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133 1/2018 L’ENTICIDIO: UNA CATEGORIA PENALISTICA DA RICOSTRUIRE ED UNA CONSEGUENZA PER L’AZIENDA DA EVITARE di Enrico Mezzetti SOMMARIO: 1. Prologo. Questioni preliminari e terminologiche. 2. Prima prospettazione del problema: l’incidenza del fattore patogeno costituito della mala gestio societaria. 2.1. (Segue) Seconda prospettazione del problema: la ‘bulimia’ del sistema sanzionatorio come effetto indesiderato di discontinuità dell’attività d’impresa. – 3. I germi criminogenetici che si annidano nell’«organizzazione dell’irresponsabilità»: deleghe fittizie, frammentazione dei processi decisionali, cultura dell’illegalità da profitto. – 3.1. (Segue) Il topos della burocratizzazione e della sproporzione degli strumenti di contrasto. Eventuali margini di miglioramento del sistema sanzionatorio. 4. La prospettiva ‘invertita’: l’incidenza sul problema della sanzionatorietà degli enti dei canali imputativi della responsabilità indicati dal d.lgs. n. 231/2001. 5. Il ruolo delle misure di prevenzione nel contrasto alla criminalità d’impresa finalizzata al conseguimento di profitti illeciti. 5.1. (Segue) Le linee di riforma in materia di misure di prevenzione di recente approvazione. 6. Il nuovo cammino intrapreso con la riforma delle procedure concorsuali, con particolare focus su quelle a finalità liquidatoria. 7. Epilogo. 1. Prologo. Questioni preliminari e terminologiche. Indicare l’esito irreversibile della chiusura dell’attività come pietra angolare di un’indagine sulle conseguenze dannose determinate da una scorretta politica d’impresa, sia pure all’esclusivo fine di individuare le precise cause della crisi che l’ha prodotto, può anche implicare di dover ricercare la genesi della decozione in antecedenti inediti e per certi aspetti fino ad oggi inesplorati. Neologismi e nuovi concetti, ma, se si vuole, anche inedite metodologie di approccio ai problemi, che possano, in qualche misura, comportare l’uso di paradigmi esplicativi che servano per rintracciare le ragioni profonde e le implicazioni più recondite del fenomeno da analizzare. In altri termini, la crisi dell’impresa propone modelli euristici innovativi che vanno spiegati con metodi e termini anch’essi nuovi e che propongono orizzonti di valutazione da enucleare ex novo. E poiché la realtà attuale sembra caratterizzarsi, anche in materia penale, per essere sempre più refrattaria a metabolizzare le innovazioni anche terminologiche provenienti dalla prassi, dall’uso di neologismi (femminicidio, omicidio di genere, ecc.) pare legittimo coniarne un altro nuovo: l’enticidio.

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L’ENTICIDIO: UNA CATEGORIA PENALISTICA DA RICOSTRUIRE ED UNA CONSEGUENZA PER L’AZIENDA DA EVITARE

di Enrico Mezzetti

SOMMARIO: 1. Prologo. Questioni preliminari e terminologiche. – 2. Prima prospettazione del problema:

l’incidenza del fattore patogeno costituito della mala gestio societaria. – 2.1. (Segue) Seconda prospettazione

del problema: la ‘bulimia’ del sistema sanzionatorio come effetto indesiderato di discontinuità dell’attività d’impresa. – 3. I germi criminogenetici che si annidano nell’«organizzazione dell’irresponsabilità»: deleghe fittizie, frammentazione dei processi decisionali, cultura dell’illegalità da profitto. – 3.1. (Segue) Il topos

della burocratizzazione e della sproporzione degli strumenti di contrasto. Eventuali margini di

miglioramento del sistema sanzionatorio. – 4. La prospettiva ‘invertita’: l’incidenza sul problema della sanzionatorietà degli enti dei canali imputativi della responsabilità indicati dal d.lgs. n. 231/2001. – 5. Il

ruolo delle misure di prevenzione nel contrasto alla criminalità d’impresa finalizzata al conseguimento di

profitti illeciti. – 5.1. (Segue) Le linee di riforma in materia di misure di prevenzione di recente

approvazione. – 6. Il nuovo cammino intrapreso con la riforma delle procedure concorsuali, con

particolare focus su quelle a finalità liquidatoria. – 7. Epilogo.

1. Prologo. Questioni preliminari e terminologiche.

Indicare l’esito irreversibile della chiusura dell’attività come pietra angolare di un’indagine sulle conseguenze dannose determinate da una scorretta politica d’impresa, sia pure all’esclusivo fine di individuare le precise cause della crisi che l’ha prodotto, può anche implicare di dover ricercare la genesi della decozione in

antecedenti inediti e per certi aspetti fino ad oggi inesplorati. Neologismi e nuovi

concetti, ma, se si vuole, anche inedite metodologie di approccio ai problemi, che

possano, in qualche misura, comportare l’uso di paradigmi esplicativi che servano per rintracciare le ragioni profonde e le implicazioni più recondite del fenomeno da

analizzare.

In altri termini, la crisi dell’impresa propone modelli euristici innovativi che vanno spiegati con metodi e termini anch’essi nuovi e che propongono orizzonti di valutazione da enucleare ex novo.

E poiché la realtà attuale sembra caratterizzarsi, anche in materia penale, per

essere sempre più refrattaria a metabolizzare le innovazioni anche terminologiche

provenienti dalla prassi, dall’uso di neologismi (femminicidio, omicidio di genere, ecc.) pare legittimo coniarne un altro nuovo: l’enticidio.

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Enticidio come evento del cortocircuito di sistema che s’inscrive nel più ampio fenomeno moderno degli omicidi di impresa1, che può trovare origine sia da cause endogene, correlate alle forme di responsabilizzazione riconducibili ai soggetti interni,

posti in posizione apicale, che s’identificano nel management societario, negli organi di

vertice, così come nei singoli individui che possiedano una capacità più o meno ampia

di influire sui processi decisionali e sulle scelte strategiche che conducano ad una

spinta politica scorretta dell’impresa, che da fattori esogeni, che sono generati, viceversa,

da risposte sanzionatorie o misure di contrasto vuoi sproporzionate, vuoi inadatte allo

scopo.

Allora, seguendo questa traccia neo-terminologica, si potrebbe indicare da

subito come “enticidio”2 la cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, in sostanza la “morte” della persona giuridica, per cause interne scatenate dalla mala gestio del

vertice3, ovvero determinata da cause esterne che risalgano ad una politica

sanzionatoria sproporzionata che, per pure esigenze deterrenti o general-preventive,

produca lo stesso (involontario) effetto sulla (dis-)continuità aziendale.

In questo secondo significato, occorrerà interrogarsi sulla efficacia ma anche

sulla giustezza (in termini di proporzionalità teleologica rispetto allo scopo da

perseguire) che è consegnata all’apparato sanzionatorio. Due antecedenti eziologici di segno opposto che possono produrre identiche

conseguenze dannose per la prosecuzione dell’attività imprenditoriale. Viceversa, con “omicidio d’impresa” s’intende quella conseguenza di esclusione

od esonero dal poter continuare l’attività imprenditoriale che colpisce, questa volta, come target dell’imputazione, un’oggetto diverso, e cioè le persone fisiche che rappresentano il vertice societario. Qui, in un’ottica più semplicistica (e forse brutale) il diritto penale mira a colpire il singolo individuo, anche inserito o organizzato in un

collegio, per impedirgli di continuare a perpetrare una scorretta politica d’impresa; in

una parola a scongiurare il pericolo della recidiva che la sanzione penale vuole evitare,

con un preciso messaggio etico, attraverso l’inflizione della sanzione al singolo. Individuo/i spesso ritenuto/i la causa esclusiva degli illeciti penali compiuti, con

condotte elusive dei controlli delle autorità pubbliche così come della stessa compagine

societaria4, come risulta, sul punto, dalla previsione, in combinato disposto, degli artt.

5, co. 2 e 6, co. 1 lett. c) del d.lgs. n. 231.

Due, quindi, le nuove prospettive da esplorare: a) l’enucleazione di nuovi comportamenti illeciti che fluttuano nell’ambito di un’apparente regolare gestione d’impresa ma che invece implicano un’ardua ricerca delle cause e dei rimedi dei reati 1 Su cui si v. ampiamente C. PATALANO, Omicidio d’impresa. Il caso del Gruppo bancario Delta, Soveria

Mannelli (CZ), 2016. 2 In questo senso il termine assume un significato tutt’affatto diverso rispetto a quello prettamente filosofico impiegato di recente da EMANUELE SEVERINO nel suo libro La morte e la terra, Milano, 2011, in cui

assume il significato letterale di «toglimento del peccato originale patito dalla terra isolata» e definito

pertanto dal filosofo proprio come «enticidio». 3 SOLOMON, Corporate Governance and Accountability, 4a ed., Milton, Australia, 2014. 4 Per un’indagine sul punto cfr. TRIPODI, L’elusione fraudolenta nel sistema della responsabilità da reato degli enti, Padova, 2013.

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compiuti dal management societario; b) l’individuazione, dall’altra parte, di strategie sanzionatorie calibrate allo scopo di implementare modelli di punizione finalizzati a

rendere più virtuoso il ciclo economico-produttivo, scongiurando, però, al contempo

derive punitive draconiane che accentuino la profondità della crisi aziendale (tanto sul

piano economico, quanto su quello della moralità dei comportamenti).

Efficienza, moralizzazione, sanzionatorietà equilibrata sembrano i nuovi totem

in materia di crisi dell’impresa (eventualmente) veicolati pure dagli strumenti di

carattere penale.

Ma sembra proprio questa la strada giusta per intraprendere un percorso di

risocializzazione dell’ente e dei suoi componenti (rectius gangli essenziali e strategici)?

Nella cornice di una riconosciuta colpevolezza dell’ente (colpa di organizzazione e/o per prodotto difettoso)5.

Tale pare la main question oggi all’ordine del giorno sull’agenda della crisi d’impresa dall’angolo visuale del penalista.

2. Prima prospettazione del problema: l’incidenza del fattore patogeno costituito della mala gestio societaria.

A parte l’ipotesi dell’impresa intrinsecamente criminale, dell’azienda illecita, sullo schema preferenziale della “mafia imprenditrice”6, le cause principali (endogene)

della crisi d’impresa, che può divenire irreversibile e quindi condurre all’eclisse della realtà imprenditoriale, possono raggrupparsi, in sintesi, in quattro diverse ipotesi: a) la

spregiudicata conduzione di una politica imprenditoriale ad alto tasso di rischiosità sul piano finanziario, onde acquisire rendimenti molto elevati di redditività per gli insider,

che approfittano delle loro rendite di posizione oppure che speculano in modo

incontrollato mediante gli strumenti finanziari, determinando uno squilibrio che mette

a repentaglio anche il comparto puramente economico-patrimoniale dell’azienda (è il caso Parmalat, o Cirio, come dei recenti avvenimenti relativi alla crisi di diversi istituti

di credito); b) scarsa cultura in tema di compliance, che determina situazioni di grave

disorganizzazione interna (accentuata colpa di organizzazione che si tramuta

facilmente in volontà di disorganizzazione) producente forme di approfittamento dei

soggetti a vario titolo inseriti nei gangli del potere aziendale (si potrebbe citare, in tal

caso, per certi aspetti, il caso della ThyssenKrupp Italia); c) collusioni varie con il potere

gestorio degli organi di controllo o di vigilanza, interni ed esterni, che agevolano forme di

sistematica conduzione illecita senza limiti dell’impresa (diverse fattispecie coinvolgenti, recentemente, gruppi bancari); d) episodi di fraudolenta elusione dei

programmi preventivi anti-reato da parte di singoli, che però assumano una

dimensione di magnitudine (macro-illeciti con effetti a catena) tale da determinare, da soli,

5 PALIERO - PIERGALLINI, La colpa di organizzazione, in Resp. amm. soc. en., n. 3, 2006, 167 ss. 6 ARLACCHI, La mafia imprenditrice. Dalla Calabria al centro dell’inferno, Milano, 2007, spec. 95 ss.

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l’implosione stessa dell’intera attività imprenditoriale relativa a società o interi gruppi societari.

In via di prima approssimazione, occorre rilevare come uno dei punti nevralgici

dell’innesto di efficaci strumenti preventivi di moralizzazione nella conduzione dell’azienda possa essere il frutto, da un lato, di controlli interni che passino per un forte incremento dei flussi informativi, dall’altro, il posizionamento centrale di un modello di check & balance in cui possa applicarsi il canone stretto del «three strikes and you’re out». In tale settore, la presa in considerazione di univoci “segnali d’allarme”, anche attraverso il ricorso al nuovo metodo del whistleblowing, di recente mutuato

anche all’interno del sistema ordinamentale italiano, pur con le dovute cautele del caso, potrebbe costituire un modello da ‘saggiare’.

L’esclusione dalla continuazione del ruolo manageriale in caso di ripetute

violazioni dei codici etici comportamentali, che siano ben presidiati da autorevoli e

indipendenti organi di vigilanza – il collegio sindacale (o comitato di sorveglianza,

secondo il nuovo sistema manageriale di tipo dualistico) come l’organismo di vigilanza – possono costituire misure che, se si accompagnano a stringenti controlli sulle

situazioni di incompatibilità e/o conflitto di interesse, potrebbero far affievolire il

rischio-reato. La continua turnazione dei ruoli manageriali, così come la segregazione

di ruoli e funzioni, nonché la frammentazione dei processi, attraverso la diversità

personale (nel senso di diversità delle persone fisiche) dei process-owner, potrebbero

scongiurare un altro pericolo immanente al sistema degli illeciti: quello della

partecipazione costante e continua degli stessi individui all’intero ciclo produttivo, ciò che potrebbe facilmente tradursi in un circolo di fatti illeciti a ciclo criminale, in cui la

sequenza falso in bilancio-corruzione-(auto)riciclaggio potrebbero – insieme ad altri

esempi di circuiti criminali – “farla da padrone”. Inoltre, onde evitare forme di assuefazione nei rapporti interpersonali,

specialmente se l’interfaccia è rappresentato dagli apparati della pubblica

amministrazione, si potrebbe arrivare a prevedere drastici sistemi di turnaround

dell’intero vertice societario7, che possa condurre ad una seria attuazione della

sostituzione del management in caso di plurima violazione di regole a contenuto

preventivo-prescrizionale8. Esempi di tali misure si sono recentemente applicati ai casi

“Parmalat” e dell’“Ilva” con la nomina di commissari “ristrutturatori” ad alta specializzazione professionale, ma negli ultimi tempi sono ritornati ad essere molto

attivi in quest’ambito i fondi di investimento di private equity che hanno gestito alcuni

dei più importanti turnaround dell’intero mondo occidentale.

7 Su cui v. WALSHE - HARVEY - HYDE - PANDIT, Organizational Failure and Turnaround: Lessons for Public Services from the For-Profit Sector, in Public Money & Management, vol. 24, no. 4 (August, 2004), 201 ss.;

BOYNE - MEIER, Environmental Change, Human Resources and Organizational Turnaround, in Jour. of Management Studies, vol. 46, No. 5, (July 2009), 835 ss. 8 V. WHITNEY, Turnaround Management Every Day, in Harvard Business Rev., settembre 1987.

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2.1. (Segue) Seconda prospettazione del problema: la ‘bulimia’ del sistema sanzionatorio come effetto indesiderato di discontinuità dell’attività d’impresa.

La multiforme proposizione di problematiche connesse con una gestione

patologica dell’impresa può peraltro – sulla scorta della seconda delle prospettive

appena tratteggiate – condurre ad attivare meccanismi di reazione di fronte ai fatti

illeciti compiuti che potrebbero presentare carichi repressivi di dirompente impatto.

L’applicazione di dette sanzioni, infatti, può produrre conseguenze sul piano delle misure da adottare nei confronti della persona giuridica tali da costituire un ostacolo

insormontabile alla stessa prosecuzione dell’attività imprenditoriale9. Da questo punto

di vista sia forme prolungate di interdizione del divieto di contrattare con la pubblica

amministrazione, che l’interdizione dall’esercizio di un’attività che comporta la revoca ovvero la sospensione delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali allo

svolgimento dell’attività (art. 14, co. 2 d.lgs. n. 231), oppure il commissariamento giudiziale (art. 15 stesso d.lgs.), ma anche rilevanti sanzioni pecuniarie amministrative

(art. 10), per non parlare della confisca (e del sequestro preventivo in sede cautelare)

(art. 19 e 53 d.lgs. n. 231)10 possono costituire forme sanzionatorie tali da decretare, se

mal governate o intempestive, la crisi irreversibile dell’impresa, o, comunque, concorrere alla sua accelerazione. Lo stesso commissariamento, come alcune forme di

interdizione o di misure di prevenzione quali l’amministrazione giudiziaria, tutti evidentemente studiati come strumenti di neutralizzazione del singolo individuo

responsabile di illeciti, secondo una distorta eterogenesi dei fini, potrebbero rivelarsi

ostacoli insormontabili alla prosecuzione dell’attività imprenditoriale determinando, ancora una volta, involontari effetti ‘enticidiari’.

Ora, se è indubbio che la risposta punitiva di fronte a fenomeni criminosi legati

all’attività d’impresa è un passaggio irrinunciabile, è altrettanto vero, però, che occorre

misurare l’incisività, se non proprio la definitività, delle ripercussioni dell’applicazione delle sanzioni alle aziende. Per dirla con Engisch11 «è consigliabile sanzionare l’ente in sede penale quando il costo di tale decisione può riverberarsi inesorabilmente sui terzi

estranei, innocenti, coinvolgendo l’intero indotto riconducibile all’azienda stessa?». Ciò sotto un duplice profilo: prima di tutto sul piano della proporzione tra

mezzi sanzionatori usati ed obiettivi (il più equilibrati possibile) di politica criminale

da raggiungere, in secondo luogo riguardo agli effetti che detti provvedimenti possono

avere sui terzi estranei (in buona fede) alla compagine sociale.

9 Per una riflessione sul punto cfr. APRILE, Gli effetti dell’intervento penale sull’economia delle imprese. Nuovi equilibri tra repressione dei reati e continuità delle attività produttive?, in questa Rivista, 30 novembre 2015. 10 Sul punto, in letteratura, v. AMBROSETTI - MEZZETTI - RONCO, Diritto penale dell’impresa, 4a ed., Bologna,

2016, 77 ss.; DE MAGLIE, Sanzioni pecuniarie e tecniche di controllo dell’impresa. Crisi e innovazioni nel diritto penale statunitense, in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, 88; PIERGALLINI, Sistema sanzionatorio e reati previsti dal codice penale, Dir. pen. e proc., 2001, 1353. 11 ENGISCH, Empfiehlt es sich, die Strafbarkeit der juristischen Person gesetzlich vorzusehen? Referat zum 40. Deutschen Juristentag 1953, in Verhandlungen des 40. Deutschen Juristentages in Hamburg 1953, Bd. II, Sitzungsberichte, E 7, Ständige Deputation des Deutschen Juristentages (Hrsg.).

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Sotto il primo aspetto, occorre considerare, peraltro, che molto spesso si assiste

ad una sorta di ‘sostituzione’ tra le funzioni proprie della pena, in termini di deterrenza e di carico generalpreventivo della sanzione, e le esigenze preventive delle

misure cautelari, con la loro anticipazione applicativa, che tendono a surrogarsi alle

prime con un evidente scambio di finalità. Una sorta di poena naturalis che anche nel

caso delle sanzioni direttamente applicabili all’ente tende a sovrapporre, con diversi presupposti e finalità, gli scopi perseguibili con l’inflizione della sanzione penale tipica,

o genericamente punitivo-amministrativa, mediante strumenti provvisori che tendono,

tuttavia, a cristallizzare gli effetti nocivi della misura e a renderli irreversibili.

Specialmente se applicata in un lasso di tempo troppo prolungato ed in evidente

antitesi con le caratteristiche della cautela che dovrebbe essere momentanea e allo

stesso tempo incisiva.

Sotto altro angolo visuale, va, invece, osservato che la sottoposizione stessa a

processo degli enti produce in via immediata conseguenze per i già citati “terzi innocenti” – come sottolineato più sopra12 – che può avere un’estensione varia, a seconda del tipo di ente o società sottoposta a giudizio, che investono, a vario titolo, i

soci (specialmente – com’è ovvio – quelli di minoranza), i dipendenti, ed in genere i

lavoratori collegati organicamente con la persona giuridica, i creditori sociali, la società

stessa nel suo insieme, e, in una scala di proporzione più vasta ma anche più delicata,

la platea dei risparmiatori sul mercato dei titoli nazionali o internazionali. Ove si tratti

di società emittenti strumenti finanziari quotati. Stesse considerazioni possono farsi

pure per tutte le società coinvolte nell’indotto economico di quella interessata dalle misure, nonché le società poste in collegamento o controllate nel gruppo di quella

sottoposta alle misure del processo penale.

Questo appare, nel tempo presente, come uno degli aspetti più delicati che

possano derivare da un uso distorto dello strumento penale, specialmente se esso

venisse considerato come un mezzo privilegiato di regolazione dei conflitti socio-

economici o di risoluzione delle crisi d’impresa. Anzi, tutt’al contrario, e ciò costituisce un punto focale di tutta la riflessione sugli strumenti di disciplina della crisi d’impresa, può accadere talvolta che il far ricorso al diritto penale, fuori da una valutazione da

extrema ratio che dovrebbe accompagnarsi al ricorso alle sue sanzioni tipiche, potrebbe

paradossalmente costituire una concausa dell’approfondimento stesso della crisi

d’impresa decretandone, appunto, l’estinzione. Qui può aprirsi uno scenario socio-politico criminale cruciale, dal momento che

bisogna interrogarsi sul conflitto che si instaura tra il principio di inderogabilità della

pena e la necessità di preservare l’azienda, anche per impellenti esigenze produttive ed occupazionali, dal possibile avvio dello stato di decozione che occorrerebbe, invece,

scongiurare13. Del resto, di recente, il legislatore è intervenuto sistematicamente a

limitare le procedure eminentemente liquidatorie dell’impresa con altre procedure

12 ENGISCH, Empfiehlt es sich, die Strafbarkeit der juristischen Person gesetzlich vorzusehen? Referat zum 40. Deutschen Juristentag 1953, cit. 13 Da ultimo, sul punto, N. PISANI, Crisi di impresa e diritto penale, Bologna, 2017, 9 ss.

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concorsuali14 che garantiscano la continuità d’impresa, sia individuale che collettiva, esaltando il profilo di salvataggio dell’impresa in caso di sovraindebitamento. Rispondono a queste esigenze i piani attestati di risanamento [art. 67, co. d), l.f.], gli

accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182 bis l.f.), i procedimenti di composizione

della crisi da sovraindebitamento, ma anche le disposizioni degli artt. 182 quinquies e

septies, tutte finalizzate ad incentivare gli strumenti di finanziamento per finalità di

continuità aziendale, il concordato preventivo in genere (art. 160 ss. l.f.)15 e la recente l.

n. 3 del 27 gennaio 2012 sulla crisi individuale da sovraindebitamento16.

È inevitabile, quindi, che le strade della crisi dell’impresa e del diritto penale siano destinate ad intersecarsi17. E tale intersezione va ben governata per riuscire a

garantire, in un difficile equilibrio, le esigenze di giustizia e le istanze dei soggetti

danneggiati dai reati compiuti nell’esercizio illegale e patologico dell’impresa (creditori sociali, stakeholders e risparmiatori in primis), con le altrettanto valide ragioni tese al

salvataggio dell’azienda. Il perdurare sine die (o quasi), peraltro, di misure cautelari

reali nei confronti dell’azienda, primo fra tutti il sequestro, si pone come antecedente della possibile “morte” dell’impresa, che oggi si vuol trasfigurare nell’immagine evocativa dell’«omicidio d’impresa», rectius, nell’ottica qui privilegiata,

dell’“enticidio”.

3. I germi criminogenetici che si annidano nell’«organizzazione dell’irresponsabilità»: deleghe fittizie, frammentazione dei processi decisionali, cultura dell’illegalità da profitto.

Riguardo al primo profilo, la più odiosa delle insidie, è costituita dalla

«organizzazione dell’irresponsabilità»18, che passa attraverso forme intricate di deleghe

e trasferimenti di funzioni, quanto anche per il tramite della frammentazione dei

processi decisionali, che non consentono più agevolmente di ricostruire la filiera esatta

delle responsabilità, anche in sede penale. Di qui, una certa diffidenza manifestata,

pure di recente (v. le disposizioni del T. U. sulla disciplina degli infortuni sui luoghi di

lavoro), da legislatore e giurisprudenza, nei riguardi dell’istituto della delega di funzioni (v., in particolare, le disposizioni degli artt. 16, co. 3 e 17). Un ruolo di fattore

decisivo lo gioca, allo stesso modo, un’accentuata “cultura dell’illegalità da profitto”, che diviene l’obiettivo esclusivo dell’agire imprenditoriale scorretto. Sul punto, in una

14 AA. VV., I presupposti dell’apertura delle procedure concorsuali, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, dir. Da F. VASSALLI - LUISO - GABRIELLI, vol. I, Torino, 2013. 15 Su cui vedi AA. VV., Le altre procedure concorsuali, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, dir. F. VASSALLI - LUISO - GABRIELLI, vol. IV, Torino, 2014. 16 MEZZETTI, Falso in attestazioni o relazioni, in www.archiviopenale.it, 2015. 17 Sul punto cfr. MEZZETTI, Nuovi profili di rilievo penalistico nella crisi d’impresa, in Profili di gestione delle crisi. Il mercato, le imprese, la società, a cura di PATALANO - SANTINI, Padova, 2013, 373 ss. 18 Sul punto si v. la riflessione, sempre attuale, di SCHÜNEMANN, Unternehmenskriminalität und Strafrecht, eine Untersuchung der Verantwortlichkeit der Unternehmen und ihrer Führungskräfte nach geltendem und geplantem Straf- und Ordnungswidrigkeitenrecht, Köln, 1979.

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sorta di sistema schizofrenico di ‘spinte’ e ‘controspinte’ si assiste ad un’inedita dinamica criminogena prodotta anche dall’inanità dei mezzi di contrasto di questa forma di criminalità fatta da delinquenti ‘primari’ che non avvertono il richiamo della sanzione in quanto non recidivi.

Quindi, una seria riflessione passa sul versante delle risposte sanzionatorie e,

specialmente, della loro efficacia.

3.1. (Segue) Il topos della burocratizzazione e della sproporzione degli strumenti di contrasto. Eventuali margini di miglioramento del sistema sanzionatorio.

Tra i topoi che segnano i default d’azienda vanno annoverati infatti anche

strumenti giuridici, la cui applicazione burocratizzata, e sproporzionata rispetto al

raggiungimento degli scopi, spesso amplificata dalla nociva influenza dell’innesco di incontrollate notizie veicolate dal circo mediatico, determinano danni irreparabili non

solo al profilo reputazionale dell’azienda, ma anche riguardo alla sua stessa

permanenza tra i soggetti economici che si posizionano sul mercato.

Quindi, sotto il profilo dell’influenza dei fattori endogeni occupano un posto di primo piano tutti i comportamenti illeciti di mala gestio che possono, però, produrre,

questa volta involontariamente, un macro-evento costituito dall’enticidio della persona giuridica. Una sorta di effetto “aberrante” di condotte illecite mirate a conseguire illeciti profitti ma non l’eliminazione diretta dell’ente stesso. Da quest’ultimo punto di

vista, come anticipato, azioni mirate e di carattere preventivo che intercettino

comportamenti scorretti, costituenti oggetto di evidenti “segnali d’allarme”, dovrebbero ricevere una disciplina rigorosamente finalizzata a prevenire il rischio

reato del tipo di quello che si vuol scongiurare. In tale frangente la regolazione di

procedure legate ad una efficiente applicazione del d.lgs. n. 231 del 2001 può risultare

decisiva, ai sensi pure di quanto disposto dall’art. 30 del t. u. n. 81 del 2008 in materia

di misure antinfortunistiche, ma che presenta una valenza immanente all’intero sistema delle misure precauzionali ante-delictum.

Sotto il diverso profilo dell’ingerenza delle fonti esogene di produzione della crisi irreversibile dell’azienda, i problemi nascono, invece, proprio quando, a fronte di

mere ipotesi di reato, l’impresa si trova a subire provvedimenti che possano comprometterne irreversibilmente la vitalità, fino, si potrebbe dire, ad ucciderla. E ciò

nelle more di un procedimento che, a tacere della presunzione di innocenza, si

potrebbe tranquillamente concludere con formule pienamente liberatorie.

Da un lato vi sono oggettive difficoltà di una prognosi di colpevolezza,

dall’altro vi è la considerevole entità dei danni che l’impresa oggetto del procedimento

penale – e delle imprese e persone ad essa legate – si troveranno sicuramente a

fronteggiare. Il paradosso è che, come vedremo, il “cerimoniere” di questo enticidio, a volte, è proprio lo Stato.

Veniamo al dunque. Nel diritto penale gli strumenti più letali con cui vengono

commessi codesti enticidi appartengono a tre ambiti principali, tre sottosistemi: il d.lgs.

n. 231/2001; le misure di prevenzione e la legge fallimentare.

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4. La prospettiva ‘invertita’: l’incidenza sul problema della sanzionatorietà degli enti dei canali imputativi della responsabilità indicati dal d.lgs. n. 231/2001.

Il sottosistema più attento alla tutela della vitalità aziendale, il d.lgs. n.

231/2001, prevede un ampio ventaglio di sanzioni per la «colpa d’organizzazione»

dell’ente e di misure cautelari che possono incidere in maniera determinante sulla continuazione dell’attività.

Tanto per dare un’idea della latitudine delle sanzioni interdittive, queste possono consistere in: a) l'interdizione dall'esercizio dell'attività; b) la sospensione o la

revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione

dell'illecito; c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per

ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; d) l'esclusione da agevolazioni,

finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi; e) il

divieto di pubblicizzare beni o servizi.

Come misura cautelare è previsto il sequestro, ai sensi dell’art. 53, la cui latitudine sull’oggetto della cautela in termini di ablazione del profitto, lordo o netto in termini di pertinenzialità con la commissione del fatto reato, ha formato oggetto di una

nota pronuncia delle Sezioni unite19, mentre, come misura per l’esecuzione della sanzione amministrativa, è contemplato il commissariamento (artt. 15 e 79), che

rappresenta un momento di cesura netta tra il management sottoposto alla misura e la

gestione dell’impresa. Sanzioni devastanti per la vita di un’impresa. Come si accennava, il decreto sembra nondimeno modulare la scelta delle

sanzioni per tentare di tutelare il patrimonio e la continuità operativa dell’impresa. Infatti stabilisce (art.14.4) che l’interdizione dall’esercizio dell’attività si applica soltanto quando l’irrogazione di altre sanzioni interdittive risulti inadeguata. Nella

disposizione successiva il decreto stabilisce infatti che se sussistono i presupposti per

l'applicazione di una sanzione interdittiva che determina l'interruzione dell'attività

dell'ente, il giudice, in luogo dell'applicazione della sanzione, dispone la prosecuzione

dell'attività dell'ente da parte, appunto, di un commissario per un periodo pari alla

durata della pena interdittiva che sarebbe stata applicata. Tuttavia deve ricorrere

almeno una delle seguenti condizioni: a) l'ente svolge un pubblico servizio o un

servizio di pubblica necessità la cui interruzione può provocare un grave pregiudizio

alla collettività; b) l'interruzione dell'attività dell'ente può provocare, tenuto conto delle

sue dimensioni e delle condizioni economiche del territorio in cui è situato, rilevanti

ripercussioni sull'occupazione. Nella prassi, il commissariamento, così come le altre

misure di amministrazione giudiziaria, stanno incontrando notevoli difficoltà

19 Cass., sez. un., 2 luglio 2008, n. 26654, Impregilo s.p.a. e altre, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, pp. 1750 ss.,

con note di MONGILLO, La confisca del profitto nei confronti dell’ente in cerca d’identità: luci e ombre della recente pronuncia delle Sezioni Unite, ivi, pp. 1758 ss. e LORENZETTO, Sequestro preventivo contra societatem per un valore equivalente al profitto del reato, ivi, pp. 1788 ss.

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applicative, sia per la mancanza di esperienza specifica di detti soggetti nel gestire

aziende che spesso presentano peculiarità operative non facilmente governabili, sia per

la diffidenza che, paradossalmente, circonda in certi ambienti territoriali la gestione

commissariale.

A riprova, quantomeno, dell’attenzione del legislatore al valore della vitalità aziendale, in direzione contraria a quanto fin qui osservato criticamente, si può citare

comunque l’art. 17, che prevede, in sostanza, che le sanzioni interdittive non si applicano se l’ente ha posto in essere condotte riparatorie.

In maniera non dissimile sono regolate le misure cautelari: l’art. 46 limita ai casi di extrema ratio l’applicazione della misura cautelare dell’interdizione dell’attività.

Il dato concreto è che tuttavia l’accertamento dei presupposti per l’applicazione delle misure cautelari, nonostante i tentativi del legislatore (cfr. art. 45) è ben lontano

dall’essere una scienza esatta, gli errori “costano caro” alle imprese che li subiscono e innescano circoli economici e finanziari viziosi.

5. Il ruolo delle misure di prevenzione nel contrasto alla criminalità d’impresa finalizzata al conseguimento di profitti illeciti.

In questo settore il problema principale è la gestione dei beni e delle aziende

sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata20. Di tale gestione se ne occupa

l’amministratore giudiziario21 e al riguardo il codice antimafia, nell’ultima versione approvata (art. 41.1-sexies), stabilisce che la gestione dell’azienda sequestrata deve essere autorizzata dal Tribunale, su relazione dell’amministratore giudiziario (co. 1 stessa disposizione), quando rilevi concrete prospettive di prosecuzione dell’impresa; diversamente si procede alla liquidazione.

Secondo l’osservazione di consolidati dati statistici, la maggior parte delle

imprese “muore”. E questo accade sia per ragioni endogene, poiché molte imprese sopravvivono

grazie al vantaggio competitivo dell’operare nell’illegalità più totale, sia per motivi esogeni, come il blocco dei finanziamenti degli istituti bancari, a cui si aggiungono

problemi burocratici (come la validità di licenze, concessioni, requisite per la

comunicazione antimafia…).

20 V. PIGNATONE, Mafia e corruzione: tra confische, commissariamenti e interdittive, in Dir. pen. cont. – Riv. trim.,

4/2015, 259 ss. 21 Sul punto, di recente, CAPECCHI, La misura di prevenzione patrimoniale dell’amministrazione giudiziaria degli enti e le sue innovative potenzialità, in questa Rivista, 4 ottobre 2017; v., inoltre, VISCONTI, Contro le mafie non solo confisca ma anche “bonifiche” giudiziarie per imprese infiltrate: l’esempio milanese (working paper), in questa Rivista, 20 gennaio 2012; ID., Proposte per recidere il nodo mafie-imprese, ivi, 7 gennaio 2014; ID., Ancora una decisione innovativa del Tribunale di Milano sulla prevenzione antimafia nelle attività imprenditoriali, ivi, 11 luglio

2016; ZUFFADA, Il Tribunale di Milano individua una nuova figura di “colletto bianco pericoloso”: il falso professionista (nella specie, un falso avvocato). Un ulteriore passo delle misure di prevenzione nel contrasto alla criminalità da profitto, ivi, 27 giugno 2016.

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In effetti, l’attuale regolamentazione della sospensione dei rapporti in corso (art. 56, disposizione già prevista dal d.lgs. n. 159 del 2011 e rimasta inalterata, nei suoi

termini essenziali, anche nella recente versione approvata definitivamente dal Senato)

rischia di tradursi in un blocco irreversibile dell’attività dell’azienda, nella morte dell’impresa, con le inevitabili ripercussioni sul fronte economico-finanziario ed

occupazionale.

Proprio per far fronte a questa paralisi dei rapporti economici e finanziari quasi

fisiologica, il legislatore ha introdotto alcune novità, e varie sono le proposte di riforma

sul tappeto in favore delle imprese sequestrate e confiscate sottoposte ad

amministrazione giudiziaria, nonché dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.

5.1. (Segue) Le linee di riforma in materia di misure di prevenzione di recente approvazione.

Con la l. n. 161 del 17 ottobre 201722 in tema di «Modifiche al codice delle leggi

antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate»23, che rivela l’attenzione del legislatore al tema della continuità

dell’operatività aziendale, si tenta di scongiurare il più possibile la morte dell’impresa (l’enticidio) e le sue conseguenze. Al riguardo centrali appaiono le previsioni contenute negli artt. 41-bis e 41-ter del codice antimafia nel nuovo testo approvato, sulla scorta

delle finalità proprie dell’amministrazione giudiziaria contemplata dall’art. 34. Dette disposizioni mirano principalmente alla «valorizzazione», nel segno della continuità

aziendale, delle imprese sequestrate e confiscate, anche facendo ricorso all’inedito strumento della istituzione dei c.d. tavoli provinciali permanenti sulle aziende

sequestrate e confiscate, presso le prefetture-uffici territoriali del Governo. Con un

evidente coinvolgimento del potere politico circa l’individuazione delle strategie di superamento della crisi aziendale.

Peraltro, nella «Relazione sulle disposizioni per una revisione organica del codice antimafia e delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo del 6 settembre 2011, n. 159», approvata dalla Commissione antimafia nella seduta del 22 ottobre 2014, relatrice

l’On. Bindi, si legge24 testualmente che «la Commissione propone un separato testo di

legge che ha ad oggetto la specifica tematica della tutela dei livelli occupazionali all'interno delle aziende in sequestro, nonché le problematiche inerenti l'accesso al

22 Pubblicata in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 258 del 4 novembre 2017. 23 Il provvedimento legislativo, che ha avuto una gestazione abbastanza lunga, è stato approvato dalla

Camera l’11 novembre 2015 (A. S. 2134) e proveniva da varie proposte di legge, come testo unificato: Atto

Camera n. 2786 – proposta di legge: S., appunto, 2134. – Gadda ed altri; proposta di legge d’iniziativa popolare; Garavini ed altri; Vecchio ed altri; Bindi ed altri; Formisano (1039-1138-1189-2580-2737-2786-

2956-B). 24 Da pag. 15 della Relazione.

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credito ed il finanziamento della riorganizzazione delle aziende sottratte alla criminalità»

(c.d.s.).

In particolare gli obiettivi principali indicati nella Relazione sopra citata si

possono sintetizzare nei seguenti punti:

a) prevedere strumenti che consentano all’azienda sequestrata e confiscata dotata di una reale capacità economica di neutralizzare o quantomeno di attutire il venire

meno di volani illeciti, che fino a quel momento avevano garantito ed agevolato la

presenza di quell’azienda sul mercato (es. accesso a liquidità di provenienza illecita, abbattimento dei costi dovuti alla sistematica violazione delle norme in materia fiscale,

tributaria, previdenziale, in tema di sicurezza dei luoghi di lavoro e sull’impiego di manodopera irregolare, e altro ancora);

b) razionalizzare gli strumenti di sostegno. Ad esempio riservare la richiesta di

accesso alle misure solo ove sia approvato dal tribunale il programma di prosecuzione

o ripresa dell’impresa; prevedere che le misure a sostegno delle imprese abbiano durata limitata nel tempo, fino alla destinazione delle aziende; escludere dalle misure

di sostegno i lavoratori portatori di un’autonoma pericolosità sociale; e altro ancora;

c) promuovere l’accesso alla cassa integrazione e alle altre forme di ammortizzatori sociali previste per le aziende sottoposte a procedure concorsuali;

d) promuovere il reimpiego di lavoratori mediante sgravi fiscali ai nuovi datori di

lavoro;

e) incentivare la produzione mediante riduzione dell’aliquota Iva per chi compra dall’azienda sequestrata; f) istituire un fondo di Garanzia per evitare crisi di liquidità.

Nel percorso di riforma, che si può sintetizzare nel mantenimento dei livelli di

occupazione e salvaguardia della produttività aziendale dove possibile, una tappa

fondamentale si è concretizzata con la legge di stabilità 2016, contenente alcune novità

per le attività di competenza degli amministratori giudiziari.

In estrema sintesi, si segnalano i commi 195-198, e si evidenzia in particolare la

costituzione di un fondo per assicurare alle aziende sequestrate e confiscate alla

criminalità organizzata la continuità del credito bancario e l’accesso al medesimo, il sostegno agli investimenti e agli oneri necessari per gli interventi di ristrutturazione

aziendale e le altre misure che promuovono la continuità aziendale. Il tempo dirà se e

come questo fondo potrà salvare le imprese confiscate.

6. Il nuovo cammino intrapreso con la riforma delle procedure concorsuali, con particolare focus su quelle a finalità liquidatoria.

Oltre alle considerazioni in precedenza già proposte, occorre partire sul punto

da un’osservazione preliminare di primaria importanza. La Pubblica amministrazione è senza dubbio uno dei peggiori debitori che le

imprese possano avere. E mentre la Pubblica amministrazione tarda a pagare, sono

invece puntuali le spese che ogni impresa deve fronteggiare quotidianamente:

fornitori, stipendi, adempimenti burocratici vari e tasse (naturalmente). Perciò non

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deve stupire se questa asincronia fra ritardi di pagamenti e puntualità di adempimenti

molto spesso conduca all’insolvenza di imprese che, pochi mesi dopo, avrebbero avuto una (quanto meno) bastevole situazione patrimoniale e reddituale. Ecco una delle

cause che porta all’enticidio delle imprese. Enticidio come risultato del fallimento da mancata riscossione dei crediti maturati: un prodotto paradossale dell’involuzione degli attuali meccanismi burocratico-economici.

A ciò si aggiunga che in base all’art. 7 della legge fallimentare, il pubblico ministero è legittimato a richiedere la dichiarazione di fallimento, indipendentemente

dalla richiesta in tal senso dei creditori, in due casi: 1) quando l'insolvenza risulta nel

corso di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla

latitanza dell'imprenditore, dalla chiusura dei locali dell'impresa, dal trafugamento,

dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell'attivo da parte

dell'imprenditore; 2) quando l'insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dal

giudice che l'abbia rilevata nel corso di un procedimento civile.

Se solo ci si limita al caso del processo penale, è ovvio che tale procedimento

possa concludersi anche in senso assolutorio, con la conseguenza che il pubblico

ministero chiede il fallimento di un’impresa che potrebbe invece continuare a operare e divenire profittevole. Una nuova prospettiva di possibile risoluzione delle crisi di

impresa in modo alternativo allo strumento liquidatorio, strumento che può talvolta

schiudere anche imputazioni di carattere penale per l’operato degli amministratori o imprenditori individuali coinvolti, sembra un modello che il legislatore, di recente,

pensa in parte di implementare con la presentazione del «d.d.l. sui fallimenti»,

approvato molto di recente al Senato, contenente una delega al Governo per la riforma

delle discipline relative alle crisi d’impresa e dell’insolvenza. Il provvedimento legislativo, che nell’ottica dello stesso legislatore dovrebbe costituire una sorta di

“rivoluzione copernicana” in materia di procedure concorsuali, specialmente sul versante di quelle propriamente liquidatorie, persegue l’evidente obiettivo, nel bilanciamento degli interessi contrapposti, di salvaguardare in modo prioritario le

ragioni della continuità d’azienda per la tutela occupazionale e la tenuta sul mercato dell’impresa, con tutto il suo indotto. Alcuni aspetti della novella riguardano, poi, anche la protezione del profilo reputazionale con la scomparsa di quello che viene

definito lo «stigma» di fallito, che può costituire un fattore di accelerazione e

peggioramento della crisi aziendale, che le attuali caratteristiche delle procedure

tendevano, invece, ad esaltare potenziando involontariamente l’effetto di decozione

che portava inevitabilmente al fallimento della società. In sostanza, di non determinare

«lo spreco» (questo il termine che viene letteralmente indicato) di capacità

imprenditoriale nella moderna realtà economica globalizzata cercando di sterilizzare

gli effetti negativi di una prima esperienza imprenditoriale non positiva. Il che conduce

a concedere margini ai non recidivi di recuperabilità della stabilità aziendale.

Le caratteristiche della nuova «liquidazione giudiziale», tesa a scongiurare stati

di decozione irreversibili che possano innescare pure tentativi di recupero che

costituiscano fatti di bancarotta post-fallimentare, si basano sull’introduzione di cc. dd. «meccanismi di allerta». Questi paiono finalizzati ad impedire alle crisi aziendali di

divenire irreversibili, concedendo anche ampio spazio agli strumenti di composizione

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stragiudiziale. Ciò con la palese finalità di consentire le mediazioni tra debitori e

creditori per gestire l’insolvenza e sottrarla a qualsiasi uso dello strumento penale, che

non viene ritenuto il più idoneo né sul piano preventivo, poiché non motivante verso

scelte virtuose, né deterrente, perché intervenendo spesso a “scoppio ritardato” rischia solo di essere un fattore criminogeno di per sé. Ampi poteri, nell’opera di mediazione,

di fatto rafforzati rispetto agli attuali, vengono conferiti al curatore fallimentare, il quali

potrà godere di forme di accesso facilitato a banche dati della P. A., ma anche

promuovere le azioni giudiziali spettanti ai soci eventualmente danneggiati o ai

creditori sociali. Pure a lui sarà affidata la fase di riparto dell’attivo tra i creditori. Il che richiederà anche precise prese di responsabilità da sanzionare adeguatamente in caso

di violazione degli obblighi funzionali primari (primi fra tutti quelli concernenti le

incompatibilità).

Ove l’imprenditore avrà volontariamente attivato l’azione di allerta o si sarà avvalso di altri istituti per la risoluzione concordata della crisi potrà godere di

specifiche «misure premiali» (che si tende sempre più a consolidare in tutto il sistema

penale, come incentivo a varie forme di collaborazione che vengono richieste al

potenziale autore di fatti di reato25) quali la non punibilità dei delitti fallimentari se il

danno patrimoniale risulta di speciale tenuità, la concessione di circostanze attenuanti

per gli altri reati e la riduzione di interessi e sanzioni per debiti fiscali che costituiscano

illeciti perseguibili penalmente.

Come si vede, un sistema per molti aspetti schizofrenico che sovente accelera o

produce irreversibili crisi dell’impresa che provengono indifferentemente da fattori interni o esterni all’azienda, ma con i medesimi, perniciosi effetti.

7. Epilogo.

I punti focali in cui si possa compendiare efficacemente l’analisi compiuta sembrano, realisticamente, riassumibili in quattro differenti versanti che convergono

sull’efficacia della sanzione penale (e non) riguardo all’individuo e alla persona

giuridica: 1 – un sistema preventivo anticrimine che possa da subito intercettare

comportamenti illeciti connotati da forte spinta al conseguimento di un ingiusto

profitto; 2 – un sistema più efficiente e razionale di risocializzazione degli individui inclini

a questo genere di reati, al fine di scongiurarne la recidiva; 3 – una politica seria ed

equilibrata di repressione degli enti che abbiano dato segni evidenti di colpa (grave) di

organizzazione; 4 – misure efficaci di reinserimento socio-economico della persona giuridica.

Primo versante: appare ormai chiaro dall’analisi effettuata che un puro sistema di tipo repressivo di carattere penale non possa efficacemente raggiungere lo scopo di

distogliere gli individui dal commettere reati in questo settore dell’attività economica in quanto intempestivo e a scarso effetto dissuasivo, come dimostra, secondo

25 Sul punto cfr. DONINI, Il delitto riparato. Una disequazione che può trasformare il sistema sanzionatorio, in

Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2/2015, pp. 236-250; MEZZETTI, Prove tecniche del legislatore su una rivisitazione del rapporto autore/vittima in funzione riparatoria o conciliativa, in Cass. pen., 9/2016, pp. 3094 ss.

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consolidate indagini statistiche, il ripetersi senza soluzione di continuità di illeciti

penali nella gestione societaria. Anche perché la complessità e la farraginosità delle

indagini per l’accertamento di fatti a spiccata e complessa connotazione tecnica dilata nel tempo i già lunghi tempi processuali che conducono a pronunce definitive e, per

tale via, tendono a far sostituire le tradizionali sanzioni penali da emettere in sede

esecutiva con un massiccio ricorso a misure cautelari che ne possano anticipare gli

effetti, pur in assenza di accertamenti irrevocabili della responsabilità. Resta, pertanto,

valida la strada di intraprendere percorsi di inibizione dall’intraprendere condotte di mala gestio societaria che siano convintamente riposte nel sistema preventivo di

controlli di tipo amministrativo con il rafforzamento di meccanismi rigorosi di

compliance societaria che possano far emergere da subito situazioni di comportamenti a

rischio-reato.

Secondo versante: si segnala la comparsa di un nuovo tipo di delinquenza, cioè

gli «white-collar crime» che si riferiscono a «financially motivated nonviolent crime committed by business and government professionals». Tali «professionals»

costituiscono una categoria a parte di autori, lontani mille miglia dai ‘tipi’ lombrosiani, anzi invisibili perché già ampiamente socializzati, ed in quanto tali di difficile

collocazione e conseguente trattamento sanzionatorio a finalità risocializzatrice.

Tuttavia ciò non esclude a priori che anche tali soggetti possano essere sottoposti a seri

programmi rieducativi al fine di scongiurare il rischio di recidiva. Su questo versante

pare incisivo di recente il sistema “a doppia tenaglia” costituito dalle misure interdittive e della confisca dei proventi illeciti conseguiti, cui potrebbero aggiungersi

meccanismi di incompatibilità all’esercizio dell’attività imprenditoriale per tempi contingentati.

Terzo versante: quello più ostico da risolvere. Questo per via della mancata

tematizzazione e conseguente risoluzione del profilo attinente ad un’esatta valutazione della colpa di organizzazione che sia teleologicamente connessa con le finalità della

sanzione da infliggere all’ente. La colpa di organizzazione coincide, oppure no, con

una colpa collettiva dei componenti del vertice societario? Se si risponde

negativamente a tale quesito occorre, però, rintracciare margini di rimproverabilità

direttamente imputabili all’ente ed autonomamente irrogabili, oltre la funzione special-

o generalpreventiva che permea la punizione del vertice societario, anche inteso nella

sua totalità.

Quarto versante: dall’aspetto precedente discende pianamente una certa difficoltà a rintracciare modelli di risocializzazione della persona giuridica, perché

questa possa essere ricondotta ad una virtuosa etica degli affari. L’anticipazione degli effetti sanzionatori per il tramite delle misure cautelari (in specie il sequestro ai fini

della confisca) rischia, difatti, di mandare in decozione diretta molte aziende, così come

l’irrogazione di spropositate sanzioni pecuniarie (la vicenda Impregilo docet), prima

ancora che si possa iniziare (e proseguire) un processo di riconversione della politica

d’impresa in senso positivo.

Nel complesso, un vaso di Pandora che si ha ancora molti timori di aprire.