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I. C. “E. D’ARBOREA” VILLANOVA MONTELEONE SCUOLA SECONDARIA I GRADO LABORATORIO DI STORIA CLASSE I B PREISTORIA E STORIA PREISTORIA E STORIA DELLA SARDEGNA DELLA SARDEGNA a cura degli alunni e della prof.ssa Rosella Simonetta

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I. C. “E. D’ARBOREA” VILLANOVA MONTELEONE SCUOLA SECONDARIA I GRADO

LABORATORIO DI STORIA

CLASSE I B

PREISTORIA E STORIA PREISTORIA E STORIA

DELLA SARDEGNADELLA SARDEGNA

a cura degli alunni e della prof.ssa Rosella Simonetta

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anno scolastico 2008/2009 Possiamo suddividere la storia della Sardegna nei seguenti periodi:

PREISTORIA: CIVILTÀ PRENURAGICA Da un periodo imprecisato al II° millennio a. C. CIVILTÀ NURAGICA Dal 1800 a. C. circa fino al VI° sec. a. C. STORIA: DOMINAZIONE CARTAGINESE Dalla seconda metà del VI° sec. a. C. al 215 a. C. DOMINAZIONE ROMANA Dal 215 a. C. al 456 d. C. DOMINAZIONI BARBARE Tra il V° e il X° secolo d. C. PERIODO GIUDICALE Tra il X° e il XIV° secolo d. C. DOMINIO ARAGONESE Secoli XIV° e XV DOMINIO SPAGNOLO Dal secolo XV° al XVII DOMINIO AUSTRIACO Dal 1708 al 1718 REGNO SARDO PIEMONTESE Dal 1718 al 1861

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CIVILTÀ PRENURAGICA

Da un periodo imprecisato al II° millennio a. C. Può essere suddivisa in: ETÀ DELLA PIETRA PALEOLITICO (pietra antica, scheggiata) MESOLITICO (età di mezzo) NEOLITICO (pietra nuova, levigata) NEOLITICO

- antico o inferiore (fino al V millennio a. C.) - Medio (IV mill. a. C.) – Bonu Ighinu - Superiore (o Recente) (fine IV mill. – inizio III mill. a. C.) – S. Michele di Ozieri; Domus de Janas; Monte d’Accoddi ETÀ DEI METALLI ENEOLITICO o CALCOLITICO (rame) – seconda metà del III inizi II mill. a. C. BRONZO ANTICO – II mill. a. C. Aspetti della società prenuragica: Culto dei morti / divinità / animismo (la natura ha uno spirito) Dea Madre / Menhirs (perdas fittas) / Protomi taurine Sacrifici umani (Ispini ‘n goli) Domus de Janas / dolmens/ circoli megalitici

CIVILTCIVILT ÀÀ NURAGICANURAGICA

Dal 1800 a. C. circa fino al VI° sec. a. C.In Sardegna ci sono circa 8000 nuraghi

NURAGHE deriva da NURE (NURRA)= mucchio / cavitàTorre cava

Costruzione a carattere militare circondata da capanne di forma circolareProdotti culturali del periodo nuragico:

BronzettiTombe dei giganti

Pozzi sacri (culto delle acque)

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Nuraghe Palmavera - Alghero

Capanna delle riunioni

Interno del nuraghe

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LA CULTURA DI BONU IGHINU di Caterina Puledda

Il toponimo di Mara di origine preromana è sinonimo di palude o acquitrino. Il pendio su cui sorge il paese fu certamente frequentato in epoca preistorica, come testimonia la presenza nei dintorni di numerosi nuraghi e della grotta di Tomasu. Il materiale rinvenuto attestava l’esatta successione culturale del sito, a partire dalla fase più antica del Neolitico (6000 a.C) sino al periodo nuragico (1000 a.C ), un arco di tempo di oltre 5000 anni. Alla grotta Sa Ucca de su Tintirriolu, La Bocca del Pipistrello, si accede, da una angusta apertura e si entra in una piccola stanza e poi in un cunicolo introduce in una camera più vasta di m 20 x 5/6. Nel vestibolo dietro l’ingresso che veniva chiuso con un grande masso girevole c’erano 5 stile, idoli che rappresentavano degli esseri sotterranei, gli spiriti della caverna. Da questa camera si continua per un tratto pianeggiante per avere poi uno sbalzo di circa 2 metri e un intrico di diramazioni secondarie. Seguendo la galleria principale in mezzo alle stalattiti e stalagmiti si arriva ad un ampio salone a circa 135 metri dall’ingresso. La grotta continua per circa 1km con cunicoli, strettoie e altre stanze e fra strapiombi e carpacci si sente il rumore di un torrente sotterraneo. La grotta fu usata come abitazione nella parte anteriore. Nella grotta si sono rilevati tre strati archeologici: quello più superficiale appartiene alla cultura di MONTE CLARO, il successivo alla CULTURA DI OZIERI e quello più profondo alla CULTURA DI BONU IGHINU. Nella grotta furono trovati vari tipi di vasi e ciotole; lo strato di Bonu Ighinu conteneva oggetti di una di una decina di cm, a stile lacerato. La grotta Filiestru di Mara è a 410 m sul livello del mare ai piedi di una massiccia balza calcarea Miocene. È abbastanza angusta: ci sono circa 60 mq di spazio abitativo per le persone e 180 di spazio utilizzabile per il ricovero del bestiame e usi marginali. Uno spessore di tre metri e mezzo di depositi all’ingresso della grotta ha rivelato il susseguirsi delle diverse culture a partire da quella più antica, la cardiale, al bronzo medio nuragico. La grotta di Filiestru fu abitata per circa 4000 anni, quattro lunghi millenni, in cui si succedettero persone e culture e nell’ultimo periodo, quello Nuragico, fu usata come luogo di sepoltura. Gli scavi nella Bocca del Pipistrello hanno permesso agli studiosi di meglio precisare il periodo di 4 secoli che rappresenta il Neolitico, medio sardo.

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Possiamo delineare le fattezze dell’uomo di Bonu Ighinu grazie ai resti scheletrici ritrovati nella Grotta Rifugio di Oliena. I caratteri fisici della gente che produsse la cultura di Bonu Ighinu attraverso gli undici individui (5 uomini, 3 donne e 3 bambini) sepolti nella Grotta Rifugio di Oliena. Sono i seguenti: dolicomorfi (a testa allungata) con cranio ovoide piuttosto basso e di media lunghezza; hanno conformazione generale robusta e spalle larghe. L’altezza è negli uomini superiore di poco a m 1,61, meno do m 1,50 nelle donne. L’uomo oltre alla caccia, alla raccolta di frutti naturali era ormai dedito all’allevamento del bestiame e cominciava a lavorare la terra in modo sempre più stabile producendo grano, orzo, lenticchie, fave, sulla sua tavola compaiono i pani di grano e di orzo, le focacce, le minestre e il latte. Più rara la carne perché era preminente la necessità dell’allevamento. Su questa base agro-pastorale si delinea la nuova cultura e anche la nuova religione orientata verso il Culto della Dea Madre. Appartengono infatti a questo periodo le statuette di pietra, una ventina, con figure femminili obese, segno di fertilità e abbondanza, propiziatrici della natura prosperosa: l’immagine della grande madre fertile. Sono alte 12 cm e rappresentano una figura in genere eretta con le mani allungate lungo i fianchi fino a toccare le cosce.

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LA CULTURA DI SAN MICHELE

di India M. Buia

La grotta di S. Michele di Ozieri, nei pressi dell’abitato, sprofonda nel calcare per un’ottantina di metri ed è articolata in sale e cunicoli tappezzati di stalattiti, alimentate da piccole gocce d’acqua. In parte distrutta, fu riutilizzata sia come abitazione, sia come luogo di culto e necropoli, a sepoltura ipogea, scavata nella roccia e destinata a tomba collettiva, detta ‘’domus de janas’’ (case di fate). Da questa grotta prende il nome la cosiddetta cultura di ‘’Ozieri’’ o di ‘’ San Michele’’, inquadrata nel neolitico finale in Sardegna, tra il 3.200 e il 2.800 a.C. Gli agricoltori e i pastori di questa cultura vivono in abitazioni a tipologia duplice : in caverna naturale o in raggruppamento elementare su cui forse hanno influito l’ambiente e il modo economico di vivere, ovvero la pastorizia. I materiali ceramici rinvenuti nella grotta sono tecnicamente perfetti, nettamente superiori alle ceramiche di tutte le culture successive, con particolare produzione e decorazione di vasi di pietra a prevalente disegno di semicerchi concentrici. Anche la decorazione ceramica è di tipo orientale, importata dai navigatori e cercatori di rame, colonizzatori della Sardegna e successivamente incrementata dai continui contatti commerciali e culturali coi vari popoli dell’Oriente mediterraneo. Gli scavi, realizzati nel 1914 e nel 1949, portarono alla luce una notevole quantità di reperti. Tra i materiali rinvenuti sono di notevole importanza una pisside finemente decorata con motivi ornamentali a spirale corniformi, di influenza egeo-orientale; un idoletto femminile di tipo cicladico, di piccole dimensioni, di marmo bianco di tipo cruciforme senza il traforo delle braccia e con parte inferiore tondeggiante; vasi in pietra, tra cui un cestello di piccole dimensioni, decorato a bande tratteggiate e riempite di ocra rossa sulla superficie esterna, verso il basso, mentre sulla superficie interna è decorato con motivi a semicerchio, a bande tratteggiate. I

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reperti sono conservati nel Museo Nazionale ‘’G.A. Sanna’’ di Sassari.

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Necropoli di Anghelu Ruju.

di Melissa Manus e Laura Sotgiu

Il complesso tombale prenuragico è situato a 10 km. Da Alghero sulla strada dei due mari per Porto Torres. È una delle più vaste necropoli della Sardegna ed una delle aree archeologiche più importanti del Mediterraneo. La necropoli, nella quale si praticava prevalentemente l’inumazione di popolazione dedite alla pesca e all’agricoltura, è riferibile al neolitico recente ed evidenzia, soprattutto, le diverse fasi della cultura di san Michele. Nelle diverse fasi di utilizzo della necropoli, l’accesso avveniva a calatoia più antica o a dromos più recente. Le protomi taurine di tipo naturalistico, scolpite sulle pareti o sui pilastri, assieme all’ampiezza degli ambienti, indicano una maggiore caratterizzazione di alcune tombe come luoghi di culto. Ad una fase più recente della cultura di san Michele si riferisce la rappresentazione di “corna a barca”.

Grotta verde o dell’altare. Si trova nell’estremità occidentale della Baia di porto-conte nelle vicinanze della più conosciuta grotta di nettuno, dista circa 23 km da Alghero. L’ingresso della grotta si affaccia a 75m. di altezza sul mare. L’interno è costituito da una grande cavità carsica con pareti in calcare del mesozoico e con stalagmiti dalle patine organiche verdi. Un laghetto d’acqua salmastra ricopre diversi ambienti, un tempo asciutti e frequentati dall’uomo preistorico fin dal neolitico antico. Nelle adiacenze del laghetto si trova una parete con alcuni graffiti preistorici. È stata accertata l’utilizzazione della grotta verde, dal neolitico antico sino all’era cristiana, come luogo funerario e di culto.

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La tomba dei vasi tetrapodi di Santu Pedru di Melissa Manus e Laura Sotgiu

E un ipogeo, destinato all’inumazione e al culto dei morti. Si inquadra in una tipologia più tosto diffusa in Sardegna; nel mezzo, presenta un grande vano di disimpegno rettangolare con due pilastri, e, al centro della parete di fondo, una falsa porta. Il vano è circondato 9 celle di dimensioni diverse, da alcune nicchiette ed è preceduto da un’anticello semicircolare. L’accesso è formato da un lungo dromos ascendente orientato a sud. Particolari interessanti sono le riproduzioni di corna taurine, simboleggiantina forza e la vita post mortem, la disposizione a raggiera delle celle e i diversi motivi architettonici che ricordano la dimora dei defunti prima delle morte, come il soffitto, le finestrelle, i pilastri e in definitiva la stessa forma del vano rettangolare. Il monumento ha restituito ben 447 reperti che si riferiscono soprattutto alle culture di san Michele, abealzu-filigosa e campaniforme.

Necropoli S. Andria Priu

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Età paleolitica e neolitica in Sardegna di Melissa Manus e Laura Sotgiu

Le piccole comunità di questa epoca utilizzano le grotte come abitazioni, come luoghi di culto e per deporvi i defunti. Negli oggetti prevale l’utilizzo di materiale litico e della ceramica, che viene impressa con il “cardium” e i cui motivi lineari trovano riscontro nella tecnica vasaria di altri siti del Mediterraneo. Le prime tracce caratteristiche del neolitico antico, sono costituite dalle ceramiche con decorazione impressa. Queste decorazioni erano ottenute imprimendo sulla pasta fresca del vaso il bordo seghettato di una conchiglia marina, il cardium edule (da cui il termine di ceramica “cardiale”) altra decorazione era ottenuta con le punte di un apposito strumento dentellato o con un punteruolo o in altri vari modi. Nel neolitico medio appare un aspetto culturale più progredito, detto di Bonu Ighinu da una grotta nei pressi di Mara. Esso è presente non solo in grotte d’abitazione e sepolcrali ma anche in villaggi all’aperto. Le piccole comunità coltivano grano, orzo, allevano buoi, pecore ed utilizzano utensili litici ed osso. La produzione ceramica, talvolta con sofisticate decorazioni, e fine di fattura e bella di forma; e fra le diverse divinità rappresentate, grande importanza assume la figura della dea-madre. Intorno al 3000 a.C. (neolitico recente) si assiste, in tutta la Sardegna, ad una vera e propria rivoluzione socio-economica, col diffondersi di una cultura unitaria (cultura di san Michele da una rotta di Ozieri), di un’agricoltura evoluta, mentre valenti artigiani costruiscono splendidi monumenti e producono raffinate opere d’arte di gusto mediterraneo. Ora la dea-madre viene rappresentata in statuine litiche e di terracotta ritrovate in tutta l’isola e il dio-toro viene richiamato dalle corna scolpite nelle tombe scavate nella roccia (domus de janas o case delle fate utilizzate per l’inumazione).

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La dea madre veniva rappresentata interamente nuda; di solito la testa cilindroide senza collo e la forme del corpo sono grosse ed imponenti. Di solito solo un leggero solco orizzontale divide il bacino dalle spalle e segna la vita al torace ed uno un po’ più profondo divide le spalle dalla base del collo. Due masse ovoidi leggermente allungate corrispondono alle gambe, da cui non sempre fuoriesce il risalto dei piedi. In genere la figura è eretta. I due seni sono rappresentati come un’ unica lunga massa poco rilevata e le braccia sono distese lungo il corpo, le guance sono talvolta gonfie; gli occhi e la bocca sono resi con semplici tratti orizzontali e del

tutto ignorate sono le orecchie.

La parola è di origine antica bretone e significa “tavola di pietre”. È costruito da una lastra messa di piatto su tre o più messe di taglio che racchiudono uno spazio sottostante. La funzione di questa costruzione è quella di tomba, come per le domus de janas, ma mentre queste erano scavate nella roccia, i dolmen è un monumento che era tutto edificato sopra terra.

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Menhir

In Sardegna sono noti col nome di “perdas fittas” in quanto la loro caratteristica è di

avere forma allungata e di essere state erette sul terreno. Ce ne sono almeno 257.

Sono alti in genere intorno ai metri 3,20 - ma quello di monte Baranta (Santu Pedru) e

alto 10 metri -, e sono fatti di granito, trachite o basalto. La loro funzione era di

punto di riferimento, indicava la prossimità di un villaggio, e a volte si trovano vicino a

luoghi di sepoltura.

(a cura di Aurora Sechi e Gabriele Poddda)

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di Luca Pinna

Nelle domus de janas si trovano delle figure simboliche incise e scolpite (talora anche dipinte di rosso ) sulle pareti, sui pilastri e persino nella facciata esterna degli ipogei. Il simbolo più comune è quello delle corna o della protome (o testa) bovina, interpretata solitamente come simbolo del toro e peciò della divinità maschile. Esso compare in ben 95 ipogei. Si trovano svariati esempi in cui le corna, raffigurate in schema rigido rettangolare ad U (cioè a rettangolo aperto in alto). Sono inserite le une dentro le altre in due, tre o anche quattro copie verticali, che adornano e proteggono uno sportello interno od una falsa porta. Talvolta il segno a rettangolo aperto viene ripetuto senza un ordine preciso, molte volte su una o più parte della cella principale. Nella tomba A di Anghelu Ruju- Alghero si ha il numero più grande di protomi taurine naturalistiche riunite sopra e ai lati di uno sportello. A volte la testa bovina viene schematizzata in uno o più triangoli ma si hanno anche stilizzazioni costituite da una forma ogivale, cioè da una specie di V convessa.

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Le tombe ipogeiche di Roberto Tanca

Questo culto dei morti era così sentito che possiamo attribuire per gran parte alla cultura di San Michele più di un migliaio di Domus de Janas, cioé quelle tombe di cui abbiamo già in parte fatto cenno perché un certo numero di esse presenta la riproduzione di elementi dell’ architettura domestica. Vengono chiamate anche domos de sa fatas, che come l’altra denominazione popolare significa “case di fate” o “case delle streghe”. In altre zone dell’ Isola, a secondo che ci si riferisca all’ uno all’ altro aspetto.

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LE DOMUS DE JANAS di Tommaso Tanca

I sepolcri ipogeici, chiamati in sardo “domus de janas” (case delle fate), sono più di mille, diffusi su tutto il territorio: si tratta di vere e proprie grotte artificiali scavate nella roccia,utilizzate come tombe collettive. Alcune hanno un unico semplice vano, altre hanno struttura completa con più stanze collegate fra loro. Si trovano isolate, ma spesso sono riunite in necropoli come quella di S. Andrea Priu, nei dintorni di Bonorva (ss), di Anghelu Rujiu, presso Alghero (ss), di Pani Loriga, presso Santadi (CA). Sulle pareti interne di alcune domus de janas, gli uomini di Ozieri riprodussero, scolpendoli nella roccia, elementi architettonici delle loro cose e gli oggetti quotidiani della loro vita: così ancora oggi sono visibili dettagli di tetti, barche, porte finite,banconi e letti, quasi a simboleggiare la morte. Talvolta scolpita sulle pareti interne delle tombe, compaiono teste e corna taurine, oppure enigmatici cerchielli: sono i simboli del Dio Padre e della Dea Madre, i simboli dell’elemento maschile e quello femminile, le due forze cosmiche generatrici di vita. Negli ipogei funerari di Domus de Janas sono presenti anche altri elementi del culto che poco o nulla hanno a che fare con l’arte: cioè le fossette e le coppelle incise con il picco di pietre sul pavimento di qualche cella.

In un ipogeo (Orgosolo) compare un focolare scolpito nella roccia in forma di bacile, per il quale perciò non sarebbe neanche da escludere una funzione di civiltà per ricevere offerte in liquido (libagioni) e solide (viatico e resti di pasto rituale) in propiziane dello spirito dei defunti.

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LE TOMBE DEI GIGANTI di Veronica Podda

CHE COSA SONO LE TOMBE DEI GIGANTI ED I BETILI

Sono chiamate tombe dei giganti, le tombe collettive megalitiche. Sono probabilmente un’ evoluzione dei dolmen, e sono tanto grandi che è ritenuto potessero servire a tumulare uomini giganteschi. Si ritiene che le tombe dei giganti siano state edificate nel periodo nuragico. Sono costruzioni di massi a forma di corridoio solitamente rettangolare molto allungato, chiuso sul fondo da un’abside. Nel corridoio, ai lati, venivano disposte allineate le salme. Lo spazio antistante riservato ai riti funebri viene chiamato esedra ed è delimitato da una serie di lastre di pietra affiancate orizzontalmente ed infisse nel terreno, disposte a semicerchio a forma di corna taurine. La pietra centrale del semicerchio, detta stele,. È molto più grande delle altre e possiede una piccola apertura che simula l’ingresso di un’abitazione, mentre l’estremità della tomba opposta alla stele, cioè l’abside, è spesso realizzata con pietre disposte a semicerchio l’una sull’altra ed accuratamente lavorate.

LE TOMBE DEI GIGANTI Le tombe dei giganti sono monumenti funerari caratteristici della civiltà nuragica, una civiltà nata in Sardegna nella prima età del Bronzo, nasce intorno al secondo millennio a.C. e si prolunga fino al secondo secolo d.C. nella sua esistenza questa civiltà viene in contratto ed è influenzata da altre culture estranee all’isola come quella fenicia, punica e romana. Attualmente le tombe dei Giganti conosciute sono circa 321.

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La pietra usata è il basalto, che nel territorio è facile da rinvenire. Spesso di fronte alla facciata della tomba dei giganti è presente un piccolo menhir, chiamato in sardo betile. I betili, simboli facili di fertilità, sono simili a piccoli coni di pietra sui quali talvolta sono scolpite piccole mammelle o due occhi: i betili mammellari simboleggiano l’unione della divinità maschile e quella femminile per riaccendere la vita dei defunti, i betili con occhi rappresentano delle divinità a protezione dei defunti. I morti comunque prima di essere deposti in queste tombe venivano ridotti allo stato di scheletro; questo si sa grazie ad alcune ossa rinvenute sulle quali possiamo trovare delle incisioni come delle raschiature. Queste tombe rappresentavano il punto di contatto dei vivi con gli antenati. I defunti venivano deposti attraverso un rito secondario, per il portello, nella lunga camera sepolcrale ricoperta del tumulo. Si crede anche che queste tombe non venissero aperte alla morte di ogni componente del villaggio ma bensì bisogna raggiungere un certo numero di morti prima di decidere di cominciare il rituale.

TOMBE DEI GIGANTI E BETILI NURAGICI DI TAMULI

Il complesso tombale è costituito da due sepolcri e sei betili. Le due tombe anche se diroccate, propagano la tipica pianta a forma di protome taurina. Il sepolcro più vicino al nuraghe è ciò che rimane di un esedra anteriore circolare.

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di Aurora S. Sechi

Le tombe dei giganti non sono le uniche vestigia che testimoniano lo spirito religioso della civiltà nuragica, i pozzi sacri e le fonti sacre sono altrettanto significativi e testimoniano la grande importanza data alle sorgenti d’acqua, risorsa essenziale e di primaria importanza per la vita su ogni isola.

Erano delle strutture destinate al culto delle acque e risalgono all’età del bronzo. La loro costruzione si ispira agli stessi principi architettonici del nuraghe con la parte più importante del tempio costituita da un ambiente circolare con volta a THOLOS, nella quale veniva realizzato un foro nella parte più alta. A differenza dei nuraghi e delle fonti sacre l’architettura era prevalentemente ipogea, e la sua principale funzione era quella di raccogliere l’acqua che sgorgava dalla sorgente considerata sacra. Una scala monumentale collegava questo spazio all’ ATRIUM del tempio stesso, situato a livello del suolo. Nella struttura fuori terra si trovano, addossati lungo i muri perimetrali, dei banchi di pietra sui quali venivano deposte le offerte e gli oggetti di culto. In alcuni siti sono stati trovati degli altari sacrificali e si è ormai certi che tutto l’insieme architettonico fu concepito per celebrare particolari riti propri del misterioso culto dell’acqua sacra. I templi più datati furono costruiti alla maniera dei nuraghi e con blocchi di pietra non perfettamente squadrati. Ma con il passare del tempo, furono edificati con tecnica più raffinata e con grande accuratezza nella lavorazione,fino a raggiungere una perfezione e precisione stupefacenti.

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I templi dell’acqua sacra, edificati attorno alle sorgenti, costituivano un luogo di pellegrinaggio e di cerimonie. La cura con la quale sono stati edificati dimostra la notevole importanza che veniva loro attribuita e non è un caso se la loro funzione religiosa si è tramandata sino all’avvento del cristianesimo. I templi di Santa Cristina (Paulilatino) e di Santa Vittoria (Serri) costituiscono ancora oggi luoghi di pellegrinaggio. Nei giorni di festa, i fedeli non esitano a percorrere lunghi tragitti per partecipare alle funzioni religiose. Queste cerimonie si svolgono in maniera più o meno identica sin dalla notte dei tempi e sono sempre seguite da danze collettive, canti e immancabili banchetti.

Gli scavi archeologici hanno permesso di scoprire, nelle immediate vicinanze di molti templi dell’acqua sacra, numerose abitazioni. Queste casette dalla struttura, non si discostano molto dalle abitazioni (cumbessias) che generalmente si trovavano attigue alle innumerevoli chiesette sparse ovunque nella campagna sarda. Secondo uno dei più grandi studiosi del mondo nuragico, il prof. Giovanni Lilliu, i templi come quello di Santa Vittoria erano considerati terra di nessuno, luoghi dove regnava una tregua tra le tribù nuragiche. Secondo alcuni studiosi, i pozzi sacri furono costruiti seguendo un particolare orientamento astronomico. Secondo questa affascinante ipotesi, la luna nella sua massima declinazione (ogni 18 anni e mezzo) si specchierebbe esattamente dentro il pozzo attraverso il foro del THOLOS. Si suppone che i riti periodicamente celebrati nei templi dell’acqua sacra,erano collegati alla fertilità della Dea Madre terrestre invocando anche l’intercessione della Luna considerata la Dea Madre celeste.

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LA CIVILTA’ NURAGICA di Alessandro Dettori

La civiltà nuragica durò circa un millennio, fino alla conquista cartaginese dell’isola, e si presenta come una delle più importanti civiltà del Mediterraneo, opera di abilissimi costruttori. Essa prende il nome dalle caratteristiche costruzioni megalitiche dalla forma di torre tronco-conica nel cui interno si trova un vano circolare con volta ogivale o falsa cupola ottenuta dal restringersi progressivo dei filari della muratura. I nuraghi sono costruiti da una torre centrale circondata da muri di difesa e scalinate di accesso alla terrazza; essi si trovano all’interno di perimetri più ampi nei quali si svolge la vita del villaggio dove sono ubicate le capanne. I nuraghi avevano funzione di controllo del territorio. Le genti nuragiche costruivano villaggi abitazioni che ospitavano di media 4 persone. La vita si svolge all’esterno delle capanne che erano usate come riparo e per trascorrervi la notte. Erano costituite da un unico vano di pietra di forma circolare, il tetto era formato di frasche sorrette da travi a raggiera (rotondi) e si trovavano intorno ai nuraghi. Nel villaggio nuragico si trova sempre la capanna delle riunioni, con focolare centrale, utilizzato come luogo per prendere decisioni importanti sulla vita quotidiana. La più importante testimonianza della civiltà sarda che si è sviluppata a partire dal secondo millennio a.C., è rappresentata dai nuraghi. Anche il visitatore più frettoloso non può fare a meno di notare questi monumenti che adornano le pianure o le sommità delle colline in tutta l’isola e costituiscono quasi il simbolo stesso della Sardegna.

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La civiltà nuragica abbraccia l’età del ferro, cioè un arco di tempo che dal 1800 arriva sino al 238 a.C . All’interno di questo lungo periodo di tempo gli studiosi distinguono fasi diverse. La torre nuragica, dapprima isolata e costituita da una costruzione semplice, tende a diventare, intorno al 1200, un nuraghe complesso che assume l’aspetto di un vero e proprio castello. Gli studiosi ritengono che questa forma di nuraghe-castello sia dovuto a necessità di difesa e che perciò sia da attribuirsi ai conflitti fra le varie tribù o forse dai pastori della montagna e i contadini della pianura.

Navicella in bronzo

Villaggi nuragici Serra Orrios e S. Vittoria Serri

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LE TOMBE A CIRCOLO di Gabriele Podda

La necropoli di “LI MURI “ si trova a breve distanza dalla tomba di “LI LOLGHI “. È composta da 5 tombe a forma di circolo il cui diametro da m. 8 a m. 5 e rappresenta un tipo di architettura funeraria megalitica che è comune a tutto l’Occidente Europeo. Le tombe hanno una cassetta centrale e stele ed ospitavano il defunto con il corredo funerario. La cassetta centrale, di forma rettangolare è circondata, lungo tutta la circonferenza da pietre infisse che sostenevano il cumulo di terra. Tra le tombe si trovano piccoli recinti o ciste quadrangolari nelle quali venivano deposte le offerte votive. I reperti (collane di pietra, accette in selce, coppette in steatite) fanno risalire la necropoli al Neo-eneolitico (circa 2500 a.c).

I circoli

Le tombe del tipo “a circolo“ furono edificate solo in una ristretta area dell’isola, cioè nelle campagne di Arzachena (SS) in zona di LI MURI. I circoli sono fatti in questo modo: un certo numero di pietre, fitte verticalmente nel terreno, delimitano un’area al centro della quale, in alcuni casi, ma non in tutti, sta una casetta di pietra di forma quadrangolare, secondo Giovanni Lilliu, il padre dell’archeologia sarda, il defunto era collocato all’interno del circolo perché le sue membra fossero scarnificate dall’azione degli agenti atmosferici; una volta scarnificate, le ossa del defunto erano deposte all’interno della casetta collocata all’interno del circolo. La presenza dei circoli nella sola area di Arzachena, aveva portato gli archeologi a ritenere che fossero espressioni di un’altra cultura diversa dalla cultura di Ozieri, chiamata cultura dei circoli. Oggi gli archeologi ritengono i circoli di LI MURI siano stati edificati da uomini di cultura Ozieri: non devono stupire le diversità locali all’interno di un unico

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contesto culturale anzi, sono un segno della complessità e della vitalità delle antiche civiltà sarde.

La religiosità Il ciclo alternarsi della vita e della morte, la nascita di una nuova vita come risultato dell’unione dell’elemento maschile e di quello femminile stavano alla radice della religiosità di quegli uomini, infatti la divinità dio-padre e dea-madre erano diffusamente rappresentate attraverso i simboli delle corna taurine e dei cerchielli all’interno delle domus de janas oppure in maniera più evidente attraverso i menhir.