L'antico e sacro fuoco della Rabbia - Nadia VERZENI

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1 “L’ANTICO E SACRO FUOCO DELLA RABBIA” Dal dolore, alla conoscenza più profonda di noi stessi: un viaggio nell’anima. di Nadia Verzeni LIBERA UNIVERSITA’ di Studi Psicologici Empirici MICHEL HARDY

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Tesi F.A.I.P. di Nadia VERZENI.

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“L’ANTICO E SACRO FUOCO DELLA RABBIA”

Dal dolore, alla conoscenza più profonda di noi stessi:

un viaggio nell’anima.

di Nadia Verzeni

LIBERA UNIVERSITA’

di Studi Psicologici Empirici

MICHEL HARDY

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Ringraziamenti

- A Me stessa per aver avuto il coraggio di avanzare nel buio del mio mondo interiore.

- Al Dott. Prof. Michel Hardy, mio grande maestro che, pazientemente, ha permesso e

facilitato la mia trasformazione e la rinascita della mia vera essenza, pur essendo

ancora in cammino.

- Alla Dott.ssa Dèsire Scarabò per avermi insegnato a non avere paura della

complicità femminile, utile strumento per nutrire il mio grande potere Yin. .

Ha donato gioia e fiducia alla mia Donna.

- A tutti i miei compagni di viaggio, preziosi doni che hanno arricchito la mia anima.

- A mio padre e mia madre che inconsapevolmente hanno segnato questo mio lungo

viaggio.

- A mio marito Mauro e ai miei figli Emmanuele ed Evelina per avere accettato e

sostenuto i miei umori e i miei cambiamenti con grande Amore.

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INDICE

- 2. Ringraziamenti

- 3.Indice

- 4. La riflessione “La Rabbia di Osho”

- 5. Racconto “L’orso della luna crescente”

dal libro Donne che corrono con i lupi

- 17. L’origine della rabbia

- 21. La rabbia infantile

- 26. Le ragione dell’emozione rabbia

- 27. La mia storia personale

- 30.La rabbia empirica e sistemica

- 38.Il rilascio delle rabbia

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LA RABBIA

SE VUOI DAVVERO CONOSCERE CHE COSA SIA LA RABBIA,

ENTRACI, MEDITACI SOPRA, ASSAPORALA IN MOLTI MODI,

PERMETTILE DI ACCADERE DENTRO DI TE,

LASCIATENE AVVOLGERE, LASCIA CHE TI RANNUVOLI,

SENTINE TUTTO IL DOLORE E LA SOFFERENZA,

SENTINE GLI ACULEI E IL VELENO,

SENTI COME TI TRASCINA IN BASSO,

I MODI IN CUI CREA UNA VALLE OSCURA PER IL TUO ESSERE.

SENTI COME ATTRAVERSO LA RABBIA CADI IN UN INFERNO,

IN CHE MODO DIVENTA UNA CORRENTE IMPETUOSA

CHE TI TRASCINA INESORABILMENTE VERSO IL BASSO.

PERCEPISCI TUTTO QUESTO, CONOSCILO.

QUELLA COMPRENSIONE DARA’ IL VIA AD UNA TRASFORMAZIONE DENTRO DI TE.

CONOSCERE LA VERITA’ SIGNIFICA ESSERE TRASFORMATI.

LA VERITA’ LIBERA,

MA DEVE ESSERE SENTITA DA TE IN PRIMA PERSONA.

Osho

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Il nostro essere, la nostra anima hanno necessità in essere perfetta armonia con ogni

parte che noi manifestiamo a noi stessi e al mondo, per portare l’equilibrio e

nutrimento alla nostra vita creativa e istintiva.

Ma non sempre questo perfetto meccanismo è libero e fluido, subentrando aspetti di

questa padronanza che possiamo definire solamente come collera femminile, che si

trasforma poi in rabbia che gelosamente a volte si custodisce perché è penosa e

malsana per se ma soprattutto per i rapporti con gli altri.

Reprimerla non funziona, è come mettere il fuoco in un sacco di juta, ne’ va bene

scottarsi o scottare gli altri, così si sforza di contenere questa emozione forte, quasi

come un’invasione, un’intrusione dove viene collocata, in un posto lontano quasi a

seppellirla, in un terreno conosciuto solo a noi stessi.

Leggendo il libro di Clarissa Pinkola Estès “DONNE CHE CORRONO COI LUPI” ho

trovato che questa storia giapponese che s’intitola “TSUKINA WAGUMA, L’Orso della

luna Crescente” abbia dato nuova luce all’immagine della rabbia:

“C'era una volta una giovane che viveva in un profumato bosco di pini.

Il marito era lontano, a combattere una lunga guerra.

Quando finalmente fu congedato, tornò a casa, ma si rifiutò di entrarvi perché si era

abituato a dormire sulle pietre.

Stava giorno e notte per conto suo, nel bosco.

La giovane moglie era tanto eccitata quando le dissero che finalmente il marito

sarebbe tornato a casa, che prese a comprare cibi e a cucinare piatti e piatti e ciotole

e ciotole di giuncata di soia, e tre tipi di pesce, e tre tipi di alghe, e riso cosparso di

pepe rosso, e dei bei gamberi, grossi e color arancio.

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Sorridendo timidamente, portò i cibi nel bosco e s'inginocchiò accanto al marito tanto

stanco dalla guerra, e gli offrì le stupende pietanze che aveva preparato.

Ma lui saltò in piedi e diede un calcio ai vassoi, sicché la giuncata si sparse per terra,

il pesce volò per aria, le alghe e il riso si sparpagliarono ovunque, e i grossi gamberi

arancioni rotolarono lungo il sentiero.

“Lasciami stare!” urlò, e le voltò le spalle.

Era tanto in collera che lei ne ebbe quasi paura.

Alla fine, disperata, riuscì a raggiungere la caverna della guaritrice che viveva lontano

dal villaggio. “Mio marito è tornato gravemente turbato dalla guerra”, disse la moglie.

“S'infuria continuamente e non mangia nulla. Vuole restare all'aperto, non vuole più

vivere con me come un tempo. Puoi darmi una pozione per renderlo di nuovo gentile e

affettuoso?”.

La guaritrice la rassicurò: “Posso fare questo per te, ma mi occorre uno speciale

ingrediente.

Purtroppo ho esaurito i peli dell'orso della luna crescente.

Devi dunque arrampicarti su per la montagna, trovare l'orso nero e portarmi un pelo

della luna crescente che ha sulla gola.

Allora potrò darti quel che ti occorre, e la vita tornerà a essere bella”.

Molte donne si sarebbero scoraggiate, avrebbero ritenuto impossibile quell'impresa.

Ma lei no, perché era una donna che amava. “Oh, ti sono cosi grata!” disse. “E' cosi

bello sapere che si può fare qualcosa”.

Si preparò dunque al viaggio, e la mattina dopo prese a salire su per la montagna.

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E intanto cantava “Arigato zaisho”, che è un modo per salutare la montagna e dirle “

Grazie di lasciarmi salire sul tuo corpo”.

Salì sulle colline dove i massi erano come grosse pagnotte di pane.

Raggiunse un altopiano ricoperto da un bosco. Gli alberi avevano lunghi rami

drappeggianti e foglie che parevano stelle.

“Arigato zaisho” cantava. Era un modo per ringraziare gli alberi che sollevavano le

chiome per lasciarla passare.

Così riuscì ad attraversare il bosco e riprendere a salire.

Ora era più faticoso. La montagna aveva fiori spinosi che s’impigliavano all'orlo del

kimono, e rocce che le sbucciavano le piccole mani.

Strani uccelli neri le volarono incontro nel crepuscolo e la spaventarono.

Sapeva che erano muen-botoke, spiriti dei morti che non avevano parenti, e per loro

intonò preghiere: “ Vi sarò parente. Farò in modo che possiate riposare”.

Salì ancora, perché era una donna che amava. Salì finché vide la neve sulla cima della

montagna. I piedi si bagnarono e diventarono freddi, ma lei continuò a salire, perché

era una donna che amava. Si scatenò una tempesta, e i fiocchi di neve le entrarono

degli occhi e nelle orecchie. Accecata, continuava a salire. E quando smise di nevicare,

la donna cantò: “Arigato zaisho”, per ringraziare i venti che non lo accecavano più.

Si rifugiò in una piccola caverna, cosi piccola che ci stava dentro a malapena. Aveva

del cibo per sé, ma non mangiò; si ricoprì di fogli e dormì. La mattina l'aria era

tranquilla e tra la neve si scorgevano persino delle pianticelle verdi. “Ecco”, pensò, “è

arrivato il momento di trovare l'orso della luna crescente”.

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Cercò tutto il giorno e all'imbrunire trovò delle grosse cataste di legna e non ebbe più

bisogno di cercare, perché un gigantesco orso nero camminava pesantemente sulla

neve, lasciandosi indietro profonde orme. L' orso della luna crescente ringhiò

ferocemente ed entrò nella sua tana. La donna frugò nel suo fagotto e mise il cibo che

aveva portato in una ciotola. Lo appoggiò sulla soglia della tana e tornò a nascondersi

nel suo rifugio. L'orso sentì il profumo del cibo e uscì barcollando dalla tana,

ringhiando così forte da far rotolare delle pietre. L'orso girò un po' di volte attorno al

cibo, sentì il vento, e inghiottì il cibo in un sol boccone. Poi sparì nella sua tana.

La sera dopo la donna fece la stessa cosa, ma dopo aver deposto la ciotola non tornò

nel suo rifugio ma si fermò a mezza strada. L'orso sentì l'odore del cibo, uscì dalla

tana, ringhiò da scrollare le stelle dai cieli, girò attorno, molto cautamente sentì l'aria,

ma alla fine inghiottì il cibo e tornò nella tana, La cosa continuò per parecchie notti

finché in una scura notte blu la donna sentì di avere abbastanza coraggio da aspettare

vicino alla tana dell'orso.

Mise il cibo nella ciotola sulla soglia della tana e lì rimase in piedi, in attesa. Quando

l'orso sentì l'odore del cibo e uscì, vide non soltanto il solito cibo ma anche un paio di

piccoli piedi umani. L'orso voltò il capo e ringhiò tanto forte da farle rumoreggiare le

ossa. La donna tremava, ma restò al suo posto. L'orso si ripiegò sulle zampe

posteriori, spalancò le fauci e ringhiò tanto che la donna poté vedere il palato rosso e

marrone della donna. Ma non si diede alla fuga. L'orso ringhiò più forte e allungo le

zampe come per afferrarla, con i dieci artigli che pendevano come dieci lunghi coltelli

sulla sua testa. La donna tremava come una foglia al vento, ma rimase ferma dov'era.

“Per favore, caro orso”, implorò, “per favore, ho fatto tutta questa strada perché ho

bisogno di una cura per mio marito”. L'orso lasciò ricadere a terra le zampe sollevando

una nuvola di neve, e osservò la faccia terrorizzata della donna. Per un attimo alla

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donna parve di vedere intere catene montuose, vallate, fiumi e villaggi riflessi nei

vecchi occhi dell'orso. Provò una gran pace, e smise di tremare.

“Ti prego, caro orso, ti ho nutrito per tante notti. Potrei avere un pelo della luna

crescente che hai sulla gola?” L’orso rifletteva, e pensava: questa piccola donna

sarebbe un buon cibo. Ma improvvisamente provò per lei tanta pietà. “E' vero”, disse

l'orso della luna crescente, “sei stata buona con me. Puoi prendere un mio pelo. Ma fai

in fretta, poi vattene subito, e tornatene a casa.”.

L'orso sollevò il muso perché potesse vedere la bianca luna crescente sulla gola, e la

donna vide anche il suo cuore pulsare forte. La donna poggiò una mano sul collo

dell'orso, e con l'altra prese un lucente pelo bianco, e in fretta lo strappò. L'orso

indietreggiò e urlò come se fosse stato ferito. Poi il dolore si trasformò in stizza.

“Oh, grazie mille, orso della luna crescente, grazie mille”. La donna si piegò in mille

inchini, ma l'orso grugnì e fece un passo avanti. Urlò parole che lei non poteva

comprendere, e che pur aveva sempre saputo. La donna si volse e volò giù dalla

montagna. Forse sotto gli alberi con le foglie a stella. E sempre andava intonando:

“Arigato zaisho”, per ringraziare gli alberi che sollevavano i rami e la lasciavano

passare. Inciampò sui massi che parevano grosse pagnotte di pane urlando: “Arigato

zaisho”, per ringraziare la montagna che l'aveva lasciata salire sul suo corpo.

Sebbene avesse gli abiti ridotti in brandelli, i capelli tutti spettinati, e la faccia sporca,

corse giù per gli scalini in pietra che portavano al villaggio, di corsa percorse la strada

e raggiunse la capanna, dove la guaritrice sedeva a curare il fuoco.

“Guarda! Guarda! Eccolo, l'ho trovato, l'ho tenuto, il pelo dell'orso della luna

crescente!” urlava la giovane donna. “Bene” disse la guaritrice con un sorriso. Guardò

attentamente la donna e prese il pelo bianco e lo guardò alla luce. Soppesò il lungo

pelo in una mano, lo misurò col dito, ed esclamò: “Si! E' un autentico pelo dell'orso

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della luna crescente”. Poi d'improvviso si volse e gettò il pelo sul fuoco, dove

scoppiettò e bruciò in una splendente fiamma arancione.

“No!” -urlò la donna- “Che cosa hai fatto?”

“Calmati. Va bene così. E' tutto a posto” -disse la guaritrice- “Ti ricordi tutto quello

che hai fatto per scalare la montagna? Ricordi tutto quello che hai fatto per

conquistare la fiducia dell'orso della luna crescente? Ricordi quel che hai visto, quel

che hai udito, quel che hai sentito?”.

“Si” -rispose la donna- “lo ricordo benissimo”.

La vecchia guaritrice le sorrise dolcemente e disse: “Ora per favore, figlia mia, torna a

casa con queste nuove conoscenze e comportati nello stesso modo con tuo marito”.

Questo è un racconto di apertura che ci permette di intravedere le strutture curative e

il significato più profondo del nostro essere. La storia si ripete, il motivo centrale di

conoscenza della rabbia ,la ritroviamo in tutto il mondo. In alcuni casi tocca alla

donna, in altri all’uomo.

Il contenuto di questa storia ci mostra che la pazienza soccorre la collera e

l’importante è riportare l’ordine, anche nella psiche.

La storia nella sua più intima struttura rivela un modello completo per affrontare e

guarire della rabbia: ricercare una forza saggia e quieta (la guaritrice), accettare la

sfida di entrare nel territorio psichico a cui non ci si era mai avvicinato (scalare la

montagna), riconoscere le illusioni (superare i massi, correre sotto gli alberi), dare

riposo ad antichi pensieri e sentimenti ossessivi (incontro con i Muen-otoke, gli

inquieti spiriti privi di parenti che si occupano della sepoltura) sollecitare il grande e

compassionevole IO (nutrire pazientemente l’orso attendendo che ricambi la

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gentilezza) comprendere il lato più oscuro della psiche compassionevole (riconoscere

che l’orso è l’ IO compassionevole, non docile).

La storia nasce e inizia perché lo spirito, amante della psiche, la moglie, si assuma il

compito di trovare una cura per la collera, affinché il suo amore possa vivere in pace

di nuovo con amore. È una fatica che val la pena vivere e affrontare perché guarisce

la rabbia e spesso consente di trovare la via del perdono.

La pazienza è un’ottima cosa per la rabbia antica come per la nuova ed è importante

la ricerca di una cura e la tolleranza per ogni emozione. Persino le emozioni più grezze

e confuse sono una forma di luce, piena di energia. Possiamo usare la luce della

rabbia in un modo positivo, per vedere là dove di solito non possiamo vedere. L’uso,

invece, negativo della rabbia consiste nel concentrarsi in modo distruttivo su un

piccolo punto, come un acido che a lungo formerà un buco nero nei delicati strati della

psiche.

Tutte le emozioni, anche la rabbia, la collera porta sapienza, penetrazione, ciò che

alcuni chiamano, illuminazione. Per una volta, la rabbia puo’ farci da maestra, non un

qualcosa da liberarsi in fretta, piuttosto qualcosa per cui scalare la montagna, da

personificare, da cui apprendere, da affrontare interiormente e da modellare poi in

qualcosa di utile nel mondo, o da lasciar tornare nell’ombra. La rabbia ha un ciclo,

come molti altri cicli: monta, cala, muore ed è liberata sotto forma di energia nuova,

creativa. Se pero’ non abbiamo la capacità di trasformarla può diventare un mantra

che ci opprime, ferisce e tortura.

Nelle fiabe, come nei miti, la montagna è un simbolo che descrive i livelli di

padronanza da raggiungere prima di salire al livello successivo.

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La parte inferiore, le colline ai piedi della montagna, rappresenta spesso il bisogno di

consapevolezza, e tutto ciò che accade sulle colline, è considerata la parte più difficile

del processo, quello che mette alla prova quanto si è appreso ai livelli inferiori.

L’alta montagna è la conoscenza intensa, e nel racconto rappresenta il confronto con

la massima saggezza, il vecchio saggio, l’orso.

E’ necessario ritirarsi sulla montagna quando non sappiamo che altro fare. Le ricerche

di cui sappiamo poco fanno la vita e sviluppano l’anima. L’obiettivo è scalare la

montagna sconosciuta conquistando una vera conoscenza della psiche istintiva, del

nostro vero IO e della creatività che dentro possiede, percependo ciò che ha un senso

e da senso alla vita.

Se sappiamo ascoltare, ci dice sempre cosa fare, e questo processo di liberazione lo

troviamo solo sulla montagna, li possiamo trasformare la sofferenza, il negativismo, il

rancore della rabbia, e guardare che questi sentimenti interferiscono con una più

profonda comprensione di noi stessi e del mondo.

Lasciare le illusioni perché sono solo un’immagine di ciò che non è reale.

Lasciare queste illusioni aiuta la persona a comprendere aspetti diversi della propria

vera natura, della vita, dell’ Io.

Sollevare questi veli rende tanto forti da sopportare la vita e vedere nel disegno degli

eventi, delle persone, delle cose per imparare a non prendere troppo sul serio la prima

impressione ma a guardare oltre.

Quando cerchiamo la nostra verità, dobbiamo cercare anche di annullare le nostre

illusioni … “sono brava, quindi sono accettata. Sono bella, quindi sono desiderabile “…

può essere solo un’ illusione. Nel buddismo sono “ostacoli all’illuminazione” .

Solo così saremo in grado di scoprire il lato nascosto della rabbia.

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Esistono illusioni anche sulla rabbia, pensando che perdendola si cambi e si diventi più

deboli oppure avendo come esempio lo stesso sentimento di un genitore si arrivi alla

conclusione che sarà così per tutta la vita e che nulla potrà cambiare.

Sono pure e semplici illusioni. Le premesse sono esatte ma le conclusioni sono errate.

Sfidare queste illusioni con la ricerca, gli interrogativi, lo studio, scrutando sotto gli

alberi, scalando la montagna è come accettare di correre il rischio di incontrare

l’aspetto della nostra natura, la magia che porta nella vita, nella rabbia, nella

pazienza, nel sospetto, nell’avvedutezza, nella segretezza, nella lontananza e

nell’ingegnosità ... l’Orso della luna crescente.

Come nella storia, vale la pena propiziarsi il saggio Orso, la psiche istintiva e

continuare ad offrirgli il cibo spirituale che può essere la religione, le preghiere, i

sogni, l’arte, i viaggi, i seminari o altro ancora per avvicinarsi al mistero dell’Orso, che

simboleggia la resurrezione, la lealtà, la saggezza e la forza.

L’ Orso può essere interpretato come la capacità di regolare la propria vita,

soprattutto quella del sentimento.

Il potere “da Orso “ è la capacità di muoversi secondo i cicli, di essere perfettamente

vigilanti o tranquilli nel sonno del letargo che rinnova l’energia per il ciclo successivo.

L’immagine dell’orso insegna che è possibile conservare una sorta di controllo della

pressione per la vita emotiva, e in particolare che si può essere contemporaneamente

fieri e generosi, reticenti e preziosi.

Uno può proteggere il suo territorio, segnare chiaramente i confini, scuotere il cielo se

necessario, ed essere comunque disponibile, accessibile, capace di generare.

Il pelo della gola dell’Orso è un talismano, un modo per ricordare quanto si è appreso

ed è inestimabile.

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E’ un vero viaggio questo fissaggio della rabbia: bisogna infatti strappare le illusioni,

assumerla come maestra, chiedere aiuto alla psiche istintuale e dare la pace al

passato morto.

Nella storia ,la vera Illuminazione non avviene sulla montagna ma quando, bruciando

il pelo dell’orso della luna crescente, la proiezione della cura magica si dissolve, quindi

non avviene durante il fatto in sé ma quando l’illusione è distrutta e si vede il

significato nascosto.

Si può avere tutta la conoscenza dell’universo e tutta richiede una cosa sola: la

pratica.

Occorre tornare a casa ma compiere i vari passi, uno dopo l’altro, tutte le volte che è

necessario, il più a lungo possibile, o addirittura per sempre.

E’ molto rassicurante sapere che fare quando nasce la rabbia: tenerla in attesa,

liberare le illusioni, salire su’ per la montagna insieme con essa e parlarLe,

rispettandola come si rispetta una maestra.

Questo racconto mi offre molte idee su come arrivare all’equilibrio: pazientare,

trattare con gentilezza e lasciare a chi è pieno di rabbia, il tempo necessario di

superarla con l’introspezione e la ricerca.

Secondo un antico detto:

- Prima dello Zen, le montagne erano montagne e gli alberi erano alberi

- Durante lo Zen, le montagne erano i troni degli spiriti e gli alberi erano le voci

della saggezza

- Dopo lo Zen, le montagne furono montagne e gli alberi furono alberi

La donna era sulla montagna per apprendere e tutto era magico.

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Ora che ne è discesa, il cosiddetto pelo magico è stato bruciato nel fuoco che

distrugge l’illusione ed è il tempo per il “ dopo Zen “ dove la vita torna a essere quella

che è, con l’esperienza sulla montagna Lei ha la conoscenza ,così l’energia della rabbia

può essere usata per altro e l’aiuta ad avere più destrezza nella sua vita, anche se nei

giorni o negli anni a seguire qualcosa o qualcuno la rifarà sentire di nuovo senza

stima o manipolata contro la sua volontà, allora prenderà di nuovo fuoco la sua

sofferenza residua, ed allora ricordera’ che è meglio allontanarsi dallo stimolo, per non

colpire persone innocenti, per bloccare il processo di essere riportate agli effetti e alle

reazioni sollevate da precedenti traumi, perché i residui, se pur minimi, impressi nel

profondo, non potranno mai essere completamente estirpati e provocano una

sofferenza intensa quasi quanto la ferita originaria.

Non è facile tentare di contenere l’evento esterno, contenere la sofferenza diffusa

dall’antica ferita all’interno, tentare di assicurarsi un posto sicuro correndo a capofitto

in un rifugio psicologico.

Ed è veramente troppo tutto insieme, ecco perché è d’obbligo fermarsi, ritirarsi e

scegliere la solitudine.

E’ troppo cercare di combattere e manovrare sensazioni viscerali

contemporaneamente.

La donna che è salita sulla montagna si ritirerà ,affronterà prima l’evento più antico,

poi il più recente, deciderà che posizione prendere, che contegno assumere, e si

ripresenterà per agire in modo dignitoso.

Nessuno può sfuggire a questa storia, anche se la nascondiamo sullo sfondo, ma è

comunque presente e se si riuscirà a fare questi passaggi per noi stessi tutto si

placherà e andrà meglio.

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Si potrà poi proseguire sulla nostra strada perché il tempo della rabbia distruttiva

sarà finito.

Occorre intraprendere l’azione giusta e la rabbia passerà e la nostra vita si arricchirà

di una creatività nuova.

Arrivano però momenti in cui è d’obbligo liberare una rabbia che scuota, un momento

in cui bisogna dare fuoco alle polveri, magari per risposta ad un’offesa grave, contro

l’Anima o lo Spirito.

Prima bisogna provare con le strade ragionevoli per ottenere un cambiamento, ma se

non portano a nulla, allora occorre scegliere il momento giusto, prestando attenzione

al Io Istintuale, per riconoscere quando è venuto il momento di reagire.

Ed è giusto come la pioggia.

La depurazione della rabbia deve diventare liberatoria perché conservare la vecchia

rabbia oltre il tempo della sua utilità, significa portarsi dentro un’ansia costante,

seppure inconscia, che può portare alla depressione, può stare anche alla base di fobie

e avere reazioni di panico, oppure nascondersi dietro disordini alimentari coatti.

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L’ORIGINE DELLA RABBIA

La parola “rabbia” nasce e ha origini dai tempi lontani, la troviamo nei poemi

dell’Iliade, costellati da arrabbiature solenni e da violente e travolgenti reazioni di

vendetta.

Nella cultura Greca è palese arrabbiarsi per una giusta causa e questo si addice ai

nobili, ai grandi, ai potenti; chi lo fa’ dimostra un animo coraggioso e generoso.

Anche nel I° Libro della Bibbia “ La Genesi “ dopo la disobbedienza di Adamo ed Eva,

che nel Paradiso Terrestre mangiano il frutto che era espressamente proibito …Dio

cosa fa’? Esplode in una vera scenata, l’indimenticabile “ ira di Dio “diventa

proverbiale.

Dopo la scoperta del misfatto, si può leggere la lunga serie di maledizioni e punizioni

scagliate contro il serpente, contro la donna e infine contro Adamo.

Anche la terra intera viene coinvolta e chiamata “ maledetta per causa tua “.

Alla fine Dio “ cacciò l’uomo e la donna e alla porta fece dimorare i cherubini e la

fiamma della spada sfolgorante “ Genesi 1,24.

Per millenni sotto innumerevoli forme di arte figurativa presenti nel nostro retaggio

culturale, è rimasta vive e presente l’immagine dell’Ira di Dio, provocata del peccato

di Adamo ed Eva, ha avuto conseguenze funeste per tutto il genere umano.

Questa scena primordiale è stata ripresa più volte anche nella pittura europea, ad

esempio l’Affresco del Masaccio nella cappella Brancacci di Firenze, dove Adamo ed

Eva piangono coprendosi il viso per la vergogna, Dio in alto con aria rabbiosa, rosso

dall’ira mentre l’angelo con la spada sguainata scaccia i colpevoli fuori dalla porta.

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Anche altri e tanti episodi nella Genesi descrivono l’ira e la rabbia divina, dal diluvio

universale dove riconosce la malvagità dell’uomo sulla terra, pentendosi di averlo

creato irritandosi nel suo cuore.

Non vi è alcun dubbio: il Dio dell’Antico Testamento è tremendo nell’ira della sua

giustizia o nel Nuovo Testamento, dove nel vangelo di Matteo è Gesù, il figlio di Dio, il

mite per antonomasia s’infuria per la profanazione del tempio e caccia fuori i

mercanti, arrabbiandosi molto.

Nella cultura greca Zeus, il padre degli Dei ,il re dell’olimpo è celebre per le sue

arrabbiature e per i fulmini che lancia sulla terra contro i nemici

Sia la religione che la mitologia greca classica e della romanità, sia il cristianesimo

presentano, contemplano e adorano figure divine che riuniscono le qualità distintive di

giustizia e di onnipotenza, con la possibilità, direi quasi la necessità psicologica di

manifestare la propria rabbia, legata al senso di giustizia e alla violazione delle leggi:

si tratta quindi di una reazione giusta alle ingiustizie altrui, il segno della ribellione

contro i torti inflitti, sia che colpiscono se stessi o il proprio gruppo, sia che

danneggino i deboli o i piccoli, per il connubio tra le offese morali e l’ira, la rabbia.

La rabbia è una passione potente, che fa’ succedere le cose, mette in moto una

sequenza di fatti.

Uniamo il passato con il presente, il fantastico con la realtà quotidiana.

Abbiamo visto che nei Miti e nella Letteratura Sacra e Profana, la rabbia insorge come

reazione a un’ingiustizia come mossa vendicativa di un torto subito.

Secondo la posizione classica della psicologia, la rabbia è la principale conseguenza di

una frustrazione, che può essere infantile o primitiva, che per il bambino piccolo può

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essere l’Abbandono o la sottrazione del suo giocattolo, oppure di una frustrazione più

adulta e complicata, come quella di un ricercatore che non venga mai riconosciuto.

Quando ci si arrabbia, si è emozionati.

Quando si è emozionati, sentiamo che una parte essenziale delle nostre sensazioni

sono subite, sono necessarie e violente, sono imposte dagli eventi e dal nostro corpo

su di noi; si è in balìa di qualcosa dentro di noi che si subisce, che può farci paura,

rattristarci o anche renderci felici.

Secondo la psicologia scientifica la molla delle azioni viene collocata all’interno

dell’individuo, mentre le passioni o le emozioni hanno la loro miccia negli eventi

esterni.

La diversità delle cause, non sempre provoca differenza nelle reazioni e neppure la

loro intensità è commisurata alla serietà delle cause.

Talvolta eventi insignificanti possono scatenare la rabbia più vistosa.

Quando ci arrabbiamo, il nostro stato d’animo cambia.

Il nostro corpo, la nostra faccia, la nostra voce, la nostra postura si modifica in modo

inconfondibile.

Il messaggio che una persona arrabbiata emana, è compreso nelle diverse parti del

mondo ed è rimasto immutato nel tempo, com’è rimasto essenzialmente

contradditorio il significato e il valore della rabbia, pensando alla concezione eroica e

giustizialista di essa, quella ad esempio di Zeus e quella cristiana, secondo la quale è

un vizio, un peccato, una follia disumanizzante.

Il conflitto è più profondo, perché le due posizioni si alternano e coesistono nella

stessa cultura come nella stessa persona.

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Arrabbiarsi, è uno stato mentale di conflitto con il mondo esterno e con se stessi;

prevedibile quindi, che susciti opinioni forti e contrastanti.

Temiamo la nostra rabbia, perché veniamo presi da un vortice che ci sbatte e ci

costringe ad agire; una specie di possessione che ci fa perdere la vista e che ci fa’

entrare in una battaglia con armi letali, che però controlliamo poco e maneggiamo con

difficoltà, armi che sparano quasi da sole e non solo contro il nostro nemico, ma un

po’ contro tutti; proprio per questo abbiamo paura poiché non ci sentiamo più padroni

delle nostre azioni.

Tutti questi elementi, ritrovati nell’immaginario comune e riportati alla luce, sui quali è

costruita la nostra grammatica della rabbia, significano che noi apprendiamo dagli

esempi e dall’opinione espresse, su come arrabbiarsi, con chi manifestare la rabbia,

quando è sbagliata e ingiusta e quando invece è sacrosanta.

Miti, religione e letteratura, insieme con il linguaggio che parliamo, costituiscono il

nostro sillabario, che vanno dall’introspezione, riconoscendo i propri sentimenti, alla

comprensione dei sentimenti altrui, alla capacità di modulare l’emozione secondo le

circostanze, alle abilità espressive e comunicative dei vissuti emotivi.

La grammatica emotiva è dunque l’insieme delle regole che caratterizzano il modo di

sentire e di manifestare un’emozione, mentre la competenza emotiva è la capacità che

varia da individuo a individuo, di seguire tali regole.

L’esperienza emotiva della rabbia è da considerarsi come un processo che ha un inizio,

un decorso e una fine.

E’ singolare come nella parola “rabbia” si racchiude una gamma di significati diversi,

che variano secondo la situazione, da persona a persona e nel corso del tempo.

Nel dizionario della Lingua Italiana la prima definizione di Rabbia è:

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- malattia virale che colpisce tutti i mammiferi terrestri e in particolare il cane,

provoca encefalite letale, si contrae dal morso di un animale ammalato e porta

alla morte.

La rabbia ha un’origine animale e patologica, ma viene provata dagli esseri umani

sani.

Il doppio significato di malattia spaventosa e mortale e di emozione a volte feroce e

dannosa resta radicato nel sentire comune, anche perché questo legame è

continuamente rievocato e rafforzato dalla somiglianza delle manifestazioni

espressive, fra la rabbia come malattia virale e l’arrabbiatura come emozione

quotidiana.

La rabbia è un’entità’ autonoma, dotata di forza propria, che tende ad aumentare e a

premere contro le pareti del nostro IO.

Se questa emozione non trova in qualche modo uno sfogo all’esterno, esplode

all’interno e danneggia la salute, con il nascere di malattie.

In contrapposizione, la doppia faccia della rabbia è che arrabbiarsi fa male, aumenta

la pressione e può far venire un attacco cardiaco.

Ciascuno di noi sarà portato a vivere la rabbia in modo diverso a seconda di quale di

queste due facce sente più vera, anche se per me, l’aspetto più pericoloso che sia

considerato da noi stessi, dal nostro prossimo e perfino dai nostri tribunali come una

circostanza attenuante, anche per grossi crimini.

LA RABBIA INFANTILE

Tutti bambini, maschi e femmine, sperimentano qualcosa simile alla rabbia al

momento della nascita. La sentiamo nel pianto, il cosiddetto urlo primario, e la

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vediamo sui volti contratti e stravolti quando emergono dal santuario del corpo

materno. La rabbia della nascita è il loro marchio: tutti i neonati paiono conoscere a

livello istintuale la gravità di questa prima perdita, la separazione dal calore e dalla

sicurezza del grembo materno.

Ormai in gran parte i ricercatori concordano nel dire che la rabbia è un’emozione che

si sviluppa nel bambino tra i quattro e i sei mesi di età, ed emerge

contemporaneamente alla capacità di riconoscere causa ed effetto. Osservabile nelle

espressioni facciali del bambino e nei movimenti del corpo, quando scalcia ed agita le

braccia, la collera “è la risposta emotiva tipicamente associata alla forzata interruzione

dell’attività verso un obiettivo previsto” a detta del dottor Michael Lewis.

Il bambino piccolo usa la collera nel tentativo di cambiare le situazioni circostanti, al

fine di sentirsi al caldo e al sicuro, e di essere nutrito.

Secondo le attuali ricerche la vera rabbia fa la sua prima comparsa soltanto quando il

bambino diventa consapevole di se come persona distinta dalla madre, di solito tra i

diciotto e i ventiquattro mesi. E’ questo senso di separazione che crea il clima per i

sentimenti di deprivazione e di perdita, a quegli eventi “sgradevoli” che provocano nel

bambino una sofferenza psichica di varia intensità.

La rabbia come la paura, l’aggressività, il desiderio sessuale, è un istinto

fondamentale, iscritto in profondità nel programma genetico dell’uomo.

La rabbia è la forma più semplice e naturale di difesa contro una minaccia all’IO e al

suo senso di interezza e integrità.

Se siamo arrabbiati ci sentiamo naturalmente aggressivi e cerchiamo la rivalsa.

A tutt’oggi, i ricercatori che studiano il cervello e i suoi sistemi hanno collegato la

rabbia a due centri o regolatori dell’emotività: L’ipotalamo e la Migdala del telencefalo.

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Sono entrambi parti del più antico e primitivo sistema del cervello umano, il sistema

limbico, e sono essenzialmente pannelli di controllo che regolano la vostra vita

emotiva.

Situate alla base del cervello sono le zone dell’organismo in cui è contenuta la rabbia.

Quando si accende una miccia e la rabbia si combina ad un atto aggressivo per

produrre un risultato vendicatore, possono entrare in gioco anche parti più evolute del

cervello, localizzate nella corteccia cerebrale.

La psicologa Carol Tavris afferma che questi due centri celebrali, il sistema limbico e la

corteccia celebrale on operano in modo indipendente ma con altre parti del cervello e

con fattori ambientali e sociali.

Interagiscono tutti per produrre la vita emotiva dell’individuo: “l’affettività”.

A seconda dell’educazione ricevuta delle esperienze esistenziali e dei ricordi che ha

accumulato, una donna può dar fuoco alle polveri e provocare un’esplosione per

un’infedeltà o una violenza, mentre un’altra può azionare il circuito della rabbia per

affronti apparentemente di scarsa rilevanza, come non essere invitata ad una festa.

La rabbia è un’esperienza che coinvolge corpo e mente: “ come una pressione

intensa”, “un bruciore che mi invade dentro”, “un turbine di energia”, “un esplosione

tale nella testa”, “uno scuro casco di forte agitazione”, sono alcune soltanto delle

definizioni che abbiamo raccolto tra le donne il bello nella rabbia è che, quando

esplode, è il definitivo squillo emotivo del risveglio.

La depressione e la repressione portano al torpore psichico e a una visione confusa

delle cose.

La rabbia, quando esplode, è il controllo della realtà della psiche sull’esistenza: se

riusciamo a sentirla, sappiamo allora di essere vive.

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La rabbia è letteralmente un’esperienza dirompente: quando tutti circuiti si eccitano,

essa blocca ed esclude tutte le altre emozioni. Quando si mette in moto la rabbia

invade l’intera psiche, siche diventa difficile per una donna arrabbiata accedere ad un

qualunque processo mentale; ella si distacca infatti da qualunque cosa accada al di

fuori dalla sua esperienza della rabbia. Quando la rabbia soggioga il sistema di una

donna, talvolta cominciano a rifluire ricordi inconsci di esperienze umilianti talvolta di

fondamentale importanza.

I ricordi dolorosi le balenano davanti agli occhi sovraccaricando i circuiti celebrali,

indebolendo le sue capacità cognitive, stremando il sistema nel suo insieme.

Certi bambini per via di differenze innate nella struttura fisiologica e psicologica,

hanno più bassi livelli di sopportazione del dolore e dell’angoscia. Quel che risulta ben

tollerato da un bambino diventa un’eccessiva sofferenza psichica per un altro.

A ogni nuova esperienza sgradevole, la rabbia del bambino suscettibile viene

costantemente rafforzata.

Il modello della rabbia e dell’ostilità che si forma nell’infanzia si radica come parte

della personalità individuale.

A metà del secondo anno d’età, a detta di Parens, le precedenti reazioni alla

sofferenza – abbandono, mancanza di nutrimento, isolamento o dolore fisico –

diventano più intense; “si stabilizzano nell’odio” e in sentimenti di distruttività ostile.

Più ancora della deprivazione fisica, le ferite narcisistiche – torti, subiti o immaginati,

che riducono o infirmano l’autonomia o la stima di se – sono le principali cause

scatenanti della rabbia infantile.

La rabbia in quanto risposta alla ferite primarie è incastonata nei tessuti dell’io, nulla

che non sia accuratamente congeniato riesce davvero a curarle.

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Queste ferite primarie comprendono trascuratezza, abbandono, incesto vero o

psicologico, maltrattamenti fisici o abuso sessuale.

Le ferite più profonde sono inflitte, “quando un bambino viene trascurato o non

riconosciuto come essere umano distinto”, quando non ne viene riconosciuta

l’autonomia, interiorizza la ferma convinzione di essere privo di qualità e pregevole, di

essere in un certo senso biasimato per la sua inadeguatezza. Quando la ferita primaria

viene ripetutamente irritata la rabbia l’infetta; molte volte viene coperta e nascosta

dice: la Killen da “ una mano di vergogna”.

Le ragazze sono addestrate a contenere il disprezzo, a soffocare la furia per la

trascuratezza dei genitori o la mancanza di riconoscimento, a reprimere gli intensi

affetti connessi alla violazione del loro corpo e della loro anima.

L’opera della terapia in anni più tardi consiste nello scavare con delicatezza sul luogo

della ferita primaria finche il dolore non sia al fine riconosciuto e liberato. Se

l’infezione grave e dolorosa la crescita emotiva della giovane donna non può

progredire al di la di quei momenti del trauma sofferto all’inizio dello sviluppo. Il suo

comportamento, il suo aspetto e i suoi meccanismi di sopravvivenza sono definiti e

bloccati dalla rabbia.

Senza un aiuto professionale, all’infinito prova e riprova quella sua rabbia e la esprime

in un comportamento passivo-aggressivo o in imprevedibile accessi di aggressività,

nella malattia oppure in una perpetua aura di offesa personale.

Le donne prigioniere della collera infantile trovano difficile uscire da questo circolo

autodistruttivo che crea dipendenza, e ne soffrono tutti i loro rapporti.

Sepolta nel subconscio, la risposta collerica è destinata a operare secondo questi primi

modelli. Quando il senso del proprio valore viene poi minacciato nella persona adulta,

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allora la rabbia corre a proteggere la psiche. Questa rabbia è radicata nelle prime

esperienze del bambino e produce una sorta di replay di quei primitivi drammi.

LE RAGIONI DELL’EMOZIONE RABBIA

La rabbia, per ognuno, ha origini diverse dalla percezione di situazioni sgradevoli di

tipo fisico o materiale: minacce all’integrità’ personale o dei propri beni ai disturbi o

ostacoli alle proprie attività, impedimento al conseguimento dei propri scopi.

Senza tralasciare le frustrazioni psicologiche: imposizioni di esperienze spiacevoli,

interruzione o privazione di esperienze piacevoli, danni alla dignità personale e dei

propri cari, alla propria immagine pubblica e all’autostima ed infine alle INGIUSTIZIE

subite o prospettate per se stessi o per gli altri.

La rabbia non è sempre commisurata all’importanza del danno o della frustrazione, al

contrario, la proporzione fra la gravità della provocazione e forza della reazione sia

raramente rispettata e di solito chi offende non perdona.

Secondo la posizione biologica, la rabbia è quasi sempre disfunzionale sul piano

sociale, è determinata dall’istinto; non si impara ma si attiva meccanicamente.

Le sue funzioni hanno poco o nessuna importanza.

Secondo la posizione sociale, invece, anche se l’energia prodotta dalla rabbia è

riguardante l’istinto, essa viene impiegata in modo adattivo:

la rabbia può essere considerata come un modo per risolvere dei problemi, ad

esempio per ottenere propri scopi pur salvando l’interazione; le modalità delle reazioni

di rabbia si apprendono e sono funzionali.

La rabbia non è comunque un segno che viene dalla testa ma dallo stomaco, dalla

pancia.

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LA MIA PERSONALE STORIA

Vivere per anni anestetizzata dall’emozione della rabbia mi aveva portato disturbi

fisici, reali ma inclassificabili, con malattia di origine sconosciuta. Tutto questo perché

la mia anima, il mio corpo mi hanno obbligata a fermarmi per mesi e guardare

realmente ciò che era necessario per me, per vivere e non per sopravvivere, in lungo

dialogo interiore.

Solo con il tempo, ovviamente sono arrivata a queste conclusioni.

Dentro di me, da qualche tempo, sentivo urla cui non riuscivo dare voce, non sapevo

che la mia bambina interiore si sentiva in trappola, chiusa, non ascoltata, non libera di

esprimersi, annullata, schiacciata, soffocata.

Chi ero? Dove stavo andando? Risposte che si alternavano ma che non mi portavano

nessun beneficio finché ho cominciato ad avvicinarmi a terapie olistiche e a voler

intraprendere, in prima persona, questo meraviglioso e avventuroso viaggio, dentro di

me.

Ho iniziato con seminario Reiki, per mettermi in contatto con la mia energia e da quel

momento, come per magia, un tassello dopo l’altro, giorno dopo giorno, venivo

accompagnata su una nuova strada non sempre piana ma molto interessante e

stimolante.

Più entravo dentro di me, più sentivo che c’era tanto altro.

Singolare, come proprio il mio primo seminario con la LUMH fosse stato, proprio “ LA

TERAPIA DELLA RABBIA “; questo significa quanto la mia rabbia spingesse dietro la

maschera della brava bambina e dove tutto,invece, sembrava andare bene.

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La curiosità nella mia nuova conoscenza mi ha spinto ad andare oltre e non è stato più

possibile fermarsi. A ogni successo e cambiamento era stupore. E’ stato ed è ancora a

volte faticoso ma niente e nessuno avrà mai questo posto d’onore perché la mia

anima, la mia bambina interiore sono finalmente contente di essere ascoltate o

perlomeno viste, riconosciute. E’ un percorso straordinario, i cambiamenti arrivano su

un livello cosi profondo che la mente non ha nemmeno la possibilità di interagire e

raggiungere consapevolezza, vedendo, percependo anche a livello sensoriale i

cambiamenti danno un’energia, fuoco, gioia a proseguire ed ad abbattere ciò che

ancora disturba.

Tutto questo è più forte della paura del cambiamento, e poco importa se tanti non mi

riconoscono, o faticano a starmi vicino poiché non ho più lo schema stampato “della

brava bambina”, disponibile, generosa, dedita agli altri prima che a me stessa, proprio

per essere accettata e riconosciuta.

Ora non ho più nemmeno bisogno di interrogarmi e dirmi “lo voglio?” arriva in

automatico e a livello di pancia la risposta è immediata, sostenermi, finalmente, è il

più bel dono che potessi farmi.

Sono consapevole che questa strada non finirò mai di percorrerla e non ho nessuna

intenzione di farlo.

Quante volte, senza consapevolezza, ho sentito parole che mi aiutavano a capire

meglio me stessa, ma che si fermavano solo nella parte superficiale, uditiva, e non

arrivavano dentro di me. Oggi grazie a questi studi ho strumenti di conoscenza per me

e per gli altri.

La grammatica dell’essere mi affascina perché è come aver sempre saputo senza la

conoscenza per codificare ciò che è.

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Lo studio della rabbia sistemica è stato per me di grande aiuto, infatti, attraverso

l’avvicinamento consapevole alla rabbia arretrata, la persona produce un messaggio

empirico di risoluzione su un livello profondo come se ai fini sistemici, il proprio SI

fosse l’intenzionalità del singolo di estinguere il debito e di rientrare nel libero fluire

empirico.

Un moto, una spinta sistemica ,che contrasta anche le difese più consistenti.

A volte, le persone che a prima vista non evidenziano segni di alterazione o di

scompiglio emotivo hanno un vissuto che esprime disarmonia e incongruenza con i

principi sistemici. Spesso sono persone pacate che però dimostrano incapacità di stare

in relazioni stabili oppure hanno atteggiamento di attaccamento ai partner affettivi,

che quasi sempre hanno la stessa alterazione, la rabbia costituisce un termometro

empirico, uno specchio del proprio stato all’interno dell’ordine.

Come già detto la rabbia, nasce sempre da un debito empirico arretrato, generato da

un moto interrotto verso una persona amata, nel mio caso in primo luogo, il rapporto

alterato con i miei genitori, visto che la difficoltà con uno di loro, implica quasi sempre

anche una deviazione con l’altro, e che si trova alla base di ogni “ debito originario”,

oppure viene chiamata anche “rabbia dell’amore mancato”, colmato soltanto

attraverso un atto di integrazione di ciò che è avvenuto, o che ha bisogno di avvenire

con l’intento di riassorbire il dolore relativo alla ferita originaria, con tutto ciò che

comporta tale passaggio.

La ferita originaria è rimasta aperta anche se non visibile sul piano della propria

coscienza personale.

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LA RABBIA EMPIRICA

La forza primaria e vitale della rabbia da una spinta in avanti rendendola responsabile

di ogni suo slancio fisico ed emotivo, che aiuta a garantire diritti fondamentali, quello

di esistere, di essere ciò che si è, dell’autorealizzazione di esprimersi liberamente

sicuri di esserne legittimati.

La rabbia empirica costituisce la piattaforma per la carica sessuale donando stabilità e

sicurezza che deriva dal pieno possesso del proprio potere personale, conferendogli la

consapevolezza di potersi alzare in piedi e dire NO, qualsiasi sia la situazione da cui ci

si sente minacciati. Dona protezione a chi si ama, senza un minimo dubbio, e difesa in

ciò in cui si crede, le proprie convinzioni, la propria fede, il credo personale, senza

sentirsi impotenti. Alimenta la tenacia e la perseveranza, nello stare in situazioni

difficili senza scoraggiarsi, cogliendo una sana sfida e competizione per poter

plasmare la propria vera essenza, il proprio IO.

Da essa determina la direzione giusta nella concretezza, poiché ognuno di noi ha il

diritto di poter esprimere le proprie doti, i propri talenti. Questo da’ la forza e la giusta

determinazione per ogni strada che si voglia percorrere. Solo cosi possiamo divenire

UNICI e speciali.

La rabbia è una forza onnipresente orientata interamente verso il progetto di vita e le

sue espansioni, alimenta il coraggio e la forza d’animo, al di là del proprio sesso

biologico, dell’età o dell’appartenenza sociale, non tiene conto della razza o dello

sviluppo intellettuale. E’ una tale forza che aiuta a sentire il desiderio vitale di

proseguire, andare avanti nella vita ma allo stesso tempo, in preda alla paura, per

ogni situazione nuova, di commettere errori.

Senza l’alleanza con tale forza viene a mancare la vita stessa. Questo è il dualismo di

una stessa medaglia ,il moto più potente d’esistenza e la minaccia più grande.

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Nascono dalla stessa forza ,ma utilizzano meccanismi e dinamiche diverse, la vendetta

e la rivalsa.

Quante volte, nella rabbia, mi sono sostenuta nelle mie scelte e responsabilità, anche

se scomode. Ciò che può far gioire nella vita con tutte le più nobili qualità, dall’altra è

atta a distruggerla.

La rabbia nasce nel profondo e nel buio trama; eppure è una forza vitale, perché

appartiene prepotentemente alla vita stessa, anche quando si veste di emozioni fuori

controllo, meno accomodanti poiché è più facile e semplice accettare gli entusiasmi o

le sue passioni pur essendo altrettanto fuori controllo dell’uomo. Il buio spaventa e

terrorizza.

Allontanandosi dall’ombra non ci si aiuta a comprendere totalmente, ma non è giusto

prediligere uno dei due lati di questa forza vitale.

Avvicinarsi alla vita significa anche avvicinarsi alla morte, dandogli la possibilità di

ricevere il suo giusto posto nella propria vita.

Non esiste luce senza ombra, giorno senza notte, bene senza male, né possiamo

scegliere una parte senza integrare anche l’altra. Anche la rabbia necessita di

consapevolezza per essere riconosciuta e sperimentata per poterle concedere il suo

posto legittimo.

Più si cerca di reprimerla, nasconderla, soffocarla più acquista forza e presenza senza

possibilità di gestione e controllo, alimentandosi su un livello profondo e non

cosciente, crescendo e manifestando i suoi effetti dannosi solo con il tempo.

Senza la rabbia l’individuo è anestetizzato e non sa accedere o sentire i propri NO,

cosi facendo si intrappolano da soli, poiché non sono in grado di supportare la propria

colpa. Sapersi sporcare vuol dire dare il suo posto legittimo alla rabbia, anche

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contrastando chi si ama, dando origine a reazioni legittime per chi è il suo ruolo da

adulto e non del bambino rabbioso. E’ un passaggio difficile per via di tutti gli

ancoraggi mentali che hanno nutrito nel corso degli anni la nostra mente.

Chi è nel pieno potere personale è consapevole di cosa porta nel gioco, conosce la

propria forza e non si fa sfidare da chi non sentono al loro livello. Questo succede

anche nel mondo animale, ad esempio gli animali più piccoli sono più imprevedibili e

abbagliano con più forza poiché hanno paura, invece basta la presenza di un cane di

stazza grande, che essendo consapevole del proprio potere non ha nemmeno bisogno

di abbaiare, basta solo la sua presenza per far spostare gli altri. Questo per dire che

chi ha stretto un’alleanza consapevole con la propria rabbia non ha bisogno di

dimostrarla ad ogni occasione, è palpabile in ogni loro espressione e movimento.

A chi invece sfoggia aggressività gratuita in ogni momento, appartiene ad una

strategia di chiusura, come quella dello Yang Alterato.

Il moto della rabbia è un principio maschile per eccellenza che gli conferisce ogni

spinta in avanti, dalla penetrazione non solo sessuale e dal superamento dei limiti.

Senza essere in contatto con la potenza di tale moto, le qualità maschili, non hanno

possibilità di esprimersi.

Il moto rabbioso aiuta e determina le radici emotive maschili, il suo sentirsi uomo in

forza e potenza collegandolo con interezza dei suoi principi attivi presenti

nell’evoluzione della specie. Tutto è in mutazione e trasformazione, tranne i valori

universali e sistemici, determinandone una coscienza che sottolinea la spinta primaria

nella quale è trascritto il codice del maschile e del femminile di ogni essere umano, e i

suoi diritti e gli indicatori che segnalano una loro infrazione.

Anche la donna vive la sua rabbia come per l’uomo senza interrogarsi se sia giusto o

sbagliato per lei.

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Al giorno d’oggi si trovano sempre più spesso donne arrabbiate, che uomini rabbiosi,

indicandone cosi la loro alterazione sistemica. Tutto questo perché si è rinunciato

come donne, ai principi empirici yin costringendo, di conseguenza, anche l’uomo ad

uscire dal suo maschile, dai suoi principi empirici Yang. Come donne si percepisce,

l’atteggiamento Yang come una conquista, una rivalsa, un diritto alla libertà acquisita

senza riconoscere la rabbia come indicatore empirico che segnala il suo grande debito.

Una donna Yin si sente attratta da un uomo Yang integrato, da colui che sa

padroneggiare la propria carica aggressiva gestendola in base alle circostanze, mentre

la donna Yin alterata riconosce un uomo con un esubero di rabbia che non è in grado

né di gestire, né di incanalare, segno del suo stesso squilibrio empirico. La donna Yang

al contrario teme ed evita completamente la spinta maschile.

Il moto rabbioso non fa parte della carica femminile primaria, poiché esprime la sua

natura diversa attraverso qualità empiriche differenti dall’uomo, non ha bisogno di

farsi riconoscere dalla rabbia poiché essa è portatrice di una forza diversa che si

contrappone alla spinta maschile, ma che è alla pari. Nell’atto sessuale lei sostiene,

nel proprio potere femminile ,essendo un caposaldo Yin e conferendole una forza

diversa ma unica.

L’equilibrio tra l’atto del dare e quello del ricevere, eguaglia le parti fermando la legge

sistemica per eccellenza. La donna crea la magia dell’accoglienza e arrendevolezza

ogni volta che acconsente alla penetrazione maschile, donando al partner la

sensazione di arrendersi senza subire, formando il trampolino di lancio per le qualità

femminili.

Quando è presente la carica rabbiosa femminile è per essere utilizzata quando si sente

in pericolo, quando le si manca di rispetto, ogni incomprensione o senso di

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inadeguatezza, perché le sente come minacce per se stessa e per qui ama, cosi

collegandosi direttamente con tale forza lo fa per difendersi.

Quando la rabbia è gestita male, è indice del debito sistemico che si ha, debito che

crea disagio, senso di frustrazione, incomprensione oltre ad un vuoto interiore

profondo in cui sia la donna Yang che quella Yin alterate si trovano.

La società di oggi porta come modelli donne con carattere, determinate e emancipate

ma generano femmine spietate e calcolatrici, spinte dal debito empirico e pagano con

una profonda sofferenza il fatto di occupare un posto che non le appartiene. Più si

accentua il potere Yang, più la rabbia aumenta ,generando cinismo, polemica ed

eterna insoddisfazione. La donna eccelle nella vivacità (energia più giocosa, meno

esplosiva ma più resistente), mentre l’uomo nella vitalità che è più immediata.

La donna Yin sa generare una forza più silenziosa ma meno evidente del maschio.

Essa usa strategie differenti, eccelle per abilità e agilità non per strategia o per intuito,

e sa attendere il momento giusto. Nelle situazioni in cui l’individuo non si sente amato

ma incompreso e impotente, scatta per la compensazione, controbilanciando

attraverso il suo moto ogni impatto negativo con il mondo esterno, e si riconosce con

una tale veemenza che è incontrollabile a prescindere dal suo volere, ma nella

dinamica a “ fin di bene”, lo fa per proteggersi.

L’ordine non ha preferenze da chi ha atteggiamenti rabbiosi e chi ha difficoltà a

esprimerli anche in situazioni evidenti, in quanto entrambi si trovano esclusi, in egual

misura dal libero fluire empirico.

La rabbia è la giusta misura di compensazione per riparare una violazione avvenuta,

riconoscendosi nel conflitto. Se la persona non si concede di percepire questo moto,

negandolo, boicotta l’intento empirico, rendendo vana ogni dinamica ripartiva. Cosi

più si nasconde o si soffoca tale moto, e si fa finta di non percepire rancori, vendette

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più aumenta la propria spinta nel corso dei giorni, degli anni finche la pressione è tale

da non poterla più contenere.

Questa dinamica appartiene a chi ha una carica yin in eccesso, (uomo yin e donna yin

alterate), chiudendosi ermeticamente, e per compensazione vestono il ruolo di

vittima, quello della brava bambina, della salvatrice riconoscibile dalla dipendenza

affettiva, necessaria per nascondere una carica aggressiva tale che è difficilmente

contenibile all’interno di una finzione quotidiana, e che lavora inconsapevolmente su

un livello più profondo, finche tale moto non è più gestibile, sentendosi sempre in

balia, non al sicuro e minacciati, contrapponendosi al suo posto. Cosi ogni uomo yin

diventerà yang alterato, ed ogni donna yin alterata diventerà nel tempo yang.

Queste persone vivono male e con vergogna la propria rabbia, che li porta ad

abbandonare il ruolo di vittime per vestire i panni del carnefice, che è governato da

essa. Si sentono in trappola in questo modo, ma li aiutano a mettersi in contatto con

la propria carica rabbiosa.

La vittima rabbiosa derivante dalla metamorfosi yin, da un profondo vittimismo

alterna momenti di rabbia omicida, ma si rifiuta di prendere atto di questa sua carica

aggressiva. Questa metamorfosi pur avendo differenti sfumature ha un punto in

comune, si tratta di persone “innocenti”, attente ad essere educate e gentili, pacati,

onesti e affidabili, attenti ai bisogni altrui e dotati di grande sensibilità. La loro rabbia

si mostra quando uno meno se lo spetta, soprattutto si verificano in un contesto che

non avrebbero bisogno di una reazione simile. Ogni sollecitazione è una buona miccia

per l’arretrato emotivo e dove necessita la carica della rabbia, la loro paura di ogni

moto rabbioso altrui, è più alto e paralizzante. Cosi persone prima calme si ritrovano

coinvolte in esplosioni emotive improvvise e inaspettate, e una volta raggiunto lo stato

di donna yang e di uomo yang alterato, si rende irreversibile e parte l’indurimento

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dell’anima, anche se però il singolo ha la possibilita’ di riconvertirsi ,entrando nel

processo come terapia della rabbia, per sgomberare il passaggio dei rancori

accumulati, attingendo al proprio patrimonio genetico femminile o maschile in tutte le

sue qualità.

Fin quando la figlia non ha lasciato andare tutti i risentimenti verso i propri genitori, in

particolare con il proprio padre, essa non potrà attivare il suo potenziale femminile,

attraverso il collegamento con le sue fonti arcaiche, ricchezza del suo universo yin,

perché anche lei è guerriera, bambina, sacerdotessa e madre. La donna non potrà

percepire la “tristezza”, che simboleggia l’eredità delle donne ,finche’ rimane

intrappolata nella sua rabbia arretrata. Non sperimentando il suo lato più triste non

accederà ai principi del suo essere femminile, giacché l’una è soltanto lo specchio

dell’altra. Ugualmente la sola tristezza diventa una trappola per la vita se non la

tramuta nella qualità mancante che è la rabbia, il lato più mordente di se ed è soltanto

testimonianza che “la figlia” non ha mai superato la separazione dal padre e il

mancato consenso di poter sviluppare le proprie qualità femminili, in quanto lui non le

ha mai tramandato la sua parte più maschile e paterna, il suo lato yang. Cosi per la

“donna triste” il recupero di queste emozione mancante avviene nello stesso modo

come per la femmina arrabbiata, ossia attraverso il rilascio o il recupero della propria

forza rabbiosa. Ciò che è per la femmina arrabbiata significa superare l’ostacolo, per la

donna triste vuol dire recuperare l’amore paterno.

Cosi per l’uomo, entrare in contatto con la propria rabbia significa avvicinarsi al

proprio patrimonio emotivo, codificato yang, una grande occasione per ricreare

l’alleanza con le proprie radici maschili.

Ripristinare la propria relazione con questo serbatoio vitale, che non significa però

adottare atteggiamenti prepotenti o maniere più aggressive per raggiungere i propri

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scopi. Questo riavvicinamento trova il suo significato nel voler attingere soprattutto

alle fonti benefiche del potenziamento maschile, di cui non entreranno mai in contatto

senza accettare anche l’altro lato, quello più indesiderato. Tale patrimonio comprende

non solo il guerriero ma anche il padre, il saggio, il bambino, l’eroe e le altre

sfumature prettamente maschili.

Quasi tutte queste figure si negano all’uomo fino a quando non avrà fatto pace con la

parte più rabbioso del loro essere.

Il singolo non ha accesso a tale consapevolezza, credendosi al di fuori di ogni pericolo,

ecco perché ho sempre avuto la convinzione di aver vissuto un’infanzia felice, anche

se fatta, a volte di rimproveri o costrizioni.

La ferita esiste da sempre, ma soltanto sul livello di coscienza sistemica, coperta da

quella personale dove invece si manifesta come rabbia.

Il Gap fra i due livelli si chiama debito empirico e può essere superato solo con

l’integrazione delle due coscienze.

E’ il permesso che mi sono data, superando le mie resistenze ,avanzando con

l’intento di entrare nel dolore, sostenuta dalla carica nascosta della mia rabbia.

In ogni caso la rabbia segnala la mancanza di qualcosa o anche un eccesso della

stessa cosa, poiché ai fini sistemici i due estremi appartengono alla stessa natura.

Chi si è sentito abbandonato da bambino, sviluppa la stessa rabbia di chi è stato

invaso da un genitore assillante, troppo premuroso.

Tutti e due vengono percepiti dal figlio come “ ATTO D’AMORE MANCATO “ ed è anche

la mia storia.

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L’amore empirico non prevede un eccesso di atteggiamenti amorevoli, sdolcinati come

non prevede un eccesso di rigore o affettività repressa.

Esso è in grado di sostenere lo sviluppo naturale del figlio, senza angosciarlo con la

sua presenza o facendolo sentire abbandonato.

Tutto il resto è prevaricazione sulla dinamica empirica naturale.

La rabbia non è che uno stato di compensazione e di disordine all’interno del sistema

per qualcosa che è avvenuto o al contrario, non è potuto avvenire.

Se non si evade il proprio debito, l’individuo sarà costretto a sperimentare effetti

collaterali, come la malattia ed è il più delle volte il diretto risultato del proprio stato di

rabbia, che rimane tale finché non si rimuove la causa empirica, poiché essa

costituisce l’emozione più corrosiva per l’uomo.

La rabbia arretrata è il punto focale per risalire al proprio debito empirico per potere

accedere sia alla causa, sia all’entità’ dell’alterazione sistemica, per poter compiere

una giusta analisi empirica.

Attraverso la sua forza nascosta e custodita si arriva a identificare l’intero assetto

emotivo, rivelando l’interezza del debito e ,la presenza degli altri indicatori sistemici,

in supporto alla rabbia stessa, aggirando la copertura e il suo oscuramento, poiché

l’unico scopo della rabbia arretrata è il tentativo di coprire il dolore mai affrontato,

solo così possiamo arrivare ad un processo risolutivo ai fini dell’ordine.

RILASCIO EMOTIVO

Questa elaborazione però può avvenire solo in uno spazio protetto e sicuro e sotto la

supervisione di chi è pratico riguardo al “ rilascio emotivo “ ed esperto di diagnosi

empiriche, com’è successo personalmente a me con il prof. Michel Hardy.

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Evadere il proprio debito è come purificare il proprio livello emotivo ed estinguerlo

vuol dire lasciare spazio ai tratti reali della persona, accedere alla vera Essenza.

Sono ancora in viaggio ma la strada è sempre più definita.

Portare luce nel buio porta chiarezza, definizione e sempre di più il mio sentire reale e

vero.

Per accedere alla rabbia non importa che si restituisca fisicamente questa stessa

energia a chi l’ha inflitta, e tale restituzione può essere solo virtuale perché l’intento

di restituire è un moto profondo ,purché sia percepito da Noi ,come reale.

Ciò che noi sentiamo è la nostra realtà e solo ad essa possiamo accedere.

Il processo di riequilibrio può avvenire soltanto coinvolgendo l’intero piano del nostro

sentire nell’esperienza, che, se vissuta con piena intenzionalità diventa una reale

esperienza dell’anima ,durante la quale, in tempo reale, avviene il re-inserimento

nel sistema.

Durante l’azione del rilascio della forza rabbiosa, l’energia del cuore ha bisogno di

essere in grado di sostenere la persona per amor proprio piuttosto che per la paura,

colpa o terrore .

Ogni individuo ha un unico finale in comune:

ESSERE RIPORTATI ALL’INTERNO DEL LIBERO FLUIRE !