L’aldilà medievale - SEI Editrice · IL MEDIOEVO EUROPEO 2 La Navigazione di san Brandano...

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1 UNITÀ 1 La civiltà delle buone maniere APPROFONDIMENTO C F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 Il cristianesimo e la vita dopo la morte Il tema della vita ultraterrena occupa un posto centrale nel cristianesimo, che su que- sto punto si è progressivamente distinto dal giudaismo. La fede ebraica, infatti, nel I se- colo d.C. insisteva soprattutto sulla fine del mondo e sull’avvento dei tempi messianici. Tale evento avrebbe mutato il volto della terra e del mondo, trasformandoli in un para- diso, e avrebbe finalmente offerto agli uomini la possibilità di vivere nell’abbondanza e nella gioia. Inoltre, in quell’occasione, i morti si sarebbero destati dal loro sonno, sareb- bero risorti dalla tomba e (dopo aver di nuovo assunto un corpo) avrebbero potuto par- tecipare anch’essi all’eterna felicità predisposta da Dio per i suoi eletti. Il concetto centrale della predicazione di Gesù (l’inizio del Regno di Dio) non era molto diverso da questa concezione ebraica. Inoltre, molti testi del Nuovo Testamento affermano che Cristo sarebbe ritornato dal cielo entro un breve periodo di tempo, a risvegliare i mor- ti, ad aprire i tempi messianici e ad instaurare sulla terra un mondo di pace e di armo- nia. Dunque tale concezione (che a volte è chiamata millenarismo) restò per molto tempo viva anche nel cristianesimo. Con il passar del tempo, però, il cristianesimo pose l’accento so- prattutto su quello che accadeva al singolo individuo subito dopo la morte, sottolineando che l’individuo non sprofondava nel profon- do sonno, da cui l’avrebbe risvegliato solo la resurrezione, alla fine del mondo. Al contrario, una componente immortale, l’ani- ma, avrebbe dovuto affrontare il giudizio divino immediatamente: quindi, subito dopo il decesso, i giusti sarebbero stati premiati, men- tre i peccatori sarebbero stati puniti. Anche se fu chiaro da sempre che la sorte dei peccatori sarebbe sta- ta l’inferno, le prime dettagliate descrizione cristiane di esso risal- gono al II secolo. Pochi anni dopo il 200, un anonimo autore egi- ziano compose poi un testo intitolato Apocalisse di Paolo destina- to a influenzare molto profondamente la cultura e la mentalità me- dievali. In esso si raccontava che l’apostolo Paolo aveva avuto l’ec- cezionale opportunità di visitare l’aldilà, ed era stato esortato a de- scrivere quanto aveva visto, affinché gli uomini fossero spinti a con- vertirsi. Per quel che riguarda l’inferno, il dato più interessante ri- guarda il riposo dei dannati: il testo infatti, dopo aver dettaglia- tamente descritto le innumerevoli pene che i peccatori subiscono per aver violato la legge di Dio, sottolinea che la misericordia di- vina non li abbandona. Ogni domenica, e in tutti gli altri giorni di festa, per ordine di Cristo le pene vengono sospese, per ripren- dere solo la mattina seguente. Più complicato fu invece, per moltissimo tempo, definire la sor- te esatta dei giusti, visto che le idee relative alla resurrezione dei mor- ti e all’assunzione di un nuovo corpo appartenevano al nucleo più antico della fede cristiana. Come emerge da numerose preghiere, il problema venne risolto con una concezione a due tempi, che per vari secoli diede particolare spazio e risalto al giardino dell’Eden, cioè al paradiso terrestre. Secondo tale concezione, le anime dei giu- sti vivevano in quel luogo di beatitudine fino alla fine del mondo e al ritorno di Cristo: solo allora, dopo la resurrezione dei loro cor- pi, essi avrebbero avuto accesso al paradiso vero e proprio e avreb- bero potuto contemplare direttamente il volto di Dio. L’aldilà medievale Hieronymus Bosch, Paradiso Terrestre, 1490 (Venezia, Palazzo Ducale). CULTURA, CIVILTÀ E RELIGIOSITÀ

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Il cristianesimo e la vita dopo la morteIl tema della vita ultraterrena occupa un posto centrale nel cristianesimo, che su que-sto punto si è progressivamente distinto dal giudaismo. La fede ebraica, infatti, nel I se-colo d.C. insisteva soprattutto sulla fine del mondo e sull’avvento dei tempi messianici.Tale evento avrebbe mutato il volto della terra e del mondo, trasformandoli in un para-diso, e avrebbe finalmente offerto agli uomini la possibilità di vivere nell’abbondanza enella gioia. Inoltre, in quell’occasione, i morti si sarebbero destati dal loro sonno, sareb-bero risorti dalla tomba e (dopo aver di nuovo assunto un corpo) avrebbero potuto par-tecipare anch’essi all’eterna felicità predisposta da Dio per i suoi eletti.Il concetto centrale della predicazione di Gesù (l’inizio del Regno di Dio) non era moltodiverso da questa concezione ebraica. Inoltre, molti testi del Nuovo Testamento affermanoche Cristo sarebbe ritornato dal cielo entro un breve periodo di tempo, a risvegliare i mor-ti, ad aprire i tempi messianici e ad instaurare sulla terra un mondo di pace e di armo-nia. Dunque tale concezione (che a volte è chiamata millenarismo)restò per molto tempo viva anche nel cristianesimo.Con il passar del tempo, però, il cristianesimo pose l’accento so-prattutto su quello che accadeva al singolo individuo subito dopola morte, sottolineando che l’individuo non sprofondava nel profon-do sonno, da cui l’avrebbe risvegliato solo la resurrezione, allafine del mondo. Al contrario, una componente immortale, l’ani-ma, avrebbe dovuto affrontare il giudizio divino immediatamente:quindi, subito dopo il decesso, i giusti sarebbero stati premiati, men-tre i peccatori sarebbero stati puniti.Anche se fu chiaro da sempre che la sorte dei peccatori sarebbe sta-ta l’inferno, le prime dettagliate descrizione cristiane di esso risal-gono al II secolo. Pochi anni dopo il 200, un anonimo autore egi-ziano compose poi un testo intitolato Apocalisse di Paolo destina-to a influenzare molto profondamente la cultura e la mentalità me-dievali. In esso si raccontava che l’apostolo Paolo aveva avuto l’ec-cezionale opportunità di visitare l’aldilà, ed era stato esortato a de-scrivere quanto aveva visto, affinché gli uomini fossero spinti a con-vertirsi. Per quel che riguarda l’inferno, il dato più interessante ri-guarda il riposo dei dannati: il testo infatti, dopo aver dettaglia-tamente descritto le innumerevoli pene che i peccatori subisconoper aver violato la legge di Dio, sottolinea che la misericordia di-vina non li abbandona. Ogni domenica, e in tutti gli altri giornidi festa, per ordine di Cristo le pene vengono sospese, per ripren-dere solo la mattina seguente. Più complicato fu invece, per moltissimo tempo, definire la sor-te esatta dei giusti, visto che le idee relative alla resurrezione dei mor-ti e all’assunzione di un nuovo corpo appartenevano al nucleo piùantico della fede cristiana. Come emerge da numerose preghiere,il problema venne risolto con una concezione a due tempi, che pervari secoli diede particolare spazio e risalto al giardino dell’Eden,cioè al paradiso terrestre. Secondo tale concezione, le anime dei giu-sti vivevano in quel luogo di beatitudine fino alla fine del mondoe al ritorno di Cristo: solo allora, dopo la resurrezione dei loro cor-pi, essi avrebbero avuto accesso al paradiso vero e proprio e avreb-bero potuto contemplare direttamente il volto di Dio.

L’aldilà medievale

Hieronymus Bosch,Paradiso Terrestre,

1490 (Venezia, PalazzoDucale).

CULTURA, CIVILTÀ

E RELIGIOSITÀ

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DOCUMENT IIl riposo dei dannatiL’Apocalisse di Paolo fu composta nella prima metà del III secolo, probabilmente in Egitto. Il testo,

scritto originariamente in greco, fu subito tradotto in latino e in questa lingua trovò ampia diffusione intutta l’Europa cristiana.

Dopo vidi il Figlio di Dio discendere dal cielo con il diadema sul capo. A quella vista quelliche erano tra i tormenti esclamarono tutti a una sola voce: Abbi pietà, eccelso Figlio di Dio!Sei tu che offristi il refrigerio a tutti, in cielo e in terra: abbi pietà anche di noi. Da quando tiabbiamo visto sentimmo un refrigerio.

Tra tutti i tormenti risuonò la voce del Figlio di Dio, dicendo: Che cosa avete compiutoper chiedermi un refrigerio? Il mio sangue fu sparso per voi, ma voi non vi pentiste! Per voiportai sul capo una corona di spine, per voi ricevetti schiaffi sulle guance, ma voi non vi pen-tiste! Appeso alla croce, chiesi dell’acqua, ma mi diedero aceto mescolato con il fiele! Apri-rono il mio lato destro con la lancia! A causa del mio nome uccisero i profeti miei servi e igiusti! E in tutti questi eventi vi concessi il tempo per la penitenza, ma lo rifiutaste.

Ora però in favore di Michele, arcangelo […], degli angeli che sono con lui, per il mio di-lettissimo Paolo, ch’io non voglio rattristare, per i vostri fratelli che sono nel mondo e offronooblazioni, e per i vostri figli tra i quali si trovano i miei comandamenti e più ancora per la miabontà, nel giorno in cui risorsi da morte, a voi tutti che siete nei tormenti concedo in per-petuo un refrigerio della durata di una notte e di un giorno.

Esclamarono tutti dicendo: Ti benediciamo, Figlio di Dio, perché ci hai concesso unanotte e un giorno di riposo. Per noi, infatti, val più il refrigerio di un giorno che tutto il periododella nostra vita trascorsa sulla terra. Se avessimo saputo chiaramente che ai peccatori èdestinato questo luogo, non avremmo certo fatto alcuna opera iniqua, non avremmo com-merciato né compiuto alcuna iniquità.

L. MORALDI, Apocrifi del Nuovo Testamento. Volume secondo, UTET, Torino 1975, pp. 1899-1900

Cristo, nei confrontidei dannati, mostraun atteggiamento di disprezzo, disuperiorità, disadismo? Quale, tra questi tretermini, ti pare il piùcorretto, e qualiinvece scarteresti?Motiva la tuarisposta.

Come reagiscono i dannati?

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2 La Navigazione di san BrandanoNell’VIII o nel IX secolo, un autore anonimo compose in latino un testo chiamato Navi-gazione di san Brandano. L’opera racconta l’eccezionale viaggio compiuto nell’oceano daun santo abate irlandese (Brandano, appunto) partito alla ricerca della Terra promessa deiBeati. Nel testo latino, quel luogo coincide ormai con il paradiso cristiano; è evidente, tut-tavia, che l’opera ha conservato memoria della concezione celtica secondo cui all’estremitàoccidentale dell’oceano esisteva la favolosa terra di Avalon, dove si restava eternamen-te giovani, senza soffrire più sonno, sete o fame.La Navigazione di san Brandano ebbe una vastissima diffusione in tutt’Europa e probabilmenteinfluenzò lo stesso Dante. In effetti, la figura di san Brandano può essere messa in stretta re-lazione con l’Ulisse dantesco che, mosso dal desiderio di conoscere che cosa si trovi al di làdell’oceano, varca le Colonne d’Ercole e arriva a scorgere in lontananza la montagna del pur-gatorio. In cima a essa, secondo Dante, si trova il paradiso terrestre, il giardino dell’Eden, alcentro del quale Dio ha piantato l’albero della vita, i cui frutti donano l’immortalità. In fondo, si tratta dello stesso viaggio. La differenza fondamentale tra i due navigatori con-siste nel fatto che il santo abate Brandano ha il permesso di Dio, mentre il «folle volo»di Ulisse è un tentativo umano, non autorizzato, di conquistare l’immortalità: dunque,il gesto del personaggio omerico assume i caratteri di una sfida nei confronti della divi-nità, che in effetti punisce l’eroe facendone affondare la nave.All’inizio del XII secolo, uno scrittore anglo-normanno chiamato Benedeit completò il pro-cesso di cristianizzazione del racconto relativo alla navigazione del santo abate irlandese.La differenza più significativa esistente tra il testo latino del IX secolo (Navigazione di sanBrandano) e l’opera volgare francese di Benedeit (Il viaggio di san Brandano) consiste nelfatto che l’autore anglo-normanno dedica molto più spazio alla descrizione dell’inferno,che l’abate incontra sulla propria strada, prima di approdare alla sua meta definitiva. Dapprima, Brandano e i suoi monaci arrivano nei pressi di un’isola orribile, immersa nel-l’oscurità e nel puzzo. Qui, dopo essere stati assaliti da moltissimi demoni, incontrano Giu-

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Somiglianza con l’Ulisse dantesco

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da, posto su uno scoglio isolato in mezzo al mare. Poi-ché è domenica, Giuda e tutti gli altri dannati go-dono di un giorno di tregua e riposo dalla punizioneinfernale: un’idea che era presente nelle più antichevisioni cristiane dell’inferno e che Dante, invece, nonavrebbe più accettato e raccolto. Su richiesta di san Brandano, Giuda descrive i tor-menti che lui e gli altri dannati patiscono, precisandoche esistono due inferni: «quello in alto è più do-loroso, ma quello in basso più orribile: quello vici-no all’aria è torrido e umido, quello vicino al mareè gelido e puzzolente». In essi, i peccatori sono in-filzati, messi a bollire nella pece, immersi in un mi-scuglio di fuliggine e sale dopo essere stati scorticati,costretti a bere una fusione rovente di piombo erame, e cosi via. In pratica, l’inferno di Benedeit sem-bra una camera di tortura, o meglio ancora un cam-pionario delle sofferenze che erano inflitte ai de-linquenti durante i supplizi pubblici. Non c’è trac-cia, invece, di un preciso ordine infernale: i pec-cati e i peccatori, a quanto sembra, sono conside-rati tutti uguali, senza che uno specifico suppliziovenga riservato a un particolare tipo di dannati.Il viaggio di san Brandano, inoltre, non conosceil purgatorio, mentre il paradiso che viene descrittoè quello terrestre, l’Eden. È vero che l’angelo accompagnatore spiega al santo che, oltre al luo-go che ha visitato, se ne trova un altro in cui la gloria divina risplende in modo «centomila vol-te più grande». Benedeit comunque non sa o non vuole presentarlo, così come non osa de-scrivere il volto di Dio, che a Brandano (a differenza di Dante) non è concesso vedere.L’impressione complessiva che si ricava è dunque quella di una teologia ancora molto vi-cina alla tradizione cristiana antica, secondo cui i giusti avrebbero invece dovuto attendereil giudizio finale per entrare in diretto contatto con Dio. Nella Divina Commedia, in-vece, le anime dei giusti sono sono collocate subito in cielo e non devono più aspettarela fine del mondo per contemplare il Sommo Bene.Il risultato di questa novità dantesca sarà un vero e proprio declassamento del paradiso ter-restre: trasformato in un semplice luogo di passaggio e di purificazione, esso perse gran par-te della propria importanza e cessò di avere un suo specifico ruolo nella geografia dell’aldilà.

SAN BRANDANO E ULISSE DANTESCO A CONFRONTO

Elementi di somiglianza

Entrambi sfidano l’oceano e salpano verso l’ignoto

Elementi di diversità

Mentre il viaggio di Brandano è autorizzato da Dio, Ulisse,

varcando le Colonne d’Ercole, viola un esplicito comando divino

Brandano fa ritorno in Irlanda e può raccontare quello che ha visto;

la nave di Ulisse viene affondata da un turbine e l’eroe finisce all’inferno

Entrambi gli eroi sono mossi da un eccezionale desiderio di conoscenza

Brandano raggiunge la sua meta, Ulisse può solo intravederla da lontano

Entrambi cercano di raggiungere il paradiso, luogo della vita eterna

San Brandano (al centrodell’immagine)raffigurato durante il viaggio intrapreso alla ricerca della Terrapromessa, miniatura delXIV secolo.

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San Brandano arriva all’isola dell’inferno

Composto dal poeta normanno Benedeit, all’inizio del XII secolo, Il viaggio di san Brandano descri-ve le peripezie del santo abate irlandese alla ricerca del paradiso, che viene raggiunto dopo moltepli-ci avventure, tra cui la scoperta dell’isola dell’inferno.

Apparve loro una terra immersa in buia nebbia e in fosche nubi:emanava fetide esalazioni,un odore più forte della carne putrida,una grande oscurità la stringeva.I monaci non desiderano certo fermarsi:già da lontano si sono resi contoche non saranno molto ben accolti.Con ogni sforzo cercano di invertire la rotta, ma là devono per forza dirigersiper il vento che ve li spinge.L’abate dà loroquesta spiegazione: «Dovete ben sapereche siete sospinti verso l’inferno.Mai come ora avete avutoun bisogno così grande della protezione di Dio».Brandano fa il segno della croce su di loro.Sa bene che il pozzo dell’inferno è lì vicino:e più si accostano, più si avvicinano al male,e più tenebrosa scoprono la valle.Dalle profonde gole e dalle voraginisi innalzano enormi lame infuocate.Il vento mugghia come se provenisse da un mantice:mai tuono rombò così forte.Lapilli e lingue di fuoco,rocce incandescenti e fiammevolano alti nell’aria intornoannullando la luce chiara del giorno. […]Scorgono diavoli a migliaia, e odono le grida e i pianti dei dannati.Giunge fino a loro il fortissimo tanfoportato dal fumo che si spande per lungo tratto nell’aria.Lo sopportano come meglio possono,fuggendo lontano per quanto ne sono capaci.Quanto più un uomo pio è tormentatoda fame, sete, freddo e caldo,ansia, tristezza e gran paura,tanto più presso Dio crescono i suoi meriti. Così sarà per Brandano e per i suoi, ora che hanno vistodove sono accolti i dannati:in Dio rinsaldano la loro fedee non cadono più nel dubbio.

BENEDEIT, Il viaggio di san Brandano, Pratiche, Parma 1994, pp. 113-117, a cura di R. BARTOLI, F. CIGNI

Per descrivere il mondo infernale, l’autore cerca di trasmettere le sensazioni sperimentate da san Brandano e dai suoi monaci. Con colori diversi, segna nel testo le sensazioni olfattive,quelle visive e quelle uditive.

Per quale motivo, spesso, l’idea dell’inferno è collegata all’idea di tenebra e di oscurità?

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San Brandano giungecon la sua barca alloscoglio su cui Giuda si sta riposando dai

supplizi infernali.Miniatura da una

traduzione tedescadella Navigazione

di san Brandano(XV secolo, Heidelberg,

Bibliotecadell’Università).

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Dante e l’escatologia islamicaSecondo lo studioso spagnolo Miguel Asín Palacios, insieme alla tradizione relativa a sanBrandano e ad altre fonti giudaiche o cristiane che trattavano il tema dell’aldilà, anche iracconti musulmani che descrivevano l’infermo o il paradiso influenzarono in modo de-cisivo Dante e la sua fantasia, che poi rielaborò personalmente i vari elementi che il poe-ta aveva assorbito dalle proprie fonti. Le prove che Asín Palacios presenta a favore dellasua tesi sono numerose e convincenti, in quanto riguardano sia singoli episodi (che paio-no ripresi alla lettera, oppure assunti come spunto, per essere poi rimodellati), sia l’im-pianto complessivo dell’inferno e dell’aldilà nel suo complesso. Il punto di partenza di tutti i racconti musulmani sul mondo ultraterreno è il primo ver-setto della sura XVII del Corano: «Lode a colui ilquale trasportò il suo servo [Maometto], di not-te, dal tempio sacro [della Mecca] al tempio piùremoto [di Gerusalemme], del quale benedi-cemmo il recinto, per mostrare a lui alcuni dei no-stri segni». Tutti gli interpreti del testo sacro, findai primi secoli dell’islam, furono concordi nel-l’affermare che questo versetto conteneva un’al-lusione al fatto che Dio avrebbe concesso a Mao-metto di visitare l’aldilà. In un primo tempo, però,nacquero due tradizioni diverse e distinte: se-condo una prima corrente, il Profeta avrebbe com-piuto un viaggio notturno (isra’) dalla Mecca a Ge-rusalemme, e a seguito di esso avrebbe avuto ac-

L’ALDILÀ DI BENEDEIT E QUELLO DI DANTE A CONFRONTO

Purgatorioassente

Dante Alighieri (Divina Commedia): inizio XIV secolo

Inferno• i dannati sono disposti secondo un preciso ordine

costruito in base alla gravità dei peccati commessi• ogni peccato è punito in modo specifico• non c’è alcuna tregua dalle pene

Inferno• non ha un ordine e non sono precisati i criteri di

punizione dei dannati • le pene sono spietate, ma intercambiabili• ai dannati è periodicamente concessa una tregua

dalle pene

Purgatorioluogo di purificazione per coloro che hannocommesso peccati lievi oppure hanno compiutopeccati gravi, ma si sono pentiti

Benedeit (Viaggio di san Brandano): inizio XII secolo

Paradiso celesteluogo in cui le anime dei giusti, subito dopo la morte,possono contemplare il volto di Dio e godere dellabeatitudine eterna

Paradiso celesteluogo vago, indefinito, indescrivibile e inaccessibile

Paradiso terrestreluogo di transito, in cui si completa la purificazione diquanti hanno finito di scontare le pene del purgatorio

Paradiso terrestreluogo in cui le anime dei giusti aspettano nella pace la fine del mondo e il giudizio universale

Scuola di Harat, Il viaggio notturno di

Maometto, miniatura del1436 (Parigi, Biblioteca

Nazionale).

R i fe r i me n t os t o r i o g r af i c o

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cesso all’inferno; secondo l’altra tradizione, invece, Maometto avrebbe effettuato una straor-dinaria ascensione (mirag) attraverso le sfere celesti, fino al trono di Dio.In una seconda fase, le due versioni furono fuse, con il risultato di creare una vasta ecomplessa narrazione che descriveva un viaggio del profeta sia nel cuore della terra – sede dei demoni e dei dannati –, sia nell’alto dei cieli. L’inferno musulmano descrittoin questi racconti è sorprendentemente simile a quello dantesco. Si tratta infatti,anche in questo caso, di un imbuto organizzato in ripiani sempre più stretti; inoltre, adifferenza del terribile luogo di cui parla la tradizione di san Brandano, ogni zona ospi-ta un particolare tipo di peccatori, puniti secondo una logica che anticipa e richiamamolto da vicino quella del contrappasso dantesco. Come esempio, potremmo riportareil supplizio degli adulteri, che in vita furono travolti dalla passione e ora all’inferno, perl’eternità, si trovano all’interno di un immenso forno e sono scagliati in alto o trasci-nati in basso, a seconda della potenza delle fiamme. L’accesso all’inferno è sorvegliatoda un guardiano, che vorrebbe – come Minosse e Caronte, nel caso di Dante – im-pedire al viandante umano di intraprendere il suo straordinario viaggio. «Tu non puoivederli!», dice a Maometto l’angelo guardiano, creato dall’ira dell’Onnipotente; dal-l’alto, tuttavia, una voce lo zittisce e gli ordina seccamente di farsi da parte: «Oh an-gelo! Non lo contraddire in cosa alcuna». Quanto al mondo superiore, anche Maometto,come Dante, guidato dall’arcangelo Gabriele visita i vari cieli, che vengono chiamatiper nome, sulla base dei vari pianeti che ospitano. Ovunque, il Profeta incontra un tri-pudio di luce e di suoni, dichiarando più volte che la sua vista e i suoi sensi umani nonsono in grado di sostenere una simile esperienza.In un’ulteriore fase della tradizione (rappresentata, ad esempio, dal filosofo mistico IbnArabi, che morì nella prima metà del XIII secolo, 25 anni prima della nascita di Dante)si trova inoltre un’interpretazione mistica e allegorica del viaggio, finalizzata a dimostra-re che l’anima umana, grazie alla ragione, può comprendere solo una parte dei misteri delmondo, ma che la verità più intima e profonda (raffigurata nell’ascensione alle sfere piùelevate) è accessibile solo alla teologia e alla fede.

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Domenico di Michelino,Dante Alighieri e i regni

dell’Oltretomba, 1465(Firenze, Santa Maria

Novella).

Un imbuto a ripiani

Letture mistiche

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La nascita del purgatorioNella tradizione islamica, era fortemente radicata l’idea secondo cui alcuni individui nonpotevano accedere subito alla completa beatitudine: per il fatto che avevano comunque com-piuto alcuni peccati, era necessario per loro un periodo più o meno lungo di purificazione.Anche il cristianesimo elaborò presto un concetto simile. Tuttavia, solo nel cuore del Me-dioevo si arrivò a una definizione precisa delle modalità e del luogo in cui avveniva il pro-cesso di purificazione che avrebbe reso le anime degne del paradiso.Nel corso del XII secolo, all’interno dei centri urbani si costituì un nuovo sistema sco-lastico, alternativo a quello rappresentato dai monasteri, che fino ad allora avevano con-servato il monopolio della cultura. Una dopo l’altra diverse città, di solito per iniziativadel vescovo, iniziarono a dotarsi di scuole, in cui venivano insegnate non solo la teolo-gia, ma anche le cosiddette arti liberali, organizzate in due gruppi di discipline chiamatitrivium (grammatica, retorica e dialettica) e quadrivium (aritmetica, geometria, musicae astronomia). Ben presto, Parigi si segnalò per l’eccezionale qualità delle sue scuole di fi-losofia e di teologia. Fu in queste scuole parigine che, intorno al 1170, venne elaboratoil concetto di purgatorio. Già da vari secoli la Chiesa aveva accettato l’esistenza di pene purgatorie, destinate alle ani-me di coloro che avevano compiuto peccati non gravi, oppure avevano violato i coman-damenti divini, ma poi si erano pentiti. Si trattava di individui che, pur non meritandol’inferno, non potevano entrare direttamente in paradiso; in virtù del loro compor-tamento terreno, essi dovevano sottoporsi a un processo di purificazione, più o meno lun-go, a seconda dei peccati commessi. Inoltre, la Chiesa dava per certo che la preghiera deiviventi o certi comportamenti penitenziali compiuti prima della morte potevano abbre-viare la durata di tali pene purificatrici. Il papato, ad esempio, fin dall’XI secolo aveva pro-messo ai crociati morti in battaglia, combattendo contro i nemici della fede, l’accesso di-retto al paradiso, senza alcuna pena purifi-catrice. Quello che mancava (e che non fu affattochiaro, fino agli ultimi decenni del XII seco-lo) era una chiara idea del luogo in cui le penepurgatorie si svolgevano; l’opinione più dif-fusa era che avessero luogo in uno spazio ap-posito dell’inferno, ma circolavano opinio-ni molto disparate e diverse tra loro. I teo-logi parigini sostennero invece che esistevaun luogo specifico e distinto, il purgatorio,che Dante un secolo e mezzo più tardi avreb-be collocato sulle pendici dell’immensamontagna, in cima alla quale si trova il giar-dino dell’Eden. La nascita e la precisazione del concetto dipurgatorio ebbe conseguenze importantis-sime per la mentalità degli europei. Innanzitutto, dobbiamo ricordare che (soprattut-to nelle campagne) le persone credevano an-cora agli spettri, cioè erano legate a credenzeprecristiane di varia origine, secondo cui imorti erano figure pericolose e temibili, chepotevano ritornare sulla terra e importunarei vivi. La credenza nel purgatorio permisedi cristianizzare queste convinzioni popo-lari e diffondere l’idea che i fantasmi (se ap-parivano ai vivi) erano anime purganti, tem-poraneamente uscite dal luogo destinato alla

Fratelli Limbourg, Il Purgatorio, 1410(Chantilly, MuséeCondé).

Le scuoleteologiche di Parigi

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loro purificazione per richiedere ad amici e parenti di pregare per loro e di abbreviare laloro pena. Inoltre, la chiara consapevolezza dell’esistenza di un terzo luogo, in cui pote-vano finire anche coloro che si fossero convertiti in punto di morte, rese più drammati-co il momento del decesso: poiché in quell’attimo si poteva decidere tutto, la predicazionemedievale si arricchì di vari racconti nei quali gli angeli e i diavoli si affollavano al capezzaledel morente e se ne disputavano l’anima.La definizione del purgatorio in termini più chiari rispetto al passato ebbe notevoli con-seguenze anche sul piano sociale, in quanto offrì un’inaspettata possibilità di salvezzaad alcune categorie professionali la cui attività, in precedenza, era stata severamentecondannata dalla Chiesa. Il discorso vale, in primo luogo, per gli usurai. Nel Medioevo,questo termine aveva un significato molto diverso da quello che ha ai giorni nostri.Oggi, mentre l’attività bancaria è legale e considerata moralmente accettabile, vienedefinito usuraio solo chi presta denaro a un tasso di interesse elevatissimo e, al limite,fa uso di mezzi violenti, pur di recuperare il denaro che il debitore gli deve versare. NelXII secolo, invece, qualsiasi prestito a interesse era considerato usura, e quindi eraseveramente condannato dalla Chiesa. La motivazione di un simile atteggiamen-to nasceva dal fatto che, secondo i teologi medievali, l’usuraio traeva vantaggio dal tem-po trascorso tra il momento del prestito e quello del rimborso. Dunque, per così dire,

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La condanna degli usurai nellapredicazione medievale

La dannazione eterna come destino dell’usuraio

Il primo testo riporta le parole pronunciate dal francescano tedesco Bertoldo di Ratisbona. Anchese l’autore scrive nel XIII secolo, in realtà esprime la posizione tradizionale, secondo cui per l’usuraionon c’è alcuna speranza di salvezza ultraterrena.

Tu puoi ricevere la croce dal papa, attraversare il mare, combattere contro i pa-gani, conquistare il Santo Sepolcro e morire per la causa di Dio e persino essere se-polto nel Santo Sepolcro, eppure, nonostante tutta la tua santità, la tua anima è per-duta.

A.J. GUREVIC, Il mercante, in J. LE GOFF (a cura di), L’uomo medievale, Laterza, Roma-Bari 1988, pp. 282-283

La negazione della sepoltura cristianaQuesto testo di Giacomo di Vitry ci testimonia un’abitudine molto diffusa tra i predicatori medieva-

li: l’uso degli exempla, brevi racconti (spacciati per autentici) che servivano a rafforzare l’insegnamentomorale che si voleva trasmettere ai fedeli.

Un buon prete ebbe la santa ispirazione di negare la sepoltura ad uno dei suoi parroc-chiani, che era stato usuraio e, alla sua morte, non aveva restituito nulla. Questa sorta di pe-ste non deve in effetti ricevere sepoltura cristiana, ed essi non sono degni di avere un’altrasepoltura, oltre a quella dell’anima […]. Ma poiché gli amici dell’usuraio morto insistetteroa lungo, per sfuggire alle loro pressioni il prete fece una preghiera e disse: «Mettiamo il suocorpo su un asino, e vediamo qual è la volontà di Dio e che cosa ne farà: dovunque l’asinolo porti, che sia in una chiesa, in un cimitero o altrove, io lo seppellirò». Il cadavere fu messosull’asino che, senza deviare né a destra né a sinistra, lo condusse diritto fuori della città,sino al luogo ove venivano impiccati i ladri, e impennandosi con forza scaraventò il cada-vere sotto i patiboli, nel letamaio. Il prete lo abbandonò lì insieme ai ladri.

J. LE GOFF, La borsa e la vita. Dall’usuraio al banchiere,Laterza, Roma-Bari 1987, p. 57, trad. it. S. ADDAMIANO

Quale messaggio la Chiesa volevatrasmettere ai fedeli,negando la sepolturacristiana agli usurai?

L’usuraio ruba il tempo,

che è solo di Dio

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vendeva il tempo, che era ritenuto proprietà di Dio: in altre parole, l’usuraio vendevaciò che non era suo, comportandosi come un ladro. Ai banchieri ebrei la Chiesa per-metteva di percepire interessi sul denaro prestato: poiché essi, nella loro qualità di noncristiani, erano comunque esclusi dalla salvezza, l’aggiunta del peccato di usura nonavrebbe cambiato di molto il loro destino ultraterreno. In realtà, la situazione era mol-to diversa, in quanto anche molti cristiani svolgevano attività bancarie, sia in Italia chein Francia e nelle Fiandre. La frequenza con cui i predicatori attaccavano gli usurai (mi-nacciando loro le fiamme nell’inferno) è il segnale più chiaro del fatto che l’usura, perquanto condannata, era una pratica usuale e diffusissima.Con la nascita del purgatorio, la posizione della Chiesa sull’usura non si modificò. Tut-tavia gli usurai (e i mercanti, che spesso esercitavano l’attività bancaria a fianco della mer-catura) videro aprirsi uno spiraglio di salvezza che, in passato, era del tutto sbarrato.In precedenza, infatti, essi avrebbero potuto salvarsi solo se avessero reso fino all’ultimocentesimo tutto il denaro guadagnato in modo disonesto. Per ottenere la vita eterna, dun-que, avrebbero dovuto rinunciare alla borsa, al frutto della loro attività economica. Dopola diffusione del concetto di purgatorio, al contrario, si fece strada l’idea che l’usuraio, sin-ceramente pentitosi in punto di morte, poteva evitare l’inferno e infine, dopo un soggiornopiù o meno prolungato in purgatorio, accedere al paradiso.

Il giudizio di Dante su mercanti e usuraiGrazie al purgatorio, l’usuraio poté iniziare a conservare insieme la borsa e la vita, cosic-ché lo storico francese Jacques Le Goff è arrivato ad affermare che la nuova credenza haavuto un ruolo decisivo nello sviluppo dell’economia europea. In effetti, grazie al purga-torio, gli uomini d’affari poterono ormai restare nel mondo fino all’ultimo istante e, li-beri dal terrore dell’inferno, impegnarsi fino in fondo nei propri traffici: persino quelliilleciti, come il prestito a usura. Ai nostri occhi, usurai e mercanti del Tardo Medioevo ap-paiono uomini d’avanguardia, proiettati verso la moder-nità. Secondo Dante, all’opposto, essi erano solo dei pe-ricolosi perturbatori della quiete sociale, a causa dellaloro avidità e dell’insaziabile sete di guadagno che li ca-ratterizzava. Particolarmente conservatore e sprezzante ap-pare il giudizio del poeta fiorentino nei confronti degli usu-rai, quando effettivamente li incontra nel terzo girone delsettimo cerchio dell’inferno (cfr. Inf. XVII, 34-63). L’elementopiù significativo dell’intero episodio consiste nel fatto chel’incontro appare singolarmente simile a quello avvenuto congli ignavi, nell’anti-inferno; in entrambi i casi, Virgilio rac-comanda a Dante di non perder tempo con quella gente igno-bile (cfr. III, 51 con XVII, 40), né Dante menziona per nomealcun peccatore. Persino la pena dei due gruppi di dannatiha qualcosa in comune: infatti, come gli ignavi sono mor-si ferocemente dagli insetti, fino al punto da avere il voltorigato di lacrime di sangue, e si battono il corpo con le maninel vano tentativo di difendersi, così gli usurai piangono didolore e tentano con le mani di mitigare il micidiale effettocombinato della sabbia ardente (su cui sono seduti) e dellapioggia di fuoco che dall’alto cala su di loro. Per sottolinea-re meglio l’affinità della pena, poi, Dante ricorre a una simi-litudine, che paragona gli usurai a cani e le fiamme ardenti ainsetti molesti, dolorosi come quelli del canto III.

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Beato Angelico, Dannati, particolare del Giudizio Universale, 1432-1435 (Firenze, Museo di San Marco).

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Nell’opera e nel pensiero di Dante, la realtà mon-dana non è prematuramente soppressa, gode di unasua autonomia e persino di una sua grandezza, comedimostra il trattamento speciale riservato da Dioai non credenti dall’animo nobile, nel Limbo. Que-sto luogo era stato inventato dai teologi nella stes-sa epoca del purgatorio, al fine di sfumare l’atteg-giamento divino nei confronti dei bambini mor-ti senza battesimo (e quindi ancora macchiati dalpeccato originale) e dei pagani virtuosi. Leggen-do la Commedia dantesca, si resta colpiti dal fattoche il poeta prova, per l’essere umano, una since-ra e appassionata ammirazione, che forse tocca ilsuo vertice nelle parole di Ulisse: «Considerate lavostra semenza: / fatti non foste a viver come bru-ti, / ma per seguir virtute e conoscenza» (Inf. XXVI,118-120).Il peccato di Paolo e Francesca o di Ulisse è con-sistito nell’aver usato senza moderazione le facoltàtipicamente umane che Dio aveva concesso loro:ma ciò non toglie che essi, esercitando il sentimentoamoroso o la sete di conoscenza abbiano comun-que realizzato al massimo la loro essenza di esseriumani. Ecco perché Dante, pur non mettendo indiscussione la decisione divina di punirli, continuaad ammirarli. Gli ignavi, al contrario, non hannoesercitato la facolta tipicamente umana della scel-ta morale tra il bene e il male, così come gli usu-rai si sono degradati al rango di bestie rifiutandoil lavoro, la modalità tipicamente umana (scono-sciuta agli animali) di procurarsi il necessario per

vivere. Esattamente come l’ignavia, il peccato di usura degrada l’uomo al livello della be-stialità, gli fa persino perdere il nome e l’identità. Per Dante, questi peccatori non han-no niente di umanamente grande, e quindi nei loro confronti non è possibile provare quel-la pietà o quell’ammirazione che egli manifesta nei confronti di Paolo e Francesca, di Fa-rinata o di Brunetto Latini.

La disputa sulla perfetta beatitudineUna decina di anni dopo la morte di Dante, negli anni 1331-1336, il mondo cristiano la-tino fu lacerato da una durissima controversia che vide contrapposti il papa Giovanni XXII,da una parte, l’università di Parigi e il re di Francia Filippo VI dall’altra; il pontefice, daparte sua, ottenne il sostegno dei francescani conventuali, mentre i suoi oppositori furo-no appoggiati dai benedettini e dai francescani spirituali. La disputa ebbe per tema la condizione delle anime dopo il giudizio universale e la re-surrezione dei corpi, alla fine dei tempi: un tema che anche Dante aveva affrontato aproposito sia dei dannati sia dei beati. A proposito di entrambi, come principio ge-nerale, nel VI canto dell’Inferno il poeta ricorda che l’anima senza il corpo è incom-pleta: pertanto, beati e dannati vedranno alterarsi la loro condizione, per il semplicefatto che la natura stessa esige che «quanto la cosa è più perfetta, / più senta il bene,e così la doglianza». Inoltre, a proposito di singole pene, Dante ricorda che divente-ranno più violente o più umilianti: così, mentre i sepolcri infuocati in cui si trovanogli eretici saranno chiusi e sigillati, per coloro che in vita negarono la vita dopo la mor-te (cfr. Inf. X, 10), le spoglie mortali dei suicidi saranno collocate sui rami di coloroche si tolsero la vita, rinunciarono al proprio corpo e quindi sono stati trasformati in

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L’usuraio, miniatura da De Sphaera mundi,

XV secolo (Modena,Biblioteca Estense).

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esseri vegetali, cioè degradati ad esseri di natura inferiore a quella dell’uomo (cfr. Inf.XIII, 102-108). Nel caso dei beati, nel XIV canto del Paradiso Dante afferma invece cheaumenterà notevolmente la luminosità dei beati, il che sta a indicare – visto che Dio,nella Commedia, è costantemente simboleggiato dalla luce – una più completa par-tecipazione alla comunione con Dio. Nel medesimo tempo, il poeta si premura di pre-cisare che all’interno dell’intensa luce che promanerà da ogni beato questi sarà per-fettamente visibile con le sue fattezze umane, in modo che le persone che in vita si sonoamate possano pienamente riconoscoscersi.La posizione di Dante anticipa in larga misura quella che fu proclamata nel 1331 in al-cuni sermoni, da papa Giovanni XXII, secondo il quale le anime dei giusti defunti go-devano fin da ora della loro ricompensa eterna: «la loro beatitudine è grande, – disse ilpontefice – ma non si tratta di beatitudine piena». Questa, infatti, sarebbe arrivata solodopo il giudizio universale, a seguito della resurrezione dei corpi e del loro ricongiungi-mento con le anime.L’affermazione del papa fu duramente contestata da vari soggetti che gli erano avversari,per diverse ragioni: i francescani spirituali (per il fatto che Giovanni XXII aveva condannatocome eretica l’affermazione secondo cui Cristo era stato completamente povero) e l’uni-versità di Parigi, desiderosa di affermare se stessa come suprema garante della teologia edella retta fede. Il papa addusse a suo favore numerose testimonianze autorevoli, tratte dal-le opere di sant’Agostino e di san Bernardo di Chiaravalle. Il re di Francia, desideroso diimporsi al papato, spinse invece 29 teologi parigini a stendere una dettagliata confutazionedella posizione pontificia (2 gennaio 1334).La disputa si prolungò ancora per quasi due anni, dal momento che le questioni in gio-co (il prestigio del papato, la capacità del re di Francia di condizionarne l’operato, la di-sputa sulla povertà, il desiderio di affermazione dell’università di Parigi…) avevano cari-cato di forte valenza politica la discussione teologica. Infine, nel gennaio 1336, la faccendafu chiarita da Benedetto XII (eletto dopo la morte di Giovanni XXII, avvenuta nel dicembre1334), che fece ricorso ad alcune abili formule di compromesso: come affermavano i teo-logi parigini, il nuovo papa sostenne che le anime beate vedono già fin da ora «la divinaEssenza, che si mostra loro senza mediazione alcuna»; nello stesso tempo, il documentodi Benedetto XII non escludeva che la beatitudine potesse ulteriormente aumentare dopoil giudizio universale, e in tal modo riuscì a evitare che la posizione del suo predecessorepotesse essere tacciata di errore, o, peggio, che le parole di un papa potessero essere ac-cusate di eresia.

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Contrasto tra papae re di Francia

Giovanni di Paolo,Beati del Paradiso,miniatura tratta da un codice del XV secolo.

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L’escatologia islamica come probabile fontedella Divina Commedia

Lo studioso spagnolo Miguel Asín Palacios pubblicò per la prima volta i risultati delle sue ricerchenel 1919. Pochi anni dopo, il fascismo andò al potere in Italia e Dante divenne una delle maggiori glo-rie nazionali. Pertanto, affermare che avesse preso spunto da fonti musulmane parve a lungo del tut-to inaccettabile per la maggior parte dei dantisti italiani. Oggi, al contrario, la tesi di Asín Palacios vie-ne accettata come suggestiva da un numero elevato di critici, a giudizio dei quali è verosimile che an-che tradizioni islamiche siano state trasformate in grande poesia dallo scrittore fiorentino, al pari del-le suggestioni derivate dalla Sacra Scrittura o dalla cultura classica.

Intorno a un versetto del Corano, nel quale si allude a un meraviglioso viaggio di Mao-metto alle regioni dell’oltretomba, la fantasia popolare elaborò una moltitudine di redazionidiverse di una leggenda religiosa, in cui si descrivono con grande minuzia di particolari letappe e gli episodi di quel viaggio nelle sue due parti principali: la visita dell’inferno e l’a-scensione al paradiso. Tutte queste redazioni erano già diffuse nell’islam per lo meno dalsecolo IX della nostra epoca. Alcune di esse, anche precedenti questo secolo, mostravanogià, organicamente fuse in una sola azione drammatica complessiva, proprio come nellaDivina Commedia, le due parti della leggenda: il viaggio notturno all’inferno e l’ascensioneceleste.

Maometto, protagonista del viaggio, è, in quasi tutte le redazioni, come Dante, il di-chiarato autore della leggenda, colui che narra i fatti e descrive lo scenario in cui si rea-lizzano. Entrambi i viaggi cominciano di notte e, certamente, al risveglio del protagonistada un profondo sonno. Prima che arrivi all’inferno, un lupo e un leone sbarrano il passoal pellegrino (in una imitazione letteraria del viaggio musulmano), a somiglianza della lonza,del leone e della lupa che pure assalgono Dante mentre si accinge al viaggio. […] Virgilioall’improvviso si presenta a Dante per fargli da guida in seguito a un ordine del cielo, comeGabriele si presenta a Maometto, e per tutto il viaggio soddisfa con sollecitudine la cu-riosità del pellegrino.

La vicinanza dell’inferno si annuncia in entrambe le leggende con identici segni: un con-fuso tumulto e violente vampe di fuoco. In ambedue, egualmente, guardiani severi e ira-

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Dante e Virgilioincontrano le tre fiere

nella selva oscura,illustrazione tratta da un

codice del XIV secolo.

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condi sbarrano il passo al viaggiatore alle porte della città del dolore; però la guida placale loro ire invocando gli ordini celesti, e le porte si aprono. […] L’architettura dell’infernodantesco non è più che un calco fedele di quello musulmano nelle sue linee generali: en-trambi, in effetti, coincidono nell’essere un gigantesco imbuto o tronco di cono rovesciato,formato da una serie di ripiani, balze o gradoni circolari, che gradualmente scendono finoal centro della terra, ognuno dei quali è dimora di una categoria di peccatori; a maggioreprofondità corrisponde maggiore gravità della colpa e maggiore dolore nella pena; ogniripiano, inoltre, si suddivide in diversi altri, corrispondenti a varie sottocategorie di pec-catori; un’analoga struttura morale è pure avvertibile in entrambi gli inferni, giacché fra ipeccati e i loro castighi esiste sempre una certa legge di correlazione, ispirata ora all’a-nalogia ora al contrappasso o contrapposizione; infine, la localizzazione dei due inferni èla medesima: al di sotto della città di Gerusalemme. […]

I dantofili antichi e moderni hanno valutato entusiasticamente l’originalità del poeta fio-rentino nella sua concezione architettonica dell’inferno. Uno di costoro, Cristoforo Landino,compatriota di Dante, si esprimeva, già nel secolo XV, in questi termini: «Ben che questopoeta in ogni cosa sia meraviglioso, nientedimeno non posso sanza sommo stupore con-siderare la sua nuova né mai da alcuno altro escogitata invenzione». […] L’ammirazioneera giustificata: tutte le descrizioni dell’inferno precorrenti quella dantesca, sia le classi-che che le bibliche, patristiche e monastiche dell’alto Medioevo, studiate fino a ora, sonocosì banali, vaghe e incolori, che solo molto alla lontana assomigliano all’affresco tantoricco di colore, tanto simmetrico, tanto vigoroso e plastico di Dante. Tuttavia, già nella parteprecedente di questo lavoro, studiando una delle redazioni della leggenda del mirag[ascensione, n.d.r.], avemmo l’occasione di mostrare in modo sommario come le linee ge-nerali dell’inferno dantesco coincidano esattamente con quelle tracciate dall’autore diquella redazione nella sua descrizione dell’inferno musulmano; ma lo sviluppo completodi quel confronto esigeva una maggiore ampiezza, che ora è giunto il momento di ac-cordargli.

Innanzitutto, dunque, dobbiamo partire da questa affermazione: non si deve accettarecome indiscutibile l’originalità dell’inferno dantesco, finché non si dimostri che non ha pre-cedenti in altre letterature religiose. Questa dimostrazione è stata tentata spesso, benchéparzialmente: Vossler [Karl Vossler, filologo tedesco, n.d.r.], ad esempio, ha riassunto conesattezza ammirevole quanto i dantisti hanno accertato circa i precedenti religiosi, filosoficie artistici che spiegano la Divina Commedia; con erudizione amplissima e sintesi impecca-bile ha elaborato in questo modo quella che lui chiama la preistoria del divino poema; i mitidell’oltretomba che sorsero in alcune delle religioni precedenti al cristianesimo, oltre ai dogmibiblici e la fede cristiana, vi sono interrogati come possibili fonti genetiche di quello. Soltantouna religione restò esclusa da questo esame: quella musulmana. E tuttavia l’i-slam era, fra tutte le religioni, la più ricca di leggende del-l’oltretomba; il Corano e le tradizioni hanno posto un im-pegno speciale (che si cercherà invano in altreescatologie) nel descrivere in modo minuzioso e icastico[efficace, n.d.r.] le dimore e la vita dei beati e dei reprobi.Figlio, quantunque spurio [privo di un legame diretto,n.d.r.], della Bibbia e del Vangelo, l’islam amalgama e sin-cretizza [fonde, n.d.r.] i dogmi giudaico-cristiani con i mitidelle altre religioni orientali; non invano si affaccia alla sto-ria dopo di esse, e la sua rapida propagazione attraversoi popoli più religiosi del mondo antico gli permette di assi-milare i più svariati elementi escatologici. Vale la pena dun-que di confrontare l’inferno musulmano con quello dante-sco, prima di dare per accertata l’originalità di quest’ultimo.

M. ASÍN PALACIOS, Dante e l’islam, Net, Milano 2005, pp. 115-117, 138-139, trad. it. R. ROSSI TESTA, Y. TAWFIK

Con l’aiuto di un dizionario, prova a spiegare l’espressioneescatologia/escatologie.

In quale punto della terra si trova, secondo la tradizioneislamica, la porta dell’inferno? Questa localizzazionecoincide con quella dantesca?

Che atteggiamento ha avuto l’islam, nei confronti delleescatologie delle fedi che l’hanno preceduto?

Il viaggio di Maomettoall’inferno, miniaturadel XV secolo (Parigi,Biblioteca Nazionale).

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La nascita del concettodi purgatorio

Il concetto di purgatorio nacque con lo scopo di ren-dere più sfumato e giusto il destino degli uomini nell’aldilà.Chi si pentiva in punto di morte, dopo un periodo più o menolungo di purificazione avrebbe potuto accedere al paradi-so: il che permise ai mercanti e agli usurai di svolgere il lorolavoro, senza più timore della dannazione eterna.

Quando, nello sviluppo dell’Occidente dall’AnnoMille al XII, gli uomini di Chiesa giudicarono insoste-nibile l’opposizione semplicistica tra paradiso e in-ferno, e quando si ebbero tutte le condizioni per de-finire un terzo luogo dell’aldilà, in cui i morti potevanoessere purificati del loro residuo di peccati, fece la suaapparizione una parola, purgatorium, per indicarequesto luogo alfine identificato: il purgatorio. […]Esso riflette una tendenza generale a evitare gli af-frontamenti dovuti a un dualismo riduttivo, distin-guendo, tra gli estremi del bene e del male, del su-periore e dell’inferiore, dei mezzi, degli intermediari e,tra i peccatori, i non del tutto buoni né del tutto cat-tivi – distinzione agostiniana – che non sono destinati,nell’immediato, né al paradiso né all’inferno. Se sisono pentiti sinceramente prima di morire, se sonoormai carichi di soli peccati veniali e di residui di pec-cati mortali deplorati, se non del tutto cancellati dallapenitenza, essi non sono condannati in eterno, matemporaneamente. Resteranno in un certo periodo inun luogo chiamato purgatorio, in cui soffriranno peneparagonabili a quelle dell’inferno, anch’esse inflitte dademoni. La durata di questo penoso soggiorno inpurgatorio non dipende solo dalla quantità di peccatiche hanno ancora su di sé al momento della morte,

ma anche dall’affetto dei parenti. Questi – parenti carnali o acquisiti, confraternite di cui face-vano parte, ordini religiosi di cui sono stati benefattori, santi per i quali avevano manifestato unaparticolare devozione – potevano abbreviare il loro soggiorno in purgatorio con le proprie pre-ghiere, le proprie offerte, la propria intercessione, accresciuta solidarietà tra i vivi e i morti. I mortibeneficiavano anche, nel purgatorio, di un supplemento di biografia […]. Soprattutto, erano certidel fatto che, uscendo dalle prove purificatrici, sarebbero stati salvati, sarebbero andati in pa-radiso. Il purgatorio in effetti non ha che un’uscita: il paradiso. L’essenziale si gioca quando ilmorto viene mandato in purgatorio. Egli sa che alla fine sarà salvato, al più tardi al momentodel giudizio universale. […]

La speranza, e presto la quasi-certezza, per l’usuraio disposto al pentimento finale, è di es-sere salvato, cioè di poter ottenere al tempo stesso la borsa, quaggiù, e la vita, la vita eternanell’aldilà. […] Un usuraio in purgatorio non fa il capitalismo. Ma un sistema economico non nesostituisce un altro che alla fine di una lunga corsa ad ostacoli di ogni sorta. La storia sono gliuomini. Gli iniziatori del capitalismo sono gli usurai, mercanti dell’avvenire, mercanti di quel tempoche, fin dal XV secolo, Leon Battista Alberti definirà denaro. Questi uomini sono dei cristiani. Ciòche li trattiene sulla soglia del capitalismo non sono le conseguenze terrene delle condanne del-l’usura fatte dalla Chiesa; è la paura, la paura angosciosa dell’inferno. In una società in cui ogniforma di coscienza è una forma di coscienza religiosa, gli ostacoli sono in primo luogo – o inultima istanza – religiosi. La speranza di sfuggire all’inferno grazie al purgatorio permette all’u-suraio di far avanzare l’economia e la società del XIII secolo verso il capitalismo.

J. LE GOFF, La borsa e la vita. Dall’usuraio al banchiere, Laterza, Roma-Bari 1987, pp. 70-71, 86-87, trad. it. S. ADDAMIANO

Che cosa si intende con «dualismo riduttivo»? In che modo questa espressione si collega allanascita del purgatorio?

Quali comportamenti, oltre al pentimento, potevano abbreviare la sosta dell’anima in purgatorio?

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Dante e Virgilio duranteil loro viaggio nel

purgatorio, miniaturatratta da un codice della

fine del XIV secolo(Perugia, Biblioteca

Augusta).

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I santi alle porte del paradiso raffiguratisulla facciata della chiesadi San Giorgio del monastero di Voronetz, in Romania.

Lo scontro tra l’università di Parigi e Giovanni XXII

Il contrasto che negli anni 1331-1334 oppose il papa Giovanni XXII all’università di Parigi sulla que-stione della condizione delle anime in paradiso fu durissimo. Soprattutto, coinvolse subito altri soggetti:il re di Francia Filippo VI (protettore dell’università, desideroso di presentarsi come autorevole difen-sore della fede), i francescani spirituali (fortemente ostili al papa per le sue dichiarazioni che negaro-no la povertà assoluta di Cristo) e i francescani conventuali. Sostenuti dal pontefice, questi ultimi fu-rono gli unici a prenderne le difese, a cominciare dal generale dell’ordine, Geraldo Ot.

Il 19 dicembre 1333, re Filippo invita nel suo maniero nel parco reale di Vincennes i mag-giori dottori in teologia, i vescovi, gli abati, i principi e i magistrati che si trovavano a Parigiper una consultazione decisiva sulla controversia. Partecipano, in qualità di testimoni: il redi Navarra, Filippo; il duca di Normandia, Giovanni; il duca di Borbone, Luigi; il fratello delre e conte di Alenson, Carlo. I dottori consultati sono in numero di ventitrè, tra cui Pierre deLa Palude, reggente della cattedra domenicana della Facoltà e patriarca di Gerusalemme,«personaggio all’epoca celeberrimo», e Pierre Roger, arcivescovo di Roan. A questi ultimiè assegnata la presidenza effettiva del consesso. Al re, la presidenza d’onore. È presenteanche il generale francescano Ot.

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Page 16: L’aldilà medievale - SEI Editrice · IL MEDIOEVO EUROPEO 2 La Navigazione di san Brandano Nell’VIII o nel IX secolo, un autore anonimo compose in latino un testo chiamato Navi-gazione

Una volta assisi, il re pone due domande: «1) se le anime dei santi defunti, in Cielo, ve-dono l’Essenza divina, faccia a faccia, già al presente; 2) se la visione che le anime santegià hanno dell’Essenza divina svanirà nel giorno del Giudizio finale per essere sostituita daun’altra». I dottori sono chiamati a giurare di sentenziare quello che, in coscienza, credonoessere autenticamente cristiano. Dalla formulazione del secondo quesito ben si com-prende, però, il margine di libertà della risposta al primo. I dottori rispondono come il re de-siderava ascoltare: le anime separate dei santi fruiscono già della visione di Dio, faccia a fac-cia, e la manterranno eternamente anche dopo il Giudizio universale. «Vero è che alcunidissero che questa visione sarà più perfetta nel giorno del Giudizio; al che si accordò il ge-nerale Geraldo, ma parve che lo facesse suo mal grado [per fedeltà al papa, ma poco con-vinto, dal punto di vista teologico, n.d.r.]». Accertato ciò, l’assemblea è sciolta.

Otto giorni dopo, però, il 27 dicembre 1333, il re richiama i dottori della Facoltà teologicae richiede loro di compilare in forma scritta quanto avevano attestato oralmente a Vincennes.I dottori supplicano il re di accontentarsi della loro dichiarazione orale, non vedendo la necessitàdi una notifica scritta. Il re insiste. I dottori, non volendo contrariare il fondatore e protettoredella loro Facoltà degli studi teologici, nonché loro signore e re, si impegnano ad obbedire aldesiderio regio. Quindi si ritirano nella loro congregazione del Maestri in teologia, presso SanMaturino in Parigi, ove redigono il documento preteso dal re. Le firme e i sigilli apposti in calcesono in numero di ventinove: ai ventitrè dottori presenti a Vincennes si aggiungono altri sei,legittimamente impediti il 19 dicembre, che comunque sottoscrivono il testo.

Il documento, che reca la data 2 gennaio 1334, dà un breve resoconto di quanto avve-nuto a Vincennes, il 19 dicembre, e a Parigi, il 27 dicembre, quindi esprime la tesi cara alre: le anime separate che sono sante, ovvero non hanno niente da purificare o sono già pu-rificate di ciò che abbisognava, sono ammesse alla visione di Dio, faccia a faccia, godonoperfettamente di Dio e permarranno in questo stato perfetto perpetuamente, anche dopola resurrezione. I dottori, poi, tengono a precisare: «Poiché, Principe serenissimo, siamo te-nuti a riverirvi come nostro Signore, preziosissimo Fondatore e Protettore degli Studi pari-gini e della nostra Facoltà teologica, e come nostra Eccellenza regia, e a obbedire ai vostricomandi, facciamo attenzione particolarmente a ciò che abbiamo udito dalla vostra bocca:che in questa materia non domandavate niente che potesse toccare il santissimo Padre eSignore nostro Giovanni, Sommo Pontefice, per provvidenza di dio, della SacrosantaChiesa Romana e Universale, di cui siamo devoti servi e figli. Che, anzi, da figlio suo devo-tissimo, Vi impegnavate con zelo in questa e nelle altre cose, per il suo onore. Osserviamo,inoltre, secondo il racconto che abbiamo udito da parte di molte persone degne di fede, chetutto quello che Sua Santità disse in questa materia, non lo addusse asserendo o espri-mendo un’opinione, ma unicamente citando».

I dottori si sentono, quindi, di rendere conto anche al papa. Nell’epistola inviatagli nellostesso giorno, resta inalterato il testo della dichiarazione; mutano, però, le parole di ac-compagnamento, […] parole di rara sottigliezza: «E, per certo, Padre santissimo, tutti i dot-tori che ci hanno preceduto nello Studio parigino, dei quali abbiamo letto gli scritti, hannotenuto e insegnato questa opinione e l’hanno lasciata nei loro scritti come quella da doveressere tenuta. Perciò, supplichiamo la Beatitudine vostra con tutto il cuore e con la mas-sima umiltà e reverenza affinché la Santità vostra si degni di porre fine alla questione pre-detta […] confermando come vera, tramite una determinazione apostolica, quella parte concui è stata nutrita fino ad oggi la devozione di tutto il popolo cristiano, affidato al vostro go-verno».

La perentorietà in abito di supplica della parte finale di questa lettera si svela, poi, in tuttala sua forma, nella missiva inviata al papa dal re di Francia. Anch’egli, infatti, fa pervenire aGiovanni XXII una copia della dichiarazione dei dottori della Facoltà e l’accompagnatoria haun tono decisamente imperativo. Secondo alcuni, Filippo VI, in un trasporto di ardore reli-gioso, avrebbe minacciato di spedire al rogo tutti coloro che pertinacemente [testardamente,senza mutare opinione, n.d.r.] avessero tenuto la mendace opinione contraria alla dottrinaortodossa prescritta dai teologi parigini: tutti, compreso il papa.

A. VACCARO, Il dogma del paradiso. Antefatti, differenze semantiche, «sinistre interpretazioni»,Lateran University Press, Roma 2005, pp. 80-84

Quali sono le reazioni dei teologi parigini di fronte alle richieste di Filippo VI? E quale posizioneassumono nei confronti del papa?

Che margine di azione avevano i teologi parigini rispetto al papa? E quale autonomiapossedevano rispetto al re di Francia? Fino a che punto la dichiarazione dei teologi è spontanea,e in quale misura è estorta?

Spiega l’espressione «perentorietà in abito di supplica».

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F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012