L'Amico del Popolo

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N. 35 - 09 Novembre 2008 Esce il Venerdì - Euro 1,00 Anno 53 C.da San Benedetto - tel. 0922 405901 Zona Industriale - Agrigento C.da San Benedetto - tel. 0922 405901 Zona Industriale - Agrigento 6 Commemorare e ricordare Aria di rimpasto 2 di Franco Pullara APEA: davvero così inutile? 4 3 La Cattedrale un libro aperto di Loredana Federico di Marilisa Della Monica di MdM VITA ECCLESIALE PROVINCIA CULTURA CITTA’ Un altro stile Il “decreto Gelmini” è di- ventato legge. Si può tornare alle valu- tazioni delle scelte compiu- te ma più utile è guardare avanti con la speranza che le tensioni si attenuino, che il clima svelenisca e che nelle scuole torni il sereno con la disponibilità di tutti i prota- gonisti a “mettersi in gioco” con lealtà. È il momento di una rin- novata responsabilità e non è un caso che proprio gli am- bienti abituati e appassiona- ti all’impegno educativo - le associazioni, il laicato cat- tolico - siano stati e siano in prima linea nel richiedere un salto di qualità del dibattito e delle scelte. La questione educativa - lo si sta ripetendo da tempo e da più parti - è cruciale per il Paese non solo perché occorre migliorare i risultati scola- stici ma perché è importante ricostruire un tessuto rela- zionale in una società dove le appartenenze si sfaldano e il bene comune rischia di ridursi a un concetto astrat- to e solo proclamato. A que- sto risveglio della coscienza serve prioritariamente la scuola, una buona scuola, dove i più piccoli imparano, possono imparare, a stare in- sieme, percepire le diversità come risorsa, sperimentare la reciprocità, la possibilità di condivisione e altre positi- vità che poi danno sostanza al “quadro di valori costitu- zionali” di riferimento. L’augurio è che i cambia- menti in cantiere possano far procedere in questa direzio- ne, che non dipende princi- palmente dall’organizzazione scolastica ma che natural- mente non può prescinderne. L’auspicio è che il deficit di dibattito politico e culturale che ha segnato le ultime vi- cende possa essere messo ra- pidamente dietro le spalle e si apra una nuova stagione. In una situazione politica non esaltante il laicato cat- tolico, in particolare quello impegnato nell’ambito edu- cativo, é intervenuto con uno stile che merita di essere sot- tolineato. Sul “decreto Gelmini” le va- rie sigle cattoliche impegnate nella scuola e nell’educazione hanno fatto registrare posi- zioni diverse, a volte anche contrastanti, ma la passione e la responsabilità dell’edu- care nella verità e nella liber- tà sono state il motore di ogni pensiero e di ogni parola. Nessun altro interesse. continua a pag.4 É stato fissato per il 6 novembre alle ore 19.00 presso la Chiesa S. Croce in Villaseta, l’incontro tra il primo cittadino della città dei Templi, Marco Zambu- to, ed il direttore dell’Uffi- cio di Pastorale sociale della Curia di Agrigento. Punto nodale dell’incon- tro il dibattito tra sindaco e cittadini alla luce di quanto venuto fuori dalle dieci as- semblee tenutesi durante lo scorso mese di settembre (vedi foto) e il documento finale conclusivo. Nel prossimo numero del giornale vi racconteremo dettagliatamente quanto accaduto durante la discus- sione. ASSEMBLEA CITTADINA Il primo cittadino risponde al documento Articolo 88 dello Statuto del Comune di Agrigento, il comma 1 recita: “A garan- zia dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica am- ministrazione comunale, delle aziende, delle istituzioni, delle società per azioni a prevalente partecipazione comunale, non- ché degli enti dipendenti e sot- toposti a vigilanza del Comune, è istituito l’ufficio del difensore civico” . Ed al comma 2 “Il di- fensore civico svolge ruolo di garante ed assolve alle proprie funzioni con probità, onestà ed indipendenza” . Di norma il nuovo consiglio comunale ha tempo 90 giorni dal suo insediamento per no- minare il difensore civico. Da quanto tempo il nuovo consiglio comunale si è insediato? Sicura- mente da più di novanta giorni e secondo voi del difensore civi- co qualcuno dei consiglieri si è ricordato? Sembra proprio che civico consesso della città dei templi abbia dimenticato questa incombenza, anche se non è certo nuovo a queste di- menticanze. Era il lontano 2005 quando la regione Sicilia nomi- nò un commissario ad acta per- ché si procedesse alla nomina del difensore civico, ma anche a quei tempi si risolse tutto con un nulla di fatto. Sono passati gli anni e le cat- tive abitudine persistono. Quanto tempo ancora si do- vrà attendere perché il consiglio comunale decida di destinare alla città quella figura di garan- te dell’imparzialità dell’ammini- strazione comunale, delle isti- tuzioni e degli enti dipendenti, con piena autonomia, indipen- denza e poteri d’iniziativa che per legge (statuto comunale) i cittadini di Agrigento dovreb- bero avere? S ia pure annunciata dai sondaggi la squillan- te affermazione che proietta Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti è un evento pe- riodizzante, per gli Stati Uniti, ovviamente, ma non solo, se il presidente Usa è in realtà il punto di riferimento anche della politica internaziona- le. Per il colore della pelle, per la sua storia, per la sua età, il quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti afferma qualcosa di nuovo, quel cam- biamento che è stato al centro della sua campa- gna elettorale, quell’empatia con un elettorato bisognoso di punti di riferimento e nello stesso tempo di prospettiva, di slancio, che i morsi del- la crisi hanno posto in primo piano. Il discorso di Obama infatti affonda le sue radici nella tra- dizione americana, ma ne afferma nello stesso tempo la proiezione in avanti che le cose oggi richiedono. Individuare le forme, i modi, i pro- grammi del cambiamento e del rinnovamento, ma soprattutto dei nuovi investimenti che que- sta storia accelerata del ventunesimo secolo reclama, sarà l’opera delle prossime settimane, fino al solenne insediamento. E’ la sfida crucia- le, per tradurre in realtà, in concrete politiche, quel rilancio, per quel cambiamento in positivo, per quel recupero di slancio e di prospettiva che oggi trasversalmente si richiedono al nuovo in- quilino della Casa Bianca. La crisi finanziaria e poi economica che si ag- gira per l’Occidente e che di fatto interessa tutta l’economia globalizzata è certamente il primo e fondamentale dossier. Si tratta di rilanciare gli Stati Uniti, ma an- che di mettere ordine in un mercato finanziario mondiale che, già nel corso degli anni novanta del secolo scorso faceva emergere “bolle” dagli imprevedibili effetti. Si tratta di un problema economico, ma anche ovviamente di un pro- blema sociale: la “middle class” americana e non solo sta combattendo per molti aspetti in questi anni una complessa battaglia per la sopravvi- venza. continua a pag. 5 USA vittoria del candidato democratico alla Casa Bianca IN EVIDENZA Difensore civico. Manca da 5 anni Barack Obama, le radici e le ali Avviso agli abbonati In questi giorni molti di voi ci hanno chiamato per presentarci le loro lamentele in merito alla spedizione del settimanale. In particolare in alcune zone della provincia alcuni si sono visti accorpare tre-quattro numeri insieme. Tutte queste lamentele sono state da noi presentate alle Poste spa ed in parti- colare alla responsabile del servizio spedizioni. Ci scu- siamo vivamente per i disagi presentativi ma non sono di- pesi da noi che ogni giovedì prontamente effettuiamo la spedizione del settimanale.

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edizione del 09 novembre 2008

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N. 35 - 09 Novembre 2008Esce il Venerdì - Euro 1,00

Anno 53

C.da San Benedetto - tel. 0922 405901 Zona Industriale - Agrigento

C.da San Benedetto - tel. 0922 405901 Zona Industriale - Agrigento

6

Commemorare e ricordare

Aria di rimpasto

2di Franco Pullara

APEA: davvero così inutile?

43

La Cattedrale un libro aperto

di Loredana Federico di Marilisa Della Monica di MdM

VITA ECCLESIALEPROVINCIACULTURACITTA’Un altro stile

Il “decreto Gelmini” è di-ventato legge.

Si può tornare alle valu-tazioni delle scelte compiu-te ma più utile è guardare avanti con la speranza che le tensioni si attenuino, che il clima svelenisca e che nelle scuole torni il sereno con la disponibilità di tutti i prota-gonisti a “mettersi in gioco” con lealtà.

È il momento di una rin-novata responsabilità e non è un caso che proprio gli am-bienti abituati e appassiona-ti all’impegno educativo - le associazioni, il laicato cat-tolico - siano stati e siano in prima linea nel richiedere un salto di qualità del dibattito e delle scelte.

La questione educativa - lo si sta ripetendo da tempo e da più parti - è cruciale per il Paese non solo perché occorre migliorare i risultati scola-stici ma perché è importante ricostruire un tessuto rela-zionale in una società dove le appartenenze si sfaldano e il bene comune rischia di ridursi a un concetto astrat-to e solo proclamato. A que-sto risveglio della coscienza serve prioritariamente la scuola, una buona scuola, dove i più piccoli imparano, possono imparare, a stare in-sieme, percepire le diversità come risorsa, sperimentare la reciprocità, la possibilità di condivisione e altre positi-vità che poi danno sostanza al “quadro di valori costitu-zionali” di riferimento.

L’augurio è che i cambia-menti in cantiere possano far procedere in questa direzio-ne, che non dipende princi-palmente dall’organizzazione scolastica ma che natural-mente non può prescinderne. L’auspicio è che il defi cit di dibattito politico e culturale che ha segnato le ultime vi-cende possa essere messo ra-pidamente dietro le spalle e si apra una nuova stagione.

In una situazione politica non esaltante il laicato cat-tolico, in particolare quello impegnato nell’ambito edu-cativo, é intervenuto con uno stile che merita di essere sot-tolineato.

Sul “decreto Gelmini” le va-rie sigle cattoliche impegnate nella scuola e nell’educazione hanno fatto registrare posi-zioni diverse, a volte anche contrastanti, ma la passione e la responsabilità dell’edu-care nella verità e nella liber-tà sono state il motore di ogni pensiero e di ogni parola.

Nessun altro interesse.continua a pag.4

É stato fi ssato per il 6 novembre alle ore 19.00 presso la Chiesa S. Croce in Villaseta, l’incontro tra il primo cittadino della città dei Templi, Marco Zambu-to, ed il direttore dell’Uffi -cio di Pastorale sociale della Curia di Agrigento.

Punto nodale dell’incon-tro il dibattito tra sindaco e cittadini alla luce di quanto venuto fuori dalle dieci as-semblee tenutesi durante lo scorso mese di settembre (vedi foto) e il documento fi nale conclusivo.

Nel prossimo numero del giornale vi racconteremo dettagliatamente quanto accaduto durante la discus-sione.

◆ ASSEMBLEA CITTADINAIl primo cittadino risponde al documento

Articolo 88 dello Statuto del Comune di Agrigento, il comma 1 recita: “A garan-zia dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica am-ministrazione comunale, delle aziende, delle istituzioni, delle società per azioni a prevalente partecipazione comunale, non-ché degli enti dipendenti e sot-toposti a vigilanza del Comune, è istituito l’uffi cio del difensore civico”. Ed al comma 2 “Il di-fensore civico svolge ruolo di garante ed assolve alle proprie funzioni con probità, onestà ed indipendenza”.

Di norma il nuovo consiglio comunale ha tempo 90 giorni dal suo insediamento per no-minare il difensore civico. Da quanto tempo il nuovo consiglio comunale si è insediato? Sicura-mente da più di novanta giorni e secondo voi del difensore civi-co qualcuno dei consiglieri si è ricordato? Sembra proprio che civico consesso della città

dei templi abbia dimenticato questa incombenza, anche se

non è certo nuovo a queste di-menticanze. Era il lontano 2005 quando la regione Sicilia nomi-nò un commissario ad acta per-ché si procedesse alla nomina del difensore civico, ma anche a quei tempi si risolse tutto con un nulla di fatto.

Sono passati gli anni e le cat-tive abitudine persistono.

Quanto tempo ancora si do-vrà attendere perché il consiglio comunale decida di destinare alla città quella fi gura di garan-te dell’imparzialità dell’ammini-strazione comunale, delle isti-tuzioni e degli enti dipendenti, con piena autonomia, indipen-denza e poteri d’iniziativa che per legge (statuto comunale) i cittadini di Agrigento dovreb-bero avere?

Sia pure annunciata dai sondaggi la squillan-te aff ermazione che proietta Barack Obama

alla presidenza degli Stati Uniti è un evento pe-riodizzante, per gli Stati Uniti, ovviamente, ma non solo, se il presidente Usa è in realtà il punto di riferimento anche della politica internaziona-le.

Per il colore della pelle, per la sua storia, per la sua età, il quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti aff erma qualcosa di nuovo, quel cam-biamento che è stato al centro della sua campa-gna elettorale, quell’empatia con un elettorato bisognoso di punti di riferimento e nello stesso tempo di prospettiva, di slancio, che i morsi del-la crisi hanno posto in primo piano. Il discorso di Obama infatti aff onda le sue radici nella tra-dizione americana, ma ne aff erma nello stesso tempo la proiezione in avanti che le cose oggi richiedono. Individuare le forme, i modi, i pro-grammi del cambiamento e del rinnovamento, ma soprattutto dei nuovi investimenti che que-sta storia accelerata del ventunesimo secolo reclama, sarà l’opera delle prossime settimane, fi no al solenne insediamento. E’ la sfi da crucia-le, per tradurre in realtà, in concrete politiche, quel rilancio, per quel cambiamento in positivo, per quel recupero di slancio e di prospettiva che oggi trasversalmente si richiedono al nuovo in-quilino della Casa Bianca.

La crisi fi nanziaria e poi economica che si ag-gira per l’Occidente e che di fatto interessa tutta l’economia globalizzata è certamente il primo e

fondamentale dossier. Si tratta di rilanciare gli Stati Uniti, ma an-

che di mettere ordine in un mercato fi nanziario mondiale che, già nel corso degli anni novanta del secolo scorso faceva emergere “bolle” dagli imprevedibili eff etti. Si tratta di un problema economico, ma anche ovviamente di un pro-blema sociale: la “middle class” americana e non solo sta combattendo per molti aspetti in questi anni una complessa battaglia per la sopravvi-venza.

continua a pag. 5

USA vittoria del candidato democratico alla Casa Bianca

il comma 1 recita: “A garan-

◆ IN EVIDENZA

Difensore civico. Manca da 5 anni

Barack Obama, le radici e le ali

Avviso agli abbonatiIn questi giorni molti di

voi ci hanno chiamato per presentarci le loro lamentele in merito alla spedizione del settimanale. In particolare in alcune zone della provincia alcuni si sono visti accorpare tre-quattro numeri insieme.

Tutte queste lamentele sono state da noi presentate alle Poste spa ed in parti-colare alla responsabile del servizio spedizioni. Ci scu-siamo vivamente per i disagi presentativi ma non sono di-pesi da noi che ogni giovedì prontamente eff ettuiamo la spedizione del settimanale.

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� L’Amico del Popolo9 Novembre 2008Città

IV noVembre A lezione dal prefetto

Ha parlato con parole semplici per far capire anche ai giovani la Costituzione italiana. Così, questa mattina, al teatro “Pirandello”, il prefet-to Umberto Postiglione ha spiegato gli articoli costituzionali più importanti agli studenti della città. Dopo aver posto una corona di fiori in memoria dei caduti alla villa Bonfiglio, il rap-presentante dello stato, accompagnato dalle massime cariche provinciali civili e militari, ha raggiunto il palazzo dei giganti dove, ad aspet-tarlo, c’erano tantissimi studenti. Postiglione ha allietato gli studenti delle scuole superiori con un discorso riguardante, appunto, Costituzio-ne della Repubblica, nel suo 60esimo anniver-sario di istituzione.

cAmerA dI commercIo messina risponde

Il presidente della Camera di commercio di Agrigento, Vittorio Messina interviene in meri-to a quanto affermato nei giorni scorsi da Con-findustria e, ancor prima dalla Lega Coopera-tive sul ritardo nei pagamenti della Pubblica amministrazione. «Bisogna dare segnali- affer-ma Vittorio Messina -che servano a facilitare le imprese ad accedere al credito. L’economia agrigentina, come noto, oggi vive un momento di grande difficoltà, le famiglie non riescono a soddisfare le necessarie esigenze e, per crescere, occorre che le imprese e il mondo imprendito-riale abbiano come alleato la Pubblica ammini-strazione».

VIAbIlItÁ riapre la Panoramica

Dopo appena otto giorni dalla chiusura della Panoramica per cause legate a problemi di pro-babili cedimenti dell’ edificio denominato “casa Fiandaca” l’Ente Parco è riuscito ad effettuare i lavori necessari per assicurare le condizioni di sicurezza che permetteranno la riapertura del-l’importante arteria stradale.

crImInAlItÁ nuova forma di dopo lavoro

Falsificava i biglietti della compagnia di tra-sporti Sais. Ticket che venivano rivenduti ad ignari agrigentini, pronti a mettersi in viaggio per Catania. In questo modo realizzava un guadagno netto, ma truffava la compagnia di pullman Sais. A scoprire la truffa, dopo un blitz scattato in piazzale Rosselli, sono stati i finan-zieri della compagnia di Agrigento. Nei guai è finito un ventenne, dipendente della bigliet-teria, che è stato denunciato alla Procura della Repubblica per truffa e falsificazione di biglietti di pubbliche imprese di trasporto. Stando agli accertamenti dei militari sarebbe stato proprio il giovane, all’insaputa del titolare, a falsificare e vendere i biglietti per arrotondare lo stipendio.

AmbIente monserrato come discarica

Da tempo, molti abitanti di Monserrato, la-mentano il fatto che il quartiere del comune, è invasa da sgradevoli miasmi, in particolar modo, durante le ore notturne. Nel corso de-gli ultimi mesi, si è assistito ad un aumento del traffico veicolare di mezzi pesanti, diretti alla discarica per “rifiuti speciali non pericolosi”, di contrada Zunica, nella quale, secondo quanto dichiarato dall’azienda che gestisce l’impianto, verrebbero smaltiti “rifiuti speciali non peri-colosi”, provenienti dal petrolchimico di Priolo. A tutela della salute degli abitanti della zona, è stato inoltrato agli Organi competenti un espo-sto, affinché venga accertato l’avvenuto rispetto delle leggi e delle prescrizioni in materia.

In Breve

la Settimana di Eugenio Cairone

Aria di rimpastoConto ConSuntivo approvato il documento nonostante il parere negativo dei revisori

É arrivato il cambiamentoErano le 5 del mattino italiane del 5 novembre, quando c’è

stato l’annuncio della schiacciante vittoria di Obama su John McCain nella corsa alla Casa Bianca.

Ed è stato un grande giorno anche per noi italiani come ha sostenuto lo stesso Presidente Giorgio Napoletano.

Solo Hamas, ha frenato l’entusiasmo.Per il resto, è stato un coro unanime di consensi e di felicita-

zioni per il nuovo arrivato sulla poltrona più scomoda.L’uomo nuovo che il mondo si aspettava. Barack Obama,

senza alcun dubbio, è un giovane simpatico. Sicuramente, è il colore del suo volto che accresce la simpatia e la fiducia della gente, di tutta la gente, non soltanto di quella che l’ha votato con convinzione portandolo al trionfo. Questo primo uomo nero alla guida della Casa Bianca, sarà capace di apportare quel cambiamento che tutti si aspettano.

La sua è stata come una promessa.Per Israele, la vittoria di Obama, è uno splendido esempio

di democrazia dato dagli Stati Uniti al mondo. “Ora dobbiamo affrontare – ha detto Obama subito dopo

l’esito ufficiale del voto – i peggiori pericoli della nostra storia: la crisi economica e la lotta al terrorismo.

Vi chiederò di aiutarmi a ricostruire questa nazione, matto-ne su mattone”.

Lo strepitoso successo sul rivale è una prova certa di quanto Obama piaccia agli americani e non solo a loro.

Anche perché a lui si legano ora le speranze di chi ha a cuo-re le sorti dell’Umanità dopo la lunga parentesi cara soltanto ai guerrafondai.

Barack Obama, insomma, stravincendo le elezioni è di-ventato il nuovo Presidente degli Stati Uniti.

Come dire che da oggi, voltare pagina si potrà davvero.

Com’è difficile riuscire a vivere!Agrigento città delle emergenze

L’approvazione del Conto consuntivo è la

premessa di un rimpasto, se non di un azzeramento della Giunta per dare po-sto ad una nuova squadra, espressione dei partiti po-litici.

Dopo due sedute, anda-te a vuoto per mancanza di numero legale, alla ter-za convocazione il docu-mento finanziario è stato approvato dai consiglieri dell’Udc, di Fi e di An.

I gruppi consiliari han-no “eroicamente” votato favorevolmente nonostan-te alcune chiare criticità come il parere negativo dei Revisori dei conti sul-l’aspetto patrimoniale del Comune e la mancanza di certezze sulla esigibi-lità di non pochi crediti, espressa anche dal gruppo dell’Mpa, sui quali si regge l’equilibrio del Bilancio co-munale.

Tutto il percorso politi-co per l’approvazione è un messaggio inviato all’indi-rizzo di Marco Zambuto.

Dopo la caduta delle prime due sedute, qualche ora prima della terza con-vocazione, si sono susse-guiti gli incontri e qualco-sa ha convinto i consiglieri dei tre partiti ad affrontare positivamente il punto po-sto all’ordine del giorno.

Da escludere immedia-tamente la cortesia per-

sonale al sindaco perchè più ipotizzabile un futuro scambio di collaborazione e di visibilità all’interno della Giunta. I tre partiti politici si sono fatti carico della responsabilità del-l’approvazione per par-tecipare a pieno titolo al governo della città.

Al sindaco abbiamo chiesto se le nostre ipotesi sono fondate. Non ha vo-luto fare alcun commento sull’argomento. Non ha, ad ogni modo, smen-tito l’ipotesi. Chi tace acconsente o forse non dice semplice-mente nulla. O non può parlare in consi-derazione del favore ricevuto in Consiglio comunale e degli in-numerevoli incontri romani per risolvere le emergenze di Agri-gento.

E anche a Roma una Giunta, con colo-razione di centrode-stra, avrebbe maggior peso rispetto all’attua-le, difficilmente collo-cabile in un determi-nato schieramento politico. Ci sono tutte le motivazioni per gi-rare definitivamente pagina e archiviare quella meravigliosa parentesi della pri-mavera agrigentina.

Quel galantuomo

del tempo ci dirà se valeva la pena di continuare con la politica al di sopra dei partiti o se è stato meglio il ritorno all’antico meto-do delle cordate.

Adesso, il rientro di Zambuto, con un territo-rio che vanta la presenza di un Ministro e tre Asses-sori alla Regione a fronte dei problemi da risolvere, ha una sua logica giustifi-cazione.

Franco Pullara

Questa estate ho incontrato un agrigen-tino verace, ritornato in città per rinverdi-re i ricordi di gioventù e rivedere i parenti. Conclusi gli studi universitari e conseguita una laurea in ingegneria edile, aveva comin-ciato a lavorare, nell’azienda costruttrice del padre. Grande l’entusiasmo per migliorare l’azienda paterna, ma trascorsi alcuni anni dovette emigrare con sua grande delusione. Mi raccontò che si era trovato a lottare con-tro dei mulini al vento. L’iter per avviare un cantiere durava degli anni e bisognava insi-stere e pregare per avere “concesso” un pro-prio diritto.

Mentre parlava, dentro di me, ripensavo alla “passione”, vissuta per giungere ai lavori di consolidamento e restauro della chiesa S. Alfonso e dei locali ad essa annessi.

Quante volte le mie orecchie hanno ascol-tato il ritornello: «Ci vogliono i tempi». Aspettavo con pazienza i tempi, ma mi ren-devo conto che non arrivano e nel frattempo gli anni passavano. Quante volte ho salito le stesse scale, quante volte ho bussato alle stesse porte, quante volte ho incontrato le stesse persone, vestendomi di santa pazien-za per dominare il mio nervosismo inter-no, quante volte mi è stato detto: «Presenti un progettino, che glielo approviamo» ma il progettino presentato dopo mesi e mesi non riceveva riscontro ed anzi si perdeva su qualche scrivania.

Questa disavventura l’ho vissuta per nove anni. Immagino quanti agrigentini, affezio-nati alla loro casa nel centro storico, da dove contemplavano la valle, la pianura e il mare,

hanno perduto la pa-zienza, hanno mandato tutto per aria per la de-lusione che hanno spe-rimentato nello svolgere

le pratiche. Così si è fatto morire il centro storico!Ho vissuto circa quaranta anni a Palermo

e ho visto trasformare palazzi nel centro del-la città. Negli anni ottanta ho contribuito al restauro della chiesa parrocchiale SS. Ecce Homo e dei locali annessi, risalenti alla pri-ma metà del settecento.

La Soprintendenza si è riservata soltanto l’ultima parola per la scelta del colore del-la facciata, lasciandomi, per tutto il resto, completamente libero. Nel passato quante trasformazioni ha subito Agrigento. Muli e asini non ve ne vedono più, le stalle sono scomparse, ma l’habitat del centro storico quasi è rimasto all’era dei muli e degli asini. Credo che per far rivivere la città bisogna pensare alle necessità dei cittadini. Vi è il detto: “La legge è a servizio del cittadino e non il cittadino a servizio della legge”. Biso-gna sbracciarsi per ridare lo splendore del passato alla nostra bella e ariosa città.

Giuseppe Russola voglia di conoscenza

Negli ultimi tempi si sta assi-stendo ad una lenta, ma pro-gressiva, voglia di scoperta, da parte dei cittadini, ed in particolare dei più giovani, di quelle che sono le tradizioni e la storia sia della nostra città che della nostra nazione. La mostra del Liceo classi-co Empedocle sulla Grande Guerra, del Nicolò Gallo sulle maschere tradizionalli sicilia-ne, le visita degli alunni della Scuola media Pirandello nel centro storico sono alcuni esempi che dovrebbero esse-re da guida agli altri istitu-ti scolastici e non solo. Per vivere il presente dobbiamo conoscere il nostro passato.

sale

scendela sicurezza stradale

Le tanto pregate e volute piogge sono arrivate. Gli invasi si spera si riempiran-no e l’aria dovrebbe essere più fresca e frizzante. ma per noi agrigentini la piog-gia acquista anche un altro significato: le strade cittadi-ni diventano impraticabili. Due gocce del liquido desi-derato ed ecco allagamen-ti, incidenti, smottamen-ti, voragini. Avete notato percorrendo alcune strade della città la presenza di tombini per la raccolta delle acque? La via Gioeni, la via Duomo, la Plebis Rea, la Leonardo Sciascia si trasfor-mano in fiumi in piena o in dei bei laghetti artificiali.

La giunta comunale nei giorni scorsi ha deliberato la concessione di un’ampia area del cimitero di contrada Gatta per la sepoltura dei bambini mai nati.

All’associazione cattolica “Difendi la vita con Maria”, diretta da Paco Arnone, che da diversi anni ne aveva fatto richie-sta, verrà affidato questo nuovo servizio, che prevede appunto la possibilità che i bambini non nati a causa di un aborto spontaneo potranno trovare degna sepol-tura tra le zolle del camposanto agrigen-tino.

Paco Arnone per conto della sua asso-ciazione ed il direttore dell’ospedale di Agrigento firmeranno una convenzione grazie a cui i feti abortiti naturalmente non diventeranno più rifiuti speciali, ma saranno trasferiti dalla camera mortuaria e dai congelatori del nosocomio al cimi-

tero di piano Gatta per la sepoltura.Il seppellimento infatti avverrà sia su

richiesta dei genitori sia, indipendente-mente da questa, su domanda dei mo-vimenti in difesa della vita. Non appena Arnone firmerà l’accordo, predisposto in Comune dal dirigente Silvestre Baio ed approvato dalla giunta, il nuovo servizio diventerà esecutivo.

È previsto che nell’area dove si trova il cimitero dei bambini mai nati sorga an-che una cappella mariana.

Il progetto è già pronto. Una statua della Vergine ed un altare verranno posti all’ingresso del cimitero dei bambini non nati. Non appena la nuova area cimiteria-le sarà pronta, verrà inaugurata dall’arci-vescovo della Diocesi, monsignor France-sco Montenegro.

Elio Di Bella

Cimiteri Lodevole iniziativa dell’amministrazione comunale

Sepoltura ai bambini mai nati

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Cultura �L’Amico del Popolo9 Novembre 2008

I viaggi missionari di PaoloLe tappe della vita di Paolo che fin qui abbiamo cer-

cato di presentare, probabilmente rendono ragione del lungo racconto che ci presenta il libro degli Atti a partire dal capitolo 15 fino alla fine: una sezione avvincente in cui l’Apostolo è in continuo movimento da un capo al-l’altro del mondo, dall’Asia minore alla Grecia, da Geru-salemme a Roma… Sembra avere quasi premura, come se l’annuncio non potesse più attendere; c’è urgenza, de-siderio, frenesia… nell’incedere dell’apostolo; è un con-tinuo mettersi in movimento affinché tutti conoscano il Vangelo. Chissà se nella breve permanenza a Gerusa-lemme qualcuno fra gli apostoli avrà riferito a Paolo l’ul-tima frase del Risorto: Andate in tutto il mondo, predica-te il Vangelo ad ogni creatura..! Non lo sappiamo, ma di certo Paolo si sente mosso da una impareggiabile spinta missionaria che lo porterà a scrivere: L’amore di Cristo mi spinge al pensiero che uno è morto per tutti. Met-tendo insieme gli elementi storici e geografici degli Atti, generalmente si contano tre grandi viaggi missionari (in realtà saranno stati molti di più) con una dinamica molto simile soprattutto fra il secondo e il terzo: il punto di partenza è la Chiesa madre di Gerusalemme o la co-munità di Antiochia e poi si procede verso l’Asia minore (attuale Turchia), la si percorre nella parte meridionale e si inizia la risalita fino ai confini con la Macedonia; qui Paolo – forte della formazione ellenistica ricevuta nella propria città natale – capisce di poter affrontare la sfida ed inizia una evangelizzazione capillare privilegiando i grandi centri urbani: Tessalonica, Filippi, Atene, Corinto. L’apostolo si muove con il fuoco del Vangelo dentro le fi-bre del corpo ma è anche sostenuto da una precisa stra-tegia che gli consente da vero cittadino romano di valo-rizzare al meglio le grandi vie di comunicazione (la via Egnatia per esempio) per una più efficace opera evan-gelizzatrice. Sin dall’inizio è mosso dal sogno di arrivare a Roma ben consapevole che è da lì che passa il futuro, anche quello del cristianesimo (che intuizione geniale!) e dalla Provvidenza sarà guidato passo passo fino a coro-narlo. Il metodo scelto è molto semplice: si arriva in una città con i collaboratori e si cerca di individuare i luoghi di incontro: se c’è una sinagoga si entra, si partecipa alla liturgia della Parola con i brani dell’AT e ci si inserisce mostrando puntualmente che Gesù è il compimento di ogni promessa. Se mancano le sinagoghe ebraiche ci si ritrova nelle piazze, nelle case, nei mercati, nelle strade e lì si inizia a narrare l’Evento che ha cambiato la storia: la morte e la risurrezione di Gesù. Il Vangelo è portato con semplicità, immediatezza, verità, senza inutili ra-gionamenti, senza sapienza di parola, ma con un dire che è eco fedele di un cuore pieno. La fede nel Risorto è mostrata più che dimostrata e così arriva nella vita di quelle persone affannate – come noi – ad inseguire tan-te, troppe cose. Vedremo in seguito i contenuti di que-sto annuncio ma quanto detto ci basta a mostrare un principio che sosterrà l’evangelizzazione di Paolo. “Ho creduto perciò ho parlato”. È impossibile dire di credere e non sentire il bisogno di annunciare; la fede senza l’an-nuncio è morta e l’annuncio senza la fede è sterile. Solo chi ha il cuore traboccante dell’amore di Dio riesce ad essere annunciatore fedele e gioioso del Vangelo che, ieri come oggi, è l’unico capace di dare senso pieno alla vita di ognuno. I viaggi missionari dell’apostolo costituisco-no per la nostra chiesa diocesana un importante lezione di vita evangelica. Stiamo provando a metterci in ascolto per capire come rinsaldare meglio i legami di fede e per poter ritornare nelle nostre case, nelle nostre piazze o nelle nostre parrocchie e dire a tutti che Lui ci ama e per noi ha dato se stesso. Il guardarci dentro servirà certa-mente a guardare meglio fuori, a ripensare con serietà ad una pastorale che imiti in tutto il Maestro il quale, per annunciare il Regno, preferiva la strada al Tempio, le case dei peccatori alle scuole rabbiniche, i crocicchi delle vie ai ritrovi dei benpensanti. La strada, il viaggiare, la missione…sono i verbi e i sostantivi di ogni comunità: con quella grammatica è in grado di annunciare Dio e di parlare all’uomo.

Un anno con Paoloa cura di Baldo ReinaUn libro aperto

cattedrale Inaugurata la mostra didattica

In attesa della riapetura della cattedrale di Agrigento è stata allestita una mostra didat-

tica sui vari lavori che nei secoli hanno visto l’edificio evolversi e modificarsi, non solo per le esigenze liturgiche, ma soprattutto per i movi-menti franosi del costone su cui è costruita.

Il 3 novembre, festa di San Libertino, vesco-vo di Agrigento, l’inaugurazione ha visto racco-gliersi nelle sale del Palazzo vescovile non solo alcune autorità, il prefetto, il comandante dei Carabinieri e della Guardia di Finanza ma so-prattutto il popolo di Dio che nella Cattedrale si riunisce intorno al suo pastore.

In una sala gremita è stato il direttore del Museo Diocesano, don Nino Gulli, a dare il benvenuto ai presenti, e ad evidenziare l’im-portanza che la Cattedrale, il Palazzo Vescovile, il Museo diocesano, la Biblioteca Lucchesiana e la Chiesa Sant’Alfonso hanno nella vita della co-munità ecclesiale ed umana che nella via Duo-mo intesse il proprio vissuto con questi edifici e con la stessa comunità locale. “Non poter fruire e godere pienamente di questi segni della storia e della fede di un popolo ha rappresenta-to un’occasione mancata” – ha detto don Nino.

La mostra “rappresenta il primo passo” per ritornare a “raccontare la fede e la dimensione pastorale della chiesa”, per “fare memoria della storia e della fede che ci ap-partiene”. Dopo aver ringraziato gli intervenuti, e quanti si sono adoperati per la realizzazione del-la mostra, ha concluso: “la nostra città e la nostra chiesa, davvero meritano momenti culturali pre-stigiosi ed è nostra intenzione, in sinergia con quanti condividono questa sensibilità, adoperarci con tutte le risorse di cui disponiamo per realizzare sempre momenti di riflessione e di condivisione”.

All’arch. Ingaglio, curatore della mostra, il compito di presentare il perché dell’iniziativa. La mostra infatti introduce, accompagna, ri-manda alla visita dell’edificio della Cattedrale, perché nei pannelli si evince quali interventi hanno modificato l’assetto visivo della chiesa, spiegandone tempi e mo-tivazioni, raccontando lo zelo dei vescovi che l’hanno voluta sempre più rispondente alle esigenze del popolo. La cattedrale è il libro incarnato, è insieme l’alfa-beto e la lettura della storia di Dio con l’uomo, della fede del popolo agrigentino.

A questo libro, che si riapre nuovamente, è dedicata questa premessa, una premessa che ripercorre le tappe di una storia secolare.

Sulla stessa scia l’intervento di don Franco, il quale ha ravvisato l’importanza che riveste la chiesa cattedrale nella storia di ogni chiesa particolare, ma soprattutto la necessità che il popolo comprenda e viva la vera chiesa, che

non è quella costruita da mani d’uomo e con la pietra, ma quella edificata dallo Spirito Santo attraverso l’utilizzo delle pietre vive, rappresen-tate dai battezzati.

A conclusione degli interventi si è procedu-to alla visita della mostra didattica, arricchita dalla presenza di alcune opere della Cattedrale, presenti nel Palazzo, e quindi fruibili dal vivo, e dalla personale dell’artista canicattinese Vito Avarello.

Loredana FedericoDurante la sera-

ta inaugurale del-la mostra, mons. Montenegro ha evidenziato nel suo discorso il ruolo fon-damentale che rive-ste la Cattedrale per il Popolo di Dio.

“La Cattedrale - ha detto citando

una frase di Giovanni Paolo II - è un pun-to di riferimento della fede e dell’impegno cristiano ed è il luogo sacro dove i fedeli di una Chiesa particolare si radunano, al fine di esprimere e di proclamare la propria fede e la propria unità in Cristo. È il centro ecclesiale e spirituale della diocesi. La Cat-tedrale, intimamente legata alla persona del Vescovo, è inoltre la madre di tutte le chiese della diocesi”.

Essa - ha continuato - oltre che “casa di Dio”, è “casa degli uomini”, cioè luogo di accoglienza e di incontro di una comunità unita nella gioia e nel dolore nelle speran-ze e nelle preoccupazioni, luogo che rende visibile la comunione ecclesiale. Luogo di incontro di una comunità che è insieme ci-vile ed ecclesiale, unita. Qui vita umana e vita religiosa si sono incontrate, qui cultura e spiritualità si arricchiscono scambievol-mente in un intreccio vantaggioso e in una fecondazione reciproca.

Le Cattedrali sono un invito a guardare in alto, a guardare oltre i tetti, ricordando però che non si può sfuggire alle respon-sabilità di questa terra e che il cielo non toglie nulla alla terra, anzi dà vigore ed entusiasmo al nostro operare sulla terra. E parlando in particolare della nostra Catte-drale ha detto: “questa Cattedrale, collocata sulla città di Agrigento, è segno di una fede che non si estranea dalla storia, ma che incide nella storia della città: diventa seme fruttuoso nella vita delle persone, delle fa-miglie, delle comunità. Le pietre di questa Cattedrale parlano con muta ma singolare eloquenza e rivelano che la fede è stata una componente fondamentale della gente di questa terra e che i valori religiosi sono stati i motivi ispiratori anche dell’impegno socia-le e civile e presidio di un vero umanesimo. Ecco perché non si tratta semplicemente di aprire una chiesa di grande valore artistico. È molto di più. È il cuore di una città che riprende a battere. È una madre che apre le sue braccia per accogliere ed indicare che se la storia che è alle spalle di questa diocesi è stata ricca e preziosa, il futuro, che oggi è consegnato a noi, può essere, grazie anche a noi, altrettanto ricco e prezioso”.

L.F.

la cattedrale: luogo di incontro della comunità

le parole dell’arcivescovo

Abbiamo chiesto al prof. Giuseppe Ingaglio (nella foto), che ha curato l’organiz-zazione della mostra, di for-nire al visitatore alcune in-formazioni circa l’iniziativa.

Quali sono state le moti-vazioni della mostra?

La mostra è stata ideata e voluta da mons. Francesco Montenegro, per poter sti-molare il desiderio di visitare la Cattedrale e, per il visi-tatore, condurlo verso una comprensione più profonda e più significativa del mo-numento. È nata così l’idea di preparare alcuni pannelli che illustrino, attraverso al-cune immagini fotografiche (la più antica è del 1855), accompagnata da testi espli-cativi, la storia recente della Cattedrale, ormai millena-ria.

Com’è organizzato il percorso?

La serie dei pannelli è orga-nizzata secondo due sezioni. La prima racconta, dopo una presentazione con un breve regesto dalle origini fino alle soglie del Novecento, la sto-ria travagliata dell’edificio, segnato da restauri, amplia-menti, demolizioni e rico-struzioni, e le vicissitudini del monumento nel XX se-colo, dai lavori fatti eseguire dal vescovo Lagumina e dal successore Peruzzo, a quelli dopo la frana del 1966 per arrivare ai nostri giorni. La seconda propone al pubblico la conoscenza di una serie di opere d’arte provenienti dalla Cattedrale, ma che per di-verse ragioni (non ultima la sicurezza) non sono esposte all’interno dell’edificio. Tra queste spicca anche il corpus degli affreschi medievali, ri-trovati durante la distruzio-ne degli intonaci barocchi e poi staccati negli anni Cin-

quanta: alcuni di questi sono esposti in mostra e quindi il visitatore potrà direttamente ammirareli.

Quindi una mostra di-dattica che si apre al dialo-go con il pubblico?

Certamente. Lo spirito con cui è stata concepita l’or-ganizzazione del percorso è che si possa successivamente ampliare con altri pannelli.

Inoltre è stata pensata con l’intento che possa essere itinerante: le parrocchie o le istituzioni, sia pubbliche, che culturali, possono esporre anche in altri siti i pannelli, in modo da invitare a visi-tare, conoscere, ammirare e contemplare, come in un li-bro aperto, la storia della vita ecclesiale, civile e culturale della Cattedrale, della città e del territorio di Agrigento.

A.A.

intervista con il curatore della mostra

per prepararci alla riapertura

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� L’Amico del Popolo9 Novembre 2008Provincia

APEA, davvero così inutile?AmbiEntE il Consiglio Provinciale ha sciolto l’Agenzia Provinciale Energia ed Ambiente

Il 1 novembre è ritornata alla casa del Padre la Sig.ra

Filippa CatalanoVed. D’Oriente

mamma di don Giuseppe D’Oriente .Alla famiglia le più sentite condoglianze da parte della nostra redazione.

Lutto

casteltermini arrivailpresidioecologico

Per fronteggiare i problemi legati ad una cattiva ge-stione dei rifiuti e agli atti di sciacallaggio, arriva il pre-sidio ecologico. “Più differenzi e meno paghi”, questo lo slogan della campagna pro raccolta differenziata, che è partita il 4 novembre. L’iniziativa è stata voluta dal sindaco Nuccio Sapia, di concerto con l’assesso-re all’Ambiente Carmelo Salamone. Da quella data i cassonetti del centro montano sono presidiati da una squadra di operatori comunali, riconoscibili dalle di-vise, che istruiscono i cittadini sulle modalità della raccolta differenziata. Gli operatori sono muniti di tre tipi di volantini, di tre colori diversi, corrispondenti ai colori dei cassonetti per la differenziata. Nei volantini sono illustrati i tipi di rifiuti e la maniera per differen-ziarli. La campagna è stata voluta per fronteggiare la questione del “caro Tarsu”, costantemente sollevata dai cittadini. «Casteltermini – dice il sindaco Sapia – è un comune che ricicla poco. Questa inezia provoca un aumento dei costi della bolletta sui rifiuti. Abbia-mo pensato, quindi, di intervenire con questa campa-gna, che ci auguriamo, vista l’incisività con cui è stata programmata, sortisca gli effetti sperati».

raffadali Varatalanuovagiunta

Presentata dal sindaco, Silvio Cuffaro la nuova giun-ta comunale che lo aiuterà nell’amministrazione del-l’ente comunale. I componenti del nuovo organo sono Salvatore Librici con delega alla famiglia, politiche sociali, emigrazione ed immigrazione oltre alla carica di vicesindaco; Angelo Salemi - turismo, sport, tempo libero, scuola, cultura e spettacolo; Claudio Di Stefa-no - rapporti con il consiglio comunale, attuazione del programma, servizi al cittadino e semplificazione, politiche comunitarie, Villaggio della Gioventù, politi-che giovanili e capitale umano; Franco Tuttolomondo - infrastrutture, lavori pubblici, casa, trasporti e prote-zione civile; Gaetano Di Giovanni - attività produttive, politiche del lavoro e occupazione, formazione pro-fessionale, commercio, annona, polizia municipale, programmazione finanziaria e tributi; Stefano Iaco-no Manno - ambiente, arredo, decoro urbano, verde, servizi a rete e servizi cimiteriali. Il sindaco ha invece tenuto per sé le deleghe all’urbanistica, al marketing territoriale e la manutenzione.

proVinciaprefetturacitataingiudizio

Il presidente della Provincia regionale di Agrigento, Eugenio D’Orsi, nell’ambito della attività del riordino della situazione economica dell’Ente da lui presiedu-to, ha citato in giudizio la Prefettura per il pagamento di un milione e 600 mila euro per l’affitto dei locali in Piazza Vittorio Emanuele. Una cinquantina di vani il cui contratto di locazione è scaduto una ventina di anni addietro. Il legale al quale si è rivolto il presidente, ha provveduto al deposito degli atti presso il Tribuna-le civile di Palermo in attesa che venga fissata la data dell’udienza per la comparizione delle parti. Il presi-dente D’Orsi ci ha tenuto a precisare che il recupero dei crediti che la Provincia vanterebbe nei confronti della prefettura risponde all’esigenza di mettere ordi-ne in situazioni contabili nell’interesse reciproco delle due amministrazioni.

Brevi provincia

Dalla padella alla...Su una questione i saccensi sono coralmente

d’accordo: il peggiore servizio pubblico è quello che riguarda il servizio idrico. La città terma-le, dopo Agrigento, è quella in cui si registra-no i maggiori guasti alla rete idrica. Anche dal punto di vista della distribuzione hanno di che lamentarsi i saccensi. Basta ricordare la scorsa estate quando nella popolosa località residen-ziale-balneare di San Marco le famiglie sono state costrette a ricorrere alle autobotti. Fino a qualche mese ma si diceva colpa dell’Eas, oggi i disservizi sono imputabili alla Girgenti Acque. I saccensi si aspettavano, dal passaggio del ser-vizio idrico da un noto carrozzone pubblico ad una società privata, quei miglioramenti auspi-cati, attesi. Che la Girgenti Acque abbia eredi-tato una situazione disastrosa è fuor di dubbio. Ma una società privata quando partecipa ad un bando per la gestione di un servizio deve essere conscia, consapevole, della situazione genera-le. Se l’amministratore delegato della Girgenti Acque, Giuseppe Giuffrida, ripete in continua-zione che non esiste una mappatura della rete di distribuzione, non giustifica la società dei disservizi continui dopo mesi di presa in cari-co della gestione. L’inesistenza della mappatu-ra della rete doveva essere già evidente prima di partecipare al bando di gara. Non si va mica alla cieca nel mondo del business!

I cittadini saccensi vivono una situazione idrica davvero tempestosa. C’è in corso una massiccia azione popolare tesa al recupero dei canoni relativi alla depurazione che l’Eas ha in-camerato da sempre, pur non esistendo in città un depuratore (è in corso di completamento). La Corte di Cassazione, con propria sentenza, ha reso incostituzionale il pagamento di det-ti canoni quando nel comune non esiste l’im-pianto. L’associazione culturale “L’altra Sciacca”

della questione idrica ne ha fatto un cavallo di battaglia. Ha anche distribuito il modulo di ri-chiesta dei canoni incostituzionalmente versati negli ultimi dieci anni.

Ed ancora. Le numerose perdite della rete idrica hanno generato grossi sospetti. Per lo più, infatti, queste avvengono nel fine setti-mana. Sulla vicenda stanno indagando i cara-binieri, su disposizione della Procura. Ultima vicenda, in ordine cronologico: il Comune ha chiesto alla Aeroviaggi, proprietaria dei quat-tro alberghi della ex Sitas, il pagamento di 1,5 milioni di euro per spese di manutenzione e consumo di acqua. Il patron della Aeroviaggi, Antonio Mangia, risponde picche e la faccenda segue le vie giudiziarie. E per finire, si fa per dire, a Sciacca non esiste ancora un ufficio della Girgenti Acque. La filosofia gattopardiana vive ancora.

Filippo Cardinale

SciAccA La sempre peggiore situazione idrica

Sono bastati pochi minuti per porre la parola fine e conse-

guentemente sciogliere l’APEA, l’Agenzia Provinciale Energia ed Ambiente. Pochi minuti nei quali i consiglieri provinciali hanno deci-so di eliminare uno dei tanti “car-rozzoni mangia soldi”. «L’APEA è un ente inutile. Insieme a Roberto Gallo ed a Vincenzo Giambrone feci parte del primo Consiglio di amministrazione e debbo dirvi che dopo appena otto mesi ci sia-mo dimessi tutti. L’APEA è sola-mente un ente che utilizza i soldi per pagare i gettoni di presenza. Quindi sono soldi spesi inutilmen-te e quindi siamo favorevoli alla votazione per lo scioglimento»

Quelle appena riportate sono le parole che il consigliere del Pdl Gioacchino Zarbo ha espresso nel suo intervento durante il consiglio del 28 ottobre seduta nella quale si è cancellata con un colpo di spu-gna l’APEA. Ma davvero questo Ente era così inutile? Davvero la

richiesta del Presidente D’Orsi, ac-colta dal consiglio provinciale ave-va solo alla base il duplice obiettivo di razionalizzare ulteriormente le spese della Provincia e di raziona-lizzare i servizi resi dalla provincia stessa in materia di tutela ambien-tale e del territorio?

L’Agenzia provinciale fu istituita con compiti di gestione dei servizi di energia ed ambiente, nonché di promozione delle politiche energe-tiche e territoriali, quali ad esem-pio il ricorso alle energie alternati-ve, il monitoraggio delle caldaie e degli impianti di climatizzazione ed altro ancora. Tra le motivazioni presentate dal Presidente D’Orsi a sostegno della chiusura dell’APEA il fatto che, secondo lui, l’Agenzia sia stata fortemente ridimensio-nata nelle sue attività e funzioni, previste dall’art. 2 del suo Statuto, «perché ormai da tempo l’ARPA, l’Agenzia Regionale per la Prote-zione dell’Ambiente istituita nel 2001 dalla Regione Siciliana, lavo-

ra a pieno regime assumendo, oltre al controllo della qualità ambienta-le, anche gli stessi compiti dell’APEA. In tal modo l’APEA è una sorta di dop-pione senza alcuna utilità pratica per il territorio. Le poche, ridotte competenze che attualmente è in grado di assume-re sono sostenute dalla stessa ARPA, mentre la Provincia Regionale può fornire un suo contributo attra-verso il potenziamento del Settore Patrimonio e Ambiente, che in-dubbiamente è uno dei Settori più operativi in assoluto».

In questo momento molti di voi staranno pensando che, come al solito, e come per l’aeroporto (ma lì il discorso è più lungo e varie-gato ed ancora dopo proclami e

prese di posizione l’AAVT gode di ottima vita), i nostri politici si di-vertano a gettare il denaro pubbli-co dalla finestra, ma questa stessa considerazione dovrebbero anche farla gli abitanti della provincia di Siena, di Teramo, di Bologna, di Matera e delle altre province sici-liane, Trapani, Enna…, che hanno e tengono in vita un’APEA.

La domanda nasce spontanea: sono tutti dei cretini che tengono in seno una serpe succhia denaro? Le APEA delle province siciliane non hanno forse anche loro, a det-ta del nostro presidente della Pro-vincia, visto ridimensionati i loro compiti dalla nascita dell’ARPA? Ed allora tutti gli altri presidenti sono dei cattivi amministratori con le mani bucate? Forse, se nella nostra provincia l’APEA non svol-geva appieno i propri compiti, era perché coloro i quali erano stati preposti a farne parte non aveva-no le capacità per poter effettiva-mente svolgere quanto gli era stato affidato (ex trombati politici, amici di amici, parenti, cugini e uomini di partito)?

Questo non lo sapremo mai, di sicuro c’è che, in tempi in cui si parla tanto di fonti di energia al-ternativa, noi chiudiamo l’ente che poteva aiutarci a conoscerle ed utilizzarle, ma da noi si sa le cose vanno al contrario.

Marilisa Della Monica

Rubrica a cura dell’Avv. Adele Falcetta

L’ANGOLO DEL CONSUMATORE

Porto un cognome ridicolo, che da tempo vorrei cambiare. Mi scoraggiano però le lungaggini burocra-tiche: mi hanno detto che ci vogliono anni (R.C., Agri-gento).

La legge italiana prevede la modifica del nome familiare in caso di appellativi ridicoli o vergognosi. In effetti, un tem-po, la trafila per cambiare cognome era piuttosto lunga. Da alcuni anni, però, non è più così. Il DPR 296/2000 consente di ottenere questo risultato con una semplice domanda al Prefetto della provincia di residenza. I relativi moduli sono scaricabili dal sito del Ministero dell’Interno (www.interno.it). Alla domanda deve essere allegata l’autocertificazione di identità, una fotocopia dei documenti personali ed una mar-

ca da bollo da 14,62 Euro. Il Prefetto, previa consultazione con l’interessato, autorizza la pubblicazione di un estratto della domanda nell’albo pretorio del comune di residenza dello stesso. La pubblicazione dura trenta giorni. Durante questo periodo, e nei trenta giorni successivi, eventuali con-tro interessati potranno presentare opposizione motivata al Prefetto. Trascorso il termine, il Prefetto emana il provve-dimento definitivo che, se favorevole, andrà trascritto nei registri dello stato civile a cura dell’interessato. Il Prefetto, nell’esaminare la domanda, valuterà se essa è obiettivamente fondata, vale a dire se il cognome che si richiede di cambiare sia davvero ridicolo o vergognoso: infatti, il cambiamento del cognome è un fatto eccezionale, che non può verificarsi per un capriccio o per seguire una moda.

Per ulteriori chiarimenti o per informazioni rivolgersi a:Avv. Adele Falcetta, via S. Francesco n. 15 - 92100 Agrigentoe-mail: [email protected] - tel./fax 0922 556222 - Cell. 338 3971821

Il Golf resorto è una realtàCon la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Regione, la legge che regola-

rizza gli impianti del golf è realtà. Ora va applicata e rispettata. Finisce un lungo tor-mentone durato due anni. Due anni per decidere che una buca non è equiparabile ad una costruzione edile. Due anni che sono lo specchio di una burocrazia retro-grada e dannosa per lo sviluppo della nostra tormentata terra. Due anni che sono la prova che la nostra classe politica è impreparata, insufficiente, litigiosa. Sempre vocata alla cura dei propri interessi. Di riflesso, la legge sblocca anche quelle due buche, diventate famose in tutto il mondo, del golf resort del Verdura di sir Rocco Forte. Un certo tipo di ideologismo, che nella verità diventa strumento perverso per incidere pesantemente nelle scelte di sviluppo del nostro territorio, ma anche nel-le scelte imprenditoriali, è stato sconfitto. Rimane un accanimento che non trova fondamento in un filo logico. Ma di questo il tempo darà lumi. I lavori al Verdura proseguono velocemente e si traguarda il prossimo giugno come data di apertura. Adesso spetta alla città organizzarsi, la quale è in forte ritardo. Colpa anche di una classe politica che passa il tempo a litigare, anziché mettere sul solco dello sviluppo, della organizzazione, una città che punta sul turismo. E semplicemente inutile dire agli altri “colonizzatori” quando, nella realtà, la nostra cultura è quella dell’attesa che qualcosa ci venga regalata. Bisogna sbracciarsi e lavorare sodo, e soprattutto conta-re sulle proprie capacità.

È un segnale, questo, che fa bene alla politica, alla società e alla democrazia del nostro Paese.

È in un’ottica laica che l’associazionismo cattolico si è posto e si pone di fronte al legislatore esigendo, proprio per fedeltà alla Costituzione, che venga rispettata e resa concretamente possibile la libertà della scelta educativa.

Questo laicato ha volontà e capacità di essere protagoni-sta: anche se dovrà perfezionare la propria “comunicazione politica”, riesce a far comprendere la sua attenzione leale verso le generazioni che salgono. La gente che vive nella con-cretezza quotidiana si è resa conto che c’è qualcuno che ha davvero a cuore la scuola intesa come uno dei luoghi decisivi in cui i giovani devono poter esercitare il diritto-dovere della ricerca della verità, dell’assunzione di competenze, della for-mazione della coscienza civica.

È in nome della libertà per tutti che questo laicato, cultu-ralmente ben attrezzato, ha preso e prende la parola sulla scuola come l’ha presa e la prende sulla famiglia e sulla vita.

Sono segnali importanti, certamente da irrobustire, ma di-cono dell’inizio di una presenza nuova ed efficace nel pensare e nell’agire politico, dicono che è possibile, quindi doveroso, un altro stile nell’affrontare i problemi e nel rispondere alle domande.

continua dalla prima

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Società �L’Amico del Popolo9 Novembre 2008

alitalia il ruolo della politica, dell’economia del sindacato

a ognuno il suoL’Alitalia era sparita dalle cronache ed ora

è rientrata sulla scena. Il cittadino italia-no si era convinto che il problema fosse sta-to risolto e invece no, o almeno non ancora. Cosa è successo? Cinque sindacati autonomi – Anpac, Avia, Up, Anapv e Sdl, non trova-no l’accordo con la società Cai, che compera i principali asset della vecchia Alitalia in li-quidazione e non vogliono firmare l’accordo sindacale vero e proprio, dopo aver firmato in passato l’accordo quadro. È in program-ma per oggi, 3 novembre, un’assemblea degli iscritti a questi sindacati e si vedrà se anch’es-si firmeranno come i Confederali oppure no.

Il problema principale emerso da queste ulti-me vicende è che perché le cose funzionino bi-sogna che ognuno faccia la propria parte e non impedisca agli altri di fare la loro. Se c’è un’im-presa – la Cai – è logico che ad essa spetterà la conduzione delle assunzioni, la scelta del part-ner straniero, la decisione se ripuntare su Mal-pensa o no. Nel rispetto delle leggi, naturalmen-te. Invece ci risiamo con i soliti scavalcamenti. La definizione dei trattamenti di cassa integra-zione e i vari ammortizzatori sociali spetta al governo, non alla Cai. In sede di accordo quadro sono state concordare delle scelte circa la dura-ta della protezione governativa tramite la cassa integrazione e le condizioni per beneficiarne.

È quindi improprio che ora i sindacati autono-mi vogliano arrivare a una modifica della cassa integrazione durante la trattativa con la Cai. In ogni caso bisognava far emergere simili proble-mi quando anche il governo era seduto al tavolo, ma non ora.

Il governo non poteva e non può dettare a una impresa i criteri di assunzione. I sindacati possono provare a condizionarli, se ne hanno la forza, ma la titolarità della cosa spetta all’impre-sa. La Cai ha il diritto di non assumere operai che matureranno la pensione durante il periodo di cassa integrazione o di rifiutarsi di assumere tutti in blocco. Le assunzioni (come pure i li-cenziamenti) sono regolate dalla legge, oltre che dalla trattativa sindacale. A ognuno il suo. Di-scriminazioni nell’assunzione di donne in stato di gravidanza o con figli disabili a carico? La Cai nega, ma se così fosse la materia sarebbe da ma-gistratura del lavoro più che da contrattazione sindacale.

La scelta, poi, da parte della nuova Alitalia di ritornare a far capo principalmente a Malpen-sa più che a Fiumicino deve pur rimanere una scelta imprenditoriale e non legata alle pressioni di Bossi o, in generale, della politica. Tra l’altro Malpensa ha già dato prova di poter ugualmen-te ampliare il proprio traffico aereo e di sapersi autonomamente collegare con Lufthansa per

fare di Milano il terzo hub della società tedesca dopo Francoforte e Monaco. Anche senza Alita-lia. Di nuovo: a ognuno il suo.

Lo stesso dicasi per la scelta del partner stra-niero. Le ultime notizie dicono di un interesse anche di British Airways (Ba), non di entrare nel capitale ma di attuare accordi strategici sui voli nel Mediterraneo, ove Ba è piuttosto carente. È il caso di lasciare queste valutazioni al manage-ment e non ai sindacati. Alcuni dei quali ritor-nano a proporre la nazionalizzazione di Alitalia, ormai di gran lunga fuori tempo massimo.

I sindacati confederali e l’Udl hanno già fir-mato. Essendoci la firma dei “grandi” la Cai po-trebbe procedere anche senza l’adesione delle

cinque sigle di autonomi, anche se questa scelta sarebbe negativa, più per questi ultimi che per l’azienda. È vero che quest’ultima si porterebbe in pancia maggiore contestazione, però qualsia-si azienda sa che questo non può essere evitato a priori. Proprio l’attuale contestazione lo prova. I cinque sindacati in questione avevano firmato l’accordo quadro assieme a tutti gli altri, poi però hanno sollevato nuove questioni. Una resistenza a oltranza dei cinque sindacati autonomi inde-bolirebbe il sindacato in generale e lo rendereb-be meno atto a battersi in futuro per le concrete condizioni dei lavoratori di Alitalia, che è il pri-mo scopo di un’organizzazione sindacale.

Stefano Fontana

Caro direttore,mia madre è deceduta lo scorso 21 ottobre al termine di una lun-ga malattia, le cui fasi finali sono state caratterizzate da grande sofferenza e scandite da periodiche degenze nel reparto “Hospice – Clinica del Dolore” dell’Azienda Ospedaliera S. Giovanni di Dio di Agrigento. Sono stati mesi molto duri, nei quali la consapevolezza di un destino segnato, e il conseguente dolore di noi figli e degli altri familiari, è stata accompagnata dalla sensibilità e dalla competen-za dei medici e del personale paramedico e ausiliario del reparto diretto dal dr. Antonio Liotta. Un reparto al quale è affidato non solo il non facile compito di alleviare le sofferenze fisiche dei malati terminali, ma anche quello di sostenere i familiari in un contesto nel quale rassegnazione e impotenza potrebbero rivelarsi devastanti. All’Hospice abbiamo potuto contare su un team affiatato, professio-nalmente impeccabile, e su un ambiente nel quale il malato termi-nale non è mai considerato un numero o un qualcosa da archiviare, bensì una Persona, con la dignità e gli inviolabili diritti di ogni altro essere umano. Queste poche righe vogliono rappresentare non solo un doveroso ringraziamento ed un pubblico elogio per il dr. Liotta, il dr. Maligno, la dott.ssa Toscano, il dr. Alongi e tutto il personale del reparto Ho-spice, ma anche la segnalazione di un altissimo momento di civiltà: si tratta di una vera e propria squadra competente ed affidabile, al servizio del cittadino cui la vita ha riservato un destino meno for-tunato di altri, e in un contesto quale quello ospedaliero nel quale purtroppo non mancano le difficoltà operative. La nostra speranza è che nel cosiddetto “Piano di rientro” della Sanità regionale non si nascondano anche tagli a reparti come questo, che al contrario an-drebbero potenziati (pensiamo all’assistenza domiciliare dei malati oncologici, mai avviata) e, che, se ridimensionati o peggio ancora cancellati, finirebbero con il penalizzare ulteriormente ogni cittadi-no che ha in questi professionisti seri ed affidabili un punto di ri-ferimento quando la vita, e talvolta anche le Istituzioni, voltano le spalle alla Persona. Un grazie di cuore, dunque, a tutti gli Operatori dell’Hospice.

Salvatore GrenciCaro Salvo, voglia tu gradire le condoglianze per la morte di tua madre e, anche se una triste vicenda, ci consola il sapere che presso l’Ospedale San Giovan-ni di Dio l’“Hospice - Clinica del dolore” riserva l’attenzione, che tu bene ha descritto nella lettera, ai malati e alle rispettive famiglie. (C.P.)

Il mondo globalizzato ha bisogno di un riferimento, ma ha biso-gno anche di un tessuto di relazioni: ecco il secondo dossier plane-tario per il presidente americano, la governance mondiale, le que-stioni della pace e della sicurezza. Il viaggio in Europa, tra Berlino e Parigi in particolare, ha permesso al nuovo presidente di tocca-re con mano l’importanza del rapporto con l’Europa, anche nella proiezione verso il Medio Oriente, dalla Terrasanta all’Afghanistan, da sempre il grande perno delle grandi questioni e delle decisioni geo-politiche. L’Iraq e l’Iran, la guerra da finire e il nucleare da gesti-re rappresentano oggi le emergenze più vistose. Collegata con i temi della pace c’è poi la questione ambientale planetaria, che può essere un importante volano per nuove relazioni geo politiche globali.

L’economia, le questioni geo-politiche, dalla pace all’ambiente: il terzo grande dossier planetario è quella “questione antropologica”, che oggi si pone in termini nuovi e stringenti. Le grandi scelte bio-etiche sulle tecnologie applicate alla vita, la tutela e la promozione della vita e della famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna, rappresentano punti fermi fondamentali per misurarsi positivamente con il futuro, da cui non si può deflettere. (Sir)

continua dalla prima

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� L’Amico del Popolo9 Novembre 2008Vita Ecclesiale

Sbornia non programmata

Poeti, pensatori e scrit-tori (anche se non tutti), e tanta brava gente, insistono a dire che: “ci vuol poco, per essere felici”. Sta a vedere, tuttavia, questo poco dove nasce, come e perché. Gli ottuagenari si chiedono per-plessi: “come mai, quando mancavamo di tutto, basta-va anche solo la certezza di poter contare su un amico, a renderci felici?”. Nei collegi, specie in Seminario, ba-stavano due o tre elementi di una camerata, dotati di inventiva, colorata d’umorismo e insaporita d’alquanta ironia, perché ogni giorno ci si arricchisse d’una novi-tà, tale da richiamare l’attenzione generale.

In Seminario, pur nell’apparente trascorrere mo-notono delle attività, dettate dalla “Regola” e dall’ora-rio, quasi inflessibile, nelle varie camerate succedeva-no sempre situazioni esilaranti, che facevano il giro di quella “Gerusalemme Celeste” (così il Rettore vedeva il Seminario), di cui noi, in duecento, eravamo i fortuna-ti cittadini.

Chiedo al Dott. Alfonso Carlisi di accennare qualche episodio, rimastogli indelebile nella memoria, capace di destare corale allegria nell’intero corso licea-le: “Alla prima ora di Scienze, il Prof. F. Sortino, spiega le parti importanti del fiore, soffermandosi sul gineceo, androceo, pistillo…Alla seconda ora, il Prof. di Storia interroga il fantasioso Fiorica: volto raggiante e mani gesticolanti, parla di Napoleone, durante la battaglia di Marengo. È un vero spettacolo a guardarlo. Anche il prof. è ammirato (non per cosa dice, ma per come si esprime). Nel terminare il suo dire, esultante, l’interro-gato conclude: ‘Allora, Napoleone raggiunse il gineceo della gloria!’. Qui, un fragoroso battimani tra le nostre risa incontenibili e divertite, mentre il prof. mette la te-sta tra le mani.

“L’amico Bonanno, non ha dimestichezza con la lin-gua greca: dichiara di non riuscire neppure a decifrare le lettere dell’alfabeto. Le vede come zampe di gallina o formiche che si agitano a grattargli le meningi. Viene interrogato dal pensoso Prof. Vaianella, che paterna-mente esorta: ‘Su, Bonanno, leggi.’ Il buon Filippo non è sordo, tenta di districarsi tra un ‘beta’ e un ‘eta’, ma non ce la fa proprio: ‘Professù, mi pupìano l’occhi. Si voli, mi stricu ‘n terra, nun è cosa pi mmia’.”

Il segreto che teneva salda la comunione di af-fetti e di intenti dell’intera classe, stava nell’escludere ogni sentimento di invidia o gelosia tra noi, e conside-rare successo di tutti la riuscita di ognuno.

“L’Insegnante di Italiano, Prof. A. Ginex, ci cono-sceva bene: impegno, cultura, preferenze letterarie, stile nelle composizioni scritte. L’amico Cascioferro mi propone di consegnare lo svolgimento di un tema scambiando le nostre firme, per verificare se non sia, solo per abitudine, che, ogni volta, uno di noi meriti 8 e l’altro 7. Il prof. legge, corregge, ci squadra e assegna un grosso 2 sia all’uno che all’altro. Ma ci vuole trop-po bene, per ritenersi offeso. Noi due chiniamo la testa ma non tratteniamo le risa.

“Anche le marachelle potevano finire in allegria, riuscendo a smontare la stessa immobile rigidità del Rettore F. Jacolino: in camerata, si viene a sapere che, a Tizio, i familiari hanno portato una bottiglia di buon vino. Eludendo la sorveglianza del prefetto, tre o quat-tro di noi chiediamo di assaggiarlo. Dopo la bevuta, gli altri ‘fortunati’ si seggono, mettendosi solo a ridere. Ma io (non avevo mai assaggiato vino), ben presto co-minciai a dare i numeri, e volendo piroettare, finii per terra. Arriva il prefetto, si rende conto di tutto, seque-stra la bottiglia e mi accompagna dal Rettore. Cosa sia avvenuto, me lo raccontò poi il prefetto, perché, smal-tita la sbornia, non ricordavo più nulla: lasciandomi trascinare, dondolavo la testa senza rendermi conto più di nulla. Vedendomi ridotto uno straccio, il Retto-re mi chiede: ‘Ch sono io?’. Rispondo: ‘Il commissario di polizia!’ – era il mio senso di colpa che parlava? - . Il Rettore, a questa risposta, non riesce a trattenere un sorriso che svela il suo premolare d’oro, ordinando al prefetto di portarmi in bagno e mettermi la testa sotto il rubinetto.”

Chiedo al dottor Carlisi se ricorda qualche partico-lare punizione, la risposta è quanto mai candida: “Mai una vera e propria punizione. Avevo tanto rispetto e stima del Rettore, che il solo pensiero di venire puni-to da lui mi dava la sensazione che non avrei potuto più stimare me stesso. Avevo financo terrore di dover ricevere ‘l’accipe’ per avere pronunziato una parola in dialetto.”

Le vere sofferenze intime del nostro protagonista, furono ben altre, e non dovute a trasgressioni della Re-gola o marachelle di alcun genere. Ma di questo, alla prossima puntata.

Anni verdi in Seminarioa cura di Stefano PirreraLa scorsa settimana la Chiesa ha comme-

morato il 2 novembre tutti i defunti. Un appuntamento che ha visto riversarsi nei ci-miteri cittadini una folla di persone le quali hanno deposto sulle tombe dei loro cari un fiore, un lumino e dinanzi alle quali hanno pregato per le anime di coloro i quali non sono più con noi su questa terra. L’arcivescovo mons. Francesco Montenegro, come da tra-dizione, ha celebrato la Santa messa dinanzi al monumento ai caduti (vedi foto) dove si è radunata, accanto alle autorità civili e militari della città una piccola folla di fedeli la quale ha partecipato alla celebrazione eucaristica. Du-rante l’omelia mons. Montenegro ha ricordato come: «La morte – è la fede che lo dice – non è un muro contro cui tutto si infrange, ma è un ponte che porta ad un’altra via. Con essa, “la vita non è distrutta, ma trasformata”. Il 2 novembre, pur carico di sofferenza, per chi crede, non può essere solo giorno di lutto e di tristi ricordi, ma anche di speranza: “Dio eli-minerà la morte per sempre e li radunerà per mezzo di Gesù insieme a lui”. “Se ci rattrista la certezza di dover morire – diremo più tardi – ci consoli la promessa dell’immortalità fu-tura”. La società in cui viviamo – ha continua-to mons. Montenegro - è come se facesse di

tutto per “censurare” la morte, perché disturba e toglie la felicità. Nominarla infastidisce. Eppure essa c’è e ci accom-pagna. Fingere che non ci sia non è se-gno di saggezza. Essa incrocia spesso la nostra vita, e noi siamo costretti a guar-darla. Gli effetti possono essere diversi. C’è chi la vede come liberazione e chi la considera con disperazione e sciagura. La fede invece fa dire: «ma essi (i giu-sti) sono nella pace». Che significa? La risposta la dà Cristo Risorto. È su di lui che dobbiamo fissare gli occhi del no-stro cuore credente. È in lui che la no-stra speranza si riempie di immortalità. È lui che risorgendo ci rende partecipi della sua vita di risorto. Cristo fa nuove le cose, per-sino la morte. Per questo «non ci sarà più la morte, né il lutto, né il lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate», ma pie-nezza della vita».

Dunque un invito a vivere il giorno dedicato a chi non è più con noi come un momento di avvicinamento a quello che prima o poi, sarà il destino di ognuno di noi e che, la nostra tra-dizione, quella siciliana, aveva ben compreso e valorizzato con “u iornu di li morti” quando i nonni, o qualche altro parente defunto por-

tava, ai piccoli di casa, dolciumi o giocattoli, una festa che puntava a rinsaldare i legami fra i vivi e i morti, fra i bambini e i propri antenati, era un modo per conservarne la memoria, era il “loro” giorno di festa! I defunti erano dun-que quelle anime buone che si ricordavano dei vivi, delle persone che avevano lasciato ma che ancora continuavano ad amare ed a tene-re nel cuore.

Ma era anche un modo per non far cade-re nell’oblio della memoria coloro i quali non erano più in vita attraverso l’escamotage del dono del defunto, il bambino aveva la possi-

bilità di considerare ancora un mem-bro vivente della propria famiglia lo zio Tizio o il nonno Caio.

È un vero peccato che la bella tra-dizione del nostro popolo venga sop-piantata da quella di un altro, il cui unico spirito è un carnevale anticipa-to che porta ad un consumismo esa-sperato, al quale noi potrebbe tran-quillamente fare a meno. Bella e da ripetere il prossimo anno l’iniziativa della matrice di Sciacca in collabora-zione con la Scuola S. Agostino, il 31 ottobre, vigilia di Halloween, in ogni classe, oltre ad essere stata presentata la figura di un santo (il 1 novembre è la festa di ognissanti) è stata ricorda-ta la festa dei defunti, con l’invito ri-volto a tutti gli alunni di pregare per le persone care che ci hanno lasciato e che vivono in Dio che ci sono an-cora vicini e che pregano per noi. Una bella iniziativa questa che ha permesso di far conoscere tradizioni ed usanze proprie della nostra terra e che per puro spirito di consumismo e conformazione sociale stiamo len-tamente dimenticando.

MDM

Commemorare e ricordare1-2 novembre tra tradizione e nuove sfide

E’ ritornato alla casa del Padre il dott.

Giuseppe MontalbanoAlla moglie Anna Maria, al figlio Daniele e alla zia Mi-chela Rizzo Pinna, nostra collaboratrice le più sentite

condoglianze da parte della redazione.

Lutto

A quasi quattro mesi (3 agosto u.s.) dal-la sua scomparsa (non avendolo potuto fare perchè chiusi per la sosta estiva), ci sembra doveroso ricordare sulle pagine del nostro settimanale la figura di un uomo e di un sacer-dote che ha lasciato una traccia di operosità e di zelo sacerdotale nel tessuto socio-ecclesia-le favarese e non solo, e per il quale da parte di molti si è avvertita l’esigenza di esprimere pubblicamente gratitudine e riconoscenza. Un grazie corale a P. Calogero Gariboli, da parte di tanti per i suoi 59 anni di ministero sacerdotale, tutti a servizio di Favara, all’inizio come cappellano alla Matrice, agli inizi del suo sacerdozio, nel 1949, come prezioso ed apprezzato collaboratore dell’indimenticabile arciprete Mons. Giuseppe Minnella Rizzo, la cui memoria è in benedizione. Successiva-mente, dal 1953 come Parroco della Parroc-chia dell’Itria, da lui fondata, avviata e diretta per un ventennio. Quando si semina bene i frutti si raccolgono, anche a distanza. L’avvio è costato a P. Gariboli tanti ma proprio tanti sacrifici, che egli ha voluto scrivere in un me-moriale, segretamente consegnato ad alcuni amici. Oggi, a distanza, si vedono i frutti , grazie anche all’impegno lodevole dei Parroci che si sono succeduti. La parrocchia dell’Itria, dal 1987 elevata anche a Santuario diocesano, è oggi una realtà viva e vivace, ricca di tante potenzialità e di tanti doni.

E durante il suo servizio all’Itria, P. Gariboli ha posto pure le basi e tutte le premesse per la nascita come Comunità autonoma di quel-la che adesso è pure una delle Parrocchie più vivaci e meglio organizzate di Favara, cioè la Parrocchia dei Ss Apostoli Pietro e Paolo, eretta canonicamente il 1° ottobre 1972. Nata con territorio e fedeli quasi esclusivamente

della Parrocchia dell’Itria, oggi nell’articolazio-ne dei suoi Gruppi, nella tensione spirituale dei suoi Catechisti, nella ricchezza delle sue molteplici energie, così come l’Itria, registra la presenza di un buon numero di laici che sta compiendo un serio cammino di maturazio-ne nella fede.

P. Gariboli ha lasciato l’Itria il 1° ottobre 1973, quando è stato trasferito nella Chiesa Madre, dove per un altro ventennio , cioè sino al settembre 1993, ha svolto il suo servi-zio con zelo e fedeltà. I 20 anni di servizio alla Chiesa Madre di Favara, come Parroco-Arci-prete e quasi sempre come Vicario Foraneo, sono stati anni di grande impegno e sacrificio, specialmente nel primo decennio, per il tra-vaglio della contestazione che non ha rispar-miato la Comunità Eccesiale e che ha portato Favara alla ribalta della cronaca nazionale.

P. Gariboli, in quegli anno difficili, ha dato prova di equilibrio ed ha lasciato esempio di dedizione al ministero sacerdotale, con senso di distacco dai beni materiali, facendosi sempre tutto a tutti, con disponibilità alla co-munione ed alla fraternità sacerdotale. Il suo costante buon umore ed il suo afflato umano lo hanno reso popolare e messo in sintonia con il popolo. La sua sponta-neità di linguaggio lo portava naturalmente ad evitare l’ ec-clesialese, che così come il po-litichese è quel linguaggio del dire e del non dire, e che non comunica mai valori e scelte di vita. Lui non hai mai usato l’ecclesialese. La fede non ha mai nascosto in lui l’uomo, con le sue fragilità. Nulla della clas-sica unzione ecclesiastica. Per

questa sua spontaneità e franchezza, Favara lo ha amato e seguito con affetto.

E Dio, che si serve di ogni legno per fare del fuoco, si è servito di lui, come pure delle nostre diverse sensibilità e dei nostri differen-ti punti di vista, talvolta affiorati nelle riunioni di presbiterio, per realizzare un suo interven-to di grazia a Favara, spesso destinataria di messaggi comunitari che hanno sicuramente inciso nel tessuto sociale.

Favara deve tanto a P. Gariboli. Con lui scompare un pezzo significativo di storia, che per non pochi tratti, abbiamo scritto e vissu-to assieme, nei ruoli diversi in cui la Provvi-denza ci ha posto.

Diego Acquisto

ricordo di mons.Calogero Gariboli

Presenti tutti i familiari e qualche persona amica, il Parroco – che era venuto tante altre volte a visitare il nonno ammalato – aveva am-ministrato il sacramento dell’“olio santo”. Ave-va pregato e fatto pregare i presenti, e prima di andarsene, aveva esortato gli intimi a non lasciare solo il moribondo e sussurrare le pre-ghiere note anche a lui, in modo da prepararlo ad incontrare il Redentore.

La nipotina Irene (10 anni) è rimasta al ca-pezzale. La sua piccola mano su quella del nonno. Le è accanto la mamma che la esorta a lasciare la stanza ed andare a letto. Irene non si muove e non risponde. Continua a osservare il volto del nonno: occhi chiusi, naso affilato, un pallore diffuso che lo rende diafano. È il respiro pesante che la fa trasalire. L’assoluta immobi-lità delle membra, le fa pensare che il nonno, per l’ultimo viaggio, stia mettendo le ali e non abbia bisogno delle gambe. «Nonno, sono qui, sono Irene, ti voglio bene, non aver paura, non ti lascio». Sussurra all’orecchio dell’amatissimo nonno, mentre continua a stringergli le dita della mano immobile, che va sempre più

perdendo calore.Passano le ore. La piccola Irene è sempre al

capezzale del nonno. In tarda serata, il vecchio, che “ha pazientato” due anni a gestire un tumo-re maligno e capriccioso, esala l’ultimo respiro.

La nipotina, aspettava questo momento. Vo-leva essere lei a raccogliere quell’ultimo respiro per custodirlo per sempre nel suo cuore e nella memoria.

Al funerale Irene vuole essere presente. Sta accanto alla mamma che piange singhiozzan-do, lei la guarda e lacrima senza piangere.

Al ritorno dal funerale, la mamma domanda alla piccola, perché durante l’agonia del nonno non aveva cessato di tenergli la mano: «pensa-vo che potesse avere paura» risponde.

Alla messa del trigesimo, il parroco, che era stato informato del comportamento, tenuto dalla fanciulla durante l’agonia, invita la piccola a dare la sua testimonianza dinanzi all’assem-blea: «guardando il nonno, mi ricordavo che Gesù, nell’orto degli ulivi, aveva avuto paura e si alzava per dire agli apostoli di non lasciarlo solo e pregare con lui». (Piresse)

Assistenza a ben morire

foto tornatore

Page 7: L'Amico del Popolo

Vita Ecclesiale �L’Amico del Popolo9 Novembre 2008

a cura di Gino FaragoneDedicazione della basilica lateranenseEsco dalla Chiesa: chissà che non incontri Cristo!

«Non fate

della casa

del Padre mio

un mercato!»

la Parola

Church League: le parrocchie scendono in campoFavara La pastorale giovanile organizza torneo interparrocchiale

dossier statistiCo Caritas-migrantes

La paura non è realismo

Se la Chiesa è semplice-mente una bella e monumen-tale struttura, fatta di pietre, non è detto che garantisca l’incontro con il Dio vivente. Sarà necessario incontrarlo prima nelle strade polverose di questo mondo, confuso tra i tanti volti anonimi di gente affamata, assetata di giustizia, calpestata, rifiutata. Se lo ab-biamo riconosciuto fuori, se ci siamo fermati a soccorrer-lo, se abbiamo preso a cuore la sua condizione miserevole, avremo la sorpresa e la gioia di rivederlo e di riconoscerlo all’interno di un tempio, pron-to ad accoglierci e ad ascoltare le nostre richieste. Dio, prima lo incontriamo sotto la volta celeste, poi in uno spazio limi-tato, il tempio, “luogo della sua dimora”. Sì, Dio ha deciso di stare sempre con gli uomini, di

fissare la sua dimora in mezzo al suo popolo. Dio sta dove lo li lascia entrare.

La festività odierna della dedicazione della Basilica di San Giovanni in Laterano, chiesa cattedrale di Roma, ci permette di riflettere sul senso del Tempio, come luogo pri-vilegiato della presenza del Si-gnore, luogo di convocazione dell’assemblea santa, luogo che favorisce l’ascolto della Parola di Dio, la celebrazione dell’eu-carestia e la preghiera comu-nitaria. Cogliamo l’occasione per esprimere anche la nostra comunione con il Papa, chia-mato a guidare i credenti nella fede e a sostenerli nella carità. Il tempio è figura del Cristo, il segno nuovo per incontrare e adorare il Padre. Ma non biso-gna dimenticare che la Chiesa

vera è fatta da persone, “pietre vive” radunate e fondate dal Risorto, pietra angolare.

Il nuovo lezionario presen-ta come prima lettura ( Ez 47, 1-2.8-12 ) l’ultima grande visione del profeta Ezechiele, riguardante il Tempio nella città santa. Dal santuario sgor-gano acque che assicurano vita e guarigione dovunque arrivano, trasformano anche le acque più sterili in fiumi ri-gogliosi e pieni di pesci: «Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il torrente, vivrà: il pesce vi sarà abbon-dantissimo, perché dove giun-gono quelle acque, risanano, e là dove giungerà il torrente tutto rivivrà» Questa effusio-ne e abbondanza di acque ri-chiamano la pagina genesiaca della descrizione del paradi-

so, saranno riprese dal libro dell’Apocalisse e trovano un riscontro nel salmo 1 dove lo stesso effetto viene detto del-l’uomo che confida nel Signore e si pone in ascolto della parola di Dio. Gli alberi che crescono lungo la riva del fiume sono l’immagine del nuovo popolo di Dio, fecondato dall’acqua che sgorga dal santuario.

Al tempo di Gesù, il Tempio non appare come sorgente di acqua viva, luogo dove agi-sce lo Spirito, per trasformare i credenti, rappresenta una grandezza religiosa, centro della vita socio-politica del giudaismo. Sta qui la ragione del gesto provocatorio, vio-lento, scandaloso e urtante di Gesù, narrato nel testo del vangelo ( Gv 2,13-22 ): «Por-tate via di qui queste cose e

non fate della casa del Padre mio un mercato!». Egli non si rassegna a vedere il dono fatto da Dio all’uomo trasfor-mato in un luogo di mercato e illeciti traffici. Si ricorderà che questo evento dal quarto evangelista non è collocato alla conclusione del ministero pubblico di Gesù, ma proprio all’inizio, come primo segno di una svolta per un radicale cambiamento, un gesto pro-grammatico per inquadrare la sua futura missione, come già annunciato dal profeta Mala-chia: “Il Signore entrerà subito nel suo tempio…e purificherà i figli di Levi” ( 3,1ss ). Anche oggi si rischia di usare oggetti, luoghi come elementi magi-ci, di profanare il luogo santo con elementi estranei al culto da rendere a Dio “in spirito e verità”.

Agenda dell’Arcivescovo sabato 8 novembre

11.00 Favara - Seminario CelebralaMessaperilmovimento apostolicociechi17.30 Campobello Licata Concludelamissionepopolare

domenica 9 novembre

10.30 Poto Empedocle IncontralacomunitàdelCarmine19.00 Agrigento Incontralacomunitàdellaparr.S.PioX

mardetì 11 novembre

16.30 Agrigento - Ospedale CelebraunaMessa peridefuntidelpersonale

venerdì 14 novembre

18.30 Agrigento PressolìisitutoS.Annapartecipaal ConvegnoMigrantesorganizzatodalla Caritas18.00 Calamonaci - Chiesa Madre Incontralacomunitàparrocchiale

La passione sportiva si accen-de: tutto pronto a Favara per il campionato interparrocchiale di calcio organizzato dalla Con-sulta di pastorale giovanile. Dal-l’otto novembre partirà la Chur-ch League, il mega evento che metterà di fronte le formazioni di gruppi giovanili e parrocchie della città. Trenta partite, un centinaio di giovani atleti in gara, quattro mesi di torneo, avvincenti play off, emo-zioni fino alla conclusiva Finalissima. Mu-scoli in movimento per allenare l’amicizia e in campo tanto sano agonismo e diverti-mento. Le appassionanti partite diventano

così una festa per tutti. Il torneo si svolgerà al campetto “Club Fa-vara” da Michela Bellavia vicino alla stadio comunale. Alla Chur-ch League partecipano: Giovanni Paolo II (Madrice e Madonna del Transito), San Calogero, Madon-na dell’Itria, Africa Team (squa-dra di giovani immigrati), Luna Nuova (Madonna delle Grazie),

San Giuseppe Artigiano, Gi.Fra (gioventù francescana), Madonna del Carmine. Nella foto il logo della Church League: nove croci unite tra loro a simboleggiare la condivisione tra le comunita’ parrocchiali di Favara.

Salvatore Fazio

Gli immigrati in Italia si aggirano tra i 3,5 e i 4 milioni con un’incidenza pari al 6,7%, a seconda che si considerino i soli residenti o l’insieme delle presenze regolari. È quanto emerge dalla XVIII edizione del Dossier statistico immigrazione Cari-tas-Migrantes presentato il 30 ottobre a Roma e in contemporanea in diverse città italiane. Al volume di 512 pagine hanno collaborato diversi studiosi.

Alcuni dati. La prima collettività, raddoppiata in due anni, è quella romena (625 mila residenti ma se ne stimano 1 milione) seguita da quella alba-nese (402 mila) e marocchina (366 mila). Più della metà degli stranieri è residente in Italia da oltre 5 anni. La maggiore presenza, con oltre 2 milioni di persone si registra nel Nord Italia. Nel periodo 2005-2007 sono state presentate circa 1 milione e 500 mila domande di assunzione di lavoratori stranieri da parte delle aziende e delle famiglie ita-liane: 741 mila nel 2007. Nello stesso anno si può ipotizzare la presenza di almeno mezzo milione di persone già insediate in Italia e inserite nel merca-to del lavoro nero (e a volte sprovviste di permes-so di soggiorno), “il che solleva la necessità di una più efficace gestione del mercato occupazionale”. I curatori del volume evidenziano che tra gli im-migrati è “enormemente” diffuso il mercato del lavoro nero, non solo presso le famiglie ma anche nelle aziende, con “un’ampiezza sconosciuta negli

altri Paesi industrializzati”. La massima concentra-zione di lavoratori immigrati, pari ai due terzi del totale, si rileva nel Nord. A Brescia è nato all’estero 1 lavoratore ogni 5 occupati; a Mantova, Lodi e Bergamo 1 su 6; a Milano 1 su 7; In Lombardia i nuovi assunti quasi per la metà (45,6%) sono nati all’estero. Gli immigrati titolari di un’impresa sono 165.114: nell’85% dei casi sono aziende costituite dal 2000 in poi e sono concentrate soprattutto nell’edilizia (39,1%) e nel commercio (35,0). Gli immigrati residenti in Italia sono una popolazione giovane: l’80% ha meno di 45 anni. Nel 2007 sono nati nel nostro Paese 64 mila bambini da entrambi i genitori stranieri. In totale i minori sono 767.060 dei quali 457.345 nati in Italia e “stranieri solo giuridicamente”. Il tasso di fecondità delle donne straniere è in grado di assicurare il ricambio della popolazione (2,51 figli per donna), a differenza di quanto avviene tra le italiane (1,26 figli in media). Nel 2006 il 10% dei matrimoni celebrati in Italia ha riguardato coppie miste. Secondo i dati, il 10% degli immigrati sono proprietari di case: nel 2007 hanno acquistato 120 mila immobili. Essi parlano più di 150 lingue, fonte di cultura e anche di scam-bi commerciali mentre sono 146 le testate in lin-gua, tra giornali e testate radiotelevisive, con circa 800 operatori.

Quale futuro? “Credo che ci si debba impe-gnare perché la gente valuti con oggettività la si-tuazione, non nascondendo i pericoli ma neppure ingigantendoli. Soprattutto aiutando a comporre correttamente accoglienza e legalità, che insieme generano sicurezza”, ha detto mons. Giuseppe Merisi, presidente di Caritas Italiana, commen-tando i dati del Dossier. Per mons. Merisi, occorre “guardare avanti con perspicacia, lungo le strade del futuro con realismo e speranza”, “senza falsi ottimismi e senza allarmismi inutili”. “L’emergenza preme - ha aggiunto - e l’emergenza va affronta-ta con coraggio e senza paura dell’impopolarità”. Mons. Piergiorgio Saviola, direttore generale della Fondazione Migrantes, dopo aver ricordato l’emi-grazione degli italiani all’estero, ha invitato a “non essere un Paese immemore e a fare frutto delle in-

dicazioni che ci vengono da un secolo e mezzo di esperienza come immigrati noi stessi. La questione non è di trascurare la legalità - richiesta mai da noi avanzata - ma di non abdicare all’accoglienza e al rispetto del-lo straniero”. Per Caritas e Mi-grantes, il futuro dell’Italia “non è realisticamente immaginabile senza gli immigrati”.

Il banco di prova. Nel giu-dicare gli addebiti giudiziari nei confronti degli immigrati, secondo Caritas e Migrantes - che hanno anche curato due recenti pubblicazioni sulla Ro-mania e sull’Albania - il doveroso contrasto della devianza “non deve portare a equiparare immi-grazione e criminalità”. Le statistiche criminali, utilizzate in maniera “impropria - ha detto il coor-dinatore del Dossier, Franco Pittau - rischiano di trasformare un grande fatto sociale come l’im-migrazione in un fenomeno delinquenziale. Nel Dossier è stato sempre ribadito che la devianza è qualcosa di estremamente grave e che vi è implicato un numero elevato di cittadini stranieri, senza però cadere in conclusioni infondate”. Il numero degli immigrati e il rit-mo della loro crescita - ha spiegato Pittau - “impongono che le procedure burocratiche per il soggiorno siano più agibili”. Attual-mente i termini di legge costituiscono un “diritto di carta” e, “non essendo rispettati, sono di grave pregiudizio nell’educazione alla legalità e nel perseguimento di una stra-tegia concreta di accoglienza”. Espressio-ni del tipo “tolleranza zero” - si legge nella presentazione del volume - sono “più che abusate nel nostro Paese in cui l’inerzia del-l’azione politica ha creato pericolose derive sociali”: sarebbe “preferibile” parlare di “le-galità, di impegno rigoroso per fare osser-vare le leggi e di senso di giustizia solidarie-

tà nella loro formulazione”. Il “pacchetto-sicurezza non esaurisce le politiche migratorie e neppure ne è la parte rilevante. Vi sono aspetti importanti re-lativi al lavoro e all’integrazione sui quali da tempo segniamo il passo, ripetendo impostazioni incon-cludenti”. È nell’ambito delle politiche d’integra-zione “il banco di prova” per un Paese chiamato ad affrontare il tema delle migrazioni”.

Don Gerlando è il nuovo direttore dell’Ufficio di

pastorale giovanileDon Gerlan-

do Montana Lampo, è stato chiamato dal-l’Arcivescovo, mons. Francesco Montenegro, a dirigere l’ufficio diocesano di Pa-storale giovanile

di Agrigento. Prende il posto di don Enzo Sazio no-

minato nelle scorse settimane direttore dell’ufficio liturgico.

“Sono certo – dice don Enzo Sazio - che farà molto bene, per l’ esperienza di lavoro diretto con i giovani di Favara, per la competenza e le capacità che ha, per la lunga consuetudine e amicizia che l’ha legato al Ufficio di Pstorale Gio-vanile. L’attendono compiti impegnativi, ma so che potrà contare sulla collabora-zione e l’amicizia dell’equipe diocesana. Colgo l’occasione per ringraziare quanti nel nel cammino fatto insieme in questi anni mi hanno collaborato e sostenuto. Sento di incoraggiare tutti e ciascuno nel continuare a credere e a lavorare per i giovani”

Page 8: L'Amico del Popolo

� L’Amico del Popolo9 Novembre 2008Attualità

diario multimedi@le«Imputato Dio,

si presenti in Tribunale!»Caro diario,è vero, purtroppo: ci sono sempre in giro “schiffarati”

che le studiano proprio tutte, anche di quelle che di più cretine e ridicole non ce ne sono, pur di ritagliarsi qual-che rimasuglio di sovraesposizione mediatica anche a co-sto di farsi prendere a pernacchie: come un senatore del Nebraska, Usa, tale Ernie Chambers, in carica da 38 anni (una vita per una poltrona: mica sarà d’origine italiana?) che, nel 2007, aveva denunciato nientepopodimeno che il Padreterno presso un Tribunale locale.

Secondo il tizio, 71 anni, (e definito da molti “l’uomo di colore più arrabbiato di tutto lo Stato”: ma forse, vista l’età avanzata, è solo una mera questione di arterie), Dio, con la complicità di tutti i suoi seguaci (peraltro non chiamati in correità dinanzi al giudice: sai le udienze fino all’Apocalis-se), sarebbe responsabile “delle continue minacce terrori-stiche, con conseguenti danni per milioni e milioni di per-sone in tutto il mondo”; minacce la cui credibilità sarebbe avallata, secondo Chambers, anche “dalla storia personale di Dio” (di cosa abbia voluto blaterare costui è un mistero: ma sarà perché Dio, come al solito, per i Suoi detrattori, è sempre l’unico responsabile di tutto il male del mondo; del bene, invece, è sempre artefice il genere umano: e le prove di questo benessere, si sa, ce le abbiamo tutte, ogni giorno, dinanzi agli occhi).

Nella denuncia, il tizio aveva attribuito a Dio anche la responsabilità di “terremoti, uragani, guerre e nascite di bimbi con malformazioni” (le solite fesserie più vecchie del cucco, e quindi la scienza deviata, la malvagità del ge-nere umano e la bioetica senza etica non c’entrerebbero un tubo: ma siamo proprio sicuri che sia così?). Dio, “dul-cis in fundo”, è pure accusato di aver “distribuito, in forma scritta, documenti che servono a trasmettere paura, ansia, terrore e incertezza, al fine di ottenere obbedienza” da parte degli uomini. Chambers ha spiegato d’aver denun-ciato Dio per dimostrare che “tutti possono avere accesso a una Corte, indipendentemente dal fatto se siano ricchi o poveri” (ma che c’entra? è tutto scemo?) e per sottolineare che “ognuno può essere citato in giudizio” (pure Dio, quin-di: non ci avevamo mai pensato). Il suo obiettivo, ottenere dai giudici una diffida per intimare a Dio d’interrompere ogni genere di “minaccia” sul mondo (ma t’immagini, caro diario, il Padreterno messo in crisi dal delirio mediatico di un cretino e dalle eventuali minacce d’un Tribunale?).

Notizia di qualche giorno fa, comunque, è che la causa non avrà alcun seguito; e non tanto per il ragionevole ti-more che l’Onnipotente, prima o poi, possa perdere pure Lui la pazienza (e lì sarebbero veramente guai, altro che le provocazioni di qualche disturbato mortale) ma, pensa un po’,soltanto perché “non è stato possibile reperire un in-dirizzo ufficiale di Dio” cui notificare all’Imputato l’avvio della causa nei Suoi confronti, visto che il giudice Marlon Polk si è appellato a una legge secondo cui chi avvia un procedimento giudiziario deve avere l’indirizzo della per-sona chiamata a difendersi in aula.

Chambers, però, non s’è dato per vinto, ed anzi si è det-to soddisfatto della decisione del giudice. “La Corte”, ha dichiarato, “ha ammesso l’esistenza di Dio” (bontà loro) “e la conseguenza di questa decisione è che viene ricono-sciuta l’onniscienza di Dio. Quindi, se è vero che sa tutto, deve anche essere a conoscenza di questa causa”, per cui non c’è bisogno di notificargli la citazione. Roba da mani-comio, caro diario.

In ogni caso, e nella speranza che vi venga ricoverato subito, al tizio la Corte ha concesso appena 30 giorni per fare appello: proprio niente, poveraccio, rispetto a tutto il tempo che ha il Padreterno per mandargli, prima o poi, un atto di citazione dinanzi al Tribunale di Dio. E saprà sempre, caro diario, dove, come e quando notificarglielo.

Nuccio Mula

Storia� L’inutile strage

a� 90 anni dalla fine della «grande guerra»A novant’anni dalla sua conclusione,

il 4 novembre torniamo a fare me-moria, più che della vittoria, della fine della “inutile strage”, come l’aveva pro-feticamente marchiata papa Benedetto XV, nell’appello rivolto alle potenze bel-ligeranti il 1° agosto del 1917, mentre i contrapposti fronti di guerra, in tutta Europa, si erano trasformati in orrendi carnai, dove il volto dei combattenti gia-ceva sfigurato dalla violenza.

Già da tempo ci siamo disintossicati dalla retorica imposta agli italiani dal Regime fa-scista che si era impadronito delle esasperate istanze del Nazionalismo che aveva condot-to sulle trincee del Carso milioni di soldati strappati dalle loro famiglie, sottratti al loro lavoro, in un turbinio di pensieri e di tensio-ni che modificherà profondamente l’identità storica e culturale della Nazione. E 600 mila non tornarono più alle loro case.

Tutto questo non impedisce, allora e oggi, di cogliere quel sentimento forte (spesso, purtroppo, misconosciuto) di appartenenza alla “terra dei padri”, invocato, senza vergo-gnarsene, come “amore alla Patria”.

Tutto questo non impedisce, anzi lo esige come dovere, il riconoscimento della dedi-zione - anche eroica - che ha spinto masse di combattenti a battersi con tanta violenza, spesso mal guidati da generali che neppure il mestiere della guerra conoscevano.

Torneremo a rendere omaggio, in pre-ghiera, alle tombe dei cimiteri di guerra e ai monumenti che ricordano le vittime delle ideologie, che hanno avuto (ed hanno) l’arro-ganza di forgiare mondi nuovi, non secondo giustizia e verità, ma assecondando il fascino perverso che animò i costruttori della prima Babele.

Devastazione e morte, dolore e umiliazio-ne cui, drammaticamente, si imposero come

risposta alla grande tragedia, le ideologie to-talitarie del Comunismo sovietico e del Na-zifascismo.

E fu di nuovo “guerra mondiale”.Ora ai popoli d’Europa è data la respon-

sabilità di vi vere in pace operosa i giorni di questo nuovo millennio appena iniziato. Ma tutto potrebbe di nuovo riprecipitare nel ba-ratro, se venisse meno quella fiducia che solo può alimentarsi attingendo alle antiche radi-ci. Ciascuno è chiamato ad essere costruttore di pace; anche coloro che la pace devono di-fendere opponendosi con la forza delle armi a chi scatena la violenza della guerra (anche la violenza del terrorismo), in obbedienza al progetto di pace che la Nazione persegue e promuove ricorrendo ancor più alle risorse forti del dialogo e della solidarietà, collabo-rando, senza machiavellismi, con le ragioni più alte degli organismi internazionali.

Piero Altieri

Si è giocato in un silenzio irreale l’atte-sa gara tra la capolista Agroericino ed il fanalino di coda Akragas, all’Esseneto di Agrigento, che si è disputata a porte chiu-se, per la mancata concessione dell’agibilità da parte dell’autorità proposte. Nonostan-te ciò le due compagini hanno dato vita ad una buona gara, con capovolgimenti di fronte repentini, che potevano dare la vittoria ora all’una, ora altra squadra. Mag-giori possibilità ha avuto l’ Akragas che ha mancato due irrepetibili occasioni da gol davanti al portiere ospite.

Un punto d’oro per i bianco azzurri che muovono la classifica, in attesa che muta-no gli eventi, sia sul piano dei risultati che su quello tecnico. Giornata tutto sommato favorevole per le agrigentine, che vanno tutte a punti fatta eccezione per il Favara, battuta di misura dal Bagheria di Mimmo Bellomo. Bella impresa del Ribera che vin-ce in casa con il forte Villabate e del Kama-rat che espugna il campo di Castelvetrano. Pareggio a suon di gol tra Licata e Gatto-pardo, che al Dino Lotta hanno dato vita ad una partita interessante, sempre aperta a qualsiasi risultato. Il rammarico dei pa-droni dei padroni di casa, non tanto per il pareggio in extremis, ma per la crisi socie-taria, che aleggia a Licata.

Nel campionato di calcio di Promozio-

ne, girone A, larga vittoria del Raffadali, la più accreditata delle agrigentine a vincere questo campionato, che si impone in casa al Fulgatore con il risultato tennistico 6-1. La squadra di Longo mantiene immutato il distacco, tre punti dalla vetta , attualmente

occupata da Alcamo e Marsala. Pareggi per Cianciana, Sciacca, e Canicattì, mentre perde di misura il Pro Favara con il forte Valderice per 2-3.

Salvatore Sciascia

Panorama Calcistico

riSULta�ti E CLa�SSiFiCa� Ca�LCio DiLEtta�NtiStiCo

ECCELLENZA GIR. A ECCELLENZA A PROMOZIONE GIR.A

AKRAGAS - AGROERICINO 0-0MONREALE - CAMPOBELLO 1-0CARINI - MAZARA 0-0BAGHERIA - FAVARA 2-1FOLGORE - KAMARAT 0-2LICATA - GATTOPARDO 2-2MARSALA - PARMONVAL 0-1RIBERA - VILLABATE 3-2

P P

Agroericino 18 Atl. Alcamo 19Mazara 1946 17 Sc Marsala 18Licata 15 Valderice 18Kamarat 13 Sancataldese 16Ribera 13 Raffadali 16S. Villabate 12 Castellammare 14Campobello 12 Fulgatore 12C. Bagheria 11 Canicattì 12

PROMOZIONE GIR. AALCAMO - RACALMUTO 2-1BUSETO - CANICATTI’ 1-1CAMPOBELLO - CASTELLAMMARE 1-1CIANCIANA_2000 - SCIACCA 0-0FAVIGNANA - SANCATALDESE 3-2PETR.MARSALA - MARSALA_1912 1-4PRO FAVARA - VALDERICE 2-3RAFFADALI - FULGATORE 3-1

Gattopardo 11 Campobello 11Parmonval 11 Sciacca 10Marsala A.S.D. 10 M.Favignana 9Forgore S. 8 Cianciana 7Carini 7 Racalmuto 5A. Monreale 7 Pro Favara 4Favara 6 Petrosino Marsala 3Akragas 3 Buseto 3

“Ero stato quattro cinque giorni senza mangiare, senza dormire né bere. Il giorno che fui ferito bevvi non so quant’ac-qua; non chiedevo un bicchiere splendente, ma ho bevuto in ga-vette luride…”

Questo il contenuto di una delle lettere che dal 4 al 14 No-vembre il Liceo classico “Em-pedocle” di Agrigento espone nella mostra documentaria “Da Caporetto a Vittorio Veneto”, un viaggio nel periodo stori-co contraddistinto dalla prima guerra mondiale, catapultando il pubblico, nella realtà di una famiglia siciliana lacerata dalla Grande guerra, che affronta in prima persona le tumultuose vicissitudini dell’esercito italiano, composto prevalentemente da giovani che indossavano la divisa consci di affrontare un sentiero verso la morte. La storia di una vittoria politica, seppur parziale, ma una stroncante sconfitta sul piano sociale, perché gli Italia-ni ereditarono solo distruzione

e miseria. Attraverso lettere, fotografie, materiale inedito, fornito dalla famiglia Monreale, si scava negli animi della gente protagonista di quella guerra. Le parole, e forse in maniera più in-cisiva le immagini, rispecchiano un’indomabile sofferenza che in quegli anni accomunava tutti, ricchi e poveri, uomini e don-ne. Il dolore spinge ad incitare i soldati, a spronarli nella loro missione, perché solo versando il sangue per la patria potranno ritenersi veri eroi. I documenti esposti, benché appartengano ad una sola famiglia, estendono universalmente a tutta la società moderna il sentimento di pro-fonda angoscia. Foto truculente, lettere che sembrano poesie su cui piangere: questi gli strumen-ti di cui si sono serviti gli alunni per realizzare questa mostra dalle linee tristi, ma che dipinge la cruda realtà di quel tempo. Un’equipe formata da quattordi-ci alunni (vedi foto) e dai docenti di storia del liceo, hanno allestito

questa mo-stra cui vero obiettivo è far conoscere la guerra per apprezzare la pace.

Il pubbli-co può infatti cogliere più da vicino le nefandezze di quella “inutile strage”, in cui dieci milioni di uomini persero la vita. «É stato un lavoro emo-zionante, perché leggere le pa-role di un giovane soldato con-dannato a patire il gelo e la fame o quelle di una madre che trema vedendo demolita la speranza di poter riabbracciare il pro-prio figlio induce ad un’amara riflessione. Ed il confronto con gli altri ragazzi è stato utile per apprezzare l’inestimabile valore della pace». Queste le parole con cui uno degli studenti ha defini-to la sua esperienza, formativa

sul piano culturale, struggente sul piano sensibile, perché la testimonianza documentata di coloro che hanno visto la loro dignità calpestata dalla guerra lascia sicuramente un’impronta indelebile nell’animo di ognuno di noi. Una mostra dunque non passiva rassegna di let-tere e fotografie, ma simbolo di un primo passo verso la custodia del valore della pace alla stregua di un tesoro pre-zioso.

Giulia Maria D’Amico

LiCEo CLa�SSiCo EmpEDoCLE Mostra -documentaria “Da Caporetto a Vittorio Veneto”

Conoscere la guerra per apprezzare la pace