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1 Note di “Derivate ed Integrali” Versione 1.0 Lamberto Lamberti & Corrado Mascia parte II Integrale, derivate, teoremi sulle derivate, analisi locale, analisi globale 16 Ottobre 2002

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Note di “Derivate ed Integrali”

Versione 1.0

Lamberto Lamberti & Corrado Mascia

parte II

Integrale, derivate, teoremi sulle derivate, analisi locale, analisi globale

16 Ottobre 2002

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Indice

1 L’integrale 51.1 Aree ed integrali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51.2 Definizione analitica dell’integrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101.3 Proprieta dell’integrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141.4 Integrale con estremi variabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181.5 Scheda riassuntiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20

2 Derivate, derivate e derivate 252.1 Definizione di derivata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 272.2 Prime formule di derivazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 302.3 Regole fondamentali di derivazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 332.4 Derivate successive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 392.5 ∗ Derivate parziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 412.6 Scheda riassuntiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43

3 Teoremi sulle derivate 453.1 Teorema di Lagrange . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 453.2 Conseguenze del Teorema di Lagrange . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 483.3 Teorema fondamentale del calcolo integrale . . . . . . . . . . . . . . . . . 533.4 Scheda riassuntiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58

4 Analisi locale 614.1 Punti stazionari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 614.2 Punti di singolarita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 654.3 Comportamento asintotico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 674.4 Scheda riassuntiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71

5 Analisi globale 735.1 Problemi quotidiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 735.2 A caccia di massimi e minimi assoluti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 745.3 Concavita e convessita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 775.4 Scheda riassuntiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82

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4 INDICE

Tabella delle derivate

funzione f derivata prima f ′ funzione f derivata prima f ′

costante 0 xα αxα−1

sin x cos x cos x − sin x

ex ex ln x1

x

tan x1

cos2 x= 1 + tan2 x cot x − 1

sin2 x= −1− cot2 x

ax ax ln a arctan x1

1 + x2

arcsin x1√

1− x2arccos x − 1√

1− x2

sinh x cosh x cosh x sinh x

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Capitolo 1

L’integrale

1.1 Aree ed integrali

L’idea intuitiva di “area” di una regione del piano e il numero di quadrati unitaricontenuti all’interno della regione. Da questa visione naıf dell’area seguono alcuneproprieta elementari:

(i) l’area e un numero positivo, che dipende dall’unita di misura adottata (metri qua-drati, centimetri quadrati,. . . );(ii) figure congruenti, cioe sovrapponibili con un movimento rigido, hanno la stessaarea;(iii) l’area di un rettangolo e il prodotto delle lunghezze dei lati;(iv) se una regione A contiene una regione B allora l’area di A e maggiore o uguale aquella di B;(v) se una regione e divisa in piu parti disgiunte, l’area del tutto e data dalla sommadelle aree delle singole parti.

Grazie alle proprieta elencate, le regioni decomponibili in rettangoli, dette pluriret-

tangoli, hanno come area la somma delle aree (prodotto dei lati) dei rettangoli che lecompongono. Inoltre, per ogni regione E, scelti due plurirettangoli R′ e R′′ tali cheR′ ⊆ E ⊆ R′′, riesce

A(R′) ≤ A(E) ≤ A(R′′),

dove A(E) indica l’area di E.

Il valore A(E) puo essere individuato se si conoscono due successioni di plurirettangoliR′

n ed R′′n tali che

R′n ⊆ E ⊆ R′′

n, limn→∞

A(R′n) = lim

n→∞A(R′′

n)

Tale procedimento si chiama metodo di esaustione ed e quello usato per l’area di nu-merose regioni considerate in geometria euclidea (cerchi, ellissi, ecc.).

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6 CAPITOLO 1. L’INTEGRALE

Figura 1.1: La regione E e due plurirettangoli approssimanti

Il procedimento appena descritto e particolarmente interessante al fine di dareuna definizione rigorosa di area di una regione del piano. Infatti, non e assolu-tamente chiaro se ad un qualsiasi sottoinsieme del piano sia possibile associare unnumero, per l’appunto l’area, in modo che siano soddisfatte le proprieta suscritte.Un insieme per cui sia possibile determinare le successioni di plurirettangoli R′

n

ed R′′n con le proprieta appena dette si chiama insieme misurabile, e il valore di

limn→∞

A(R′n) = lim

n→∞A(R′′

n) e l’area dell’insieme. Il fatto sorprendente e che esistonoinsiemi non misurabili!

Area di un sottografico

Consideriamo una funzione f : [a, b] → R non negativa: la regione

R = {(x, y) | a ≤ x ≤ b, 0 ≤ y ≤ f(x)}

e detta sottografico di f relativamente all’intervallo [a, b]. La nozione analitica diintegrale nasce dall’esigenza di definire rigorosamente e calcolare l’area A di un sot-tografico.

Definizione 1.1.1 (Integrale di una funzione non negativa).Sia f definita in [a, b] e non negativa. L’area del sottografico di f in [a, b] si chiama integrale

della funzione f : [a, b] → R sull’intervallo [a, b] e si indica con∫ b

af(x) dx

A questo punto ci sono due problemi fondamentali.– Determinare una classe di funzioni per cui l’integrale abbia senso. In altre parole,determinare una classe di funzioni il cui sottografico abbia un’area ben definita.

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1.1. AREE ED INTEGRALI 7

– Determinare una maniera operativa per calcolare il valore dell’integrale per lo menoin qualche caso di funzione f particolarmente semplice.

Partiamo prima dal secondo problema e seguiamo la strategia del metodo di esau-stione. Per costruire i plurirettangoli approssimanti

• si divide l’intervallo [a, b] in piu sotto–intervalli tramite una scelta di punti

a = x0 < x1 < . . . < xn = b;

• si approssima l’area del sottografico relativo a ciascuno di tali intervalli con quelladi due rettangoli, R′ e R′′, che hanno come base il sotto–intervallo e come altezzeil minimo e il massimo che la funzione prende in tale sotto–intervallo.

Assegnata una funzione f(x), continua in [a, b], indichiamo con

P = {x0, x1, . . . , xn} dove a = x0 < x1 < . . . < xn = bmi = min

[xi−1,xi]f(x) Mi = max

[xi−1,xi]f(x)

∆xi = xi − xi−1.

L’insieme P , che determina la suddivisione di [a, b] in sottointervalli, e detto essere una

partizione di [a, b], dato che [a, b] =n⋃

i=1[xi−1, xi]. Le aree dei plurirettangoli R′ e R′′ sono

date da

A(R′) =n∑

i=1

mi ∆xi, A(R′′) =n∑

i=1

Mi ∆xi.

Aumentando il numero di punti di sottointervalli e facendo in modo che le lunghezze∆xi = xi+1 − xi tendano a zero man mano che si aumenta il numero di punti, si ot-tiene la successione di plurirettangoli richiesta. Il valore comune del limite delle areedei plurirettangoli contenuti e di quelli contenenti la regione e l’integrale richiesto.Partiamo da qualche esempio.

I. Nel caso di f(x) = costante = γ, il calcolo e banale: il sottografico e un rettangolo e quindi∫ b

aγ dx = γ(b− a).

Anche il procedimento tramite la suddivisione in sottointervalli porta allo stesso risultato: sceltii punti x0, . . . , xn, si ha sempre e comunque mi = Mi = γ, quindi

A(R′) = A(R′′) =n∑

i=1

γ∆xi = γ(b− a).

Dato che A(R′) ≤∫ ba f(x) dx ≤ A(R′′), si ottiene la conclusione.

II. L’integrale della funzione f(x) = x, come sappiamo dalla geometria elementare, ha il valore∫ b

ax dx =

12(b− a)(b + a) =

12(b2 − a2).

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8 CAPITOLO 1. L’INTEGRALE

Verifichiamo il risultato a partire dall’approssimazione tramite plurirettangoli. Dividiamo l’in-tervallo [a, b] in n parti di uguale lunghezza tramite i punti

a < a + h < a + 2h < . . . < a + nh = b dove h =b− a

n.

Ponendo xk = a + kh,

mk = min[xk−1,xk]

x = xk−1 = a + (k − 1)h, Mk = max[xk−1,xk]

x = xk = a + kh,

i plurirettangoli hanno aree

A(R′n) = ah + (a + h)h + . . . + (a + (n− 1)h)h = h

n−1∑k=0

(a + kh) = hna + h2n−1∑k=0

k,

A(R′′n) = (a + h)h + (a + 2h)h + . . . + (a + nh)h = h

n∑k=1

(a + kh) = hna + h2n∑

k=1

k

Tenuto conto chen−1∑k=0

k = n(n−1)2 e

n∑k=1

k = n(n+1)2 , riesce

A(R′n) = hna + h2 n(n− 1)

2= (b− a)a + (b− a)2

n(n− 1)2n2

A(R′′n) = hna + h2 n(n + 1)

2= (b− a)a + (b− a)2

n(n + 1)2n2

,

quantita che hanno evidentemente lo stesso limite

limn→+∞

A(R′n) = lim

n→+∞A(R′′

n) = (b− a)a +(b− a)2

2=

b2 − a2

2.

III. Per misurare l’area del sottografico della parabola y = x2, non abbiamo formule nell’archi-vio delle figure geometriche elementari. Per semplicita, supponiamo 0 ≤ a < b e costruiamo lesomme su sotto intervalli come fatto prima, cioe scegliamo la partizione a, a+h, a+2h, . . . , a+(n− 1)h, a + nh = b dove h = (b− a)/n. In questo caso, ponendo xk = a + kh,

mk = min[xk−1,xk]

x2 = (a + (k − 1)h)2, Mk = max[xk−1,xk]

x2 = (a + kh)2,

da cui segue

A(R′n) = a2h + (a + h)2h + (a + 2h)2h + . . . + (a + (n− 1)h)2h,

A(R′′n) = (a + h)2h + (a + 2h)2h + . . . + (a + nh)2h.

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1.1. AREE ED INTEGRALI 9

Svolti i quadrati e tenuto presente che h = b−an , si ottiene

A(R′n) = h

{na2 + 2ah

n−1∑k=0

k + h2n−1∑k=0

k2

}

= (b− a)

{a2 +

2a(b− a)n2

n−1∑k=0

k +(b− a)2

n3

n−1∑k=0

k2

},

A(R′′n) = h

{na2 + 2ah

n∑k=1

k + h2n∑

k=1

k2

}

= (b− a)

{a2 +

2a(b− a)n2

n∑k=1

k +(b− a)2

n3

n∑k=1

k2

}.

Dato chen∑

k=1k = 1

2n(n + 1) en∑

k=1k2 = 1

6n(n + 1)(2n + 1), sostituendo

A(R′n) = (b− a)

{a2 + a(b− a)

n− 1n

+ (b− a)2(n− 1)(2n− 1)

6n2

},

A(R′′n) = (b− a)

{a2 + a(b− a)

n + 1n

+ (b− a)2(n + 1)(2n + 1)

6n2

}.

Quindi

limn→+∞

A(R′n) = lim

n→+∞A(R′′

n) = (b− a)a2 + a(b− a)2 +(b− a)3

3=

b3 − a3

3,

cioe ∫ b

ax2 dx =

13(b3 − a3).

La formula ottenuta e nota come formula di Archimede per l’area del segmento parabolico,cioe del sottografico della parabola x2 relativamente all’intervallo [0,H], area calcolata daArchimede come un terzo dell’area del rettangolo di estremi (0, 0)−(H,H2), quindi 1

3H H2.Il caso precedente su [a, b] si tratta, ovviamente, per differenza.

∗ Somma di potenze dei primi n interi. Nel calcolo dell’integrale delle funzioni x e x2 si sono usate leformule

n∑k=1

k =12n(n + 1). e

n∑k=1

k2 =16n(n + 1)(2n + 1),

ma come si dimostrano? La somman∑

k=1

(k + 1)2 si puo riscrivere in due modi diversi

n∑k=1

(k + 1)2 = 22 + 32 + · · · + (n + 1)2 =n∑

k=1

k2 + (n + 1)2 − 1

oppuren∑

k=1

(k + 1)2 =n∑

k=1

(k2 + 2k + 1) =n∑

k=1

k2 + 2n∑

k=1

k + n.

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10 CAPITOLO 1. L’INTEGRALE

Figura 1.2: Un plurirettangolo per l’integrale di x2

Uguagliando le due espressioni, si ha

n∑k=1

k2 + (n + 1)2 − 1 =n∑

k=1

k2 + 2n∑

k=1

k + n ⇒ (n + 1)2 − 1 = 2n∑

k=1

k + n.

Sviluppando il binomio a primo membro, si ricava 2∑

k k = n2 + n, cioe la conclusione.

In modo simile si ricava la formula esplicita pern∑

k=1

k2: scriviamon∑

k=1

(k + 1)3 in due modi diversi:

n∑k=1

k3 + (n + 1)3 − 1 =n∑

k=1

(k + 1)3 =n∑

k=1

k3 + 3n∑

k=1

k2 + 3n∑

k=1

k + n.

Risolvendo rispetto a∑

k k2 e utilizzando la formula per∑

k k,

n∑k=1

k2 =13

[(n + 1)3 − 1− 3

n∑k=1

k − n

]=

n(n + 1)(2n + 1)6

.

Con la stessa strategia si puo ricavare una formula esplicita pern∑

k=1

kp per p ∈ N.

1.2 Definizione analitica dell’integrale

Nel precedente paragrafo, abbiamo considerato l’area di un sottografico come unaquantita data intuitivamente e la abbiamo rappresentata come limite di aree di pluriret-tangoli. Invertiamo ora il procedimento: partiamo dalla costruzione di plurirettangoli(opportuni) e dimostriamo che le loro aree tendono ad un limite quando la lunghezza

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1.2. DEFINIZIONE ANALITICA DELL’INTEGRALE 11

dei sottointervalli tende a zero. Il valore di questo limite da la definizione di integrale.E importante notare che la definizione di integrale e indipendente dal segno della fun-zione stessa e che l’equivalenza integrale=area del sottografico vale solo per funzionipositive.

Data f : [a, b] → R continua, dividiamo l’intervallo tramite una partizione P ,indicandone i punti con a = x0 < x1 < x2 < . . . < xn−1 < xn = b.

L’ampiezza δ della partizione P e il valore massimo delle lunghezze dei sottointer-valli: δ = max{∆x1, . . . , ∆xn} dove ∆xi := xi − xi−1.

In ogni intervallo [xi−1, xi] scegliamo un punto ξi e formiamo la somma

F :=n∑

i=1

f(ξi)∆xi ≡ f(ξ1)∆x1 + f(ξ2)∆x2 + · · ·+ f(ξn)∆xn.

Teorema 1.2.1 (Esistenza dell’integrale per funzioni continue).Data una funzione f : [a, b] → R continua, la somma F tende ad un valorelimite per δ → 0 dove δ e l’ampiezza della partizione.Tale limite e indipendente dalla scelta di xi, ξj.

Definizione 1.2.2 (Integrale di una funzione continua).Il valore limite di F per δ → 0 si chiama integrale di f nell’intervallo [a, b] e si indica1 con

∫ b

af(x) dx.

La lettera usata per indicare la variabile di integrazione e del tutto indifferente: al posto dib∫

a

f(x) dx, si puo scrivereb∫

a

f(t) dt ob∫

a

f(u) du. Gli estremi dell’intervallo di integrazione a

e b influiscono sul valore dell’integrale per un’assegnata f . Percio bisogna evitare scritture

comex∫a

f(x) dx ob∫

a

f(a) da in cui la stessa lettera e usata per la variabile di integrazione e

per uno degli estremi dell’intervallo.

Nella definizione di integrale, non viene fatta nessuna richiesta di positivita dellafunzione. Se l’integrando f e positivo nell’intervallo [a, b], l’integrale si identifica conl’area del sottografico di f in [a, b]. Se f e negativa in tutto o in parte dell’interval-lo, l’unico effetto e di rendere alcuni fattori f(ξi) negativi, invece di positivi. Que-sto corrisponde ad assegnare alla regione limitata dalla parte della curva sotto l’assedelle x un’area negativa. L’integrale sara quindi la somma di termini positivi e negativi, incorrispondenza delle zone in cui la curva e sopra o sotto l’asse x.

1Notazione di Leibnitz per l’integrale. Il simbolo dell’integrale e una modifica del simbolo disomma indicato da una lunga S come si usava al tempo di Leibnitz. Il passaggio al limite da unasuddivisione finita in porzioni di lunghezza ∆xi e indicato dall’uso della lettera d invece di ∆.

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12 CAPITOLO 1. L’INTEGRALE

Dimostrazione dell’esistenza dell’integrale per funzioni lipschitziane

Dimostriamo il Teorema sotto l’ipotesi aggiuntiva che la funzione f sia lipschitziana:

|f(x)− f(y)| ≤ L|x− y| ∀x, y ∈ [a, b].

Decomponiamo [a, b] come [a, b] = [x0, x1] ∪ [x1, x2] ∪ . . . ∪ [xn−1, xn] e poniamo

P = {x0, x1, . . . , xn} dove a = x0 < x1 < . . . < xn = bmi = min

[xi−1,xi]f(x) Mi = max

[xi−1,xi]f(x)

∆xi = xi − xi−1.

Costruiamo le somme

s(P ) =n∑

i=1

mi∆xi, S(P ) =n∑

i=1

Mi∆xi

dette somme integrali inferiori e superiori.2

Passo 1. Tutte le somme integrali inferiori sono minori o uguali a tutte le somme integralisuperiori. In particolare, sup

Ps(P ) ≤ inf

PS(P ), dove l’estremo superiore e l’estremo inferiore

sono presi rispetto a tutte le possibili partizioni P dell’intervallo [a, b].E evidente che le somme inferiori sono minori uguali delle somme superiori costru-

ite in corrispondenza della stessa decomposizione. Meno ovvio e che tale relazione siconservi anche se le due somme sono riferite a decomposizioni diverse. Il fenomeno siriconosce tramite il seguente ragionamento:– date P1 e P2 due partizioni di [a, b], sia P ∗ = P1 ∪ P2 la partizione determinata daipunti che figurano in P1 o in P2;– riesce (evidentemente) s(P1) ≤ s(P ∗) ≤ S(P ∗) ≤ S(P2);– ne segue che s(P1) ≤ S(P2).

Passo 2. Per ogni partizione P0 di ampiezza δ, vale la stima S(P0) − s(P0) ≤ Lδ(b − a).In particolare, sup

Ps(P ) = inf

PS(P ), dove l’estremo superiore e l’estremo inferiore sono presi

rispetto a tutte le possibili partizioni P dell’intervallo [a, b].Infatti, per una qualsiasi partizione P0, vale

S(P0)− s(P0) =n∑

i=1

(Mi −mi)∆xi =n∑

i=1

|Mi −mi|∆xi

Siano αi e βi, rispettivamente, un punto di massimo ed uno di minimo della funzionef in [xi−1, xi], allora

|Mi −mi| = |f(αi)− f(βi)| ≤ L|αi − βi| ≤ Lδ.

2Queste due somme integrali sono amici gia conosciuti nel paragrafo iniziale. Lı rappresentavano learee di plurirettangoli approssimanti. Qui la situazione e analoga a patto di tener conto delle questionicollegate al segno di f .

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1.2. DEFINIZIONE ANALITICA DELL’INTEGRALE 13

Sostituendo questa stima nella relazione precedente, si ottiene

0 ≤ infP

S(P )− supP

s(P ) ≤ S(P0)− s(P0) ≤ Lδn∑

i=1

∆xi = Lδ(b− a).

Tenuto conto che possiamo scegliere P0 con δ arbitrariamente piccolo, ne segue laconclusione.

Passo 3. Sia ` := supP

s(P ) = infP

S(P ). Scelti i punti ξi ∈ [xi−1, xi], le somme integrali

F =n∑

i=1f(ξi)∆xi tendono ad ` al tendere di δ a 0.

Fissata la partizione P e scelti ξi ∈ [xi−1, xi], si ha, per costruzione, mi ≤ f(ξi) ≤ Mi,cioe s(P ) ≤ F ≤ S(P ) e quindi

|F − `| ≤ S(P )− s(P ) ≤ Lδ(b− a)

che porta in un soffio alla conclusione.

Per dimostrare il Teorema supponendo solamente la continuita della funzione f

occorre passare per un altro risultato (il Teorema di Heine-Cantor) che garantiscel’uniforme continuita della f . Come dovrebbe intuirsi dai passaggi per il caso lips-chitziano, l’uniforme continuita gioca il suo ruolo nella stima (in modo uniforme,appunto!) della differenza f(αi)−f(βi). Avete intuito? Bene. Vi siete persi? Datevitempo... capirete.

Si possono integrare funzioni non continue?

Puo accadere che le somme integrali convergano anche se la funzione f non e continua dap-pertutto, ad esempio se essa ha solo discontinuita di salto in uno o in piu punti. Ad esem-

pio,+1∫−1

sgn (x) dx = 0. Quindi l’integrale puo avere senso anche per alcune funzioni che ab-

biano delle discontinuita. La costruzione delle somme integrali e la stessa descritta per le fun-zioni continue con l’unica modifica di sostituire a ciascun massimo e minimo, rispettivamente,l’estremo superiore e l’estremo inferiore:

mi = inf[xi−1,xi]

f(x) Mi = sup[xi−1,xi]

f(x)

Definizione 1.2.3 (Funzioni integrabili).Una funzione f : [a, b] → R limitata si dice integrabile3 in [a, b] se la somma F tende ad un valorelimite per δ → 0, dove δ e l’ampiezza della partizione, e tale limite e indipendente dalla scelta di xi, ξj .

Equivalentemente, si puo dire che una funzione e integrabile se sup s(P ) = inf S(P ) dove,come sempre, P rappresenta una partizione di [a, b].

Alla luce della Definizione 1.2.3, il Teorema 1.2.1 si puo enunciare nella forma: tutte lefunzioni continue in [a, b] sono integrabili in [a, b].

3L’integrale che abbiamo definito qui e noto come integrale di Riemann per distinguerlo dai altriconcetti di integrale.

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14 CAPITOLO 1. L’INTEGRALE

1.3 Proprieta dell’integrale

Le proprieta fondamentali dell’integrale discendono direttamente dalla sua definizio-ne come limite di somme integrali.

Additivita. Per ogni a < c < b e per ogni funzione integrabile f∫ b

af(x) dx =

∫ c

af(x) dx +

∫ b

cf(x) dx. (1.1)

Per una dimostrazione analitica, dati a < c < b, scegliamo la partizione in modo che il punto cappaia come un punto della divisione stessa, diciamo c = xm (con m che varia con n). Allora

n∑i=1

f(ξi)∆xi =m∑

i=1

f(ξi)∆xi +n∑

i=m+1

f(ξi)∆xi,

dove la prima somma a membro destro corrisponde ad una partizione dell’intervallo [a, c] inm sottointervalli, e la seconda somma ad una partizione dell’intervallo [c, b] (in n − m sottointervalli). Per δ → 0, otteniamo la regola (1.1).

Per ora abbiamo definito∫ ba f(x) dx solo per a < b. Per a = b o a > b, definiamo

l’integrale in modo che sia preservata la regola dell’additivita: per c = a, deve valere∫ b

af(x) dx =

∫ a

af(x) dx +

∫ b

af(x) dx,

da cui segue ∫ a

af(x) dx := 0

(coerente con l’interpretazione in termini di aree). Per b = a in (1.1)

0 =∫ a

af(x) dx =

∫ c

af(x) dx +

∫ a

cf(x) dx

da cui segue la definizione∫ a

cf(x) dx := −

∫ c

af(x) dx a < c,

dove il membro destro ha il significato precedentemente definito.

Il significato geometrico e che l’area sotto la curva y = f(x) va contata comenegativa se la direzione di percorrenza dall’estremo inferiore di integrazioneal superiore e decrescente in x.

Linearita. Per ogni α, β ∈ R e per ogni coppia di funzioni f, g integrabili

α∫ b

af(x) dx + β

∫ b

ag(x) dx =

∫ b

a[αf(x) + βg(x)] dx. (1.2)

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1.3. PROPRIETA DELL’INTEGRALE 15

La dimostrazione e conseguenza della linearita della somma:

α

[n∑

i=1

f(ξi)∆xi

]+ β

[n∑

i=1

g(ξi)∆xi

]=

n∑i=1

[αf(ξi) + βg(ξi)]∆xi

La regola (1.2) ci permette di integrare combinazioni lineari di due o piu funzioni chepossono essere integrate individualmente. Ad esempio per una funzione quadraticaf(x) = Ax2 + Bx + C con A, B, C ∈ R∫ b

a

(Ax2 + Bx + C

)dx = A

∫ b

ax2 dx + B

∫ b

ax dx +

∫ b

aC dx

=A

3(b3 − a3) +

B

2(b2 − a2) + C(b− a).

Monotonıa. Per ogni coppia di funzioni f, g integrabili

f ≥ g in [a, b] =⇒∫ b

af(x) dx ≥

∫ b

ag(x) dx. (1.3)

Infatti, dalla costruzione dell’integrale segue che

f ≥ 0 in [a, b] ⇒∫ b

af(x) dx ≥ 0.

dato che l’integrale e ottenuto come limite di somme di termini che, nel caso di una funzionenon negativa, sono tutti non negativi. Dalla linearita dell’integrale,∫ b

af(x) dx−

∫ b

ag(x) dx =

∫ b

a(f(x)− g(x)) dx ≥ 0.

Dalla proprieta di monotonia dell’integrale discende una proprieta utile, che e, sostan-zialmente, una “disuguaglianza triangolare per integrali”:

∣∣∣∣∣∫ b

af(x) dx

∣∣∣∣∣ ≤b∫

a

|f(x)| dx. (1.4)

Infatti, dato che±f ≤ |f |, riesce±b∫a

f(x) dx ≤b∫a|f(x)| dx, e, con un minimo di memoria/atten-

zione alla definizione del modulo, segue la conclusione.

Teorema della media integrale

Sia f una funzione continua in un intervallo [a, b]. Per il teorema di Weierstrass, esisto-no due costanti M, m ∈ R tali che m ≤ f(x) ≤ M per ogni x ∈ [a, b]. Per la monotoniadell’integrale, vale la stima

m(b− a) =∫ b

am dx ≤

∫ b

af(x) dx ≤

∫ b

aM dx = M(b− a) (1.5)

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16 CAPITOLO 1. L’INTEGRALE

Questa formula e intuitivamente ovvia: se f e non negativa e pensiamo all’integralecome area, le quantita M(b − a) e m(b − a) rappresentano le aree di un rettangolocircoscritto ed inscritto nel sottografico di f .

La formula (1.5) puo anche essere riscritta nella forma

m ≤ µ :=1

b− a

∫ b

af(x) dx ≤ M. (1.6)

dove µ e la media integrale di f in [a, b].

Teorema 1.3.1 (Teorema della Media Integrale).Sia f : [a, b] → R una funzione continua in [a, b]. Allora esiste un valoreξ ∈ [a, b] tale che

f(ξ) =1

b− a

∫ b

af(x) dx.

Nel caso di f(x) ≥ 0, il teorema equivale ad affermare che esiste un rettangolo dibase [a, b] ed una altezza f(ξ) conveniente che ha la stessa area del sottografico (cosadel tutto evidente).

Dimostrazione del Teorema della Media Integrale. La dimostrazione e conseguenza immedi-ata del Teorema dei valori intermedi. Infatti, come si e visto, la media µ di f in [a, b], definita in(1.6), e sempre compresa tra il massimo M e il minimo m della funzione f nell’intervallo. Per ilteorema di Weierstrass esistono due punti x1 e x2, tali che f(x1) = m e f(x2) = M . Applicandoall’intervallo delimitato da x1 e x2 il Teorema dei valori intermedi, si ottiene la conclusione.

Il Teorema 1.3.1 vale anche nel caso in cui b < a (ovviamente sempre sotto l’ipotesidi continuita della funzione f ).

Controesempio. Nel caso in cui la funzione f non sia continua in tutto [a, b], non edetto che valga la conclusione. Ad esempio se si considera la funzione f(x) = sgn x in

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1.3. PROPRIETA DELL’INTEGRALE 17

[−1, 2], si ha

µ =1

2− (−1)

∫ 2

−1sgn (x) dx =

1

3(−1 + 2) =

1

3,

che non fa parte dell’immagine della funzione sgn x.

Il nome “media integrale” discende dal fatto che il valore µ e l’erede naturale della “mediaaritmetica”. Dato un numero finito di quantita f1, f2, . . . , fn si chiama media aritmetica ilvalore

f1 + f2 + . . . + fn

n.

Nella costruzione dell’integrale di una funzione in un intervallo, se consideriamo intervalli dilunghezza ∆xi pari a (b− a)/n per ogni i, otteniamo come valore approssimante la quantita

n∑i=1

f(xi)∆xi = (b− a)f(x1) + f(x2) + · · · + f(xn)

n.

Quindi la media aritmetica di f(x1), . . . , f(xn) e pari a

f(x1) + · · · + f(xn)n

=1

b− a

n∑i=1

f(xi)∆xi.

Passando al limite, si ottiene proprio la media integrale!Alle volte e utile considerare una media “pesata”, ossia

µ =p1f1 + p2f2 + · · · + pnfn

p1 + p2 + · · · + pn,

dove i pesi pi sono quantita positive. Ad esempio, se p1, . . . , pn sono i pesi di particelle chesi trovano nelle posizioni f1, . . . , fn dell’asse x, allora µ rappresenta la posizione del centro digravita (baricentro). Nel caso in cui tutti i pesi pi coincidano, la quantita µ coincide con lamedia aritmetica. Per una funzione f , possiamo definire la media integrale pesata della funzione fsull’intervallo [a, b] come

µp =∫ ba f(x)p(x) dx∫ b

a p(x) dx

dove la funzione peso p e positiva in [a, b] (la positivita di p garantisce che il denominatoredella media sia nonnullo).

Teorema 1.3.2 (Teorema Generalizzato della Media Integrale).Sia f : [a, b] → R continua in [a, b] e sia p : [a, b] → R continua tale che p(x) > 0.Allora esiste ξ ∈ [a, b] tale che

f(ξ) =∫ ba f(x)p(x) dx∫ b

a p(x) dx.

Dimostrazione. La dimostrazione e analoga a quella del Teorema della media integrale. Bastainfatti osservare che m ≤ f(x) ≤ M implica mp(x) ≤ f(x)p(x) ≤ Mp(x), e, integrando in [a, b],

m

∫ b

ap(x) dx ≤

∫ b

af(x)p(x) dx ≤ M

∫ b

ap(x),

da cui si deduce che la media integrale pesata appartiene all’insieme immagine f([a, b]).

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18 CAPITOLO 1. L’INTEGRALE

1.4 Integrale con estremi variabili

L’integrale e una funzione degli estremi di integrazione a e b. Per studiare questadipendenza, supponiamo l’estremo inferiore fissato al valore a e indichiamo l’estremosuperiore (variabile) con x: quindi, consideriamo la funzione integrale

φ(x) =∫ x

af(t) dt.

La funzione φ e un integrale indefinito della funzione f . Si parla di un integrale in-definito e non dell’integrale indefinito per sottolineare il fatto che si sarebbe potutoscegliere di fissare l’estremo inferiore a ad un valore diverso.

Formare l’integrale indefinito di una funzione data e una maniera importante pergenerare nuovi tipi di funzioni. Ad esempio,

φ(x) =∫ x

1

1

tdt x > 0.

Tale funzione si dimostra essere uguale alla funzione inversa di ex, cioe alla funzioneln x. La formula precedente puo quindi essere considerata la definizione analitica dellogaritmo naturale. Oppure provate, ad esempio, a considerare

φ(x) =∫ x

0[t]dt

essendo [t] la funzione parte intera, disegnando il grafico di φ(x).

Parlare dell’integrale indefinito φ(x) non significa certamente conoscerne esplici-tamente l’espressione. Sono rarissime le funzioni delle quali si conoscono integraliindefiniti in forma esplicita. Si conoscono gli integrali indefiniti di tutte quelle fun-zioni delle quali.... si conoscono gli integrali su qualsiasi intervallo. Ad esempio siconoscono gli integrali indefiniti dei polinomi. Pur non conoscendo esplicitamentela φ(x) si possono riconoscere sue proprieta importanti e utili.

Dalla proprieta∫ aa f(x)dx = 0 ne deriva che φ(a) = 0. Inoltre si puo vedere che

f continua =⇒ φ continua.

In effetti, si puo mostrare qualcosa di piu: se f e continua in [a, b], la funzione φ e unafunzione lipschitziana. Infatti, la continuita di f implica la continuita della funzione|f |. Quindi, per il Teorema di Weierstrass, esiste una costante M > 0 tale che |f(u)| ≤M per ogni u ∈ [a, b]. Allora,

se x < y, |φ(x)− φ(y)| =∣∣∣∣∫ y

xf(u) du

∣∣∣∣ ≤ ∫ y

x|f(u)| du ≤ M(y − x);

se x > y, |φ(x)− φ(y)| =∣∣∣∣− ∫ x

yf(u) du

∣∣∣∣ ≤ ∫ x

y|f(u)| du ≤ M(x− y).

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1.4. INTEGRALE CON ESTREMI VARIABILI 19

Quindi|f(u)| ≤ M =⇒ |φ(x)− φ(y)| ≤ M |x− y|.

In realta, l’unica ipotesi che serve per garantire la lipschitzianita dell’integrale indefini-to φ e l’integrabilita e la limitatezza della funzione f .

Esempio. Consideriamo la funzione f(x) = sgn x che e continua tratti (ha un punto di salto inx = 0). Chi e la funzione

φ(x) =∫ x

0sgn (t) dt?

Dato chex > 0 ⇒ φ(x) =

∫ x

0sgn (t) dt =

∫ x

01 dt = x

x < 0 ⇒ φ(x) =∫ x

0sgn (t) dt =

∫ x

0(−1) dt = −x,

la funzione φ(x) e la funzione modulo:

φ(x) =∫ x

0sgn (t) dt = |x|.

Figura 1.3: Gli integrali indefiniti di sgn (x) e di x

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20 CAPITOLO 1. L’INTEGRALE

1.5 Scheda riassuntiva

Aree ed integrali

L’area di una regione decomponibile in rettangoli, detta plurirettangolo, e la sommadelle aree dei rettangoli che lo compongono; inoltre, per ogni regione E, scelti dueplurirettangoli R′ e R′′ tali che R′ ⊆ E ⊆ R′′, riesce

A(R′) ≤ A(E) ≤ A(R′′),

dove A(E) indica l’area di E. Quindi, il valore A(E) puo essere individuato se siconoscono due successioni di plurirettangoli R′

n ed R′′n tali che

R′n ⊆ E ⊆ R′′

n, limn→∞

A(R′n) = lim

n→∞A(R′′

n)

(Attenzione! E stato commesso un abuso: non c’e nessuna garanzia che A(E) abbia senso perE qualsiasi!)

Area di un sottografico

Data f : [a, b] → R non negativa: il sottografico di f nell’intervallo [a, b]. e la regione

R = {(x, y) | a ≤ x ≤ b, 0 ≤ y ≤ f(x)}

Definizione 1.1.1. Sia f definita in [a, b] e non negativa. L’area del sottografico di f in[a, b] si chiama integrale della funzione f sull’intervallo [a, b] e si indica con∫ b

af(x) dx

Assegnata una funzione f(x), continua in [a, b], indichiamo con

P = {x0, x1, . . . , xn} dove a = x0 < x1 < . . . < xn = bmi = min

[xi−1,xi]f(x) Mi = max

[xi−1,xi]f(x) ∆xi = xi − xi−1.

L’insieme P e una partizione di [a, b]. Le aree dei plurirettangoli R′ e R′′ sono date da

A(R′) =n∑

i=1

mi ∆xi, A(R′′) =n∑

i=1

Mi ∆xi.

Le successioni di plurettangoli approssimanti dall’esterno e dall’interno si ottengonoaumentando il numero di punti di sottointervalli e facendo in modo che le lunghezze∆xi = xi+1 − xi tendano a zero man mano che si aumenta il numero di punti.

I. f(x) = costante = γ > 0 in [a, b]. Per qualsiasi scelta di x0, . . . , xn, si ha

A(R′) = A(R′′) = γ(b− a) ⇒∫ b

aγ dx = γ(b− a).

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1.5. SCHEDA RIASSUNTIVA 21

II. f(x) = x in [a, b] con a ≥ 0. Scegliendo xk = a + kh per k = 0, . . . , n dove h = (b− a)/n,

A(R′n) = (b− a)a + (b− a)2

n(n− 1)2n2

A(R′′n) = (b− a)a + (b− a)2

n(n + 1)2n2

,

avendo tenuto conto din−1∑k=0

k = n(n−1)2 e

n∑k=1

k = n(n+1)2 . Passando al limite,

limn→+∞

A(R′n) = lim

n→+∞A(R′′

n) =b2

2− a2

2=∫ b

ax2 dx.

III. f(x) = x2 in [a, b] con 0 ≤ a < b. Con gli stessi xk di II,

A(R′n) = (b− a)

{a2 + a(b− a)

n− 1n

+ (b− a)2(n− 1)(2n− 1)

6n2

},

A(R′′n) = (b− a)

{a2 + a(b− a)

n + 1n

+ (b− a)2(n + 1)(2n + 1)

6n2

}.

avendo tenuto conto din∑

k=1k = 1

2n(n + 1) en∑

k=1k2 = 1

6n(n + 1)(2n + 1). Quindi

limn→+∞

A(R′n) = lim

n→+∞A(R′′

n) =b3

3− a3

3=∫ b

ax2 dx

Definizione analitica dell’integrale

Sia f : [a, b] → R continua. Dividiamo [a, b] tramite una partizione P = {x0, x1, . . . , xn}dove a = x0 < x1 < . . . < xn−1 < xn = b. Scegliamo un punto ξi ∈ [xi−1, xi] per ogni i eformiamo la somma (qui ∆xi := xi − xi−1)

F :=n∑

i=1

f(ξi)∆xi ≡ f(ξ1)∆x1 + f(ξ2)∆x2 + · · ·+ f(ξn)∆xn.

ampiezza δ della partizione P : δ = max{∆x1, . . . , ∆xn}.

Teorema 1.2.1. (Esistenza dell’integrale per funzioni continue).Data f : [a, b] → R continua, la somma F tende ad un valore limite per δ → 0 e tale limite eindipendente dalla scelta di xi, ξj .

Definizione 1.2.2 (Integrale di una funzione continua).Il valore limite di F per δ → 0 si chiama integrale di f nell’intervallo [a, b] e si indica con

∫ b

af(x) dx.

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22 CAPITOLO 1. L’INTEGRALE

L’integrale e somma di termini positivi e negativi, in corrispondenza delle zone in cuila curva e sopra o sotto l’asse x.

La dimostrazione del Teorema 1.2.1 passa per la definizione di:

somme integrali inferiori e superiori : s(P ) =n∑

i=1

mi∆xi, S(P ) =n∑

i=1

Mi∆xi

dove P = {x0, x1, . . . , xn} e una partizione, mi = min[xi−1,xi]

f(x) e Mi = max[xi−1,xi]

f(x). Il punto

chiave e dimostrare che supP

s(P ) = infP

S(P ), dove l’estremo superiore e l’estremo inferiore

sono scelti su tutte le partizioni possibili.

Si possono integrare funzioni non continue? L’integrale puo avere senso anche per alcunefunzioni che abbiano delle discontinuita: la costruzione e la stessa a patto di definire

mi = inf[xi−1,xi]

f(x) Mi = sup[xi−1,xi]

f(x)

Definizione 1.2.3 (Funzioni integrabili).Una funzione f : [a, b] → R limitata e integrabile in [a, b] se la somma F tende ad un valore limiteper δ → 0, dove δ e l’ampiezza della partizione, e tale limite e indipendente dalla scelta di xi, ξj .

Proprieta dell’integrale

Additivita. Per ogni a < c < b e per ogni funzione integrabile f∫ b

af(x) dx =

∫ c

af(x) dx +

∫ b

cf(x) dx.

Per definireb∫a

f(x) dx nel caso a ≥ b in modo che sia preservata l’additivita,

∫ a

af(x) dx := 0 e

∫ b

af(x) dx := −

∫ a

bf(x) dx b < a.

Linearita. Per ogni α, β ∈ R e per ogni coppia di funzioni f, g integrabili

α∫ b

af(x) dx + β

∫ b

ag(x) dx =

∫ b

a[αf(x) + βg(x)] dx.

Monotonıa. Per ogni coppia di funzioni f, g integrabili

f ≥ g in [a, b] =⇒∫ b

af(x) dx ≥

∫ b

ag(x) dx.

Da questa proprieta discende ∣∣∣∣∣∫ b

af(x) dx

∣∣∣∣∣ ≤b∫

a

|f(x)| dx.

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1.5. SCHEDA RIASSUNTIVA 23

Teorema della media integrale

Teorema 1.3.1 (Teorema della Media Integrale).Sia f : [a, b] → R una funzione continua in [a, b]. Allora esiste un valore ξ ∈ [a, b] tale che

f(ξ) =1

b− a

∫ b

af(x) dx.

Il termine a secondo membro e la media integrale di f in [a, b].

Controesempio. Se f non e continua in [a, b] la conclusione puo non valere: ad esem-pio, f(x) = sgn x in [−1, 2],

Teorema 1.3.2 (Teorema Generalizzato della Media Integrale).Sia f : [a, b] → R continua in [a, b] e sia p : [a, b] → R continua tale che p(x) > 0.Allora esiste ξ ∈ [a, b] tale che

f(ξ) =∫ ba f(x)p(x) dx∫ b

a p(x) dx.

Integrale con estremi variabili

Fissato il valore a, consideriamo la funzione integrale

φ(x) =∫ x

af(t) dt.

La funzione φ e un integrale indefinito della funzione f .

f continua =⇒ φ continua.

In effetti, vale di piu: se f e limitata in [a, b], φ e una funzione lipschitziana.

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24 CAPITOLO 1. L’INTEGRALE

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Capitolo 2

Derivate, derivate e derivate

Il concetto di derivata e suggerito dalla nozione intuitiva di retta tangente al grafico diuna funzione y = f(x) in un punto P = (x, f(x)). La retta tangente e caratterizzatadal passaggio per il punto P (assegnato) e dalla sua pendenza, individuata dall’angoloα che la retta forma con l’asse x. Come si puo determinare l’angolo α a partire dalladescrizione analitica della funzione f? La conoscenza del punto P , cioe del valoredella funzione f nel punto x non e sufficiente, dato che per un punto passano infiniterette. D’altra parte, non serve nemmeno conoscere il comportamento della funzionef dappertutto: e sufficiente conoscere la funzione in un intorno qualsiasi del punto,anche piccolo.1 In effetti, dietro la definizione rigorosa di retta tangente si nasconde unprocedimento di limite.

Il problema di calcolare la direzione tangente, o di “derivazione”, ha interessato imatematici fin dal sedicesimo secolo per risolvere problemi di ottimizzazione, cioe perdeterminare massimi e minimi in problemi provenienti dalla geometria, dalla mec-canica e dall’ottica.Un secondo problema fondamentale che ha portato al concetto di“derivata” e quello di formulare in modo matematicamente preciso il concetto intuiti-vo di velocita istantanea in un moto arbitrario non uniforme. Iniziamo da quest’ultimoproblema.

La derivata come velocita

Consideriamo un punto che si muova lungo l’asse y. Il moto del punto e noto se siconosce ad ogni istante t la posizione y, cioe se si conosce la funzione y = f(t). Sela funzione f e lineare, ossia f(t) = ct + b, si parla di moto uniforme con velocita c. Lavelocita c e il rapporto tra la distanza percorsa nell’intervallo di tempo [t, s] e la durata

1Questa affermazione si puo esprimere dicendo che la retta tangente individua una proprieta lo-cale della funzione f , dato che dipende solo dal comportamento della funzione f “vicino” al punto(x, f(x)). Al contrario si parla di proprieta globali per proprieta che dipendono dal comportamento intutto l’insieme di definizione.

25

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26 CAPITOLO 2. DERIVATE, DERIVATE E DERIVATE

di questo intervallo:

c =f(s)− f(t)

s− t.

Il moto e uniforme perche la velocita e costante (non dipende dalla scelta degli istanti te s).

Se il moto non e uniforme, la quantita f(s)−f(t)s−t

esprime la velocita media del puntonell’intervallo di tempo [t, s]. Se la velocita media tende ad un limite finito per s → t, ilvalore del limite e detto velocita istantanea:

velocita istantanea: v(t) = lims→t

f(s)− f(t)

s− t.

Se il limite non esiste, la velocita istantanea non e definita.

Un esempio semplice e il moto di un corpo in caduta libera, cioe sottopostoalla sola forza di gravita. Sperimentalmente si ottiene che la distanza per-corsa al tempo t da un corpo, lasciato cadere da fermo al tempo t = 0, eproporzionale a t2; si rappresenta quindi con una funzione della forma

y = f(t) = at2 (a > 0).

La velocita v all’istante t si ottiene quindi calcolando il limite seguente

v(t) = lims→t

f(s)− f(t)

s− t= lim

s→t

as2 − at2

s− t= lim

s→ta(s + t) = 2at.

Quindi la velocita di un corpo in caduta libera cresce in modo proporzionale altempo.

Nello studio del moto di un punto e utile osservare anche la variazione di velocita.Il procedimento e simile al precedente. L’accelerazione media e il rapporto tra la vari-azione di velocita nell’intervallo di tempo [t, s] e la durata dell’intervallo, cioe e datada (v(s)− v(t))/(s− t). L’accelerazione (istantanea) a e il limite dell’accelerazione mediaper s → t, cioe

accelerazione istantanea: a(t) = lims→t

v(s)− v(t)

s− t.

Nel caso di moto uniforme f(t) = ct + b,

v(t) = c ⇒ a(t) = lims→t

c− c

s− t= 0,

cioe l’accelerazione e nulla; nel caso del corpo in caduta libera f(t) = at2,

v(t) = 2at ⇒ a(t) = lims→t

2as− 2at

s− t= 2a,

cioe il moto e uniformente accelerato.

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2.1. DEFINIZIONE DI DERIVATA 27

2.1 Definizione di derivata

Data una funzione y = f(x), consideriamo il problema di determinare la retta tangenteal grafico della funzione nel punto P = (x, f(x)). L’idea e la seguente: dato un secondopunto P1 = (x1, f(x1)) sul grafico di f , per P e P1 passa un’unica retta, detta rettasecante. Se, muovendo P1 verso P , la retta secante tende ad una posizione limite, taleretta limite e la retta tangente. Formuliamo ora il processo geometrico di limite cheabbiamo appena visto in modo analiticamente rigoroso. Siano P = (x, f(x)) e P1 =(x1, f(x1)), il coefficiente angolare della retta secante2 per P e P1 e

rapporto incrementale: m(P, P1) =f(x1)− f(x)

x1 − x.

Il rapporto f(x1)−f(x)x1−x

e detto rapporto incrementale. Le differenze f(x1) − f(x) e x1 − xsi indicano rispettivamente anche con ∆f e ∆x e corrispondono agli incrementi dellavariabile dipendente e di quella indipendente.

Definizione 2.1.1 Sia f : [a, b] → R. La funzione f si dice derivabile in x ∈ [a, b] se esistefinito il limite

limx1→x

f(x1)− f(x)

x1 − x. (2.1)

Se esiste, il limite si indica con f ′(x) e si dice derivata (prima) della funzione f in x. Se lafunzione f e derivabile in tutti i punti dell’intervallo I , si dice che f e derivabile in I .

Figura 2.1: Il grafico di una funzione con tangente e secanti.

Per la derivata si usano anche altri simboli (l’importante e capirsi!)

f ′ =df

dx= Df =

dy

dx= y = · · · ,

e il limite (2.1) puo essere scritto in maniere equivalenti

limx1→x

f(x1)− f(x)

x1 − x= lim

h→0

f(x + h)− f(x)

h= lim

∆x→0

∆f

∆x= · · ·

2Si ricordi che il coefficiente angolare m della retta passante per i punti di coordinate (x, y) e (x1, y1)e dato da m = (y1 − y)/(x1 − x).

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28 CAPITOLO 2. DERIVATE, DERIVATE E DERIVATE

Determinare una derivata vuol dire fare (con successo) un limite: i limiti si fannonei punti interni ad un intervallo di definizione. Negli estremi si fanno al piu li-miti sinistri o limiti destri. In punti isolati non si fanno neanche i limiti..., quindinon si parlera mai di derivata, cosa del resto suggerita dall’idea di cercare la ret-ta tangente: chi penserebbe di fare la tangente in un singolo punto? Ad esempio,

la funzione√

x−√

x e definita nel maxi intervallo [1,+∞) e nel povero singolopunto x0 = 0. Sara derivabile nel punto x0 = 0 ? E una domanda priva di senso!

Dato che la derivata f ′ dipende dal punto di derivazione, la f ′ e essa stessa unafunzione, il cui insieme di definizione e contenuto nell’insieme di definizione dellafunzione f (non e detto che i due domini di definizione coincidano).

La definizione analitica di derivata e chiara: si tratta semplicemente del limite diuna funzione opportuna, il rapporto incrementale. Meno chiaro e come si possa cal-colare esplicitamente la funzione derivata. In generale, non e possibile calcolare talefunzione semplicemente ponendo l’incremento h = 0, dato che questo vorrebbe dire“dividere per zero”!

Partiamo da due casi proprio semplici:

f(x) = c =⇒ f ′(x) = limh→0

c− c

h= 0,

f(x) = x =⇒ f ′(x) = limh→0

(x + h)− x

h= lim

h→0

h

h= 1.

Nel caso di f(x) = x2, si ha

f ′(x) = limh→0

(x + h)2 − x2

h= lim

h→0

2xh + h2

h= lim

h→02x + h = 2x.

Consideriamo f(x) =√

x per x ≥ 0. Il rapporto incrementale e√

x + h−√

x

h=

√x + h−

√x

h

√x + h +

√x√

x + h +√

x=

1√x + h +

√x

Passando al limite per h → 0 si ottiene

limh→0

√x + h−

√x

h=

+∞ x = 0,

1

2√

xx > 0.

Nel punto x = 0 la funzione ha una singolarita. Pur essendo definita e continua, lafunzione

√x non e derivabile in x = 0. In questo caso, la retta tangente al grafico di

√x

nel punto x = 0 e verticale.Ci sono funzioni non derivabili con comportamenti ben diversi da questo. Ad esempio

f(x) = |x| e g(x) =

{x sin

(1x

)x 6= 0,

0 x = 0

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2.1. DEFINIZIONE DI DERIVATA 29

Figura 2.2: Le funzioni x2 e√

x e le loro derivate.

sono entrambe continue, ma non derivabili in 0. Per la funzione f , la non derivabilita in 0 edovuta al fatto che i limiti destro e sinistro del rapporto incrementale esistono finiti ma noncoincidono (il rapporto incrementale ha una discontinuita di salto in 0)

limx→0+

|h|h

= 1 6= −1 = limx→0−

|h|h

.

Nel grafico, un comportamento di questo genere si traduce nella presenza di un punto angoloso.Nel caso della funzione g, il rapporto incrementale ha l’espressione

g(h)− g(0)h

=h sin(1/h)− 0

h= sin

(1h

).

Come si e gia visto, questa funzione non ha limite (ne destro ne sinistro) per h → 0. In terminidi grafico (controllare di persona!), questa funzione ha delle variazioni sempre piu rapide dipendenza man mano che ci sia avvicina ad x = 0.

Prime conseguenze della derivabilita

1. Derivabilita ⇒ Continuita. Se una funzione f e derivabile in x0, allora e anche con-tinua in x0. Infatti la continuita della funzione f nel punto x0 e equivalente all’affer-mazione lim

x→x0(f(x)− f(x0)) = 0, e, dato che

f(x)− f(x0) =f(x)− f(x0)

x− x0

(x− x0),

passando al limite per x → x0 si ottiene la conclusione.

2. Equazione della retta tangente. Data f : [a, b] → R, sia x0 ∈ [a, b] un punto in cui f ederivabile, la retta tangente e, per definizione, la retta passante per il punto (x0, f(x0)),il cui coefficiente angolare e pari a f ′(x0)

retta tangente: y = f(x0) + f ′(x0)(x− x0).

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30 CAPITOLO 2. DERIVATE, DERIVATE E DERIVATE

Fissato il punto x0, il polinomio di primo grado in x a secondo membro puo esserevisto come un’approssimazione della funzione f vicino al punto x0.

Nel sostituire la funzione con la sua retta tangente l’errore Rx0 , e pari a

Rx0(x) = f(x)− f(x0)− f ′(x0)(x− x0).

Per x → x0, l’errore che si commette tende a zero, cioe

limx→x0

Rx0(x) = limx→x0

(f(x)− f(x0)− f ′(x0)(x− x0)) = 0. (2.2)

Ma (attenzione!) lo stesso e vero per qualsiasi altra retta per il punto (x0, f(x0)), infatti

limx→x0

(f(x)− f(x0)−m(x− x0)) = 0 ∀m ∈ R.

Quindi la proprieta (2.2) non e granche indicativa! Il fatto fondamentale e che per Rx0 vale

limx→x0

Rx0(x)x− x0

= limx→x0

f(x)− f(x0)− f ′(x0)(x− x0)x− x0

= 0. (2.3)

Questa condizione e piu restrittiva della precedente (perche?) e, tra le funzioni lineari, e veri-ficata solo da quella che rappresenta la retta tangente ad f in x0. Tutte le proprieta interessantiche si deducono dalla derivata di una funzione, in sostanza, provengono dalla (2.3). In effetti,in maniera equivalente, avremmo potuto dire che una funzione e derivabile in x0 se esiste unvalore ` ∈ R per cui vale

limx→x0

f(x)− f(x0)− `(x− x0)x− x0

= 0.

Il valore ` e pari a f ′(x0). Da questo punto di vista la derivabilita di una funzione descrive laproprieta di una funzione di potere essere “ben approssimata” con una funzione affine, cioedel tipo y = mx + q, nell’intorno di un punto x0.

2.2 Prime formule di derivazione

Polinomi e potenze

Si e gia visto che valgono le regole di derivazione

(c)′ = 0, (x)′ = 1, (x2)′ = 2x.

Per un generico polinomio di grado 2, f(x) = ax2 + bx + c si puo procedere in modoanalogo. Il rapporto incrementale e

f(x + h)− f(x)

h=

a(x + h)2 + b(x + h) + c− ax2 − bx− c

h= 2ax + b + h.

Quindi, passando al limite per h → 0, si ottiene

(ax2 + bx + c)′ = limh→0

2ax + b + h = 2ax + b.

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2.2. PRIME FORMULE DI DERIVAZIONE 31

In modo simile e possibile derivare un qualsiasi polinomio. Calcoliamo prima di tuttola derivata della funzione f(x) = xn dove n ∈ N. Il rapporto incrementale si puoscrivere come

f(x1)− f(x)

x1 − x=

xn1 − xn

x1 − x= xn−1

1 + xn−21 x + · · · + xn−1,

dato che xn1 − xn = (x1 − x)(xn−1

1 + xn−21 x + · · · + xn−1) per ogni x1, x ∈ R. Passando

al limite per x1 → x, ciascuno dei termini tende a xn−1 e quindi, dato che si tratta di ntermini, si ottiene

(xn)′ = nxn−1 ∀n ∈ N, (2.4)

(per n = 1, 2 si ottengono le relazioni gia note per x e x2).Una volta noto che e possibile calcolare esplicitamente la derivata di un qualsiasi

polinomio, e naturale chiedersi se sia possibile fare lo stesso per funzioni razionali.Partiamo dal caso piu semplice: f(x) = 1/x

f(x1)− f(x)

x1 − x=

1x1− 1

x

x1 − x=

x− x1

x1x(x1 − x)= − 1

x1x.

Quindi passando al limite x1 → x, si ottiene la formula(1

x

)′= − 1

x2.

Allo stesso modo e possibile trattare funzioni del tipo f(x) = 1xβ con β ∈ N:

f(x1)− f(x)

x1 − x=

1

xβ1

− 1xβ

x1 − x=

xβ − xβ1

xβ1x

β(x1 − x)= −xβ−1

1 + xβ−21 x + · · · + xβ−1

xβ1x

β.

Passando al limite per x1 → x, si ottiene

(x−β

)′≡(

1

)′= − β

xβ+1≡ −βx−β−1 ∀β ∈ N. (2.5)

Vedremo piu avanti come si possa calcolare la derivata di una generica funzione razio-nale.

Le formule (2.4) e (2.5) si possono sintetizzare nell’unica formula

(xα)′ = αxα−1 ∀α ∈ Z. (2.6)

Dimostriamo che e possibile scegliere α ∈ Q ottenendo ancora la formula (2.6).Supponiamo la funzione f(x) = xα con α = p/q con p e q interi (q 6= 0). Consideri-amo, per semplicita, il caso p, q > 0. Il rapporto incrementale e

xα1 − xα

x1 − x=

xp/q1 − xp/q

x1 − x.

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32 CAPITOLO 2. DERIVATE, DERIVATE E DERIVATE

Ponendo x1/q1 = ξ1 e x1/q = ξ, otteniamo

xα1 − xα

x1 − x=

ξp1 − ξp

ξq1 − ξq

=ξp−11 + ξp−2

1 ξ + · · · + ξp−1

ξq−11 + ξq−2

1 ξ + · · · + ξq−1.

Passando al limite per x1 → x, cioe per ξ1 → ξ, si ottiene

limx1→x

xα1 − xα

x1 − x= lim

ξ1→ξ

ξp−11 + ξp−2

1 ξ + · · · + ξp−1

ξq−11 + ξq−2

1 ξ + · · · + ξq−1=

p ξp−1

q ξq−1=

p

qξp−q =

p

qx

pq−1

,

cioe la formula (2.6) per α razionale positivo.

In generale si puo dimostrare che (2.6) vale per ogni α ∈ R, cioe

(xα)′ = αxα−1 ∀α ∈ R. (2.7)

Funzioni trigonometriche

Grazie alle formule di addizione e possibile scrivere i rapporti incrementali di sin x ecos x come

sin(x + h)− sin x

h=

sin x cos h + cos x sin h− sin x

h

= sin xcos h− 1

h+ cos x

sin h

h,

cos(x + h)− cos x

h=

cos x cos h− sin x sin h− cos x

h

= cos xxcos h− 1

h− sin x

sin h

h.

Passando al limite per h → 0 e ricordando che limh→0

cos h−1h

= 0 e limh→0

sin hh

= 1, si deduconole formule

(sin x)′ = cos x e (cos x)′ = − sin x.

Figura 2.3: Le funzioni sin x e ln x e le loro derivate.

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2.3. REGOLE FONDAMENTALI DI DERIVAZIONE 33

Esponenziale e logaritmo

Come ultimo esempio, consideriamo le funzioni ex e ln x. Nel caso dell’esponenziale,il rapporto incrementale e

f(x + h)− f(x)

h=

ex+h − ex

h= ex eh − 1

h.

Passando al limite per h → 0 e usando il limite notevole limh→0

eh−1h

= 1,

(ex)′ = ex,

che esprime una proprieta notevole dell’esponenziale (con base e): la derivata di ex e lastessa funzione ex. In altri termini, la funzione f(x) = ex risolve l’equazione (differen-ziale) f ′ = f .

Il rapporto incrementale del logaritmo naturale si riscrive come

f(x + h)− f(x)

h=

ln(x + h)− ln x

h=

1

hln

(x + h

x

)=

1

hln

(1 +

h

x

).

Quindi, ponendo t = h/x (x e fissato) e usando il limite notevole limt→0

ln(1+t)t

= 1,

limh→0

f(x + h)− f(x)

h= lim

h→0

1

hln

(1 +

h

x

)= lim

t→0

1

x

ln(1 + t)

t=

1

x.

2.3 Regole fondamentali di derivazione

Come nel caso degli integrali, dalla definizione dell’operazione di derivazione, discen-dono alcune regole basilari che permettono di derivare una classe ampia di funzioni, apartire da una classe piu ristretta di derivate note.

Linearita. Dati α, β ∈ R e f, g derivabili, allora anche αf + βg e derivabile e

φ(x) = αf(x) + βg(x) =⇒ φ′(x) = αf ′(x) + βg′(x).

Per la dimostrazione di questa proprieta basta osservare che il rapporto incrementale dellafunzione φ si puo riscrivere come

φ(x + h)− φ(x)h

=αf(x + h) + βg(x + h)− αf(x)− βg(x)

h

= αf(x + h)− f(x)

h+ β

g(x + h)− g(x)h

,

e passare al limite per h → 0, applicando le proprieta note dei limiti.

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34 CAPITOLO 2. DERIVATE, DERIVATE E DERIVATE

Ad esempio, la derivata di un polinomio p(x) = anxn + an−1x

n−1 + · · · + a0 sipuo calcolare senza bisogno di passare per il limite del rapporto incrementale, masemplicemente usando la linearita della derivazione e la formula (xk)′ = kxk−1:

(p(x))′ = an(xn)′ + an−1(xn−1)′ + · · · + a1(x)′ + (a0)

= nanxn−1 + (n− 1)an−1x

n−2 + · · · + a1.

Derivata di un prodotto e di un rapporto.Derivata di un prodotto. Siano f, g derivabili, allora anche fg e derivabile e

φ(x) = f(x)g(x) =⇒ φ′(x) = f(x)g′(x) + f ′(x)g(x).

Per quanto bizzaro possa sembrare, questa e la maniera corretta di derivare un prodotto difunzioni. Per convincersi (cioe per dimostrare la formula), scriviamo il rapporto incrementale

φ(x + h)− φ(x)h

=f(x + h)g(x + h)− f(x)g(x)

h

= f(x + h)g(x + h)− g(x)

h+

f(x + h)− f(x)h

g(x),

(si e aggiunto e sottratto a numeratore la quantita f(x + h)g(x)). Per h → 0, la conclusione.

Ad esempio, per calcolare la derivata della funzione φ(x) = x sin x,

(x sin x)′ = x(sin x)′ + (x)′ sin x = x cos x + sin x,

avendo usato le formule di derivazione per x e sin x.

Derivata di un rapporto. Se f e g sono derivabili (g 6= 0), allora anche il rapporto f/g ederivabile e

φ(x) =f(x)

g(x)=⇒ φ′(x) =

f ′(x)g(x)− f(x)g′(x)

[g(x)]2.

Se l’altra formula pareva folle, questa non ne parliamo... Ma e un fatto della vita: per derivareun rapporto, bisogna procedere in questo modo. La dimostrazione discende, ovviamente, dalrapporto incrementale per la funzione rapporto. Niente di sorprendente. La strategia e diriscrivere questo rapporto incrementale in modo che compaiano quelli delle funzioni f e g:

φ(x + h)− φ(x)h

=1h

[f(x + h)g(x + h)

− f(x)g(x)

]=

f(x + h)g(x)− f(x)g(x + h)hg(x)g(x + h)

=f(x + h)g(x)− f(x)g(x) + f(x)g(x)− f(x)g(x + h)

hg(x)g(x + h)

=1

g(x)g(x + h)

[f(x + h)− f(x)

hg(x)− f(x)

g(x + h)− g(x)h

].

Per h → 0, si ottiene la conclusione.

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2.3. REGOLE FONDAMENTALI DI DERIVAZIONE 35

Ad esempio, la derivata di f(x) = tan x e data da

(tan x)′ =(

sin x

cos x

)′=

(sin x)′ cos x− sin x(cos x)′

cos2 x

=cos x cos x− sin x(− sin x)

cos2 x=

cos2 x + sin2 x

cos2 x=

1

cos2 x.

Anche per derivare funzioni razionali basta applicare la formula di derivazione delrapporto. Ad esempio,(

x2

x + 1

)′=

2x(x + 1)− x2 · 1(x + 1)2

=x(x + 2)

(x + 1)2.

Analogamente per funzioni razionali generali.

Abbiamo sviluppato un certo numero di regole per derivare una classe ampia difunzioni: polinomi, funzioni razionali, alcune funzioni trigonometriche, alcune fun-zioni esponenziali... Vogliamo ora estendere ulteriormente le classi di funzioni di cuisappiamo calcolare esplicitamente la derivata. In particolare vogliamo sapere comederivare funzioni composte (ad esempio, ex2 ,

√1 + sin2 x, . . .) e funzioni inverse (ad

esempio, arcsin x, arccos x, arctan x, . . .).

Derivata di una funzione composta. Siano g, h derivabili, allora la funzione com-posta f = h ◦ g e derivabile e vale la formula3

f ′(x) = h′(g(x)) g′(x). (derivata di funzione composta) (2.8)

Quindi per derivare una funzione composta, bisogna derivare ciascuna funzione e fareil prodotto di ciascun termine, calcolato nel valore opportuno. Usare concretamentequesta regola e molto piu semplice di quel che possa sembrare. Vediamo, ad esempio,come calcolare la derivata di f(x) = ex2 .

i. Riconosciamo la struttura di funzione composta:

f(x) = h(g(x)) dove g(x) = x2, h(s) = es.

ii. Dato che g(x) = x2 e h(s) = es, si ha g′(x) = 2x e h′(s) = es.

iii. Ora basta fare il prodotto delle derivate, calcolando la funzione h′ in s = g(x) = x2:

D(ex2)

= 2xex2

.

Analogamente, dato che D(sin x) = cos x e D(√

s) = 1/(2√

s),

D(√

1 + sin x)

=cos x

2√

1 + sin x.

3In inglese, questa regola e comunemente nota come chain rule.

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36 CAPITOLO 2. DERIVATE, DERIVATE E DERIVATE

Se la funzione e composta da piu di due funzioni, si itera il procedimento:

D (h(g(f(x))))) = h′(g(f(x))) · g′(f(x)) · f ′(x).

Ad esempio,

D(√

1 + sin2 x)

=1

2√

1 + sin2 x· 2 sin x · cos x =

sin x cos x√1 + sin2 x

.

C’e un unico modo per imparare l’uso concreto di questa formula ed e di riempireun buon numero di fogli di derivate di funzioni composte, possibilmente con l’occhiovigile di qualcuno che controlli l’esattezza del procedimento.

Per dimostrare la formula (2.8), scriviamo il rapporto incrementale

∆f

∆x=

∆h

∆x=

0 se ∆g = 0,

∆h

∆g

∆g

∆xse ∆g 6= 0,

(2.9)

dove∆x = x2 − x1 ∆f = f(x2)− f(x1)∆h = h(g(x2))− h(g(x1)) ∆g = g(x2)− g(x1).

Se, per x2 vicino ad x1, si ha ∆g 6= 0, la conclusione segue da

lim∆x→0

∆f

∆x= lim

∆x→0

∆h

∆g

∆g

∆x= lim

∆g→0

∆h

∆glim

∆x→0

∆g

∆x= h′(g(x1)) g′(x1),

dato che ∆g → 0 quando ∆x → 0. Se in ogni intorno di x1 ci sono punti per cui ∆g = 0,necessariamente la derivata di g in x1 deve essere nulla (come si dimostra?), e quindi valela conclusione, dato che entrambe le rappresentazioni di ∆f/∆x in (2.9) tendono a zero per∆x → 0.

Applicando la formula di derivazione di funzioni composte (2.8) e possibile ot-tenere le formule per le derivate di

xα (α ∈ R) e ax (a > 0).

Per entrambe e utile osservare che eb ln a =(eln a

)b= ab. Questa maniera di scrivere un

esponenziale in base diversa da e tramite un esponenziale con base e e estremamenteutile. A eterna memoria, riscriviamo la formula

ab = eb ln a ∀ a > 0, b ∈ R. (2.10)

Usando la formula (2.10),

D(xα) = D(eα ln x) =α

xeα ln x =

αxα

x= α xα−1 ∀α ∈ R.

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2.3. REGOLE FONDAMENTALI DI DERIVAZIONE 37

Analogamente,

D(ax) = D(ex ln a) = ex ln a ln a = ax ln a ∀ a > 0.

Derivata di una funzione inversa.Una conseguenza della formula di derivazione di funzione composta e la formula

della derivata dell’inversa di una funzione. La prima domanda naturale da porsi e: sela funzione f e invertibile e derivabile, lo e anche la funzione inversa? La risposta e imme-diata se si pensa a come si ottiene il grafico della funzione inversa a partire da quellodella funzione originale e se si ricorda il significato geometrico della derivabilita. Lafunzione f e derivabile in x se in tale punto il grafico ammette tangente e tale retta tan-gente non e verticale (quando la tangente al grafico e verticale, il rapporto incrementaletende ad ∞). Il grafico di f−1 si puo ottenere da quello della f tramite un ribaltamentoattorno alla bisettrice del primo e del terzo quadrante. In questa operazione di ribal-tamento, rette orizzontali diventano verticali e viceversa. Quindi un punto in cui latangente al grafico di f e orizzontale (cioe f ′(x) = 0), corrisponde, nel grafico di f−1,ad un punto in cui la tangente e verticale e viceversa. Questo significa che:

la funzione inversa f−1 e derivabile nel punto y = f(x) se e solo se f ′(x) 6= 0.

Figura 2.4: Una funzione e la sua inversa, con le relative tangenti.

Ad esempio, funzioni f derivabili con f ′(x) > 0 dappertutto, hanno sempre inversaderivabile in ogni punto del loro insieme di definizione. Come si puo calcolare laderivata della funzione inversa f−1? Dato che f(f−1(x)) = x, applicando la formula diderivazione delle funzioni composte e derivando membro a membro,

f(f−1(x)) = x =⇒ f ′(f−1(x))(f−1)′(x) = 1.

Esplicitando (f−1)′(x), si ottiene la

formula di derivazione della funzione inversa : (f−1)′(x) =1

f ′(f−1(x)). (2.11)

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38 CAPITOLO 2. DERIVATE, DERIVATE E DERIVATE

Verifichiamo questa formula, calcolando di nuovo la derivata della funzione f(x) =ln x (in precedenza la formula si e ottenuta in modo diverso). In questo caso

f(x) = ex

f−1(x) = ln x

}⇒ f ′(f−1(x)) = eln x = x ⇒ (ln x)′ =

1

x.

Ovviamente non sarebbe una grande idea aver dimostrato questa formula se ci por-tasse a formule gia note. Consideriamo le inverse delle funzioni trigonometriche ecalcoliamone le derivate (chi non ne ricordasse le definizioni, vada a rivederle). Datoche cos x =

√1− sin2 x per x ∈ [−π/2, π/2] e sin x =

√1− cos2 x per x ∈ [0, π], si ha

f(x) = sin x

f−1(x) = arcsin x

⇒ f ′(f−1(x)) = cos(arcsin x) =√

1− x2

⇒ (arcsin x)′ =1√

1− x2∀x ∈ (−1, 1),

f(x) = cos x

f−1(x) = arccos x

⇒ f ′(f−1(x)) = − sin(arccos x) = −√

1− x2

⇒ (arccos x)′ = − 1√1− x2

∀x ∈ (−1, 1).

Per quanto riguarda la funzione arctan x, e utile ricordare che

D(tan x) =cos2 x + sin2 x

cos2 x=

1

cos2 x= 1 + tan2 x.

Quindi

f(x) = tan x

f−1(x) = arctan x

⇒ f ′(f−1(x)) = 1 + tan2(arctan x) = 1 + x2

⇒ (arctan x)′ =1

1 + x2.

Ultima, ma non ultima, la formula della derivata di f−1(x) = loga x con a > 0 qualsiasi:

f(x) = ax

f−1(x) = loga x

⇒ f ′(f−1(x)) = aloga x ln a = x ln a

⇒ (loga x)′ =1

x ln a.

Ora siamo soddisfatti: sappiamo derivare un numero di funzioni molto ampio.

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2.4. DERIVATE SUCCESSIVE 39

2.4 Derivate successive

L’operazione di derivazione porta da una funzione f ad una nuova funzione f ′, lafunzione derivata. E’ naturale chiedersi se questa funzione derivata f ′ possa essere asua volta derivata.

Definizione 2.4.1 (Derivate seconda).Sia f : [a, b] → R derivabile in [a, b] e sia x ∈ [a, b]. Se esiste finito il limite

limh→0

f ′(x + h)− f ′(x)

h, (2.12)

la funzione f e derivabile due volte in x, il limite si indica con f ′′(x) e si chiama derivata

seconda di f in x.Come sempre, se f e derivabile due volte in tutti i punti dell’intervallo I , si dice che f e

derivabile due volte in I .

Per la derivata seconda si usano anche le notazioni

f ′′ =d2f

dx2= D2f =

d2y

dx2= · · · ,

Analogamente, nel caso di una funzione derivabile due volte, e possibile domandar-si se esista la derivata terza f ′′′. Iterando il procedimento si puo parlare di derivatan−esima, che si indica4 con f (n). Qualche volta si indica la funzione f come la suaderivata 0−esima: f (0) ≡ f .

Se la variabile indipendente e interpretata come il tempo t e il valore f(t) rappre-senta la posizione al tempo t di un punto, il significato fisico della derivata secondae la rapidita di cambiamento della velocita, cioe l’accelerazione.

La maniera operativa di calcolare derivate successive e semplicemente di iterare leformule note per la derivazione. Ad esempio,

f(x) = x3 + x ⇒ f ′(x) = 3x2 + 1 ⇒ f ′′(x) = 6x ⇒ f ′′′(x) = 6.

Le derivate di ordine superiore al terzo della funzione f(x) = x3 + x esistono e sonotutte nulle. In generale, un polinomio p di grado n e infinitamente derivabile (cioeammette derivate di qualsiasi ordine), e le sue derivate di ordine maggiore o ugualead n + 1 sono tutte nulle. Anche le funzioni sin x e cos x sono infinitamente derivabili:

D(sin x) = cos x, D2(sin x) = − sin x, D3(sin x) = − cos x, D4(sin x) = sin x

D(cos x) = − sin x, D2(cos x) = − cos x, D3(cos x) = sin x, D4(cos x) = cos x.

4Simboli equivalenti sono

f (n) ≡ Dnf ≡ dnf

dxn=

dny

dxn.

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40 CAPITOLO 2. DERIVATE, DERIVATE E DERIVATE

Le derivate successive ripetono lo stesso schema in modo periodico, ossia

D2n−1(sin x) = (−1)n+1 cos x, D2n(sin x) = (−1)n sin x,

D2n−1(cos x) = (−1)n sin x, D2n(cos x) = (−1)n cos x,∀n ∈ N.

Pensando al caso di polinomi e funzioni trigonometriche, si potrebbe essere indotti acredere che tutte le funzioni siano infinitamente derivabili. Un esempio di funzioneche sia derivabile due volte in un punto, ma non tre volte e f(x) = x5/2. Infatti f ′′(x) =154

√x che, come sappiamo, non e derivabile in zero.

Esperimento al calcolatore. Chiedete a Gnuplot di disegnare il grafico delle funzioni

f(x) = x4, f ′(x) = 4x3, f ′′(x) = 12x2, f ′′′(x) = 24x

tramite i comandi

gnuplot> set xrange [-1:1]gnuplot> plot x**4,4*x**3,12*x**2,24*x

e riflettete sui legami che intercorrono tra i loro grafici...

Figura 2.5: I grafici di y = x4, y′ = 4x3, y′′ = 12x2, y′′′ = 24x.

Notazioni. Comunemente sono usate le notazioni (k ∈ N)

C(I) ≡ C0(I) := {funzioni continue in I}C1(I) := {funzioni derivabili in I e con f ′ ∈ C(I)}Ck(I) := {funzioni derivabili k volte in I e con f (k) ∈ C(I)}C∞(I) := {funzioni infinitamente derivabili in I}.

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2.5. ∗ DERIVATE PARZIALI 41

Ognuno dei simboli precedenti indica un insieme di funzioni. Gli insiemi di fun-zioni hanno piu struttura di quel che si potrebbe immaginare a prima vista: epossibile sommare, moltiplicare funzioni, ottenendo nuove funzioni. A partireda questa osservazione, si sviluppano molti rami estremamente interessanti dellamatematica, ma, come spesso accade, il tempo e tiranno...

Primo cenno alle equazioni differenziali. Tramite il concetto di derivata e possi-bile definire delle funzioni. Ad esempio, le funzioni trigonometriche possono esserecaratterizzate tramite equazioni differenziali: dalle regole di derivazione di sin x e cos x,

f(x) = sin x o f(x) = cos x =⇒ f ′′ + f = 0.

La relazione (in cui la funzione f e l’incognita del problema)

f ′′ + f = 0 (2.13)

e detta equazione differenziale, dato che e un’equazione che coinvolge le derivate del-la funzione incognita f . L’equazione differenziale (2.13) e nota come equazione del-l’oscillatore armonico, e compare in modo naturale quando si studiano fenomeni oscil-latori o fenomeni ondosi, come le vibrazioni di una sbarra o le onde di superficiedell’acqua. In particolare e facile verificare che tutte le funzioni della forma f(x) =A cos x + B sin x con A, B ∈ R sono soluzioni dell’equazione (2.13).

2.5 ∗ Derivate parziali

Molto spesso le funzioni con cui si tratta non dipendono da una sola variabile indipen-dente x, ma da piu di una. Ad esempio, da quante variabili dipende xa? Da una... e sepensassimo anche a variabile? Allora sono due: x e a. In effetti, nella prima rispostaabbiamo immaginato a come un parametro fissato, nella seconda abbiamo accettatouna sua possibile variazione. In generale, una funzione di due variabili e un oggettodel tipo f = f(x, y). Qui la variabile indipendente e la coppia (x, y) che apparterraad un appropriato insieme (dominio di definizione). Se si tiene costante la variabiley, cioe la si considera un parametro fissato, e si fa variare solo la variabile x, si ottieneuna funzione di una variabile. E’ possibile domandarsi se questa funzione sia o menoderivabile.

Definizione 2.5.1 La funzione f e derivabile parzialmente rispetto ad x nel punto (x, y)se esiste il limite

limh→0

f(x + h, y)− f(x, y)

h.

Il valore del limite si indica con uno dei simboli seguenti

∂f

∂x(x, y) = fx(x, y) = Dxf(x, y).

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42 CAPITOLO 2. DERIVATE, DERIVATE E DERIVATE

Analogamente, f e derivabile parzialmente rispetto ad y nel punto (x, y) se esiste

∂f

∂y(x, y) = fy(x, y) = Dyf(x, y) = lim

k→0

f(x, y + k)− f(x, y)

h.

Per indicare le derivate parziali si usa il simbolo ∂ (“d storto”) per ricordare che cisono molte direzioni di derivabilita e che l’informazione che si ottiene con una singoladerivata e una informazione parziale. Questa e coerenza.

Se f e derivabile rispetto ad x e rispetto ad y, il vettore∇f(x, y) = (fx(x, y), fy(x, y))e detto gradiente di f (nel punto (x, y))5.

Per il calcolo concreto delle derivate parziali, si possono usare le stesse regole diderivazione di funzioni da R in R, basta ricordarsi di considerare costanti le variabilirispetto a cui non si deriva. Ad esempio,

f(x, y) = x2 + y2 =⇒ fx(x, y) = 2x, fy(x, y) = 2y,

f(x, y) = x3y + y2 =⇒ fx(x, y) = 3x2y, fy(x, y) = x3 + 2y.

Analogamente al caso di funzioni da R in R, e possibile definire le derivate successivedi una funzione f . Una funzione di due variabili ammette (al piu) due derivate prime(cioe fx e fy) e (al piu) quattro derivate seconde:

fxx =∂2f

∂x2, fxy =

∂2f

∂x∂y, fyx =

∂2f

∂y∂x, fyy =

∂2f

∂y2.

Ad esempio, consideriamo la funzione f(x, y) = x3y + y2. Allora

fxx = 6x, fxy = 3x2, fyx = 3x2, fyy = 2.

Guarda caso le derivate fxy e fyx coincidono... Questa proprieta e vera “quasi sempre”!Chiaramente e possibile definire anche le derivate terze, quarte, . . . .

5Il simbolo ∇ si legge “nabla”.

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2.6. SCHEDA RIASSUNTIVA 43

2.6 Scheda riassuntiva

Definizione 2.1.1 (Derivabilita).La funzione f e derivabile in x ∈ [a, b] se esiste finito il limite

derivata (prima): f ′(x) = limx1→x

f(x1)− f(x)

x1 − x.

Se f e derivabile in tutti i punti di I , f e derivabile in I .

Notazioni equivalenti: f ′ =df

dx= Df =

dy

dx= y = · · ·

Esempi: (c)′ = 0, (x)′ = 1, (x2)′ = 2x, (√

x)′ =1

2√

xx 6= 0.

La funzione√

x non e derivabile in x = 0.

Prime conseguenze della derivabilita

1. Derivabilita ⇒ Continuita.2. Equazione della retta tangente: y = f(x0) + f ′(x0)(x− x0).

Due funzioni continue, non derivabili in 0: f(x) = |x| e g(x) =

{x sin

(1x

)x 6= 0,

0 x = 0

Prime formule di derivazione

(xα)′ = αxα−1 (sin x)′ = cos x (cos x)′ = − sin x (ex)′ = ex (ln x)′ =1

x.

Regole fondamentali di derivazione

Linearita: φ(x) = αf(x) + βg(x) =⇒ φ′(x) = αf ′(x) + βg′(x).

Prodotto: φ(x) = f(x)g(x) =⇒ φ′(x) = f(x)g′(x) + f ′(x)g(x).

Rapporto: φ(x) =f(x)

g(x)=⇒ φ′(x) =

f ′(x)g(x)− f(x)g′(x)

[g(x)]2.

Funzione composta: f(x) = h(g(x)) ⇒ f ′(x) = h′(g(x)) g′(x).

Con questa formula si calcolano le derivate di xα (α ∈ R) e ax (a > 0), passando per la(utilissima!) formula ab = eb ln a per ogni a > 0, b ∈ R.

La funzione inversa f−1 e derivabile in x se e solo se f ′(f−1(x)) 6= 0 e vale

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44 CAPITOLO 2. DERIVATE, DERIVATE E DERIVATE

Funzione inversa: (f−1)′(x) =1

f ′(f−1(x)).

Derivate di alcune funzioni inverse:

(ln x)′ =1

x, (arcsin x)′ =

1√1− x2

, (arccos x)′ = − 1√1− x2

,

(arctan x)′ =1

1 + x2, (loga x)′ =

1

x ln a.

Derivate successive

Definizione 2.4.1 (derivata seconda). Se f ′ e derivabile, f e derivabile due volte

Per la funzione f ′′, derivata seconda, si usano le notazioni

f ′′ =d2f

dx2= D2f =

d2y

dx2= · · · ,

Iterando il procedimento si puo parlare di derivata n−esima.

Comunemente si scrive (k ∈ N)

C(I) ≡ C0(I) := {funzioni continue in I}C1(I) := {funzioni derivabili in I e con f ′ ∈ C(I)}Ck(I) := {funzioni derivabili k volte in I e con f (k) ∈ C(I)}C∞(I) := {funzioni infinitamente derivabili in I}.

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Capitolo 3

Teoremi sulle derivate

3.1 Teorema di Lagrange

Dato che il rapporto incrementale e determinato dai valori della funzione in due puntidistinti, esso riflette proprieta della funzione “in grande”. Invece, la derivata, che siottiene con un procedimento di limite, riflette solo proprieta “in piccolo”. E’ molto utilepoter dedurre proprieta globali della funzione (cioe “in grande”) a partire da proprietalocali (cioe “in piccolo”) date dalla derivata prima della funzione. Lo strumento piuutile per questa operazione e il teorema di Lagrange (o teorema del valor medio del calcolodifferenziale).1

Vediamo qual e il contenuto del Teorema di Lagrange dal punto di vista grafico.Consideriamo il rapporto incrementale

∆f

∆x=

f(x2)− f(x1)

x2 − x1

,

e supponiamo che la funzione f sia derivabile in tutti i punti dell’intervallo chiuso(x1, x2). Sappiamo che il rapporto incrementale rappresenta il coefficiente angolaredella retta passante per i punti (x1, f(x1)) e (x2, f(x2)). Immaginiamo di traslare paral-lelamente questa secante, allora esistera un posizione per cui la traslata e tangente algrafico di f in un qualche punto di coordinate (ξ, f(ξ)), con ξ tra x1 e x2. Per questovalore intermedio ξ vale la relazione f ′(ξ) = f(x2)−f(x1)

x2−x1.

Teorema 3.1.1 (Teorema di Lagrange).Sia f continua in [x1, x2] e derivabile in (x1, x2).Allora esiste ξ ∈ (x1, x2) tale che

f ′(ξ) =f(x2)− f(x1)

x2 − x1.

1Nei testi americani, spesso il Teorema di Lagrange e denominato “mean value theorem of differentialcalculus” o “intermediate value theorem”.

45

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46 CAPITOLO 3. TEOREMI SULLE DERIVATE

Figura 3.1: Il teorema di Lagrange

Un modo equivalente di enunciare la tesi del teorema e affermare che esiste θ ∈ (0, 1) per cui

f ′(x1 + θ(x2 − x1)) =f(x2)− f(x1)

x2 − x1.

Le due formulazioni sono equivalenti dato che il punto intermedio ξ puo sempre essere scrittonella forma ξ = x1 + θ(x2−x1) per θ ∈ (0, 1) opportuno. Oppure, sostituendo x1 con x e x2 conx + h, possiamo scrivere

f(x + h)− f(x)h

= f ′(x + θh), θ ∈ (0, 1).

Controesempio 1. “Datemi un punto (interno) di non derivabilita, e vi daro un controesem-pio.” Se la funzione f non e derivabile in tutti i punti dell’intervallo aperto (x1, x2),non e detto che valga la conclusione del Teorema di Lagrange: puo capitare che nes-suna parallela della secante che congiunge gli estremi del grafico sia tangente al graficostesso. Consideriamo la funzione f(x) = |x| nell’intervallo [−1, 1]. Questa funzione ederivabile per ogni x 6= 0 e si ha

D(|x|) =

{−1 −1 ≤ x < 0,+1 0 < x ≤ 1,

ma, dato chef(1)− f(−1)

1− (−1)=

1− 1

2= 0 6= D(|x|) ∀x,

la conclusione del Teorema non vale.

Si noti che, mentre e necessaria la derivabilita in tutti i punti interni all’intervallo [x1, x2], cioein tutti i punti di (x1, x2), non e necessaria la derivabilita agli estremi dell’intervallo. Ad esempio ilTeorema e applicabile alla funzione f(x) =

√x in [0, 1]. Verifichiamo direttamente la tesi:

f(1)− f(0)1− 0

=√

1−√

01− 0

= 1 =1

2√

ξ= f ′(ξ) ⇐⇒ ξ =

14.

Il Teorema di Lagrange e conseguenza del seguente risultato.

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3.1. TEOREMA DI LAGRANGE 47

Teorema 3.1.2 (Teorema di Rolle).Sia φ continua in [x1, x2] e derivabile in (x1, x2).Se φ(x1) = φ(x2), allora esiste ξ ∈ (x1, x2) tale che φ′(ξ) = 0.

Geometricamente, il Teorema di Rolle afferma che, se φ(x1) e φ(x2) coincidono al-lora il grafico di φ ha tangente orizzontale in un punto interno dell’intervallo (x1, x2).

Dimostrazione del Teorema di Rolle. Sia ` = φ(x1) = φ(x2). Dato che la funzione φ e continuain [x1, x2], per il Teorema di Weierstrass, esistono sia il massimo M che il minimo m di φ in[x1, x2]. Chiaramente, m ≤ ` ≤ M .

Se M = m, deve essere φ(x) = M in tutto l’intervallo [x1, x2], quindi φ′(x) = 0 in tutti ipunti dell’intervallo.

Se M 6= m, almeno uno dei due valori deve essere diverso da `. Supponiamo che siaM 6= ` (l’altro caso si tratta in modo simile). Allora M > ` ed esiste ξ ∈ [x1, x2] tale cheφ(ξ) = M . Inoltre visto che φ(x1) = φ(x2) = ` 6= M , ξ 6= x1, x2, ossia ξ ∈ (x1, x2). Dato cheφ(x) ≤ M = φ(ξ) per ogni x ∈ [x1, x2],

φ(x)− φ(ξ)x− ξ

≤ 0 ∀x > ξ,

≥ 0 ∀x < ξ,

Passando al limite per x → ξ da destra e da sinistra e, sapendo che i limiti destro e sinistroesistono e coincidono, si ha

φ′(ξ) = limx→ξ+

φ(x)− φ(ξ)x− ξ

≤ 0 e φ′(ξ) = limx→ξ−

φ(x)− φ(ξ)x− ξ

≥ 0

da cui 0 ≤ φ′(ξ) ≤ 0, e quindi φ′(ξ) = 0.

Dimostrazione del Teorema di Lagrange. Data f , definiamo la funzione (ausiliaria) φ

φ(x) := f(x)− f(x1)−f(x2)− f(x1)

x2 − x1(x− x1),

che rappresenta la distanza verticale tra il punto (x, f(x)) del grafico della funzione e la rettasecante passante per i suoi estremi. La funzione φ soddisfa le ipotesi di regolarita del Teoremadi Rolle (cioe e continua in [x1, x2] e derivabile in (x1, x2)). Inoltre

φ(x1) = f(x1)− f(x1)−f(x2)− f(x1)

x2 − x1(x1 − x1) = 0,

φ(x2) = f(x2)− f(x1)−f(x2)− f(x1)

x2 − x1(x2 − x1) = 0.

Quindi esiste un valore ξ ∈ (x1, x2) tale che φ′(ξ) = 0. Dato che

φ′(x) = f ′(x)− f(x2)− f(x1)x2 − x1

x ∈ (x1, x2),

si deduce che

φ′(ξ) = f ′(ξ)− f(x2)− f(x1)x2 − x1

= 0,

cioe la conclusione.

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48 CAPITOLO 3. TEOREMI SULLE DERIVATE

3.2 Conseguenze del Teorema di Lagrange

a. Funzioni monotone

Sia f derivabile in (a, b). Allora

f ′(x) > 0 ∀x ∈ (a, b) =⇒ f (strettamente) crescente in (a, b).

Infatti, supponiamo f ′(x) > 0 per ogni x ∈ (a, b) e siano x1, x2 in (a, b) tali che x1 < x2. Per ilTeorema di Lagrange, esiste ξ ∈ (x1, x2) ⊂ (a, b) tale che

f(x2)− f(x1) = f ′(ξ)(x2 − x1).

Dato che f ′(ξ) > 0 per ipotesi, ne segue f(x2) > f(x1).

Analogamente si dimostra che

f ′(x) < 0 ∀x ∈ (a, b) =⇒ f (strettamente) decrescente in (a, b).

Se invece dell’informazione f ′(x) > 0 o f ′(x) < 0, si ha l’informazione piu debolef ′(x) ≥ 0 o f ′(x) ≤ 0, la conclusione va sostituita con le analoghe proprieta di mono-tonıa deboli (nondecrescente/noncrescente).

Consideriamo, come esempio, la funzione

f(x) =1

1 + x2,

e studiamone la monotonıa. Da quanto si e appena detto, basta studiare il segno del-la derivata prima di questa funzione. Inoltre, visto che f e una funzione razionale,sappiamo calcolare esplicitamente l’espressione di f ′

(1

1 + x2

)′= − 2x

(1 + x2)2,

Dato che

f ′(x)

< 0 ∀x > 0,

> 0 ∀x < 0,

la funzione e crescente in (−∞, 0] ed e decrescente [0, +∞). (Per disegnare un grafi-co della funzione f si puo sfruttare anche che f(0) = 1, f ≥ 0 e che f e una funzionepari).

Vediamo un secondo esempio (potentemente istruttivo!). Consideriamo la funzione f(x) =1x . Dato che la derivata di questa funzione e

f ′(x) = − 1x2

< 0 ∀x 6= 0,

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3.2. CONSEGUENZE DEL TEOREMA DI LAGRANGE 49

Figura 3.2: Grafico di 1/(1 + x2) e della sua derivata

concludiamo che la funzione f e decrescente... Se pero calcoliamo la differenza del valore dellafunzione in 1 e in −1, otteniamo una contraddizione: f(1)− f(−1) = 1 + 1 > 0. Cosa sta succe-dendo? Bisogna stare attenti al fatto che le conclusioni sulla monotonıa delle funzioni seguonodal Teorema di Lagrange che vale su intervalli, cioe su insiemi “senza buchi” (si dicono insiemiconnessi). Se togliamo dall’enunciato del Teorema l’ipotesi di “assenza di buchi”, la conclu-sione non e piu vera.2 Nel caso della funzione 1/x stiamo applicando il Teorema all’insieme(−∞, 0) ∪ (0,+∞) che invece ha un buco: non contiene il punto 0. Ecco l’errore. Quindi lafunzione f(x) = 1/x NON e decrescente in R \ {0}! Possiamo invece correttamente applicarei risultati sulla monotonıa alle semirette (−∞, 0) e (0,∞) separatamente e concludere che 1

x edecrescente in (−∞, 0) ed e decrescente in (0,+∞).

b. Funzioni a derivata nulla.

Una seconda conseguenza del Teorema di Lagrange e la seguente:

f ′(x) = 0 ∀x ∈ (a, b) =⇒ f costante in (a, b).

Infatti, per ogni coppia di valori x1, x2 ∈ (a, b), esiste un valore ξ, compreso tra i due, per cuif(x2) − f(x1) = f ′(ξ)(x2 − x1). Dato che f ′(x) = 0 per ogni x ∈ (a, b), si avra, in particolare,f ′(ξ) = 0, cioe

f(x2)− f(x1) = f ′(ξ)(x2 − x1) = 0 =⇒ f(x2) = f(x1).

Si noti che, anche qui, ha un ruolo fondamentale il fatto che si lavori su intervalli. Adesempio, la funzione f definita da

f(x) =

{0 x ∈ [0, 1],1 x ∈ [2, 3],

2Da cui il noto modo di dire, attribuito a N. Barbecue, “Non tutti i Teoremi riescono col buco”...

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50 CAPITOLO 3. TEOREMI SULLE DERIVATE

e derivabile nel suo insieme di definizione [0, 1] ∪ [2, 3] e la sua derivata e ovunquenulla, ma la funzione si guarda bene dall’essere costante.

In vari casi stiamo notando come la proprieta di connessione di un insieme sia unaproprieta importante. Non e questa la sede per approfondire di piu la questione.Sottolineiamo soltanto che la scelta di lavorare principalmente con funzioni defi-nite in intervalli (o semirette) permette di trarre alcune conclusioni che non sareb-bero valide nel caso di funzioni definite in insiemi qualsiasi. E’ compito del lettoreattento individuare dove sia possibile estendere i risultati a casi piu generali, edove il lavorare su intervalli sia indispensabile.

c. Lipschitzianita di funzioni a derivata limitata

La derivabilita di una funzione ne implica la continuita. Vediamo ora un’altra proprietanella stessa linea di pensiero. Sia f derivabile in [a, b] e supponiamo inoltre che f ′ sialimitata in [a, b], cioe supponiamo

∃M > 0 tale che |f ′(x)| ≤ M ∀x ∈ [a, b].

Per ogni coppia di valori x1, x2 ∈ [a, b], dal Teorema di Lagrange segue che

|f(x2)− f(x1)| = |f ′(ξ)(x2 − x1)| ≤ M |x2 − x1|.

Quindi

una funzione derivabile con derivata limitata e lipschitziana.

Se f ∈ C1([a, b]), la derivata prima, essendo continua in un intervallo chiuso e limitato,e anche limitata per il Teorema di Weierstrass. Quindi tutte le funzioni in C1([a, b])sono lipschitziane.

d. Approssimazione lineare

Un’ulteriore applicazione interessante del Teorema di Lagrange e la stima dell’erroreche si commette approssimando una funzione con la sua tangente in un punto. Sia fderivabile in [a, b]. Supponiamo di riuscire a calcolare esplicitamente il valore della fun-zione f e della sua derivata prima f ′ in un punto assegnato x0 ∈ [a, b]. Si puo pensareche il valore della funzione f in un qualsiasi altro punto sia dato approssimativamentedal valore della funzione lineare che definisce la tangente al grafico di f in x0, cioe

f(x) ≈ f(x0) + f ′(x0)(x− x0).

Questo corrisponde ad approssimare il grafico della funzione f con quello della suatangente. E’ chiaro da questa costruzione che l’errore commesso sara tanto piu piccoloquanto piu piccola e la distanza |x−x0|. E’ possibile stimare l’errore che commettiamo facen-do questa approssimazione? Consideriamo un esempio concreto. Vogliamo calcolare, in

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3.2. CONSEGUENZE DEL TEOREMA DI LAGRANGE 51

modo approssimato, il valore di sin(1/10). Dato che 1/10 e ragionevolmente vicino a 0,possiamo pensare di approssimare la funzione sin x con la sua tangente in x = 0, cioesin(x) ≈ x. Calcolando in x = 0, 1 otteniamo l’approssimazione richiesta

sin (0, 1) ≈ 0, 1.

Il problema fondamentale e: qual e l’ordine di grandezza dell’errore commesso? Inaltri termini, e possibile stimare la grandezza della differenza | sin (0, 1)− 0, 1|?

Torniamo al caso generale. Supponiamo di lavorare con una funzione f che sia deri-vabile due volte nell’intervallo [a, b] e supponiamo che la derivata seconda f ′′ sia limitata,cioe esista M > 0 tale che |f ′′| ≤ M . Dato x0 ∈ [a, b], vogliamo stimare il valore assolutodella quantita

Rx0(x) = f(x)− f(x0)− f ′(x0)(x− x0).

Applicando il Teorema di Lagrange otteniamo l’espressione

Rx0(x) = f ′(ξ)(x− x0)− f ′(x0)(x− x0) = (f ′(ξ)− f ′(x0))(x− x0),

dove ξ e un punto compreso tra x e x0. Applicando il Teorema di Lagrange all’incre-mento f ′(ξ)− f ′(x0) otteniamo

Rx0(x) = f ′′(η)(ξ − x0)(x− x0),

dove η e un punto compreso tra ξ e x0. Quindi il valore assoluto dell’errore Rx0(x) estimato da

|Rx0(x)| = |f ′′(η)||ξ − x0||x− x0| ≤ M |x− x0|2, (3.1)

dove si e usata la limitatezza della derivata seconda f ′′ e il fatto che |ξ − x0| ≤ |x− x0|.Nel caso-modello di f(x) = sin x, x0 = 0 e x = 1/10, si ha∣∣∣∣R0

(1

10

)∣∣∣∣ ≤ 1

100,

dove si e usato che |f ′′(x)| = | − sin x| ≤ 1 e |x− x0| = 1/10. Quindi

0.09 < sin(0.1) < 0.11

e. Derivabilita tramite il limite della derivata

In alcune situazioni, capita di lavorare con funzioni definite tramite formule diverse in diversiintervalli. Consideriamo come caso modello una funzione della forma

f(x) =

f1(x) x < x0,` x = x0,f2(x) x > x0,

dove ` ∈ R, e f1, f2 sono funzioni note. La domanda naturale e se la funzione f sia derivabilenel punto x0 oppure no. Come abbiamo gia visto, la derivabilita implica la continuita, quindi,prima di tutto, deve essere verificata la condizione

limx→x−0

f1(x) = ` = limx→x+

0

f2(x).

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52 CAPITOLO 3. TEOREMI SULLE DERIVATE

Se questa condizione non e verificata, la funzione non e continua in x0 e quindi, a maggiorragione, non e neanche derivabile in x0. Nel caso in cui la funzione sia continua in x0, perstabilirne la derivabilita occorre calcolare il limite del rapporto incrementale in x0. Dato che lafunzione f e definita da espressioni diverse a seconda che ci si trovi a destra o a sinistra di x0,e sensato calcolare il limite del rapporto incrementale da destra e da sinistra.3 Per definizione,la funzione f e derivabile in x0 se e solo se questi limiti esistono e coincidono, ossia se e solo se

limx→x−0

f1(x)− `

x− x0= lim

x→x+0

f2(x)− `

x− x0.

La derivata in x0 e il valore comune di questi due limiti.In molte situazioni le f1 e f2 sono funzioni derivabili in tutto il loro insieme di definizione

ed e possibile calcolare esplicitamente la funzione derivata. Invece di calcolare il limite delrapporto incrementale, puo essere piu semplice calcolare le derivate f ′1 e f ′2 nei rispettivi dominie calcolare il limite di queste funzioni derivate. Quale informazione da questa procedura?

Proposizione 3.2.1 Dato x0 ∈ R e r > 0, sia f continua in x0 e derivabile in(x0 − r, x0 + r) \ {x0} e supponiamo che esistano finiti il limite destro e sinistrolim

x→x±0

f ′(x) = `±. Allora f e derivabile in x0 se e solo se `+ = `−.

Dimostrazione. Grazie al Teorema di Lagrange e possibile scrivere il rapporto incrementalecome

f(x)− f(x0)x− x0

=

f ′(ξ−) se x < x0, (x < ξ− < x0)

f ′(ξ+) se x > x0, (x0 < ξ+ < x)

dove ξ± sono punti opportuni tra x e x0. Passando al limite per x → x0 da sinistra, dato che illimite sinistro della derivata f ′ esiste ed e uguale ad `−,

limx→x−0

f(x)− f(x0)x− x0

= limx→x−0

f ′(ξ−) = `−.

Analogamente per il limite destro. Quindi, nelle ipotesi della Proposizione 3.2.1, i limiti destroe sinistro del rapporto incrementale esistono e sono uguali, rispettivamente, a `+ e `−. A questopunto, la conclusione e evidente.

Ad esempio, studiamo la derivabilita in 0 della funzione f(x) = x|x|. Dato che

x|x| ={−x2 x < 0,x2 x ≥ 0,

la funzione e certamente derivabile per x 6= 0 e

D (x|x|) =

{−2x x < 0,2x x > 0.

3Se esiste il limite destro del rapporto incrementale di una funzione f in x0, si dice che f e derivabileda destra in x0. Analogamente per il limite sinistro. Per indicare il limite destro/sinistro del rapportoincrementale (qualora esistano), cioe per indicare la derivata destra/sinistra si usa il simbolo D±f(x0), ovarianti.

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3.3. TEOREMA FONDAMENTALE DEL CALCOLO INTEGRALE 53

Ne segue chelim

x→0−−2x = lim

x→0+2x = 0,

la funzione e derivabile in 0.Consideriamo, invece, la funzione e−|x|. In questo caso

e−|x| =

{ex x < 0,e−x x ≥ 0.

La funzione e derivabile per x 6= 0 e

D(e−|x|

)=

{ex x < 0,−e−x x > 0.

In questo casolim

x→0−ex = 1 6= −1 = lim

x→0+−e−x,

e quindi la funzione non e derivabile in 0.

E’ importante sottolineare che la verifica della derivabilita in x0 tramite il calcolo del limitedella derivata a destra e a sinistra di x0 e lecita solo quando la derivata ammetta limiti destro esinistro in x0. Quando questi limiti non esistano, il criterio non e piu valido. La funzione puoessere derivabile o puo non esserlo.

Ad esempio, consideriamo la funzione

f(x) =

{x2 sin

(1x

)x 6= 0,

0 x = 0.

Per x 6= 0, la derivata prima f ′ di questa funzione e

f ′(x) = 2x sin(

1x

)− cos

(1x

).

Per x → 0, il primo dei due termini e infinitesimo, mentre il secondo non ammette limite, quindinon esiste lim

x→0±f ′(x). La Proposizione 3.2.1 non e applicabile. Per studiare la derivabilita in

zero, calcoliamo direttamente il limite del rapporto incrementale

limh→0

h2 sin(1/h)− 0h− 0

= limh→0

h sin(

1h

)= 0.

Quindi la funzione e derivabile in 0 e f ′(0) = 0.

3.3 Teorema fondamentale del calcolo integrale

Torniamo al problema di determinare formule di derivazione e consideriamo il casodelle funzioni integrali. Sia f ∈ C([a, b]) (cioe una funzione continua in [a, b]). Fissatoα ∈ [a, b], definiamo la funzione φ come segue

φ(x) =∫ x

αf(t) dt x ∈ [a, b].

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54 CAPITOLO 3. TEOREMI SULLE DERIVATE

Abbiamo gia visto che questa funzione e continua (e anche lipschitziana). Per studi-arne la derivabilita, consideriamo il suo rapporto incrementale

φ(x + h)− φ(x)

h=

1

h

x+h∫α

f(t) dt−x∫

α

f(t) dt

=1

h

∫ x+h

xf(t) dt

(l’ultima uguaglianza e conseguenza delle proprieta di additivita dell’integrale). Datoche la funzione f e continua, e possibile applicare il Teorema della Media Integrale perriscrivere il rapporto incrementale come

φ(x + h)− φ(x)

h= f(ξ) (ξ compreso tra x e x + h).

Passando al limite per h → 0 e notando che, dato che f e continua e ξ → x, limh→0

f(ξ) =

f(x), si deduce

φ′(x) = limh→0

φ(x + h)− φ(x)

h= lim

h→0f(ξ) = f(x).

Abbiamo quindi dimostrato il seguente risultato.

Teorema 3.3.1 (Teorema Fondamentale del Calcolo Integrale – Prima parte).

Sia f ∈ C([a, b]), α ∈ [a, b]. e φ(x) =

x∫α

f(t) dt per x ∈ [a, b]. Allora φ e derivabile in [a, b] e

φ′(x) = f(x).

Questo risultato e estremamente interessante sotto molti punti di vista.

Una prima conseguenza (pratica) notevole e che, dato che siamo in grado di calcolarne laderivata, possiamo dedurre molte proprieta qualitative importanti anche per una funzione chenon sia espressa direttamente tramite funzioni elementari, ma come integrale di una funzioneelementare. Ad esempio consideriamo la funzione

funzione degli errori: Erf(x) =1√2π

∫ x

0e−t2/2 dt,

(a meno di costanti moltiplicative). Chiaramente questa funzione e ben definita su tutto R (lafunzione e−x2

e continua in tutto R e quindi integrabile su ogni intervallo).Dal Teorema Fondamentale del Calcolo (I parte), deduciamo che

D (Erf(x)) =1√2π

e−x2/2 > 0.

Quindi le rette tangenti al grafico di questa funzione hanno sempre coefficiente angolare po-sitivo. Tra non molto vedremo come questa informazione si traduca nel fatto che la Erf(x) ecrescente (e quindi invertibile).

Inoltre, il Teorema 3.3.1 risolve un problema interessante:

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3.3. TEOREMA FONDAMENTALE DEL CALCOLO INTEGRALE 55

Figura 3.3: La funzione degli errori (sbagliata?)

data f , trovare una funzione F che risolva l’equazione F ′ = f .

L’equazione F ′ = f e un’equazione differenziale in cui il dato e la funzione f e l’incognitae la funzione F . Una soluzione F di questa equazione si dice primitiva di f . Il Teoremafondamentale del calcolo afferma che se f ∈ C([a, b]) il problema F ′ = f ammettealmeno una soluzione (data dalla funzione integrale φ), cioe esiste sempre almeno unaprimitiva. Da questo punto di vista si puo intepretare l’operazione di integrazione comel’operazione inversa della derivazione.

Teorema 3.3.2 (Teorema Fondamentale del Calcolo Integrale – Seconda parte).Sia f definita in [a, b] e siano F e G due sue primitive. Allora esiste c ∈ R tale che

F (x)−G(x) = c per ogni x ∈ [a, b].

Dimostrazione del Teorema Fondamentale (II parte). La dimostrazione e molto semplice.Calcoliamo la derivata della funzione differenza F −G:

(F (x)−G(x))′ = F ′(x)−G′(x) = f(x)− f(x) = 0.

Per quanto gia visto (Sezione 3.2(b)), la differenza F − G deve essere costante. Quindi, se

f ∈ C([a, b]), l’equazione F ′ = f e completamente risolta: tutte le soluzioni sono dellaforma ∫ x

αf(t) dt + c c ∈ R.

La classe delle primitive della funzione f si indica con∫f(x) dx,

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56 CAPITOLO 3. TEOREMI SULLE DERIVATE

e si chiama integrale indefinito di f . Si noti bene che l’integrale indefinito di unafunzione indica una classe di funzioni, e non una singola funzione.

Sintetizziamo i due risultati enunciati in un’unico Teorema.

Teorema 3.3.3 (Teorema Fondamentale del Calcolo Integrale).Data f ∈ C([a, b]), le soluzioni dell’equazione differenziale F ′ = f sono tutte esole della forma

F (x) =∫ x

αf(t) dt + c, con α ∈ [a, b] e c ∈ R.

Se si cerca una primitiva F di una funzione f con la richiesta aggiuntiva che lafunzione F valga in un punto assegnato x0 un valore dato y0, cioe se si vuole risolvere

dati f ∈ C([a, b]), x0 ∈ [a, b], y0 ∈ R, trovare F tale che{

F ′(x) = f(x),F (x0) = y0,

(3.2)

la soluzione F esiste, e unica ed e data da

F (x) = y0 +∫ x

x0

f(t) dt.

Il problema (3.2) rientra nella classe dei problemi di Cauchy per equazioni differenziali.

Primitive e calcolo degli integrali definiti.

Il Teorema fondamentale del calcolo ha una conseguenza interessante che riguarda ilcalcolo esplicito di integrali definiti. Fino ad adesso, data una funzione f continuaabbiamo visto che ha senso parlare del suo integrale definito nell’intervallo [a, b]∫ b

af(t) dt. (3.3)

Abbiamo anche calcolato il valore di questo integrale definito per scelte particolaridella funzione f . Il calcolo era basato sulla costruzione dell’integrale tramite sommeapprossimanti e sul fatto che queste somme approssimanti, grazie ad alcune proprietadelle funzioni che abbiamo considerato, possono essere riscritte in una forma che per-mette di passare al limite ed ottenere il valore esplicito dell’integrale. Concretamentequesta strategia di calcolo non e affatto conveniente.

Supponiamo ora di voler calcolare (3.3) e supponiamo di conoscere gia (per altrevie) una primitiva della funzione f , cioe una funzione F tale che F ′ = f . Sappiamoche anche la funzione integrale definita da

φ(x) =∫ x

af(t) dt.

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3.3. TEOREMA FONDAMENTALE DEL CALCOLO INTEGRALE 57

e una primitiva di f e, quindi, per il Teorema Fondamentale del Calcolo (II parte),differisce da F per una costante, cioe φ(x) = F (x) + c per qualche c ∈ R. La costante cpuo essere determinata, calcolando in x = a:

0 = φ(a) = F (a) + c =⇒ c = −F (a).

Si deduce quindi che φ(x) = F (x)− F (a) e quindi∫ b

af(t) dt = φ(b) = F (b)− F (a).

Quindi, se si conosce una primitiva F della funzione f , l’integrale definito di f in [a, b] euguale alla differenza dei valori della primitiva in b e in a, cioe

F ′ = f =⇒∫ b

af(t) dt = F (b)− F (a).

La differenza F (b)− F (a) si indica anche con F (x)∣∣∣ba, o[F (x)

]ba.

Ad esempio, abbiamo visto che∫ b

ax2 dx =

1

3(b3 − a3).

Per dimostrare questa formula, siamo passati per una rappresentazione (non banale)della somma dei quadrati dei primi n numeri interi. Grazie a quanto abbiamo appenanotato, per calcolare lo stesso oggetto, basta determinare una primitiva della funzionex2. Dato che D(x3) = 3x2,

D(

1

3x3)

= x2,

quindi una primitiva di x2 e x3/3. Otteniamo percio∫ b

ax2 dx =

1

3x3∣∣∣ba

=1

3b3 − 1

3a3 =

1

3(b3 − a3).

Piu in generale, dato che

D(

1

n + 1xn+1

)= xn,

vale la formula ∫ b

axn dx =

1

n + 1xn+1

∣∣∣ba

=1

n + 1(bn+1 − an+1).

Nello stesso modo possiamo ottenere formule di integrazione per altre funzioni. Adesempio, ∫ b

asin x dx = − cos x

∣∣∣ba

= cos a− cos b.

Attenzione! L’integrazione esplicita tramite una primitiva nota e una scorciatoianotevole rispetto al calcolo del limite delle somme approssimanti, ma e una “for-tuna occasionale”. Esistono tante funzioni per cui non e possibile determinare unaprimitiva in forma elementare. Non bisogna percio mai confondere la definizionedi integrale definito (che ha senso per ogni funzione continua) e il calcolo tramiteuna primitiva nota (che si puo realizzare solo in alcuni casi).

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58 CAPITOLO 3. TEOREMI SULLE DERIVATE

3.4 Scheda riassuntiva

Teorema di Lagrange

Teorema 3.1.1 (Teorema di Lagrange).Sia f continua in [x1, x2] e derivabile in (x1, x2). Allora esiste ξ ∈ (x1, x2) tale che

f ′(ξ) =f(x2)− f(x1)

x2 − x1

.

Graficamente, esiste un posizione per cui la traslata della retta per i punti (x1, f(x1)) e(x2, f(x2)) e tangente al grafico di f in (ξ, f(ξ)).

Controes. 1. La funzione f(x) = |x| in [−1, 1] e derivabile per x 6= 0 ef(1)− f(−1)

1− (−1)6= D(|x|)

Teorema 3.1.2 (Teorema di Rolle).Sia φ continua in [x1, x2] e derivabile in (x1, x2). Se φ(x1) = φ(x2), allora esiste ξ ∈ (x1, x2)tale che φ′(ξ) = 0.

Geometricamente, il Teorema di Rolle afferma che il grafico di φ ha tangente orizzon-tale in un punto interno dell’intervallo (x1, x2).

Conseguenze del Teorema di Lagrange

a. Funzioni monotone

f ′(x) > 0 ∀x ∈ (a, b) =⇒ f crescente in (a, b).

f ′(x) < 0 ∀x ∈ (a, b) =⇒ f decrescente in (a, b).

Analogamente

f ′(x) ≥ 0 ∀x ∈ (a, b) =⇒ f debolmente crescente in (a, b).

f ′(x) ≤ 0 ∀x ∈ (a, b) =⇒ f debolmente decrescente in (a, b).

b. Funzioni a derivata nulla.

f ′(x) = 0 ∀x ∈ (a, b) =⇒ f costante in (a, b).

c. Lipschitzianita di funzioni a derivata limitata

Una funzione derivabile con derivata limitata e lipschitziana.

In particolare, le funzioni in C1([a, b]) sono lipschitziane.

d. Approssimazione lineare

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3.4. SCHEDA RIASSUNTIVA 59

Se esiste M > 0 tale che |f ′′| ≤ M in [a, b], allora

|Rx0(x)| = |f ′′(η)||ξ − x0||x− x0| ≤ M |x− x0|2,

dove Rx0(x) = f(x)− f(x0)− f ′(x0)(x− x0).

e. Derivabilita tramite il limite della derivata

Proposizione 3.2.1. Dato x0 ∈ R e r > 0, sia f continua in x0 e derivabile in(x0 − r, x0 + r) \ {x0} e supponiamo che esistano finiti il limite destro e sinistrolim

x→x±0

f ′(x) = `±. Allora f e derivabile in x0 se e solo se `+ = `−.

Se il limite della derivata a destra e a sinistra di x0 non esistono, il criterio non e applicabile:la funzione puo essere derivabile o puo non esserlo.

Teorema fondamentale del calcolo integrale

Teorema 3.3.1 (Teorema Fondamentale del Calcolo Integrale – Prima parte).

Sia f ∈ C([a, b]), α ∈ [a, b] e φ(x) =

x∫α

f(t) dt per x ∈ [a, b]. Allora φ e derivabile in [a, b] e

φ′(x) = f(x).

Teorema 3.3.2 (Teorema Fondamentale del Calcolo Integrale – Seconda parte).Sia f definita in [a, b] e siano F e G due sue primitive. Allora esiste c ∈ R tale che F (x) −G(x) = c per ogni x ∈ [a, b].

Problema: data f , trovare una funzione F che risolva l’equazione F ′ = f .

Una funzione F tale che F ′ = f e una primitiva di f . Le primitive di f si indicano con∫f(x) dx integrale indefinito di f

Teorema 3.3.3 (Teorema Fondamentale del Calcolo Integrale).Data f ∈ C([a, b]), le soluzioni dell’equazione differenziale F ′ = f sono tutte e sole della forma

F (x) =∫ x

αf(t) dt + c con α ∈ [a, b] e c ∈ R.

Primitive e calcolo degli integrali definiti. Se si conosce una primitiva F della fun-zione f , l’integrale definito di f in [a, b] e uguale alla differenza dei valori della primi-tiva in b e in a:

F ′ = f =⇒∫ b

af(t) dt = F (b)− F (a).

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60 CAPITOLO 3. TEOREMI SULLE DERIVATE

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Capitolo 4

Analisi locale

Grazie ai concetti di limite e di derivazione e possibile analizzare con relativa pre-cisione una classe ampia di funzioni, in modo da determinarne proprieta qualitativeimportanti. In genere si distinguono le proprieta locali da quelle globali. Una proprietadi una funzione f e locale se dipende dal comportamento della funzione nell’intornodi un punto x. Continuita e derivabilita in x sono proprieta locali. Una proprieta diuna funzione f e globale se vale in tutto l’insieme di definizione della f . Ad esempio lefunzioni ex, arctan x, x3, . . . sono funzioni globalmente monotone crescenti e pertanto(globalmente) invertibili. L’obiettivo di questo capitolo e di approfondire l’uso delladerivazione per determinare proprieta locali di funzioni. Torneremo piu avanti sulleproprieta globali.

4.1 Punti stazionari

Data f : I → R, un punto x0 ∈ I e punto di massimo di f se vale

f(x) ≤ f(x0) ∀x ∈ I.

Il valore f(x0) = maxx∈I

f(x) e il massimo della funzione f in I . Analogamente per iminimi.

L’esistenza di un valore massimo o di un valore minimo per una funzione e unaproprieta globale della funzione. E’ utile introdurre un analogo locale del concetto dimassimo e di minimo.

Definizione 4.1.1 (Massimo e minimo relativo)Il punto x0 ∈ I e un punto di massimo relativo e il valore f(x0) e un massimo relativo dif se esiste un intorno del punto x0 tale che tutti i valori della funzione in quell’intorno sonominori o uguali a f(x0), cioe

∃ δ > 0 tale che f(x) ≤ f(x0) ∀x ∈ I, |x− x0| < δ.

Analogamente per il minimo relativo.

61

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62 CAPITOLO 4. ANALISI LOCALE

Un punto x0 che sia o di massimo relativo o di minimo relativo e un punto di estremo

relativo.

Se un punto x0 e un punto isolato dell’insieme di definizione di f , allora e sempreun punto di massimo e di minimo relativo! Colpo di scena!

Se una funzione ha un massimo o un minimo relativo in corrispondenza di un pun-to x0 in cui la funzione e derivabile e tale punto e interno all’insieme di definizione,necessariamente deve essere

f ′(x0) = 0.

Dimostrazione. La dimostrazione e ovvia pensando alla necessaria posizione orizzontale dellaretta tangente. Per una dimostrazione analitica, sia x0 un punto di massimo relativo interno esupponiamo f derivabile in x0. Dato che f(x) ≤ f(x0) per ogni x ∈ (x0 − δ, x0 + δ) ⊂ I

f(x)− f(x0)x− x0

≤ 0 ∀x0 < x < x0 + δ,

≥ 0 ∀x0 − δ < x < x0,

Passando al limite per x → x0 si deduce f ′(x0) = 0 (si ragiona come per la dimostrazione delTeorema 3.1.2).

Nel caso in cui il punto non sia interno al dominio, non vale la conclusione. Adesempio, se f : [a, b] → R e derivabile in a e a e un punto di massimo relativo, sideduce solamente che f ′(a) ≤ 0. Conclusioni analoghe si possono trarre per l’estremodestro e per i punti di minimo.

Risolvere l’equazione f ′(x) = 0 permette di determinare i possibili candidati a puntidi minimo o massimo relativo interno in cui f e derivabile (chiaramente, e possibile cheun estremo relativo cada in un punto in cui la funzione non e derivabile).

Definizione 4.1.2 (Punto stazionario).Se f ′(x) = 0, allora si dice che x e un punto stazionario1 o critico della funzione f .

Equivalentemente, si possono immaginare i punti critici di f come i valori x per cuila tangente al grafico di f in (x, f(x)) e orizzontale.

Esercizio. Determinare i punti critici della funzione f(x) = x7 + 14x4 + 1.

Soluzione. La derivata di f e f ′(x) = 7x3(x3 + 8), quindi

f ′(x) = 0 ⇐⇒ x3 = 0 o x3 + 8 = 0 ⇐⇒ x ∈ {0,−2}.

La funzione f ha due punti stazionari: x = 0 e x = −2.

1Il termine stazionario e ereditato dalla cinematica. In quel contesto la funzione f gioca il ruolo dellaposizione di una particella al tempo x e f ′(x) e la sua velocita. Un punto in cui la derivata e nullacorrisponde ad un istante di arresto.

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4.1. PUNTI STAZIONARI 63

Classificazione dei punti stazionari

Si e detto che se x0 e un punto di massimo o di minimo relativo interno, necessaria-mente f ′(x0) = 0. Il viceversa non e vero: esistono punti x0 tali che f ′(x0) = 0, ma chenon sono ne punti di massimo relativo, ne punti di minimo relativo. Ad esempio, lafunzione f(x) = x3 e strettamente crescente (quindi non ha ne punti di massimo nepunti di minimo in R), ma f ′(x) = 3x2 si azzera nel punto x = 0.

Un modo per individuare quando un punto stazionario sia anche punto di massimoo di minimo e tramite il segno della derivata prima alla destra e alla sinistra del puntoin questione. Supponiamo f derivabile in (x0 − δ, x0 + δ) con δ > 0. Allora

f ′(x)

≥ 0 x0 − δ < x < x0,

≤ 0 x0 < x < x0 + δ,=⇒ x0 punto di massimo relativo.

Analogamente, per il minimo, vale

f ′(x)

≤ 0 x0 − δ < x < x0,

≥ 0 x0 < x < x0 + δ,=⇒ x0 punto di minimo relativo.

Queste affermazioni seguono dal legame tra monotonia e segno di f ′

f ′(x) ≥ 0 ∀x ∈ (a, b) =⇒ f debolmente crescente in (a, b),

f ′(x) ≤ 0 ∀x ∈ (a, b) =⇒ f debolmente decrescente in (a, b),

che abbiamo gia visto come conseguenze del Teorema di Lagrange.

Esercizio. Determinare i punti critici della funzione f(x) = x2(3x2 − 8x + 6) e direquali di essi sono punti di massimo o di minimo.

Soluzione. La derivata prima della funzione e

f ′(x) = 2x(3x2 − 8x + 6) + x2(6x− 8) = 12x(x2 − 2x + 1) = 12x(x− 1)2.

I punti critici sono x = 0 e x = 1; il punto x = 0 e punto di minimo, mentre il puntox = 1 non e ne di massimo ne di minimo.

Sia x0 un punto critico di f . Per riconoscere se f ′ cambia segno traversando x0,basta considerare il segno di f ′′, qualora esista. Quindi

f ′(x0) = 0, f ′′(x0) > 0 =⇒ x0 punto di minimo relativo;

f ′(x0) = 0, f ′′(x0) < 0 =⇒ x0 punto di massimo relativo.

Nota bene! Si tratta solo di condizioni sufficienti: ad esempio, la funzione f(x) = x4

ha un punto di minimo in 0, ma f ′′(0) = 0.

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64 CAPITOLO 4. ANALISI LOCALE

∗ Alcuni esempi raffinati

In genere, si immagina il grafico di una funzione vicino al punto di minimo come se valganole ipotesi scritte in precedenza, cioe con f ′(x) ≤ 0 per x0 − δ < x < x0 e f ′(x) ≥ 0 perx0 < x < x0 + δ. Esistono pero anche situazioni in cui una funzione alla sinistra del punto diminimo non e decrescente e alla destra non e crescente. Scetticismo? Ecco un esempio:

f(x) =

x2(

2− sin(

1x

))x 6= 0,

0 x = 0.

Figura 4.1: Il grafico della funzione f

La funzione f e derivabile in tutto R e

f(x) ≥ 0 ∀x ∈ R, f(x) = 0 ⇐⇒ x = 0.

Quindi il punto x = 0 e punto di minimo assoluto, e quindi di minimo relativo. Neces-sariamente f ′(0) = 0 (come si puo ottenere anche tramite il calcolo del limite del rapportoincrementale). La derivata prima di f nei punti x 6= 0 e

f ′(x) = 2x

(2− sin

(1x

))+ cos

(1x

),

quindi, per x ≈ 0, si ha f ′(x) ≈ cos(

1x

), che assume valori sia positivi che negativi.

L’esempio appena presentato proviene da una variante della funzione sin(1/x). La propri-eta fondamentale di questa funzione (e della sua “discendenza”) e di avere un numero infini-to di oscillazioni che si accumulano vicino al punto x = 0. Tipicamente, questa eventualitasfugge alla prima intuizione. E’ proprio questo fatto che fa della funzione sin(1/x) un esempiofondamentale.

Cogliamo l’occasione per far notare un’altra sottigliezza. Sappiamo che se g′(x) > 0 in unintervallo, necessariamente la funzione g e crescente. Cosa succede se g′(x0) > 0 nel solo puntox0? La possibilita di tracciare la retta tangente (che e crescente) suggerirebbe il fatto che lafunzione g sia crescente, per lo meno in un intorno di x0. Invece questa affermazione e falsa!Consideriamo la funzione g(x) = 1

2x + f(x), essendo f(x) la precedente funzione, cioe

g(x) =

{12x + x2

(2− sin

(1x

))x 6= 0,

0 x = 0,

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4.2. PUNTI DI SINGOLARITA 65

Anche questa funzione e derivabile dappertutto e si ha

g′(x) =

{12 + cos

(1x

)+ 2x

(2− sin

(1x

))x 6= 0,

12 x = 0,

Quindi g′(0) = 12 > 0, ma in ogni intorno di x = 0 cadono punti in cui la derivata e negativa: si

tratta dei punti in cui cos(

1x

)e uguale a −1. Quindi non e vero che la funzione g e crescente in un

intorno dell’origine.Si noti che se g′ fosse stata continua, g′(x0) > 0 avrebbe implicato g′(x) > 0 in un intorno di

x0 e quindi la monotonia in tale intorno.

4.2 Punti di singolarita

In generale il termine “singolarita” e usato in modo vago e con significati diversi. Qui,per punti di singolarita ci riferiamo ad una di queste situazioni:

(a) valori x che non sono nell’insieme di definizione di f , ma che sono sulbordo (ad esempio, se f : (a, b] → R, il punto a);

(b) punti dell’insieme di definizione in cui f non e continua;

(c) punti in cui f e continua, ma non derivabile.

Nel seguito, indichiamo sempre con x0 il punto di singolarita.

Asintoti verticali. Sia nel caso (a) che nel caso (b), si calcola il limite

limx→x0

f(x).

Nel caso in cui il limite sia +∞ o −∞, la funzione ha in x = x0 unasintoto verticale. Lo stesso e vero nel caso in cui sia il limite destro che il limite sin-istro tendano a +∞ o −∞, ma con segni opposti. In generale, zeri del denominatoredi una funzione razionale (che non siano anche zeri del numeratore), corrispondono apunti di asintoto verticale.

Le situazioni in cui il limite non esista o non esista finito o esistano i limiti destro esinistro, ma con valori diversi, danno luogo a discontinuita evidenti.

Punti angolosi e cuspidi. Consideriamo il caso (c), quindi supponiamo x0 tale che lafunzione f sia continua in x0, ma non derivabile. Se esistono finiti i limiti destro esinistro della derivata prima

limx→x±0

f ′(x) = `±,

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66 CAPITOLO 4. ANALISI LOCALE

dato che f non e derivabile in x0, deve essere `+ 6= `−. Un punto di questo genere sichiama punto angoloso (o spigolo). Per disegnarlo correttamente e possibile tracciarele rette tangenti destra e sinistra, cioe le rette di equazione

y = f(x0) + `±(x− x0).

Nel caso in cui i limiti destro e sinistro siano ±∞ si possono avere due situazionidifferenti. Se entrambi sono +∞ (o −∞), cioe se

limx→x±0

f ′(x) = +∞ (−∞),

il punto x0 e un punto a tangente verticale. Se invece i limiti destro e sinistro sono±∞,ma con segni opposti, il punto x0 e una cuspide del grafico di f . Per un esempio dicuspide, si consideri la funzione f(x) =

3√

x2. In questo caso

limx→0±

f ′(x) = limx→0±

2

3 3√

x= ±∞.

Ovviamente sono possibili comportamenti analoghi a quelli descritti, ma misti: adesempio, e possibile che una funzione abbia la derivata prima che tende ad un valoredato da destra e che diverge da sinistra, o tutte le varianti che la mente e in grado diinventare. Fate voi.

Un altro esempio. Consideriamo a mo’ d’esempio, la funzione

f(x) = arctan(

1

x

)x 6= 0.

Il punto x = 0 e un punto di singolarita del grafico in cui la funzione non e definita. E’

Figura 4.2: Il grafico di arctan(

1x

)immediato verificare che

limx→0−

arctan(

1

x

)= −π

2e lim

x→0+arctan

(1

x

)=

π

2

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4.3. COMPORTAMENTO ASINTOTICO 67

Inoltref ′(x) = − 1

1 + x2→ −1 per x → 0±.

Quindi la funzione f ha una tangente destra ed una tangente sinistra (diverse) in x = 0e, vicino a 0, si comporta come la funzione g

g(x) =

{−π

2− x x < 0,

π2− x x > 0.

4.3 Comportamento asintotico

Se la funzione f e definita in insiemi illimitati, e interessante studiarne il comporta-mento per x →∞. Con un abuso di notazione, si puo parlare di studio della funzionenell’intorno di +∞ (o di −∞).

Sia f una funzione definita su una semiretta f : [a, +∞) → R con a ∈ R. In questocaso si vuole stabilire cosa succeda per x → +∞, cioe determinare il comportamentoasintotico per x → +∞. Considerazioni analoghe valgono per il caso di semirette deltipo (−∞, a], per R, e per tutte le varianti di domini illimitati che l’immaginazione (ela realta matematica) e in grado di produrre.

Sia f : [a, +∞) → R. La prima operazione sensata e il calcolo del limite per x →+∞. Se tale limite esiste finito, cioe se

∃ limx→+∞

f(x) = ` ∈ R,

si dice che la funzione f tende asintoticamente ad `, oppure che f ha un asintoto

orizzontale (di equazione y = `) per x → +∞. Per disegnare piu correttamente ilgrafico puo essere interessante studiare il segno della funzione f(x) − `, che indica seil grafico della funzione f sia al di sopra o al di sotto dell’asintoto.

Ad esempio, consideriamo la funzione

f(x) =2x2

x2 + 1x ∈ [1,+∞).

In questo caso,

limx→+∞

2x2

x2 + 1= 2,

quindi la funzione ha l’asintoto orizzontale di equazione y = 2. Studiamo il segno dellafunzione f(x)− `

f(x)− ` =2x2

x2 + 1− 2 = − 2

x2 + 1< 0,

quindi la funzione f tende a y = 2 dal basso.Invece, la funzione

f(x) =2x2 sinx

x2 + 1x ∈ [1,+∞),

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68 CAPITOLO 4. ANALISI LOCALE

Figura 4.3: Il grafico di f(x) = 2x2

x2+1

non ha limite per x → +∞ e quindi non ha asintoto orizzontale.

Nel caso in cui il limite della funzione f esista, ma sia±∞ e possibile che la funzionetenda asintoticamente ad un asintoto obliquo, ossia e possibile che esistano a, b ∈ R taliche

limx→+∞

[f(x)− (ax + b)] = 0. (4.1)

Questa proprieta indica che il grafico della funzione f si avvicina al grafico della rettay = ax + b per x → +∞. Il problema e: come determinare (qualora esistano) le costanti a eb? Supponiamo che valga (4.1), allora

limx→+∞

f(x)

x= lim

x→+∞

f(x)− ax

x+ a = a.

Una volta noto a, e possibile determinare b (qualora esista) calcolando

limx→+∞

[f(x)− ax] = b.

Quindi, per determinare la presenza di un asintoto obliquo

(i) calcolare limx→+∞

f(x): se il limite esiste finito, c’e un asintoto orizzontale(fine dello studio a +∞), se il limite non esiste, non c’e ne asintoto obliquo,ne asintoto orizzontale (fine dello studio a +∞), se il limite e +∞ o −∞ siva al punto (ii);

(ii) calcolare limx→+∞

f(x)/x: se il limite esiste finito, il suo valore e a e si vaal punto (iii), se il limite non esiste o se vale ±∞, non c’e asintoto obliquo(fine dello studio a +∞);

(iii) calcolare limx→+∞

[f(x) − ax]: se il limite esiste finito, il suo valore e b, lafunzione ha asintoto obliquo di equazione y = ax + b, se il limite non esisteo se vale ±∞, non c’e asintoto obliquo (fine dello sudio a +∞).

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4.3. COMPORTAMENTO ASINTOTICO 69

Consideriamo ad esempio la funzione

f(x) =3x2 − 1x + 1

x ∈ [0,+∞).

Si ha

limx→+∞

f(x) = limx→+∞

3x2 − 1x + 1

= +∞,

limx→+∞

f(x)x

= limx→+∞

3x2 − 1x(x + 1)

= 3 =: a,

limx→+∞

f(x)− 3x = limx→+∞

3x2 − 1x + 1

− 3x = limx→+∞

−1− 3x

x + 1= −3 =: b.

Quindi la funzione ha un asintoto obliquo di equazione y = 3x− 3. Anche in questo caso, perdisegnare un grafico piu preciso, si puo studiare il segno della funzione

f(x)− (ax + b) =3x2 − 1x + 1

− (3x− 3) =2

x + 1> 0 ∀x > −1.

Visto che la differenza e positiva il grafico della funzione tende a quello dell’asintoto dall’alto.

Figura 4.4: Il grafico di f(x) = 3x2−1x+1

Dopo il punto (i), se esiste finito limx→+∞

f ′(x), allora a e uguale al valore di questolimite e si puo proseguire direttamente dal punto (iii). Se invece il limite di f ′ nonesiste, bisogna necessariamente seguire il procedimento esposto sopra. Ad esempio,

per f(x) = x +sin(x2)

x, si ha

f ′(x) = 1 + 2 cos(x2)− sin(x2)

x2,

che non ammette limite per x → +∞, ma e facile vedere che la funzione ha un asintotoobliquo per x → +∞ di equazione y = x.

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70 CAPITOLO 4. ANALISI LOCALE

Altri profili asintotici

In alcune situazioni particolari, puo capitare che una data funzione f tenda asintoticamente aduna funzione nota, che non sia un polinomio di primo grado. Consideriamo, ad esempio,

f(x) =x3 + 1x− 2

.

Grazie all’algoritmo di divisione di polinomi, possiamo riscrivere questa funzione come

f(x) = x2 + 2x + 4 +9

x− 2.

Da questa espressione e immediato vedere che

limx→±∞

(f(x)− (x2 + 2x + 4)) = 0,

e quindi il grafico di f tende asintoticamente alla parabola y = x2 + 2x + 4.

Riconsideriamo la funzione

f(x) =2x2 sinx

x2 + 1x ∈ [1,+∞).

Dato che 2x2

x2+1→ 2 per x → +∞, e sensato immaginare che questa funzione “assomigli” alla

funzione f(x) = 2 sinx per x → +∞. Calcoliamo la differenza tra f(x) e 2 sinx e vediamo se einfinitesima: ∣∣∣∣∣2x2 sinx

x2 + 1− 2 sinx

∣∣∣∣∣ = 2 | sinx|1 + x2

≤ 21 + x2

→ 0 per x → +∞.

Quindi

f(x) =2x2 sinx

x2 + 1= 2 sin x + h(x) con lim

x→+∞h(x) = 0.

In generale se siamo in grado di riscrivere la funzione f nella forma

f(x) = g(x) + h(x)

con g funzione di cui si conosce il grafico e h → 0 per x → ∞, il grafico della funzione f

tende verso quello della funzione g. Non esiste alcuna strategia generale per determinare unadecomposizione di questo genere.

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4.4. SCHEDA RIASSUNTIVA 71

4.4 Scheda riassuntiva

Punti stazionari

Data f : I → R, un punto x0 ∈ I e punto di massimo di f se f(x) ≤ f(x0) per ognix ∈ I . Il valore f(x0) = max

x∈If(x) e il massimo della funzione f in I . Analogamente per

i minimi.

Definizione 4.1.1 (Massimo e minimo relativo).Il punto x0 ∈ I e un punto di massimo relativo se esiste δ > 0 tale che f(x) ≤ f(x0) perogni x ∈ I con |x− x0| < δ. Il valore f(x0) e un massimo relativo di f . Analogamente per ilminimo relativo. Un punto x0 di massimo o minimo relativo e un punto di estremo relativo.

Se una funzione ha un massimo o un minimo relativo in x0 in cui la funzione ederivabile e tale punto e interno all’insieme di definizione, allora f ′(x0) = 0.

Definizione 4.1.2 (Punto stazionario).Se f ′(x) = 0, allora si dice che x e un punto stazionario o critico della funzione f .

Classificazione dei punti stazionari

Per individuare quando un punto x0 stazionario sia anche punto di massimo o diminimo (per f derivabile in (x0 − δ, x0 + δ) con δ > 0)

f ′(x)

≥ 0 x0 − δ < x < x0,

≤ 0 x0 < x < x0 + δ,=⇒ x0 punto di massimo relativo.

f ′(x)

≤ 0 x0 − δ < x < x0,

≥ 0 x0 < x < x0 + δ,=⇒ x0 punto di minimo relativo.

In maniera simile, si puo considerare il segno di f ′′, qualora esista:

f ′(x0) = 0, f ′′(x0) > 0 =⇒ x0 punto di minimo relativo;

f ′(x0) = 0, f ′′(x0) < 0 =⇒ x0 punto di massimo relativo.

Nota bene! Si tratta solo di condizioni sufficienti (ad esempio, x4 in x0 = 0. . . )

Punti di singolarita

Asintoti verticali. Se limx→x0

f(x) vale +∞ o −∞, la funzione ha in x = x0 un asinto-

to verticale. Lo stesso e vero nel caso in cui sia il limite destro che il limite sinistrotendano a +∞ o −∞, ma con segni opposti.

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72 CAPITOLO 4. ANALISI LOCALE

Zeri del denominatore di una funzione razionale (che non siano zeri del numeratore), cor-rispondono a punti di asintoto verticale.

Punti angolosi e cuspidi.Sia f continua in x0 ma non derivabile in x0.

Se esistono finiti i limiti limx→x±0

f ′(x) = `±, il punto x0 si chiama punto angoloso (o

spigolo). Per disegnarlo, si possono tracciare le tangenti destra e sinistra y = f(x0) +`±(x− x0).

Se i limiti destro e sinistro di f ′ sono ±∞ si possono avere due situazioni:– se lim

x→x±0

f ′(x) = +∞ (−∞), il punto x0 e un punto a tangente verticale;

– se i limiti destro e sinistro sono ±∞, ma con segni opposti, il punto x0 e unacuspide.

Comportamento asintotico

La funzione f ha un asintoto orizzontale (di equazione y = `) per x → +∞ se

limx→+∞

f(x) = ` ∈ R,

La funzione f ha un asintoto obliquo (di equazione y = ax + b) per x → +∞ se

limx→+∞

[f(x)− (ax + b)] = 0 per qualche a, b ∈ R.

Per determinare la presenza di un asintoto orizzontale od obliquo:

(i) calcolare limx→+∞

f(x): se esiste finito, c’e un asintoto orizzontale; se nonesiste, non c’e asintoto; se il limite e +∞ o −∞ si va a (ii);

(ii) calcolare limx→+∞

f(x)/x: se esiste finito, il suo valore e a e si va a (iii), se illimite non esiste o se vale ±∞, non c’e asintoto obliquo;

(iii) calcolare limx→+∞

[f(x) − ax]: se esiste finito, il suo valore e b, la funzioneha asintoto obliquo di equazione y = ax + b; se il limite non esiste o se vale±∞, non c’e asintoto obliquo.

Dopo (i), se esiste finito limx→+∞

f ′(x), allora a e uguale al valore di questo limite e si prosegue da

(iii). Se il limite di f ′ non esiste, bisogna seguire il procedimento esposto sopra.

Altri profili asintotici. In generale, se f(x) = g(x) + h(x) con h che tende a 0 per x → ∞,il grafico della funzione f tende verso quello della funzione g. Non esiste alcuna strategiagenerale per determinare una decomposizione di questo genere.

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Capitolo 5

Analisi globale

5.1 Problemi quotidiani

Per iniziare, presentiamo alcuni problemi che conducono allo studio di proprieta glob-ali di funzioni opportune. Quanto meno per avere un’idea della motivazione di quelche diremo dopo.

Problema 1. Abbiamo gia considerato il problema di determinare il cilindro di volumeV = k = costante con superficie totale S minima, con l’obiettivo (malcelato) di di-ventare ricchi grazie all’uso della matematica, applicando il risultato alla costruzionedi scatole di fagioli, o, piu in generale, di confezioni cilindriche con minima spesa dimateriali. La speranza si era presto infranta quando ci siamo resi conto che per viaelementare non riuscivamo a determinare il minimo della funzione S, cioe a risolvereil problema (r =raggio della base del cilindro)

determinare il minimo di S(r) = 2π

(r2 +

k

πr

)r > 0.

Torniamo al problema con la conoscenza delle derivate e studiamo la monotonıa dellafunzione:

dS

dr= 2π

(2r − k

πr2

)=

r2

(r3 − k

).

Percio S ′(r) ≥ 0 se e solo se r ≥ r∗ dove r∗ = (k/2π)1/3. Quindi la funzione S e de-crescente in (0, r∗) ed e crescente in (r∗,∞). Ne segue che il punto di minimo richiestoesiste ed e proprio r = r∗. Problema risolto, corriamo in fabbrica!

Problema 2. Vogliamo dimostrare la disequazione

xp − 1 ≥ p(x− 1) ∀p > 1, ∀x ≥ 0.

Fissiamo p > 1 e consideriamo la funzione

F (x) = xp − 1− p(x− 1) x ≥ 0.

73

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74 CAPITOLO 5. ANALISI GLOBALE

Dato che F ′(x) = p(xp−1 − 1) ne segue che F ′(x) < 0 per x ∈ [0, 1) e F ′(x) > 0 perx ∈ (1, +∞). Quindi la funzione F e decrescente in [0, 1) e crescente in (1, +∞) e x = 1e un punto di minimo. Ne segue che

F (x) ≥ F (1) = 0,

da cui la conclusione.

Problema 3. Siano a1, a2, . . . , an ∈ R assegnati. Supponiamo di voler determinarex ∈ R tale che sia minima la quantita

n∑i=1

(ai − x)2. (5.1)

Possiamo immaginare che i valori ai provengano da misurazioni di un fenomeno sottoosservazione e che si stia cercando un valore medio per questi valori, che minimizzil’errore commesso misurato dal valore in (5.1). Dato che si cerca un punto di minimo,

consideriamo la funzione F (x) =n∑

i=1(ai − x)2 e calcoliamone la derivata. Si ha

F ′(x) = −2n∑

i=1

(ai − x) = −2

[n∑

i=1

ai −n∑

i=1

x

]= 2n

[x− 1

n

n∑i=1

ai

].

La funzione F e quindi decrescente alla sinistra di (n∑

i=1ai)/n e crescente alla destra. Il

valore

x =1

n

n∑i=1

ai

e il punto di minimo (e coincide con la media aritmetica di a1, . . . , an).

Allo stesso modo, dati a1, a2, . . . , an ∈ R, se si vuole minimizzaren∑

i=1λi(ai − x)2 dove

λ1, . . . , λn > 0 sono pesi (positivi), bisogna scegliere x uguale alla media pesata degli ai:

x =

n∑i=1

λiai

n∑i=1

λi

.

5.2 A caccia di massimi e minimi assoluti

Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, in molte situazioni ci si trova a doverdeterminare il minimo o il massimo di una funzione assegnata. Ricordiamo ancorauna volta che se f : I → R e una funzione, un punto x0 ∈ I e punto di massimo se vale

f(x) ≤ f(x0) ∀x ∈ I.

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5.2. A CACCIA DI MASSIMI E MINIMI ASSOLUTI 75

Il valore f(x0) = maxx∈I

f(x) e il massimo di f in I . Analogamente per i minimi.Talvolta per distinguere in modo piu chiaro il massimo e il minimo dagli analoghi

concetti locali (massimi e minimi relativi), si parla di massimo assoluto e di minimo

assoluto.

Chiaramente un massimo (assoluto) e, a maggior ragione, un massimo relativo.Non e difficile immaginare funzioni che ammettano massimi relativi che non sonomassimi assoluti.

Consideriamo ad esempio la funzione f(x) = x4 − x2 e tale che

f(0) = 0, f(x) ≤ 0 ∀x ∈ (−1, 1),

e quindi 0 e un punto di massimo relativo, ma non e di massimo assoluto dato chelim

x→±∞f(x) = +∞.

Abbiamo gia detto che le soluzioni di f ′(x) = 0 (cioe i punti critici di f ) permettonodi determinare i possibili candidati a punti di minimo o massimo relativo interno de-rivabile. Chiaramente, e possibile che un estremo relativo cada in un punto in cui lafunzione non e derivabile.

A questo punto possiamo definire una strategia per individuare il massimo ed ilminimo di una funzione continua in un intervallo [a, b] (per il Teorema di Weierstrass,massimo e minimo di f esistono):

? determinare l’insieme S dei punti stazionari in (a, b);

? determinare l’eventuale insieme N dei punti in cui f non e derivabile;

? calcolare la funzione:(i) in S,(ii) in N ,(iii) negli estremi dell’intervallo a e b.

? individuare il piu grande e il piu piccolo tra i valori calcolati.

Esercizio. Determinare il massimo ed il minimo assoluti della funzione f(x) =(x2 − 5x + 7)ex per x ∈ [0, 2].

Soluzione. La funzione f e derivabile in tutto l’intervallo considerato. Per deter-minare i punti singolari:

f ′(x) = (2x− 5)ex + (x2 − 5x + 7)ex = (x2 − 3x + 2)ex = (x− 2)(x− 1)ex.

Quindi f ′(x) = 0 se e solo se x = 1 o x = 2. L’insieme dei punti critici interni eS = {1}. Dato che f(0) = 7 < f(2) = e2 < f(1) = 3e, si ha

minx∈[0,2]

f(x) = f(0) = 7, maxx∈[0,2]

f(x) = f(1) = 3e,

che e quanto richiesto dall’esercizio.

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76 CAPITOLO 5. ANALISI GLOBALE

Spesso e utile conoscere il massimo del modulo di una funzione assegnata f , cioerisolvere il problema

data f : [a, b] → R continua, calcolare maxx∈[a,b]

|f(x)|.

In questo caso, si puo procedere come detto sopra, o, alternativamente, determinare ilmassimo ed il minimo della funzione f in [a, b] e poi sfruttare la relazione (evidente?)

maxx∈[a,b]

|f(x)| = max{|maxx∈[a,b]

f(x)|, | minx∈[a,b]

f(x)|}.

Esercizio. Data f(x) = |x2 − 1|, calcolare

max{|f(x)| : x ∈ [−1, 2]}

Soluzione. Il minimo ed il massimo della funzione x2 − 1 in [−1, 2] sono, eviden-temente, −1, raggiunto in x = 0 e 3 in x = 2. Quindi

maxx∈[−1,2]

|x2 − 1| = max{| − 1|, |3|

}= 3.

Un buon esercizio e determinare il massimo di |x2 − 1| in [−1, 2] usando la strate-

Figura 5.1: Il grafico di f(x) = |x2 − 1|

gia (punti critici/punti non derivabili/estremi) direttamente sulla funzione con ilmodulo.

La ricerca del minimo di |f(x)| e banale (vale 0) nel caso in cui la funzione f si annulli inqualche punto. Se invece non ci sono zeri di f , vale

minx∈[a,b]

|f(x)| = min{|maxx∈[a,b]

f(x)|, | minx∈[a,b]

f(x)|}.

Ad esempio, per la funzione considerata prima, |x2 − 1| in [−1, 2], ci sono due zeri x = ±1 equindi min

x∈[−1,2]|x2 − 1| = 0.

Nel caso in cui si studi una funzione f continua, ma definita su un dominio illimi-tato (ad esempio, f : [a, +∞) → R), le ipotesi del Teorema di Weierstrass non sono

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5.3. CONCAVITA E CONVESSITA 77

soddisfatte e quindi non e detto che esistano il massimo ed il minimo della funzione.Comunque ha senso domandarsi: quanto valgono l’estremo superiore e l’estremo inferiore?Nel caso in cui siano finiti, si tratta di massimo o di minimo? La strategia per risolvere que-sto problema e simile a quanto appena visto. Il punto che bisogna modificare e quellorelativo al calcolo della funzione negli estremi dell’intervallo. In questo caso almenouno degli estremi dell’intervallo sara +∞ o −∞ e le espressioni f(+∞) e f(−∞), ingenerale, non hanno senso, ma vanno sostituite con lim

x→±∞f(x). Vediamo la procedura

in un esempio.

Esercizio. Determinare l’estremo superiore e l’estremo inferiore della funzionef(x) = e−x2

in R e dire se si tratta di massimo e minimo.

Soluzione. La funzione e derivabile su tutto R e la derivata vale f ′(x) = −2xe−x2.

Quindi c’e un unico punto critico x = 0 in cui la funzione vale f(0) = 1. Inoltre

limx→−∞

e−x2= lim

x→+∞e−x2

= 0.

Confrontando i valori deduciamo che

infx∈R

e−x2= 0 sup

x∈Re−x2

= f(0) = 1.

Dato che l’estremo superiore fa parte dell’insieme immagine, l’estremo superi-ore e massimo. Invece l’estremo inferiore non e minimo, perche la funzione f estrettamente positiva: e−x2

> 0 per ogni x ∈ R.

Analogamente nel caso di funzioni continue definite in insiemi non chiusi, cioef : (a, b) → R oppure f : [a, b) → R, o varianti, non si applica il Teorema di Weier-strass. Anche in questi casi, per determinare l’estremo superiore/inferiore bisognaconsiderare i limiti agli estremi.

5.3 Concavita e convessita

Fino a questo punto, abbiamo individuato quali proprieta siano fornite dalla derivataprima. Che indicazioni da la derivata seconda? Per rispondere a questo angosciante in-terrogativo, introduciamo la nozione di convessita, che riguarda le funzioni il cui graficosi trova al di sotto di quello delle sue corde.

Definizione 5.3.1 Una funzione f : [a, b] → R e convessa in [a, b] se

f(tx + (1− t)y) ≤ tf(x) + (1− t)f(y) ∀x, y ∈ [a, b] ∀ t ∈ (0, 1). (5.2)

Una funzione per cui valga la disuguaglianza opposta si dice concava.

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78 CAPITOLO 5. ANALISI GLOBALE

Figura 5.2: Una funzione convessa ed una non convessa.

Dalla definizione segue che se f e concava, allora −f e convessa, e viceversa.Quindi studiare la convessita e sufficiente per comprendere anche la concavita.

Cerchiamo di capire il significato geometrico della condizione (5.2). Fissiamo x = xe y = y con x < y. Per t ∈ (0, 1), definiamo z(t) := tx + (1 − t)y ∈ (x, y). Scriviamo laretta che passa per (x, f(x)) e (y, f(y)):

Φ(x) = f(x) +f(y)− f(x)

y − x(x− x),

e calcoliamo questa funzione in z(t). Dato che

Φ(z(t)) = f(x) +f(y)− f(x)

y − x(tx + (1− t)y − x)

= f(x) +f(y)− f(x)

y − x(1− t)(y − x)

= f(x) + (f(y)− f(x))(1− t) = tf(x) + (1− t)f(y),

la condizione (5.2), si puo riscrivere come

f(z(t)) ≤ Φ(z(t)) ∀x, y ∈ [a, b] ∀ t ∈ (0, 1).

Questa scrittura ha un interpretazione in termini di grafico immediata: una funzione fe convessa, se per ogni scelta di x e y nel dominio di definizione, il grafico di f e al di sotto dellaretta secante che congiunge i punti (x, f(x)) e (y, f(y)) nell’intervallo di estremi x e y.

Proposizione 5.3.2 Una funzione f : [a, b] → R e convessa in [a, b] se e solo se

f(z)− f(x)

z − x≤ f(y)− f(x)

y − x≤ f(y)− f(z)

y − z(5.3)

per ogni x, y, z tali che a ≤ x < z < y ≤ b.

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5.3. CONCAVITA E CONVESSITA 79

La dimostrazione di questa proprieta si ottiene semplicemente riscrivendo in termi-ni di rapporti incrementali la formula (5.2). I dettagli sono lasciati alla buona volontadel lettore.

La proprieta (5.3) puo essere interpretata graficamente in termini di monotonıadelle pendenza delle secanti. Quando la funzione e derivabile, questa proprieta dimonotonia diviene una richiesta di monotonia della funzione derivata prima. Nel casoin cui la funzione f sia derivabile due volte, la monotonıa della f ′ puo essere tradottain termini di segno della derivata seconda f ′′.

Teorema 5.3.3 (Teorema di Convessita).Sia f : [a, b] → R. Allora

(i) se f e derivabile una volta, f convessa in [a, b] se e solo se f ′ e debolmentecrescente in [a, b];(ii) se f e derivabile due volte, f e convessa in [a, b] se e solo se f ′′ ≥ 0 in [a, b].

Per le funzioni concave, vale un risultato analogo sostituendo a “f ′ crescente” lafrase “f ′ debolmente decrescente” e a “f ′′ ≥ 0” la frase “f ′′ ≤ 0”.

La dimostrazione verra data piu avanti.Anche il Teorema di Convessita ha un’interpretazione geometrica: se la funzione f

e derivabile e convessa, il suo grafico e sempre al di sopra della retta tangente in qualsiasi suopunto. Infatti, scriviamo la differenza tra f e la retta tangente in (x0, f(x0))

Rx0(x) = f(x)− f(x0)− f ′(x0)(x− x0),

con l’obiettivo di dimostrare che se f e convessa, la funzione Rx0(x) e positiva. Ap-plichiamo il teorema di Lagrange e riscriviamo Rx0(x) come

Rx0(x) = f ′(ξ)(x− x0)− f ′(x0)(x− x0) = (f ′(ξ)− f ′(x0))(x− x0).

Se x > x0 allora ξ > x0 e quindi, essendo f ′ crescente, f ′(ξ) > f ′(x0). Ne segue cheil termine a destra e positivo perche prodotto di termini positivi. Se x < x0 alloraξ < x0 e, sempre per la monotonıa di f ′, f ′(ξ) < f ′(x0). Questa volta i due termini sonoentrambi negativi, ma comunque il loro prodotto e positivo.

Riassumendo, per la convessita abbiamo tre interpretazioni:

– il grafico di f e sotto il grafico della secante;– le pendenze delle secanti sono monotone;– il grafico della funzione e al di sopra di quello della tangente.

In corrispondenza abbiamo varie maniere analitiche per studiare la convessita diuna funzione. Quelle piu semplici da utilizzare concretamente sono quelle contenutenel Teorema di Convessita e che fanno ricorso alle derivate della funzione. In partico-lare, la caratterizzazione delle funzioni convesse derivabili due volte e estremamentecomoda perche riduce il problema alla risoluzione di una disequazione: f ′′(x) ≥ 0.

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80 CAPITOLO 5. ANALISI GLOBALE

Definizione 5.3.4 Un punto x0 tale che f sia convessa alla destra di x0 e concava alla sinistra,o viceversa, si chiama punto di flesso.

Grazie al Teorema 5.3.3, se f ′′ a segno opposto alla destra e alla sinistra di x0,necessariamente x0 e un punto di flesso.

Ad esempio, consideriamo la funzione f(x) = sinx. La sua derivata seconda ef ′′(x) = − sin x, quindi tutti punti della forma x = kπ per k ∈ Z sono punti diflesso. Per la funzione f(x) = 1

1+x2 , si ha

f ′(x) = − 2x

(1 + x2)2=⇒ f ′′(x) =

2(3x2 − 1)(1 + x2)3

,

e quindi i punti di flesso di f sono x = ±1/√

3. La funzione f e convessa in(−∞,−1/

√3) e in (1/

√3,+∞) e concava in (−1/

√3, 1/

√3).

La convessita e utile per determinare l’esistenza di minimi di una funzione. Infatti,vale la seguente implicazione

f convessa, f ′(x0) = 0 =⇒ x0 punto di minimo.

La dimostrazione e lasciata per esercizio. Analogamente, per le funzioni concave edi punti di massimo. Chiaramente se la convessita e solo locale (cioe in un intorno delpunto x0), x0 e punto di minimo relativo.

Dimostrazione del Teorema di Convessita.

(i) Supponiamo che f sia convessa, allora vale la (5.3). Quindi, passando al limite per z → x+

si ottiene

f ′(x) ≤ f(y)− f(x)y − x

.

Analogamente, passando al limite nella (5.3) per z → y−,

f(y)− f(x)y − x

≤ f ′(y).

Ne segue che f ′(x) ≤ f ′(y) per ogni x ≤ y.Viceversa, supponiamo che la funzione f ′ sia crescente e dimostriamo la (5.2) studiando la

funzione differenza

F (t) := tf(x) + (1− t)f(y)− f(tx + (1− t)y), t ∈ [0, 1],

con x, y fissati. Consideriamo il caso y < x (l’altro e analogo). Calcolando la derivata di F eapplicando il Teorema di Lagrange (Teorema 3.1.1) si deduce che esiste ξ ∈ (y, x) tale che

F ′(t) = f(x)− f(y)− f ′(tx + (1− t)y)(x− y) =[f ′(ξ)− f ′(tx + (1− t)y)

](x− y).

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5.3. CONCAVITA E CONVESSITA 81

Dato che, per t ∈ [0, 1], il punto tx + (1 − t)y descrive l’intervallo [y, x], esiste t∗ tale che t∗x +(1− t∗)y = ξ. Inoltre, dato che f ′ e debolmente crescente, f ′(tx + (1− t)y) ≤ f ′(ξ) per t ∈ [0, t∗]e f ′(tx + (1− t)y) ≥ f ′(ξ) per t ∈ [t∗, 1]. Percio:

F ′(t) ≥ 0 per t ∈ [0, t∗] e F ′(t) ≤ 0 per t ∈ [t∗, 1].

Se ne deduce che il minimo assoluto della funzione F e assunto in uno degli estremi t = 0 ot = 1 e, dato che F (0) = F (1) = 0, si ottiene F (t) ≥ 0 per ogni t ∈ [0, 1], cioe la (5.2).

∗ Continuita delle funzioni convesse.

Una funzione convessa in un intervallo e necessariamente continua nei punti interni:

f : [a, b] → R convessa ⇒ f e continua in (a, b).

Dimostrazione. Fissato x ∈ (a, b), scegliamo y ∈ (x, b) che successivamente fare-mo tendere ad x stesso. Tenuto conto della convessita, i rapporti incrementaliverificano

f(y)− f(a)y − a

≤ f(y)− f(x)y − x

ef(y)− f(x)

y − x≤ f(b)− f(x)

b− x,

da cui segue

f(y)− f(a)y − a

(y − x) ≤ f(y)− f(x) ≤ f(b)− f(x)b− x

(y − x).

La seconda delle due disequazioni e estremamente utile: quando y → x, il terminea destra tende ad 0. Ora occorre una stima dal basso. Il problema della primadisequazione e che la dipendenza da y e sia nel termine y − x (che ci fa comodo)che nel rapporto incrementale f(y)−f(a)

y−a . Il problema e: siamo in grado di control-

lare il valore del rapporto incrementale f(y)−f(a)y−a per y ≈ x? Dato che il rapporto

incrementale f(y)−f(a)y−a e crescente in y, riesce

f(x)− f(a)x− a

≤ f(y)− f(a)y − a

.

Quindi, per y > x,

f(x)− f(a)x− a

(y − x) ≤ f(y)− f(x) ≤ f(b)− f(x)b− x

(y − x).

Passando al limite y → x+, ne segue che

limy→x+

f(y)− f(x) = 0.

In maniera analoga si deduce che limy→x−

f(y) = f(x).

E’ vero o e falso che una funzione convessa in [a, b] e continua in tutto l’intervallo [a, b]?

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82 CAPITOLO 5. ANALISI GLOBALE

5.4 Scheda riassuntiva

Problemi quotidiani

Pb.1. Determinare il minimo di S(r) = 2π

(r2 +

k

πr

)per r > 0.

Dato che S′(r) = 4πr2

(r3 − k

), la funzione S e decrescente in (0, r∗) ed e crescente in (r∗,∞)

dove r∗ = (k/2π)1/3. Ne segue che il punto di minimo e in r = r∗.

Pb.2. Dimostrare la disequazione xp − 1 ≥ p(x− 1) ∀p > 1, ∀x ≥ 0.

Fissato p > 1, la funzione F (x) = xp−1−p(x−1) x ≥ 0 e decrescente in [0, 1) e crescentein (1,+∞) e x = 1 e un punto di minimo. Ne segue che F (x) ≥ F (1) = 0, da cui la conclusione.

Pb.3. Dati a1, a2, . . . , an ∈ R, determinare x ∈ R tale che F (x) =n∑

i=1(ai−x)2 sia minimo.

Dato che F ′(x) = 2n

[x− 1

n

n∑i=1

ai

], F e decrescente alla sinistra di (

n∑i=1

ai)/n e crescente alla

destra. Il valore x = 1n

∑ni=1 ai e il punto di minimo.

A caccia di massimi e minimi assoluti

Per distinguere in modo piu chiaro il massimo e il minimo dai massimi e minimirelativi, si parla di massimo assoluto e di minimo assoluto.

Strategia per individuare il massimo ed il minimo di f continua in [a.b]

? determinare l’insieme S dei punti stazionari in (a, b);

? determinare l’eventuale insieme N dei punti in cui f non e derivabile;

? calcolare la funzione in S, in N e negli estremi dell’intervallo a e b.

? individuare il piu grande e il piu piccolo tra i valori calcolati.

Per determinare il massimo del modulo di una funzione f

maxx∈[a,b]

|f(x)| = max{|maxx∈[a,b]

f(x)|, | minx∈[a,b]

f(x)|}.

Nel caso di una funzione f continua, ma definita su un dominio illimitato o non chiusoha senso domandarsi: quanto valgono l’estremo superiore e l’estremo inferiore? La strategiaper risolvere questo problema e simile a quanto appena visto. Il punto che bisognamodificare e quello relativo al calcolo della funzione negli estremi dell’intervallo.

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5.4. SCHEDA RIASSUNTIVA 83

Concavita e convessita

Definizione 5.3.1.Una funzione f : [a, b] → R e convessa in [a, b] se

f(tx + (1− t)y) ≤ tf(x) + (1− t)f(y) ∀x, y ∈ [a, b] ∀ t ∈ (0, 1).

Una funzione per cui valga la disuguaglianza opposta si dice concava.

Geometricamente, f e convessa, se per ogni x e y, il grafico di f e al di sotto della rettasecante che congiunge i punti (x, f(x)) e (y, f(y)) nell’intervallo di estremi x e y.

Proposizione 5.3.2. Una funzione f : [a, b] → R e convessa in [a, b] se e solo se

f(z)− f(x)

z − x≤ f(y)− f(x)

y − x≤ f(y)− f(z)

y − z∀x, y, z tali che ≤ x < z < y ≤ b.

La Proposizione 5.3.2 esprime il fatto che, se f e convessa, le pendenze delle secantisono monotone.

Teorema 5.3.3 (Teorema di Convessita).Sia f : [a, b] → R. Allora

(i) se f e derivabile una volta, f convessa in [a, b] se e solo se f ′ e debolmente crescente in [a, b];(ii) se f e derivabile due volte, f e convessa in [a, b] se e solo se f ′′ ≥ 0 in [a, b].

Per le funzioni concave, vale un risultato analogo sostituendo a “f ′ crescente” lafrase “f ′ debolmente decrescente” e a “f ′′ ≥ 0” la frase “f ′′ ≤ 0”.

Dal Teorema 5.3.3 discende un’ulteriore interpretazione geometrica della conves-sita: se la funzione f e derivabile e convessa, il suo grafico e sempre al di sopra della rettatangente in qualsiasi suo punto.

Definizione. Un punto x0 tale che f sia convessa alla destra di x0 e concava alla sinistra,o viceversa, si chiama punto di flesso.

Grazie al Teorema 5.3.3, se f ′′ a segno opposto alla destra e alla sinistra di x0,necessariamente x0 e un punto di flesso.

La convessita e utile per determinare l’esistenza di minimi di una funzione:

f convessa, f ′(x0) = 0 =⇒ x0 punto di minimo.

Analogamente, per le funzioni concave ed i punti di massimo.

∗ Continuita delle funzioni convesse.

Una funzione convessa in un intervallo e necessariamente continua nei punti interni:

f : [a, b] → R convessa ⇒ f e continua in (a, b).