l’Appeso

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E se l’Appeso parlasse…? di Alejandro Jodorowsky Mi trovo in questa posizione perché lo voglio. Sono stato io a recidere i rami. Ho liberato le mie mani dal desiderio di afferrare, di appropriarmi delle cose, di trattenerle. Senza abbandonare il mondo, me ne sono ritratto. Con me potete trovare la volontà di entrare in quella condizione in cui non esiste più la volontà. Lo stato in cui le parole, le emozioni, le relazioni, i desideri, i bisogni non vi tengono più legati. Per slegarmi ho spezzato tutti i legami, tranne quello che mi lega alla Coscienza. Ho la sensazione di cadere eternamente verso me stesso. Mi cerco attraverso il labirinto delle parole, sono colui che pensa e non ciò che viene pensato. Non sono i sentimenti, li osservo da una sfera intangibile dove regna soltanto la pace. A una distanza infinita dal fiume dei desideri, conosco soltanto indifferenza. Non sono un corpo, ma colui che lo abita. Per arrivare a me stesso, sono un cacciatore che sacrifica la preda. Ritrovo l’azione bruciante nell’infinita non-azione.Attraverso il dolore per trovare la forza del sacrificio. Nei miti nordici, la vicenda di Odino narrata nell’Havamal introduce uno dei simboli del sacrificio: l’Appeso, l’ Arcano 12 dei Tarocchi, uno dei simboli più potenti della Tradizione esoterica. Sotto un certo aspetto, l’Appeso è lo Spirito che cade nella materia, e il glifo citato ne rappresenta un simbolo splendido. Oswald Wirth, nel suo celebre testo sui Tarocchi dice correttamente che l’appeso rimanda all’iniziazione passiva o mistica (bakthika nell’induismo), detta anche femminile o ionica, quella che punta all’annullamento totale dell’Ego illusorio e che fa dell’iniziato un ricettacolo di forze superiori. L’Appeso è colui che si inchina e si sottomette al proprio Dio, che si sacrifica in nome di un bene più grande ed

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E se l’Appeso parlasse…?di Alejandro Jodorowsky

Mi trovo in questa posizione perché lo voglio. Sono stato io a recidere i rami. Ho liberato le mie mani dal

desiderio di afferrare, di appropriarmi delle cose, di trattenerle.

Senza abbandonare il mondo, me ne sono ritratto. Con me potete trovare la volontà di entrare in quella

condizione in cui non esiste più la volontà.

Lo stato in cui le parole, le emozioni, le relazioni, i desideri, i bisogni non vi tengono più legati.

Per slegarmi ho spezzato tutti i legami, tranne quello che mi lega alla Coscienza.

Ho la sensazione di cadere eternamente verso me stesso. Mi cerco attraverso il labirinto delle parole, sono

colui che pensa e non ciò che viene pensato. Non sono i sentimenti, li osservo da una sfera intangibile dove

regna soltanto la pace.

A una distanza infinita dal fiume dei desideri, conosco soltanto indifferenza. Non sono un corpo, ma colui che lo

abita. Per arrivare a me stesso, sono un cacciatore che sacrifica la preda.

Ritrovo l’azione bruciante nell’infinita non-azione.Attraverso il dolore per trovare la forza del sacrificio.

Nei miti nordici, la vicenda di Odino narrata nell’Havamal introduce uno dei simboli del sacrificio: l’Appeso, l’

Arcano 12 dei Tarocchi, uno dei simboli più potenti della Tradizione esoterica. Sotto un certo aspetto, l’Appeso

è lo Spirito che cade nella materia, e il glifo citato ne rappresenta un simbolo splendido. Oswald Wirth, nel suo

celebre testo sui Tarocchi dice correttamente che l’appeso rimanda all’iniziazione passiva o mistica (bakthika

nell’induismo), detta anche femminile o ionica, quella che punta all’annullamento totale dell’Ego illusorio e che

fa dell’iniziato un ricettacolo di forze superiori.

L’Appeso è colui che si inchina e si sottomette al proprio Dio, che si sacrifica in nome di un bene più grande ed

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inizia ad invertire la rotta, prima che giunga al punto di non ritorno; è colui che si svuota per divenire recipiente

di forze luminose. I Vangeli dicono di Gesù che non appena rifiutò Satana nel deserto, ossia l’Ego che tutto

vuole, fu servito dagli angeli, o meglio le forze divine incatenate nella sua anima. L’Appeso è colui che si sforza

di vedere la realtà al contrario di come appare, poichè si rende conto che ciò che è bene per gli uomini è male

per Dio e viceversa, così come ciò che è saggezza per gli uni è stoltezza per Dio (1 Corinzi 1:25 e 3:19).

La realtà fenomenica è lo specchio contrario della realtà superiore, ciò che è in basso è analogo a ciò che è in

alto, ma speculare. Nella raccolta gnostica I Viaggi di Pietro, precisamente nel frammento “Il Martirio di Pietro”,

l’apostolo dice qualcosa di interessante riguardo al “ribaltamento mistico” : “Tu, Mio Signore, sempre dritto,

sempre innalzato, eternamente al di sopra…Noi che nasciamo in tal guisa da sembrar essere versati sulla

terra, cosicchè la dritta è la mancina e la mancina diviene dritta; inquantochè il nostro stato è modificato da

quelli che sono gli autori di questa vita (gli Arconti, n.d.a.). Questo mondo crede dritto ciò che è mancino…”.

Quella di Pietro è la tipica visione gnostica, tant’è che morì crocifisso, secondo la tradizione, a testa in giù (cfr.

HERA 43, pag. 34).

L’uomo, una stella caduta sul piano materiale, ribalta la sua visione originaria a causa dell’incarnazione, il che

lo costringe ad attuare una contro-inversione per ottenere la salvezza dal piano materiale. Se prende

consapevolezza di essere veramente un morto che cammina, innesca un processo di riabilitazione, di

conoscenza sofferta e graduale che lo conduce verso la via del ritorno a sè stesso. E’ un tema universale e lo si

ritrova anche negli insegnamenti iniziatici induisti, come testimoniatoci da David Gordon White ne Il Corpo

Alchemico: “Nella misura in cui inverte con la sua pratica tutte le tendenze naturali (inerzia, destino di morte,

estroversione, n.d.a.), lo yogin letteralmente inverte la direzione del tempo; la sua è una pratica regressiva che

capovolge i modelli convenzionali dei cicli temporali”.

Gli ultimi saranno i primi…

Quando si passa dall’inferiore al superiore, dal fuori al dentro, dal materiale allo spirituale, l’analogia va intesa

sempre in senso inverso. Questa specularità inversa tra visibile e invisibile è stata ben insegnata dal Maestro

Gesù: “Chi si umilia sarà esaltato e chi si esalta sarà umiliato…Gli ultimi saranno i primi…Chi si fa ultimo sarà il

primo nel Regno dei cieli”. Negli Atti di Filippo, Gesù insegna ancora: “Se non farete che il sotto divenga il

sopra, che la destra divenga la sinistra, non entrerete nel regno, perché tutto l’universo è volto nel senso

contrario e così ogni anima che è in esso”. Naturalmente chi vive nella cecità di questo mondo è capovolto

rispetto al mondo spirituale e va in senso opposto a ciò che è giusto. I Testi egizi delle Piramidi al passo 260

sono eloquenti: “L’orrore di Onnos (altro nome di Osiride, n.d.a.) è il camminare nell’oscurità senza vedere,

perché è capovolto”. Solo chi si annulla diviene un tutto, e cosi sarà per colui che si cala nelle sue profondità

interiori attraverso il vero battesimo, che entra in sè, facendo sì che la luce e lo spirito discendano nelle viscere

oscure della terra e della materia. I cabalisti utilizzavano il principio della “discesa nella Merkabà-Yarad la

Merkavà”. Il termine ebraico “YRD” ha il senso sia di entrare (iniziarsi) sia di scendere (calarsi in sè stessi). Il

fiume Giordano, il fiume sacro di Israel, il cui nome conserva questa radice, è un potente simbolo di battesimo

alchemico (si ricorda che Gesù vi fu battezzato).

Anche nella cultura sciamanica, la discesa nei propri inferi (katabasi) equivale ad un’ascensione (anabasi),

poichè più si muore a sè stessi, più si ritorna in sè; più ci si svuota della propria umanità e ci si rende conto di

essere un mero nulla, più ci si riempie della propria divinità. Lao-Tzu insegna: “La Via del Cielo consiste

nell’abbassare l’elevato e nel rialzare il basso, nel ridurre l’eccessivo e nell’aumentare l’insufficiente. I Saggi

sono umili e modesti, puri e calmi; questo è curarsi del basso, e poichè rispettano il basso, possono

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raggiungere le altezze. La Via del Cielo è discendere dopo aver raggiunto il culmine, diminuire dopo aver

raggiunto la pienezza. I saggi si diminuiscono giornalmente e si svuotano, non osando essere soddisfatti di sè;

progrediscono giornalmente retrocedendo, così la loro virtù non viene meno”.

Mike Plato

Interpretazione di Lucio Giuliodori

Attesa, sacrificio temporaneo in attesa di un miglioramento futuro.

Sicuramente una della carte più emblematiche. L’Appeso non condivide il mondo, lo vive alla rovescia, ma il

mondo questo non lo permette, per questo egli è in una posizione scomoda, di sacrificio. Ma proprio nel

sacrificarsi, cioè nel farsi sacro, egli si redime, si illumina.

Non è del tutto negativo questo Arcano, infatti in alcune raffigurazioni, Waite per esempio, l’Appeso ha

addirittura un’aureola, a significare la sua saggezza: l’Appeso, cercava la verità come l’Eremita, ma ha poi

scoperto che il cercare stesso è un ostacolo alla verità, quindi ha smesso, si è arreso. Ma la sua è una resa

sacra, illuminata.

Poco pertinenti le interpretazioni cristiane sulla vita come dolore, l’Appeso tra làaltro non è per niente crocifisso,

è semplicemente appeso. Non è ancora morto. Ecco perché il sacrificio è temporaneo.

L’appeso in realtà sta ricevendo un’iniziazione, questo è forse il vero significato esoterico che si cela dietro

questo Arcano, un significato assolutamente affascinante. L’appeso non condivide il modo consueto di attingere

alla conoscenza, lui aspetta, medita, si immerge immobile nel silenzio attendendo l’illuminazione come i mistici

orientali. Anche Odino del resto, ricevette la conoscenza delle rune rimanendo appeso, per ben nove giorni e

nove notti.

Laura Tuan chiarisce il concetto: «l’impiccato ha scoperto che il segreto per penetrare l’essenza delle cose sta

nel loro capovolgimento. (…) Grandissima è dunque la sua forza, non più esercitata dalla masse muscolari, ma

dal potere occulto dell’anima che ha superato la prova iniziatica».

La Tuan inoltre fa giustamente notare come le braccia piegate dietro la schiena e le gambe incrociate formano

una figura che rimanda al triangolo rovesciato sormontato dalla croce, simbolo alchemico del compimento della

Grande Opera. Ciò avvalora ancor di più il significato iniziatico della prova che l’Appeso sta superando, quel

simbolo infatti rimanda proprio al compimento dell’Opera, più che al tentativo di affrontarla, da cui si evince la

valenza sostanzialmente positiva dell’Impiccato, non sempre sottolineata, né condivisa. D’altronde però, il

linguaggio simbolico parla chiaro, e i Tarocchi parlano solo attraverso i simboli.

Per quanto riguarda una possibile interpretazione, l’Arcano numero 12 può rappresentare la classica sventura

che in futuro si benedice, un periodo triste che però serve per riflettere, per capire, per evolvere. Talvolta è

attraverso il dolore che si capisce la felicità, cioè come vivere bene nel mondo.

Le prove della vita, arricchiscono sempre interiormente, quindi anche se dolorosa, la prova porta poi i suoi

buoni frutti.

Per un ulteriore contributo, quale conferma della positività dell’Arcano, è interessante l’interpretazione che ne

da Jodorowsky in Cabaret Mistico: «Simboleggia il dono di se stesso, uno stato di meditazione in cui viene a

cessare qualsiasi pretesa. In alcune versioni, dalle tasche gli fuoriescono delle monete d’oro, perché nel

momento in cui smette di appropriarsi dei suoi molteplici ego (…) si fa canale di ricchezze cosmiche. Non

pensa, è pensato».

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