L'Amico del Popolo

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N. 8 del 1 Marzo 2009 Esce il Venerdì - Euro 1,00 Anno 54 C.da San Benedetto - tel. 0922 405901 Zona Industriale - Agrigento C.da San Benedetto - tel. 0922 405901 Zona Industriale - Agrigento Così come per il Pontificale dell’Immacolata anche per la Solennità di San Gerlando, patrono della Città di Agrigento e dell’Arcidiocesi, celebrata il 26 e non il 25 perchè le Sacre Ceneri, Mons. Montenegro è ritornato, nell’Omelia della Ce- lebrazione, a riflettere sulla città come luogo di testimonianza cristiana. Ai convenuti, da tutta la provincia, l’Arcivescovo ha rivolto le parole che riportiamo integralmente di seguito: «Il nome Gerlando nell’antico tedesco significa combat- tente, conquistatore di terra. Lo pensò così il santo Protettore della nostra città e della Diocesi: credente, caritatevole, apo- stolo intraprendente, fedele, creatore e alimentatore di vita, coraggioso, infaticabile, zelante, temerario nell’alimentare la fede in questa terra occupata da uomini di fede diversa. La sua opera più grande fu l’azione di evangelizzazione per far accrescere la fede in quei pochissimi cristiani che trovò ad Agrigento, città offesa e mortificata dalle dominazioni arabe, ed ad offrirla a chi seguiva altre credenze. continua a pag. 8 6 Seminario in festa per i nuovi lettori e accoliti Ato Idrico: uan storia di malamministrazione 2 di Franco Pullara Tanta acqua per le città 4 3 Gli studenti del Leonardo incontrano Pino Maniaci di Marilisa Della Monica di Enzo Minio di Valerio Landri VITA ECCLESIALE PROVINCIA CULTURA CITTA’ Gerlando testimone di fiducia L’attuale festa di San Gerlando cade in fortuna- ta coincidenza con l’anno che la Chiesa intera dedi- ca a San Paolo. È noto che, del santo patrono agrigen- tino, abbiamo pochi dati storici, tuttavia la coinci- denza con l’anno paolino e l’inevitabile confronto con San Paolo, ci permette di mettere a fuoco alcuni aspetti della sua persona- lità ed attività, prima for- se trascurati. Ad esempio, prendiamo in considera- zione la prima preoccupa- zione dell’Apostolo Paolo, una volta formata una comunità. Le sue Lettere ci attestano che continua- mente Paolo «esortava» nella fede i fedeli e che egualmente raccomanda- va la stessa cura pasto- rale a coloro che lasciava a capo delle comunità istituite. Passando a San Gerlando, tra i meriti che la sua medievale biogra- fia enumera, si legge che «non cessava di esortare alla fede cristiana i fede- li» (Legenda Sancti Ger- landi, 21). Le coincidenze tra Paolo e San Gerlando dunque ci sono e il mini- stero del primo può illumi- nare il secondo. Entrambi operatori di conversioni e costruttori di comunità ec- clesiali, sarebbe anche giu- sto interrogarsi sui metodi della loro attività e, in una parola, sulla loro proget- tualità pastorale. Molti studiosi di Paolo, hanno detto che l’Aposto- lo è stato un formatore di comunità cristiane perché ha vissuto la consapevo- lezza dell’origine divina della sua vocazione. Dio, dichiara Paolo, lo ha rite- nuto degno di fiducia per la missione apostolica ed egli non si è mai presentato in nome proprio. Piuttosto ha confidato nella certez- za di dipendere in tutto da Gesù Cristo, e così ha po- tuto affrontare con serena fortezza le difficoltà innu- merevoli della sua attività e le possibili paure del suo compito di testimone del Risorto: Ti basta la mia grazia! In breve, il segre- to di Paolo fu una grande fiducia in Dio e di essa fu anche evangelizzatore. Vincenzo Lombino (continua a pag. 5) SOLENNITÀ DI SAN GERLANDOL’omeliadell’Arcivescovo L’ UNIVERSITÀ AD AGRIGENTO Dopo le polemiche: ridare serenità agli studenti, docenti ed operatori CENTRO STORICO ED IMMIGRATI «Coniugare insieme accoglienza e legalità» Sulla vicenda che ha visto alla ribalda della cronaca lo- cale il Comitato di quartiere San Domenico e la Casa di Accoglienza “San Giuseppe Maria Tomasi” con il Bocco- ne del Povero che operano in via Orfane, circa la presenza degli immigrati nella zona è intervenuto nell’omelia del mercoledì delle ceneri l’Arci- vescovo di Agrigento, Mons. Montenegro. Nell’omelia l’arcivescovo, prendendo spunto dalla li- turgia della parola ha ricor- dato ai presenti che il tempo quaresimale è il tempo del ritorno a Dio. «Questo tem- po è tempo di speranza... convertirsi è girarci dalla parte di Dio, riconoscerlo, contemplare il Suo volto... è voler vivere la fede nel quotidiano, e non solo profes- sarla a e celebrarla». «In questo tempo - ha detto - ci viene proposto dalla chiesa il digiuno, che come dice il Papa, è una “terapia” per cu- rare tutto ciò che impedisce di conformare noi stessi alla volontà di Dio... ci si priva di qualcosa, ma per condividerla con chi ha poco. Senza ricambio... La penitenza quaresimale va sempre coniugata con l’amore...» “Il digiuno quando si fa carità, ci aiuta a prendere coscienza della situazione in cui vivono tanti nostri fratelli, aiuta a pulire il cuore e gli occhi, e perciò a riconoscere il volto di Cristo nel volto di tanti fratelli e sorelle: vicini e lontani, poveri e bisognosi, nudi e senza tetti, malati e forestieri, carcerati e emarginati, ma anche in quello dei vicini: colleghi d’ufficio, coniugi, figli e genitori...». continua a pag.6 In questi giorni il dibattito sul Polo Universitario è stato molto acceso nei toni e spesso ingeneroso, nei confronti di tantissime persone, che in questi dieci anni, hanno lavorato con entusiasmo e ab- negazione, per portare l’Università ad Agrigento. Quello che sembrava un sogno, solo pochi anni fa, oggi è una realtà. Una realtà che a giudicare dal livello della discussione appare sconosciuta ai più. Sembrano che siano passati anni luce, dal- la gestione oculata e lungimirante del Presi- dente Fondatore del CUPA, già Rettore del- l’ateneo palermitano, Prof. Ignazio Melisenda Giambertone, che ha speso con grande parsimo- nia, negli anni di avvio del consorzio, lasciando in eredità un tesoretto, che ha permesso l’esten- dersi e il consolidarsi dei corsi di laurea, duran- te la gestione virtuosa e oserei dire illuminata, del suo successore, attuale Magnifico Rettore Prof. Roberto Lagalla. L’assordante chiasso, inutile e mistificante, getta un’ombra su quello che fino a ieri è stato un punto di riferimento, per tutti gli operatori culturali e un fiore all’occhiello per tutta la provincia di Agrigento. Sembra impossibile immaginare che sia lo stesso consorzio, che ha ospitato Edward Luttwak, con- sulente del Pentagono, ad inaugurare continua a pag.4 Foto Tornatore Amiamo le nostre città!

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LAmico del Popolo, edizione del 1 marzo 2009

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N. 8 del 1 Marzo 2009Esce il Venerdì - Euro 1,00

Anno 54

C.da San Benedetto - tel. 0922 405901 Zona Industriale - Agrigento

C.da San Benedetto - tel. 0922 405901 Zona Industriale - Agrigento

Così come per il Pontificale dell’Immacolata anche per la Solennità di San Gerlando, patrono della Città di Agrigento e dell’Arcidiocesi, celebrata il 26 e non il 25 perchè le Sacre Ceneri, Mons. Montenegro è ritornato, nell’Omelia della Ce-lebrazione, a riflettere sulla città come luogo di testimonianza cristiana. Ai convenuti, da tutta la provincia, l’Arcivescovo ha rivolto le parole che riportiamo integralmente di seguito:

«Il nome Gerlando nell’antico tedesco significa combat-tente, conquistatore di terra. Lo pensò così il santo Protettore della nostra città e della Diocesi: credente, caritatevole, apo-stolo intraprendente, fedele, creatore e alimentatore di vita, coraggioso, infaticabile, zelante, temerario nell’alimentare la fede in questa terra occupata da uomini di fede diversa.

La sua opera più grande fu l’azione di evangelizzazione per far accrescere la fede in quei pochissimi cristiani che trovò ad Agrigento, città offesa e mortificata dalle dominazioni arabe, ed ad offrirla a chi seguiva altre credenze.

continua a pag. 8

6

Seminario in festa per i nuovi lettori e

accoliti

Ato Idrico:uan storia di

malamministrazione

2di Franco Pullara

Tanta acqua per le città

43

Gli studenti del Leonardo incontrano

Pino Maniaci

di Marilisa Della Monica di Enzo Minio di Valerio Landri

Vita ecclesialeProVinciaculturacitta’

Gerlando testimone di fiduciaL’attuale festa di San

Gerlando cade in fortuna-ta coincidenza con l’anno che la Chiesa intera dedi-ca a San Paolo. È noto che, del santo patrono agrigen-tino, abbiamo pochi dati storici, tuttavia la coinci-denza con l’anno paolino e l’inevitabile confronto con San Paolo, ci permette di mettere a fuoco alcuni aspetti della sua persona-lità ed attività, prima for-se trascurati. Ad esempio, prendiamo in considera-zione la prima preoccupa-zione dell’Apostolo Paolo, una volta formata una comunità. Le sue Lettere ci attestano che continua-mente Paolo «esortava» nella fede i fedeli e che egualmente raccomanda-va la stessa cura pasto-rale a coloro che lasciava a capo delle comunità istituite. Passando a San Gerlando, tra i meriti che la sua medievale biogra-fia enumera, si legge che «non cessava di esortare alla fede cristiana i fede-li» (Legenda Sancti Ger-landi, 21). Le coincidenze tra Paolo e San Gerlando dunque ci sono e il mini-stero del primo può illumi-nare il secondo. Entrambi operatori di conversioni e costruttori di comunità ec-clesiali, sarebbe anche giu-sto interrogarsi sui metodi della loro attività e, in una parola, sulla loro proget-tualità pastorale.

Molti studiosi di Paolo, hanno detto che l’Aposto-lo è stato un formatore di comunità cristiane perché ha vissuto la consapevo-lezza dell’origine divina della sua vocazione. Dio, dichiara Paolo, lo ha rite-nuto degno di fiducia per la missione apostolica ed egli non si è mai presentato in nome proprio. Piuttosto ha confidato nella certez-za di dipendere in tutto da Gesù Cristo, e così ha po-tuto affrontare con serena fortezza le difficoltà innu-merevoli della sua attività e le possibili paure del suo compito di testimone del Risorto: Ti basta la mia grazia! In breve, il segre-to di Paolo fu una grande fiducia in Dio e di essa fu anche evangelizzatore.

Vincenzo Lombino(continua a pag. 5)

solennità di san gerlando��L’omelia�dell’Arcivescovo

◆ L’ Università ad agrigento

dopo le polemiche: ridare serenità agli studenti, docenti ed operatori

◆ centro storico ed immigrati

«coniugare insieme accoglienza e legalità»

Sulla vicenda che ha visto alla ribalda della cronaca lo-cale il Comitato di quartiere San Domenico e la Casa di Accoglienza “San Giuseppe Maria Tomasi” con il Bocco-ne del Povero che operano in via Orfane, circa la presenza degli immigrati nella zona è intervenuto nell’omelia del mercoledì delle ceneri l’Arci-vescovo di Agrigento, Mons. Montenegro.

Nell’omelia l’arcivescovo, prendendo spunto dalla li-turgia della parola ha ricor-dato ai presenti che il tempo quaresimale è il tempo del ritorno a Dio. «Questo tem-po è tempo di speranza... convertirsi è girarci dalla parte di Dio, riconoscerlo, contemplare il Suo volto... è voler vivere la fede nel quotidiano, e non solo profes-sarla a e celebrarla». «In questo tempo - ha detto - ci viene proposto dalla chiesa il digiuno, che come dice il Papa, è una “terapia” per cu-rare tutto ciò che impedisce di conformare noi stessi alla volontà di Dio... ci si priva di qualcosa, ma per condividerla con chi ha poco. Senza ricambio... La penitenza quaresimale va sempre coniugata con l’amore...» “Il digiuno quando si fa carità, ci aiuta a prendere coscienza della situazione in cui vivono tanti nostri fratelli, aiuta a pulire il cuore e gli occhi, e perciò a riconoscere il volto di Cristo nel volto di tanti fratelli e sorelle: vicini e lontani, poveri e bisognosi, nudi e senza tetti, malati e forestieri, carcerati e emarginati, ma anche in quello dei vicini: colleghi d’ufficio, coniugi, figli e genitori...».

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In questi giorni il dibattito sul Polo Universitario è stato molto acceso nei toni e spesso ingeneroso, nei confronti di tantissime persone, che in questi dieci anni, hanno lavorato con entusiasmo e ab-negazione, per portare l’Università ad Agrigento. Quello che sembrava un sogno, solo pochi anni fa, oggi è una realtà. Una realtà che a giudicare dal

livello della discussione appare sconosciuta ai più. Sembrano che siano passati anni luce, dal-la gestione oculata e lungimirante del Presi-dente Fondatore del CUPA, già Rettore del-l’ateneo palermitano, Prof. Ignazio Melisenda Giambertone, che ha speso con grande parsimo-nia, negli anni di avvio del consorzio, lasciando in eredità un tesoretto, che ha permesso l’esten-dersi e il consolidarsi dei corsi di laurea, duran-te la gestione virtuosa e oserei dire illuminata, del suo successore, attuale Magnifico Rettore Prof. Roberto Lagalla.

L’assordante chiasso, inutile e mistificante, getta un’ombra su quello che fino a ieri è stato un punto di riferimento, per tutti gli operatori culturali e un fiore all’occhiello per tutta la provincia di Agrigento. Sembra impossibile immaginare che sia lo stesso consorzio, che ha ospitato Edward Luttwak, con-sulente del Pentagono, ad inaugurare

continua a pag.4Foto Tornatore

amiamo le nostre città!

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� L’Amico del Popolo1 Marzo 2009Città

L’assessorato alla Solidarietà sociale, di-retto da Giacomo Daina, ed alla Pubblica Istruzione, guidato da Enza Ierna, hanno realizzato un’iniziativa, in collaborazione con la Scuola Media Pirandello dal titolo “I giovani incontrano gli anziani”.

Lunedì 23 febbraio, si è tenuto il primo incontro presso la Casa di riposo Villa Be-tania a Villaseta a cui farà seguito il 2 mar-zo quello presso la Casa di riposo Zirafa e poi presso le sedi di associazioni di volon-tariato che si occupano degli anziani.

I ragazzi della Media Pirandello mette-ranno in scena la rappresentazione teatra-le “La forza dell’amore” cui temi principali sono l’attenzione verso gli anziani, i biso-gnosi, e coloro i quali vivono il problema dell’emarginazione e della solitudine. Ma i ragazzi non si limiteranno soltanto nella piece teatrale, infatti, allieteranno la gior-nata degli anziani con canti e balli della tradizione siciliana.

I due assessorati, con questa iniziativa,

intendono perseguire l’obiettivo di incul-care, nei ragazzi in età adolescenziale, i valori dell’apertura al mondo circostante ed in particolare della solidarietà.

«L’impegno dei Servizi Sociali del Co-mune per i nostri anziani vuole essere un impegno costante e in diverse direzioni – dichiara l’assesso-re Daina. É di questi giorni il bando per l’assistenza domici-liare agli anziani che vivono da soli, così come continua il ciclo di iniziative a favore di quelli che vivono nelle case di riposo. Aveva-mo organizzato delle iniziative nei mesi di novembre e dicembre e, adesso, abbiamo dato il via a questo miniciclo di rappre-

sentazioni teatrali dei ragazzi delle scuole medie denominata “I giovani incontrano gli anziani”. Vogliamo – conclude Daina - che i nostri anziani non abbiamo l’im-pressione che ci ricordiamo di loro solo in certi periodi come Natale e Pasqua».

Ordinanza sindacale Maggiore vigilanza in centro

Il Sindaco di Agrigento Marco Zambuto ha emanato un apposito atto di indirizzo al Diri-gente della Polizia municipale per realizzare specifici servizi di tutela della popolazione nel centro storico, con particolare riferimento alla zona adiacente Piazza Pirandello, dove è in funzione, nelle ore serali, per iniziativa del-l’associazione “San Giuseppe Maria Tomasi” la mensa “mons. Francesco Fasola” che, su impul-so della Caritas diocesana, assicura un pasto caldo ai bisognosi. Il servizio di vigilanza della zona funzionerà giornalmente dalle ore 18,30 alle 20.

pOlizia Municipale designato il nuovo comandante

Cosimo Antonica è il nuovo comandante del corpo di Polizia Municipale. É, infatti, risultato vincitore del concorso messo a bando per rico-prire tale posto. Antonica non è un volto nuovo per la nostra città. Negli anni scorsi ha rivesti-to il ruolo di comandante della Compagnia dei Carabinieri di Cammarata e di Sciacca. A Pa-lermo, invece, ha comandato la sezione Tutela patrimonio artistico dei Carabinieri.

assessOratO sOlidarietÁ al via l’assistenza domiciliare

É possibile presentare al Comune le doman-de per la richiesta dell’assistenza domiciliare per gli anziani. Il servizio consiste in due ore settimanali per l’aiuto nelle pulizie della casa, nell’igiene della persona, nel lavaggio e nella sti-ratura della biancheria, in cucina e nel disbrigo pratiche.

valle dei teMpli recupero ex scuola rurale

L’edificio che in epoca fascista venne adibi-to a scuola rurale, situato di fronte al museo archeologico di San Nicola ad Agrigento e in pieno parco archeologico, sarà recuperato. Ad annunciarlo è il vice sindaco Massimo Muglia che ha già predisposto una relazione tecnico ed economica sul recupero. La scuola rurale di Agrigento, costruita durante il fascismo, era stata inaugurata nell’ottobre del 1928.

In Breve

Chi è causa del suo male...ato idriCo Storia di malamministrazione

Case di riposo Villa Betania e Zirafa

i giovani incontrano gli anziani

La settimana

L’arrivo degli Ato scopre gli effetti di oltre mezzo seco-

lo di pessima amministrazione della cosa pubblica.

Ai primi appuntamenti con la normalizzazione emerge un pressappochismo e una man-canza di professionalità a dir poco allarmante.

Il passaggio delle competen-ze dai Comuni all’Ato rifiuti ha alzato il velo sul fenomeno del-l’evasione e dell’elusione di pro-porzioni smisurate. Nella sola Agrigento, è stata rilevata meno del 50%, cosiddetta, virtuosa.

E negli altri Comuni il caso cambia, nel bene e nel male, di poco. La quota non pagata dagli evasori e dagli elusori è stata, in passato, integrata con le risorse dei bilanci comunali. Mentre non si è avviata la lotta al feno-meno, che è impopolare. E l’im-popolarità poteva comportare un’emorragia di voti che nes-sun amministratore pubblico ha voluto rischiare. Si è tirato a campare con la copertura della

gerarchia politica. Nel senso che i sindaci non

procedevano ad abbattere l’evasione fiscale con il com-piacimento della deputazione regionale e nazionale. Il po-polo doveva vivere un’appa-rente serenità, tanto i soldi per pagare il servizio si trovavano e si sono trovati facendoci pa-gare oggi i debiti dello Stato accumulati per decenni. Al secondo appuntamento con la normalizzazione, manco a dirlo, il fatto si ripete nella sua scandalosa grandezza. Per anni i sindaci hanno discusso e di-battuto sulla questione dell’af-fidamento del servizio idrico. Prima si è ipotizzato il sistema in house, poi del consorzio per ritornare dopo qualche mese a riparlare di house.

Tre gare sono andate deserte e altrettante volte si è ritoccata la fideiussione. Partorito il ban-do ed effettuata, finalmente, la gara, si è iniziata l’alzata di scu-di da parte dei sindaci contrari

alla privatizzazione dell’acqua. Dopo un tira e molla durato circa un anno, l’ex presidente dell’Ato idrico, Enzo Fontana, preoccupato da una possibile azione milionaria di risarcimen-to danni avanzata dall’azienda aggiudicataria, firma il contrat-to con Girgenti acque nel no-vembre del 2007 (vedi foto so-pra). La firma del contratto ha chiuso la vicenda solo dal punto di vista formale.

Nella sostanza le polemiche sono continuate e hanno rag-giunto la loro punta massima con la prima distribuzione delle bollette. Al momento, solo poco meno della metà dei Comuni ha consegnato le reti idriche inter-ne, mentre la restante parte non consegna e ricorre al Tar. Lune-dì scorso, dopo l’incontro del Cda dell’Ato, è arrivata la doccia

fredda con la dichiarazione del presidente D’Orsi che definisce “fatto con i piedi” il contratto con Girgenti acque.

In realtà, sono le stesse cifre a dargli ragione. Nel piano d’am-bito si prevedono investimen-ti pari a 502,3 milioni di euro, mentre il contributo pubblico ammonta a 108,59 milioni di euro. L’utenza dovrà pagare la differenza di quanto previ-sto dal piano d’ambito, meno i finanziamenti pubblici, per un importo di circa 393,71 mi-lioni di euro. Questo è quanto ha prodotto la politica. Senza aggiungere i cambi di contato-re, le spese per i nuovi allacci, i subentri e il costo di qualsiasi rapporto contrattuale tra i cit-tadini e l’azienda che gestisce il servizio.

Franco Pullara

sale

lo spettacolo politicoSecondo voi dovremmo abi-tuarci alle continue litigate tra i vari esponenti politi-ci? NO! Assolutamente NO! L’errore che abbiamo fatto è stato votarli ma questo non significa che dobbiamo assistere a queste bagarre e spettacolini da “tronisti e corteggiatori” (li program-mi della De Filippi, stanno facendo scuola?). Devono capir che non sono li per bellezza o per passare delle ore, sono li per il benessere della città solo per quello.

scendeil rispetto per l’altroLa nostra città si sta len-tamente trasformando nel crogiuolo di tutte le male-ducazioni. I pedoni che attraversano sulle strisce vengono falciati come biril-li, i semafori rossi vengono oltrepassati senza curarsi che chi ha il verde in quel momento, sta passando; chi possiede un cane lascia le cacche in bella mostra sui marciapiedi causando lo scivolare di chi la calpesta. Insomma stiamo diventan-do un popolo incivile e non degno di lamentarsi se poi si ci comporta così.

Un’iniziativa, protesa ad omaggiare de-gnamente il personaggio di spessore mon-diale da cui trae la propria denominazione ufficiale, sarà organizzata dall’IPIA della nostra città.

In calendario una serie di eventi che culmineranno sabato 7 marzo con il Con-vegno di Fisica Nucleare che si terrà presso l’auditorium della scuola, in occasione del 70° anniversario della consegna del premio Nobel a Enrico Fermi.

I lavori, a cui sono state invitate le autorità politiche, civili e reli-giose della città, e rivolti a tutti coloro siano interessati alle tematiche dell’energia nucleare, saranno preceduti dalla inaugurazione della piazzetta, all’interno della struttura scolastica, e del busto bronzeo dedicati all’illustre fisico italiano. Relatori del convegno i fisici sici-liani, Angelo Pagano, Direttore dell’Istituto Nazionale di Fisica Nu-cleare dell’Università di Catania, che tratterà della figura di Enrico Fermi e Salvatore Lo Nigro, Direttore del Centro Siciliano di Fisica Nucleare, che presenterà l’uso della fisica nucleare come aiuto alla cura della nostra salute.

Enrico Fermi, erroneamente accostato da molti alla bomba ato-mica, fu invece l’inventore della pila atomica che ha permesso, poi, la realizzazione delle prime centrali nucleari a reazione controllata per la produzione di energia. Assieme ai suoi allievi , nel 1934 realiz-zò senza rendersene conto, la prima fissione nucleare della storia .

Per l’occasione, Poste Italiane, tenuto conto della risonanza della manifestazione e della notorietà di Fermi, ha realizzato un annullo filatelico speciale, che sarà apposto, dalle ore 8.00 alle 14.00 della stessa giornata, sulle cartoline commemorative all’uopo predisposte.

Vittorio Pavone e Claudio Gallo

iniziative Istituto Professionale “Fermi”

Un busto per il fisico

Feci di cane sul marciapiede in via Duomo

Un uomo al posto giustoLa nostra Polizia municipale ha, finalmente, un comandante. Anche l’ex Vincenzo Nucera era stato un ufficiale dell’Arma dei carabinieri come lo è ancora Cosimo Antonica, 42 anni di Cosenza, già comandante delle Compagnie di Cammarata e di Sciacca. A sostituire Nucera è arrivato, dunque, un altro appartenente all’Arma.Anche lui ex ufficiale, capitano per l’esattezza. Nucera, a quanto pare, si era fermato al grado di tenente. L’esperienza e la professionalità dimostrata da Cosimo Antonica sul campo in tanti anni di servizio con la gloriosa divisa, lascia-no ben sperare gli agrigentini che potranno avere cosi un uomo sicuramente all’altezza per dirigere un settore delicatissimo. Co-simo Antonica attualmente in servizio presso il Comando regio-nale di Palermo, dovrebbe insediarsi entro pochissimo tempo. L’importante è avere risolto il problema della nomina.

Il resto arriverà, per buona pace di tutti coloro che si attendono una svolta per quanto riguarda determinati servizi come il con-trollo del territorio.Si, il controllo del territorio che è quello che manca soprattutto. Ad Agrigento finora si è andati avanti prendendo di mira sol-tanto gli automobilisti e ignorando completamente gli incivili che gettano la spazzatura a tutte le ore o gli incivili proprietari di cani che imbrattano le strade di escrementi, o gli autisti degli autobus extraurbani che parcheggiano selvaggiamente sulle bre-telle stradali come quella di Fontanelle o coloro che scorazzano o arrecano disturbo alla quiete.Questi comportamenti, purtroppo, è come se non esistessero, almeno per i vigili urbani di Agrigento. L’augurio è che si volti davvero pagina con l’arrivo di un uomo che il mestiere dovrebbe conoscerlo fin troppo bene. Lo aspettiamo. Intanto congratulazioni.

foto Tornatore

di Eugenio Cairone

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Cultura �L’Amico del Popolo1 Marzo 2009

«La mafia è eterna...ma nei fatti non esiste»

Liceo scientifico Leonardo Giornata della legalità

appunti Si terrà presso il salone

delle conferenze dell’Hotel della Valle il 28 febbraio alle ore 9.30 il 13° Con-gresso provinciale AICS dal tema “Promuovere la solidarietà creare lo svi-luppo”.

Il 28 febbraio alle ore 17.00 presso il Centro culturale Pier Paolo Pa-solini verrà presentato il libro “Quando eravamo comunisti. La singolare avventura del partito Co-munista in Sicilia”, di Elio Sanfilippo. Alla presenta-zione parteciperà l’autore.

Il 1 marzo alle ore 17.00 presso la sala consiliare del comune di Sant’Angelo Muxaro verrà presentato il volume di Enzo Russo “Memorie di un traditore”.

Il 1 marzo alle ore 18.00 presso la Casa dell’Acco-glienza “Papa Giovanni” (seminario) di Favara verrà presentata l’opera a cura della Comunità Cri-stiani nel mondo “La Cat-tedrale di Agrigento” con la ricerca e foto inedite di Margherita Riolo.

Il 6 e 7 marzo alle ore 16.00 presso il Grand Ho-tel dei Templi si terrà l’8° Congresso Territoriale della CISL di Agrigento.

La lettera ai GalatiStiamo spigolando dalla lettere di S. Paolo brevi

passaggi attraverso cui tentare di cogliere alcuni fra gli aspetti salienti della teologia dell’apostolo. Imbatten-dosi nella lettera ai Galati si rimane come travolti dalla forza di pensiero e di parola che l’autore usa per cerca-re di recuperare in extremis le comunità della Galazia (Asia Minore) disorientate da predicatori che, subito dopo la sua partenza, proponevano l’adesione ad ‘un altro Vangelo’ imponendo la necessità del passaggio attraverso le opere della Legge prima di poter aderire a Cristo. Paolo entra subito nel cuore della questione e lo fa offrendo(ci) le motivazioni del credere; il motivo dominante è quello del Vangelo, dell’evento Cristo, che ha rivoluzionato i canoni ormai aridi della Legge e del-le sue opere. Paolo, per primo, ha sperimentato che di fronte alla novità di Dio, manifestatasi nel volto di Cri-sto, tutto il resto diventa secondo e non può più deter-minare situazioni vincolanti. Dalla novità del Vangelo inizia il cammino di Dio verso l’uomo (la fedeltà del dono) e quello – altrettanto affascinante – dell’uomo verso Dio (attraverso la fede che opera nella carità). La lettera ai Galati diventa lo specchio di questo pro-cedere e presenta i momenti salienti della vita di fede: la libera iniziativa di Dio, la dimensione profonda della fede, il rapporto con la Legge, la nuova identità di figli (nel Figlio), la libertà e la vita nello Spirito. Un passo dopo l’altro per arrivare a considerare la piena matu-rità cristiana. Uno dei vertici più alti dello scritto Paolo ce lo offre alla fine del secondo capitolo: ‘Sono stato crocifisso con Cristo, non sono più io che vivo ma Cristo vive in me, questa vita che vivo nella carne la vivo nella fede del Figlio di Dio’. Qui siamo di fronte ad uno dei brani di teologia mistica di maggiore intensità di tut-to l’epistolario. Paolo, dal momento della vocazione, si sente abitato dalla presenza del Risorto ed intuisce che credere in Lui non è attribuirgli qualche porzione di intelligenza ma affidargli l’intera esistenza. Qui la de-finizione più forte di fede in Paolo: la consapevolezza che il Vivente ha fatto irruzione nella tua vita e a Lui tu doni fiduciosamente tutto te stesso. Così Paolo e Cri-sto non sono due rette parallele che si guardano a di-stanza ma sono diventate un’unica realtà vivente inne-state così bene l’una nell’altra che diventa impossibile scinderle. Quando ci si interroga sul perché dell’ardore di Paolo, della sua ‘frenesia’ nell’annuncio del Vangelo, della sua resistenza di fronte alle difficoltà… la rispo-sta la si può trovare solo nell’evidenza di un uomo che, ormai pieno di un Altro, ne fa il motivo stesso della sua vita. La frase/capolavoro di Paolo arriva fino a noi oggi: «Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me». È molto bella – saremmo tentati di dire! – ma è esatta-mente questa l’impostazione della nostra vita di fede? Oppure abbiamo ridotto la nostra vita ad un continuo oscillare altalenante tra qualche momento di emo-zione spirituale e tanti altri di abissale lontananza dal Risorto? Forse ci scoraggia la radicalità di Paolo per-ché pensiamo che una volta affidata al Signore tutta la nostra vita ‘perdiamo’ spazi di autonomia e andiamo incontro all’ignoto, oppure crediamo che Lui ci privi di qualcosa. L’esperienza dei santi – cristallizzata an-che nei documenti del Concilio – ci insegna che solo in Cristo siamo veramente uomini e che tutto ciò che accompagna la nostra umanità (libertà, gioia, sogni…) in Lui pienamente si realizza. L’anno dell’ascolto ci sta consentendo di conoscere un po’ meglio chi siamo (come comunità) e cosa stiamo facendo. Al di là delle occasioni pubbliche, non dimentichiamo di verificare la nostra fede per capire se possiamo fare nostra l’in-tuizione paolina oppure se viviamo come se Cristo non ci fosse. In una delle ultime giornate mondiali della Gioventù il Papa disse ai giovani: ‘Non abbiate paura di donare la vostra vita a Cristo, perché Cristo è l’unico che non toglie nulla e da tutto’. Se è così vale la pena dire insieme a Paolo: «Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me».

(Continua I)

Un anno con Paoloa cura di Baldo Reina

nuove tecnoLogie Nuove forme di comunicazione

generazione You tubeIn un passato a noi molto prossimo, esisteva

solo la Tv, grande scatola magica generatrice di personaggi come i tronisti, le veline, le schedine, le letterine e chi più ne ha più ne metta. Oggi, anno 2009, Internet ci ha portato You Tube con i suoi mille volti e i suoi Friederich, Stefano, Marco e compagnia. Cambiano i mezzi di comunicazio-ne, ma la voglia di apparire e di avere un attimo di notorietà resta, per l’uomo, immutata nel tempo. A differenza di ieri però, non occorre sgomitare o fare lunghe ed estenuanti file per un provino dal-l’esito incerto perché internet è democratico e ge-neroso con tutti: chiunque sul web può avere il suo attimo di gloria. Basta, infatti, avere un computer, un telefonino che faccia filmati ed ecco chiudersi alle spalle le porte dell’anonimato. E non impor-ta se per rendere più appetibile il proprio video, ci si dà fuoco, si corre così forte in macchina da uccidere due turiste, si è così su di giri da schian-tarsi con la propria auto e morire o si sevizi una ragazzina aiutato e protetto dal branco di appar-tenenza. Questo davvero non importa. Tutto pas-sa in secondo piano, persino una cosa seria come il vivere, perché conta più di tutto e di tutti aver fissato quegli istanti nei fotogrammi che poi cen-tinaia e centinaia di utenti vedranno su You Tube. Conta essere diventato, anche solo per una volta, il protagonista di “un’eroica impresa”, di una storia appetibile per il tam tam mediatico. Per i giova-nissimi cresciuti a pane e Tv questa è la norma-

lità della vita reale. E come dar loro torto? La loro generazione è l’espressione di un presente in cui è rea-le ed esiste solo ciò che è esibito. Persino i sentimenti, le emo-zioni, la stessa sfera intima, per essere veri devo-no trovare conferma in una dimensione pubblica. Ed Internet, ed in particolare You Tube, permette tutto questo. Qui, sul web, gli adolescenti hanno la possibilità di costruirisi autonomamente il loro mondo: un’esistenza parallela plasmata assecon-dando desideri, passioni e pulsioni anche estem-poranee. Qui, finalmente, hanno la possibilità di provare la propria esistenza e di affermare, a qualsiasi costo, la propria identità all’interno della comunità virtuale. Passa così in secondo piano la vera natura di You Tube – fonte di intrattenimento e luogo deputato allo scambio di video divertenti e di curiosità - e si amplifica la sua dimensione sensoriale ed emozionale. Cade però in errore chi pensa di arginare il problema demonizzando il mezzo. Piuttosto ci si dovrebbe soffermare sul messaggio veicolato. E la generazione You Tube ne sta inviando uno forte: “ho bisogno di essere ascoltata e guardata, ad ogni costo”. Società, geni-tori, educatori, prestate orecchio!

Anna Chiara Della Monica

PPi Il primo congresso di Bologna novant’anni dopo (1919-2009)

La concezione di persona e di popolo nel Popolarismo sturziano

Il 20 febbraio presso il Liceo Scientifico Leonardo di Agri-

gento si è svolta la Giornata della legalità, fortemente voluta dal preside Capraro e dalla vice preside Rosellina Greco, i quali hanno invitato, per raccontare agli studenti, cosa voglia dire oggi legalità, il direttore di TeleJato, Pino Maniaci in un incontro - in-tervista moderato dal giornalista Lelio Castaldo. Una scelta quella

di Maniaci non indifferente, es-sendo stato, negli ultimi anni, vit-tima di intimidazioni, tra le quali un pestaggio, soltanto perché dal suo paese, Partinico, tiene alta l’attenzione su quelle che sono le famiglie mafiose dalla zona, (sia-mo nel palermitano di Provenza-no, dei Vitale, n.d.r), e degli affari che, ancora, tessono e concludo-no indisturbati. 277 querele a suo carico proprio a causa del suo denunciare, dalla guerra di mafia, che lascia vittime sulla strada, in attesa del successore di Provenza-no, all’inquinamento causato dal-la distilleria Bertolino a Partinico, solo per citarne qualcuna.

L’incontro iniziato con un’ora di ritardo, «a causa di un morto fresco» come dichiara lo stesso Maniaci nel presentarsi (alle sei del mattino, l’ennesimo omicidio di mafia, n.d.r.), ha subito preso una piega diversa da quella del solito incontro sulla legalità. Ma-niaci ha infatti sottolineato come sia stanco di sentirsi appellato,

in tutto il mondo, come tutti i siciliani, come “mafioso” a causa di poco più di 500 esponenti di questa che è la piaga atavica della nostra terra.

«Non esiste educazione senza il rispetto delle regole e dunque senza di questo non può esistere legalità. Credo – ha continuato Maniaci – che ai ragazzi debbano presentarsi casi concreti, racconti che li portino a sbattere contro la realtà, non le solite storie. Io oggi, qui, porto la mia storia, fatta di intimidazioni, di denunce, di pe-staggi, ai quali sono sopravvissuto e che invece di fermarmi mi han-no spinto ancora di più a conti-nuare questa mia lotta».

Tra un racconto e l’altro Ma-niaci, ha anche presentato un video nel quale veniva riassunta la storia di TeleJato e presentato un servizio realizzato dalla col-laboratrice, Stefania Petix, sulle nozze, sfarzose (troppo per essere dei nullatenenti) e blindate, della figlia di Totò Riina, in cui erano

messe in risalto tutte le con-traddizione che, in alcune parti della nostra terra, sono ancora vive e presenti.

Dallo stesso filmato è ve-nuta fuori una frase, pronun-ciata da uno spettatore del matrimonio Riina, la quale ha dato ampio sfogo a riflessioni: «la parola mafia è eterna ma nei fatti non esiste». Molto attenti alle parole di Maniaci i tanti gio-vani presenti nell’aula Flora del Leonardo i quali indossavano una maglietta “Siamo tutti Pino Maniaci”, rifacendosi a quella che è stata l’iniziativa promossa, da esponenti politici non solo di Partinico ma dell’hinterland pa-lermitano dopo la più grave inti-midazione subita dal giornalista. «Quello che stiamo facendo oggi – ha concluso Maniaci – è quello che fanno o dovrebbero fare tutti i siciliani onesti per liberare la loro terra da questo cancro che sem-bra non sia possibile estirpare».

Marilisa Della Monica

Foto Tornatore

Foto Mariliste

Quando nacque la formazione politica del partito popolare la stampa non comprese la svolta storica che tale nascita significava. Nessuna parola da La Stampa di Torino; “una frazione del vecchio conservatorismo” per Il Giornale del Popolo; “un nuovo centro te-

desco” Il Corriere della Sera. Il Messaggero si chiedeva fino a che punto fosse autonomo dal Vaticano, mentre Epoca lo definiva un parti-to banale. Dello stesso avviso anche la Polizia governativa, la quale etichettò il PPI come il vecchio partito clericale risorto. Chi, invece, comprese la novità fu Antonio Gramsci, il quale, su Ordine Nuovo, del 1 novembre del 1919 lo definì partito capace di organizzare le masse.

Quest’anno ricorre il 90° anniversario del primo congresso di Bologna che diede l’orien-tamento al partito. Lo si ricorda, anzitutto,

cercando di capire le motivazioni fondamen-tali che distinsero il PPI dalle altre formazioni politiche. Per fare ciò non si può prescindere dal discorso di Caltagirone del 1905, dove Sturzo elabora la propria concezione di de-mocrazia, una democrazia priva di senso e menzognera senza la centralità della perso-na. In un contesto culturale, segnato da un socialismo fortemente massimalista e da un liberismo numerico, egli si accorge che l’unica valida proposta rimane l’antropologia cristia-na, diversa dalla massa (social comunismo) e dal numero (liberismo capitalista). L’uomo è persona umana composta di corpo e spirito, che lo rendono unico, irripetibile, e mai som-ma e tantomeno massa. Da questa antropolo-gia cristiana Sturzo scopre la centralità della persona per l’ordinamento della società nella forma statale del tempo; una centralità che è concorrenziale alle due anime culturali del tempo che avevano segnato la vita politica, e cioè liberalismo e socialismo. Sulla centralità della persona, egli costruisce il concetto di po-polarismo, e il suffisso “ismo” è realmente al-ternativo. Sappiamo che sulla scelta del nome

non furono poche le difficoltà. Ma don Luigi Sturzo, forte delle riflessioni espresse, durante il programma di Caltagirone, insistette affin-ché il partito si chiamasse “popolare”.

Perché questo nome? Perchè la concezio-ne popolare è la conseguenza naturale della centralità della persona, formata da corpo e anima, il cui fine ultimo è il regno dei cie-li. Questi uomini, che formano il popolo, la stirpe eletta, il popolo santo, in questa terra, attraverso una organizzazione sociale dove regna la giustizia, diventano segno e profe-zia dei cieli e terra nuova. L’azione politica dei popolari, anzitutto, è un guardare oltre il contingente, è un tendere al raggiungimen-to di un fine che è il bene dell’uomo e la sua felicità infinita. L’incontro degli uomini, per un progetto politico di condivisione, diventa strumento per una società in cui l’esercizio della carità avviene nella politica. Sturzo, in-fatti, pur nella vita politica, non dimentica di svolgere il proprio ministero sacerdotale, come non lo dimenticavano tutti i preti socia-li di quel periodo.

Enzo Di Natali

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� L’Amico del Popolo1 Marzo 2009Provincia

Brevi provincia

Tanta acqua per le cittàinvasi La diga Castello a quota 18 milioni di metri cubi

Rubrica a cura dell’Avv. Adele Falcetta

L’ANGOLO DEL CONSUMATORE

Sono stata fuori città per una settimana, e, poiché gli ami-ci che mi hanno ospitata non avevano un luogo in cui potessi lasciare la macchina, ho pensato di affidarla ad un parcheggio custodito. Al momento del ritiro, ho avuto la sgradita sorpresa di trovare una lesione nel lunotto posteriore. Il gestore del par-cheggio afferma che il danno esisteva già da prima, e non inten-de risarcirmi. Cosa posso fare? (P.A., Agrigento)

Il contratto con un parcheggio a pagamento rientra nell’ipotesi del contratto di deposito, disciplinato dagli articoli 1766 e seguenti del codice civile. Il depositario, vale a dire il soggetto che riceve la cosa in custodia, deve conservarla “con la diligenza del buon padre di famiglia”, e restituirla al depositante, su richiesta di quest’ultimo, nelle stesse condizioni in cui l’ha ricevuta. Se la cosa subisce un danno durante il periodo di deposito, il depositante deve risarcire il

proprietario. Ma come avere certezza delle condizioni in cui si tro-vava la cosa depositata nel momento in cui è stata affidata al deposi-tario? É buona norma, nell’interesse di entrambe le parti, constatare per iscritto se la cosa presenta un danno apparente al momento in cui il deposito ha inizio; ma non mi sembra che, nel caso di specie, questo sia stato fatto. Pertanto la proprietaria dell’auto, che afferma di avere subìto un danno, potrà avvalersi di prove testimoniali per dimostrare che il veicolo, nel momento in cui è stato consegnato, era perfettamente integro. Questo nel caso in cui si arrivi ad instau-rare un giudizio avanti al Giudice di pace. Prima converrà fare una formale richiesta di risarcimento al titolare del parcheggio, median-te raccomandata con avviso di ricevimento. Molto probabilmente, il parcheggio sarà assicurato, per cui nelle trattative, successive alla richiesta di risarcimento, interverrà la Compagnia assicuratrice.

Per ulteriori chiarimenti o per informazioni rivolgersi a:Avv. Adele Falcetta, via S. Francesco n. 15 - 92100 Agrigentoe-mail: [email protected] - tel./fax 0922 556222 - Cell. 338 3971821

Non dovrebbero patire la sete le città e le campagne della provincia di Agrigento

perché durante la presente stagione invernale sono stati già immagazzinati nelle dighe del territorio oltre 70 milioni di metri cubi d’acqua, una quantità così abbondante mai registrata in un recente passato. I dati del copioso quan-titativo di preziosissimo liquido, già al sicuro negli invasi, alcuni dei quali sono già ricolmi e dove l’acqua supera già le paratie perdendosi in tanti rigagnoli lungo i corsi dei fiumi, sono stati forniti dai tecnici dei tanti enti (Enel, Agenzia delle acque, consorzi ed assessorati) preposti l’immagazzinamento e al controllo delle dighe.

Nelle sette dighe, situate nei territori delle province di Agrigento e di Palermo, tanta ac-qua non si era mai vista. E non è ancora finita perché le piogge invernali continuano ad essere così copiose e la neve ancora intatta sulle mon-tagne dell’interno che si prevede la presenza dell’acqua nelle sorgenti e lungo i torrenti, che alimentano i fiumi, fino a primavera inoltrata per cui tutte le dighe potranno essere riempite

sino al limite della capienza.Oggi la situazione dell’accumulo dell’acqua

negli invasi è ottima. Queste le cifre per cia-scun invaso. La diga Castello di Bivona, posta sul fiume Magazzolo, ha raggiunto 18 milioni di metri cubi d’acqua. Il carico idrico di sicu-rezza è stato già raggiunto, ma nell’invaso bi-vonese possono ancora entrare tre milioni di metri cubi d’acqua. Il lago Raia di Prizzi, situato in territorio palermitano, con paratia sulla valle del fiume Sosio-Verdura, è pieno. Ha già 8 mi-lioni di metri cubi d’acqua che servono anche per produrre anche energia elettrica presso le centrali di San Carlo, Favara e Poggiodiana. Il prezioso liquido passa attraverso il sovrappieno e si perde lungo il corso del sottostante fiume.

A valle, la traversa di Gammauta, una vasca di accumulo in territorio di Palazzo Adriano, presenta circa un milione di metri cubi d’ac-qua, come un milione di metri cubi d’acqua ha raggiunto la capacità ricettiva del laghetto Gor-go di Montallegro, un’oasi naturale della Lipu, posto sulla SS 115 e destinato esclusivamente a

scopi irrigui. Può ancora riceve-re dal sollevamento di Martusa Bassa di Ribera un altro milione di metri cubi.

Il lago Arancio di Sambuca di Sicilia ha raggiunto quasi 24 milioni di metri cubi. Per ragioni di sicurezza può immagazzinare soltanto un altro milione, ma la sua capacità complessiva resta di ben 36 milioni.

L’invaso di San Giovanni di Naro è colmo. Ha ben 16 milioni di metri cubi e l’acqua già supera le paratie della diga. La diga Furore, sempre a Naro, non è ancora in servizio. Ha l’acqua necessaria per tenere umide le strutture. A monte di Santo Stefano Quisquina, ma in ter-ritorio della provincia di Palermo, c’è la diga Leone che già può contare su oltre tre milioni di metri cubi d’acqua accumulata tutta destinata ad uso potabile, grazie alla pre-senza del grosso potabilizzatore in funzione alla periferia occidentale del centro stefanese che pompa l’acqua per il consorzio del Voltano. Alla provincia agrigentina, se ce ne sarà biso-gno, potranno arrivare dalla diga Garcia, posta in territorio palermitano, nei pressi della strada Fondovalle Sciacca-Palermo, altri 15 milioni di metri cubi d’acqua.

“Di fronte a tanta preziosa acqua, a tanto ben di Dio – ci dice il presidente regionale della Coldiretti, Alfredo Mulè, riberese – resta il pro-blema della gestione e distribuzione dell’acqua per usi agricoli e civili. Raccomandiamo a tutti di farne buon uso, di non sperperare il prezioso liquido che potrebbe essere sufficiente oggi per almeno due annate consecutive. Non sappiano se l’anno prossimo le piogge saranno ancora copiose o se saremo in presenza di qualche al-tra siccità, come negli anni scorsi quando sof-frirono sia le popolazioni che le campagne. Uso parsimonioso, dunque, tra i campi e davanti ai rubinetti delle abitazioni”.

Enzo Minio

Questa settimana ci soffermiamo sulle Visite am-bulatoriali e domiciliari del Medico di famiglia. L’art. 47 dell’accordo collettivo nazionale di lavoro 2001-2005, stabilisce che:1) il medico di famiglia presta la sua attività nel proprio studio medico:• riceve nei giorni e nelle ore evidenziate nell’orario di lavoro affisso all’interno dello studio e nei giorni compresi fra il lunedì e il venerdì;2) al domicilio dell’assistito.La visita domiciliare deve essere eseguita: • nel corso della stessa giornata, quando la richie-sta giunga al medico entro le ore dieci; • dopo le ore dieci, la visita dovrà essere effettuata entro le ore dodici del giorno successivo.La chiamata urgente deve essere soddisfatta entro il più breve tempo possibile.Nelle giornate di sabato il medico non svolge atti-vità ambulatoriale, è tuttavia tenuto ad eseguire:• le visite domiciliari richieste entro le ore dieci dello stesso giorno, • quelle non ancora effettuate richieste dopo le ore dieci del giorno precedente. È cura del medico di famiglia organizzare le richie-ste di visita domiciliare e tale organizzazione deve essere portata a conoscenza degli assistiti.

A. Taormina

I DIRITTI DEL MALATOa cura Sezione Sanità Caritas Sciacca

l’anno accademico, che ha fatto incontrare gli studenti, con la premio No-bel Rita Levi-Montalcini, quel-lo di cui si parla in questi ultimi mesi. Chi interviene non comprende che l’Uni-versità, non può essere addomesticata alla politica,come un qualsiasi sottogoverno. L’Università, proprio perché universale, prima di essere un percorso di formazio-ne degli allievi, è un luogo di ricerca e con-fronto dei saperi, dove le intelligenze, le culture si incontrano e non è possibile re-legarla nei confini meramente territoriali. Se poi per interessi territoriali significa-no: valorizzare le migliori risorse umane e intellettuali e cogliere il meglio della cul-tura e della tradizione, e metterli a dispo-sizione delle future generazioni, questo è un interesse che è stato perseguito e mes-so al centro dell’attività del consorzio. Per dimostrare ciò, in modo inconfutabi-

le, basta dare un’occhiata ai percorsi for-mativi e alla popolazione studentesca. Corso di laurea in Beni Culturali e Archeo-logici (661 iscritti) e specialistica in Archeo-logia (102 iscritti), Beni Archivistici e Librari (160 iscritti); quale scelta migliore in una realtà dove insiste uno dei più importanti giacimenti archeologici del mondo, dichia-rato dall’UNESCO Patrimonio dell’Umani-tà. Ma fare l’interesse del territorio significa anche avere corsi di laurea moderni,che sono trasversali a tanti saperi, ecco allo-ra il corso di Ingegneria Informatica (284 iscritti), Ingegneria Gestionale (169 iscrit-ti) e Formatore Multimediale (533 iscritti). Inoltre sono stati istituiti corsi di laurea, che danno vaste potenzialità di impiego e che sono limitati nel numero, perché sono stati istituiti a numero chiuso:Tecniche di Radiologia Medica per Immagini e Radio-terapia (65 iscritti), Infermieristica Generale

(130 iscritti) e Servizio Sociale (240 iscritti). Se poi aderire al territorio significa anche venire incontro alle aspirazioni delle nuo-ve generazioni, il consorzio ha fatto centro istituendo i corsi di laurea di Specialistica di Architettura (514 iscritti ) e Magistrale di Giurisprudenza (755 iscritti).Tanto è stato fatto, ma tanto c’è ancora da

fare, convinti più che mai, che dopo la gar-bata ma ferma lettera inviata, dal Magnifi-co Rettore ai soci fondatori del Consorzio Universitario di Agrigento e cioè: Provincia, Comune e Camera di Commercio; bisogna recuperare rapidamente il tempo perduto, con senso d’equilibrio e del rispetto reci-proco, per avviare una serena discussione sul futuro del decentramento universitario nella nostra realtà. E ridare serenità agli al-lievi, le famiglie, ai docenti e a tutti gli ope-ratori.

LdP

continua dalla prima

L’impegno nell’educazione

LicaTa L’Agesci compie 20 anni

“Cercate di lasciare il mondo un po’ migliore di come l’avete trovato”, questo sono le parole di un famoso discor-so di Baden Pawell, fondatore degli scout; parole profonde pronunciate ai suoi scouts. E sicuramente sono queste le pa-role che vent’anni fa, il 12 febbraio del 1989, hanno ispirato Andrea Mulè ed Anna Alesci (i primi capo gruppo) ed altri educatori a fondare il gruppo scout Licata 2.

La storia di questi anni è stata costruita con fondamen-ta solide: l’impegno nell’educazione e l’attivismo nel sociale con l’intento di contribuire alla crescita di buoni cittadini e buoni cristiani. Un metodo educativo, quindi, che ha visto centinaia di giovani essere protagonisti secondo una visione cristiana del mondo.

La settimana appena trascorsa è stata quella dei festeg-giamenti, attraverso una celebrazione eucaristica alla quale hanno partecipato i genitori dei giovani scouts, una mostra fotografica, ed il momento solenne del rinnovo della Pro-messa.

Un altro evento importante nel programma, come ci spiegano Padre Totino Licata, Assistente Spirituale, ed i capi gruppo Annalisa Spadaro e Andrea Mulè, sarà l’organizza-zione di un convegno sul valore educativo dello scoutismo, il prossimo 13 marzo a Licata, al quale parteciperà anche l’Assistente Spirituale nazionale dell’AGESCI don Francesco Marconato.

Le attività di questi anni che hanno visto il gruppo essere presente con campi in molte parti d’Italia e d’Europa, come ci ha illustrato la Comunità Capi del Licata 2, continueran-no con rinnovato entusiasmo ed immutato impegno nel-l’educazione dei giovani, attraverso quel metodo educativo dello scoutismo che si realizza in attività concrete proposte ai ragazzi, che sono incoraggiati ad “imparare facendo”.

Giuseppe La Rocca

Dopo la seduta straordinaria dei consigli comunali della provincia di Agrigento, lo scorso 20 febbraio, dove si è deliberato la so-spensione delle consegne delle reti idriche a Girgenti Acque s.p.a; l’avvio delle procedure per la risoluzione del contratto con il gestore privato; la promozione di un disegno di legge di iniziativa popolare, da presentare all’ARS, che restituisca agli enti locali la gestione pub-blica del servizio idrico, il Comitato dei Co-

muni Contrari alla Privatizzazione del Ser-vizio Idrico si è riunito lunedì 23 febbraio ad Aragona, per pianificare un’ azione comune di protesta che possa sintetizzare le posizioni dei rispettivi consigli.

«È stato un successo senza precedenti- di-chiara Rosario Gallo, Responsabile del Co-mitato dei Comuni Contrari alla Privatizza-zione Idrica- quello registrato con le delibere integrali di ben 27 comuni della provincia di Agrigento (tra questi Sciacca e Licata), che all’unanimità si sono schierati contro la privatizzazione.». Obiettivo del Comitato è, dunque, la risoluzione del un contratto stipu-

lato con la Girgenti Acque che risulta palese-mente inadempiente per le ripetute violazio-ni contrattuali, per l’insussistenza di capacità tecnico- finanziaria, per i continui disservizi nella gestione del servizio. E per socializzare le proprie convinzioni, spiegare le legittime posizioni e comunicare le strategie, il Comi-tato dei Comuni Contrari alla Privatizzazio-ne ha indetto per sabato 28 febbraio, alle ore 10:00, presso la Sala del Cine Astor di Agri-gento, una manifestazione provinciale a cui sono stati invitati tutti i sindaci dei comuni siciliani.

favara recuperato immobile confiscato alla mafia

L’immobile, di via Alfredino Rampi a Favara, con-fiscato alla mafia diventerà un istituto di custodia at-tenuata per detenute madri con figli fino a tre anni. L’iniziativa è il frutto del lavoro del consorzio agrigen-tino per la legalità e lo sviluppo presieduto dall’avvoca-to Barbara Garascia. Nel palazzo, già arredato, è stato montato un sistema di videosorveglianza da parte del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

asl 1 Prenotazioni telefoniche sospese

Il direttore sanitario dell’Ausl n 1 di Agrigento in-forma che il numero verde 800.58.94.44 del call center dell’azienda che i cittadini contattano per prenotare prestazioni sanitarie presso i poliambulatori di Agri-gento, Favara, Porto Empedocle, Canicattì, Racalmuto, Ravanusa e Naro risulta temporaneamente fuori servi-zio per cause tecniche. L’area gestione risorse tecniche dell’Ausl ha già intrapreso tutte le iniziative necessarie per la tempestiva risoluzione dell’inconveniente.

La Protesta dei 27: in piazza il 28 febbraio

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Speciale San Gerlando �L’Amico del Popolo1 Marzo 2009

San Gerlando,Testimone di fiducia

Gerlando e Paolo

San Gerlando nell’arte

(continua dalla prima) La fiducia incondizionata in Dio mi pare che sia l’ideale fil rouge che lega san Gerlando all’Apostolo. In un tempo in cui molti aspiravano ambiziosamente alla dignità eposco-pale, Gerlando divenne vescovo non per suo arri-vismo, ma perché «chiamato», anzi sradicato dalla sua vita di canonico e di magister, cioè di dottore in teologia del suo tempo. Venuto in Italia per adem-piere un voto di pellegrinaggio alla tomba di Pie-tro, era poi stato costretto ad assumere la direzione della schola cantorum, una scuola di teologia, di Mileto in Calabria, città di residenza dei normanni Altavilla, prima che essi si lanciassero nella conqui-sta della Sicilia. Ma non vi rimase per molto, poi-ché, come dichiara la Legenda, disgustato dall’im-moralità dell’ambiente, preferì ritornare in patria, a Besançon in Francia. E lì, il conte Ruggero inviò messaggeri perché convincessero Gerlando ad as-sumere l’incarico di vescovo di Agrigento, appena riconquistata ai saraceni. La Legenda riferisce che Ruggero «lo pregò e lo scongiurò» di accettare, e certo offrì anche le sue lusinghe, ma Gerlando pre-ferì seguire il suggerimento dello Spirito Santo, fece discernimento, alla fine, invece di seguire la sua in-clinazione caratteriale, e cioè il silenzio claustrale o l’insegnamento della teologia, si decise ad assume-re il difficile compito e a tornare in Italia.

Fu consacrato a Roma dallo stesso papa Urbano II, che nel 1098, nella bolla in cui gli concede il go-verno della diocesi agrigentina, gli offre anche una

lettura teologica della storia e della comunità che dovrà guidare. In una società in cui era possibile un repentino e radicale ribaltamento della situazione politica e sociale, al di là dei popoli che vi si agitano, è operante la guida suprema dell’onnipotente Dio, ricco di misericordia. È quindi nella fiducia in Lui che bisogna e si può operare ecclesialmente (cf. ri-quadro). Secondo un’etimologia medievale, il nome «Gerlando» significa «terra venuta dal Nord», che per un cristiano del meridione era «buona terra» intrisa di fede cristiana (Legenda). Gerlando, cioè, fu uomo di fede nell’accettare il grave peso dell’epi-scopato in una terra abitata solamente da saraceni e quindi da rievangelizzare.

È stato detto, poi, che il «cuore di Paolo è il cuore di Cristo» (S. Giovanni Crisostomo). Non lo fu sin dall’inizio, sappiamo infatti della «conversione» che Paolo operò, frutto della grazia di Dio, a cui l’Apo-stolo non mancò di collaborare efficacemente e tra tante sofferenze: «… e Io gli mostrerò quanto deb-ba soffrire per il mio nome» (At 9,16). La Legenda di San Gerlando non scende a fondo fino al cuore del santo vescovo, ma riporta però che egli «non cessava» di portare a Cristo con la sua suadente predicazione tutti i saraceni e i giudei del territorio. Non possiamo pensare però che l’attività episcopa-le di Gerlando sia stata un procedere di trionfo in trionfo. Ebbe certo delle conversioni e si dice che abbia convertito il capo dei saraceni agrigentini, un certo Hamud, ma il «Libellus», un documen-

to d’archivio del XIII secolo sulle successioni dei ve-scovi agrigentini, riferisce che i «cri-stiani furono po-chi» fino alla mor-te di Guglielmo II (a. 1189). E fu certo l’esperienza del limite dinanzi ai fallimenti che lo portò a coltivare nel cuore una fiducia incondizionata in Cristo. Per essa, Gerlando «non cessava» di evangelizzare, no-nostante il vento contrario.

È noto che viviamo un tempo di crisi che met-te alla prova le nostre certezze umane e perfino di fede. I problemi della famiglia, l’atteggiamento negativo nei confronti della vita, nuovi aspetti di povertà, questione ecologica, educativa e altro an-cora, tutto questo rende faticoso il cammino del cristiano, che come ogni uomo prova smarrimen-to e paura in una società definita «liquida», senza certezze e senza futuro. È indispensabile in questo tempo non perdere la «fiducia», in sé, negli altri, nella realtà, nella vita. E abbiamo bisogno, tramite testimoni inequivocabili di essa, di re-imparare la «fiducia» in Dio, nel suo «onnipotente» amore, come elemento costitutivo della vita cristiana. San

Gerlando, evangelizzatore radicato nella grazia di Dio, che ha operato in un terreno ostile e che, di-nanzi alla storia, non ha ottenuto un raccolto im-mediato della sua generosa seminagione, non ces-sa di essere un testimone della fiducia in Dio. Nella sua vita non si diede riposo per «sostenere i poveri, aiutare gli immigrati, soccorrere i malati, difendere gli emarginati, educare alla fiducia i giovani, esor-tare al culto della fede cristiana i fedeli, e infine convertire con la sua melliflua predicazione sia i Giudei sia i saraceni» (Legenda 21). A quanto pare, il suo progetto pastorale, che tocca la testimonian-za sociale, la catechesi e la liturgia, l’evangelizzazio-ne, è ancora la via della Chiesa di oggi. Dinanzi alle nostre difficoltà, ansietà e paure, san Gerlando po-trebbe anche ripeterci: «So a chi ho dato fiducia» (2Tm 1,12).

Vincenzo Lombino

Come in altre Diocesi, an-che Agrigento ha un Santo patrono, il cui culto e la cui devozione sono contraddi-stinti dalla passione per la Chiesa locale, per la quale si è impegnato ed ha speso le proprie energie e la pro-pria vita. La risposta delle Comunità Cristiane non ha mancato di dare risonanza a tale amore rispondendo con la diffusione di immagini. Esse costituiscono un veico-lo privilegiato per favorire e testimoniare la conoscenza e la diffusione del culto del Santo.

L’iconografia di s. Gerlan-do non è molto diffusa: qua-si tutte testimonianze sono concentrate nella città di Agrigento e la maggior parte si trovano in Cattedrale, ov-

vero in edifici di pertinenza dell’autorità episcopale.La più antica e singolare immagine di s. Gerlando però è quella

che si trova nella decorazione musiva della Cattedrale di Monreale (foto 1): a pochi decenni della scomparsa e della canonizzazione del Santo vescovo di Agrigento, nel grande cantiere normanno i sovra-ni hanno voluto attestare l’importanza della Chiesa in Sicilia con un Santo vescovo normanno e mettendo la sua figura in un posto di grande rilevo: sulla parete interna destra dell’arco trionfale.

Ad Agrigento dobbiamo attendere il secondo decennio del Cin-quecento per ritrovare, tra i Santi, vescovi agrigentini ritratti nelle

catene del soffitto della Cattedrale: non si cono-scono, alla fase attuale degli studi di storia del-l’arte, altre immagini precedenti. Sempre al XVI secolo risale la sta-tua (foto 2), oggi esposta nelle sale espositive del Palazzo Vescovile, che possono essere conside-rate, ormai, una piccola sezione del realizzando Museo Diocesano. Nel-le sue raccolte è custo-dito un baculo con una statuetta apicale raffi-gurante il Santo: è stato firmato nel 1607 da un argentiere Grimpi, che si definisce agrigentino.

Nei due secoli imme-diatamente successivi si concentra il maggior

numero delle te-stimonianze arti-stiche. Il percor-so si apre con la grande urna reli-quiario, eseguita nel 1637 dagli argentieri paler-mitani Michele Ricca e Giancola Viviano su di-segno di Pietro

Novelli e depauperata di molte parti figurate nella seconda metà del Novecento. Nel Palazzo Vescovile è esposta una Tabella cronologica in cui sono raffigurati tutti i Sette Santi vescovi Agrigentini (Libertino, Gre-gorio I, Potamione, Gregorio II, Er-mogene, Gerlando ed il beato Mat-teo - foto 3).

È da notare che, spesso, l’icono-grafia di s. Gerlando è collegata al culto dei Sette Santi Vescovi Agri-gentini: la grande pala di Francesco Sozzi, proveniente dalla Cattedrale ed oggi conservata nelle sale esposi-tive del Palazzo Vescovile, oppure la tela della Chiesa Madre di Aragona, uno dei rari esempi fuori dalla città di Agrigento dell’iconografia gerlan-diana (foto 4). Il tema dei Sette Santi Vescovi agrigentini è ripreso in contesti diversi: nel Paradiso, affre-scato da Michele Blasco, il Santo vescovo è raffigurato in ginocchio

in adorazione della Santissima Trinità (vedi foto articolo sopra). Lo stesso motivo sarà ripreso nel catino absidale della basilica Im-macolata, già chie-sa San Francesco d’Assisi, nella rico-struzione eseguita dopo le distruzioni degli eventi bellici dell’ultimo conflit-to mondiale.

Non di rado Gerlando è raffigu-rato in coppia con Libertino, protove-scovo della Chiesa Agrigentina: basti qui ricordare i noti esempi del grande paliotto in argen-to eseguito nel

1742 dal palermitano Francesco Nicodemi, il monumentale taber-nacolo sormontato da tronetto eseguito sotto l’episcopato di Antonio Lanza dagli argentie-ri Francesco Salluzo e Pietro Russo, il pulpito ligneo della chiesa San Lorenzo, meglio nota come Purgatorio, in Agrigento, attribuito alla cerchia dei Cardilicchia.

Un tema iconografico particolare è quello della Predica di s. Ger-lando, riportata, oltre che nel già citato paliotto, anche in uno degli gli affreschi con Episodi della vita dei Vescovi Agrigentini, eseguiti dal Bongiovanni nel primo decennio del Settecento nell’abside cen-trale della Cattedrale (foto 5 e 6), ed in una placchetta in avorio, in-castonata in un tronetto, recentemente pubblicato nel catalogo della mostra sulla Cattedrale di Agrigento, allestita con grande consenso di pubblico e di studiosi, nelle sale del Palazzo Vescovile (foto 7).

Nello stesso Palazzo è custodita una serie di ritratti dei vescovi agri-gentini, tra cui spicca una serie di alcuni dipinti della prima metà del sec. XIX completata da s. Gerlando. Il suo ritratto di trova an-che nella serie dei sovrap-porte settecenteschi delle sale di rappresentanza.

Questo sommario per-corso iconografico gerlan-diano si conclude con la statua eseguita per la Cat-tedrale di Agrigento dallo scultore trapanese Rocco Giacomelli (o Jacomelli o Jacopelli - foto 8) all’inizio del sec. XVIII, che ha co-stituito il modello per la statua omonima conser-vata nella Chiesa Madre di Porto Empedocle ed ese-guita nel 1890 da Calogero Cardella.

Giuseppe Ingaglio

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Page 6: L'Amico del Popolo

� L’Amico del Popolo1 Marzo 2009Vita Ecclesiale

Lunedì 9 marzo, alle ore 17.30, nel Santuario del SS.mo

Crocifisso, a Siculiana, mons. Francesco Montenegro conferirà il ministero del Lettorato ai se-minaristi Antonio Corda, Gioac-chino Falsone, Dario Morreale e Tommaso Pace (foto a sinistra)

ed il ministero dell’Accolitato ai seminaristi Salvatore Attardo, Salvatore Cardella, Gerlando (Giorgio) Casula, Giuseppe Col-li, Giuseppe Lentini e Carmelo Rizzo (foto in basso).

I nuovi lettori si impegne-ranno ad accogliere, conoscere,

meditare e testimo-niare la pa-rola di Dio. L’ufficio li-turgico del lettore con-siste, infatti, nella proclamazione

delle letture nell’assem-blea liturgica, nel curare la preparazione dei fedeli alla comprensione della parola di Dio e nell’edu-care nella fede i fanciulli e gli adulti. Compito dei nuovi accoliti sarà, in-vece, quello di aiutare il presbitero e il diacono nelle azioni liturgiche; di distribuire o di esporre, come ministro straor-dinario, l’Eucarestia. Di conseguenza, dovranno curare con impegno il servizio all’altare e farsi

educatori di chiunque nella co-munità presta il suo servizio alle azioni liturgiche. Il loro ministe-ro li porterà a prediligere i deboli e gli infermi, per essere segno dell’amore di Cristo e della Chie-sa nei loro confronti.

La scelta di non celebrare in Cattedrale questa funzione na-sce dal desiderio dell’Arcivescovo di coinvolgere, da ora in avanti, quante più Comunità ecclesia-li locali negli eventi di portata diocesana, affinché si sentano sempre più partecipi della vita ecclesiale diocesana.

Valerio Landri

Dei delitti e delle peneNessuno si illuda di poter godere vera libertà senza os-

servare regole e disciplina: “senza regole e disciplina, tutto il mondo va in rovina”. Chi l’ha detto? Da millenni, da quando l’uomo si è organizzato in società, lo ha affermato il Buon-senso. Ma ormai, questi, il Buonsenso, non può più parlare: “la Scienza, sua figlia, lo ha ucciso, per vedere com’era fatto”.

Da quanto andiamo narrando della disciplina che rego-lava, passo passo, ogni attività degli alunni del Seminario, il lettore non pensi, tuttavia, di poter concludere che ai tra-sgressori venissero inflitte punizioni fisiche particolarmen-te dolorose. Gli unici castighi che potevano interessare il corpo, erano lo stare in ginocchio in silenzio, per qualche minuto, durante la ricreazione. Oltre a questo, ci potevano essere severi rimproveri, in pubblico o in privato, da parte del Rettore. Se poi le mancanze erano tali da rivelare una decisa volontà ribelle alla disciplina, o scarsa inclinazione allo studio e agli esercizi di pietà, il Superiore informava la famiglia di riportare a casa l’alunno.

Gravi mancanze da parte del gruppo dei “grandi” (teolo-gi e liceali), venivano considerate: a) intrattenere relazioni verbali o epistolari, non controllate dal Superiore; b) allon-tanarsi, anche per qualche minuto, dal proprio gruppo o, peggio, dal Seminario (varcando l’ingresso) per incontrare qualcuno, senza il dovuto permesso; c) leggere: libri, gior-nali, riviste o altro, senza previo consenso; d) coltivare “ami-cizie particolari”, di qualsiasi genere; e) venire colti a fumare o a bere alcolici… Su tali mancanze, o altre del genere, in-terveniva il giudizio del Rettore e – in certi casi – quello del Vescovo, sfuggendo generalmente alla curiosità e all’atten-zione della comunità.

Paradossalmente, invece, lo spauracchio più temibile, era costituito da un pezzetto di legno, non più grande di un dito, con su scritto: “ACCIPE” (prendi). Si trattava dell’uni-co deterrente per costringere ad usare, durante la conversa-zione, la lingua italiana, evitando ogni termine dialettale. Il prefetto, la mattina, si preoccupava di consegnare il legnet-to a un “collaboratore di giustizia”, che si assumeva l’impe-gno di passarlo al primo che venisse colto a pronunciare una parola o espressione siciliana. Così, di passaggio in passaggio, chi, arrivata la sera, prima di andare a dormire, si ritrovava l’ACCIPE in tasca, era costretto a consegnarlo al prefetto che, generalmente, puniva il trasgressore di turno assegnando una preghiera o un inno in latino, da mandare a memoria e da ripetere l’indomani. Veniva rivolto, invece, un rimprovero o assegnato un lavoro, ai recidivi. Questo esercizio o espediente correttivo, inteso ad eliminare l’uso della lingua materna, nulla vieta di pensare che fosse stato concepito dal suo inventore come un gioco. Ma, anche du-rante il gioco più semplice, possono nascere contrasti, litigi e dissapori, se non è condotto con lealtà, intelligenza delle regole e, principalmente, conoscenza delle doti e dell’indole dei partecipanti. Sì, effettivamente, quello dell’ACCIPE sa-rebbe potuto riuscire un gioco divertente e capace non solo di aiutare a conoscere e usare meglio sia la lingua siciliana che quella italiana, ma anche a prendere maggiore coscien-za e conoscenza dei propri pregi e difetti. Solo che, “in quel tempo”, - per una strana alchimia che strutturava le facoltà intellettive degli educatori -, le guide di quel gioco erano in-capaci di intenderne le vere finalità.

Eccone un esempio, tra i tanti. I Teologi della Camera-ta “San Gerlando”, durante il passeggio, sostano attorno alla fontana del Monumento ai Caduti, lungo il Viale della Vittoria. L’ingenuo Cagnolo, spontaneo, ma anche facile a scattare come una molla al primo contrasto, si china per osservare meglio i passeri che stanno celermente beccando prede invisibili all’occhio umano. “Guarda come sono lesti a pizzoliare!”, esclama, accennando al compagno più vicino. “Eccoti l’ACCIPE”, si sente ammonire dietro le spalle. Il poe-tico ornitologo non si è accorto dell’insidiatore che, quatto quatto, si è avvicinato per ascoltare; gli si volge furioso, fa-cendogli schizzare di mano il viscido legnetto, che va a fini-re lontano. Stridule si alzano le voci, nell’agitato e convulso battibeccare tra i due. Si avvicina il prefetto. Non è un’aqui-la, in nessun senso. Rimane tra i contendenti, fisso come un “tollo”, preoccupato solo per una possibile crisi di ner-vi del povero Cagnolo. Dirimere le questioni, anche le più semplici, non era il suo forte. Folta nebbia gli ottenebrava il cervello. Ma, ecco: si raccolgono attorno gli altri. Bisogna riconoscere l’identità siciliana o meno del verbo siciliano “pizzoliare”. Nella mente dei più, vagola la convinzione che il termine “pizzo” esista anche in lingua italiana, ma che esista anche il verbo “pizzoliare”, non ne sono sicuri. D’al-tra parte, lo smarrito Cagnolo sta lacrimando e si rischia di vederlo dare in smanie, se lo si contraddice. Bisogna salvare il salvabile. Poco discosto dal gruppo, l’unico che possa dare un parere risolutivo c’è: Degrerio. È risaputo che schifa la matematica e non privilegia filosofia e teologia, ma in lin-gua italiana e siciliana, è autorità indiscussa. È l’ennesima volta che viene coinvolto in simili discussioni. Convinto della citrullaggine del prefetto, si rende conto di dovere ri-correre a una sentenza salomonica, per evitare una crisi di nervi a Cagnolo.

“In verità, il termine ‘pizzo’ è italiano. Ricordo che il mio maestro portava la barba, che terminava col ‘pizzo’, e quan-do veniva invitato a pranzo, lo tratteneva con la mano per evitare di farlo ‘pizzoliare’ nel piatto”.

Anni verdi in Seminarioa cura di Stefano Pirrera

Seminario in festa per tre nuovi lettori e sei accoliti

MiniSteri Il nove marzo nella Chiesa madre di Siculiana

IRCL’Ufficio Scolastico Diocesano organizza dal 23 apri-le al 26 aprile un pellegrinaggio a Roma, durante il quale è prevista un’udienza speciale dal Santo Padre Papa Benedetto XVI. La quota individuale di partecipazione è di euro 250,00. Per qualsiasi informazione si ci può rivolgere al responsabile don Antonino Giarraputo ai numeri 339 5929807 - 0922 613005.

CatecumeniIl 28 febbraio alle ore 17.00 in Cattedrale S.E. mons. Francesco Montenegro celebrerà il rito di elezione per i catecumeni: Mendola Simona, Fucà Davide (Agrigento); Fragapane Stefano, Gueli David Vincenzo (S. Elisabetta); Scifo Ilaria, Milisenda Miriam (Raffadali); Casà Gaetano; Ragusa Massimiliano (Giardina Gallotti), Hamidi Moamed Alì (Ribera); Bellavia Daniela (Favara); Pecoraro Sebastiano (Porto Empedocle); Dobre Ramona (Siculiana); Riccobene Antonio; gabriele Marco (Palma di Montechiaro).

in D

ioce

si

Il 23 febbraio è ritornata alla casa del Padre la Sig.ra

Mariella Rasomoglie del diacono Giuseppe Zito. Alla famiglia le più

sentite condoglianze da parte della nostra redazione.

Lutt0Il 25 febbraio, a Palermo, nella pace di Dio, è rinata alla

vita immortale la Sig.raGiuseppa Di Luca

(ved. Gaglio)La “cognata sorella” Ave Gaglio ricordandone tutta la vita consacrata alla numerosa famiglia, accanto ai cinque

figli angosciati, chiede carità di preghiere.

Lutt0

«Il Signore - ha continuato mons. Montenegro - lo troviamo vicino a noi ma dobbiamo saperlo riconoscere anche nelle colonne degli schiavi che i faraoni e gli Erode di oggi continuano a condannare alla fame, alla denutri-zione, e li costringono a lasciare le loro terre...

La Quaresima significhi perciò per noi passaggio: dall’egoismo all’amore, dal possesso al dono, dalla paura alla speranza, dalla morte alla vita. Ta-gliamo i rami secchi nella nostra vita, quelli del fatalismo, della rassegna-zione e dell’indifferenza. Eliminiamo i rami secchi delle nostre cattiverie, invidie, giudizi cattivi, rabbie. Liberia-moci dai rami secchi che ci chiudono nel nostro mondo stretto, autoreferen-ziale, egoista e falsamente sicuro.

Dopo queste parole l’Arcivescovo ha detto: «Non posso non fare riferimen-to in questo momento alla situazione creatosi in città circa la presenza degli immigrati. Anche essa va inquadrata nel discorso di conversione, di cuore buono e di carità. Il problema degli immigrati non può essere affrontato e risolto creando schieramenti o mo-strando cattiveria (come è stato detto da persona che amministra il bene co-mune) o diventando rigorosi, se rigore significa no ad oltranza a chi riteniamo diverso. Anche perché diverso, in via Orfani, non è considerato solo il clan-destino, ma lo è stata anche una donna disabile da parte di persona con la pel-le bianca e perciò considerato persona

civile. Questo per dire che quando si smette di guardarsi con gli occhi del cuore è difficile stabilire chi è buono e chi è cattivo. Si tratta invece di affron-tare serenamente il problema e di ten-tare di coniugare insieme accoglienza e legalità. Di avere la consapevolezza che scegliere solo il proprio interesse è cavalcare l’onda dell’ individualismo, della conflittualità e della prevaricazio-ne, at-teggiamenti che rifiutano il con-fronto e la ricerca del bene di tutti.

Il nostro cuore resti grande, fac-cia spazio a chiunque è nel bisogno: uomo di colore, disabile, anziano... Nella Bibbia è scritto: “Perseverate nell’amore fraterno. Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo”. Non è detto che lo “straniero” è un male da estirpare (penso alle tante preziose ba-danti presenti nelle nostra case), ma è una realtà con cui confrontarsi per costruire una comunità dello scambio, del dialogo, della collaborazione. Nes-suno, neppure la carità può accettare e scusare atteggiamenti illegali.

Ogni atto criminoso va condanna-to, da qualsiasi parte esso venga, Ma vanno rifiutate e condannate anche invettive accusatorie che colpevolizza-no in maniera generalizzata, per reati e misfatti commessi solo da alcuni. La Chiesa poi non è libera di schierarsi da una parte o dall’altra. Essa deve vive-re la carità e dal suo fondatore è stata messa sempre e comunque dalla parte dei poveri».

continua dalla prima

È da pochi giorni anche nelle librerie cat-toliche della nostra Arcidiocesi la nuova edizione della “Bibbia di Gerusalemme”, pubblicata dalle Edizioni Dehoniane di Bologna (Edb), che alla nuova traduzio-ne del testo sacro approvata dalla Cei (e applicata nella liturgia a partire dall’Av-vento del 2007) unisce commenti e note tematiche curati dalla Scuola biblica e archeologica (École biblique), che a sede a Gerusalemme, poco fuori dalla porta di Damasco, gestita con una forte impronta internazionale dai frati domenicani fran-

cesi. “La comunità dell’École biblique - la definisce p. Paolo Garuti, che lì insegna Nuovo Testamento - non è solo il conven-to domenicano che la ospita e la anima: è una sorta di scuola socratica o di convi-venza temporanea fra donne e uomini, re-ligiosi e laici, credenti o non credenti delle più varie fedi e idealità, che si ritrovano per capire un luogo e un testo”. Ma quali sono le caratteristiche che de-terminano l’unicità della Bibbia di Geru-salemme? Innanzittuto il commento, che mette a confronto diretto i testi originali

con l’attuale traduzione del-la Cei. Esso fa vedere quali interpretazioni hanno avu-to, nelle diverse traduzioni (dall’aramaico e dall’ebraico al greco per l’Antico Testa-mento, dal greco al latino

per il N u o v o Te s t a -mento), q u e i p a s s i difficili o particolarmente controversi. La seconda caratteristica sono le cosiddette «note chiave», che danno una visione sin-tetica unitaria di tutto il testo affrontando temi portanti che ricorrono all’interno del pensiero biblico. Terza caratteristica sono i rimandi latera-li: a lato di ogni pagina vengono indicati i passi biblici che rievocano i temi presenti nel racconto. Il risultato è la messa in luce di un ordito unitario, e chi legge può recu-perare le similitudini, assonanze e remi-niscenze che quelle righe richiamano in tutto il testo biblico.

PenSata Per aPProfondire

La Bibbia di Gerusalemme

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Vita Ecclesiale �L’Amico del Popolo1 Marzo 2009

L’Azione Cattolica di Nicosia in visita da Mons. MuratoreIn attesa della sua ordinazione episcopale che avrà

luogo il prossimo 25 marzo ad Agrigento, Mons. Salvatore Muratore, ha già iniziato a conoscere la sua nuova Diocesi. Lo scorso martedì 24, una dele-gazione dell’Azione Cattolica della diocesi di Nicosia ha fatto visita al suo nuovo Vescovo per presentargli il cammino che l’Associazione sta seguendo.

Mons. Muratore si è informato sul cammino cate-chetico che si segue a Nicosia ed ha appreso con gioia che alcune parrocchie hanno già adottato il sistema catecumenale, così come sollecitato dal Sinodo dio-cesano da poco celebrato. Al termine della mattinata, gli undici ospiti hanno salutato Mons. Montenegro e fatto visita alla Cattedrale, in questi giorni in festa per l’imminenza della Festa del Patrono San Gerlando.

“Eravamo ansiosi di incontrarlo – ha dichiarato Concetta Calì. Sentivamo la necessità di conoscere il

nostro nuovo pastore. Spero di poter collaborare con lui e di riuscire ad instaurare un rapporto amichevole col mio nuovo Vescovo. Vorrei che fosse un Vesco-vo non distaccato, ma vicino ai fedeli, così come mi è sembrato oggi. Credo che abbia la tenacia e l’umiltà che un pastore deve avere”.

Valerio Landri

a cura di Gino FaragoneI Domenica di Quaresima

L’eremitaggio nel deserto o la predicazione nelle strade?

«Tutti i sentieri

del Signore

sono amore

e fedeltà»

la Parola

La Quaresima inizia con un appuntamento preciso, nel deserto e per un tempo ben definito: luogo e tempo che hanno un valore reale e simbolico. Il deserto richiama il luogo dove Israele è stato messo alla prova per qua-rant’anni, ricorda l’esperienza di Mosè e di Elia, è anche lo sfondo con cui inizia lo stesso vangelo di Marco. Il deserto è dunque un luogo di prova, di tentazione, ma anche luogo di intimità e di tenerezza: «Mi ricordo di te - dice il Signore - dell’affetto della tua giovinez-za, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto» (Ger 2,2); luogo dove poter recuperare l’amore della sposa infedele: «Ecco, la attirerò a me e par-lerò al suo cuore. Là canterà come nei giorni della sua gio-

vinezza, quando uscì dal pae-se d’Egitto» (Os 2,16-17).

Il brano del vangelo di oggi (Mc 1,12-15) accosta il batte-simo di Gesù con la sua per-manenza nel deserto, eviden-ziando così il duplice aspetto del deserto come luogo di ri-velazione e di intimità e come luogo di tentazione.

«Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto ri-mase quaranta giorni, ten-tato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano» (Mc 1,12-13). Marco non racconta il tipo di tentazioni subite da Gesù, ma indubbiamente queste ri-guardano il suo essere “Figlio di Dio” e il compimento della volontà del Padre. Il lettore di Marco comprenderà subito che tutta la vita di Gesù sarà piena di tentazioni e quelle

più frequenti riguarderan-no le suggestioni di un mes-sianismo facile, avverso alla logica della croce. Che dire della tentazione più imme-diata, quella di pensare non concluso il tempo del deserto e di rinviare ad altro tempo l’annuncio del Regno? In altre parole continuare a vivere nel deserto da eremita o predica-re l’evangelo nel tumulto del-la storia? Gesù sceglierà non uno spazio protetto, rassicu-rato dalla voce del Padre, ma di camminare in mezzo alla gente, abitare con gli uomini, percorrere le strade polvero-se della Galilea, annunciando la presenza di Dio nella storia tumultuosa degli uomini. Lo farà da uomo nuovo, “nuovo Adamo” vincitore sulle for-ze ostili del male, in piena armonia con il creato. D’ora

in poi il deserto rappresente-rà il luogo dove ritirarsi per sottrarsi ad uno stile di vita frenetico che non lascia più spazio a Dio. Lo stesso Gesù si allontanerà in un luogo de-serto per pregare ed evitare la pressione della gente che lo cerca; successivamente invi-terà i suoi discepoli, di ritor-no dalla missione e tentati dal successo facile, a ritirarsi con lui in un luogo deserto.

É interessante notare che Satana è il personaggio che designa l’avversario che accu-sa in giudizio. In alcuni testi del Primo Testamento Satana è un membro della corte ce-leste che mette alla prova la fedeltà dei prediletti da Dio (Gb 6,6-12; Zc 3,1). Nel Nuo-vo Testamento diventa sino-nimo del diavolo, e in Marco è colui che avversa la parola

(4,15) e porta i discepoli fuori strada.

Gesù viene presentato come “nuovo Adamo”. Supe-rando la tentazione ristabili-sce la condizione originaria dell’Eden nella quale gli ani-mali selvaggi non attaccano l’uomo e gli angeli gli porgo-no il cibo divino. Apre così le porte del paradiso e vive in armonia con gli animali. Si adempiono le profezie degli ultimi tempi che descrivono definitivamente eliminata ogni forma di violenza: «il lupo dimorerà insieme con l’agnello… e un fanciullo li guiderà; la vacca e l’orsa pa-scoleranno insieme, si sdraie-ranno insieme i loro piccoli, il lattante si trastullerà sulla buca dell’aspide, il bambino metterà la mano nel covo di serpenti velenosi» (Is11, 6-8).

CESI� Il documento finale

L’accorato appello dei vescovi sicilianiServe un Piano regolatore socia-

le.I vescovi siciliani, al termine della ses-

sione invernale della Conferenza epi-scopale siciliana, rivolgono un appello “a quanti si sono resi disponibili nel mettersi a servizio della società, perché superando interessi e dinamiche di par-te, uniscano i loro sforzi per rispondere ai bisogni della popolazione ed aprire orizzonti di speranza per il futuro della nostra Isola”.

In particolare, i pastori delle chiese di Sicilia invitano le istituzioni “ad in-vestire maggiori risorse economiche a vantaggio delle fasce più deboli della società, alle famiglie oggi sempre più povere”, ed esortano gli amministratori

pubblici “a mobilitarsi, con particolari programmi di sviluppo, per risolvere gli annosi problemi che toccano le zone più povere del territorio e i quartieri più degradati delle grandi città”.

Dalla Conferenza episcopale siciliana viene denunciata una situazione che vede più di un terzo delle famiglie della nostra regione superare la soglia di po-vertà, con un tasso di disoccupazione molto più ampio di quello nazionale. I vescovi plaudono, infine, al “lavoro ca-pillare e continuativo che svolgono le diverse realtà ecclesiali a favore dei biso-gnosi”, ed esortano tutti “ad intensifica-re le attività e i servizi per rispondere a quanti sono in stato di necessità”: com-prese “tutte le forze buone della società”,

invitate “a promuovere ogni genere di aiuto, anche con apposite fondazioni, a sostegno delle famiglie in difficoltà”.

I lavori sono stati presieduti da S.E. Mons. Paolo Romeo, Arcivescovo di Palermo, il quale, anche a nome dei confratelli ha manifestato gli auguri più fervidi e le congratulazioni a S.E. Mons. Salvatore Muratore, vescovo eletto di Nicosia e a S.E. Mons. Antonio Staglianò, vescovo eletto di Noto, pre-senti alla sessione dei lavori.

L’incontro dei presuli siciliani ha avu-to luogo dopo il Consiglio permanente della CEI e all’indomani del Convegno delle Chiese particolari del Mezzogior-no e del Sud d’Italia sul tema: “Chiesa nel Sud, Chiese del Sud. Nel futuro

da credenti e responsabili”, celebrato a vent’anni dal documento della CEI “Chiesa italiana e mezzogiorno”.

Con riferimento a questi due even-ti ecclesiali, i vescovi di Sicilia hanno approfondito alcuni aspetti che più direttamente riguardano l’Isola, soffer-mandosi in particolare sulla sollecitu-dine delle comunità ecclesiali nel venire

incontro con precise ini-ziative cari-tative e con r i n n o v a t o impegno di sensibilizza-zione e coin-volgimento dei fedeli nell’affronta-re in modo solidale le problemati-che sociali.

A tal pro-posito è stato ricordato che

numerose iniziative vengono promosse nelle Diocesi e dalla comunità parroc-chiali, anche attraverso il canale delle Caritas, a favore di quelle famiglie che attestate attualmente sulla soglia della sussistenza, rischiano di accrescere il numero degli indigenti.

I vescovi hanno, infine, preso in esa-me il testo dell’Intesa tra la Regione Si-ciliana e la Regione Ecclesiastica Sicilia per la tutela, la conservazione e la valo-rizzazione dei Beni Culturali apparte-nenti ad Istituzioni ed Enti ecclesiastici e lo schema di un “Accordo” relativo alla verifica dell’interesse culturale di immobili di proprietà di Enti ecclesia-stici. I vescovi auspicano una maggiore celerità nell’esitare le numerosissime pratiche che riguardano la dichiarazio-ne di interesse culturale degli immobili di proprietà ecclesiastica, che rischiano di bloccare qualunque progetto per la loro valorizzazione e di impedire di concorrere ai bandi europei 2007-2013, che con notevole ritardo ancora devono essere banditi.

Salvatore Pezzino

Karibu sana wageni wetuI�SmanI� Il ritorno dei missionari

Benvenuti ai nostri ospiti! Certamente sono stati accol-ti in questo modo i Missio-nari che, nello scorso mese di gennaio, sono partiti alla volta della nostra Missione. Laggiù - a sud dell’equato-re – hanno trovato l’estate, ma il vero calore che hanno percepito è stato quello dei canti e delle danze di benve-nuto – karibu sana, in lingua swahili – che in ogni villag-gio i nostri fratelli africani hanno intonato per loro. Di-versi erano infatti i motivi di festa e di lode al Signore, che gli africani sanno trovare, nonostante la difficile real-tà della loro vita fatta ogni giorno di stenti e difficoltà. Intanto l’arrivo di Baba (pa-dre) Luigi Mazzocchio che è stato vice parroco ad Ismani dal 1999 al 2004 e del quale in tanti, nei vari villaggi spar-si nel territorio della Missio-ne, conservano un ricordo di affetto e gratitudine. E poi le adozioni! La “Missio”, l’in-carico con il quale il gruppo è partito, infatti, era proprio quello di incontrare tutti gli studenti del programma adozioni per raccogliere foto

e notizie che nel prossimo mese saranno trasmesse agli adottanti. Negli ultimi anni, anche grazie all’incoraggia-mento dato dalle adozioni a distanza, sono sempre più numerosi i ragazzi che, com-pletata la scuola elementare, decidono di proseguire gli studi frequentando la scuo-la secondaria o gli istituti professionali ed il gruppetto di volontari ha dovuto lavo-rare a pieno ritmo per rice-vere tutti i ragazzi adottati e quelli da immettere nel pro-gramma.

«Una emozione fortissi-ma – racconta Alessandro della parrocchia S. Giovanni Battista di Agrigento, appe-na tornato dalla sua prima esperienza ad Ismani – un incontro, quello con i bam-bini ed i ragazzi che vivono intorno alla Missione che supera la barriera della lin-gua e serve per comprende-re il vero valore della condi-visione».

«Il momento più difficile – dice Giovanna della Par-rocchia B.M.V. delle Grazie di Agrigento, al suo secondo viaggio missionario - è sen-

za dubbio quello in cui abbiamo dovuto dire basta e lasciare senza aiuto decine e de-cine di ragazzi che stavano in fila da-vanti la porta della Missione».

Una grandis-sima emozione anche negli occhi di don Enzo Sazio, tornato ad Ismani da Diret-tore dell’Ufficio Liturgico a più di 15 anni di distanza dall’esperienza vissuta da se-minarista: «Celebrare Messa a Ngano o ad Usolanga (due dei villaggi che compongono la nostra Missione, n.d.a.), condividere il ritmo della gioia e della Lode al Signore, prendere parte ai canti ed i balli che accompagnano la Liturgia, constatare l’emo-zione dell’attesa del sacer-dote che una volta al mese va a celebrare Messa... mi ha fatto ‘vivere’ quel versetto dell’Apocalisse che recita “ha riscattato con il Suo sangue uomini di ogni tribù, lingua popolo e nazione”».

Vicky Lipari

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� L’Amico del Popolo1 Marzo 2009Attualità

Solennità di S.Gerlando l’omelia dell’Arcivescovo

amiamo le nostre città! diario multimedi@le«Religione, cultura, società:

con la San Paolo l’ABC e di più»Caro diario,tutti sappiamo che l’abbecedario è quel libretto per

imparare a leggere, altrimenti e più noto come sillabario. Per la gioia degli appassionati di etimologia (come me), il vocabolo deriva dal tardo latino “abecedarium”, dal nome delle prime quattro lettere dell’alfabeto. Se, invece, il ter-mine viene usato come aggettivo, riporta a un componi-mento poetico proprio della letteratura latina cristiana, in cui le lettere iniziali dei singoli versi (o strofe) si succedono in ordine alfabetico: illustre esempio il “carme poetico” di S. Agostino. Senza addentrarci nei meandri della Bibbia, dove non mancano questi curiosi giochi di parole, gli stu-diosi di storia della letteratura italiana ci riferiscono, poi, che non è tanto raro imbattersi negli abbecedari e che, per capire meglio il fine di tali strumenti, è necessario partire dalle origini del linguaggio, conoscere come esso veniva insegnato e soffermarsi sui primi abbecedari per essere in grado di confrontarli con quelli molto più moderni.

Ma non è di approcci elementari ai primi rudimenti del leggere e dello scrivere, né tantomeno di riferimenti diretti alle innumerevoli e polivalenti versatilità della lin-guistica o della poesia “strictu sensu” che, almeno questa settimana, voglio renderti partecipe; laddove, invece, ad incuriosirmi e ad intrigarmi è quell’“abc” che, nell’inces-sante, frenetico e proteiforme fluttuare informativo della nostra contemporaneità globalizzata e massificante, va a riportarci e ad interfacciarci a nuove tipologie comunica-tive immediate, concise ed “a presa rapida”: e cioè volte a fornirci almeno l’“abc” di ciò che c’interessa, lasciandoci liberi, ovviamente, di approfondire in seguito, a seconda delle necessità individuali o (per tutti) tirannia del tempo permettendo.

Certo, caro diario, c’è in agguato il rischio della super-ficialità, dell’approssimazione, dell’inesattezza, ovvero di quella schematicità estrema che diviene, al 99% dei casi, vestibolo e dedalo di una deformazione ancor più perico-losa e nefasta della disinformazione pura e semplice; ma qualche eccezione, per fortuna, c’è sempre, grazie a Dio e, in specie, alle Edizioni San Paolo, costantemente impec-cabili ed esemplari nel proporsi ai più alti livelli bibliogra-fici così come nell’impegnarsi a coniugare, ed al meglio, divulgazione ed informazione.

Un esempio fra tanti, la serie degli “ABC dei…”, ovvero “piccoli vademecum” per capire il mondo religioso (e non solo), rivolti anzitutto, leggo in catalogo, a “catechisti, in-segnanti di religione, studenti…” ma che in quei tre pun-tini finali raccolgono un po’ tutti i possibili fruitori, per originalità e qualità di proposta editoriale, intelligenza e “fiuto” nella scelta dei temi, consistente spessore di ricer-ca, esemplare chiarezza di linguaggio.

E di questi piccoli grandi saggi “enciclopedici” che, per (eccessiva) modestia, dell’“ABC” hanno soltanto il titolo di serie, ne ho qui davanti a me, caro diario, almeno una decina, ad oggi: “ABC” delle Chiese e delle confessioni cristiane, dei nuovi movimenti religiosi (o pseudotali: vi troverai anche le sette), dei Vangeli apocrifi, per capire i Musulmani, della preghiera, delle mappe bibliche, per la lettura della Bibbia, per conoscere l’apostolo Paolo; ed ac-canto ad essi, due “ABC” speciali per una visione cristiana della sessualità e per capire l’omosessualità: testi bellissi-mi, coraggiosi, democratici, lungimiranti, di grande im-pegno morale e civile, che anche i soliti laicisti caricati a pregiudizi dovrebbero leggere prima di sparare fesserie & fetenzie.

Ogni “ABC” ha 64 pagine, dovizia di immagini, proget-to grafico da manuale, struttura editoriale in grado di gui-dare all’istante il lettore su ogni capitolo o punto del “va-demecum”, varie appendici di approfondimento: e in più costa fra i 2 e i 3 euro. Da oggi porterò gli amici in libreria, altro che al bar. “ABC” per tutti, grazie.

Nuccio Mula

Il 17 febbraio è nato il piccolo Vincenzo Infantino.

Vincenzo Infantino

Alla mamma Graziella, al papà Ignazio ed al fratellino Calogero gli auguri da parte della redazio-ne de L’Amico del Popolo.

NascitaIl 21 febbraio nella Chiesa Santa Croce di Agrigento hanno cele-brato le loro nozze,

Maddalena e Alfonso Alaimo

Ai novelli sposi gli auguri della re-dazione de L’Amico del Popolo.

Nozze

(continua dalla prima) É esempio di pacifi-ca convivenza con gente di altra nazionalità, cultura e religione.

Anche noi, suoi devoti, vogliamo essere - come lui - testimoni coraggiosi, infaticabili, zelanti, preoccupati di realizzare la necessa-ria e sem¬pre attuale rivoluzione dell’amore. Anche nell’accoglienza degli immigrati che sbarcano nelle nostre coste. Come lui vo-gliamo impegnarci a portare avanti la nostra riscossa, a dimostrare - o meglio - mostrare coraggiosamente la nostra fede. Come lui in-tendiamo essere intraprendenti nell’evange-lizzare e come lui affezionati e amanti delle nostre città.

Giustamente, noi Agrigentini, ci gloria-mo di essere concittadini di grandi uomini come Empedocle o Pirandello, ma non di-mentichiamo di esserlo anche di Gerlando! Sentiamoci uniti, con la sua stessa operosità e col suo stesso coraggio, nel voler rende-re Agrigento pregevole non solo per i suoi edifici e il suo paesaggio ma anche per i suoi abitanti. Diventiamo arditi nel desiderare un futuro diverso per noi e per la città. Il fatto che io insista sull’impegno della Chiesa nelle città non significa che essa debba operare o consigliare scelte politiche, né ambire nuove crociate. Chiamato ad essere vostro servi-tore, come dice Paolo (2 lett), desidero che tutti ci ritroviamo con uno spirito diverso, quello dei combattenti (mi rifaccio al nome e allo stile di Gerlando). La mia convinzione è che come credenti, ricchi cioè della visione dell’uomo, del mondo, della vita che deriva dalla fede, non possiamo non occupare quel ruolo morale e religioso, che, nel rispetto di tutti, ricerca il bene comune e difende quanti sono offesi e non vedono riconosciuta la loro dignità.

Agrigento è città aperta, bella ma non facilmente decifrabile e ricca di contrasti. É madre orgogliosa e casa comune di intel-ligenze di grande qualità e spessore, capa-ci di progetti interessanti, ma intelligenze che forse non sempre si confrontano o non sempre dialogano sufficientemente, con la conseguenza che la loro preziosa azione non riesce a sortire il bene della città, nono-stante tutti lo portano nel cuore. Aristotele affermava che è “l’amicizia a tenere insieme la città”. Per amicizia intendo quel forte filo che, nonostante le diversità di opinioni, uni-sce operativamente la volontà e l’intelligenza di chi occupa posti di responsabilità e crea atteggiamenti di servizio ed accoglienza, so-prattutto e anche di chi è debole e ai margini.

Lo dico ancora una volta e non mi stan-cherò di ripeterlo: amiamola questa nostra Città! Amiamo le nostre città! Stiamo in esse con interesse, con efficacia, con amore,

con avvedutezza! Vorrei la forza e il cuore di Gerlando per fare entrare nei cuori di tutti, specialmente degli Agrigentini, queste pa-role: amiamo le nostre città, siamole amici, abitiamole e guardiamole senza sospetto, al-lontaniamo la distruttiva indifferenza, faccia-mole essere luoghi di collaborazione, di inte-grazione di idee, di sogni, di prassi effettive ed affettive, estetiche ed etiche, rendiamole capaci di offrire reti solidali che accolgono e proteggono.

Ricompattiamo, noi di Agrigento, la spe-ranza perché non si frantumi. É vero, non sono poche le crepe e le sfasature che questa città mostra, ma di certo la rassegnazione e lo sconforto non le faranno scomparire; sen-tiamo e paghiamo il peso delle sue contrad-dizioni, ma il disfattismo non le cancellerà. Semmai as¬sumiamoci, tutti, nuove e più risolute responsabilità! Noi credenti faccia-molo in nome del Vangelo. Scrollare da ri-nunciatari le spalle è chiudere gli occhi alla speranza. E questo è peccato.

Non è facile, lo ammetto: il segno lasciato dalla frana; il centro storico svuotato e di-menticato; i rioni satelliti, la cui distanza dal centro e tra loro è aggravata dalla difficoltà e dalla scarsità dei collegamenti; l’assenza di una piazza cuore e luogo d’incontro, non permettono la creazione e il mantenimento di relazioni consistenti ed aggregative, di fare sentire Agrigento una grande città. Ma ciò, più che farci rassegnare, sentiamolo come spinta ad agire ed osare per rendere più a misura d’uomo questa atipica città. La de-vozione a Gerlando (il combattente) faccia trovare a tutti - cittadini ed amministratori - l’energia per sciogliere i nodi che rendono questa città insostenibile, soprattutto per i più deboli, per quanti hanno difficoltà a tro-vare un posto in essa, o si sentono sperduti, o soli, o peggio, estranei nella loro città.

Questi sono motivi per cui noi cristiani, come il Vescovo Gerlando, dobbiamo amare la città, ogni città che abitiamo. Esse ci ap-partengono e noi dobbiamo esemplarmente e attivamente impegnarci perché diventino casa - e per Agrigento è facile aggiungere bella - in cui possano vivere bene e convivere pacificamente credenti e non credenti, cri-stiani e seguaci delle altre religioni.

Diceva La Pira che il sogno e la speranza del futuro dell’uomo passa attraverso l’im-magine di una città autentica. La speranza è per tutti noi la scommessa più grande.

Le nostre comunità, piccole e grandi, e ognuno di noi, singoli cristiani, siamo chia-mati ad avere la passione per il bene comune ed essere, perciò, segni positivi con la parola, con l’esempio, con la fede. Non è sufficiente essere esperti ed interessati alle cose di Dio,

bisogna esserlo egualmente delle cose che a Lui stanno a cuore: quelle degli uomini. Non possiamo accontentarci di essere esperti dell’umano, dobbiamo essere immessi nel-l’umano. E questo non può essere inteso solo come impegno sociale ma è anche strada di santità.

Una città si rinnova partendo dalle fonda-menta che sono i suoi cittadini. L’eucaristia obbliga noi credenti a guardare con simpa-tia le nostra città, ad essere presenti dove ci sono i problemi. Sono tante le cose buone da costruire, le piaghe da curare, le situazioni da condividere. Dobbiamo essere anima delle città, fermento nei rapporti interpersonali.

Noi preghiamo per la Diocesi e per Agri-gento, perché le nostre città siano libere da ogni angoscia, perché i tanti problemi siano affrontati e possibilmente risolti in manie-ra dignitosa e perché tutti, anziani, giovani, bambini, poveri, stranieri, malati, uomini, donne, possano guardare il futuro con mag-giore fiducia. Ma questo dono affettuoso - la preghiera - sarebbe incompleto se, nello stesso tempo, non ci attiviamo a creare un tessuto di valori condivisi e fruttuosi, di con-divisione e di coinvolgimento.

Se la città fisica è malata, la società è ma-lata e viceversa. Allora cambiare il volto della città significa mutare gli atteggiamenti della società. Diceva La Pira che “le città non sono cumuli occasionali di pietre, ma misteriose abitazioni di uomini”. Agrigento, la nostra città, come ogni altra città, per noi non può essere solo strade, piazze, case, ma comunità di persone che insieme danno vita a una fitta e sincera rete di relazioni, di storie, di bisogni e di speranze.

Potrei aver dato l’impressione di aver par-lato solo di impegno sociale o di aver pensato solo ad Agrigento. Ma in realtà, oggi festa del nostro santo protettore, voglio ribadire che l’impegno per le cose degli uomini è per il cristiano la via della santità. Le città sono of-ficina di santità, perchè in esse si vive la logi-ca dell’incarnazione. Come Cristo si é calato nella storia degli uomini, così anche noi dob-biamo stare dentro la vita delle nostre città con amore, per dare un volto pienamente e veramente umano.

Io, noi questo lo crediamo. Questo lo vo-gliamo, nonostante tutto. Questo vogliamo desiderarlo con molti. Sperarlo con tutti. Questo sogno lo affidiamo all’intercessione di S. Gerlando, nostro Protettore».

Quest’anno ad offrire l’olio per la lampada votiva a San Gerlando è stato il comune di Grotte, al termine della celebrazione, come ormai consuetudine, un rappresentante del Corpo della Polizia Municipale ha recitato la preghiera al Santo compatrono.

Il 21 febbraio presso l’Università di Perugia ha conseguito la lau-rea in Comunicazione multime-diale

Morena Di Leo Alla neo dottoressa auguriamo di poter raggiungere tutti i tra-guardi professionali desiderati.

Laurea