viale

monumentale di sfingi, che completava la visione scenografica di questo straordinario centro

religioso, decorato in ogni suo ambiente da rilievi policromi e da statue.

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Purtroppo le distruzioni cominciarono subito con il successore della regina protettrice delle arti, il

re conquistatore Thutmose III, per proseguire fino ai primi tempi del Cristianesimo, quando una

comunità di religiosi copti trasformò il tempio in un monastero.

L’ARTE GRECA

Anno 1100 a.C.: invasione dei Dori. 750 a.C.: Fondazione della colonia greca di Cuma in

Campania, cui seguono quelle di Siracusa, Taranto, Bisanzio, Marsiglia. 594 a.C.: Solone

pubblica la legislazione ateniese. 490 a.C.: Prime tragedie di Eschilo e prime poesie di Pindaro.

Vittoria greca a Maratona sui Persiani. 456 a.C.: prima tragedia di Euripide. 450 a.C.: Inizio del

predominio di Pericle in Atene. 431 a.C.: Inizio della guerra del Peloponneso, che contrappone

Atene a Sparta. 404-371 a.C.: Egemonia di Sparta sulla Grecia 399 a.C.: processo a morte di

Socrate. 387 a.C.:Platone fonda l’Accademia. 334 a.C.: Aristotele fonda ad Atene il Liceo.

336-323 a.C.: Sottomissione della Grecia alla Macedonia e costituzione dell’impero di

Alessandro. 146 a.C.: Distruzione di Corinto da parte dei Romani e caduta della libertà greca.

La storia artistica greca comincia nell’ottavo secolo a.C., ma sulle rive dell’Egeo era già fiorita nei

secoli precedenti una splendida vita civile che i poemi omerici testimoniano. La civiltà cretese

micenea rappresenta infatti quasi un ponte tra il millenario oriente egiziano e l’occidente greco, ai

suoi inizi.

Nella fase arcaica, compresa tra il secolo VIII e la metà del V, le genti che formano la grande

famiglia ellenica, i Dori, gli Joni, gli Eoli e gli Attici, elaborano i primi fondamentali elementi

della visione artistica europea.

IL TEMPIO GRECO

Il tempio è l’espressione tipica del momento arcaico. Il nucleo centrale e primitivo di questa

architettura è la cella, dove trova posto la statua del dio, preceduta da un portico. Attorno alla

cella si svolge un colonnato continuo che è la parte più rappresentativa del tempio. Le dimensioni

e lo sviluppo della pianta variano anche in relazione alla forma delle colonne. Si distinguono

infatti tre ordini diversi: il dorico, semplice e d’intonazione severa; lo stile ionico, di raffinata

eleganza; e quello corinzio, che avrà sviluppo soprattutto in periodo romano.

L’architettura greca non tende a conquistare grandi spazi interni, ma nelle sue linee semplici e

geometriche giunge a chiudere in un’immagine chiara e razionale lo spazio, inteso come forma

pura da contemplare. Così il perimetro colonnare, gli architravi, i frontoni decorati da sculture

s’inseriscono nell’ambiente naturale, ritmandolo con la loro plastica profilatura. Si può dire che

l’architettura è pensata dai Greci come una scultura, e, viceversa, che la figura umana, sola

protagonista delle ricerche plastiche greche, presenta sempre, fin dai primi secoli, un’essenzialità

architettonica. Tale appare infatti il significato estetico della modellazione plastica della

architettura dei templi.

IL PERIODO PERICLEO

Dopo la vittoria sui Persiani, riconquistata la libertà, la civiltà greca, sotto la guida spirituale di

Atene,entra nel periodo classico, i cui limiti di tempo sono compresi tra la metà del sec. V e la

morte di Alessandro (323 a. C.). In questi due secoli, che si aprono con la grande stagione di

Pericle in Atene, e i cui protagonisti sono Fidia, Ictino, Callicrate, Scopa, Prassitele, Lisippo,

Zeusi, Parrasio, l’arte greca tocca le più alte espressioni artistiche. Crea in questo periodo i

modelli plastici di una bellezza, rimasta fondamentale nella concezione dell’uomo europeo, quasi

legge per ogni giudizio sull’arte stessa. La figura umana diventa il simbolo dell’armonia e i

principi della razionalità vengono estesi a ogni aspetto del mondo reale. Nei secoli successivi alla

morte di Alessandro, fino alla conquista romana della Grecia (146 a.C.), la civiltà artistica delle

genti elleniche si espande in tutto il bacino del Mediterraneo orientale e diventa patrimonio

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comune di ogni popolo che si affaccia su questo mare. E’ il periodo detto ellenistico, i cui centri

più importanti sono Pergamo, Rodi, Alessandria, e a un certo momento la stessa Roma. La serena

armonia dell’età classica pare ora incrinata da una continua ricerca di nuove forme espressive,

dettate dal sentimento individuale. Ciononostante, l’arte ellenistica resta sostanzialmente fedele

alla forma chiusa in sé, tipica di tutta la visione greca, simbolo di un ideale bellezza eterna e

perfetta.

L’ACROPOLI DI ATENE

La saggezza politica di Pericle consente al genio artistico di Fidia di creare una delle immagini più

alte di significato intellettuale e poetico dell’arte occidentale. In questa cittadella sacra, le

architetture e le sculture in armoniosa, inscindibile unità, ravvivate dal colore, immerse nella

grande luce del cielo greco, testimoniano un perfetto equilibrio tra intelligenza e sentimento, tra

ricerca della verità e contemplazione della bellezza.

Nel 450 a.C. Pericle promosse la ricostruzione dell’Acropoli, distrutta durante la breve, ma

terribile occupazione persiana del 480 a.C. Affidò a un gruppo di architetti e di scultori sotto la

guida del grande Fidia, suo amico, il compito di edificare e di decorare il Partenone , i Propilei,

l’Eretteo e il tempietto di Athena Nike. Questo straordinario complesso religioso si estende in una

zona sopraelevata rispetto ad Atene di 70 m., lunga 300 e larga 130.

Il Partenone, progettato da Ictino e Callicrate, fu costruito tra il 447 e il 438 a.C. sul lato

meridionale, sopra un alto basamento. Presenta uno sviluppo di m. 69,54 di lunghezza per 30,87

di larghezza, ed è limitato da otto colonne sulle fronti e diciassette sui fianchi. Tutto in bianco

marmo pentelico, racchiudeva all’interno un’ampia cella di cento piedi di lunghezza, divisa in tre

navate da due colonnati. Al fondo della navata di mezzo era la statua di Athena Parthenos,

divinità protettrice dell’Acropoli, opera di Fidia. Il tempio, capolavoro dell’architettura dorica, fu

pressoché distrutto dai veneziani nel 1687. Nel 437 a.C. Mnesicle diede inizio ai lavori dei

Propilei,, destinati a restare incompiuti per il sopraggiungere della guerra del Peloponneso (432

a.C.). Questa costruzione, ornata di colonnati dorici, dotata di un vestibolo e di una vasta sala, la

cosiddetta Pinacoteca, costituisce il monumentale accesso all’Acropoli.

Tra il 430 e il 420 a.C. fu affidata a Callicrate la ricostruzione del tempietto di Athena Nike, alto

su uno sperone dell’Acropoli, in stile ionico. Dopo la pace di Nicia del 421 a.C., Filocle si dedicò

all’ultima opera acropolica: l’Eretteo. L’edificio presenta aspetti eccezionali dal punto di vista

planimetrico e una deliziosa loggia esterna, sorretta da quattro statue femminili.

FIDIA

L’arte fidiaca, supremo modello della visione classica, infonde nelle figure divine e umane dei

cicli partenonici un sentimento di religiosa, appassionata umanità. La sua forma plastica, intrisa di

luce, si libera nello spazio, creando un mondo armonioso ed eterno di immagini. Superando il

limite della cronaca, assurge all’atmosfera rarefatta di una celebrazione che fonde il mito con la

realtà.

490 circa a.C.: nasce ad Atene Fidia ed esercita inizialmente, secondo Plinio, la pittura, sotto la

guida di Panainos, suo parente. Della sua vita sono noti pochi fatti di un qualche rilievo.

L’amicizia per Pericle, il sapiente reggitore di Atene, e le sue disavventure giudiziarie. I

riferimenti alle sue opere sono numerosi in tutta la letteratura antica: ne parlano Platone, Pausania,

Plutarco, Diodoro e Plinio, ma nessuna di quelle eseguite prima del 448 a.C., data d’inizio della

ricostruzione dell’Acropoli, è giunta fino a noi nell’originale: l’Athena Pròmachos, il Donario

Delfico con il ritratto di Milziade, l’Athena Parthenos, lo Zeus Olimpico e l’Amazzone Mattei.

L’arte di Fidia risplende ancor oggi dai frammenti della imponente decorazione plastica del

Partenone, da lui ideata e in parte realizzata. La decorazione si estendeva sulle 96 metope ad

altorilievo con le raffigurazioni della Gigantomachia, dei miti attici di Eretteo e di Jone,

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dell’Amazzonomachia, della presa di Troia e del mito di Cecrope; mentre sul fregio, scolpito a

bassorilievo, e che cingeva la cella del tempio per una lunghezza di 160 m., era rappresentata la

grande processione panatenaica. Sui frontoni si celebravano con statue a tutto tondo la nascita di

Athena e la gara di Athena e Poseidone per il predominio sull’Attica. Nel 432 a.C. Fidia, accusato

di essersi appropriato di parte dell’oro e dell’avorio destinati alla statua di Athena Parthenos, e di

empietà per essersi raffigurato sullo scudo della dea, viene processato e lascia la città, rifugiandosi

nell’Elide, dove poco dopo muore.

L’ARTE ETRUSCA

Sec. X-VIII a.C.: Espansione degli Etruschi dalla Valle Padana in Toscana. Costituzione delle

città di Tarquinia, Vulci, Vetulonia, Cerveteri , Arezzo, Chiusi, Roselle, Volterra, Cortona,

Perugia, Orvieto, Populonia. Sec.VII a.C.: Il dominio etrusco si estende sul Lazio. 616-578 a.C.:

Tarquinio Prisco impone la supremazia etrusca su Roma; costruisce la Cloaca Massima, il Circo

Massimo e inizia il Tempio di Giove Capitolino. 524 a.C.: I Latini alleati ai Calcidesi di Cuma

vincono nella battaglia di Ariccia gli Etruschi. Cessa la supremazia etrusca sul Lazio.

508-507 a.C.: Fuga di Tarquinio il Superbo a Cere. 473 a.C.: I Cumani con l’aiuto dei Siracusani

battono gli Etruschi per mare.

Della civiltà etrusca, fiorita in Italia fin dal sec: VIII, si conoscono soltanto alcuni aspetti. Ignote le

origini, oscura la lingua, misteriosi i significati di molti usi di questo popolo: i prodotti artistici,

rinvenuti nelle tombe, ne costituiscono senza dubbio la testimonianza più completa.

LE TRE FASI

Il corso dell’arte etrusca si sviluppa lungo l’arco di 600 anni fino al II sec. A.C., e si divide in tre

grandi fasi: periodo “ionico-etrusco” (sec. VIII-sec:VI), in cui si mescolano influssi originari del

mondo asiatico ed egeo con altri tipici dell’ambiente protostorico italico; periodo di “mezzo”,

detto anche “arcaico” (sec. V), durante il quale si manifesta una tendenza all’isolamento rispetto al

mondo greco; periodo “ellenizzante” (sec. IV-II).

Questa distinzione non è comunque valida per la concezione architettonica, che si mantiene

sostanzialmente immutata nei secoli.

Purtroppo, i templi e le altre costruzioni civili, che erano, secondo Vitruvio, in legno rivestito di

lastre di terracotta, sono andati tutti perduti. Il tempio etrusco presenta una pianta rettangolare con

un doppio colonnato sulla fronte, ampiamente spaziato, mentre la cella è preceduta da un largo

vestibolo. La visione è solo frontale, e, a differenza del tempio greco, gli spazi interni

costituiscono la sostanziale caratteristica di questa architettura. Se nel tempio prevalgono ancora

le soluzioni rettilinee (architrave,colonnati ecc), in altre costruzioni gli Etruschi introducono una

tecnica assolutamente nuova per la civiltà occidentale: l’arco e la volta, come possiamo ancora

vedere nei resti delle mura di cinta delle città collinari. I Romani derivarono più tardi da questa

evoluta tecnica costruttiva la loro grandiosa concezione spaziale. Nel periodo iniziale, intorno al

sec. VII, vanno collocati i primi Canòpi (vasi funebri) provenienti da Chiusi. Poco dopo, a questi

prodotti di derivazione ancora artigianale, ne seguono altri che riflettono la presenza di artisti di

spiccata personalità. Si tratta dei grandi sarcofagi di Cerveteri, dove la rappresentazione dei due

coniugi è ottenuta con una forza inquietante, dalla quale emerge il carattere tipico della visione

artistica etrusca: un realismo espressionistico senza reticenze, talvolta perfino impietoso.

L’ARTE A VEIO

In questo stesso momento è molto attivo il centro artistico di Veio, dal quale si leva la figura di

Vulca, unico nome di artista etrusco giunto fino a noi. Caratteri analoghi a quelli descritti per la

scultura sono evidenti anche nella pittura parietale delle tombe di Tarquinia, i cui nomi suggestivi

sono desunti dalle figurazioni stesse: Tomba dei Tori, degli Auguri, delle Leonesse, della Caccia e

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della Pesca, delle Baccanti e del Barone. Da questi ipogei sono pervenuti anche vasi, monili,

oggetti d’uso che erano collocati vicino al defunto.

Nel periodo di mezzo, la scultura etrusca annovera alcune opere meritatamente famose, come la

“Chimera d’Arezzo” e la “Mater Matuta”, mentre nella pittura tombale le forme assumono

un’articolazione più elegante. L’ultima fase, fino al sopraggiungere della conquista romana, è

caratterizzata da due correnti: una d’impronta decisamente ellenistica, l’altra di un accentuato

realismo, presente soprattutto nei sarcofagi e in affreschi che annunciano, nel rinnovato senso del

colore usato a macchia, l’avvento dell’impressionismo romano.

LA TOMBA DEGLI AUGURI

Visione contrastata e violenta quella degli Etruschi, in cui si palesa, talvolta con accenti

drammatici, la partecipazione dell’uomo agli eventi imprevedibili del destino. L’incapacità di

trascendere la sofferenza del vivere, di organizzarla subordinandola ad una concezione razionale

che la interpreti, porta l’arte etrusca ad una partecipazione intera e indiscriminata alla vita delle

cose, misteriosa e fatale.

530 circa a.C.: attorno a questa data è da porsi la costruzione di questa tomba a ipogeo detta degli

Auguri, che nella sua forma ricorda quelle precedenti dell’ambiente egeo, interamente scavate

sotterra e contrassegnate in superficie da un tumulo stretto alla base da un cerchio di pietra. La

stanza rettangolare presenta le pareti decorate ad affresco con la raffigurazione dei giochi funebri,

splendida opera del periodo artistico denominato ionico-etrusco. Si verificano infatti verso la metà

del sec.VI a.C. delle immigrazioni di artisti dai centri ionici dell’Asia minore e delle isole greche

verso le coste tirreniche, con il conseguente sviluppo della loro cultura figurativa in Etruria.

La pittura è impiegata dagli Etruschi a documentare le forme più diverse della vita quotidiana, alla

cui rappresentazione viene attribuito il prestigioso potere di salvare dalla morte l’anima: la tomba

infatti è considerata l’effettiva dimora dello spirito dei morti. Gli artisti etruschi in questo periodo,

pur derivando modi pittorici dai Greci, se ne distinguono in maniera netta per una cosciente

aderenza alla realtà. I soggetti della decorazione ad affresco della tomba degli Auguri appaiono

desunti tutti, in maniera diretta ed esclusiva, dal costume etrusco, di cui risulta evidente la

sottostante concezione materialistica: un mondo religioso a noi incomprensibile per molti aspetti, e

profondamente diverso da quello greco. Il rituale ha un significato magico, ma non esclude, anzi

sembra evocare accadimenti di singolare violenza e crudeltà. Il pittore di questa tomba proviene

quasi certamente dall’ambiente di Caere, dove fu attivo un centro artistico greco-orientale di

grande originalità.

L’ARTE ROMANA

Anno 753 a.C.: Fondazione di Roma. 509 a.C.:Costituzione della Repubblica. 390-270 a.C.:

Guerre difensive con i Galli, i Sanniti, i Tarantini. 264-201 a.C.: Si succedono le tre guerre

contro Cartagine . 58-51 a.C.:Cesare conquista la Gallia. 30 a.C.:-14 d.C.: Ottaviano-Augusto,

primo imperatore. Sono gli anni di Virgilio, di Orazio, di Tito Livio. 14-248 d.C.:Si succedono

sul trono gli imperatori Giulii, Claudi, Flavi, Antonini , Severi, fino a Diocleziano che istituisce la

tetrarchia. 313 d.C.: Costantino riconosce la libertà di culto ai Cristiani. 330 d.C.: Costantino

stabilisce la capitale a Bisanzio. 476 d.C.. Caduta dell’Impero romano di occidente.

Il carattere fondamentale dell’arte romana è il suo realismo. L’artista romano non s’ispira, come

quello greco, all’ideale astratto della bellezza, né al mistero insondabile della morte, come quello

etrusco, ma ai dati reali della storia, cioè al “tempo”, misura delle azioni umane; anzi nella storia

ravvisa la sola dimensione di eternità possibile all’uomo.

Gli inizi dell’arte romana vengono posti intorno al I sec. a.C., e riflettono gli influssi della cultura

ellenistica. Soprattutto nel periodo augusteo, nella scultura come nell’architettura, il classicismo

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greco sembra soverchiare l’originario gusto italico dell’ambiente latino. Eppure , vicino ad opere

ufficiali improntate a questo stile aulico (Ara pacis, Foro di Augusto), non ne mancano altre in cui

si manifestano i termini fondamentali e costitutivi della visione romana. Gli archi trionfali

inquadrano lo spazio con una grandiosità di prospettive mai prima conosciuta, così come taluni

ritratti ci appaiono ancor oggi di una toccante, umanissima immediatezza. Anche la pittura, che ci

è pervenuta soprattutto attraverso le decorazioni di Pompei e di Ercolano, annovera, vicino a cicli

di evidente influsso ellenistico, brani di una singolare vivacità.

IL PERIODO IMPERIALE

Con il periodo flavio-traianeo (dal 69 al 117 d.C.) ha libero sviluppo una autonoma visione

figurativa romana. In architettura le tecniche costruttive consentono espressioni curvilinee di

grande impegno spaziale, di cui sono luminosa testimonianza edifici civili come il Colosseo, le

Terme e l’Arco di Tito, il palazzo imperiale sul Palatino (opera questa dell’architetto Rabirio,

attivo sotto Domiziano), il Foro e i Mercati di Traiano, la Basilica Ulpia, costruiti su progetto del

grande Apollodoro di Damasco. Ormai vasti spazi vengono chiusi dal muro romano, che assume

le forme più libere e plastiche che mai architettura avesse conosciuto: l’arco e la volta sono gli

elementi principali di questa nuova visione. Non diversamente avviene nel campo della scultura

con le complesse decorazioni delle colonne imperiali, dei rilievi inseriti negli archi di trionfo, in

cui le figure partecipano di uno spazio aperto all’azione, destinato all’umana esperienza. I mezzi

espressivi della scultura di questo periodo sono eminentemente coloristici e tendono a risultati di

un potente realismo figurativo. Nei successivi ventun anni, corrispondenti al periodo di Adriano

(117-133 d.C.), si registra un ritorno al gusto ellenistico, soprattutto nella scultura; anche

l’architettura, pur nella sua grandiosità spaziale, riflette moduli plastici della visione greca. Di

questo momento sono il Pantheon, il Tempio di Venere, il Mausoleo di Adriano oggi Castel

Sant’Angelo, e, a Tivoli, la famosa Villa imperiale.

IL PERIODO TARDOROMANO

Negli ultimi due secoli dell’arte romana, cioè presso a poco dall’avvento degli Antonini al regno

di Costantino, si svolge una splendida stagione artistica, che va sotto la denominazione di periodo

tardoromano. Si può affermare che è anzi questo il momento in cui l’arte romana riesce a fondere

gli apporti culturali delle province orientali, venendo così a costituire quel vasto repertorio formale

che sarà patrimonio dell’arte cristiana e medievale dell’Occidente europeo. Le opere di Baalbeck

e di Leptis Magna, come le Terme di Caracalla in Roma, esprimono una spazialità a prima vista

incommensurabile, racchiusa da volte poderose. Così nella scultura e nella pittura di questo

estremo momento dell’arte romana, il realismo espressionistico esplode nei fregi della Colonna di

Marco Aurelio per toccare più tardi nei ritmi rallentati del periodo di Costantino accenti di una

ieratica solennità figurativa. Ormai l’arte romana è matura per accogliere i temi ascetici cristiani.

IL COLOSSEO

L’equilibrato rapporto fra la luce degli archi e le pause delle fasce murarie conferisce

all’eccezionale volumetria di questa fabbrica un senso di forza dinamica, che allude direttamente

alla complessa funzionalità delle strutture architettoniche dello spazio interno. Lo spirito

costruttivo romano crea con il Colosseo uno dei massimi capolavori della civiltà occidentale.

75 d.C.: Vespasiano, salito da pochi anni al potere dopo la morte di Nerone, inizia, tra le altre

opere pubbliche intese a ridare fiducia nelle civili istituzioni, perché destinate alla collettività, il

grandioso anfiteatro Flavio, chiamato Colosseo, forse, in origine, per la vicinanza della statua di

Nerone, indicata popolarmente come il Colosso, ma in seguito soprattutto per le sue proporzioni

eccezionali. L’edificio sorge tra l’Esquilino, il Palatino e il Celio, con l’asse principale dell’ellissi

disposta in linea con i monumenti del Foro. Le misure dell’esterno sono di m. 188 x m.156 e

l’altezza tocca, alla sommità, m. 48,50. La base dell’edificio è costituita da un rialzo di due

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gradini, da cui si dipartono tre ordini d’arcate in stile tuscanico, ionico e corinzio. Le sovrasta un

grande attico, riquadrato da pilastri corinzi con finestre alterne. L’opera fu eseguita rapidamente,

seguendo una tecnica costruttiva molto avanzata e si direbbe moderna: infatti, completata la

fondazione, si alzarono indipendentemente gli archi esterni e i pilastri della struttura radiale, fino

al colmo, poi si cominciarono le coperture a volte, in “ opus caementicium”, discendendo a rifinire

tutti i corridoi, le scale e l’esterno al riparo dalle intemperie, con molto risparmio di tempo. Nella

cavea trovavano posto fino a 50.000 spettatori, e uno dei problemi più ardui, brillantemente risolto

dall’anonimo architetto, fu la distribuzione razionale delle entrate e delle uscite del pubblico,

mediante un complesso di ambulacri, di corridoi e di scale costituenti un elastico sistema di

legamenti fra la muratura esterna e la cavea. Una fitta rete viaria viene così ad animare dall’interno

il monumento. Il Colosseo, ultimato nell’80 d.C., venne inaugurato da Tito.

LA COLONNA TRAIANA

L’anonimo scultore dei rilievi traianei ha un senso altamente drammatico della storia. Lo spazio,

in cui si verificano gli accadimenti, è espresso pittoricamente come luogo destinato all’azione. La

linea che chiude la figura è animata da una singolare potenza espressiva e le masse plastiche,

violentemente contrapposte dall’alternarsi delle luci e delle ombre, si organizzano secondo

movimenti scenici rapidi e imprevedibili, come la realtà stessa della guerra.

115 d.C.: Apollodoro di Damasco, architetto di corte, fa elevare nel foro Traiano la colonna

celebrativa delle imprese imperiali sui Daci (101-102 e 105-106 d.C.). Si ignora il nome del

grande scultore che ha predisposto i cartoni dei rilievi e diretto l’esecuzione dell’opera. La

colonna, posata su un basamento ornato di trofei, contenente una piccola cella e le tre prime rampe

di scale, è costituita da 17 tamburi in marmo di Carrara, alti m. 1,50 l’uno, entro cui sono state

intagliate le scale a chiocciola larghe m. 0,65 e 45 piccole finestre. Al vertice, altri tre tamburi

formano il capitello dorico e la base della statua: in origine quella di Traiano, sostituita da papa

Sisto V con l’attuale immagine di San Pietro. La colonna, alta 40 m., presenta una lieve

rastrematura verso l’alto e tutta la sua superficie è ricoperta da un nastro continuo a rilievo che si

svolge a spirale per 200 m., diviso in 22 giri, undici per ciascuna delle due guerre daciche,

condotte vittoriosamente da Traiano. Tra la prima e la seconda serie dei rilievi s’interpone la

figurazione di una grandiosa vittoria che incide sullo scudo le date. Le scene sono continue,

ognuna della lunghezza di un giro, così che le vicende si sviluppano ininterrottamente lungo il

percorso della colonna, senza alterarne la struttura architettonica. Questo eccezionale

documentario di un grande avvenimento storico è realizzato plasticamente con i modi appassionati

e rapidi di una narrazione realistica, animata però da un ideale quasi religioso della storia. Il

racconto si dipana con un ritmo conciso e serrato e tocca accenti di una grandiosità veramente

epica nella rappresentazione dei personaggi storici e delle loro memorande imprese.

L’ARTE PALEOCRISTIANA

Anno 476: Odoacre, deposto Romolo Augustolo, governa l’Italia con il titolo di patrizio.

489:Teodorico vince Odoacre sull’Isonzo e a Verona. 493: Teodorico occupa Ravenna e uccide

Odoacre, i Goti lo proclamano re. 500: Teodorico a Roma. 524-525: Boezio in carcere scrive il

“De consolatione philosophiae” in attesa della morte. 526: Morte di Teodorico. 536: Belisario

entra in Italia per riconquistarla all’impero di Giustiniano. 546: Totila, a capo dei Goti, conquista

Roma. 552 Spedizione di Narsete e sconfitta e uccisione di Totila. 557-570: Agnello è

arcivescovo di Ravenna; accrescimento di splendore della Chiesa ravennate.

L’arte cristiana, dopo l’editto di Costantino del 313, va considerata come un filone dell’arte

romana del periodo tardoantico. Le sue manifestazioni infatti, architetture, pitture catacombali,

mosaici, fregi di sarcofagi, sono espresse con lo stesso linguaggio delle contemporanee opere

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pagane, e quasi sempre anche l’iconografia deriva direttamente dal repertorio romano. E’ da

notare che la religione cristiana ha le proprie radici nella vicenda storica del Cristo e trae da quella

la propria origine temporale; perciò l’arte paleocristiana ha potuto facilmente trovare nella civiltà

figurativa romana dopo Diocleziano, che riflette la concezione assoluta dello stato e rende evidenti

le prerogative divine dell’imperatore, i mezzi linguistici atti ad esprimere, in forme autonome e

sufficienti, i nuovi contenuti ideali del messaggio evangelico. Si è già accennato al carattere

particolare dell’arte romana dopo Costantino, che manifesta un progressivo passaggio dalla

“rappresentazione” continua dei fatti storici ad una “presentazione” di singoli accadimenti con

valore assoluto, quasi simbolico. Si direbbe che il “tempo”, condizione permanente dell’arte

romana, abbia assunto, dal IV sec. in poi, periodi sempre più dilatati, fino a coincidere con l’idea

cristiana dell’eternità. I centri più importanti dell’arte paleocristiana sono Roma, Milano,

Ravenna, che anche in sede politica assumono particolare rilievo nei tempi travagliati della

decadenza dell’Impero d’Occidente e delle “invasioni barbariche fino al VII sec

ARCHITETTURE A ROMA E A MILANO

A Roma, vicino alle basiliche costantiniane, di cui ci è pervenuto soltanto il ricordo (S. Pietro in

Vaticano, S. Paolo fuori le mura, S. Giovanni in Laterano), vanno menzionate S. Maria Maggiore,

S. Sabina, il Mausoleo di S. Costanza, il Battistero Lateranense e la Chiesa di S. Stefano Rotondo,

che presentano uno sviluppo basilicale o una pianta centrale. L’uno e l’altro schema, pur

derivando da modelli romani, presentano significati spaziali nuovi in relazione ai valori religiosi di

cui sono espressione. Anche nella scultura e nei mosaici si nota un adattamento dei mezzi

figurativi ai nuovi temi religiosi, che vanno definendosi man mano in iconografie caratteristiche.

Milano , sotto la guida spirituale di S. Ambrogio, conosce un periodo artistico di singolare

splendore. Basterà ricordare la grande Basilica di S. Lorenzo, risalente al 350, che nel suo

impianto centrale costituisce uno degli esempi più suggestivi dell’arte paleocristiana occidentale.

Originariamente doveva essere tutta rivestita di mosaici, e forse proprio di qui si mossero, dopo il

402, i maestri mosaicisti che iniziarono, alla corte di Onorio, la decorazione delle chiese ravennati.

IL CENTRO DI RAVENNA

Certamente Ravenna, come centro artistico paleocristiano ci ha tramandato il più ricco complesso

di architetture, sculture e mosaici che sia dato trovare. Capitale dell’Impero di Occidente dopo la

morte di Teodosio, fino alla deposizione di Romolo Augustolo (476), la città adriatica ebbe una

grande importanza politica. Dopo la dominazione di Teodorico, fu poi il centro dell’Esarcato

bizantino. Sorsero così il Mausoleo di Galla Placidia, piccolo aureo scrigno illuminato dal

suggestivo splendore dei suoi notturni mosaici; i battisteri di Neone e degli Ariani, fino alle grandi

basiliche di S. Apollinare Nuovo, di S. Vitale e di S. Apollinare in Classe, dove i grandi spazi

luminosi accolgono la polifonia armoniosa delle decorazioni musive. Come tappeti preziosi, i

pannelli con le sacre immagini adornano le superfici murarie, togliendo a queste ogni senso

plastico e creando l’atmosfera solenne del cerimoniale bizantino.

BASILICA DI SAN VITALE

L’architetto di San Vitale mostra di conoscere profondamente i mezzi espressivi dell’architettura

della tarda romanità. Il suo genio si manifesta nell’alleggerimento delle masse, in un’ulteriore

riduzione dei blocchi plastici, con un suggestivo effetto di polifonia. L’interpretazione pittorica

dello spazio interno della basilica non si limita alla sontuosa decorazione musiva, ma passa nella

realizzazione coloristica dei capitelli, dei rilievi e dei marmi decorativi.

Anno 547: il vescovo Massimiano consacra la Basilica, la cui costruzione, iniziata dopo la morte

di Teodorico (526) sotto il governo filobizantino di Amalasunta e su iniziativa di Ecclesio, è

portata successivamente a termine dopo il 450 per volontà di Giustiniano. La pianta di San Vitale,

come struttura, ricorda edifici a pianta centrale del periodo tardoromano, dalla Minerva Medica al

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Mausoleo di S. costanza a Roma,e tuttavia significa una successiva elaborazione poetica di quegli

stessi valori dello spazio. In un grande ottagono, preceduto originariamente da un nartece e da un

quadriportico, è inscritto un ottagono minore, che si apre, su ciascun lato, con un’esedra; in

direzione opposta ad una delle entrate si sviluppa il profondo presbiterio absidato, ai cui lati sono

la protesi e il diaconico. L’apparato esterno è costituito da un’ampia e semplice stesura di pannelli

murari, contrassegnati da lesene che s’ispessiscono agli angoli, assumendo l’evidenza di

membrature in tensione. Scrupolosamente lineare e geometrico l’involucro murario, l’interno si

apre ad una singolare molteplicità di percorsi visivi di straordinario effetto fantastico.

Otto alti pilastri sono congiunti da esedre, divisi in due ordini da trifore sovrapposte: il

deambulatorio e il matroneo si svolgono tra il vano centrale in luce e il muro perimetrale. Le

pareti traforate delle esedre, alleggerite dal gioco della luce e dei marmi policromi, perdono

consistenza: ogni singolo elemento architettonico, pilastri, colonne, archi, capitelli, colto e definito

nella sua individualità, vibra nello spazio armonioso, come puro elemento figurativo, liberato da

ogni determinazione funzionale..

L’ARTE DELL’ALTO MEDIOEVO

Anno 568: I Longobardi scendono in Italia. 662: Maometto inizia l’era Musulmana (Egira).

726-42: lotta fra il Papato e Bisanzio, che vieta il culto delle immagini (iconoclastia).

800: Carlo Magno è incoronato Imperatore a Roma. 827: primo sbarco musulmano in Sicilia e

conquista araba dell’isola. 962: Ottone I di Sassonia incoronato a Roma. 998: Ottone III si

stabilisce a Roma per governare l’Italia. 1000: i Veneziani conquistano la Dalmazia.

La fine dell’Impero romano in Occidente, nel 476 d. C., dissolse il regime politico unitario della

penisola italiana, ma lasciò sopravvivere la cultura tardoromana. Essa trovò a Roma, Milano e

Ravenna i suoi centri maggiori. Con le successive invasioni dei popoli viciniori, che i Romani

chiamavano “barbari”, si ebbe la sovrapposizione delle loro diverse culture a quella già radicata

in Italia. Il periodo artistico dell’Alto Medioevo comincia con la invasione dei Longobardi nel

568, seguiti nel secolo IX dai Franchi e nel X dai Sassoni. Esso termina verso il 1000, quando già

si possono notare i primi segni della formazione di un linguaggio autonomo nella penisola italica.

ARTE LONGOBARDA

L’incontro delle culture germaniche con la tradizione tardoromana riesce estremamente

stimolante, specie dove i “barbari” recano con sé elementi di tradizioni extraeuropee, fondate

persino sulla millenaria arte dell’estremo Oriente. Così i Longobardi introducono il particolare

tipo di decorazione “ a intreccio”, che avvolge con inestricabili legature, animali, elementi

vegetali, motivi astratti. La linea è l’elemento fondamentale di tale decorazione, specialmente

nelle oreficerie e nelle sculture a bassorilievo, di cui restano sarcofagi e altari, specie nella pianura

lombarda e nel Friuli. Contemporaneamente, allo stile longobardo si affiancano forme irlandesi,

penetrate attraverso i monasteri, specie nella miniatura o in affreschi, di cui alcuni sopravvivono

nella Val Venosta, con particolari effetti ritmici, ricchi di forza espressiva. Essi contrastano però

con altre tendenze più classicheggianti, che troviamo in Lombardia a Castelseprio, e nell’Italia del

Sud, aperta a influenze dirette dell’arte di Bisanzio. In monasteri della Puglia e della Campania,

si sviluppa poi una particolare figurazione, che sembra mescolare le diverse influenze nordiche e

classicheggianti: è la cosiddetta arte “benedettina”, spesso drammaticamente espressiva, come nei

famosi affreschi di Sant’Angelo in Formis.

IL PERIODO CAROLINGIO

Restaurato l’impero di Occidente nell’anno 800, Carlo Magno dà grande impulso alla cultura,

tanto che si può esattamente parlare di una “rinascenza” carolingia. Scuole di palazzo, centri

culturali, monasteri attivissimi irradiano il loro influsso dalle città franche e germaniche, tra cui

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primeggiano Reims ed Aquisgrana. La rinascenza carolingia , per promuovere un vasto

movimento culturale nei paesi franchi e germanici, non poteva che volgersi con rinnovato

interesse alla tradizione classica, i cui riflessi le giungevano anche per la mediazione della cultura

irlandese: non per nulla uno dei dotti consiglieri della corte di Carlo Magno fu il monaco irlandese

Alcuino. Il periodo carolingio segna una rinascita anche in Italia di cultura classicheggiante, per la

ripresa di intensi contatti con Bisanzio. Ciò appare chiaro nei codici miniati dalle attivissime

scuole germaniche, e nell’architettura, ispirata, come ad Aquisgrana e in Lombardia, a piante

accentrate tardoromane. Un sapore “barbarico” è conservato nella oreficeria, che lascia famosi

capolavori nel tesoro di Monza e nell’altare d’oro a Sant’Ambrogio. Le correnti germaniche si

fanno risentire più forti nel successivo periodo di dominazione ottoniana, e danno luogo al nascere

di un’arte germogliata su quella romana, ma originale nelle espressioni: chiamata perciò appunto

“romanica”. I suoi capolavori fioriranno dopo il 1000, nella pianura lombarda, da Galliano a

Sant’Ambrogio di Milano e alle altre grandi cattedrali della Valle Padana.

CASTELSEPRIO

Gli affreschi di Castelseprio hanno importanza fondamentale non solo per lo studio della

tradizione tardoromana in Italia, ma per identificare anche i caratteri dell’arte del popolo

longobardo, in relazione ancora all’influsso bizantino e alla successiva rinascita carolingia. Essi

sono quindi un elemento chiave per comprendere il periodo meno conosciuto dell’Alto Medio

Evo.

Nel 1948 il mondo degli studi medioevali fu messo a rumore per la rivelazione di una eccezionale

scoperta: gli affreschi della chiesetta di Santa Maria Foris Portas a Castelseprio, presso Varese. Si

squarciava d’un tratto il velo di silenzio che aveva fino allora coperto molti secoli di storia

figurativa nel nostro paese, dalla caduta dell’Impero romano all’epoca carolingia. Le regioni del

Nord, dominate dai Longobardi e poi conquistate dai successori di Carlo Magno, rivelavano per la

prima volta il segreto della loro cultura pittorica.

La serie di affreschi con la Vita di Gesù, che decorano l’abside della cappella, ha suscitato grandi

polemiche fra gli studiosi per la sua datazione, da collocarsi appunto fra la invasione longobarda

(sec. VII) e la rinascita di classicismo dell’epoca carolingia (sec: IX-X). Di certo, il misterioso

artista (che si è anche supposto fosse un monaco vagante, di cultura siriaca) dimostra di conoscere

bene gli esempi della pittura tardoromana, fatta di tocchi illusionistici, con forti accentuazioni di

luce. Tanto più stupefacente è quindi la sua presenza in una zona assai modesta, per il lungo

silenzio medievale, e semmai legata, come appare dalle sculture contemporanee, alle forme

stilizzate e piuttosto astratte della tradizione orientaleggiante.

Il monumento artistico di Castelseprio sta comunque a provare che anche nel Nord Italia era vivo,

o comunque stava rinascendo, un movimento ispirato a quelle fonti romane, cui si dovrà, attorno

all’anno Mille, la rinascita della nostra arte nazionale.

L’ARTE ROMANICA

Anno 1001: cacciata di Ottone III da Roma e inizio dell’età dei Comuni. 1072: conquista

normanna della Sicilia. 1077: Gregorio VII umilia l’Imperatore Enrico IV a Canossa.

1096: inizio della prima Crociata. 1176: vittoria dei Comuni italiani contro il Barbarossa a

Legnano. 1194: Enrico VI di Svevia conquista la Sicilia. 1204: i Crociati conquistano

Costantinopoli. 1223: San Francesco fonda l’ordine dei Francescani. 1265: nasce a Firenze

Dante Alighieri,

Attorno al mille possiamo individuare l’origine di un’arte italiana medioevale con caratteristiche

di autonomia. Essa appare l’evoluzione delle forme tardoromane, integrate dalla vitalità creativa

“barbarica”, ed assume il nome di arte “romanica”, in analogia alle consimili formazioni culturali

nate nelle antiche province romane, dalla Spagna alla Gallia e ai Balcani. Caratteristiche dell’arte

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romanica sono: lo spirito “popolare”, che conferma la sua derivazione dal basso latino; il

naturalismo nelle pitture e nelle sculture, che assume aspetti più reali e narrativi; la rude potenza

espressiva delle forme architettoniche; le grandiose figurazioni scultorie, a fresco o a mosaico, che

narrano le opere e i giorni dell’uomo.

LE CATTEDRALI LOMBARDE

Come si è detto, l’arte romanica non è soltanto un fenomeno italiano, ma si sviluppa in tutte le

aree civili di origine tardoromana. Uno dei suoi comprensori più importanti è senza dubbio la

pianura Padana, solcata da vie di pellegrinaggi che portano in Francia e in Spagna, arricchita dalla

favorevole congiuntura economica dell’età dei Comuni. Le prime cattedrali sono appunto

espressioni di questo benessere: ecco Sant’Ambrogio a Milano, seguita da San Michele a Pavia,

dal Duomo di Modena e da quelli di Parma, Piacenza, Ferrara. Venezia, isola bizantina entro un

territorio romanico occidentale, fonde in San Marco le diverse influenze, creando un capolavoro

unico. Sulle facciate, sui capitelli e gli amboni delle nuove chiese fioriscono le sculture, che con

Viligelmo a Modena raggiungono caratteri di altissima poesia. Numerosissimo lo stuolo dei

seguaci, che si spingono fino in Toscana, nelle Puglie, in Italia meridionale, spesso contrastati

dalle locali forme bizantineggianti, sempre più auliche e idealizzate. La conquista normanna in

Sicilia offre la possibilità di nuove costruzioni specie a Palermo, spesso sensibili a influenze arabe,

e decorate da mosaici dapprima grecizzanti, poi ispirati a una più realistica scuola locale (cappella

Palatina).

ARTE DEL DUECENTO

Il Duecento accentua la formazione dell’arte nuova. Le relazioni commerciali, intense soprattutto

verso Ovest con la Francia e verso Est con i paesi dell’Oriente mediterraneo, creano nuove

occasioni di esperienze agli artisti in ogni campo. Benedetto Antélami reca dalla Provenza i primi

esempi di una rinnovata scultura, raffinatamente elegante, e forme architettoniche più slanciate,

con archi a sesto acuto. Siamo così agli inizi dell’arte che sarà chiamata “gotica”, nata per logica

evoluzione dal ceppo romanico. In Toscana trionfa la pittura a mosaico e soprattutto su tavola, e i

nuovi artisti, come Giunta, Coppo e Cimabue, sembrano superare l’aulico ricordo delle forme

bizantine, per toccare immagini più drammatiche, tese ed umane, ormai aperte ad interessi

realistici e naturali. Ormai in quasi tutta la penisola si parla e si scrive in “volgare italico”, e sono

prossimi i tempi di Dante e di Giotto.

BASILICA DI S. AMBROGIO

Nel corso dell’Alto Medioevo, l’arte italiana aveva ritrovato un suo carattere unitario. Di

quest’arte, che si chiamò “romanica”, per analogia con le lingue e letterature romanze dell’Europa

neolatina, le manifestazioni più importanti sono le grandiose cattedrali, che vengono sorgendo

lungo la valle del Po a partire dal secolo XI. Loro caratteristica comune è la potenza espressiva

impressa dalle strutture alle masse murarie, per cui gli spazi interni assumono un significato

plastico.

Attorno al 950 sono databili l’abside e il presbiterio della basilica di Sant’Ambrogio, prototipo

della architettura romanica lombarda. Nel 1098, una lapide, murata sulla facciata, ricorda la

istituzione della festa dei Santi Gervasio e Protasio: la grande costruzione era quindi

probabilmente finita. Di fronte alla facciata sorse anche un quadriportico, mentre al posto della

prima campata, vicino al presbiterio, veniva innalzato un “tiburio” ottagonale, che sarà poi tipico

dell’architettura lombarda. Sotto al presbiterio è posta la “cripta”, a un livello inferiore, sostenuta

da numerose arcatelle minori.

Non c’è dubbio che Sant’Ambrogio concluda un periodo di formazione della architettura

lombarda, durato più secoli. Ma l’importanza di quest’opera sta nella unità stilistica, che sembra

fondere ormai i singoli ritrovati tecnici, creando un vasto spazio articolato, sotto le possenti

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campate della navata maggiore, chiuse in alto dalle volte “a crociera”, che saranno poi tipiche di

tutte le costruzioni consimili nel secolo successivo. Anche la luminosità dell’interno assume, nella

nuova struttura, un significato particolare. Al posto della chiarità diffusa e statica della basilica di

tipo bizantineggiante, ecco ora il gioco animatissimo della luce, che scorre lungo la navata

maggiore, si spegne nelle ombre delle minori, sottolinea la spinta massiccia degli archi,

alleggerisce la struttura delle pareti, là dove si osservano le aperture dei “matronei” al piano

superiore.

Partecipano a questa vitalità formale le innumeri sculture a rilievo sui capitelli, lungo le cornici,

nei pulpiti e nel ciborio dell’altar maggiore: capolavori di un’arte plastica sempre tesa, scattante,

ricca di valori simbolici nelle favolose rappresentazioni di animali e di intrecci decorativi.

I MOSAICI DI SAN MARCO

Sebbene si debba ravvisarvi l’opera di numerosi artisti, e la esecuzione si dilunghi per circa un

secolo, i mosaici marciani medievali hanno una singolare unità stilistica. Venezia, giunta in

ritardo nel campo dell’arte romanica, si crea rapidamente una lingua figurativa, cogliendo da

Ravenna il gusto del colore, e dall’espressionismo nordico e bizantino provinciale il segno

incisivo e la tensione plastica, che suggeriscono il movimento.

La Basilica di San Marco è un capolavoro secolare, ma può ricondursi, nella sua forma originaria,

a un modello costantinopolitano: la chiesa dei Dodici Apostoli. Fu consacrata nel 1096, e subito

rivestita di mosaici, secondo una tradizione che da Bisanzio e da Ravenna era giunta fino a

Torcello e a Venezia.

Poche tracce rimangono della prima decorazione, che fu fatta sotto il Doge Domenico Selvo

(1071-85): forse le appartengono gli Apostoli e la Madonna del portale interno, e i Santi

dell’Abside. Questi mosaici mostrano le due fondamentali correnti seguendo le quali trae inizio la

pittura veneziana: la tradizione paleocristiana ravennate, splendidamente cromatica, e le forme più

plastiche dello stile monumentale bizantino di provincia.

Dopo un incendio del 1106, che distrusse le cupole, si ritardò la nuova decorazione a mosaico fino

al 1156. I mosaici principali di questo secondo ciclo sono quelli della cupola della Pentecoste e

dell’Ascensione, e gli arconi con le Storie di Cristo e la Vita di Maria. Gli artisti veneziani vi

dimostrano una notevole autonomia, con caratteristiche accentuazioni lineari, di effetto simile ai

rilievi della scultura romanica.

Col duecento si apre il terzo e maggiore periodo dei mosaici marciani, con l’Orazione nell’Orto e

l’arcone della Passione. Il disegno e il colore di acuta vivacità rientrano ormai nel più tipico

espressionismo romanico. Faranno seguito i mosaici dell’atrio, fra il 1240 e il 1280 circa, che

vanno allentando le forme tesissime del periodo centrale, verso uno stile coloristicamente più

raffinato, dai sottili linearismi che già preludono al Gotico. Un altro capolavoro di questo periodo

è il mosaico del Giudizio Universale a Torcello, databile al principio del sec. XIII.

L’ARTE GOTICA

Anno 1250: morte di Federico II. 1258: Manfredi viene incoronato re di Sicilia. 1261: caduta

dell’impero latino di Costantinopoli. 1266: Carlo d’Angiò viene incoronato a Roma re di Sicilia.

1265: nasce a Firenze Dante Alighieri. 1285-1314: regno di Filippo IV, detto il Bello, che

afferma la sua sovranità su quasi tutto il territorio francese. 1294: sale al seggio pontificio

Bonifacio VIII . Lotte tra Bonifacio VIII e Filippo il Bello. 1309: Clemente V fissa la residenza

della curia papale ad Avignone. La cattività avignonese dura fino al 1377. 1311: Enrico VII

viene incoronato in Sant’Ambrogio a Milano. Passaggio dai Comuni alle Signorie. 1348-1353:

Boccaccio scrive il Decamerone. 1374: muore Francesco Petrarca. 1378-1381: guerra detta di

Chioggia tra Venezia e Genova.

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Con la parola “gotico” gli uomini del Rinascimento italiano hanno inteso spregiativamente

indicare le manifestazioni artistiche del Basso Medioevo, che, a partire dal XII sec., fiorirono

prima in Francia, quindi in ogni altra contrada europea: Gotico, cioè barbarico. Oggi, a questo

termine noi diamo un significato tutto diverso, e intendiamo qualificare i prodotti di una visione

artistica affermatasi con intendimenti e finalità diversi da paese a paese, per alcuni secoli, e

corrispondente ad una delle stagioni più luminose della civiltà occidentale. La premessa dell’arte

gotica è certamente reperibile nell’esperienza romanica, anzi questa ne costituisce, per così dire, la

struttura linguistica fondamentale. I caratteri più evidenti sono una rigorosa struttura logica, quale

si manifesta nelle soluzioni architettoniche dei grandi spazi delle cattedrali; una raffinata, preziosa

eleganza formale, che investe ogni singolo prodotto artistico, dalla pagina miniata all’arazzo,

dall’avorio scolpito al monile, dagli smalti policromi all’abbigliamento; una spiccata tendenza

all’unità delle forme artistiche, per cui pittura e scultura sono intese come parte integrante

dell’architettura.

LE CATTEDRALI GOTICHE

Così le grandiose cattedrali e gli edifici civili dei secoli XII-XV, in quasi tutta l’Europa,

raccolgono in sé tutti gli elementi costitutivi della visione gotica, dallo spazio architettato alle

decorazioni plastiche e pittoriche; sono cioè una specie di “summa”, caso per caso, della cultura

figurativa di quel determinato centro e di quel particolare momento storico. Questa stretta

relazione tra pittura, scultura e architettura è tipica di una civiltà collettiva come è quella del Basso

Medioevo, soprattutto nelle regioni del Nord-Europa. Usualmente si pensa che il verticalismo,

evidente carattere dell’arte gotica, abbia una motivazione mistica; e non v’è dubbio che lo spazio

chiesastico sia sentito in questo periodo con particolare intensità religiosa; non va peraltro

dimenticato che, soprattutto nel XIV secolo, va affermandosi uno spirito borghese non alieno dal

considerare con vivo interesse gli aspetti di una vita mondana e piacevole quale si esprimeva nelle

civiltà comunale.

DA ANTELAMI AD ARNOLFO

L’arte gotica pertanto, avendo uno sviluppo ininterrotto di più secoli, presenta una eccezionale

molteplicità di aspetti e di significati: dal sacro al profano, dal logico-matematico della struttura al

decorativo più fantasioso, dalla complessità intenzionale di un capolettera su di un rotolo miniato,

alla lucida elementarità di una planimetria urbana.

In Italia, dai primi decenni del ‘200, l’arte gotica viene adattata alle strutture persistentemente

classiche della nostra civiltà. Le abbazie e le cattedrali conservano una spazialità compatta ancora

romanica, anche se vengono impiegati l’arco acuto e l’ogiva; così gli scultori, da B. Antelami a

Nicola Pisano fino ad Arnolfo, pur accogliendo in misura diversa la lezione transalpina, hanno

della forma un senso monumentale ed autonomo. Non diversamente i pittori, da Duccio di

Boninsegna ai Lorenzetti, da Giotto a Vitale bolognese, da Giovannino De’ Grassi a Gentile da

Fabriano, usando come Dante, Petrarca e Boccaccio il “volgare”, danno l’avvio ad una lingua

artistica italiana, cui sarà delegato il profondo rinnovamento della nuova concezione formale nel

Quattrocento.

BENEDETTO ANTELAMI

La visione artistica di Benedetto Antelami accoglie l’antica tradizione lombarda altomedievale e

promuove, ad un tempo, l’aggiornamento del linguaggio romanico con gli influssi classicheggianti

del gusto provenzale e della nuova, acuta sensibilità del gotico francese. Il suo mondo poetico,

vario e molteplice per la ricchezza dei sentimenti, lascia intravedere la comparsa di un delicato

soffio di umanità, che darà poi vita all’arte del Duecento nelle regioni dell’Italia del Nord.

1178: è questa la prima data relativa ad una biografia di Benedetto Antelami ed è l’artista stesso

che ce la comunica nella scritta corrente sotto il fregio niellato della Deposizione parmense: “nel

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febbraio 1178 si è rivelato uno scultore; questo scultore è Benedetto, detto l’Antelami”. Il

cognome Antelami deriva, con ogni probabilità, dal nome della Valle d’Intelvi, nota per le

corporazioni di architetti che ne trassero origine. Benedetto giunge forse a Parma da Genova, città

aperta ad influenze provenzali; anzi è da pensare che l’artista si sia formato, durante la sua prima

giovinezza, in qualche cantiere di Provenza. Solo nel 1196 Benedetto ricompare a Parma per dar

inizio al Battistero. Durante i 15 anni intercorrenti tra le due opere, l’artista è assente dalla scena

italiana, e molto probabilmente si reca nella Francia del Nord, dove viene a contatto con la cultura

gotica d’oltralpe.

La sua attività a Parma dura fino al 1216, e in questi stessi anni, che coincidono con la maturità

dell’artista, va ricordato il suo lavoro di completamento della Cattedrale di Fidenza, iniziata

intorno al 1180-1190. L’ultima fase dell’attività di questo straordinario creatore è documentata

dalle sculture dell’Abbazia di S. Andrea di Vercelli, databili intorno al 1219 (anno di fondazione

della chiesa). Ma è anche supponibile, sulla base di talune osservazioni stilistiche, che l’Antelami

abbia provveduto alla progettazione dell’intera Abbazia vercellese. Architetto e scultore,

Benedetto Antelami è una delle personalità di più alto rilievo nel momento di trapasso dell’arte

romanica italiana alla nuova cultura gotica di origine franco-provenzale. Ignoti sono il luogo e la

data della morte, avvenuta verso il 1230.

CATTEDRALE DI CHARTRES

L’anonimo architetto di Chartres mostra di possedere il rigore intellettuale di un grande teologo

del medioevo: ogni singolo elemento architettonico è considerato come una premessa o un

riscontro destinati a reggere una dimostrazione conclusiva, perfetta e inoppugnabile come la

verità. Eppure , tanta lucida intelligenza, attraverso l’atmosfera irreale delle vetrate, giunge a

significati altamente umani, così che la grande casa di Dio è anche il luogo d’incontro e di sosta

per tutta una comunità

1194: un incendio distrugge l’antica chiesa fatta erigere dal vescovo Fulberto, in onore della

Vergine. Di questa prima fabbrica vengono incorporate nella nuova costruzione la grande cripta e

la facciata occidentale con le due torri e il famoso “portale reale”. La ricostruzione, eseguita

secondo la tecnica più avanzata e gli esempi di Saint Denis, di Sens, dell’Ile de France,si protrae

durante tutta la prima metà del sec. XIII. La consacrazione della cattedrale avviene il 24 ottobre

1260. E’ una delle più suggestive e grandiose cattedrali di Francia, dove per la prima volta i

matronei di origine romanica vengono sostituiti dagli archi rampanti: l’arte gotica giunge con

questa fabbrica alla piena maturità espressiva.

Lo spazio romanico, delimitato da forti murature connesse secondo legamenti rigidi (volte

semplici e a crociera), di significato plastico, si apre a valori dinamici di straordinaria potenza.

L’arco a sesto acuto, la volta sorretta da una crociera ogivale, i contrafforti e l’arco rampante sono

gli elementi che consentono la nuova visione luminosa di questo spazio di Chartres. Ma al di là

delle tecniche, un nuovo spirito si manifesta: le strutture vengono considerate come gli elementi

logici di un sillogismo scolastico. Le nervature, i pilastri, i contrafforti s’incontrano ad altezze

vertiginose nei punti precisi di equilibrio: le murature scompaiono e lasciano il posto a pareti di

vetro policromo, attraverso cui la luce filtra creando un’atmosfera assolutamente irreale degna

della città di Dio; le sculture accompagnano con le loro storie sacre, come attraverso le pagine

miniate di una Bibbia, il progresso dell’anima del fedele verso il suo Creatore.

GIOVANNI PISANO

Spirito medievale, Giovanni ha della vita una visione contrastata e dolorosa. I suoi personaggi

sono scolpiti con un impeto creativo irrefrenabile: il gesto, la mimica, la violenza dei movimenti

nei corpi e nelle vesti, tutto è espressivo di una concitazione altamente drammatica. Solo alla fine

della sua attività, Giovanni pare ritrovare un inatteso equilibrio tra sentimento e ragione.

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1248 c.: nasce a Pisa Giovanni, figlio di Nicola, artista di larghissima fama, che aveva riportato la

scultura italiana a una classica solennità. La formazione artistica di Giovanni avviene nella

bottega del padre: giovanetto, collabora ai pulpiti scolpiti di Pisa e di Siena. Ma la sua prima

opera, la piccola Madonna in avorio di Pisa, annuncia una tendenza opposta a quella di Nicola,

dimostrando vivo interesse per l’arte gotica di derivazione francese.

Tale orientamento è pure manifesto nelle parti della Fontana di Perugia, firmata assieme a Nicola

nel 1278, che raffigurano immagini di Santi, di Profeti e di Città, poste attorno alla vasca

superiore. Solo qualche anno dopo però la visione artistica di Giovanni giunge a completezza in

un’opera indipendente, con le statue destinate alla Facciata del Duomo di Siena (1284-1296). Un

generoso impeto espressivo scaturisce dalle figure bibliche, che appaiono colte in momenti

d’intensa vita sentimentale. Lasciata Siena, dopo una parentesi pisana, Giovanni lavora, tra il

1298 e il 1301, al Pulpito della chiesa di S. Andrea di Pistoia. Qui, l’artista fa vibrare le note più

alte e commosse della propria fantasia poetica: libero ad un tempo dagli influssi classicheggianti

del padre e dagli schemi gotici francesi, crea un mondo originale di drammatica vitalità, e si pone

come una delle espressioni più alte dell’arte europea. Subito dopo, nel Pulpito del Duomo di Pisa

(1302-1310) Giovanni pare acquietare la propria tumultuosa visione in una più distesa

composizione architettonica delle singole scene. A un linguaggio immediato e violento, viene così

sostituendosi, nell’ultima fase dell’arte di Giovanni, un’intensa meditazione dei sentimenti umani.

Tra le ultime opere vanno ricordati i resti del Monumento funebre a Margherita di Lussemburgo

(1313) e la Madonna della cintola del Duomo di Prato. Muore, con ogni probabilità, a Siena nel

1317.

GIOTTO

Il realismo di Giotto non riguarda la natura quanto l’uomo, inteso come protagonista di una

vicenda spirituale, il cui estremo destino è la salvazione o la morte. Pittore del Medioevo, ha

inteso lo spazio come elemento necessario ad accogliere le singole azioni umane, con un

sentimento altamente drammatico della responsabilità individuale. Nelle sue espressioni più alte, i

problemi della forma plastica, i rapporti architettonici fra le figure, il nuovo senso della natura e

dell’uomo si fondono in un linguaggio di toccante modernità.

1267 c.: Giotto di Bondone nasce a Firenze e presto s’impone come pittore su tutti i

contemporanei, così da suggerire a Dante la famosa terzina del canto XI del Purgatorio:

Credette Cimabue nella pittura

tener lo campo e ora ha Giotto il grido,

sì che la fama di colui oscura.

La sua prima attività è rilevabile a partire dal 1296 nella Basilica di Assisi, dove avevano già

operato, pochi anni prima, Cimabue e i Maestri romani. Giotto si pone in quest’opera, il cui tema

è la leggenda di San Francesco, il problema di una nuova rappresentazione dello spazio,

richiamandosi alla scultura pisana contemporanea.

Dopo Assisi , Giotto si reca a Roma per il Giubileo del 1300. Il contatto con questo ambiente

artistico induce il Maestro toscano ad arricchire il proprio colore di una più intensa e pura

luminosità, che costituisce la caratteristica formale delle opere del suo secondo periodo: gli

Affreschi della Cappella degli Scrovegni a Padova. Tra il 1304 e il 1306, Giotto infatti raffigura

in 39 grandi riquadri la vita di Gioachino e Anna, la vita di Maria, la vita di Gesù e, sulla parte

sopra la porta, il Giudizio Universale. Il grandioso ciclo padovano mostra a quale complessità di

significati poetici sia ormai giunta la visione di Giotto: ogni sentimento umano trova il proprio

esatto registro formale, dai toni lirici della Fuga in Egitto, all’intensa drammaticità del Compianto.

Dopo gli Scrovegni, Giotto opera a Firenze con gli affreschi della Cappella Bardi e Peruzzi in S.

Croce e successivamente a Napoli e a Milano, dove peraltro le sue opere sono andate perdute;

resta,quasi testamento poetico di questo sommo pittore spaziale,, un’opera architettonica: il

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Campanile di S. Maria del Fiore, iniziato nel 1334 e completato più tardi dal Talenti. Muore a

Firenze nel 1337.

SIMONE MARTINI

Gotico elegantissimo nella composizione d’immagine, nella stesura preziosa del colore, nella

ritmica definizione di ogni singola strofe lineare, Simone, sia che affronti un tema sacro o svolga

un argomento profano, sconfina sempre nella favola dorata, dove la realtà è rivissuta e riproposta

nei termini astratti e assoluti della memoria poetica. Non a caso Petrarca scrive dell’arte di

Simone:

…l’opra fu ben di quelle che nel cielo

si ponno immaginare, non qui tra noi,

ove le membra fanno all’alma velo.

Anno 1284 c.: Simone nasce a Siena, dove fiorisce una scuola pittorica, che, sotto la guida di

Duccio di Boninsegna, gode di larghissima rinomanza. La città toscana è divenuta nella seconda

metà del sec. XIII un centro di cultura cosmopolita, dove giungono i prodotti artistici di Francia e

dell’estremo Oriente (arazzi, avori, rotoli miniati gotici, ceramiche e stoffe cinesi). Nel 1315

Simone firma la sua prima grande opera, la Maestà del Palazzo Pubblico di Siena, nella quale, se è

ancora evidente l’interesse del giovane artista per lo stile prezioso del grande Duccio, non

mancano accenti di una diversa e più alta qualità poetica. Nel 1317 Simone è attivo alla corte

angioina di Napoli, nel ’19 a Pisa, nel ’20 a Siena, e tra il ’23 e il ’26 ad Assisi per gli Affreschi

della Cappella di S. Martino nella basilica francescana. In questi anni, l’artista mostra di

allontanarsi progressivamente dall’eleganza stilistica fine a se stessa, tipica dell’ambiente di

Duccio, per accedere, sulla base di suggerimenti tratti dall’opera di Giovanni Pisano e di Giotto,

ad un senso più immediato della realtà. Narratore disinvolto e curioso, non manca di accogliere,

in ritmi poetici squisiti, fatti e personaggi storici, come nell’Affresco del 1328 per il Palazzo

Pubblico di Siena, dove Guidoriccio da Fogliano è raffigurato in passeggiata trionfale verso i

castelli conquistati. Non diversamente, Simone può comporre in ritmi perfetti, nel 1333, l’evento

sacro dell’Annunciazione degli Uffizi. Dopo il ’40, Simone si reca ad Avignone, alla corte papale,

dove incontra Francesco Petrarca. Purtroppo le sue pitture avignonesi, che ebbero largo influsso

sull’arte francese, sono andate perdute. Muore nella città provenzale nel 1344.

IL PRIMO RINASCIMENTO IN ITALIA

Anno 1412: la Sicilia si unisce al Regno d’Aragona. Lotte tra il Papato e i Principati. 1434:

Cosimo de’ Medici Signore di Firenze. 1442: Alfonso d’Aragona Signore di Napoli.

1450:Francesco Sforza Duca di Milano. 1453: Maometto conquista Costantinopoli. 1462:

Giovanni Gutenberg inventa la stampa a caratteri mobili. 1469: Signoria di Lorenzo il Magnifico

a Firenze. 1475: il Poliziano pubblica le Stanze. 1492: Cristoforo Colombo scopre l’America.

1494: discesa in Italia di Carlo VIII.

“Rinascimento” è il termine usato dagli scrittori d’arte del Cinquecento, per contrapporre il

periodo storico di cui essi facevano parte, ai pretesi “secoli oscuri” del Medioevo. La storiografia

artistica infatti ignora deliberatamente gli aspetti creativi di quell’epoca, ritenuta irrimediabilmente

lontana dalla tradizione classica. Si voleva invero alludere, con quel termine, al rinascere di uno

stile classicistico, ispirato all’antichità romana, di nuovo al centro del più alto interesse tra gli

uomini di cultura.

ARTE DEL PRIMO RINASCIMENTO

Noi sappiamo comunque che anche il Medioevo ebbe altissime manifestazioni d’arte, e rifiutiamo

quindi ogni significato dispregiativo verso il passato, insito nel termine “Rinascimento”. Quello

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che in verità muta, col principio del Quattrocento, è la concezione del mondo, e la valutazione

della posizione spirituale dell’uomo. La sete di conoscenza razionale, il risorto interesse per la

natura, che vede i fenomeni fisici nella loro realtà, portano anche nelle arti ad una impostazione

estetica del tutto nuova. Il primo risultato di questa filosofia sarà la teoria prospettica, che colloca

l’uomo al centro dell’universo sensibile. Firenze, favorita da un regime liberale e illuminata da

uomini di eccezionale intelletto, vede le prime realizzazioni delle teorie rinascimentali. Le

architetture del Brunelleschi, fra cui spicca la cupola di Santa Maria del Fiore, sono la sintesi delle

possibilità conoscitive e creatrici dell’uomo del Rinascimento, che tocca le più suggestive

espressioni figurative nelle sculture di Donatello e negli affreschi di Masaccio.

DIFFUSIONE DEL RINASCIMENTO

Da Firenze, verso la metà del Quattrocento, la visione rinascimentale passa in tutta la penisola.

Mentre Venezia e Verona raccolgono gli ultimi echi del Gotico internazionale, a Padova soggiorna

Donatello e nasce una vera scuola rinnovata sotto la guida del Mantegna. Da questa dipende

anche lo sviluppo dei Veneziani della seconda metà del ‘400, tra cui Giovanni Bellini e il

Carpaccio. A Ferrara, i pittori della corte estense, fra cui Tura, Cossa, De Roberti, realizzano una

versione drammatica ed espressiva dei motivi toscani, mentre l’architetto Rossetti rinnova

modernamente la città. In Lombardia, attraverso il Mantegna stesso, la pittura prende nuove

vie,mentre nell’architettura si annuncia, dopo le teorie idealistiche del Filarete , il genio classico

del Bramante.

La seconda generazione toscana del Quattrocento riunisce altre personalità artistiche di primissimo

rango: dall’architetto Leon Battista Alberti, rinnovatore dell’umanesimo classico a Firenze, a

Rimini e a Mantova; fino al favoloso prospettico Paolo Uccello, e al plastico Andrea del

Castagno. Alla fine, Piero della Francesca realizzerà la sintesi della forma plastica toscana con il

colore atmosferico, nei suoi affreschi permeati di luce, ispirati ad una solenne, ieratica concezione

del mondo e dell’umanità. Antonello da Messina, genio isolato come il Laurana, ne trarrà

ispirazione. Verso la fine del Quattrocento, il Rinascimento toscano si esprime nello stile colto

delle opere del Verrocchio e del Pollaiolo, contemporanee alle pitture del Botticelli;

parallelamente, una generazione di architetti, dai Da Majano ai Sangallo, sviluppa la lezione

spaziale del Brunelleschi.

FILIPPO BRUNELLESCHI

L’organizzazione dello spazio proposta dal Brunelleschi, secondo principi razionali, determina il

sorgere di una nuova visione artistica, espressione anticipatrice di quel rigore di ricerca e di

verifica che anima tutto il pensiero umanistico. Con l’opera architettonica di questo artista si

chiude per l’Italia la stagione dell’arte gotica e ha inizio la prima fase della civiltà rinascimentale.

1377: nasce a Firenze Filippo Brunelleschi e viene, ragazzo, avviato all’arte dell’orafo. Gli inizi

della sua attività indipendente sono documentati da quattro statue per l’altare di San Jacopo di

Pistoia, degli ultimissimi anni del ‘300. Poco dopo, Brunelleschi si presenta al concorso per i

rilievi della seconda porta del Battistero di San Giovanni con la formella raffigurante il Sacrificio

di Isacco. Gli viene preferito il Ghiberti, la cui arte appare più rispettosa della tradizione gotica.

Dal 1402, data del concorso, al 1418, il Brunelleschi compie numerosi viaggi a Roma per studiare

le antichità classiche, interviene ripetutamente nell’Opera di Santa Maria del Fiore, frequenta il

matematico Paolo dal Pozzo Toscanelli, esegue, alla fine, il Cristo crocifisso di Santa Maria

Novella. Nel 1418 Brunelleschi partecipa al concorso per la Cupola di S. Maria del Fiore, e gli

viene affidato, congiuntamente al Ghiberti, l’arduo incarico dell’opera. Inizia così l’attività di

Brunelleschi architetto, le cui prime tappe sono: l’Ospedale degli Innocenti (1419-1424), la

Basilica di San Lorenzo e l’annessa Sagrestia Vecchia (1423-1428). In queste sue opere, l’artista

esprime una visione spaziale, formalmente risolta come pura immagine lineare, seguendo i

principi della geometria piana. Qualche anno appresso, con la Cappella de’ Pazzi (1429-1430),

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forse accogliendo suggerimenti dell’ambiente artistico più avanzato (Masaccio), Brunelleschi si

propone una soluzione plastica dello spazio. Tale ricerca è condotta innanzi con la Lanterna della

cupola (1436), con le Esedre (1438) di S. Maria del Fiore e soprattutto con il capolavoro della

maturità, la Chiesa di S. Spirito (1432: progetto; 1444 inizio dell’esecuzione). Muore a Firenze

nel 1446.

DONATELLO

Conoscitore dei modelli classici antichi e dei principi teorici della prospettiva, Donatello avverte

che la sola sorgente della propria ispirazione poetica è l’anima umana, con le sue sofferenze e le

sue speranze. Riesce pertanto a significare, in termini di alta poesia, un drammatico “umanesimo”

figurativo, che trova precipua espressione nella sua visione plastica, immersa in una luce

drammatica e sofferta.

1386: nasce a Firenze Donatello. Nel 1403 il suo nome compare per la prima volta tra gli aiuti

della bottega di Lorenzo Ghiberti, impegnato nella porta bronzea del Battistero. Amico del

Brunelleschi, a trent’anni ha maturato un’ampia e approfondita esperienza plastica, il cui più alto

risultato è raggiunto nel S. Giorgio (1416) per Orsammichele. Con quest’opera si conclude

l’attività giovanile di Donatello, che,attraverso la prospettiva, dà ordine allo spazio dell’immagine,

secondo una qualificazione geometrica delle forme. Nel decennio successivo, la visione

donatelliana si arricchisce di accenti umani, come è dato di osservare nel Busto di S. Rossore,

della chiesa di S. Giovanni dei Cavalieri a Pisa, e nei due profeti Geremia e Abacuc per il

Campanile del Duomo fiorentino.

Da questo momento la principale protagonista della spazialità donatelliana è la luce, in cui le

forme plastiche si pongono secondo le necessità dettate dalla fantasia poetica dell’artista. Si

vedano a questo proposito i rilievi bronzei per il Fonte battesimale di Siena (1423-29), eseguiti

con la collaborazione di Michelozzo. Verso il 1432 Donatello si reca a Roma, e successivamente,

tornato a Firenze, esegue una serie importante di opere, tra cui vanno particolarmente ricordate: la

Cantoria del Museo dell’Opera del Duomo , il Pulpito esterno del Duomo di Prato,

l’Annunciazione di S. Croce, la decorazione e le due Porte bronzee della Sagrestia Vecchia di S.

Lorenzo. Dal 1443 al 1452 Donatello è a Padova, dove esegue l’Altare del Santo e la statua

equestre del Gattamelata. Le opere di questo periodo sono caratterizzate da un intenso sentimento

drammatico. Ritornato a Firenze, esegue la Maddalena del Battistero fiorentino, il Battista del

Duomo di Siena e gli undici bassorilievi bronzei dei due Pulpiti di San Lorenzo, estrema,

drammatica conclusione del suo itinerario poetico. Muore a Firenze nel 1466.

MASACCIO

Giotto, Brunelleschi, Donatello sono i termini della riflessione artistica del Masaccio. Al primo lo

avvicina la congenialità del sentimento, ai secondi l’ansia di una definizione concettuale dello

spazio. La visione che ha il Masaccio della natura e dell’uomo è governata da una legge sovrana,

che determina l’allogamento di ogni cosa nel mondo, secondo un principio universale di necessità.

1401: nasce a San Giovanni Valdarno Tommaso di Giovanni di Ser Guido, detto Masaccio.

Venuto adolescente a Firenze per essere avviato alla pittura, entra nella bottega di Masolino, suo

conterraneo, che gode di larghissima fama. Mostra peraltro di non accogliere i modi ancora

goticizzanti del maestro, per seguire invece, come riferisce il Vasari, l’esempio di Brunelleschi e

di Donatello. La Madonna e S. Anna, opera databile intorno al 1420, eseguita in collaborazione

con Masolino, testimonia chiaramente come il giovane pittore avanzasse soluzioni spaziali

audacissime, quando la scienza della prospettiva era ancora in fase di elaborazione. Dopo

quest’opera, poche sono le date certe della brevissima attività di Masaccio: nel ’22 appare iscritto

all’arte dei Medici e Speziali, nel ’24 alla Compagnia di San Luca, nel ’26 si pone l’unica sua

opera sicuramente documentata: il grande Polittico dei Carmelitani di Pisa, diviso e disperso nel

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Settecento. Nel ’27 esegue la Trinità per Santa Maria Novella a Firenze, e nell’agosto dello stesso

anno viene chiamato da Masolino, come aiuto indipendente, per portare a termine gli affreschi alla

Cappella Brancacci della Chiesa del Carmine. Rimane a Firenze fino all’autunno del ’28, quando

Masolino lo invita a Roma per collaborare con lui agli affreschi di S. Clemente. Grande fu il

dolore del Brunelleschi per l’immatura scomparsa dell’artista, che morì improvvisamente a Roma

nel 1428.

BEATO ANGELICO

L’arte dell’Angelico, nel suo tragitto verso una splendente astrazione dal reale, sia esso natura o

storia, perviene ad una suprema altezza fantastica, da cui resta escluso ogni decorativismo

tardogotico, ogni senso di gioco e di eleganza fine a se stessa. Anzi, straordinariamente impegnata

e figurativamente moderna, la visione dell’Angelico tende a riaffermare, di contro alla posizione

laica dell’Umanesino quattrocentesco, il primato tradizionale della teologia, come unica via della

conoscenza

1387: nasce a Firenze Fra Giovanni da Fiesole, detto il Beato Angelico. Secondo il Vasari i suoi

primi maestri furono lo Starnina e Lorenzo Monaco, pittori gotici internazionali. Da questa

notizia ha preso avvio l’interpretazione romantica dell’opera del Beato Angelico, intesa come

l’espressione di un animo ascetico e ancora medioevale. La critica più recente ha invece chiarito

l’importanza che anche per l’Angelico ha avuto l’alta lezione di Masaccio. Difatti , nelle prime

tavole del frate fiesolano è evidente un’esperienza prospettica, attinta a questa fonte, anche se le

intenzioni cui è volta sono di ordine religioso: si veda l’Annunciazione di Cortona, di poco

posteriore al 1430. Il coraggioso tentativo dell’Angelico consiste infatti in un ricupero del mondo

religioso medioevale espresso in termini pittorici assolutamente moderni; e pertanto non è più da

pensare a questo artista come ad un isolato o a un ritardatario nell’ambiente fiorentino, tutto

permeato di spiriti nuovi..

Dal 1440 al 1447 l’Angelico affresca le pareti del convento fiorentino di S. Marco. Negli anni

successivi è attivo a Orvieto (inizia la decorazione della Cappella di S. Brizio nel Duomo, portata

a termine dal Signorelli) e quindi a Roma in Vaticano, dove affresca la Cappella Niccolina con le

storie della Vita di S. Stefano e di San Lorenzo. In quest’ultimo ciclo riaffiora il ricordo di

Masaccio prospettico, e l’Angelico si palesa grande narratore religioso. Muore a Roma nel 1455.

PIERO DELLA FRANCESCA

Alla metà del Quattrocento la cultura artistica fiorentina è posta dinanzi ad una scelta alternativa

tra il “reale” della visione di Andrea del Castagno e il “trascendente” di Beato Angelico: la

genialità di Piero propone la sola possibile sintesi dell’uno e l’altro termine, trasferendo il dato

reale di natura nell’ambito luminoso di una elevata coscienza ideale. La prospettiva viene

vivificata dall’incontro della luce con il colore, realizzato in forma di splendida, incorruttibile

perfezione.

1420 c.: nasce a Borgo San Sepolcro Piero della Francesca. Da un documento del 1439

apprendiamo che il giovane artista dapprincipio è attivo a Firenze, nella chiesa di S. Egidio, al

seguito di Domenico Veneziano; nel 1442 risulta tra i consiglieri di San Sepolcro, dove comincia

la sua attività di pittore indipendente. La sua prima opera databile è la Madonna della

Misericordia (1445) dipinta per la sua città natale, dove sono racchiusi gli elementi primari del suo

universale linguaggio poetico. A questi stessi anni va ascritto anche il Battesimo di Cristo, in cui

è evidente il ricordo della luminosa pittura di Domenico. L’attività di Piero si svolge, dopo queste

date , in numerosi centri rinascimentali: a Ferrara tra il 1448 e il ’50, come ricorda il Vasari; a

Rimini presso i Malatesta, nel ’51; ad Arezzo, dove nella Chiesa di San Francesco dà inizio, verso

il ’52, al grandioso ciclo di affreschi con episodi tratti dalla Storia della Croce, impresa che lo

impegna fino al ’59. Nonostante l’opera aretina, Piero intrattiene rapporti con la corte urbinate di

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Guido da Montefeltro, per il quale dipinge verso il ’55 la Flagellazione di Cristo. Nel 1459 è a

Roma operante in Vaticano per desiderio di Pio II, e nel ’60 crea la famosissima Resurrezione di

Borgo San Sepolcro. Verso il 1465, durante un soggiorno urbinate, esegue il dittico con i ritratti

di Federico da Montefeltro e Battista Sforza, oggi agli Uffizi. Giunto alla vecchiaia, crea gli

ultimi capolavori: la Madonna di Senigallia, al Palazzo Ducale di Urbino, e la Madonna col

Bambino e Santi, a Brera, dove la sua solenne visione conosce accenti di una dolcissima intimità

familiare. Muore a Borgo San Sepolcro nel 1492.

SANDRO BOTTICELLI

Un equilibrio assoluto e altamente armonico fra sentimento fantastico e forma espressiva isola

ogni singola immagine. Ogni riferimento allo spazio circostante appare inutile, a tal punto le

sinuose figure create dalla fantasia botticelliana si distaccano dal paesaggio per fissarsi nella

perfezione autonoma della loro forma individuale.. L’ispirazione di questo altissimo artista si

concreta in un aristocratico distacco, espresso nella purezza ritmica della linea e nel timbro

cristallino di un colore smagliante e irreale.

1444: a Firenze nasce Sandro Botticelli. Le sue prime opere risalgono agli anni 1467-1470 e

denunciano una stretta parentela stilistica con il Lippi. In questo stesso momento il giovane

Sandro guarda con viva attenzione alla pittura gemmea e smagliante del Mantegna, di passaggio a

Firenze. I suoi interessi vanno inoltre alle botteghe del Pollaiolo e del Verrocchio: anzi, presso

quest’ultimo incontra Leonardo. Il carattere tipico e originario dell’arte botticelliana fin dai suoi

esordi è rappresentato da un personalissimo , accentuato linearismo, che si traduce in un alto

sentimento di indifferenza, quasi di distacco dell’immagine dallo spazio: di qui nasce la poesia

elegiaca del Botticelli.. Nel 1481, ormai celebre per talune opere medicee (la Primavera,

l’Adorazione dei Magi, anni 1478-80), lascia Firenze assieme a Cosimo Rosselli ,Domenico

Ghirlandaio e Pietro Perugino per raggiungere Roma, dove lavora ad affresco alla Cappella

Sistina. Ritorna a Firenze nel 1482, dove dà inizio al decennio più felice della propria attività

/Adorazione dei Magi di Washington, la Madonna del Magnificat degli Uffizi, Venere e Marte

della Galleria Nazionale di Londra, la Nascita di Venere degli Uffizi); successivamente, forse

anche in relazione agli accadimenti politici e religiosi della fine del secolo (1492: morte del

Magnifico; 1498: condanna del Savonarola), Botticelli trasforma profondamente la sua pittura. La

linea e il colore divengono vibranti ed accesi: un nuovo sentimento, più intenso ed animato, tocca

il vertice di una elaborazione formale, che precorre gli accenti del Manierismo cinquecentesco.

Muore a Firenze nel 1510.

ANDREA MANTEGNA

Promovendo il rinnovamento artistico veneto sulla metà del Quattrocento, il Mantegna propone

una visione tutta particolare del Rinascimento. Alla classica spiritualità dei Toscani, egli

sostituisce infatti una concezione erudita, quasi da archeologo, che lo spinge a rappresentare

immagini di intellettuale preziosità, quasi intagliate in materiali incorruttibili – marmo, smalti,

metallo. Particolare è la soluzione del mezzo cromatico, dal Mantegna indirizzato a espressioni di

pungente asprezza.

1431: nasce a Isola di Cartura Andrea Mantegna, e presto si trasferisce a Padova, centro del

movimento rinascimentale capeggiato dal Lippi, da Donatello e da Paolo Uccello. Frequenta la

bottega dello Squarcione , e si associa agli artisti che costituiscono la nuova generazione, cresciuta

all’ombra dei Toscani. Con uno di questi, il Pizolo, assume nel 1448 la decorazione della cappella

Ovetari agli Eremitani ( distrutta in parte nel 1944 da un bombardamento aereo), e completa un

ciclo di affreschi con le Storie di San Cristoforo e di San Giacomo, entro il 1455.

Intanto sposa Nicolosia, sorella di Giovanni Bellini, e frequenta l’ambiente veneziano, traendone

incentivo a un colorismo più brillante e prezioso. Il suo capolavoro maturo è la pala di San Zeno a

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Verona (1459), splendente repertorio di finezze cromatiche, entro una severa inquadratura

prospettica. Il successo gli vale la chiamata alla corte dei Gonzaga, a Mantova, dove, a partire dal

1460, esegue gli affreschi della Camera degli Sposi, terminati nel 1474. Nella sala di pianta

quadrata, il Mantegna spalanca illusionisticamente le pareti sopra visioni di paesaggi in

prospettiva, e disegna una loggia su cui appare tutta la famiglia del principe. Magistrale sapienza

tecnica e suggestiva preziosità di disegno si uniscono per darci un ritratto indimenticabile della

corte mantovana, di cui il Mantegna diviene il prestigioso illustratore. Le opere tarde, sullo scorcio

del secolo, mostrano il pittore nella crisi del naturalismo ormai affermato nell’arte veneta. Di

fronte all’esigenza di raffigurare la realtà nel paesaggio, nel ritratto e nella verità delle tinte, il

Mantegna sembra ancor più rifugiarsi nel suo mondo ideale di forme, di pura ed astratta bellezza:

abbiamo così i Trionfi per lo studiolo della Duchessa Isabella, ora al Louvre. Muore a Mantova

nel 1506.

COSME’ TURA

Cosmè Tura è il maggiore, della triade formata con Cossa e De Roberti, fra gli artisti che danno

vita ad una intensa stagione rinascimentale a Ferrara, nella seconda metà del Quattrocento. I suoi

personaggi allucinati, tesi in un rovello goticizzante, si valgono della cristallina purezza cromatica

di Piero della Francesca, unita alla incisività descrittiva dei Fiamminghi, anch’essi presenti a

Ferrara con Rogier van der Weyden.

1430 circa: nasce a Ferrara Cosmè Tura , figlio di un calzolaio. La sua prima attività è modesta:

nel 1452 dipinge il cimiero per il vincitore del Palio, decora un gonfalone per l’Arte dei sarti e

minia cassettine dorate. La mancanza di notizie fino al 1456 lo fa supporre assente da Ferrara:

forse fu a Padova, attratto dalla fama di quella scuola; infatti, al ritorno, mostra echi dello

Squarcione e atteggiamenti simili a quelli del Mantegna e degli altri giovani padovani. Intanto ,

entra al servizio della corte Estense, e prepara cartoni per arazzi e decorazioni per le feste di corte.

Nel castello di residenza Ducale, a Belfiore, si trovavano varie sue pitture, ma l’attività maggiore

sembra fosse sempre quella di modesto decoratore: nel 1462, fa una coperta da cavallo a gigli

d’oro, e inoltre le vesti da giostra del Duca Alberto Maria.

Più tardi aumenta la sua attività di pittore: dopo la cappella Sacrati di San Domenico, e la chiesetta

di Bereguardo, interviene nei grandiosi affreschi del palazzo di Schifanoia, di cui probabilmente è

l’ideatore, anche se non l’esecutore materiale (1469). Appartiene a questo periodo la Pietà

(Venezia, Museo Correr), capolavoro di intensa drammaticità, seguita dalle portelle d’organo del

Duomo di Ferrara (1469). Un viaggio a Venezia gli apre probabilmente nuove visioni di

Composizione pittorica, i cui frutti sono evidenti nell’altare del Vescovo Roverella, ora diviso fra

la National Gallery di Londra, il Louvre e altri Musei.

Nominato pittore di corte nel 1471, compie molti ritratti dei personaggi Estensi, quasi tutti perduti.

Le ultime opere, come il Beato Giacomo di Modena o la Pietà di Vienna, conservano una qualità

surreale in una struttura plastica sempre più tormentata, di metallica evidenza.

Muore a Ferrara nel 1495.

GIOVANNI BELLINI

Giovanni Bellini è il maggior artista del primo Rinascimento veneto, sensibile a tutte le novità

della cultura pittorica quattrocentesca. Fu fedele a una visione nobilmente tradizionale, quasi

arcaica, eppur classica per coerente misura formale e umana. I suoi temi prediletti, dalle

Madonne col Bambino alle Sacre conversazioni, rivelano il suo animo nobilmente sereno.

Prendono le mosse da lui i maggiori artisti del Cinquecento, da Giorgione allo stesso Tiziano.

1430: nasce a Venezia Giovanni Bellini, figlio di Jacopo pittore. Anche suo fratello Gentile, di

poco più anziano, è pittore valentissimo di ritratti e cerimonie veneziane. Nel 1450 Giovanni

Bellini frequenta Padova, accanto al Mantegna, che frattanto aveva sposato sua sorella Nicolosia.

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Assume in tal modo lo spirito e le forme della Rinascenza toscana, armonizzandone le vivaci

novità con il tradizionale senso del colore veneziano. Le sue prime opere mostrano la

dipendenza dagli ideali padovani, e si avvicinano allo stile incisivo del Mantegna e al vigore

plastico di Donatello, pure attivo a Padova nella Basilica del Santo. Giunto a maturità, attorno al

1460, il Bellini esalta l’umanità dei suoi personaggi (Pietà di Brera) e cerca più larghi rapporti di

colore, secondo i suggerimenti prospettici di Piero della Francesca. Il “chiaroscuro” padovano si

viene così allentando, fino a permettergli, nella grande pala di Pesaro (c. 1474) una spaziosa

visione della natura, dipinta nei suoi colori reali, con impareggiabile dolcezza. Un tema

appassionante, cui il Bellini si dedica con continuità, è quello delle Madonne, ispirate ad una

penetrante umanità. Tra il 1480 e il ’90, realizza composizioni monumentali, come le pale di

San Giobbe e dei Frari. In altre opere, come la Trasfigurazione di Napoli, la pala di Murano o

l’Allegoria degli Uffizi, porta i suoi personaggi all’aperto, con voci e colori di georgica serenità.

Dopo il 1500, in concorrenza con Giorgione e Tiziano, il Bellini afferma la sua visione sfumata

e melodiosa nella pala di San Zaccaria (1505). Muore ottuagenario, venerato dai contemporanei,

a Venezia nel 1516.

L’ARTE DEL ‘400 E ‘500 IN EUROPA

Anno 1417: fine dello scisma papale di Avignone. 1453: Maometto conquista Costantinopoli.

1494: Carlo VIII scende in Italia. 1511: Lega Santa di Giulio II contro i Francesi. 1517:

Martin Lutero proclama le tesi protestanti contro la Chiesa di Roma. 1519: Magellano parte per

la scoperta del Pacifico. 1529: pace di Cambrai tra Francia e Impero. 1545: Concilio di Trento

e Controriforma. 1555: Carlo V concede libertà religiosa ai protestanti. 1559: pace di Chateau-

Cambresis: dominio spagnolo in Italia. 1571: vittoria di Lepanto contro i Turchi. 1598: Morte

di Filippo II e fine delle guerre di religione in Europa.

Nell’Europa artistica del Quattrocento, la persistenza delle forme goticheggianti è molto forte,

specie nei paesi germanici e in Francia, dove nascono ancora capolavori architettonici del valore

delle cattedrali di Ulm, di Rouen e di Tours (il cosiddetto gotico “fiammeggiante”). Si ispira alla

stessa tradizione la scultura, con i germanici Stoss e Riemenschneider, che prediligono il legno,

spesso colorato vivacemente. Nel campo della pittura, il secolo XV si apre con le miniature

delicatissime dei fratelli De Limbourg, che spingono la loro influenza in tutta Europa. Al nostro

Pisanello corrispondono i pittori dei “Libri d’Ore” francesi e fiamminghi, e i fantasiosi Maestri

dei “Giardini celesti” di Colonia. L’arazzeria di Arras e quella di Tornai creano in questi tempi i

loro capolavori, che illustrano leggende cavalleresche con favolose figurazioni.

L’ARTE FIAMMINGA

Col trasferimento del raffinato Duca di Borgogna, Filippo il Buono, da Digione a Bruges, si

pongono le premesse per la fioritura di un’arte fiamminga, tra le più alte in Europa. Nella stessa

Bruges, a Gand, a Lovanio, a Bruxelles sorgono scuole pittoriche, illustrate dai nomi dei fratelli

Van Eyck, di Rogier van der Weyden, del Bouts e di Petrus Christus, del Van der Goes. La loro

arte, fedele alla rappresentazione della realtà, si ispira all’umanesimo nordico, nobilmente

austero, espresso in forme coloristiche di eccezionale raffinatezza. Alla fine del Quattrocento, il

Memlinc e il David rinnovano il ritratto e la pittura di soggetti religiosi, mentre il Bosch già

sfiora le posizioni allucinate di un mondo che presto di aprirà all’eresia. Ancor più nobile e

austera la pittura francese, che ha nel Fouquet il suo genio, e si ispira ad una spiritualità intensa,

mossa da una specie di astrazione, che idealizza le forme.

IL RINASCIMENTO IN EUROPA

Verso il principio del Cinquecento, l’Umanesimo e il Rinascimento, che furono dapprima

fenomeni soltanto italiani, si vengono diffondendo in Europa. Anche l’invenzione della stampa

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favorisce l’ampliamento della cultura, e la conoscenza stessa delle forme artistiche si allarga per

mezzo delle incisioni.

L’influsso delle forme rinascimentali si fa così sentire ovunque, e tocca persino l’altissimo

mondo ideale del Dùrer, maestro di straordinario realismo. Importanza fondamentale per la

cultura Europea del Rinascimento vengono così ad assumere i suoi viaggi a Venezia e in Italia.

Mentre la maggior parte degli artisti è sottomessa alla ispirazione italiana, in Fiandra soltanto il

Brueghel mantiene una magica originalità, con le sue scene popolaresche e spiritate. Una

raffinata scuola, piena di manieristica eleganza, nasce poi in Francia, a Fontainebleau; e favolosi

castelli in stile rinascimentale sorgono ovunque, specie nell’Ile de France e lungo la Loira.

Il fulcro dell’attività artistica rimane comunque tra Firenze, Roma e Venezia:ma si preparano le

premesse per la rinascita di scuole nazionali, in Francia, in Fiandra e Paesi Bassi, nel secolo

successivo.

JAN VAN EYCK

Il mondo poetico di Jan van Eyck si fonda su un interesse per la realtà che supera il crudo

verismo medioevale, e prepara la libertà spirituale della Rinascenza. Ne sono strumenti la

calcolata evidenza rappresentativa della natura, e una tecnica inarrivabile. Il Van Eyck, tipica

figura di transizione, sembra così riassumere in sé l’ansia di verità e insieme il misticismo dei

Nordici, e segna una tappa indimenticabile nello sviluppo spirituale del suo tempo.

1390 circa: nasce, forse a Maastricht, Jan Van Eyck. Dal 1422 al 1425 è al servizio di Giovanni

di Baviera, all’Aja, per passare poi al seguito di Filippo il Buono duca di Borgogna, mecenate e

finissimo intenditore d’arte. Risiede a Lilla e a Tornai, e nel 1428 si reca in Portogallo in

occasione del matrimonio del Duca con la principessa Isabella. Ritrattista e pittore di pale

d’altare, abita dal 1432 a Bruges, dove compie il famoso polittico dell’Agnello Mistico per la

chiesa di San Bavone, dietro commissione del ricco mecenate Joos Vijd e di sua moglie Isabella

Borluut, effigiati come donatori. Nel 1434 si sposa ed ha un figlio, di cui il Duca stesso è

padrino.

Attivissimo ritrattista, dipinge anche il Cardinale Albergati, legato papale presso il Duca, con

penetrante realismo. Di poco posteriore è il doppio ritratto dei coniugi Arnolfini, della Galleria

Nazionale di Londra, in cui la meticolosa cura per l’ambiente non impedisce che sia raggiunta

una poetica intimità di colore, in toni smorzati e raffinatissimi. Fra le varie rappresentazioni

della Madonna, le più famose sono quelle dell’Annunciazione ora a Washington (c. 1434), il

Trittico di Dresda (1435), e soprattutto la Madonna del Cancelliere Rolin del Louvre, con un

vasto paesaggio (c. 1436), e quella, intima e vibrante di colore, del canonico Van der Paele a

Bruges (1436). Con queste ultime opere il Van Eyck raggiunge una sempre più alta unità

stilistica ed armonia di colori, nella rappresentazione di un mondo idealmente perfetto, sereno, di

pace quasi sovrumana. Muore a Bruges nel 1441.

HIERONIMUS BOSCH

La discussa figura artistica del Bosch va senza dubbio collocata fra le più alte della storia

dell’arte nordica, anche per la singolare originalità della sua fantasia. Più che gli scherzi

demoniaci e le grottesche meraviglie raccontati dai suoi dipinti, ci emoziona soprattutto la sua

visione angosciata del mondo fiammingo, colto nel momento di acuta crisi, caratterizzata dal

contrasto fra l’indifferenza edonistica della borghesia cittadina e gli aneliti rigoristici del

moralismo medioevale.

Non si sa quasi nulla della vita di Hieronymus Bosch, il cui vero cognome era probabilmente van

Acken, ribattezzato dalla cittadina di S’Hertogenbosch, dove risiedette. Appartenne alla

Confraternita di Nostra Signora, una delle tante istituzioni religiose che si proposero di

contrastare la dissolutezza licenziosa della vita fiamminga. Fu probabilmente in contatto anche

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con sette eretiche, e si interessò di magia, come appare ad evidenza dalle sue pitture. La sua

attività si svolge a partire dal 1486, e supera di poco il principio del Cinquecento.

Pur dipingendo soggetti del tutto inusitati, il Bosch deve considerarsi strettamente legato allo

stile pittorico della tradizione fiamminga. La sua visione spaziale si avvicina a quella dei suoi

maggiori contemporanei, dal Memlinc al David,, e il colore si distende su vasti paesaggi con

delicatezza sfumata, nella tipica prospettiva aerea. Nel Giardino delle delizie del Prado, uno dei

suoi capolavori, il Bosch sembra riunire tutte le bizzarrie e la immaginazione della miniatura

medioevale, per creare una visione surrealistica, di una umanità gioiosa, trascinata al più sfrenato

divertimento ma stretta dall’indicibile angoscia della pazzia. Significati simbolici e grotteschi si

possono trovare nelle innumeri figurette mostruose, strani uccelli o pesci o animali con fattezze

umane: come a mortificare la carne in una misteriosa, ironica tregenda. Così appare anche nelle

Tentazioni di Sant’Antonio, e nelle Scene infernali o nel Paradiso del Palazzo Ducale di

Venezia. In queste ultime opere – verso il 1500 – il Bosch apprezza la luminosità dei colori

veneti e ravviva la sua tavolozza con sorprendenti intuizioni della verità naturale. Muore a

S’Hertogenbosch nel 1516.

ALBRECHT DURER

Il problema del Dùrer come artista è la rappresentazione e la conoscenza della realtà. Sia che

incida le fattezze di un volto, sia che descriva i mille particolari di un ampio paesaggio o i tenui

fili d’un ciuffo d’erbe, Dùrer è sempre risolutamente se stesso: acuto e analitico, ma

poeticamente libero da ogni imposizione, capace di toccare sempre un’altissima sintesi formale

che è messaggio congiunto di bellezza e di austerità.

1471: nasce a Norimberga Albrecht Dùrer. Suo padre, orefice, è il suo primo maestro, seguito

poi dall’incisore Michel Wolgemut. Gli interessi pittorici del Dùrer si orientano verso i

Fiamminghi, specie durante i viaggi giovanili, che lo portano a contatto con i seguaci del Van

Eyck e del Van der Weyden in Germania. Anche la lunga pratica di incisore e di illustratore di

libri, svolta a Norimberga e a Basilea, vale a nutrirlo di una formidabile tecnica realistica.

Sposa nel 1494 Agnes Frey a Norimberga, e poi parte per Venezia, dove si trattiene nelle

botteghe dei Vivarini e dei Bellini , conoscendo certamente anche le opere padovane del

Mantegna. E’ la esperienza decisiva per il giovane e geniale tedesco, e ne sono testimonianza i

primi capolavori grafici: l’Apocalisse (1498), la Passione e la Vita di Maria (1500): raccolte di

incisioni su legno che interpretano i tradizionali motivi religiosi, con spirito rinnovatore su una

forte impronta germanica.

Nelle pitture, che vengono allineandosi fra la fine del Quattrocento e il nuovo secolo (Madonna

di Washington, pala Paumgartner di Monaco, Adorazione dei Magi degli Uffizi) il Dùrer crea

figure ed ambienti di singolare verità descrittiva, realizzati in un segno fermo e netto; mentre,

dopo un secondo soggiorno a Venezia nel 1506-7, il suo colore si addolcisce, venendo a

prevalere quasi sul disegno lineare, pur sempre incisivo e dettagliato (Adamo ed Eva del Prado,

Trinità di Vienna, Apostoli di Monaco).

Moltissimi ritratti – da quello del padre agli Uffizi, fatto a 19 anni, agli autoritratti del Louvre,

del Prado, di Monaco – testimoniano la vena più autentica del Dùrer: un realismo sublimato a

perfezione formale e fatto poesia. Muore a Norimberga nel 1528.

PIETER BRUEGHEL

Nonostante il facile riferimento alla pittura del Bosch, tutto il mondo poetico del Brueghel si

muove su un piano diverso. All’angoscioso moralismo medioevale del primo, vengono ora a

sostituirsi l’umoristico giudizio, la critica stravagante, la grottesca caricatura. La grandezza del

Brueghel sta nel superamento di ogni atteggiamento rigoristico, per prendere contatto con una

natura che tutto riassume in sé, limite supremo di una panica partecipazione umana.

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1525-30:: nasce nella Campine del Brabante Pieter Brueghel, e si trasferisce giovinetto a

Bruxelles, alla scuola di Pieter Coecke. Più che darsi al generico stile rinascimentale

“italianeggiante”, che era di moda in quel tempo, segue la tradizione realistica fiamminga e

prepara illustrazioni per libri e disegni per stampe nella officina dei “Quattro Venti” di Anversa.

Neppure un lungo viaggio in Italia, nel 1552-53, lo persuade alla pittura monumentale, mentre

invece rimane emozionato dalla ricchezza del paesaggio meridionale, ricordato innumeri volte in

schizzi e disegni. Solo nel 1557 conosciamo il suo primo dipinto, un Paesaggio fluviale con

seminatore (collezione Stuyck di Anversa): l’ampia vallata è colta dall’alto, le figurette

contadinesche sono ridotte a insignificanti apparizioni, di fronte alla immensità grandiosa della

natura. L’innato realismo lo porta poi alla osservazione della vita popolare, che ritrae nelle

scene del Carnevale e Quaresima (1159, Museo di Vienna), o nella giostra turbinosa dei Proverbi

(1559, Museo van der Bergh di Anversa) e dei Giochi di Fanciulli (1560, Museo di Vienna).

Dopo aver sposato la figlia del Coecke nel 1563, si trasferisce da Anversa a Bruxelles, e dipinge

alcune opere di soggetto tradizionale, come il Trionfo della Morte (Prado), la Caduta degli

Angeli (Museo di Bruxelles), la Torre di Babele (1563, Museo di Vienna), l’Andata al Calvario

(1564, Museo di Vienna).

Pur rinnovando talvolta la vecchia iconografia, qui si dimostra spesso a disagio, mentre invece

ritrova la sua vena poetica nella serie delle Stagioni (Vienna e New York, Metropolitan) o nelle

Feste Nuziali. La sua visione della natura si fonda su una umanità autentica, osservata con

occhio serenamente comprensivo, amata con umiltà. Muore a Bruxelles nel 1569:

L’ARTE DEL CINQUECENTO IN ITALIA

Anno 1503: elezione del papa Giulio II. 1511: Lega Santa contro i Francesi 1516: L’Ariosto

pubblica L’Orlando Furioso. 1519: Carlo V Imperatore di Spagna, Paesi Bassi e Germania.

Guerre contro Francesco I sul suolo italiano. 1527: sacco di Roma da parte degli Imperiali.

1529: pace di Cambrai: Lombardia e Napoletano agli Spagnoli. 1574: Emanuele Filiberto

realizza l’indipendenza del Ducato di Savoia. 1575: il Tasso termina la Gerusalemme Liberata.

1577: disastroso incendio del Palazzo Ducale a Venezia.

Mentre la penisola italiana è teatro di continue guerre di supremazia fra la Francia e l’Impero

ispano-germanico, cui i Principati italiani e il Papato partecipano in complessi rovesciamenti di

situazioni politiche, gli artisti danno al Cinquecento una impronta grandiosa, realizzando tutte le

premesse della rivoluzione estetica rinascimentale, poste nel secolo precedente.

DA LEONARDO A MICHELANGELO

Dapprincipio, artisti toscani operanti nell’Italia del Nord, specie a Milano, come Bramante e

Leonardo, dominano il campo figurativo: essi si ispirano a una grandiosità classica

nell’architettura mentre approfondiscono il valore naturalistico e conoscitivo della pittura,

concepita come una geniale scienza del Bello. L’esperienza leonardesca sarà fondamentale per

Raffaello e Michelangelo, i due geni che fanno indimenticabili per l’arte gli anni del Papa Giulio

II e Leone X, con le creazioni delle stanze Vaticane e della Sistina. Roma papale è di guida

anche nel campo architettonico, con le opere del Sangallo e del Peruzzi.

Nell’Emilia, la lezione di Leonardo è rinnovata dal Correggio, creatore di una pittura

melodiosamente naturalistica e di suprema eleganza.

LA SCUOLA VENEZIANA

Intanto era venuta crescendo l’importanza della scuola veneziana, destinata a costituire, con

Roma, l’altro polo dell’attività artistica italiana del secolo. Già nei primi anni del Cinquecento,

Giorgione pone le basi di un vocabolario espressivo fondato sul puro “colore”. Dopo di lui,

Tiziano punta sulla vitalità drammatica dei personaggi: sono famosi i ritratti dei protagonisti

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dell’epoca, dall’Imperatore Carlo V a Filippo II, dal Papa Giulio II a Paolo III e a Francesco I:.

Tutta la città dei Dogi,capitale di uno stato ormai assurto a potenza europea, si arricchisce di

palazzi stupendi, valendosi di architetti come il Sansovino e il Sanmicheli. La seconda metà del

secolo vede estendersi ovunque in Italia una civiltà artistica di suprema raffinatezza, anche se

spesso resa accademica nella imitazione di Raffaello e di Michelangelo. Ne sono fautori gli

architetti Vasari e Ammannati a Firenze. A Roma, il Vignola già indica il passaggio alle forme

più elaborate del Barocco, mentre anche a Venezia si nota un più forte influsso della cultura

rinascimentale romana. Ma continua soprattutto a trionfare il colore veneziano con le opere del

Tintoretto, del Bassano, del Veronese. Numerose sono anche le ville nella campagna veneta, che

soprattutto il Palladio viene edificando con classico e sensibilissimo stile.

Prodotto della cultura veneta del tardo rinascimento è anche Domenico Teotocopuli, attivo

dapprincipio nella città delle lagune, celebre poi in Spagna con il soprannome di “El Greco”.

DONATO BRAMANTE

Col Bramante l’architettura del Rinascimento esce dalla fase del puro geometrismo

quattrocentesco, per realizzare le forme ideali di un “Bello”, che trova il suo parallelo soprattutto

nell’opera pittorica di Leonardo. Spesso astratte e profondamente intellettuali, le architetture del

Bramante mostrano la loro altezza poetica nella libertà del chiaroscuro, che le inserisce, come

oggetti di perfezione plastica inarrivabile, nell’ambiente naturale.

1444: nasce a Monte Asdruvaldo Donato Bramante, che nel 1477 firma gli affreschi del Palazzo

della Ragione di Bergamo. La sua formazione artistica va posta evidentemente nell’ambiente

urbinate, fra Piero della Francesca, Melozzo e il Laurana, arricchita da incontri con l’Alberti e il

Mantegna a Mantova. La maggior parte della sua prima attività si svolge a Milano, dove lascia

una imponente decorazione a fresco in casa di Panigarola (ora a Brera), con filosofi, armigeri e

cantori: figure dal piglio eroico, immerse in una luce cristallina, che ne esalta la monumentalità.

A partire dal 1482 si dedica principalmente all’architettura, ricostruendo San Satiro a Milano,

con impiego di mezzi illusionistici (come nel famoso presbiterio finto in prospettiva), e di una

ricca decorazione in cotto (sagrestia). Dopo un intervento nel Duomo di Pavia, costruisce a

Milano l’abside di Santa Maria delle Grazie (1497), capolavoro di decorazione raffinata in

terracotta, e annuncio di prossimi sviluppi spaziali della sua architettura, per le forme ampie e

scenografiche dell’interno.

Nel 1499 Bramante è a Roma, dove trova, nell’ambiente classico, l’avvio a forme plasticamente

monumentali. Il primo lavoro nel chiostro di Santa Maria della Pace già offre la misura di

questa riscoperta classicità; mentre annuncia il capolavoro di San Pietro in Montorio, iniziato

nel 1503, in forme centrali che arieggiano antichi modelli. Nel 1506 Papa Giulio II lo incarica

della costruzione del nuovo San Pietro, che Bramante concepisce come un grandioso sistema

cupolare, inserito su una pianta a croce greca. Nei palazzi vaticani riordina il giardino del

Belvedere, di cui ci resta il grandioso nicchiane terminale. Muore a Roma nel 1514.

RAFFAELLO

Facile all’apparenza, per la immediatezza affettuosa delle immagini, che però rispondono sempre

ad un principio di perfezione intellettuale e formale, Raffaello è in realtà poeta raffinato, di

interessi culturali e spirituali vastissimi. Nella breve vita, viene a contatto con i maggiori geni

del Rinascimento, superando ogni suggerimento in una esperienza personalissima. Spirito

unificatore, Raffaello è così uno degli interpreti esemplari del Rinascimento italiano.

1483: nasce a Urbino Raffaello, figlio del pittore Giovanni Santi. Orfano a undici anni, impara

l’arte nella bottega paterna. I suoi maestri furono Timoteo Viti , esperto nella pittura emiliana, e

il Perugino,, ma più che tutto agì in lui l’ambiente raffinato della corte di Urbino, memore

dell’opera di Piero della Francesca e del Laurana. Il contatto col Perugino – documentato dallo

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Sposalizio della Vergine di Brera – è intenso ma breve, e il passaggio a Firenze, avvenuto nel

1504, segna una tappa decisiva per l’artista, posto a contatto con Leonardo e con Michelangelo.

E’ qui che Raffaello dà la misura della sua grandezza, interpretando in modo personalissimo le

conquiste dei due maestri, e volgendo la monumentalità dell’uno e il colore elaboratissimo

dell’altro a una resa quanto mai immediata dei valori spirituali ed umani. Prova ne sono le

numerose Madonne, dipinte in questo periodo, tra cui quella del Granduca e quella del

Cardellino di Firenze, quella del Belvedere di Vienna, quella detta “la Bella Giardiniera” del

Louvre.. L’interesse psicologico ed umano di Raffaello lo porta anche al ritratto, in cui presto

eccelle su tutti: famosi quelli di Angelo e Maddalena Doni, a Pitti. Nel 1508 Raffaello è a Roma,

chiamato dal papa Giulio II, per il quale decora a fresco le Stanze del palazzo Vaticano. Le

grandiose composizioni con la Disputa del Sacramento, la Scuola d’Atene, la Cacciata di

Eliodoro, la Messa di Bolsena, la Liberazione di San Pietro, compiute entro il 1514,

documentano la originalità dello spirito di Raffaello, vero interprete della estetica rinascimentale.

Negli ultimi anni, prendono eccezionale rilievo alcuni ritratti, come quelli del nuovo Papa Leone

X degli Uffizi, o il Baldassar Castiglione del Louvre , colti nella pienezza morale della loro

umanità, e realizzati con una tavolozza polifonica di suprema bellezza. Prefetto delle antichità, si

occupa anche degli scavi vaticani, e partecipa ai lavori per la costruzione di San Pietro,

sostituendo il Bramante. Muore a Roma nel 1520.

LEONARDO

La figura di Leonardo, nella storia della cultura e dell’arte del Rinascimento, è tra quelle

fondamentali. Nei più diversi ambienti, esercita infatti una funzione rivoluzionaria rispetto alle

concezioni tradizionali dell’arte, non più intesa come riproduzione della natura, ma come la

stessa creazione del Bello. A tal uopo si vale di un eccezionale metodo di ricerca, che gli

permette di penetrare in tutti gli aspetti della natura, con l’aiuto inimitabile del disegno pittorico

e della osservazione scientifica.

1452: nasce a Vinci Leonardo di Ser Pietro e si trasferisce presto nella vicina Firenze, dove

entra nell’ambiente del Verrocchio. Giovanissimo, prende viva parte alla vita artistica e impone

la sua acuta intelligenza conoscitiva, dedicandosi soprattutto allo studio del paesaggio. Subito

favorito dal successo, dipinge varie Madonne e ritratti, con meditata lentezza,sperimentando

tecniche diverse, che spesso danno esiti infelici.. La Adorazione dei Magi, dipinta nel 1481 per i

frati di San Donato a Scopeto, è la prova di questa inesausta ricerca, ed è lasciata interrotta.

Nello stesso periodo Leonardo approfondisce studi di biologia, fisica, filosofia, e musica

avvicinandosi pressocchè ad ogni aspetto della conoscenza umana: vero esempio, in ciò, di

genio universale dell’Età del Rinascimento.

Nel 1482 si reca a Milano, compiendo per Ludovico il Moro varie opere di ingegneria militare,

di idraulica, di bonifica e di architettura. Appartengono a questo periodo la Vergine delle

Rocce,, capolavoro della visione analitica della natura, e il famosissimo Cenacolo di Santa Maria

delle Grazie (1495-97), irreparabilmente compromesso dall’uso della tempera sull’intonaco,

invece del “buon fresco”. Nel 1500 è chiamato a Venezia dalla Repubblica e progetta

sottomarini e altri ingegnosi strumenti bellici. Suoi sono anche i primi studi sul volo umano e

sul principio dell’elicottero.

Chiamato a Firenze nel 1502, inizia la Battaglia d’Anghiari in Palazzo Vecchio, che rimane

incompiuta ed è presto perduta, pur suscitando entusiasmo nei contemporanei. Tornato a

Milano, dopo un breve soggiorno a Roma, si trasferisce nel castello di Cloux, presso Amboise in

Francia, recando con sé pochissimi quadri, tra cui il San Giovannino, la famosa Gioconda, e

forse la tavola con la Vergine, Gesù e Sant’Anna, ora al Louvre. La tecnica raffinatissima gli

permette di completare queste opere con eccezionale evidenza realistica, quasi una misteriosa

“evocazione” di figure umane nello spazio colorato della natura. Muore a Cloux nel 1516.

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MICHELANGELO

Scultore,pittore, architetto, Michelangelo si pone al centro del periodo più drammatico della

civiltà rinascimentale. Dapprima, legato agli ideali quattrocenteschi, ammira l’antichità classica,

che gli appare modello di bellezza. Poi distrugge quei suoi stessi miti, imponendo una nuova

visione artistica e filosofica, chiusa in un monologo solitario, agitata da una insoddisfazione

perenne per i limiti della materia, che si esprime nelle numerose opere “non finite”, e perciò

spesso tragicamente sofferte.

1475: nasce a Caprese Michelangelo Buonarroti; allievo nella bottega del Ghirlandaio a Firenze

nel 1488. A quattordici anni frequenta i Giardini Medicei e la società colta degli amici di

Lorenzo il Magnifico. Le sue prime opere sono di scultura, tratte da modelli classici, ma aperte

ai più moderni suggerimenti dei grandi scultori toscani, da Giovanni Pisano a Jacopo della

Quercia. Trasferitosi a Roma nel 1498, scolpisce la Pietà di San Pietro, prima affermazione della

sua potenza drammatica ed umana.

Tornato a Firenze ormai famoso, compie in un unico blocco gigantesco il David. Una giuria di

geni, fra cui Leonardo, Botticelli e il Sangallo ne decreta il collocamento di fronte a palazzo

Vecchio in Firenze. Frattanto, sollecitato dall’esempio di Leonardo,Michelangelo dipinge la

Sacra Famiglia degli Uffizi (1503-4), splendido documento di un modo di figurare del tutto

originale, dove la stessa pittura assume valore di simbolo plastico.

Nel 1505 Giulio II lo chiama a Roma, dove poi, dal 1508 al ’12 compirà la volta della Sistina.

In seguito, si dedica alla realizzazione della tomba di Giulio II, mai terminata, di cui ci restano le

statue dei Prigioni e il Mosè. Nel 1520 ritorna a Firenze, e innalza la Sagrestia Nuova di San

Lorenzo con le tombe Medicee e le famose sculture del Giorno e della Notte, l’Aurora e il

Crepuscolo.

Torna a Roma nel 1536, per completare la Sistina con l’affresco del Giudizio Universale:

grandiosa composizione piena di movimento, drammaticità espressiva e terribile furore umano.

La vocazione dell’architetto lo riprende in quell’epoca tarda, con la piazza del Campidoglio e la

cupola di San Pietro (1547). Le ultime opere sono però ancora di scultura, tra cui la Pietà di

Santa Maria del Fiore. Muore quasi d’improvviso, mentre lavora alla Pietà Rondanini, a Roma,

nel 1564.

CORREGGIO

Correggio raggiunge non a caso la sua massima fama nella elegante e raffinata stagione del

Settecento europeo. Egli volge infatti i tradizionali temi dell’umanesimo in sapidi epigrammi di

ellenistica eleganza, che furono poi soprattutto apprezzati dalla cultura illuministica. Anche la

libertà del suo linguaggio compositivo, realizzato in una spazialità dinamica, già indica

evoluzioni successive al Rinascimento.

1489(?): nasce a Correggio Antonio Allegri, che prende poi il soprannome dal luogo d’origine.

Nella formazione fra Mantova, Ferrara e Bologna, risente dapprima della particolare atmosfera

figurativa di quelle città, nel primo Cinquecento. Influenze della grande pittura ferrarese del

Quattrocento e venete, si mescolano a quella fondamentale del Mantegna, sicchè le prime opere

ne ricordano spesso la composizione equilibrata ed il colorismo pungente, un po’ acidulo.

La esperienza decisiva è il contatto con l’opera di Leonardo, interpretata con una tavolozza

teneramente sfumata, che leva dalla penombra dolci figure di Madonne, Sacre Famiglie,

Adorazioni di Pastori e Magi. La religiosità del Correggio ha però carattere idillico, intimamente

famigliare, e presto si risolve in una particolare attenzione alla natura. Basterà ricordare certe

famose figurazioni, come la Zingarella di Napoli, o la Madonna adorante degli Uffizi.

Nel 1518 il Correggio compie la volta della camera della Badessa del convento di San Paolo a

Parma: una festa di immagini fresche e sonore, inserite con ritmico brio entro la decorazione

vegetale di un pergolato, che, nel suo realismo, va ben oltre gli esempi del Mantegna a Mantova

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e di Leonardo a Milano, certamente presenti all’artista. Dopo il ’20, mostra contatti con

Michelangelo e Raffaello, specie nella decorazione di San Giovanni Evangelista e del Duomo, in

cui la luce si fa protagonista, animando il vorticoso movimento delle figure.

Negli ultimi anni, verso il 1530, tenta composizioni di straordinaria vivacità, come la Madonna

col San Gerolamo di Parma o la notturna Adorazione dei Pastori di Dresda. Torna spesso anche

alle tele di soggetto profano, con la Danae della Galleria Borghese, l’Antiope del Louvre, la

Leda di Berlino: capolavori di smagliante ricchezza cromatica, soffusi di sorridente dolcezza.

Muore a Correggio nel 1534.

GIORGIONE

Caposcuola della prima generazione cinquecentesca veneta, Giorgione porta a compimento le

anticipazioni di Giovanni Bellini, per la conquista di un linguaggio di puro colore. Aperto alla

contemplazione della natura, amico di filosofi, letterati e musicisti, Giorgione impersona gli

ideali del Rinascimento, preparando la via ai maggiori rappresentanti della pittura veneta, primo

fra tutti Tiziano.

1476: nasce a Castelfranco, presso Treviso, Giorgio, detto Giorgione per la grande statura.

Pochissimi documenti ricordano il suo arrivo ancor giovane a Venezia, dove comincia a

dedicarsi alla pittura, mostrandosi anche abilissimo nel suonare e cantare. Fa parte della giovane

generazione di poeti, filosofi, collezionisti illuminati, che sul primo Cinquecento sostennero la

nuova visione spirituale del Rinascimento. Per primo, nella Venezia di Giovanni Bellini e di

Carpaccio, si dedica quasi interamente ad opere “da cavalletto”, in piccole misure, destinate ad

un pubblico raffinato. I suoi ritratti, come quello di Berlino,sono presto famosi per la sottile

penetrazione psicologica e la finezza dell’esecuzione, tanto da poter competere con le opere dei

maestri fiamminghi.. Nelle poche pitture d’altare si ispira al Bellini, e talvolta al Carpaccio,

assumendone soprattutto la libertà pittorica e un colorismo sfumato in delicate tonalità.

Ricordiamo la pala di Castelfranco, in cui la visione della natura è squisitamente lirica, e giunge

a realizzare un mondo poetico in cui le figure umane e le cose si fondono in una pensosa

malinconia.

Verso la fine della brevissima vita, Giorgione sembra volgersi a figurazioni in cui il paesaggio

assume valore di protagonista, per la immediata evocazione del colore. Sono famosi i suoi

soggetti della Tempesta, dei Tre Filosofi, della Venere, tutti bilanciati fra l’interesse del primo

piano con le figure umane, e l’ambiente liricamente sognato. Negli ultimi due anni, Giorgione

ha per scolaro Tiziano, cui trasmette il suo senso cromatico melodioso e profondo, collaborando

agli affreschi del Fondaco dei Tedeschi, oggi quasi interamente perduti. Muore di peste a

Venezia , nel 1510.

TIZIANO

Per quasi tre quarti di secolo, Tiziano domina la scena della pittura veneziana. La lunga vita,

infatti, lo porta ad aprire la sua attività col Bellini e il Giorgione, per chiuderla quando già i suoi

stessi seguaci, nel tardo Cinquecento, avevano largamente raggiunto la maturità. Eppure la sua

opera dimostra una invincibile unità stilistica e una costante altezza di poesia: per sua mano, il

colorismo veneziano approfondisce i propri mezzi espressivi, fissando il carattere distintivo di

tutta una scuola.

1490 (?) nasce a Pieve di Cadore Tiziano Vecellio, e presto si trasferisce a Venezia. E’ dapprima

nella bottega del Bellini, per affiancarsi poi al pittore più geniale del suo tempo: Giorgione. Non

ancora ventenne nel 1508, decora con lui a fresco il Fondaco dei Tedeschi, e ne ricava maggior

lode dello stesso maestro. In quell’epoca, altre pitture di Tiziano sono talmente vicine a

Giorgione, da esser confuse: ricordiamo il famoso Concerto campestre del Louvre e gli affreschi

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della Scuola del Santo a Padova, capolavori di una personalità che ormai ha superato la

idealizzata visione “ umanistica”, per cogliere con spirito prepotente la natura reale.

Col secondo decennio del cinquecento la concezione sentimentale del personaggio umano si

allarga ancora e nascono solenni figure di “eroi”. Ricordiamo alcuni famosi ritratti, e l’Assunta,

seguita dalla pala Pesaro della chiesa dei Frari a Venezia. E’ tutto il vocabolario espressivo della

pittura veneta che si rinnova, e non fanno meraviglia le lodi che accompagnano l’opera di

Tiziano, pubblicamente confrontata a quella di Raffaello e di Michelangelo.

Le sue opere mature, come i ritratti della Bella, la Maddalena, l’Inglese e i Duchi di Urbino a

Pitti, Francesco I di Francia al Louvre, Carlo V al Prado, mostrano una grande libertà di tocco

pittorico, sempre più arditamente libero da ogni limite del “disegno”, come veniva inteso dai

Toscani e dai Romani. Anzi, la crisi contro il plasticismo toscano culmina quando Tiziano,

verso il 1545, va a Roma: la sua Danae di Napoli, dipinta allora, suscita insieme l’ammirazione

e i rimbrotti di Michelangelo, che ne loda il colore, rammaricandosi però che “ a Venezia non si

imparasse da principio a disegnare”. Quello che al grande Toscano sembrava un difetto, era

però la forza di Tiziano, proteso sino alla fine a realizzare opere sempre più libere nella forma

pittorica. Muore di peste a Venezia, nel 1576.

ANDREA PALLADIO

Mentre l’arte veneta pone in crisi gli ideali estetici del Rinascimento Toscano, il Palladio

sembra riproporre una visione di limpida classicità. Il suo è un atteggiamento intellettuale teso a

interpretare il mondo delle forme antiche con una acuta, critica spiritualità, che lascia largo

margine alla fantasia poetica per l’affermazione di un nuovo modello di ideale armonia.

1508: nasce a Padova Andrea Palladio, figlio di un mugnaio. A dodici anni è collocato al lavoro

presso uno scalpellino; fugge a Vicenza, ma è costretto a ritornare presso la bottega del padrone.

Nel 1524 torna definitivamente a Vicenza, dove svolge per oltre un decennio una modesta

attività di marmista. La fortuna viene nel 1537, per merito dell’umanista Gian Giorgio Trissino,

che lo impiega nella costruzione della sua villa a Cricoli, e poi lo porta con sé a Roma, nel 1541.

Palladio ne torna esaltato dalla grandezza delle architetture classiche, e con un bagaglio

ricchissimo di disegni, che utilizza nella realizzazione della sua prima architettura a Vicenza: il

maestoso quadriportico a due piani, che riveste l’antica Basilica. E’ subito evidente che un

calore pittorico veneto anima le strutture classiche, e dona loro nuovo respiro di attualità.

Nelle successive opere, palazzi e ville vicentine, e nella campagna veneta, il Palladio appare

sempre più libero, inserendo schemi classici entro l’aperta dolcezza coloristica del paesaggio,

come nelle famose ville della Malcontenta e nella Rotonda di Vicenza. A Venezia, fra il ’60 e il

’70, lavora nella chiesa di S: Giorgio, seguita nel 1572 dal Redentore, vero capolavoro del suo

linguaggio luminoso e riposato.

Dopo i restauri del Palazzo Ducale, che frattanto era bruciato, torna a Vicenza, dove compie

l’ultima opera, il Teatro Olimpico, adattando in un ristretto ambiente gli schemi monumentali dei

teatri romani all’aperto. Così, fino alla fine, si mostra fedele alla interpretazione pittoresca della

classicità, che doveva dare un carattere permanente alla successiva architettura veneta. Muore a

Venezia nel 1580.

TINTORETTO

Jacopo Tintoretto rappresenta – forse suo malgrado – l’antagonista di Tiziano. Più giovane di

una generazione, è sensibile ai richiami anticlassici del manierismo emiliano e michelangiolesco.

Si sottrae così all’imperio del colore veneziano, sostituendovi un dinamico linguaggio

chiaroscurale, di luci ed ombre violente. Sono suoi protagonisti prediletti le folle anonime e

credenti, che egli sa inserire in uno spazio animato e drammatico.

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1518: nasce a Venezia Jacopo Robusti, chiamato, dalla professione del padre, Tintoretto. I

biografi raccontano che, giovanissimo, fosse scacciato per gelosia dalla bottega di Tiziano. Ma

certamente, i suoi maestri vanno cercati fra i fautori del Manierismo, dal Parmigianino a

Michelangelo, dal Pordenone a Bonifacio. Più che tutto, la rappresentazione plastica della forma

in movimento sembra interessare il giovane artista, di cui son note le disavventure iniziali, forse

fomentate dalla gelosia di Tiziano.

Nel 1548, con il Miracolo dello schiavo, compiuto per la Scuola di San Marco ed accettato per

l’intervento del famoso critico Pietro Aretino, Tintoretto – a soli trent’anni – può dirsi affermato.

Il suo linguaggio, ancora vivacemente cromatico, è però fondamentalmente inteso alla

esaltazione plastica delle forme, sicchè venne facile l’accusa di imitazione michelangiolesca.

Ma Tintoretto mostra presto, con le Tre Storie di San Marco (oggi alle Gallerie di Venezia e a

Brera), dipinte verso il 1560, che il suo dinamismo plastico era un modo per conquistare la più

libera disposizione del colore, animato da una luce sempre più irreale, artificiosamente diretta

dallo stesso artista sui punti focali della composizione. Si vedano a questo proposito il San

Giorgio di Londra o la Susanna di Vienna.

La grande avventura del Tintoretto è la decorazione della Scuola grande di San Rocco, condotta

in circa vent’anni, con straordinaria altezza di raggiungimenti poetici. Dalla Crocifissione del

1564, alle storie della Bibbia e del Vangelo del salone superiore (1576-81), fino a quelle ultime

del salone terreno (1583-87), il luminismo dal Tintoretto si fa sempre più essenziale. L’animata

espressione del movimento già indica la vicina stagione del Barocco. Muore a Venezia nel 1594.

VERONESE

A differenza di quella dei suoi contemporanei Tiziano e Tintoretto, la pittura di Paolo Veronese

assume le forme di un luminoso decorativismo. Le sue placide stesure cromatiche, che si

imbevono di luce solare, sono distese con festosa facilità su pareti di ville patrizie e su tele, nel

palazzo dei Dogi o in chiese grandiose: quasi un esaltante commento alla gioia di vivere della

Venezia cinquecentesca.

1528 (?): nasce a Verona Paolo Caliari, detto poi il Veronese. Educato nella città natale, in un

ambiente che si ispirava al manierismo romano ed emiliano, Paolo giunge a Venezia verso il

1551. Subito si fa notare per il fresco colorismo e i timbri argentei della tavolozza, specie nelle

pitture della chiesa di San Sebastiano. Le sue figure mostrano una olimpica serenità, e i colori

sono di una luminosità gioiosa: così Paolo rinnova il gusto veneziano, adusato al denso e

drammatico linguaggio tizianesco, e si sottrae anche alle ricerche plastiche che tanto interessano

il Tintoretto. Attorno al 1560, collabora con il Palladio nella villa Maser, adornando le stanze di

affreschi, che aprono illusionisticamente le pareti sul chiaro paesaggio. Alcune famose Cene

documentano la sua opera in vari monasteri e chiese veneziane e della provincia: e ricordiamo la

Cena in casa di Levi delle Gallerie, e quella del Louvre, con in primo piano un “quartetto” di

suonatori che ritrae lo stesso Veronese, Tiziano, Tintoretto e Jacopo Bassano.

Dopo l’incendio del Palazzo Ducale di Venezia, nel 1575 è chiamato a rifare il soffitto della sala

del Collegio. In questo, che è il suo capolavoro, Paolo colloca una serie di tele allegoriche,

creando una mitologia di immagini fresche e luminose, tali da chiudere trionfalmente il secolo

d’oro della pittura veneziana.

Le Allegorie dipinte per l’imperatore Rodolfo II (1576-84), ora alle Gallerie di Venezia e nelle

collezioni Frick e del Metropolitan di New York, offrono l’ultimo esempio della sua raffinata

classicità. Le opere estreme rivelano una sensibilità nuova a problemi di luce crepuscolare e

patetica. Muore a Venezia nel 1588.

EL GRECO

Il Greco, nativo di Candia e largamente operante in Spagna, si è formato negli ambienti artistici

di Venezia e di Roma: ciò ne giustifica l’inserimento nel contesto della pittura italiana. Attivo

nell’inquieta stagione della crisi manieristica, partecipa degli ideali del Rinascimento, e vede

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nascere le nuove forme barocche. Ispirandosi ai grandi veneziani ne trasforma la visione

sontuosamente coloristica in una sintesi drammatica di colore e segno, irreale come un sogno,

espressiva soprattutto là dove perde il contatto con la realtà delle cose. La sua è una pittura

misticamente esaltata, specchio delle angosce religiose del suo tempo.

1541: nasce a Candia Domenico Teotocopuli, chiamato poi “ el Greco”. Probabilmente verso il

1560 si trasferisce a Venezia, dove opera per una decina d’anni nell’ambiente dei fabbricanti di

icone (“madonnari”), ma guarda ai più grandi artisti, e frequenta la bottega di Tiziano. Nel 1569

va a Roma per un breve soggiorno, che gli permette di vedere Michelangelo, della cui potenza

plastica certamente si entusiasma. E’ probabile che poi sia ritornato a Venezia, per passare di lì

definitivamente in Spagna.

Nel 1577 prende dimora a Toledo, fino a pochi anni prima capitale della Spagna, e si inserisce

nella società più colta, tra cui brillano letterati come il Cervantes, Lope de Vega e il Gongora;

dipinge per le chiese, fa ritratti e raggiunge un successo incontrastato. L’ambiente toledano,

acceso di un forte misticismo controriformistico, è affine alla sua vocazione figurativa, anche se

le prime opere, come l’Assunta di Chicago (1577) e la sepoltura del Conte Orgaz della chiesa di

San Tomaso (1586) ricordano ancora il pastoso colorismo di Tiziano e le dinamiche strutture

tintorettesche.

Le qualità di ritrattista del Greco emergono poi in modo singolare, con caratterizzazioni

allucinate, che sembrano trasformare i personaggi in simboli spirituali, di un lancinante

misticismo. Sono degli anni tra il 1590 e il 1600 certi ritratti, come quello di un Gentiluomo del

Prado, il Cardinal Guevara del Metropolitan o il San Gerolamo della collezione Frick.

Le ultime opere, nel Seicento, rivelano la distruzione della visione rinascimentale dello spazio,

portando le figure sul primo piano, rovesciate in una sorta di visione cubistica in cui il colore

assume effetti surreali. Sono questi gli ultimi capolavori, con l’Assunzione di Toledo (c:1610) e

l’Orazione nell’Orto (N. Gallery di Londra). Muore a Toledo nel 1614.

L’ARTE DEL SEICENTO

Anno 1606: scomunica di Paolo V contro Venezia. Lotte in Europa fra Cattolici e Protestanti.

1613: Claudio Monteverdi eletto Maestro di Cappella a Venezia. 1616: muore William

ShaKespeare. Il Cervantes pubblica il Don Chisciotte . 1618 guerra dei trent’anni fra Austria e

l’Impero. 1632: Galileo Galilei pubblica il “ Dialogo sopra i massimi sistemi”. 1642: lotta fra

la corona inglese e i puritani di Cromwell. 1647: rivolta di Masaniello a Napoli. Pubblicazione

dei “Pensieri” di Pascal. 1661: inizio del regno di Luigi XIV, il Re Sole. Newton scopre la

gravitazione universale. 1697: dopo dieci anni di guerre antifrancesi, la pace di Rijswick

riconosce la neutralità dell’Italia.

L’arte del Seicento, specialmente in Italia, è stata lungamente sottovalutata, sotto l’accusa di

essere “barocca”, cioè degenerata rispetto a quella del Rinascimento. Le si è attribuita la taccia

di essere stata sforzata ad esprimere forme bizzarre, spropositamente decorative, retoricamente

stupefacenti, tal quali apparivano le manifestazioni di una certa minore letteratura, che

effettivamente caratterizzava il secolo.

IL BAROCCO

Oggi è noto che il termine “barocco” non deve essere inteso soltanto negativamente, ma che anzi

esso rappresenta il momento di svincolo dalla stessa Rinascenza. E non si può dimenticare che il

Seicento è anche il secolo dei grandi architetti romani, come il Bernini e il Borromini, della

“Scienza moderna” di Galileo, del Caravaggio e di Rembrandt, del classicismo di Poussin e della

grandiosa Versailles del Re Sole.

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Già negli ultimi decenni del Cinquecento si erano spenti, fra Venezia e Roma, gli estremi

bagliori di grandezza del “secolo d’oro”. Subentravano così dei modesti accademici,

confondendo la tradizione più alta in forme eclettiche e mediocri. Né certo la situazione politica

ed economica dell’Italia e della stessa Europa, travolta quasi ovunque da guerre fratricide e

invasa da pestilenze e miseria, favorivano il rinnovamento e la nascita di un’arte nuova. Pure, al

principio del Seicento, risorge autorevolmente la Roma dei Papi, che si dà un nuovo volto

architettonico, con l’opera del Bernini e del Borromini, Anche nel campo della pittura, da un

lato si rielabora la tradizione cinquecentesca attraverso la riforma dei Carracci; dall’altro il

Caravaggio stupisce con il suo realismo solitario, ed indica nuove vie alla pittura di soggetti

borghesi, che prevarrà poi nella seconda metà del secolo, specialmente nei paesi del Nord.

IL SEICENTO EUROPEO

Non si sottraggono a questa preminenza romana i maggiori artisti di ogni paese d’Europa. Molti

tra questi frequentano anzi il nostro paese, traendo dall’arte del primo Seicento e

dall’ammirazione dei grandi cinquecentisti incentivo a nuove e più moderne espressioni.

Rubens è a Roma al principio del secolo, ed è certamente toccato dalla visione del realismo

caravaggesco, così come lo spagnolo Velàzquez lo è da Tiziano; e, attraverso i pittori viaggianti,

lo stesso Rembrandt ha relazione precisa con l’arte italiana.

Anche gli altri ambienti italiani risentono delle esperienze rinnovatrici romane. Nell’Italia

meridionale, sarà il caravaggismo che ispirerà le forze più giovani, dal Battistello al Ribera, fino

al Preti e a Luca Giordano. A Venezia, attraverso la forza della rivoluzione espressiva di pittori

caravaggeschi o fiammingheggianti, gli artisti locali sapranno ritrovare le fonti autentiche della

tradizione del colore. Nell’Italia del Nord, lo sviluppo dell’arte seicentesca avviene

indipendentemente dalle forze che operano nei grandi centri dell’Emilia, di Roma e di Napoli.

Questa autonomia è particolarmente evidente nell’arte lombarda, legata alla tradizione

quattrocentesca della luce naturale.

Nel suo complesso, l’arte del Seicento esprime il sentimento della nuova classe mercantile, che

viene a imporsi nel quadro della vita economica europea, specie nei paesi nordici; mentre in

Italia e specialmente a Roma la magnificenza dei Papi e delle grandi famiglie ne esaltano

soprattutto i caratteri grandiosamente decorativi. Tutti insieme, i diversi ambienti preparano il

trionfo delle nuove, festose forme del primo Settecento, che continuerà, portandolo a raffinata

perfezione, il tardobarocco nel Rococò.

CARAVAGGIO

Alla fine dei manierismi tardorinascimentali, il Caravaggio imposta una visione rivoluzionaria

della pittura, restituendola a nuova libertà. Sono gli stessi anni della speculazione filosofica e

scientifica di Galileo, fondata sullo sperimentalismo: anche la “realtà” caravaggesca, infranti gli

abusati paradigmi accademici, riflette una tormentata vicenda umana, fatta di drammatici dubbi e

di angosciose esigenze morali, tesa alla ricerca della “verità”.

1573: nasce a Caravaggio Michelangelo Merisi, che prende poi il soprannome dal luogo

d’origine. Dopo una prima formazione in Lombardia, dove lo interessano soprattutto i

bergamaschi e i bresciani., come il Lotto, il Moretto e il Savoldo, si trasferisce a Roma verso il

1590. L’ambiente accademico dei postmichelangioleschi lo respinge. Ridotto alla fame, non

cede alle imposizioni dell’accademismo, ma insiste a dipingere soggetti polemici, come il Cesto

di frutti della Ambrosiana, oppure popolani che offrono frutta, o che si lasciano morsicare da

ramarri, o si fanno leggere la mano da zingari, o giocano a carte nelle osterie. Spesso si tratta di

vere e proprie “nature morte”, contemplate in schemi perfetti, con un colore vitreo e fermo, che

indaga la materia nella sua fredda realtà.

La sua dichiarazione, che è buon artista solo “chi sa imitare le cose naturali”, ci apre uno

spiraglio sui suoi programmi estetici. Nonostante questa aperta sfida alla maniera idealizzata

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della produzione corrente, il Caravaggio non tarda a farsi largo, con opere commissionate dalle

chiese. Ecco nel 1592 il corpulento San Matteo a San Luigi dei Francesi, esposto fra proteste

perché “non aveva decoro”. Lo seguono la Vocazione di Matteo e il Martirio del Santo (verso il

1598). Sono capolavori drammaticamente mossi nella luce e vibranti di una profonda verità.

Dopo il 1601 dipinge a Santa Maria del Popolo le tele di San Pietro e San Paolo; nel 1606 la

Morte di Maria (Louvre), ancora una volta respinta dai committenti di Santa Maria della Scala.

Violento nella vita come nell’arte, è costretto a fuggire a Napoli dopo una rissa. Dipinge qui nel

1606 le Opere di Misericordia, con tragici significati e colori sempre più scuriti dalla dinamica

delle luci; fugge poi a Malta e a Messina, inseguito da sicari, per terminare malato e solo la vita,

a Porto d’Ercole, nel 1610.

GIAN LORENZO BERNINI

Maestro originalissimo, il Bernini esprime in forme caratteristiche la “maniera barocca”

nell’architettura e nella scultura: grandiosità decorativa , immenso repertorio fantastico,

suggestivo sperimentalismo sentimentale. Gli fa difetto forse una ferma struttura spirituale,

sicchè il suo virtuosismo talvolta è privo di calore umano.

1598: nasce a Napoli Gian Lorenzo Bernini e a soli otto anni segue il padre trasferitosi a Roma.

Assai precoce, a vent’anni è già entrato nelle grazie del “cardinal nepote” Scipione Borghese,

protettore degli artisti, e ne decora la villa sul Pincio. Scolpisce nel 1623 il David, suo primo

capolavoro, suscitando meraviglia per la animatissima dinamica, già prepotentemente “barocca”.

L’Apollo e Dafne (1624) accentua la ricerca di effetti pittoreschi, pur sempre contenuti da un

verismo impressionante e da una solenne composizione, assunta dalla scultura classica.

Nel 1624 inizia la sua attività di architetto, con l’altare di San Pietro, concepito come una grande

costruzione scenografica. Finisce poi il palazzo dei Barberini per la famiglia del Papa Urbano

VIII, suo protettore. Alla sua morte ritorna alla scultura, e compie nel 1646 l’altare di Santa

Maria della Vittoria a Roma, che può considerarsi il suo capolavoro: le figure sembrano librarsi

nell’aria, in un trionfo di forme plastiche, realizzato con i mezzi della più straordinaria

scenografia teatrale. Il virtuosismo retorico di queste opere mature ispira anche le famose

fontane, disposte in vari punti di Roma, da quella del Tritone a quella monumentale e

macchinosa dei Fiumi a Piazza Navona.

Nel 1656 inizia, per il nuovo Papa Alessandro VII, il portico di Piazza San Pietro, cingendola

con un quadruplice cerchio di colonne, capolavoro di effetto plastico e scenografico. Le ultime

opere sono all’insegna del “colossale”, come il Costantino a cavallo dell’atrio di San Pietro

(1670), mentre nei dieci Angeli che illustrano il dramma della Passione sul Ponte Sant’Angelo

(1670) riprende i temi più virtuosistici della plastica barocca. Muore a Roma nel 1680.

FRANCESCO BORROMINI

Il Borromini rivela l’interiore tormento di una ricerca intellettualistica che mira alle soluzioni più

raffinate ed estrose, esaltando il valore delle materie costruttive e degli elementi architettonici,

subordinati ad effetti di luce e di disegno. Condannato ad una attività modesta, e limitato nella

considerazione popolare dalla presenza invadente del Bernini, il Borromini trova degna

consacrazione artistica soltanto dopo la morte. Sullo scorcio del secolo, e nel Settecento le sue

opere divengono infatti il modello più imitato, diffondendosi in tutta Europa.

1599: nasce a Bissone Francesco Castelli, poi detto Borromini. Per qualche anno lavora nel

Milanese come scultore, poi nel 1614 viene a Roma, chiamato dal Maderno, lombardo come lui.

Sotto la sua direzione lavora per lunghi anni, a San Pietro e a palazzo Barberini, in forma

pressoché anonima, facendosi una straordinaria esperienza di disegnatore architettonico e di

intagliatore di marmi. Nel 1628-32 collabora col Bernini al completamento di palazzo Barberini,

dove compie la stupefacente scala elicoidale.

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A differenza del Bernini, che rimane sempre scultore anche quando crea architetture, il

Borromini cerca le soluzioni più raffinate ed astratte, in relazione alle possibilità delle materie

costruttive. Nell’Oratorio dei Filippini (1637-42), ad esempio, incurva la facciata, per dare

rilievo con la modulazione della luce agli elementi funzionali e insieme ornamentali dei pilastri e

delle cornici. Nella successiva Chiesa delle Quattro Fontane (1641), risolve con grazia ed

eleganza minuziosa il chiostrino e la navata.

Fra il 1642 e il ’60 lavora alla chiesa di Sant’Ivo, arricchendola della torre ricca di campaniletti e

di imprevisti giochi decorativi. Molti altri lavori di ripristino e di adattamento tengono

impegnato il Borromini nei suoi ultimi anni, a San Giovanni Laterano, Sant’Agnese, al palazzo

di Propaganda Fide e a S. Andrea delle Fratte.

Ultima opera, la facciata di San Carlo alle Quattro Fontane, tesa a nuovi effetti pittoreschi nel

gioco di luci contrapposte. Dopo aver bruciati gli ultimi disegni, tormentato da incertezze e

difficoltà, il Borromini mette tragicamente fine ai suoi giorni, a Roma, nel 1667.

PETER PAUL RUBENS

Figlio della Fiandra cattolica e italianizzante, il Rubens è uno dei protagonisti dell’arte barocca

nel Nord Europa. Contrapponendosi alla cultura borghese e intimistica dell’Olanda protestante,

esalta le forme più decorative e spettacolari della tradizione italiana e le muta in uno stile fastoso,

caldamente vitale, che formerà la base artistica di molte scuole pittoriche europee fra il Sei e il

Settecento.

1577: nasce a Siegen in Germania Peter Paul Rubens, da padre aristocratico, esule dalle Fiandre

per sospetti politici. Nel 1587 ritorna con la madre ad Anversa e nel 1590 entra come paggio

nella casa della principessa de Ligne-Arenberg, perfezionando la sua educazione. Studia pittura

con vari maestri, tra cui il Voenius, educato nella tradizione romana. Nel 1600 il Rubens parte

per l’Italia, dove si trattiene lunghi anni, fra Venezia, Mantova, Genova, Firenze, Roma,

arricchendo la sua cultura sugli esempi della grande tradizione rinascimentale. Ha anche modo di

ammirare a Roma le opere del Caravaggio e frequenta i suoi numerosi seguaci nordici.

Ritornato ad Anversa, nel 1608, sposa Isabella Brandt, e diviene rapidamente famoso,

dipingendo per il Duomo della città le grandi tele della Erezione della Croce e della

Deposizione. Presto lo circondano molti allievi, tra cui alcuni destinati a divenire famosi, come il

Jordaens, lo Snyders e il Van Dyck.

L’arte del Rubens risponde mirabilmente alle richieste della società nobile e dei committenti

religiosi del suo paese,con una maniera decorativa capace di fondere la retorica con la più felice

grandiosità: una ricchezza festosa che si ispira alla bellezza della natura. Diventa così

felicissimo ritrattista, e si ricordano i suoi autoritratti con Isabella Brandt (Firenze e Monaco).

La carriera di Rubens ha anche intervalli diplomatici, con missioni all’estero per la Infanta

Isabella. Nel 1621 ha l’incarico di decorare le sale del nuovo palazzo del Luxembourg a Parigi;

nel 1626 muore la moglie; dal 1630 al ’32 dipinge i soffitti di Whitehall di Londra: una attività

travolgente, senza un attimo di sosta, che impegna numerosi collaboratori. Risposatosi con Elena

Fourment nel 1630, si ritira a vivere nel castello di Steen, senza rallentare la sua prodigiosa

attività. Muore ad Anversa nel 1640.

DIEGO VELAZQUEZ

La grandezza del Velàzquez non è tanto nella straordinaria tecnica e neppure nella eccezionale

capacità di rendere nel ritratto lo spirito del personaggio e il suo ambiente. Ancor più alta appare

la condizione poetica del suo operare, se si considera la suprema immediatezza della sua

pennellata: di un colorismo fatto di sfumature, capace di evocare effetti pressoché indicibili di

verità naturale e di lirica trasfigurazione degli oggetti.

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1599: nasce a Siviglia Diego Rodriguez de Silva, più noto poi con il cognome della madre,

Geromina Velàzquez. A venti anni, sposata la figlia del suo maestro, Pacheco, è già famoso e si

trasferisce a Madrid. Nel 1623, compiuto uno splendido ritratto del Re Filippo IV, ne diviene il

pittore ufficiale.

Le prime opere sono per lo più scene popolari e nature morte (chiamate in Spagna “bodegones”),

di un realismo impregnato di lontane influenze caravaggesche. Con questo atteggiamento, il

Velàzquez sembra reagire alla tradizione accademica che si era venuta formando dopo la morte

del Greco.

Ma, sollecitato dal Rubens, eccolo nel 1629 in viaggio per l’Italia: Venezia, con Tiziano e

Tintoretto, poi Ferrara e Roma lo entusiasmano. Al ritorno, i ritratti a cavallo del Re e dei

principi della corte, o i dipinti storici come la Resa di Breda (Prado), rivelano la maturazione del

suo stile, ormai ricco di finissime variazioni di colore, e sempre più penetrante nel ritratto.

Una serie famosa, dipinta fra il 1636 e il ’40, ricorda i buffoni e i nani di corte: capolavori di

verità spesso umanamente dolorosa.

I numerosi impegni di corte, dove è nominato Maresciallo di palazzo, non gli impediscono un

secondo viaggio in Italia, nel 1649-50. Sosta così a Venezia, e vi acquista per la corte opere di

Tintoretto e del Veronese. Dipinge sempre meno, con una sorta di aristocratico distacco, ma le

ultime opere, come i ritratti delle bimbe reali (Las Meninas) o le Filatrici del Prado, sorprendono

per la straordinaria immediatezza cromatica. Muore a Madrid nel 1660.

REMBRANDT

Rembrandt è il più appassionato e geniale poeta dell’Olanda seicentesca, e va inquadrato nel

clima moralmente rigoroso del protestantesimo. In una vita tormentata, che conosce il massimo

della gloria, ma anche la solitudine e la miseria, Rembrandt svincola il suo stile figurativo dalla

tradizione, per realizzare un acuto e sensibilissimo strumento di indagine, rivolto alla più intima

verità umana.

1606. nasce a Leida, figlio di un mugnaio, Rembrandt Harmentz van Rijn.. Dopo aver

frequentato la Università, si dedica alla pittura, ed è scolaro dello Swanenburg e di Pieter

Lastman. Riceve una educazione italianeggiante, che appare nelle prime opere, dal colorismo

squillante e molto contrappuntato (Cristo in Emaus di Parigi, Ritratto della madre di

Amsterdam). Si stabilisce nel 1631 ad Amsterdam, dove sposa Saskia van Uilemburgh, e dipinge

numerose tele e ritratti, raggiungendo una grande notorietà e un certo benessere economico.

Colleziona stampe e disegni antichi, e oggetti singolari, che spesso riproduce nelle sue tele, in

brillanti particolari, dove il colore si fa dorato e prezioso. Nasce così il famoso “chiaroscuro”

rembrandtiano, che immerge le immagini in una atmosfera quasi irreale, dove la luce

smaterializza gli oggetti.

La pratica della incisione e una straordinaria vocazione grafica lo rendono sempre più penetrante

nella struttura disegnativa, mentre gli oggetti umani, colti nella loro essenzialità più spirituale, si

allineano in una ininterrotta galleria. Spesso il suo tema preferito è l’Autoritratto: ed è l’unico

Artista di cui se ne contino più di cento. Tra i quadri più famosi di questo periodo centrale, va

ricordata la Lezione di Anatomia dell’Aia (1632). Lo seguono le tavole della Passione di

Monaco (1633), immerse in una drammatica luminosità, fino al famoso ritratto collettivo della

Compagnia del Capitano Cocq, chiamato popolarmente la “Ronda di notte “. Dopo questo

grande capolavoro, il Rembrandt è vittima di una crescente incomprensione, che lo porta,

attraverso disgraziate vicende famigliari, alla solitudine e alla miseria. Perduta Saskia nel 1642,

si risposa, ma rimane nuovamente solo nel 1662 e la sua stessa casa è venduta all’incanto. Muore

ad Amsterdam nel 1669.

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L’ARTE DEL SETTECENTO

Anno 1701: inizia la guerra di successione spagnola; lega antifrancese. Pietro il Grande fonda

Pietroburgo. 1720:: dopo lunga guerra, la Spagna è estromessa dall’Italia e sostituita

dall’Austria. 1725: G.B.Vico pubblica la “Scienza Nuova”. 1740: Federico II Re di Prussia.

1748: pace di Aquisgrana. Il Regno delle Due Sicilie ai Borboni. 1750: Carlo Goldoni inizia la

pubblicazione delle Commedie. Muore Johannes Sebastian Bach. 1751: Pubblicazione

dell’”Encyclopédie” in Francia. 1765: Watt inventa la macchina a vapore. 1781: Kant

pubblica la “Critica della Ragion Pura”. 1789: Giorgio Washington Presidente degli Stati Uniti.

Presa della Bastiglia a Parigi e inizio della Rivoluzione francese. 1797: Napoleone in Italia.

Fine della Repubblica di Venezia. 1800: esecuzione della I Sinfonia di Beethoven.

Caratteristiche del Settecento sono una grande complessità e ricchezza di espressioni, nei diversi

paesi d’Europa, ma specialmente in Francia, a Venezia e in Inghilterra, ove l’arte figurativa

trova campo favorevole al più grande sviluppo. In linea generale, il secolo può essere

considerato in due parti distinte: la prima, che occupa i decenni iniziali, è l’epoca dell’Arcadia e

del Rococò, e vede i suoi trionfi figurativi nella Parigi di Luigi XV e a Venezia; la seconda parte

si fonda sul razionalismo illuminista, da Diderot a Voltaire e a Rousseau, e sul classicismo

teorizzato dal Winckelmann.

IL ROCOCO’

Il primo Settecento vede affermarsi in architettura, in scultura e in pittura, gli aspetti più raffinati

dello stile barocco, che furono chiamati in Francia “rococò” (da “rocaille”, cioè la fantasiosa

decorazione a rocce artificiali nei giardini, venuta di moda in quel tempo). Il Rococò ispira le

architetture dello Juvara in Piemonte, e trionfa nell’ornamento, prediligendo le iperboliche

decorazioni a cartocci, a trofei, gli arabeschi e le cineserie. Nel campo della pittura, i maggiori

esempi sono quelli del Watteau in Francia; ma non è facile stabilire se la precedenza non spetti

addirittura ai pittori veneziani, come il Ricci e il Pellegrini, seguiti poi da Gian Antonio Guardi e

dal Tiepolo, che portano in tutta Europa le loro opere, scintillanti di festosa felicità.

LA PITTURA DELLA REALTA’

Verso la metà del secolo prevale la pittura di ritratto, con gli inglesi Hogarth e Gainsborough e il

veneziano Pietro Longhi. La realtà diviene il principale oggetto dell’attenzione dell’artista, e si

sostituisce alle mitologie decorative del secolo precedente. Pittori come Chardin traggono dalla

osservazione del vero più umile e penetrante, il motivo più alto della loro poesia.

Il Canaletto e Francesco Guardi prendono invece a soggetto delle loro tele soprattutto Venezia,

fatta quasi simbolo di bellezza e di perfezione formale, con i suoi canali, le quiete lagune, le

brulicanti regate di gondole. La loro pittura diviene famosa in tutta Europa, e si diffonde anche

attraverso le traduzioni della incisione, che ne rende popolari i soggetti. Si sviluppa infine l’arte

neoclassica, volta a contrastare la leziosa felicità del Barocco e del Rococò, per sostituirvi un

ideale del Bello ricalcato sugli esemplari della classicità greca e romana. Le sculture del

Canova, le pitture del Mengs e le decorazioni ispirate allo stile di Pompei e di Ercolano, la

statuaria bellezza delle figurazioni del francese David sono tra le maggiori conquiste dell’arte

alla fine del Settecento. Una posizione particolare assume l’attività incisoria del Piranesi, che

illustra tutte le architetture e le antichità di Roma in serie stupende di acquaforti, di intensa

drammaticità.

Ormai si preannuncia il superamento della contrapposizione fra Rococò e Neoclassicismo, in

forme che si possono ben definire romantiche, per la loro aperta partecipazione, volta a

rappresentare spesso i sentimenti umani attraverso il ritratto. Sullo scorcio del secolo comincia

infatti ad operare in Spagna il Goya, da cui dipenderà molta parte dello sviluppo figurativo del

secolo successivo, primo ormai dell’età contemporanea.

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ANTOINE WATTEAU

In una attività di neppure venti anni, il Watteau dà l’avvio al trionfale secolo diciottesimo in

Francia. La sua poetica, che risolve la diatriba seicentesca fra i classicisti seguaci del Poussin e i

barocchi Rubensiani, propone tutta la tematica di una pittura che si adegua alla nuova società,

bilanciata fra un’aristocrazia raffinata e una illuminata borghesia.

1684: nasce a Valenciennes Antoine Watteau, da povera famiglia, e fin da giovane soffre per la

debole costituzione e per malattie. A diciotto anni è a Parigi, dove si lega ad un gruppo di pittori

fiamminghi, facendo copie per i piccoli mercanti d’arte. La sua fortuna inizia nell’”atelier” dei

Mariette, grandi stampatori e raccoglitori di cose d’arte. Vi incontra artisti famosi, attori di

teatro, disegnatori di mode, e si orienta verso una cultura raffinata, sensibile alle esigenze del

tempo. Dal 1703 al 1707 lavora col Gillot, famoso per i ritratti di attori, e poi con Claude

Audran, grande decoratore di castelli e di dimore signorili. Per lui, dipinge spiritosi pannelli e

cineserie, giochi di animali, intrecci di fiori nei castelli di Meudon e della Muette.

Ospite dell’Audran a Parigi, scopre nel salone del Luxembourg le pitture del Rubens e ne è

entusiasmato: da questo momento, la sua tavolozza si accende di intensa luminosità, mentre i

soggetti si fanno sempre più originali, e riguardano soprattutto la vita elegante, le feste, i

personaggi del teatro e della moda. Dopo qualche incertezza, la società artistica parigina lo

accoglie con entusiasmo, e ne fa il suo idolo. Entra nel 1712 all’Accademia, e la sua pittura

incarna veramente lo spirito del tempo, nella felice euforia della Reggenza di Filippo d’Orlèans,

amico delle arti, circondato da una schiera di raffinati cortigiani.

Nel 1715 entra in amicizia con il famoso collezionista Pierre Crozat, che gli mette a disposizione

i suoi tesori artistici: scopre così, specie attraverso i disegni, anche gli italiani, come Raffaello e

Correggio, Parmigianino e Paolo Veronese. Il suo capolavoro di questi anni è il Ritorno da Citera

del Louvre (1717). Poco dopo però, consumato dalla tisi, muore immaturatamente a Nogent, nel

1721.

GIAN BATTISTA TIEPOLO

Nell’epoca del Rococò, il Tiepolo diviene quasi il simbolo della grande pittura. Spiritualmente, è

vicino ai drammi di Metastasio e alla musica dei Veneziani, da Marcello a Galoppi, fino a

Vivaldi. Egli interpreta in termini figurativi la vena grandiosa e decorativa del secolo, con una

serie di affreschi e di tele nelle chiese e nei palazzi di tutta Europa. Rievocando la solare

classicità veneziana, il Tiepolo realizza un linguaggio pittorico di festosa luminosità.

1696: nasce a Venezia Gian Battista Tiepolo da una famiglia di marinai. Suo primo maestro è il

Piazzetta, che gli trasmette l’esperienza della grande pittura decorativa emiliana. Verso il 1725,

il Tiepolo ci dà i primi affreschi, agli Scalzi e a palazzo Sandi. Al passaggio verso una forma

decorativa prossima ai modi del Rococò lo spinge anche la visione delle opere di Sebastiano

Ricci e del Pellegrini, celebri in Europa. Nel 1726 lavora a Udine, per l’arcivescovo Dolfin.

Ormai famoso, lo troviamo poi a Milano in palazzo Dugnani (1731), a Bergamo nella cappella

Colleoni (1733) e ancora a Milano a palazzo Clerici (1740): affreschi di ampio respiro, che

traggono ispirazione direttamente dalla grande pittura cinquecentesca, eleggendo a modello

Paolo Veronese. A Venezia compie ai Carmini (1739-44) il soffitto con la Vergine del Carmelo,

in un altissimo canto luminoso. A palazzo Labia e poi a Wùrzburg, nella Residenza del

Vescovo-Principe, crea i suoi più alti capolavori ad affresco, decorando vastissime superfici con

inesausta felicità cromatica, aiutato anche dai figli Domenico e Lorenzo (1750-53).

Verso la vecchiaia, mostra inalterata la sua carica vitale nei soffitti di Cà Rezzonico e della Villa

di Stra (1762). Una parentesi elegiaca, con tonalità più raffinate, quasi melanconiche di colore,

la troviamo nella villa Valmarana a Vicenza (1757). Nel 1762 si trasferisce in Spagna per

decorare il palazzo Reale. Vi incontra le prime ostilità, mosse dal neoclassicismo ormai

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dominante, e si chiude in opere da cavalletto e in disegni rapidi ed espressivi. Muore a Madrid,

nel 1770.

CANALETTO

La eccezionale poetica del Cataletto si può sintetizzare in una assoluta fedeltà al vero, sublimata

da una felicità creativa che va oltre gli stessi limiti oggettivi e diviene pura contemplazione. Il

suo tema principale è la topografia veneziana, fatta di prospettive scenografiche e di infiniti

giochi di riflessi, fra i monumenti e l’acqua che li accoglie e li commenta luminosamente.

Eppure l’immagine poetica che ne risulta è nuova, e testimonia una volontà di indagine

figurativa che si fa sempre poesia.

1697: nasce a Venezia; il suo vero nome è Antonio Canal. Come il padre,si dedica dapprima alla

scenografia. Dopo un viaggio a Roma, ove ha modo di conoscere i paesaggisti fiamminghi e

olandesi, passa interamente alla pittura di vedute, cioè alla rappresentazione topograficamente

esatta del paesaggio urbano.

Venezia, dove ritorna poco dopo il 1720, gli offre un soggetto insuperabile, con le sue

prospettive, i suoi fantastici monumenti, le vivaci macchiette. Vinta presto la rivalità del

Carlevaris, che dipingeva analoghi soggetti, il Canaletto diviene il dominatore incontrastato del

campo, e svolge una attività intensissima. Sono del periodo 1725-30 intere serie di pitture, che

illustrano il Canal Grande e i luoghi più caratteristici della città (collezioni di Windsor, del Duca

di Bedford e Harvey in Inghilterra). Presto esse diventano popolari attraverso le stampe del

Vicentini (1735-42).

Tramite il console a Venezia – Joseph Smith – la principale clientela del Canaletto è quella dei

nobili inglesi, che vogliono riportare nei loro castelli il ricordo della incantevole città delle

lagune. Non c’è nulla infatti di più esatto delle riproduzioni offerte dal pittore, disegnate anche

con l’ausilio di un apparecchio a riflessione (“camera ottica”), ma nello stesso tempo ravvivate

da una inesausta brillantezza cromatica. Nel 1741-43 compie anche una serie di incisioni

all’acquaforte, di soggetti veneziani e della prossima terraferma, che hanno grande diffusione.

Nel 1746, chiamato dagli amici inglesi, parte per Londra, dove si trattiene dipingendo quasi

ininterrottamente per circa 8 anni. Tornato a Venezia, continua la sua attività, con un tocco

sempre più leggero, a puntolini luminosi, che accorda la fedeltà riproduttiva alla sensibile

interpretazione del paesaggio veneziano. Muore a Venezia nel 1768.

FRANCESCO GUARDI

Francesco Guardi è l’ultimo grande artista del Settecento. La sua attività tocca infatti i limiti del

nuovo secolo, e sarà particolarmente compresa solo dopo l’avvento degli impressionisti. In

realtà, egli interpreta l’estrema voce del colore veneziano, creando un toccante “paesaggio

sentimentale”, in cui la città vive tutte le ore della sua estrema stagione, dalle animate feste

popolari alle malinconiche solitudini della laguna.

1712: nasce a Venezia Francesco Guardi. Suo padre, pittore,si era da poco trasferito a Venezia

con la famiglia, proveniente da Vienna. Francesco incominciò presto a lavorare, alla scuola del

fratello maggiore Gian Antonio, ma quella attività volta interamente alla pittura decorativa nel

genere “Rococò”, non gli riuscì congeniale. Le poche pitture di figura che infatti ci restano, di

Francesco, sono opere alquanto pesanti, create per contrapposizioni violente di luce e d’ombra,

in un disegno nervoso, esagitato.

Probabilmente in coincidenza con la partenza del Canaletto per l’Inghilterra, Francesco può

cominciare a dedicarsi alle vedute veneziane. Dapprima lo vediamo chiaramente ispirato al

Canaletto, nella Piazza San Marco di Londra, o nella veduta di San Giovanni e Paolo del Louvre;

poi man mano la luce assume un particolare valore fantastico.

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Nel periodo più tardo, il Guardi passa al “capriccio”, in cui ritrae colonne classiche, archi e

rovine in aperti paesaggi lagunari, dove il colore arido e scintillante ha come un sapore di salso,

sotto cieli pieni di nubi strappate e di vento. Nel 1783, per incarico della Repubblica, ricorda la

visita dei Conti del Nord, in una serie di tele che illustrano i fatti salienti del loro soggiorno a

Venezia; le ultime opere sono per lo più vedute di piccole dimensioni, capricci, e numerosissimi

disegni, in cui la grafia di tocco evoca purissime suggestioni di luce.

In complesso Francesco Guardi ebbe scarsa fortuna in vita, e i suoi quadri furono apprezzati

soltanto dagli stranieri, come sostituti di quelli, più ricercati, del Canaletto. Servì piuttosto la

classe borghese , che non la Chiesa e il patriziato. Muore quasi ignorato a Venezia, nel 1793.

L’ARTE DELL’OTTOCENTO

Anno 1800:Napoleone viene eletto primo console. 1804: Napoleone viene incoronato

imperatore. 1810: Madame di Staèl pubblica il suo libro sulla Germania. 1815: Napoleone

viene sconfitto definitivamente a Waterloo. Si riunisce il Congresso di Vienna che segna la

restaurazione in Europa. 1820: movimenti rivoluzionari in Europa. 1830: Rivoluzione a Parigi

contro Carlo X e elezione al trono di Francia di Luigi Filippo. 1848:moti liberali in Italia.

Pubblicazione del Manifesto di Carlo Marx. 1859: seconda guerra di indipendenza italiana.

1861: Unità italiana. 1870: caduta di Napoleone III e proclamazione dell’impero germanico.

Annessione di Roma al Regno d’Italia. 1901: muore Giuseppe Verdi.

L’Ottocento europeo è un secolo di vasti rinnovamenti spirituali e ideologici che si riflettono ad

un tempo nei fatti politico-sociali e nei linguaggi artistici. Così, agli anni dell’Impero

napoleonico corrisponde lo stile neoclassico, che discendendo dalle opere di artisti come

Canova, David e Ingres investe ogni aspetto del costume. Per altro, non è da pensare che i modi

razionali di questo linguaggio artistico siano i soli, perché, come avviene per la letteratura, nello

stesso periodo di tempo le istanze romantiche affermano una nuova visione del mondo,

anteponendo ad ogni altro valore quelli del sentimento. Al culto erudito dell’antichità classica

viene a contrapporsi un amore appassionato per il Medioevo e il favoloso Oriente, con

conseguenze determinanti per le arti figurative.

L’IMPRESSIONISMO

Da Turner, pittore inglese di eccezionale talento, che pare anticipare talune soluzioni che saranno

proprie degli Impressionisti, a Corot e a Daumier, che in modi tanto diversi significano una

partecipazione diretta del sentimento, fino al grande Delacroix, l’arte pone in primo piano con le

sue passioni, i suoi slanci e le sue cadute, quell’uomo nuovo che Goya, all’inizio del secolo,

aveva con tanto acuta drammaticità presentato alla ribalta della storia europea. In pittura, la

polemica tra neoclassici e romantici si schematizza nel contrasto tra sostenitori del disegno e

fautori del colore, tra coloro che preferiscono Ingres e quelli che sostengono il primato di

Delacroix. Appena oltrepassata la metà del secolo, dopo una breve, rilevante parentesi

naturalistica, che si svolge all’insegna di Millet e di Courbet, l’Impressionismo apre una nuova

stagione delle arti figurative in Europa. La problematica di questo gruppo di pittori attivi a Parigi

tra il ’70 e l’86 non è precisabile nei termini rigorosi di una poetica: il “ plein air”, cioè il

cogliere la luce direttamente nell’ambiente, non è un fatto nuovo; nuova è l’intenzione con cui il

pittore impressionista si accosta alla realtà naturale, per riportarla nell’ambito della sua visione

soggettiva. L’Impressionismo rappresenta la liquidazione di ogni residuo classicistico e per

quanto sia espressione della borghesia più colta ed avanzata d’Europa, è destinato ad avviare la

grande avventura delle avanguardie artistiche, fondamentalmente antiborghesi ed anarcoidi.

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I MACCHIAIOLI

Comincia poi con il movimento impressionistico quel processo di revisione critica delle

possibilità espressive nei linguaggi figurativi, che caratterizza i movimenti europei dei primi

decenni nel Novecento. Tale atteggiamento, che investe decisamente la pittura, ha riscontri

meno evidenti nell’architettura e nella scultura. L’architettura attraversa, dopo la fase

neoclassica, una lunga crisi eclettica con variazioni neogotiche o di un classicismo accademico,

da cui si salvano solo alcune correnti che danno l’avvio ad una concezione non esornativa

dell’architettura e vengono giustamente oggi considerate precorritrici dell’arte moderna: si allude

alle “Arts and Crafts” inglesi e all’”Art nouveau”: In Italia, in parallelo con l’Impressionismo

troviamo i Macchiaioli, che pur presentando con questo alcune consonanze apparenti, si

concentrano sull’uso del colore inteso come “macchia”, peraltro intesa in appoggio a una forma

disegnativa di estrazione ancora classicistica. Le influenze dell’Impressionismo si vedono

nell’opera plastica di Rodin e di Medardo Rosso, le maggiori personalità nel campo della

scultura.

ANTONIO CANOVA

Artista inquieto, il Canova passa dai modi eleganti e disinvolti dell’esperienza giovanile,

sviluppatasi nell’ambiente “rococò” della Venezia tardosettecentesca, al “bello ideale” della

teorica neoclassica di moda a Roma. Eppure, nonostante la limitazione formale cui obbliga la

propria fantasia poetica nel periodo della maturità,, il Canova tocca risultati di una mobile e

quasi ambigua sensibilità anche in molte opere di intonazione classica, mostrando la propria

originaria natura pittorica di ascendenza veneta.

1757: nasce a Possagno Antonio Canova. Ragazzo, giunge a Venezia per frequentare

l’Accademia di Belle Arti al Fonteghetto della Farina, dove insegnano Pietro e Alessandro

Longhi, Giacomo Guarana, Michelangelo e Gregorio Morlaiter .Ma l’artista che più interessa al

Canova, nel periodo della sua formazione, è lo scultore Bernardi-Torretti. Di questi anni

Venezia, rispetto a Roma dove il Neoclassicismo trionfa con il Winckelmann e il Mengs, resta

un ambiente artistico legato al gusto “rococò”. Unici centri di orientamento classicistico: la

Galleria del patrizio Filippo Farsetti, dove sono raccolte molte copie di opere greco-romane, e la

scuola di Architettura di Tommaso Temanza. Gli inizi del Canova pertanto rientrano nell’ambito

di una cultura tardosettecentesca: si vedano l’Orfeo e Euridice del Museo Correr di Venezia e

l’Apollo delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, offerto nel 1779 al collegio dei suoi

Maestri in cambio della nomina ad accademico, e ancora i Ritratti di Don Amadei del Seminario

Patriarcale di Venezia e del Doge Paolo Renier del Museo Civico di Padova, desunti

formalmente da Alessandro Longhi e da Gian Maria Morlaiter. Nel 1781 Canova si stabilisce a

Roma, dove con il Monumento a Clemente XIV dei SS. Apostoli e, qualche anno dopo, con il

Monumento a Clemente XIII in S. Pietro, tocca la notorietà. Nei primi anni dell’Ottocento, lo

scultore veneto, ormai orientato verso i principi neoclassici dal Milizia e dal Quatremére de

Quincy, diviene uno degli artisti ufficiali del periodo napoleonico. Basterà ricordare il Ritratto

di Paolina Borghese o il Busto di Angela Pascoli del Museo Civico di Treviso. Nonostante

l’adesione formale al Neoclassicismo, Canova non rinuncia, nelle sue opere più alte, ad una

sensibilità scoperta e acutissima, che riversa soprattutto nei disegni e nei bozzetti. Muore a

Venezia nel 1822.

FRANCISCO GOYA

La pittura di Goya, fatta di luci folgorate e di improvvisi, allucinati silenzi, è la più vivida,

drammatica protesta contro ogni formula e convenzione del suo tempo, sia sociale che estetica;

la estrema fioritura settecentesca, così come la nuova moda neoclassica vengono travolte dalla

visione violenta e diretta di questo genio rivoluzionario, che, proclamando la libertà dell’arte,

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anticipa in termini personalissimi la sensibilità romantica e segna gli inizi dell’avventura

fantastica e conoscitiva dell’uomo contemporaneo.

1746: a Fuendetodos, piccolo villaggio vicino a Saragozza, nasce Francisco de Goya y

Lucientes. Iniziato alla pittura da un modesto pittore, José Luzàn, tenta, senza successo, di

entrare nel 1763 all’Accademia di Madrid. Nel 1770 Goya si reca a Roma e l’anno dopo, a

Parma, ottiene il primo riconoscimento ufficiale in un concorso di pittura. Ritorna in Spagna e

nel 1775 viene incaricato dalla Manifattura Reale di Santa Barbara di Madrid di una serie di

cartoni per arazzi, alla cui elaborazione attende con varie interruzioni fino al 1791. Nel 1780

viene accolto all’Accademia madrilena e, grazie alla protezione del ministro Jovellanos, entra

nell’ambiente aristocratico della capitale, che mostra vivo interesse per i suoi ritratti eloquenti ed

incisivi. Nel 1789 Carlo IV sancisce ufficialmente il successo di Goya, nominandolo suo pittore

di Camera. Questo periodo sereno viene improvvisamente interrotto da una violenta malattia nel

1792, da cui Goya esce stremato nel fisico e completamente sordo. Colpito da una grave crisi

spirituale, egli capovolge i termini della sua visione: dall’ambigua, anche se critica

rappresentazione della vita spensierata e felice della società madrilena, passa a una concezione

drammatica e pessimistica dell’esistenza, espressa nelle incisioni dei “ Capricci”. La situazione

politica spagnola frattanto precipita: a Carlo IV succede brevemente Ferdinando VII, quindi

segue il regno di Giuseppe Bonaparte. La tragedia di questi anni di violenza e di guerra viene

descritta da Goya nelle incisioni I disastri della guerra e nei due celebri quadri Il due di maggio

e Il tre di maggio, eseguiti nel 1814, quando Ferdinando VII risale sul trono di Spagna. Goya,

alla restaurazione, si ritira in solitudine e sulle pareti della sua casa di periferia lascia il

documento più alto e ossessivo della sua drammatica visione: la serie stupenda delle “pitture

nere”. Nel 1824 abbandona la Spagna, temendo la persecuzione reale che si accanisce contro gli

spiriti liberali, e si rifugia a Bordeaux, dove muore, dopo aver ritrovato un ultimo, insperato

periodo di serenità, nel 1828.

JEAN DOMINIQUE INGRES

Ingres è stato erroneamente contrapposto al romantico Delacroix, come l’alfiere del

Neoclassicismo. In realtà, il suo “purismo” si discosta egualmente dalla violenza coloristica della

pittura romantica, come dalle forme fredde ed erudite di David. Egli ricerca infatti, con

eccezionale originalità figurativa, un’espressione contenuta e quasi sublimata nel ritmo serrato e

severo della frase grafica e coloristica, toccando effetti di un personalissimo “esprit de finesse”.

1780: nasce a Montauban il pittore Ingres. Dopo aver iniziati gli studi artistici all’Accademia di

Tolosa, si reca nel 1797 a Parigi, dove viene accolto nello studio di David, il grande pittore

neoclassico. Nel 1806 ottiene la borsa di studio per un soggiorno a Roma, e qui esegue copie da

maestri antichi e da Raffaello in particolare, portando avanti la propria ricerca nella direzione di

una sempre più alta armonia compositiva e di una più rarefatta purezza formale. Terminato il

quadriennio della borsa, decide di aprire il proprio studio in via Gregoriana e intrattiene rapporti

con l’ambiente francese di Roma, ottenendo numerose commissioni di ritratti. Per incarico del

generale Miollis, governatore della città, decora Villa Aldobrandini e la camera imperiale di

Palazzo del Quirinale. Successivamente si porta a Napoli, invitato da Carolina Murat e dopo la

caduta di Napoleone, seguendo le affettuose insistenze dell’amico scultore, Lorenzo Bartolini,

sosta a Firenze tra il ’20 e il ’24. In questo momento, soprattutto in occasione del suo grande

quadro il Voto di Luigi XIII per la Cattedrale di Montauban, ottiene finalmente il pieno

successo: Carlo X lo decora della Legion d’onore. Nel 1834 lascia Parigi, dove aveva ricoperto

posti di grande rilievo nel mondo artistico, e assume l’incarico di direttore dell’Accademia di

Francia a Roma. Rientra a Parigi nel 1841, accoltovi trionfalmente per aver portato l’Accademia

a grande prestigio; gli vengono affidate opere eccezionali come l’Apoteosi di Napoleone I nel

palazzo municipale di Parigi. Muore a Parigi nel 1867.

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EUGENE DELACROIX

Storie bibliche e avvenimenti contemporanei, Oriente favoloso e mondo occidentale accendono

di luci appassionate il sentimento fantastico di Delacroix. Artista di formidabile istinto, si

oppone alla fredda ricerca neoclassica con la violenza aggressiva di un colore ansioso e

allucinato , dettato quasi automaticamente dalla presenza, improvvisa e irripetibile, del fantasma

poetico.

1798: nasce a Charenton-Saint-Maurice, vicino a Parigi, Eugène Delacroix. Compiuti gli studi

classici, viene presentato da uno zio pittore a P. N. Guerin, artista dell’ambiente neoclassico e

scolaro di David, ma il giovane Eugène guarda a Gèricault, di cui frequenta lo studio, è assiduo

al Louvre, dove esegue esercizi di copia, studia Goya. Nel 1822 manda ai Salons la Barca di

Dante e nel ’24 i Massacri di Scio: le due opere, violentemente discusse, segnano l’entrata

ufficiale di Delacroix sulla scena artistica francese. Da quel momento egli diviene, per

l’opinione pubblica, l’anti-Ingres, il rappresentante massimo della pittura romantica. Nel 1825

risiede tre mesi in Inghilterra e studia Constable, quindi a Parigi stringe legami con l’ambiente

letterario e musicale: Stendhal e Mèrimèe, Dumas, Victor Hugo e Paganini. Nel 1832 compie il

viaggio più importante della sua vita: visita la Spagna e il Marocco. Questa esperienza,

letterariamente suggeritagli dagli interessi orientalisti propri della concezione romantica,

conferma in Delacroix i termini di una visione violenta, istintiva, dove l’amore, la morte, lo

slancio mistico, assumono un significato totale e quasi ossessivo.

Negli anni compresi tra il 1833 e il 1861 si dedica ai grandi cicli decorativi in pubblici edifici

come il Salone del Re, la Biblioteca di Palazzo Borbone, il soffitto centrale della Galleria

d’Apollo al Louvre, ma contemporaneamente esegue opere per amatori e scrive il suo famoso

diario. Nonostante i riconoscimenti ufficiali (gode dell’amicizia potente di Thiers,

dell’incondizionato appoggio di artisti come Baudelaire, Gorge Sand, Gautier e Chopin)

l’ambiente accademico gli resta avverso fino alla morte, che avviene a Parigi nel 1863.

EDOUARD MANET

A Manet Baudelaire riconosce: “un gusto deciso per la verità moderna”. Il giudizio è

acutissimo. Manet infatti si distingue dai romantici e dai realisti per aver individuato una nuova

verità pittorica del mondo delle cose, che può essere colta solo in maniera semplice e diretta.

Scrive Matisse: “Manet è stato il primo ad agire per riflessi e a semplificare così il mestiere del

pittore…esprimendo solo quello che toccava immediatamente i suoi sensi”.

1832: nasce a Parigi, da famiglia borghese, Edouard Manet. Nonostante la contrarietà del padre,

che lo voleva avvocato, entra nel 1850 nello studio dell’accademico Couture. Frequenta il

Louvre, dove esegue copie da Tiziano, Tintoretto, Velàzquez; studia attentamente Goya,

Delacroix e Courbet. Nel ’56, lasciato il Couture, comincia a frequentare l’ambiente letterario

più avanzato: nel ’58 si lega d’amicizia con C. Baudelaire, di cui avverte il genio poetico e

subisce l’influenza. Nel 1863, dopo essere stato rifiutato ai Salons ufficiali, espone al “Salon des

Refusès” il famoso quadro la Colazione sull’erba, che solleva uno scandalo immenso. Tacciato

di immoralità e di dilettantismo, conosce l’avversione della critica ufficiale e del pubblico

borghese. Nel 1865 Manet compie un viaggio in Spagna e l’anno dopo gli viene rifiutato al Salon

il Suonatore di piffero.. In questa occasione Emile Zola prende le difese dell’artista, che,

avvicinato al caffè Guerbois da un gruppo di giovani pittori antiaccademici – Monet, Pissarro,

Sisley, Bazille, Renoir -, diviene il capo dell’avanguardia impressionista. Nel 1872 il mercante

d’arte Durand-Ruel acquista un gruppo di tele di Manet: è il primo segno del successo. Nel ’74

non accetta di partecipare alla prima mostra degli Impressionisti da Nadar. Finalmente nel 1881

A. Proust, suo amico d’infanzia, divenuto ministro delle Belle Arti, gli fa conferire la Legion

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d’onore, e l’anno dopo, al Salon, con La primavera ottiene un successo incontrastato. Muore a

Parigi nel 1883.

PAUL CEZANNE

“Trattare la natura attraverso il cilindro, la sfera, il cono, il tutto messo in prospettiva…” sono

parole celebri di Cèzanne, che ci aiutano a capire la sua aspirazione ad organizzare la natura

secondo forme ideali, che ne trascendono l’aspetto immediato. Cèzanne va quindi oltre

l’Impressionismo e l’opera sua racchiude tutti i termini fondamentali di una nuova concezione

artistica che consente una sintesi rigorosa tra emozione e forma nello spazio.

1839: nasce a Aix-en Provence Paul Cèzanne. Di agiata famiglia borghese, viene avviato agli

studi classici al collegio Bourbon dove incontra Emile Zola. Nel 1861 entra, superate le

resistenze paterne, all’Accademia Svizzera a Parigi, ed incontra Guillarmin e Pissarro.

Frequenta il Louvre e il Salon. Negli anni successivi si lega al gruppo degli Impressionisti, ma il

suo particolare interesse lo porta a studiare Delacroix e Courbet. In questo periodo alterna il

soggiorno parigino a lunghe vacanze in Provenza. I suoi quadri vengono rifiutati ai Salons,

anche se riscuotono l’interesse di Manet. Nel 1870, durante la guerra franco-prussiana, si rifugia

all’Estaque vicino a Marsiglia, dove lavora intensamente. Nel 1873 risiede a Auvers-sur-Oise,

dove dipinge, sotto l’influenza di Pissarro, numerosi paesaggi tra i quali la “Casa

dell’impiccato”, e così, nonostante qualche opposizione, viene ammesso alla prima grande

mostra degli Impressionisti nel 1874. Nel 1878 si stacca dal gruppo degli Impressionisti e passa

da Parigi a Aix, a Melun, a Pointoise con Pissarro; torna poi all’Estaque, dove lo viene a visitare

Renoir. La sua ricerca, insistente e rigorosa, lo porta ad abbandonare la pittura d’impressione

per promuovere un ordine formale di intonazione geometrica. Nel 1886 viene attaccato

violentemente da Zola nell’Oeuvre: si rompe così un’amicizia di trent’anni con lo scrittore che lo

aveva sempre appoggiato e sostenuto nei momenti difficili. Nel 1892 soggiorna a Fontainebleau

e attraversa un periodo di grande felicità creativa (serie dei Giocatori di carte, delle Bagnanti,

della Montagna Santa Vittoria). Negli anni successivi la sua pittura comincia ad affermarsi in

Francia e all’estero, finchè nel 1904 la sua mostra personale al Salone d’Autunno ne segna il

trionfo. Muore nel 1906.

VINCENT VAN GOGH

L’arco dell’allucinata visione di Van Gogh è brevissimo, fulgido e arroventato come la sua vita.

Dopo l’esperienza impressionistica, in soli due anni, con una grande fiammata fantastica brucia,

nella solitudine assolata del Sud, ogni imprestito formale remoto o recente, e scrive furiosamente

sulle sue tele, in colori puri e accesi, il suo immenso e disperato amore per la vita.

1853: nasce a Zundert Vincent Van Gogh. Ragazzo, viene avviato dal padre, pastore evangelico,

alla carriera di mercante d’arte nell’azienda di uno zio, la Galleria Goupil, che aveva sedi in

diverse città europee. Nel ’76 improvvisamente lascia il posto della Galleria Goupil e comincia

una serie di esperienze diverse e tutte deludenti in Inghilterra e in Olanda. Affascinato da

idealità religiose e umanitarie, nel 1879 si reca nel desolato Borinage, dove, come predicatore

libero, vive la vita terribile dei minatori. E’ qui che finalmente scopre la sua autentica vocazione

di pittore e, abbandonata la predicazione, nel 1880 si reca a Bruxelles per studiare anatomia e

prospettiva. L’anno dopo, all’Aia, compie, sotto la guida del pittore Mauve, i primi tentativi

pittorici. Comincia così la sua disperata carriera artistica, tra amare delusioni e l’incomprensione

dei parenti, dei quali, il solo a soccorrerlo, con infinito amore, è il fratello Thèo. Dopo un

soggiorno a Neunen presso il padre, e uno ad Anversa, dove scopre le stampe giapponesi, si reca

nel 1886 finalmente a Parigi presso il fratello. Qui conosce gli impressionisti, si lega d’amicizia

con Pissarro, Seurat, Signac e Gauguin, frequenta l’ambiente culturale più avanzato. Questa

nuova e fondamentale esperienza lo porta a lasciare i colori scuri della pittura olandese e ad

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affrontare, secondo i principi impressionistici e divisionisti, la tecnica dei colori complementari

in paesaggi eseguiti direttamente “d’après-nature”. Nell’autunno del 1888 lascia Parigi per la

Provenza , piena di luce e di sole: e qui esplode la sua breve e splendida stagione creativa.

Risiede ad Arles, dove lo raggiunge Gauguin per qualche mese. Nella primavera del ’89, malato

di mente, viene ricoverato in clinica a Saint-Rèmy-de-Provence; l’anno dopo ad Auvers-sur

Oise, in casa del Dr. Gachet, si toglie la vita. Era il 27 Luglio 1890.

IL NOVECENTO

Anno 1900: Esposizione universale a Parigi. 1911-12: guerra italo-turca. 1912-13: guerre

balcaniche. 1914-18: prima guerra mondiale. 1917: rivoluzione Russa e fine dell’impero

Zarista. 1922: conquista del potere in Italia da parte dei Fascisti. 1929: grande crisi economica

mondiale. 1929: Patti lateranensi tra Italia e Santa Sede. 1933: Hitler conquista con violenza il

potere in Germania. Caduta della repubblica di Weimar e instaurazione della dittatura nazista.

1937-38: guerra civile in Spagna; caduta della Repubblica spagnola. 1939-45: seconda guerra

mondiale e sconfitta dei nazi-fascisti in Europa.

L’opinione molto diffusa che con l’arte del Novecento si attui una rivoluzione totale dei valori

tradizionali, appare ad un’attenta, critica indagine storica del tutto inconsistente. Infatti non si è

verificato nessun rivolgimento di valori, bensì una diversa significazione e rappresentazione

degli stessi eterni valori della poesia. Nella fase di trapasso tra l’Ottocento e il Novecento

troviamo solo una reazione all’Impressionismo, di cui sono stati protagonisti artisti come

Cèzanne, Van Gogh, Gauguin, Seurat, Maurice Denis. Allo stesso tempo, in architettura, figure

come quella di Morris, di O. Wagner, di Sullivan anticipano le soluzioni del Novecento.

I MOVIMENTI D’AVANGUARDIA

Agli inizi del Novecento in vari paesi europei si sviluppano i primi movimenti d’avanguardia: il

Fauvismo e il Cubismo in Francia, l’Espressionismo in Germania, il Futurismo in Italia. Tutte

queste poetiche, pur nei diversi esiti linguistici cui danno origine, hanno in comune un’istanza

anticlassica, la liquidazione più o meno radicale del tradizionale ossequio alla realtà,

un’esaltazione del principio di libertà creativa, un’acuta indagine delle possibilità espressive del

linguaggio figurativo nella ricerca di riproporne l’originaria, globale forza di comunicazione al di

là delle cristallizzazioni accademiche. Si assiste così ad un progressivo sviluppo semplificatore

che porta ad espressioni non più rappresentative di un qualunque aspetto della realtà, ma

significative della realtà intesa come condizione umana. La pittura e la scultura non presentano

più una netta distinzione di genere, ma divengono modi intercambiabili di una stessa concezione

visiva ed entrano in una relazione assai stretta con l’architettura. Anzi si può affermare che l’arte

della visione comprende ogni manifestazione figurativa, dal cinema, che è immagine in

movimento, al disegno industriale, che si propone di dare forma artistica ad una funzione pratica

e necessaria alla vita attuale.

L’ARTE CONTEMPORANEA

Una considerazione generale che riguarda ogni poetica che si è venuta succedendo nei primi

sessant’anni del Novecento, dal movimento dei Fauves all’arte programmata dei giorni nostri,

può essere così formulata: l’oggetto come dato di esperienza è posto in discussione da tutte le

correnti figurative; esso viene assunto dall’artista o come stimolo emozionale, o come dato da

conoscere e da ricostruire, o come equivalente analogico di una condizione di coscienza; in

sostanza l’artista moderno con l’opera sua ci presenta una nuova realtà, quella stessa

dell’immagine artistica, che entra nell’economia della natura a parità di titoli con ogni altro

aspetto della natura stessa. Peraltro, il criterio della qualificazione della validità artistica di un

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prodotto va posto nella individuazione di corrispondenza tra immagine e realtà formale: così

l’opera si afferma solo per le sue originarie e intrinseche prerogative di poesia.

AMEDEO MODIGLIANI

Il disegno lento ed armonioso, come la tramatura di un adagio musicale, si accompagna ad una

orchestrata modulazione del colore, che giunge ad una rara intensità espressiva attraverso il

contrappunto di vivide accensioni luminose e bruschi, inattesi spegnimenti. Così emergono dalle

tele di Modigliani le forme più delicate della bellezza, quietamente riportate dal piano della

memoria a quello visivo, in una distaccata contemplazione.

1884: nasce a Livorno Amedeo Modigliani. Interrotti gli studi classici a causa della sua gracile

salute, inizia un corso di pittura presso lo studio di Guglielmo Micheli, modesto continuatore del

Fattori. Dopo alcuni viaggi a Roma, a Napoli e a Capri, dove trascorre un periodo di

convalescenza, nel 1902 si reca a Firenze per iscriversi alla Scuola di Belle Arti. L’anno dopo si

trasferisce a Venezia e successivamente, nel 1906, a Parigi. Prende alloggio vicino al celebre

“bateau lavoir” di Picasso e Van Dongen e passa le sue giornate tra Montmartre e Montparnasse,

dove incontra l’anno dopo il mercante Paul Alexandre, che dimostra d’interessarsi alla sua

pittura. In questo stesso anno si iscrive alla Società degli Artisti Indipendenti con i quali

comincia ad esporre le sue prime opere. Nel 1909 conosce lo scultore Brancusi, che gli diviene

intimo amico, e lo spinge a provarsi nella scultura. Dopo un breve soggiorno in Toscana, rientra

a Parigi ed è presente nel 1910 al Salone degli Indipendenti, con sei quadri, e due anni dopo, al

Salone d’autunno con sette sculture. Nel 1914 incontra il poeta polacco Leopold Sborowski,

uomo fine e generoso, che da questo momento aiuterà l’artista nella sua difficile vita privata,

trattenendolo, al possibile, dagli eccessi dell’alcool e cercando in ogni modo di far conoscere le

sue straordinarie pitture. Nel 1917, la prima mostra personale di Modigliani alla Galleria Berte

Weill,, a Parigi non ottiene successo e determina l’intervento della polizia che rimuove dalle

vetrine alcuni quadri con i celebri nudi dell’artista, mentre due anni dopo alla Galleria Hill di

Londra lo Sborowski riesce finalmente a vendere qualche opera. Pare che questo modesto

successo porti un po’ di pace a Modigliani e alla sua compagna, Jeanne Hèbuterne, ma la vita

dissipata e la malferma salute portano l’artista a morte in Parigi nel gennaio del 1920.

HENRI MATISSE

Con Picasso, Matisse è il massimo protagonista della pittura europea della prima metà del

Novecento. Compiuta una prima esperienza figurativa attraverso le opere del passato, a capo

del movimento dei Fauves inaugura la sua visione fatta di luce e di smagliante colore. La sua è

una concezione ottimistica del mondo e della vita, tanto che tutta la sua opera è consacrata al

culto della bellezza, intesa ancora classicamente.

1869: nasce a Caveau-Cambrèsis Henri Matisse. Iscrittosi alla Facoltà di diritto a Parigi,

interrompe gli studi per tornare in provincia, dove s’impiega presso un ufficiale giudiziario. E’

all’età di ventun anni che, improvvisamente e per caso, si scopre pittore. Durante una

convalescenza, per passare il tempo comincia a disegnare con le matite colorate donategli dalla

madre. Trova così “una specie di paradiso”, quello che sarà il suo mondo prestigioso delle forme

e del colore. Nel 1891 torna a Parigi ed entra nell’Accademia Julian. Quattro anni dopo,

Moreau lo riceve nel suo studio, frequentato da giovani artisti, dove è ammesso, con molta

liberalità, che ognuno si esprima secondo le proprie esigenze e possibilità. Matisse frequenta

anche il Louvre ed entra in contatto con Rodin e il vecchio Pissarro. Verso la fine del secolo,

scopre il Mezzogiorno e risiede un anno in Corsica. Nei primissimi anni del Novecento conosce

Signac e Cross e ne adotta la tecnica puntinistica. Nel 1905, al Salon d’Automne, espone

insieme al Gruppo dei Fauves, di cui è il leader. La mostra è accolta con vivissimo scandalo.

L’anno dopo espone agli Indèpendants la celebre composizione “La joie de vivre”. Il colore è

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ormai divenuto il protagonista fondamentale dell’arte matissiana. Dal 1905 al 1914 compie

viaggi in Algeria, in Italia, in Germania, in Spagna, a Mosca e nel Marocco. Dal 1921 risiede

normalmente sulle rive del Mediterraneo nella felice, immensa luce del Mezzogiorno della

Francia. Dal 1948 al 1951 costruisce la Cappella dei domenicani di Vence, dove raggiunge la

sintesi di ogni sua ricerca artistica. Muore a Cimier nel 1954.

PAUL KLEE

Paul Klee, con il suo canto poetico e profetico, offre all’uomo contemporaneo avventurosi

itinerari in un nuovo mondo fantastico. Disegnatore acutissimo e pittore favoloso, considera

l’opera d’arte parte integrante della realtà. Infatti, è svelando il misterioso farsi della natura,

secondo Klee, che l’artista può giungere all’opera creativa. E così, immerso nella natura, Klee

coglie, con un penetrante occhio interiore, il ritmo misterioso della vita.

1879: nasce a Munchenbuchsee, vicino a Berna, Paul Klee. Figlio di un musicista di origine

bavarese, frequenta dal 1898 l’Accademia di Belle Arti di Monaco, compiendo alcuni viaggi in

Italia e in Francia. Nel 1908 viene in contatto con l’opera di Cèzanne, di Van Gogh e di Matisse

e in questo stesso anno espone a Monaco e a Berlino, con la Secessione. Nel 1911 s’incontra

con Kandinsky, Marc, Macke, con Arp e l’anno dopo partecipa alla seconda esposizione del

“Cavaliere Azzurro”. Nel 1914 si reca con Macke in Tunisia, dove raccoglie materiale per

alcuni paesaggi che sono sentiti e realizzati come opere astratte. E’ questa per Klee

un’esperienza fondamentale di ordine visivo e fantastico. Prima di questa data Klee aveva

soprattutto disegnato e dipinto soltanto degli acquarelli; è durante questo soggiorno che egli

scopre il colore. Nel suo Diario scrive: “Io e il colore siamo una cosa sola, sono pittore”. Dal

1921 al 1931 insegna al Bauhaus, prima a Weimar e dopo a Dessau. In questi anni compie

viaggi in Sicilia, in Corsica, in Bretagna e in Egitto. Nel 1929 espone a Berlino, e l’anno

successivo al Museo d’Arte moderna di New York. Nel 1931 insegna all’Accademia di

Dusseldorf, ma decisamente avverso al Nazismo, deve lasciare la Germania nel 1933 per

rifugiarsi in Svizzera, dove trascorre gli ultimi sette anni della sua vita nel lavoro e nella

meditazione. Muore a Muralto-Locarno, nel Canton Ticino, nel 1940.

GIORGIO MORANDI

Come nessun altro pittore, fatta eccezione per Klee, Morandi sa cogliere il senso profondamente

religioso della complessa vicenda spirituale dell’uomo di questo secolo. La pittura morandiana,

nella sua castità, coglie il segreto delle cose, che è espresso dal rapporto numerico, cioè

musicale, del colore e della forma, e diviene conoscenza e insieme contemplazione

dell’armoniosa e ferma realtà del suo mondo spirituale.

1890: nasce a Bologna, Giorgio Morandi. Dopo gli studi medi, entra all’Accademia di Belle Arti

nel 1907. Mostra subito vivo interesse per le manifestazioni artistiche francesi,

dall’Impressionismo al Fauvismo, che segue attraverso gli scritti del Pica e del Soffici. In questi

anni della sua formazione, Morandi studia soprattutto Cèzanne che ha occasione di conoscere

direttamente in una mostra di acquarelli alla “Seconda Esposizione della Secessione” a Roma,

nel 1914. Nel frattempo ha visitato le Biennali veneziane, dove ha incontrato l’opera di Renoir,

l’Esposizione Internazionale di Roma, dove ha potuto ammirare Monet, e soggiorna a Firenze,

fermandosi soprattutto dinnanzi alle opere di Giotto, Masaccio e di Paolo Uccello. Nel 1914

entra in contatto con i Futuristi; conosce Boccioni e Carrà ed espone per la prima volta a

Bologna assieme a Licini, Mario Baccelli, Vespignani e Pozzati. Non partecipa, per causa di

salute, alla guerra mondiale ’15-’18: in questi anni lavora intensamente, accostandosi alla

poetica dechirichiana della “Pittura Metafisica”, e partecipando con Raimondi alla rivista

bolognese “La Raccolta”. In questo stesso momento entra in contatto con Mario Broglio,

direttore della rivista “Valori Plastici”, e viene colpito soprattutto dalla pittura di Corot e

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Chardin. Negli anni successivi, mentre la generalità degli artisti italiani partecipa al movimento

del “Novecento”, Morandi mantiene una posizione isolata di altissima moralità artistica e civile.

Trascorre la sua vita tra Bologna e Grizzana, piccolo borgo della collina bolognese, dove lavora

intensamente. Muore a Bologna nel 1964.

ARTURO MARTINI

Cantore di storie antiche e modernissime, Arturo Martini rimane uno delle personalità più vive

dell’arte italiana della prima metà del Novecento. L’opera sua multiforme racchiude un

messaggio di alta e commossa poesia, che non rinuncia anche ad imprestiti dialettali , purchè

l’espressione sia diretta e toccante. Il suo linguaggio diventa universale e classico, per una sua

interiore, armoniosa misura.

1889: nasce a Treviso Arturo Martini. Nel 1907, dopo aver frequentato l’Accademia di Belle

Arti di Venezia, parte per Parigi, dove entra nell’ambiente dell’avanguardia europea. Rientrato

in Italia, riparte per Monaco e vi segue la scuola di Adolf von Hildebrand, da cui apprende i

principi del visibilismo, che lo orienteranno, nel secondo soggiorno parigino del 1911, verso la

scultura di Maillol, in posizione polemica verso Rodin. A Parigi ritorna ancora una volta nel

1914. In questi anni Martini entra in contatto anche con i Futuristi e in particolare con Boccioni

e con gli artisti di Cà Pesaro a Venezia, tra i quali il conterraneo Gino Rossi. Dopo la guerra, che

gli procurò sofferenze fisiche e spirituali, si avvicina al movimento di “Valori plastici”. E’ solo

dopo il 1930 che l’opera martiniana riscuote il consenso della critica, ottenendo il premio per la

scultura alla prima Quadriennale romana del ’31. Dopo questa data la sua fama si impone

rapidamente, tanto da essere chiamato alla cattedra di scultura dell’Accademia veneziana.

Spirito inquieto e ricercatore instancabile di forme, accoglie grandi commissioni pubbliche, e le

svolge con eccezionale libertà inventiva, riservando peraltro alla attività personale la parte più

segreta e duratura della propria ispirazione poetica. Negli ultimi anni, Martini, ritirato a

Venezia, conduce una spietata e amara indagine speculativa sulle possibilità espressive della

scultura. Sono gli anni della sua predicazione sulla “scultura lingua morta”, una proposizione

peraltro smentita dal continuo nascere di opere plastiche di straordinaria originalità. Fino alla

fine della vita, peraltro, Martini è tormentato dal dubbio che la scultura risenta troppo della sua

situazione entro la natura circostante,perdendo la sua autonomia. Muore a Milano nel 1947.

LE CORBUSIER

Pittore, architetto, urbanista e teorico, Le Corbusier ha pazientemente ricercato e proposto, per

oltre cinquant’anni, i termini funzionali e formali di una nuova architettura, dove l’uomo

contemporaneo, soverchiato dalla civiltà meccanica, possa vivere e operare in una dimensione

spirituale e fantastica di libertà, di dignità, di armonia.

1887: nasce a La-Chaux-de-Fonds, nella Svizzera francese, Charles-Edouard Janneret, che dal

nome di un suo avo assume lo pseudonimo di Le Corbusier. Alla scuola professionale del suo

paese, sotto la guida paziente di un oscuro maestro, l’Eplatenier, viene avviato all’incisione e alla

cesellatura degli orologi. Dal 1906 al 1909 compie numerosi viaggi di studio in Europa e visita

Adrianopoli, Istanbul, il Monte Athos, Atene e Pompei, riempiendo migliaia di fogli di appunti e

di disegni. Nel 1908 si reca a Parigi e entra nello studio di Perret, il grande costruttore e pioniere

delle opere in cemento. Nel 1914, Le Corbusier si reca in Germania dove frequenta lo studio di

Behrens, ed entra in contatto con il Werkbund. Nel 1920, rientrato a Parigi dopo cinque anni di

meditazione in Svizzera, fonda la rivista d’avanguardia “L’esprit nouveau”. Finalmente apre,

insieme al cugino Pierre Janneret, lo studio di Rue de Sèvres, 35, a Parigi. Questo studio

diventa uno dei centri più fervidi dell’architettura moderna e assume un’importanza mondiale;

qui Le Corbusier elabora il proprio pensiero architettonico, urbanistico e artistico, e scrive

decine di libri e di articoli; esegue centinaia di progetti, partecipa ai più importanti concorsi. La

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sua architettura propugna una nuova concezione abitativa e urbana, di cui massima protagonista

è la luce. Come urbanista, cura i piani per Parigi, Barcellona, Algeri, Stoccolma e Anversa.

Fonda il C.I.A.M. (Congressi di Architettura moderna) nel 1928; nel 1942, scrive la Carta di

Atene, che è il breviario dell’urbanistica contemporanea. Le sue ultime creazioni sono il Centro

di governo di Chandigar e il progetto per il nuovo Ospedale di Venezia. Muore a Cap Martin nel

1965.

PABLO PICASSO

Inesauribile inventore di forme, ha ripercorso tutta la storia dell’arte dai grafiti delle caverne

preistoriche ai giorni nostri, sperimentando tutto, riproponendo ogni volta il problema artistico in

termini assolutamente nuovi. Picasso è un genio, che, alla maniera di Einstein, ha aperto

all’uomo moderno un nuovo mondo di conoscenza e di immaginazione.

1881: nasce a Malaga, in Spagna, Pablo Picasso. Il nome Picasso è ripreso dalla madre, e

diviene il suo celebre pseudonimo. Viene iniziato prestissimo al disegno e frequenta scuole

artistiche a Malaga, Barcellona, Madrid rivelando immediatamente un talento eccezionale. Nel

‘900 viene a Parigi per alcuni mesi, dove ritorna definitivamente nel 1904 prendendo alloggio al

“bateau-lavoir”. Il suo studio diventa un centro culturale di enorme interesse: lo frequentano

Jacob, Jarry, Salmon, Reverdy, Apollinaire. In questo momento passa dal cosiddetto periodo

“blu” al periodo “rosa”. Intanto prova la scultura, conosce Matisse e forse tramite il caposcuola

dei Fauves s’interessa all’arte negra. Nel 1906-1910 comincia le “Demoiselles d’Avignon”.

Negli anni immediatamente successivi, legatosi d’amicizia con Braque e con Derain, dà vita al

movimento cubista. La sua opera geniale attira l’attenzione dei giovani artisti di tutta Europa e

il suo nome diviene sinonimo di modernità e di avanguardia. Durante la guerra ’14-’18, rimane

solo a Parigi; compie nel 1917 un viaggio in Italia e si dedica alla scenografia. Dopo il conflitto,

entra in contatto con i giovani poeti sperimentalisti e particolarmente con Eluard. La sua attività

di pittore, di scultore e d’incisore non conosce soste e limiti linguistici. Picasso compie un

geniale ricupero classico, ma insieme produce opere cubiste e surrealiste. Intanto sempre più

viva si fa la sua partecipazione alla vita politica dell’Europa. Decisamente orientato a sinistra, si

oppone al regime spagnolo di Franco. E’ anzi in mone di questa risoluta avversione che produce

quella che si può definire la sua opera più celebre e popolare: Guernica. La sua attività.

celebrata o denigrata, è pur sempre al centro di ogni discussione artistica moderna, anche

perché questo vitalissimo artista è ancora pronto a sorprendere il mondo con l’inesauribile

slancio della sua poetica fantasia.