L’informazione al tempo dei soial netork · stiamo fondendo con i nostri strumenti telematici....

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Come cambia la professione L’informazione al tempo dei social network Presentazione di Andrea Melodia Presidente UCSI Corso di formazione per giornalisti Fiuggi, 23 aprile 2015

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Come cambia la professioneL’informazione al tempo dei social network

Presentazione di Andrea MelodiaPresidente UCSI

Corso di formazione per giornalisti Fiuggi, 23 aprile 2015

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Non è solo tecnologia!• Un recente editoriale di TechRepublic, una rete americana dei professionisti di

tecnologia dell’informazione, ha definito internet “una delle grandi forze dirompenti della storia umana”, uno tsunami rispetto al quale occorre predisporre vie di scampo.

• Viene ipotizzato che tra una decina d’anni, quando lo stato di collegamento alla rete per ciascuno di noi passerà da atto volontario a normale stato di vita, fino a decretare la fine dell’essere online, saremo finalmente costretti a dedicare più consapevolezza ad ogni nostra azione e al modo in cui ci mettiamo in relazione con gli altri, con le istituzioni e con lo stesso futuro.

• Tra le previsioni positive e negative viene ricordato l’impatto di internet sulla geopolitica. L'ascesa dei media digitali porterebbe perturbazioni significative nelle relazioni tra gli Stati, con lo sviluppo di attori politici e movimenti transnazionali che potrebbero minare il sistema tradizionale dei poteri.

• Esempi di questa tendenza – non sempre negativa, se i problemi connessi venissero affrontati – sono già oggi visibili nel caso Wikileaks o nella formazione di movimenti estremistici che operano senza riguardo ai confini nazionali.

• Inoltre la stessa capacita di internet di offrire soluzioni più rapide e efficienti a problemi generali (soprattutto in molti campi della ricerca sanitaria e scientifica) tende a spostare i centri di controllo di queste attività al di fuori degli Stati, senza che siano stati definiti sistemi di regole alternativi validi per tutti, e lasciando aperta la strada a possibili abusi.

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E’ una variazione antropologica

• Non servono gli esperti americani per accorgersi che il solo settore della produzione umana che è cambiato in modo sostanziale negli ultimi trent’anni è quello dell’informazione digitale. Le automobili, gli aeroplani, le macchine, i vestiti, le case sono rimasti all’ingrosso gli stessi, gli strumenti della comunicazione attuali avrebbero causato cinquanta anni fa uno stupore paragonabile a quello di un rasoio elettrico alla corte di Cesare Augusto.

• Le potenzialità delle persone sono cambiate altrettanto radicalmente. In qualche modo ci stiamo fondendo con i nostri strumenti telematici. Questa fusione è forse destinata a diventare sempre più pervasiva.

• Cambia radicalmente il nostro modo di essere umani, essere sociali ed essere “politici”. Siamo davanti a quella trasformazione che l’XI Rapporto CENSIS-UCSI sulla comunicazione ha sinteticamente definito “l’evoluzione digitale della specie”. Il XII Rapporto è centrato sulla disintermediazione.

• Non ha più senso dividersi tra visionari ipertecnologici e umanisti tradizionali. Occorre semplicemente prendere atto delle trasformazioni in atto, comprenderle almeno intellettualmente anche quando ci si sente esclusi dalla loro pratica, come quel mio amico che studia i saggi più aggiornati sulla comunicazione digitale e ne appunta i contenuti rigorosamente a mano.

• Le divisioni non sono soltanto anagrafiche: per esempio non possiamo definire nativi digitaliquei ragazzi appartenenti alle fasce sociali più deboli che restano esclusi dall’accesso a internet. Anche la scarsa capacità della scuola di avvalersi delle nuove tecnologie, sia per scarsità di mezzi, sia per carenza culturale dei docenti, costituisce una barriera frenante che deve essere rimossa con la massima celerità.

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I dati reali in ItaliaL’evoluzione del consumo dei media in generale: l’utenza

complessiva (1), 2002-2015 (val. %)

2002 2007Diff. % 2002-2007

2011Diff. % 2007-2011

2015Diff. % 2011-2015

Diff. % 2002-2015

Televisione in generale 98,5 96,4 -2,1 97,4 1 96,7 -0,7 -1,8Radio in generale 65,4 77,7 12,3 80,2 2,5 83,9 3,7 18,5Quotidiani in generale 56,1 79,1 23 66,6 -12,5 52,9 -13,7 -3,2Settimanali 44,3 40,3 -4 28,5 -11,8 27,5 -1 -16,8Mensili 24 26,7 2,7 18,4 -8,3 20,8 2,4 -3,2Libri 42,5 59,4 19,9 56,3 -3,1 51,4 -4,9 8,9Telefono cellulare in generale 75,3 86,4 11,1 79,5 -6,9 85,3 5,8 10Internet 27,8 45,3 17,5 53,1 7,8 70,9 17,8 43,1a(1) Utenti che hanno indicato una frequenza d’uso del mezzo di almeno una volta alla settimana (ovvero hanno letto almeno un libro nell’ultimo anno).Fonte: indagini CENSIS, 2002-2015

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I dati della crisi della stampa sui ricavi• I risultati disastrosi per la stampa italiana diffusi dall’Autorità per le

garanzie della comunicazione (nel 2013 sull’anno precedente: ricavi a -7% per i quotidiani, -17,2% per i periodici) richiedono una riflessione.

• Il peso della stampa rispetto all’intero settore della comunicazione (che chiude l’anno a -8,8%, trascinato in basso dai telefonici) è abbastanza limitato, ma ha pesanti cadute sulla libertà e il pluralismo dell’informazione, e sui livelli occupazionali.

• Inevitabile chiedersi se tutto questo sia effetto soltanto, o prevalentemente, della crisi economica o se altre cause abbiano contribuito in modo significativo a destabilizzare il sistema tradizionale dell’informazione. Anche gli indici per la radio, la televisione e perfino internet sono negativi, ma in modo più limitato.

• Occorre trovare spiegazioni diverse dalla crisi generale per quanto riguarda la stampa tradizionale.

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Cause e possibili soluzioni?• Una prima categoria di motivi credo vada ricercata nei ritardi con cui in

Italia si sono affrontati i grandi cambiamenti tecnologici e le conseguenti modifiche d’uso della funzione informativa.

• Nel mondo industrializzato oggi si discute quasi esclusivamente di informazione on line. Le grandi testate si sono convertite alle nuove modalità informative live, in diretta. Non lo considerano un ripiego (“siamo in crisi, proviamo anche questa”) ma come una nuova frontiera sulla quale investire tutto per tutto.

• Chi può dire oggi, comprando il giornale del mattino o persino guardando il telegiornale della sera, di non essere già stato raggiunto per altra via da una parte considerevole delle informazioni?

• Neppure una decisa sterzata sulla strada dell’approfondimento e del commento salva dal fatto che anche gli approfondimenti, e soprattutto i commenti, prolificano su internet.

• La sola possibile soluzione si chiama crossmedialità, cioè presenza contemporanea su tutti i mezzi adattando i contenuti alle caratteristiche di ciascun mezzo. Strada obbligata anche per non essere travolti dal gapgenerazionale.

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Gap generazionale, credibilità• Ma il gap generazionale non riguarda solo i lettori, colpisce anche i giornalisti.

Basta raccogliere informazioni su quello che accade nelle redazioni, anche quelle che si presentano come le più moderne, o cogliere gli umori dei giornalisti verso le vicende della categoria, come il rinnovo del contratto nazionale di lavoro o le norme sul funzionamento dell’Ordine professionale, per capire che crisi economica e trasformazione tecnologica vengono vissute solo come tragedie e non anche come opportunità. Certo è difficile adattarsi alla inattesa velocità del cambiamento, ma non ci sono alternative.

• C’è un ultimo elemento di crisi, che si interseca con quelli descritti finora, quello della credibilità e della autorevolezza della categoria. Hanno torto gli italiani nel ritenere i giornalisti poco autonomi, troppo compromessi coi sistemi di potere, poco veritieri? Non direi, visto che i giornalisti hanno di se stessi opinioni analoghe.

• Norme deontologiche ridondanti e mal gestite, e soprattutto resistenza diffusa a una reale riflessione etica sulla professione, nelle sue diverse manifestazioni.

• Le redazioni, i singoli giornalisti e le loro forme associative sono oggi chiamati a un percorso di Mediaetica, per cercare di capire come lavorare bene, nelle varie pratiche professionale, rispettando soprattutto se stessi. E’ un passaggio indispensabile per ricostruire nel mondo digitale le motivazioni nobili di un mestiere che deve tornare ad essere strumento essenziale della democrazia.

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Riprogettare la professione

• Assistiamo a un progressivo spostamento verso una attitudine sempre più narrativa della professione, per effetto della concorrenza e in generale della moltiplicazione dei canali (non solo tv) e della commistione dei generi e delle intenzionalità comunicative (intrattenimento, stili di vita, linguaggio della fiction, informazione/spettacolo). E non si possono trattare questi temi solo in negativo.

• Altra vecchia magagna è quella della contiguità tra informazione e potere: i giornalisti sempre più compromessi con la politica, e i politici sempre più coinvolti nella informazione spettacolo.

• Propongo, nel concreto, una formuletta per affrontare la nostra comune crisi professionale. Nel nostro lavoro:

1. Un terzo è routine, e nella routine bisogna essere vigili perché è il momento più pericoloso , quello dove è più facile sbagliare;

2. Un terzo è emergenza: lì si dà il meglio di sé;3. Un altro terzo deve essere progetto, si deve governare il cambiamento, la

trasformazione, pensare al futuro. • Il giornalista deve progettare: altrimenti non affronta la crisi della stampa, l’informazione che

cambia, i contenuti generati da utenti non professionali per i quali bisogna trovare strumenti nuovi di verifica (ricordo una provocazione del card. Tettamanzi: servono ancora i giornalisti? Tutti oggi possono fare informazione…), l’informazione online, la pubblicità al meno 20%, l’aggiornamento professionale, le nuove tecnologie. Per progettare occorre un surplus di impegno e anche di etica.

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Le distorsioni dell’agenda setting• C’è poi la questione dell’agenda setting, cioè la teoria vecchia trent’anni secondo cui sono i

media mainstream, televisione in testa, a imporre la gerarchia delle questioni socialmente rilevanti. Teoria che andrebbe riesaminata nella realtà dell’informazione contemporanea, teoria che i giornalisti preferiscono assecondare nella pratica distorta anziché servirsene per migliorare il loro lavoro.

• La conseguenza è un circolo vizioso tra i grandi quotidiani del mattino e i telegiornali della sera nel fare i titoli, in particolare di informazione politica e di cronaca; e questo circolo vizioso alimenta ormai negativamente anche i social network e condiziona la percezione della realtà politica e sociale.

• Troppo spesso accade che una ipotesi, una intuizione interpretativa più o meno originale e legittima diventi un fulcro verso il quale molti per un certo tempo convergono. Prevale la paura di “bucare” una informazione anche davanti a quello che informazione non è, ma è solo ipotesi.

• Prevale anche il bisogno di sentirsi protetti all’interno di canoni di interpretazione della realtà che sono costruiti sull’ideologia o sulla convenienza e non sulla ricerca della verità. In questa rincorsa a dare rilevanza a ciò che non ne ha i giornalisti trovano facilmente la complice solidarietà degli esponenti politici e istituzionali, che di quei racconti sono gli esibiti protagonisti.

• Il racconto della politica che arriva al cittadino può così divenire la descrizione di un sistema perennemente instabile, schizofrenico. E l’agenda setting della attualità segue le regole dello spettacolo, l’attenzione sociale viene orientata alle emozioni e non alla razionalità.

• Occorre non dare corpo alle polemiche fittizie, in definitiva rifiutarsi di definire l’agenda setting secondo gli interessi delle parti politiche e sociali, bensì riportare continuamente il racconto a ciò che è socialmente rilevante, utile al cittadino. Occorre spezzare il circolo vizioso dell’autoreferenzialità nell’informazione.

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Un sistema comunicativoinstabile e integrato

• Questi problemi si inseriscono nella trasformazione profonda, nel vero e proprio stato di crisi universale degli strumenti dell’informazione “pesanti” e tradizionali, e nell’avanzata contemporanea di quelli “liquidi”, che trovano più facile legittimazione giovanile ma che non sono immuni da radicalismi e emarginazioni.

• Dunque anche il web e la comunicazione virale richiedono maggiori competenze, ma senza abbandonare a se stessi i media tradizionali. E’ stato anche osservato che l’influenza sulle opinioni politiche resta appannaggio soprattutto dei media tradizionali: è stato dimostrato, dati alla mano, che il Movimento Cinque Stelle ha usato il web per raccogliere opinioni, ma solo una piccola minoranza di chi lo ha votato ha usato il web in modo attivo.

• La principale caratteristica del nuovo ambiente digitale è la convergenza. Questo significa che i contenuti possono trasferirsi sempre più facilmente da un mezzo all’altro; internet raccoglie tutti gli altri e anche le singole persone, tanto che ormai si dice che più che un mezzo internet è diventato un grande “ambiente” nel quale si deve imparare a vivere responsabilmente.

• Ma questa supremazia di internet non significa che i vecchi mezzi scompaiono, significa solo che si trasformano, che subiscono crisi anche profonde e che devono imparare a usare al meglio i propri specifici punti di forza.

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Cercando vie d’uscita e informazioni aggiornate

• Quest’ultima parte del mio intervento si baserà sugli scritti di Jeff Jarvis, un giornalista americano che cerca di dare risposta alla domanda dei colleghi: “Adesso che la tua Internet ha rovinato l’informazione, che si fa?”

• Certo si tratta di una esperienza americana, frutto di una situazione culturale e sociale, di un mercato e di una evoluzione tecnologica diversi dai nostri, ma forse solo un poco più avanzati.

• Potete trovare questi testi su un sito ricchissimo di riflessioni sulla professione, www.lsdi.it (Libertà di Stampa, Diritto all’Informazione) grazie alla traduzione di Bernardo Parrella, e in particolare qui:

• http://www.lsdi.it/2014/chiusa-lera-dei-mass-media-come-sara-il-giornalismo-di-domani/

• Però permettetemi di fare propaganda a un altro sito aggiornato quotidianamente con notizie sulla professione: è quello della nostra associazione, www.ucsi.it.

• Colgo l’occasione anche per segnalare un sito più tecnico curato dal prossimo relatore, Federico Badaloni, www.architecta.it. Sarà lui a spiegarvi cosa è l’architettura dell’informazione.

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Informare la massa o le persone?• “Di fatto, non ci sono masse”, secondo il sociologo Raymond Williams. “Esiste solo

il vizio, la cattiva consuetudine di considerare la gente come massa. E senza masse cosa ne sarebbe dei mass-media? Questi sono costruiti per raggiungere ampi gruppi di persone, tutte in una volta, nello stesso modo.”

• “La nostra industria culturale riesce a produrre e distribuire un prodotto stampato complesso e puntuale, oppure sfrutta la tecnologia per raggiungere un enorme quantità di gente tramite trasmissioni quotidiane. Le nostre infrastrutture e i business model sono fatti per la moltitudine. Sono stati i mezzi di comunicazione a inventare la massa”.

• Io a questo punto voglio interloquire per ricordare che una volta inventata, sarà lunga, difficile e di incerto risultato la cancellazione della massa e dei mezzi di comunicazione che l’hanno creata. Ma su questo nessuno ha certezze.

• Ma il punto non è questo: certamente il sistema dell’informazione deve fare i conti con il “ritorno” a forme di comunicazione personali e dirette.

• Dai mass media ai community media!

• E deve capire in che modo nel nuovo ambiente digitale si possano costruire modelli di business che tornino a dare valore alla professione dei giornalisti.

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Cosa dovrebbe fare un giornalista oggi

• Scrive Jarvis: “I giornalisti diranno che il loro lavoro non dovrebbe essere condizionato dai desideri del pubblico, altrimenti li riempiremmo di gossip e violenza, con cui li abbiamo già ingozzati a sufficienza. Ma non c’è nulla di male nel prestare ascolto a coloro per cui lavoriamo: se scopri che ci sono migliaia di pazienti affetti da cancro nel tuo bacino d’utenza, perché allora non aggiungere un blog condotto da un oncologo e una comunità web sul cancro? Se vieni a sapere che la gente è infuriata per il malfunzionamento del servizio ferroviario, questa è una buona ragione per incaricare un giornalista di indagare …”

• Poi fa queste domande:

– Quante persone conosciamo (anche se non per nome, quantomeno rispetto ai loro ambienti, bisogni, interessi o comportamenti)?

– Quanti stimoli diamo a costoro per convincerle a farci sapere di più su loro stessi (cosa offriamo tra i servizi che li interessano)?

– Quanto sappiamo di ogni singolo individuo, quanti dati minori abbiamo raccolto su di loro?

– Come poter usare questi dati a loro beneficio?

– Come poter sfruttare queste informazioni a nostro vantaggio, tramite inserzioni, accesso a pagamento, rivendita dei dati, organizzazione di eventi o altri modelli?

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Cosa succede se non conosci il tuo pubblico

• Il criterio di misura più importante di tutto il giornalismo per Jarvis è questo: quanto sono informati i membri della comunità di riferimento? Tanto quanto vorrebbero?

• Ciò impone come prima cosa che lo si chieda loro e si dia loro ascolto rispetto a bisogni e attese, e poi che si trovino i mezzi migliori per accontentarli, grazie a piattaforme di condivisione, all’informazione, ai dati aperti, al giornalismo e alla cronaca.

• Se i media riconoscessero tutti costoro come individui e comunità, e se fossero capaci di guadagnarne la fiducia per poterli servire in maniera unica e positiva, questa potrebbe essere la base per imprese di tipo nuovo e rinnovato. Ma questo è un enorme “se”.

• Non è dunque lo scarsissimo numero delle persone che accedono alle news attraverso i siti dei giornali il dato significativo: tutti gli assenti interessati con ogni probabilità hanno già avuto la notizia attraverso un altro canale che conosce per ciascuno di loro interessi, disponibilità, collocazione geografica, capacità di spesa…

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Perché vendere i contenuti, le notizie?

• La convinzione che il lavoro dei giornalisti consiste nel produrre contenuti porta ad attivare sistemi di pagamento per proteggerli, nella convinzione che la gente debba pagare per i contenuti, perché costa danaro produrli e perché li ha sempre pagati.

• Ciò spinge l’informazione tradizionale a combattere strenuamente per difendere i suoi prodotti da quello che viene percepito come un furto – in alcuni paesi convinzione rafforzata dalle norme sul diritto d’autore – anziché riconoscere che i contenuti validi possano dar forma a relazioni di tipo nuovo.

• In quanto produttori di contenuti, i giornalisti si separano dal pubblico mentre creano il loro prodotto, finché non è finito e lo rendono pubblico; convinti di poter possedere, controllare e stabilire il prezzo di quella scarsità chiamata contenuti.

• Queste circostanze ci hanno resi impreparati per l’era tecnologica in cui le copie costano poco o nulla, dove abbondano i contenuti (e quindi la concorrenza), dove l’informazione diviene una bene di consumo a valore quasi nullo nell’istante in cui basta un link e un clic per essere rilanciata.

• Il valore dei contenuti dovrebbe essere più uno strumento che un fine, e meno che mai l’unico prodotto dei giornalisti.

• E allora, se il nostro mestiere non riguarda i contenuti, di cosa si tratta?

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Il valore del giornalismo come servizio

• La proposta di Jarvis: proviamo a considerare il giornalismo come un servizio. Il contenuto va a riempire qualcosa, mentre il servizio punta a raggiungere un obiettivo. Per essere un servizio, il giornalismo dovrebbe mirare ai risultati piuttosto che ai prodotti. Quale dovrebbe essere questo risultato? Sembra ovvio: individui meglio informati e una società meglio informata.

• Se non si crede alla volontà del pubblico di essere informato, allora ci si dovrebbe arrendere e rinunciare alla democrazia, al libero mercato, all’ideale dell’istruzione, per non parlare del giornalismo.

• La fiducia che continueranno a esistere mercato e domanda per quell’informazione di cui la società ha bisogno per funzionare democraticamente deve essere un atto di fede, se vogliamo avere la speranza di sostenere il giornalismo.

• Questo atto di fede potrebbe dunque essere la condizione per tornare a dare valore al lavoro giornalistico, anche in senso economico.

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Aiutare la comunità a organizzare la propria conoscenza

• Il primo compito nello sviluppo del giornalismo di servizio dovrebbe esser quello di offrire piattaforme che mettano in grado individui e comunità di cercare, portare alla luce, raccogliere, condividere, organizzare, analizzare, comprendere e usare le proprie informazioni (oppure di ricorrere a piattaforme già esistenti per tutto ciò).

• Internet ha dimostrato di essere un ottimo strumento per permettere alle comunità di informare in modo indipendente, condividendo gli eventi via Twitter, lo scibile via Wikipedia e le questioni importanti tramite strumenti di conversazione: messaggistica istantanea, blog, post e tweet. Strumenti che, pur se banali, ripetitivi e usati talvolta in maniera incivile, sono comunque parte della nostra vita.

• Jarvis dà questa definizione del giornalismo: aiutare le comunità a organizzare la propria conoscenza in modo da potersi auto-organizzare sempre meglio.

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Mettersi alla ricerca di nuovi strumenti• Ed è lì che i giornalisti debbono e possono aggiungere valore, aggiunge Jarvis,

facendo domande alle quali non si sia già risposto: tramite segnalazioni e inchieste, aggiungendo contesto e spiegazioni, trovando e includendo competenze specialistiche, soppesando fiducia e influenza, controllando fatti e dissacrando ipotesi e dicerie, rendendo accessibile l’informazione attraverso il racconto o la visualizzazione, confezionando e presentando adeguatamente i contenuti con le opportune modifiche, cure e annessi.

• Certe competenze sono di vecchio stampo: cose che i giornalisti hanno sempre fatto, oggi velocizzate. Altre sono nuove, rese possibili dalla tecnologia: la presentazione di dati per i sondaggi pubblici; la creazione di strumenti nuovi; l’avvio di discussioni; l’organizzazione di attività correlate.

• E allora c’è bisogno dei giornalisti: ma la mera distribuzione di notizie non è più un nostro monopolio e non è l’uso più appropriato delle nostre scarse risorse. Senza questo monopolio nell’informazione, non possiamo più vantarci di decidere quel che il pubblico deve sapere.

• Spesso quest’ultimo s’informa a nostra insaputa. Anzi, più lo aiutiamo a informarsi in proprio, più la gente è informata e maggiori sono le nostre opportunità di fornire valore aggiunto, e meno ci costerà tutta questa valanga di notizie.

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Alla ricerca di un nuovo metodo di lavoro

• E’ molto interessante anche l’analisi di Jarvis sulle comunità territoriali, sulla loro necessità di riorganizzare il proprio ecosistema pubblico dopo la crisi dei grandi mezzi di informazione di massa, e sul ruolo che i giornalisti possono svolgere in questa riorganizzazione.

• Per Jarvis è necessario che i giornalisti imparino a collaborare anziché aggrapparsi al modello tradizionale del “solo contro tutti”.

• Occorre anche che le istituzioni pubbliche aiutino il percorso di crescita di un ecosistema informativo ricco e variegato, nel quale lo scambio digitale si sviluppi creando un numero di nodi sufficiente a rendere l’intero sistema informativo stabile, socialmente utile ed economicamente autosufficiente.

• Perché deve essere chiaro che il valore sociale di questo nuovo modo di concepire il giornalismo deve garantire, una volta stabilizzato, anche un valore aggiunto in termini economici.