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Fondata a Pola il 29.07.1945 – Mensile di attualità, storia e cultura giuliano-dalmata – Organo dell’Associazione Italiani di Pola e Istria - Libero Comune di Pola in Esilio Direttore responsabile: Viviana Facchinetti – Redazione: Via Malaspina 1, 34147 Trieste – Cell. (0039) 388 8580593 [email protected] - www.arenadipola.it Quote associative annuali: Italia ed Europa € 35,00, Americhe € 40,00, Australia € 40,00, da versare sul conto corrente postale n. 38407722 intestato a L’Arena di Pola, Via Malaspina 1, 34147 Trieste, o tramite bonifico bancario intestato a Libero Comune di Pola in Esilio, Via Malaspina 1, 34147 Trieste; IBAN dell’UniCredit Agenzia Milano P.le Loreto IT 51 I 02008 01622 000010056393; codice BIC UNCRITM1222 – Le copie non recapitate vanno restituite al CPO di Trieste per la restituzione al mittente previo pagamento resi L’ARENA DI POLA – Registrata presso il Tribunale di Trieste n. 1.061 del 21.12.2002 Anno LXXVI 3.440 – Mensile n. 4 del 30 APRILE 2020 TAXE PERÇUE TRIESTE TASSA RISCOSSA ITALY Iniziativa realizzata con il contributo del Governo italiano ai sensi della Legge 72/2001 e successive proroghe POSTE ITALIANE SPA spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46), art. 1, comma 2, DCB Trieste Sperando in un nuovo domani I concerti virtuali di Toni Concina PAGINA 2 Sul sentiero Beato Francesco Bonifacio PAGINA 10 Dendi l'enigmista che conquista PAGINA 11 Pasqua con pinze uova e... PAGINA 12 ... in questo numero Quarantena e riflessioni A ncora una volta, la storia subìta si è in- crociata con la storia appresa, avvolta nella cronaca dell’evento che, di anno in anno, si ripete, per onorare la memoria di tutti coloro che, 75 anni fa, furono martiri di un’im- mane tragedia collettiva; nell’auspicio comune che il male non prevalga e non si ripeta. In for- za delle disposizioni di legge attinenti all'attuale emergenza da Covid-19, quest'anno però la ri- correnza del 25 aprile è stata celebrata alla Ri- siera di San Sabba a Trieste in un'atmosfera quasi surreale, con la presenza limitata esclu- sivamente alle sole Autorità istituzionali, rap- presentate dal Sindaco di Trieste Roberto Di- piazza assieme ai Sindaci dei Comuni di Duino Aurisina, Monrupino, Muggia, San Dorligo della Valle-Dolina e Sgonico, dal Prefetto di Trieste Valerio Valenti, dal Governatore della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga, da sei rappresentanti del Comitato per la Difesa dei Valori della Resistenza e da un rappresentante della Comunità Slovena. A completare la cerimonia c'è stata la deposizio- ne di una corona, in omaggio ai Caduti della Resistenza, cui è seguita la lettura di un breve messaggio condiviso da tutti i Sindaci, sia in italiano che in sloveno. Luogo di culto e della memoria, la Risiera di San Sabba è in qualche modo raccordo fra due periodi di atroce oscurantismo del secolo bre- ve: fabbrica di orrori nazisti negli ultimi anni del conflitto mondiale, a guerra finita divenne il pri- mo rifugio per i profughi istriani, in fuga dagli orrori perpetrati da Tito nelle loro terre. (VF) 28 aprile 2004 - 2020 Il Giorno del Ricordo ha 16 anni L' istituzione del «Giorno del ricordo» in memoria delle vittime delle foibe, dell'esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orien- tale e concessione di riconoscimento ai congiunti degli infoibati, compare nella Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 86 di martedì 13 apri- le 2004, riportando in calce: La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Rac- colta ufficiale degli atti normativi della Repubblica Italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Sta- to. Data a Roma, addì 30 marzo 2004 CIAMPI Visto, il Guardasigilli: Castelli Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri Il provvedimento entrò in vigore il successivo mercoledì 28 aprile. È di nuovo aprile. Sono trascorsi 16 anni dalla significativa data della pro- mulgazione da parte del Presidente della Repubblica della Legge n. 92, che ha segnato una svolta nel sofferto percorso delle genti giuliano-dal- mate, per troppo tempo rimasto in attesa di riconoscimento e di dignitosa classificazione nella storia. Quel giorno si raggiungeva un traguardo nell'iter complesso, iniziato con la prima proposta di legge relativa alla "Concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati" presentata alla Camera dei Deputati l'11 luglio 1995. Come più volte sottolineato da qualificati relatori, fra le finalità fondamen- tali del Giorno del Ricordo c'è quella diretta alle giovani generazioni, per far loro conoscere la verità storica, per sviluppare un rapporto sereno con il territorio delle radici, su cui vivono o che i loro familiari dovettero un gior- no lasciare; devono comprendere a fondo le brutture di una guerra e delle dittature, che hanno trasformato genti, avvinte da secoli alla propria terra, in un popolo in esilio. Puntuale e beneaccolto, ci è arrivato da Londra il disegno augurale realizzato per Pasqua dalla nostra affezionata socia Silvia Sizzi. Sempre attiva e partecipe ad iniziative collegate alla sua Pola ed alle vicende dell'esodo, nella dolcezza delle sue immagini ci piace anche ritrovare la sua romantica disponibilità a regalarci il prezioso valore della sua memoria storica. Fra Pasqua e virus anniversari e attesa

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Fondata a Pola il 29.07.1945 – Mensile di attualità, storia e cultura giuliano-dalmata – Organo dell’Associazione Italiani di Pola e Istria - Libero Comune di Pola in EsilioDirettore responsabile: Viviana Facchinetti – Redazione: Via Malaspina 1, 34147 Trieste – Cell. (0039) 388 8580593 – [email protected] - www.arenadipola.itQuote associative annuali: Italia ed Europa € 35,00, Americhe € 40,00, Australia € 40,00, da versare sul conto corrente postale n. 38407722 intestato a L’Arena di Pola,

Via Malaspina 1, 34147 Trieste, o tramite bonifico bancario intestato a Libero Comune di Pola in Esilio, Via Malaspina 1, 34147 Trieste; IBAN dell’UniCredit Agenzia Milano P.le LoretoIT 51 I 02008 01622 000010056393; codice BIC UNCRITM1222 – Le copie non recapitate vanno restituite al CPO di Trieste per la restituzione al mittente previo pagamento resi

L’ARENA DI POLA – Registrata presso il Tribunale di Trieste n. 1.061 del 21.12.2002 Anno LXXVI 3.440 – Mensile n. 4 del 30 APRILE 2020

TAXE PERÇUE TRIESTE

TASSA RISCOSSA ITALY

Iniziativa realizzatacon il contributo del Governo italiano

ai sensi della Legge 72/2001 e successive proroghe

POSTE ITALIANE SPAspedizione in abbonamento postale

D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004n° 46), art. 1, comma 2, DCB Trieste

Sperando in un nuovo domani

I concerti virtualidi Toni Concina

PAGINA 2

Sul sentiero Beato Francesco Bonifacio

PAGINA 10

Dendi l'enigmistache conquista

PAGINA 11

Pasqua conpinze uova e...

PAGINA 12

... in questo numero

Quarantena e riflessioni

Ancora una volta, la storia subìta si è in-crociata con la storia appresa, avvolta nella cronaca dell’evento che, di anno in

anno, si ripete, per onorare la memoria di tutti coloro che, 75 anni fa, furono martiri di un’im-mane tragedia collettiva; nell’auspicio comune che il male non prevalga e non si ripeta. In for-za delle disposizioni di legge attinenti all'attuale emergenza da Covid-19, quest'anno però la ri-correnza del 25 aprile è stata celebrata alla Ri-siera di San Sabba a Trieste in un'atmosfera quasi surreale, con la presenza limitata esclu-sivamente alle sole Autorità istituzionali, rap-presentate dal Sindaco di Trieste Roberto Di-piazza assieme ai Sindaci dei Comuni di Duino Aurisina, Monrupino, Muggia, San Dorligo della Valle-Dolina e Sgonico, dal Prefetto di Trieste

Valerio Valenti, dal Governatore della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga, da sei rappresentanti del Comitato per la Difesa dei Valori della Resistenza e da un rappresentante della Comunità Slovena. A completare la cerimonia c'è stata la deposizio-ne di una corona, in omaggio ai Caduti della Resistenza, cui è seguita la lettura di un breve messaggio condiviso da tutti i Sindaci, sia in italiano che in sloveno.Luogo di culto e della memoria, la Risiera di San Sabba è in qualche modo raccordo fra due periodi di atroce oscurantismo del secolo bre-ve: fabbrica di orrori nazisti negli ultimi anni del conflitto mondiale, a guerra finita divenne il pri-mo rifugio per i profughi istriani, in fuga dagli orrori perpetrati da Tito nelle loro terre. (VF)

28 aprile 2004 - 2020Il Giorno del Ricordo ha 16 anni

L'istituzione del «Giorno del ricordo» in memoria delle vittime delle foibe, dell'esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orien-tale e concessione di riconoscimento ai congiunti degli infoibati,

compare nella Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 86 di martedì 13 apri-le 2004, riportando in calce:La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Rac-colta ufficiale degli atti normativi della Repubblica Italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Sta-to. Data a Roma, addì 30 marzo 2004 CIAMPI Visto, il Guardasigilli: Castelli Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri Il provvedimento entrò in vigore il successivo mercoledì 28 aprile. È di nuovo aprile. Sono trascorsi 16 anni dalla significativa data della pro-mulgazione da parte del Presidente della Repubblica della Legge n. 92, che ha segnato una svolta nel sofferto percorso delle genti giuliano-dal-mate, per troppo tempo rimasto in attesa di riconoscimento e di dignitosa classificazione nella storia. Quel giorno si raggiungeva un traguardo nell'iter complesso, iniziato con la prima proposta di legge relativa alla "Concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati" presentata alla Camera dei Deputati l'11 luglio 1995.Come più volte sottolineato da qualificati relatori, fra le finalità fondamen-tali del Giorno del Ricordo c'è quella diretta alle giovani generazioni, per far loro conoscere la verità storica, per sviluppare un rapporto sereno con il territorio delle radici, su cui vivono o che i loro familiari dovettero un gior-no lasciare; devono comprendere a fondo le brutture di una guerra e delle dittature, che hanno trasformato genti, avvinte da secoli alla propria terra, in un popolo in esilio.

Puntuale e beneaccolto, ci è arrivato da Londra il disegno augurale realizzato per Pasqua dalla nostra affezionata socia Silvia Sizzi. Sempre attiva e partecipe ad iniziative collegate alla sua Pola ed alle vicende dell'esodo, nella dolcezza delle sue immagini ci piace anche ritrovare la sua romantica disponibilità a regalarci il prezioso valore della sua memoria storica.

Fra Pasqua e virusanniversari e attesa

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2 L’ARENA DI POLA n. 4 del 30 APRILE 2020

Spettabile Redazione,nella puntata del programma "L'eredità" andata in onda il 22 marzo 2020, è stata posta la seguente do-manda nella parte finale (Il duello): "Quale penisola serbo-croata è stata annessa dall'Italia dopo la Prima guerra mondiale?". La risposta data come corretta è stata "Istria".L'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, la più antica e rappresentativa tra le associazioni dei 350.000 esuli istriani, fiumani e dalmati costretti all'esilio dopo aver subito il martirio delle foibe e l'annessione alla Jugoslavia del dittatore comunista Josip Broz "Tito" delle terre dell'Adriatico orientale in cui vivevano radicati da secoli, vi segnala che l'Istria non era una penisola "serbo-croata", bensì italiana. Non solo con-siderazioni di carattere geografico ed orografico affermano l'appartenenza dell'Istria alla regione italica, ma anche lingua, cultura e tradizioni di questa provincia, così come di Trieste, Gorizia, Fiume e Zara, attestavano la presenza di una comunità italiana autoctona, ma rimasta sotto il dominio dell'Impero Austro-Ungarico al termine del Ri-sorgimento italiano, essendo stata annessa al Regno d'Italia solamente dopo la Prima guerra mondiale, che per tanti patrioti istriani, fiumani e dalmati fu combattuta come una Quarta guerra d'indipendenza.Chiediamo cortesemente che venga fatta una rettifica nella prossima puntata del pro-gramma "L'Eredità", per rispetto dei soldati italiani e dei volontari istriani che persero la vita onorando il Tricolore italiano nella Prima guerra mondiale, nonché nello spirito della Legge istitutiva del Giorno del Ricordo (L. 92 del 30/03/2004), grazie alla quale ogni 10 febbraio si ricordano le atrocità titine, le migliaia di civili e militari morti nelle foibe e nei campi di concentramento jugoslavi e l'esodo degli istriani in tutto il mondo.Ringraziando anticipatamente per l'attenzione che vorrete dedicarci, inviamo distinti saluti

Lorenzo Salimbeni Ufficio Stampa ANVGD

L'ATTUALITÀ

Mentre si inserisce nell'avvicendarsi di splendidi tramonti, la dolcezza della primavera - che co-munque imperterrita si è presentata ad avvol-

gere questo strano periodo d'ombra di forzata clausura - di giorno in giorno è avvalorata dalle magiche note del pianoforte di Toni Concina, ideatore di un omaggio in musica agli amici, che lui quotidianamente racco-glie, sempre più numerosi ed antusiasti, in un virtuale angolo di piano bar. È un appuntamento atteso quello ideato da Concina, inizialmente dedicato ad una stret-ta cerchia di amici suoi coetanei, per alleggerire in una decina di minuti le ore di quotidiana quarantena, fissando sul pentagramma ricordi e momenti vissuti. Abbiamo voluto parlarne con lui, ripassando anche le tappe salienti del suo intenso percorso di vita, iniziato nel 1938 a Zara, da cui la sua famiglia dovette stac-carsi cinque anni dopo, a causa dei bombardamenti. “Una famiglia composita la mia, – ci spiega il nostro interlocutore – ramo paterno in Dalmazia fin dagli inizi dell'800, quello materno riuniva origini montenegrine, austriache ed italiane.” Dopo aver attraversato l'Adria-

tico e una breve sosta nelle Marche, la destinazione de-finitiva divenne Orvieto, la base da cui Toni Concina si è staccato per frequentare la Nunziatella a Napoli e per incontrare un po' tutto il mondo, in scia alla laurea italia-

na in giurisprudenza e quella americana alla Harvard Academy. Di Orvieto per alcuni anni è stato anche il sindaco, mantenendo però sempre un legame affettivo con la terra d'origine, come del resto lo aveva fatto suo padre, operativo nell'ANVGD. A riprova del suo rappor-to con Zara, sottolinea la sua attività ed il suo incarico di vicesindaco nell'ambito dell'ADIM – LCZE. In tutto questo si inserisce da sempre la passione per la musi-ca, che ha costellato di successi la sua vita. “Mai stata una carriera, solo un percorso” – precisa. Ma di impor-tanti soddisfazioni ed apprezzamenti da parte di grandi nomi, aggiungiamo noi. Ne è prova il servizio che la Rai ha dedicato a quest'ultima esperienza, in cui via whatsapp Fiorello cantava “Il cielo in una stanza”, che Concina eseguiva al piano.

Viviana Facchinetti

Lo svarione storico geografico RAI sull'IstriaCome avevamo dato notizia nello

scorso numero, gli autori del pro-gramma televisivo L'Eredità erano

incorsi in un vistoso errore nella collocazio-ne storico geografica della penisola istria-na. Numerose sono state le segnalazioni di protesta indirizzate all'emittente. Fra esse, quella inviata da Lorenzo Salimbeni, re-sponsabile dell'Ufficio Stampa dell'Asso-ciazione Nazionale Venezia Giulia e Dal-mazia – qui di seguito riportata - analoga-mente a quanto fatto dai dirigenti del soda-lizio e da quelli di altre associazioni di esuli istriani, fiumani e dalmati, oltre che da esuli stessi. A detta lettera è seguita la risposta della redazione de "L'Eredità" pervenuta il 3 aprile 2020. Copia di entrambe le missive sono più avanti pubblicate.Mentre risulta senz'altro apprezzabile la ri-sposta giustificativa, spontanea esce qual-che riflessione in merito alla firma prodotta in calce alla stessa, rapportata ad una non ben identificata Redazio-ne, priva del nominativo di un responsabile. Salimbeni si è rivolto alla Redazione, firmandosi; perchè non ha fatto

altrettanto l'estensore della risposta? Sicuramente si sa-rà trattato di un involontario disguido, perchè di nomi con relative qualifiche, nel sito di presentazione della Banijay Italia S.p.A se ne leggono tantissimi, come dai passaggi

estratti qui di seguito riportati:(…)Banijay opera in oltre 16 territori con 60 di-verse società occupandosi di produzione, creazione e distribuzione di contenuti spa-ziando in tutti i generi di intrattenimento, drama, game show, factual, reality, docu-drama, kids, fiction, attualità e approfondi-mento.(...)Paolo Bassetti Chairman & Ceo, Fabrizio Ievolella Ceo Banijay Italia, Stefano Torrisi Executive Vice President, Danila Battaglini Chief Operating Officer, Leopoldo Gaspa-rotto Head Of Programmes, Francesco Lauber Chief Creative Officer, Isabella L’ac-qua Chief Financial Officer, Daniela Buon-vino Head Of Production Roma, Danilo Bo-ve Head Of Digital & Brand Solutions, Silvia Gandolfi Head Of Artistic Resources & Ca-sting, Sara Testino Head Of Human Re-

sources, Nicole Plaidit Production Supervisor, Angelo Fabbrocini Business Affairs, Gian Massimo Barbaria Bu-siness Affairs.

Viviana Facchinetti

Gentile Sig. Salimbeni,rispondiamo volentieri alla sua mail. Noi siamo sem-pre molto attenti, ma per quanto riguarda il dato stori-co lei ha ovviamente ragione: la formulazione della domanda era errata.Desideriamo però anche spiegare il motivo dell'errore: la nostra domanda si riferiva all'attuale amministrazione politica croata dell'Istria (anche se una piccola parte, come i comuni di Muggia e di San Dorligo della Valle, appartiene politicamente all'Italia e un'altra piccola parte alla Slovenia), ma purtroppo, per un errore che ci è sfuggito e di cui ci scusiamo, abbiamo scritto invece "serbo-croata".Ma non era assolutamente nostra intenzione né sminuire la realtà storica né tantome-no mancare di rispetto a tutti coloro che, nel passato come nel presente, hanno difeso e sostenuto il Tricolore italiano. Soprattutto in questo momento difficile per il nostro Paese e per tutti coloro che, per lingua, tradizioni e cultura – come giustamente lei ci ricorda – al nostro Paese sono legati da un profondo rapporto di appartenenza.Per questo motivo la preghiamo, in quanto Responsabile dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, di estendere le nostre scuse a tutti i membri dell'Associa-zione stessa.Purtroppo, proprio a causa della terribile pandemia in corso, le registrazioni della no-stra trasmissione sono interrotte, il che rende impossibile per il momento provvedere alla rettifica richiesta da lei e da altri membri dell'Associazione.Ringraziandola ancora per la sua segnalazione, della quale terremo certamente conto in futuro, rivolgiamo a lei e a tutti i membri dell'Associazione i nostri più cordiali saluti

Redazione "L'Eredità"Banijay Italia S.p.A

Copia della lettera inviata alla RAI

dall'ANVGD

Copia della risposta della Redazione de

"L'Eredità"

Com’è risaputo, la liberazione della Penisola dall’occupazione nazifascista, simboleggiata dal-la festa del 25 Aprile, a Trieste e nella Venezia

Giulia non rappresentò altro che il prologo dell’insedia-mento in questi territori di un’altra dittatura. Più che di li-berazione, infatti, per le nostre terre a conti fatti si può parlare di tentativo – più o meno riuscito – di rioccupazio-ne da parte della Jugoslavia comunista. Al noto grido di “L’altrui non vogliamo, il nostro non diamo” i cosiddetti li-beratori concentrarono le loro forze per arrivare prima degli alleati su Gorizia, Trieste e l’Istria, soprassedendo in un primo momento alle più logiche velleità di liberazio-ne di altre città, da sempre slovene o croate come Zaga-bria o Lubiana, preferendovi invece i territori della Vene-zia Giulia per perseguire un chiaro disegno annessioni-stico. La liberazione a Trieste pertanto non arrivò il 25 aprile, bensì cinque giorni più tardi, grazie all’insurrezio-ne del 30 aprile. Una liberazione – quella vera – durata purtroppo poco più di 24 ore e che fu preparata nei giorni precedenti fin nei più minuti particolari dal CLN guidato da don Marzari, che costrinse gli ultimi tedeschi presenti

in città a ritirarsi su alcune ridotte come il porto, il tribuna-le e il castello di San Giusto. Il CLN giuliano era compo-sto solamente da forze non comuniste, essendosi que-ste ultime dissociate dallo stesso Comitato di Liberazio-ne alla fine del 1944. Una scissione dovuta proprio alle velleità nazionalistiche slovene e croate, malcelate all’interno di un movimento comunista i cui componenti caldeggiavano la futura annessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia di Tito. Mire espansionistiche jugoslave che, come dimostrano le foto di fresca ritinteggiatura che si possono ritrovare lungo il corso di superficie del Tima-vo, evidentemente nel 2020 non sono ancora passate di moda. L’insurrezione del 30 aprile anticipò così di un giorno l’ar-rivo dei primi presidi del IX Corpus titino. Gli stessi tede-schi non si arresero ai liberatori con la stella rossa, bensì attesero nei presidi dov’erano asserragliati di conse-gnarsi, appena il 2 maggio, ai reparti neozelandesi del generale Fryberg giunti nel frattempo da ovest. Le arma-te jugoslave, intanto, in un clima rappresentante tutt’altro che una comunione di intenti, nel pomeriggio del primo

maggio disarmarono i membri del CLN al termine di un incontro avvenuto nei pressi dei Portici di Chiozza, co-stringendo in tal modo i suoi membri – costituiti in preva-lenza da cattolici – a un repentino ritorno alla clandestini-tà. Che terminerà solamente alla fine dei 42 giorni di oc-cupazione, avvenuta grazie alla firma degli accordi di Belgrado stilati tre giorni prima, con i quali si sancì il passaggio della città dall’occupazione militare jugoslava all’amministrazione provvisoria angloamericana. Qua-rantadue giorni segnati da nuove delazioni, lutti, depor-tazioni e assassinii e dalla scoperta di una nuova parola, foiba, che i giuliani tutti impararono ben presto a cono-scere. Quelli che altrove furono giorni di vera liberazio-ne, quindi, per Trieste – e per Monfalcone e Gorizia – fu un’appendice dell’orrore vissuto fino a quel momento. Un orrore che in Istria proseguì negli anni a venire e che costrinse la maggioranza italiana della sua popolazione autoctona all’esodo forzato.

Renzo CodarinPresidente ANVGD

La liberazione (effimera) di Trieste avvenne il 30 aprile

Toni Concinae il suo virtuale angolo di piano bar

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L’ARENA DI POLA n. 4 del 30 APRILE 2020 3L'ATTUALITÀ

«Molto tempo è ch’io fra i miglio-ri ornamenti d’Italia avea considerato particolarmente

le antichità tuttavia esistenti in Pola, Città posta all’estremità della Provincia dell’I-stria, e Colonia un tempo di Roma»: ini-zia così la “Relazione delle scoperte fatte nell’anfiteatro di Pola nel mese di giugno del 1850 dal Conte Gian-rinaldo Carli-Rubbi” scrit-ta dall’erudito capodi-striano Gian Rinaldo Carli poco più che trentenne e da poco vedovo della pri-ma moglie, il cui cogno-me aveva unito al proprio. Tipica figura di intellettuale settecente-sco a tutto tondo, con interessi che spa-ziavano dalle lettere antiche alla numi-smatica, dall’economia alla storia, Carli è famoso soprattutto per le sue frequenta-zioni dei fratelli Verri e dell’illuminismo milanese. Egli dedicò tuttavia varie opere pure alle vestigia ed alle vicende stori-che dell’Istria antica, a partire dalle “Anti-chità di Capodistria” per giungere a “Del-le antichità romane dell’Istria” in due vo-lumi (in cui riprende molti concetti qui abbozzati), senza dimenticare l’inseri-mento dell’Istria e della Dalmazia nella monumentale opera “Delle antichità itali-che”. L’arrivo dal mare alla località istriana, che da tempo il nobile istriano si riprometteva di visitare, mette l’estensore della breve “Relazione” subito a confronto con l’og-getto del suo interesse: «Molte miglia prima d’imboccare il vasto Porto di Pola si vede dal mare quel superbo edifizio, che Arena chiamano; né può abbastanza spiegarsi qual grandiosa idea della ro-mana magnificenza in esso si rappresen-ta. Concorre ogni circostanza per rende-re questa scena assai deliziosa». Siamo in un’epoca in cui sono tornate al-la luce Pompei ed Ercolano e questa esplorazione di Carli può ben sembrare il capostipite di un filone di erudizione loca-le che proseguirà con Domenico Rossetti

a Trieste e Pietro Kandler, triestino di na-scita ma appassionato di storia istriana, per poi culminare nella fondazione della

Società Istriana di Arche-ologia e Storia Patria. In effetti, però, Carli ammet-te che il suo viaggio vuole verificare se la teoria del suo amico Marchese Sci-pione Maffei, veronese ed autore di opere di stu-

dio sulle arene romane, è vera, ovvero che a Pola non si trova un anfiteatro, bensì un «semplice teatro di nuova for-ma». Coordinando operazioni di scavo che portano in superficie nuovi elementi del basamento interno, effettuando accu-rate rilevazioni sulle dimensioni, le arcate ed i posti a sedere collocati sulla collinet-ta inglobata dalla poderosa costruzione, Carli giunse a confutare le conclusioni del nobile amico: al termine del libello, alcuni disegni da lui stesso vergati testi-moniano l’accurata analisi effettuata dal ricercatore capodistriano. Concluse tali ispezioni, l’illustre archeologo spostò la sua attenzione sui resti delle mura (più volte distrutte nel corso dei secoli), del teatro, del tempio di Augusto e del «ma-gnifico celebre Arco funebre, eretto a foggia di trionfale». La passione per l’archeologia diffusasi nel Settecento condizionò il gusto neo-classico ed in epoca romantica si tradus-se nella ricerca delle radici storiche di una comunità nazionale, il ché per gli ita-lofoni dell’Adriatico orientale significava dimostrare l’appartenenza plurisecolare all’ecumene latino rappresentato da Ro-ma, in contrapposizione al mondo ger-manico e a quello slavo che si affaccia-vano su queste terre ancora sotto domi-nio degli Asburgo.

Lorenzo Salimbeni

Per lungo tempo l’articolo “Della pa-tria degli Italiani” comparso anoni-mo sulle colonne del numero 2 del

giornale illuminista “Il Caffè” è stato attribuito a Pietro Verri. In realtà quel testo datato 1765 era opera di Gian Rinaldo Carli, raffinata figura di intellettuale, economista e storico nato a Capodi-stria l’11 aprile 1720, esattamente 300 anni fa. Tanto nella riscoperta della storia istriana quanto nei suoi lavori di carattere econo-mico, Carli denotò un grande acume di ricercatore e di teorico: un suo tentativo imprenditoriale non ebbe successo, ma fu comunque per 15 anni presidente del Supremo Consiglio dell’Economia del Ducato di Milano, all’epoca sotto il domi-nio degli Asburgo. Trasferitosi in Lombar-dia ebbe così modo di affinare la propria formazione illuminista e di collaborare con i fratelli Verri in quella fucina di idee rappresentata dalla rivista “Il caffè”. Il suo lealismo nei confronti dei sovrani austria-ci non gli impedì di sviluppare un senti-mento patriottico ante litteram, che sarebbe sfociato nel già ricordato articolo che contestava l’eccessivo asservimento dei suoi connaziona-li nei confronti delle dominazioni straniere che avevano portato alla frammentazione dell’Italia in una miriade di Stati e staterelli. E la na-tia Istria era considerata, non solo per l’appartenenza alla Repubblica di Venezia, come parte integrante della comunità di lingua, cultura e tradizione italica, come ebbe modo di documentare e ribadire, anche con riferimento alla Dalmazia, nel-la sua poderosa opera in 5 volumi

“Delle antichità italiche”, data alle stampe nel 1788. L’anno successivo avrebbe vi-sto scatenarsi la rivoluzione francese, uno dei cui lasciti fu il concetto di “nazio-ne”, al quale Carli si era pertanto in qual-che misura già approcciato. Carli rientra a tutti gli effetti tra quegli istriani, fiumani e dalmati che nel corso

dei secoli sono stati par-tecipi del percorso cultu-rale, letterario ed artistico italiano, dimostrando che il mare Adriatico univa e manteneva in collabora-zione le comunità italofo-ne radicate su entrambe

le sponde. Il Giorno del Ricordo comme-mora la tragedia più recente dell’italianità nella costa adriatica orientale, ma esisto-no e devono essere riscoperti o ulterior-mente valorizzati personaggi in moltissi-mi ambiti che testimoniano la pluriseco-lare presenza italiana in Istria, Carnaro e Dalmazia. L'anniversario della nascita di Gian Rinaldo Carli può rappresentare l’occasione per sviluppare iniziative fina-lizzate a dare lustro all’economista, all’e-rudito ed al patriota originario di quella Capodistria che avrebbe poi regalato al risorgimento Carlo Combi ed all’irredenti-smo Nazario Sauro.

Renzo Codarin Presidente ANVGD

Nasce a Fertilia, in Sardegna, un Ecomuseo per “Tenere accesa una Luce

sulla Memoria” delle popolazioni dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia che, a seguito dell’Eso-do, sono state sparse per tutti i 5 continenti del pianeta. Un museo che, partendo dai circa 4000 esuli che giunsero in questo lembo della Sarde-gna nord-occidentale, intende ricostruire le tra-me delle migrazioni di un popolo che, dapprima distribuito in oltre 110 Centri Raccolta Profughi sparsi sul territorio nazionale, ha poi raggiunto ogni angolo del Pianeta. Lo scopo del Museo è dapprima quello di ricostruire la Storia della Co-munità di Esuli Giuliano Dalmati che transitò per Fertilia, per poi tentare di censire, raccogliendo testimonianze, fotografie, documenti e quant’al-tro, l’intera comunità degli Esuli in ogni luogo, attraverso la realizzazione di un portale su Internet nel quale si pos-sa ricreare un enorme album di famiglia, una nuova Ve-nezia Giulia virtuale. Questa parte del progetto, chiama-ta “Riuniamo i fili della nostra Storia”, estremamente complessa e difficile, potrà svilupparsi solo grazie alla disponibilità di coloro che vorranno collaborare, fornen-do o spedendo direttamente i materiali in formato digita-le, così da consentire la loro pubblicazione. Il sito, in fase di completamento, è già on-line all’indirizzo www.proget-toegea.org e raccoglie per ora i nomi delle circa 200 fa-miglie che sono giunte a Fertilia lasciando memoria del loro passaggio. Verrà completato una volta terminato il lungo lavoro di raccolta dei materiali, delle testimonianze e delle immagini già avviato.Il percorso espositivo, realizzato in uno dei luoghi simbo-lo, il Ponte Romano - sul quale attraccarono le imbarca-zioni con cui gli Esuli giunsero a Fertilia - sarà composto oltre che da pannelli espositivi, che parleranno delle vi-cende storiche, delle testimonianze dirette e della vita a Fertilia, anche da una parte multimediale che, at-traverso video, filmati ed attività esperienziali, consentirà ai visitatori di conoscere la storia di tali Eroi in-consapevoli. Con questo Ecomu-seo, voluto dalla Cooperativa So-ciale SOLOMARE, in collaborazio-ne con l’Associazione EGEA voglia-mo rendere “Immortali” coloro che hanno vissuto questa diaspora, re-stituendo loro quella Identità di po-

polo che si è voluta negare attraverso una polverizzazio-ne in tutto il pianeta dei circa 350.000 esuli. “Vogliamo infatti evitare che con la morte dei protagonisti di questa vicenda storica” – dice Elena Fustini, Presidente della Coop SOLOMARE – “venga a cancellarsi definitivamen-te una pagina di storia che ad oggi in pochissimi cono-scono. È infatti un dovere di noi tutti, eredi di questo Po-polo di Italiani due volte, quello di non dimenticare e di non far dimenticare coloro che hanno scritto la Storia con il loro sacrificio”. “Sentiamo forte il bisogno di racco-gliere, prima che sia troppo tardi” – afferma Federico Marongiu (figlio di Giulio, esule da Pola) – “tutte le testi-monianze, i ricordi, le fotografie, i documenti ed i raccon-ti che possono contribuire a mantenere viva la loro storia ed il loro coraggio nel ricostruire la propria vita lontani dal luogo in cui sono nati. Riteniamo infatti che il rischio maggiore sia quello di perdere le testimonianza che pos-sono essere invece rese immortali, grazie alla tecnologia moderna”. Digitalizzare fotografie, documenti, lettere,

articoli di giornale ed inserirli in un grande

portale internet, consentirà infatti di ricostruire e far conoscere questi eroi anche dalle nuove ge-nerazioni, perché la storia non abbia più a ripe-tersi. “Ecco perché rivolgiamo un appello agli eredi di questa grande famiglia, ovunque siano, affinché vogliano inviarci le copie di questi docu-menti in formato digitale, se non anche gli origi-nali, con adeguate didascalie, in modo da con-sentirci di garantire anche a coloro che oggi sono più lontani, di poter essere ricordati ed in modo da riallacciare i fili recisi dalla storia. Questo è un progetto importante – afferma Mauro Manca, fi-glio di esuli Fiumani e Direttore Organizzativo dell’Associazione EGEA – per il quale abbiamo creato un gruppo di lavoro di grande valore; ne fa

parte il dottor Mauro Rossetto, già Direttore Scientifico dei Musei Manzoniani della Città di Lecco, la prof.ssa Marisa Brugna, esule di ORSERA ed autrice di un libro intitolato Memoria Negata, la prof.ssa Luisa Morettin, storica, preside della facoltà Londinese dell’Università NCI e numerosi altri esperti. Abbiamo poi avviato e con-solidato altre importantissime collaborazioni con azien-de, Enti ed Associazioni a livello nazionale che sono de-terminanti e che testimoniano la volontà di collaborare per ricostruire una storia condivisa ed una memoria col-lettiva”. Fra le collaborazioni, di particolare importanza è quella con la Fondazione Decima Regio “Olga e Rai-mondo Curri” e l’università di Sassari, che stanno sup-portando la ricerca storica, con il Centro Studi Fiumani di Roma, punto di riferimento imprescindibile, con la Fede-rEsuli, con l’ANVGD e con l’Associazione Giuliani nel Mondo, che svolgono un lavoro preziosissimo. Indispen-sabile anche il supporto di soggetti tecnici di grandissimo profilo, tra cui quello della società UNO Srl, Azienda lea-

der nel settore informatico, rappre-sentata da Giancarlo Rosa, esule di seconda generazione.È un progetto di grande respiro, che gli organizzatori hanno voluto intito-lare ad Egea Haffner, la bambina con la valigia, icona inconsapevole dell'esodo e della sua gente. Un progetto in via di realizzazione gra-zie ad un finanziamento regionale cui si aggiungeranno, com'è spe-ranza dei curatori, i contributi di quanti vorranno sostenerlo.

Le esplorazioni diGian Rinaldo Carli nell'arena di Pola

Gian Rinaldo Carli, patriota ante litteram e illuminista istriano

Nell'anniversario della nascitadi un intellettuale capodistriano

Il progetto Egea e la nostra memoriaUn grande programma a cui tutti possono contribuire con materiale e testimonianze

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4 L’ARENA DI POLA n. 4 del 30 APRILE 2020

Dopo la Prima Guerra Mondiale si rese necessario costituire un gruppo formativo per gli allievi mare della Regia Guardia di Finanza. La scelta cadde

sulla città di Pola, habitat perfetto per avviare il persona-le addetto ai ruoli marinareschi. Gli allievi furono avviati al Battaglione Guardia di Finanza in località Veruda, fra-zione costiera a sud della città, ed inquadrati nella ca-serma San Giovanni (meglio nota come “Baracche” ndr) un tempo sita sulla strada che da Veruda porta a Punta Verudella nei pressi della “Capanna del Pescatore”, no-to ristorante sin dall’epoca austriaca.Inizialmente il Reparto di Istruzione dipendeva dalla Le-gione di Trieste. Dal 28 febbraio1923, l’Istituto fu posto alle dipendenze della Legione Allievi ed elevato al rango di Battaglione. Sin dai primi anni Venti, il naviglio del Corpo fu incre-mentato con imbarcazioni a motore, motoscafi e rimor-chiatori per la necessità di dar vita ad un unico reparto di istruzione in grado di preparare personale specializzato per il servizio sul mare.Un evento importante che caratterizzò la storia del Battaglione di Pola fu l’incen-dio che nella notte del 14 gennaio 1926 distrusse la Manifattura Tabacchi della Città. L’intero Reparto partecipò pronta-mente alle operazioni di spegnimento e soccorso manifestando grande spirito di abnegazione e sacrificio.La Scuola Nautica fu istituita nel 1927 e primo comandante venne nominato il Capitano Vittorio Rossi che mantenne l’incarico fino al 1931. Necessità logisti-che e di espansione fecero cambiare ra-pidamente sede alla Scuola che trovò nuova collocazione, dal 21 giugno 1928, nell’imponente struttura dell’ex Hotel Ri-viera posto sul lungomare di Pola.Presso la Scuola venivano svolti due corsi principali, rispettivamente per Guardie di Mare e per Sottufficiali di ma-

re. Il corso per finanziere semplice aveva durata di sei mesi ed ogni bimestre giungevano nuovi arruolati pres-so l’Istituto. Le materie di studio ed insegnamento com-prendevano istruzione militare, marinaresca, nonché leggi ed ordinamenti relativi al settore tributario. Gli allievi Sottufficiali venivano invece selezionati tra le “guardie” sulla scorta di requisiti legati all’anzianità ed al curriculum ed il loro corso aveva durata di nove mesi.Nei primi due anni di attività, la Scuola Nautica “brevet-tò” 144 sottufficiali, 37 Sottufficiali A.C. (con abilitazione al comando), 1320 marinai, 32 motoristi navali, 69 fochi-sti abilitati, 204 fochisti ordinari, 82 marinai con qualifica di “padroni di imbarcazione”, 10 operai carpentieri, 15 furieri e due elettricisti.Gli allievi provenivano da varie parti d’Italia, ma princi-palmente dalle regioni meridionali.Nella nuova sede dell’ex hotel Riviera trovavano posto

al pianterreno le aule, mentre ai piani superiori erano ubicati gli alloggi per allievi ed Istruttori, nonché circoli, mense, refettori ed uffici. E’ interessante notare che alla Scuola era stata data l’impostazione tipica di una nave da guerra, affinché fra gli studenti si sviluppasse fin da subito lo spirito e l’attitudine marinaresca. In tal senso i pavimenti, erano stati ricoperti da linoleum e gli allievi avevano il compito di lucidarli costantemente con la naf-ta. Nelle camerate, gli allievi avevano a disposizione bran-dine angolari in ferro, verticali a due posti.La Scuola disponeva inoltre di un’officina meccanica e di una sala dotata di materiale idrografico. Alle spalle dell’edificio, un’apposita superficie era attrezzata per l’attività ginnica che poi prevedeva anche esercitazioni congiunte di canottaggio e vela con gli atleti della locale Società Nautica Pietas Julia.

La Scuola di Pola svolse la sua funzione acquisendo notevole prestigio fino al ter-mine del secondo conflitto mondiale, al-lorquando l'Italia dovette cedere l'Istria e la Dalmazia.Il gravoso problema di individuare una nuova sede fu risolto nel 1948 con la scelta della città di Gaeta, che offriva una stupenda rada naturale e la disponi-bilità d'infrastrutture idonee ad ospitare un reparto di istruzione navale. Oggi, la Scuola Nautica di Gaeta rinnova, ali-menta e perfeziona i militari del contin-gente di mare del Corpo che superano le 5000 unità, addestrando annualmente circa 800 militari, tra Ufficiali, Ispettori, Sovrintendenti, Appuntati e Finanzieri. Sul muro della caserma di Gaeta spicca la targa di fondazione della Scuola Nau-tica: Pola e Gaeta idealmente unite per sempre nel nome della Guardia di Finan-za.

Ugo Gerini

La scuola della Guardia di Finanza a Pola

Mailing List HistriaProroga dei termini di presentazione degli elaborati

Sperando che la situazione attuale possa presto risol-versi al meglio per i bambini, i ragazzi, gli insegnanti e per tutti noi, la Mailing List Histria, come artefice e

promotrice del Concorso, comunica che Causa Emergen-za COVID-19, la scadenza del XVIII° Concorso Letterario Internazionale "Mailing List Histria" 2020 è stata prorogata al 25 Ottobre 2020.

Si precisa che tutti i lavori, inviati sia per posta elettronica che per posta raccomandata, saranno am-messi soltanto se INVIATI entro il 25 Ottobre 2020.Nel caso di spedizione tramite po-sta raccomandata farà fede la data indicata sul timbro postale.

Si precisa inoltre che il CONCORSO NON È SOSPESO, quindi potete continuare ad inviare i vostri lavori alla Se-greteria nelle modalità descritte nel bando www.mlhistria.it o www.adriaticounisce.it. Specifiche informazioni possono essere richieste via mail contattando Segreteria del Concorso MailingList HISTRIA 2020 [email protected] Walter Cnapich [email protected] Maria Rita Cosliani [email protected]

La Presidente della Commissione Maria Grazia BelciCi permettiamo di inserire un piccolo post scriptum per ri-cordare che venerdì 14 aprile 2000 nasceva la Mailing List Histria. I nostri auguri di felice anniversario e buon prose-guimento. VFSi cominciava col Venerdi Santo e

tutti tenevamo un comportamen-to controllato senza eccessi e

strida. Le Maestre ci avevano dato dei compiti a casa, mentre in Parrocchia - dove i Crocifissi erano avvolti in panni viola a rappresentare il Lutto della Chiesa - i Sacerdoti ci facevano gioca-re ma con morigeratezza. Le campane erano “legate” e non suonavano. I Pre-ti celebravano la Messa ma non dava-no l’Eucaristia. Chi aveva la radio la teneva al minimo volume e i program-mi non prevedevano canzonette ma per lo più musica da camera. E poi non si sentiva cantare per rispetto della ri-correnza.Un anno, noi Aspiranti del Duomo an-dammo in ritiro al Vescovado, dove Don Severino Scala ci aveva promes-so scorpacciate di mele cotogne tra una preghiera e l’altra, ma ci toccarono solo le preghiere. Quasi tutta la cittadi-nanza faceva la visita dei Sepolcri nel-le varie chiese - le pie donne ne visita-vano sette - e la visione cadeva so-prattutto sulla immagine della Madon-na Addolorata in lutto, trafitta da un pugnale. Analoga effigie c’era in Salita Calvario dove c’erano le Tre Croci.Nel frattempo le nostre mamme e le nostre nonne stavano preparando le pinze e i sisseri che erano d’obbligo per questa grande Festa. In Cittavec-chia c’era un continuo andirivieni tra le mamme che portavano su una tavola sistemata e in equilibrio in testa, le pin-ze lavorate e lievitate per il forno. Tutti avevamo lo sparket con il forno per ar-rostire, ma quella volta non c’erano gli aggeggi per regolarne la temperatura

e così la migliore soluzione era quella di portarle nei forni dei panifici. Ma an-che così a volte capitava la sorpresa cioè che le pinze non si fossero alzate diventando dure come “pieracotte” con recriminazioni tra fornai e mamme. I forni in Cittavecchia erano: Calcich Giovanni in Calle dei Canapini 24; Chiopris Carlo in Via G. Simonetti 3; Lorenzini Giovanni in Piazza Tre Re 9.Nel giorno di Sabato Santo noi giovani eravamo in strada, ma con l’occhio sul rubinetto dell’acqua perché alle 11 ci sarebbe servito. Infatti alle 11 le cam-pane venivano “sciolte” e suonavano a Festa per annunciare la Resurrezione di Gesù e tutti correvamo a bagnarci gli occhi per mondarci dei nostri pec-cati. La Resurrezione avveniva dopo i tre giorni della Passione e Morte. Fi-nalmente arrivava la Domenica di Pa-squa e le nostre mamme si recavano alla prima Messa delle 6 e trenta por-tando avvolto su una salvietta bianca un pezzo di pinza, la scalogna detta luk, le uova sode e il prosciutto per la Benedizione. Sarebbero servite alle 9 per la solenne Marenda di Pasqua del-la famiglia, sulla tavola imbandita con le tovaglie della festa e con il caffè e il latte bollenti e fumanti. Dopo la Maren-da le briciole e gli altri avanzi venivano raccolti dalla tovaglia e bruciati nello sparket, perché benedetti. Il Signore era risorto e il Giorno di Festa aveva inizio. E questa usanza era seguita anche dagli Ebrei e dai Greco-Orto-dossi, anche se la loro Pasqua non coincideva con la nostra. Ci legava la consapevolezza di essere tutti fiumani.

Rodolfo Decleva

La Pasqua diun tempo a Fiume

Il primo giornodel nuovo mondoci svegliammoa un accenno dell’albasalutando con gli occhiil ritorno del sole.Nell’aria un profumodi pane sfornatoe un’improvvisa vogliadi capriole.“Io sono qui” – disse il mondoa raggi unificati“E voi dove siete stati?”Noi nella tana in letargoa dormireNoi coi gerani ad ornarei balconiNoi rinchiusi nei giornilunghi secoli

con l’unico scopodi restare vivi.Il primo giornodel nuovo mondocome soldati tornati dal fronteammutoliti dallo stuporescendemmo tutti in strada,nel silenzio interrotto soltantodai nostri “buongiorno”,e da qualche risata.I sopravvissutichiesero un sorso d’arial’abbraccio negatorivedere il mare,mangiare un gelato:cose inestimabilia buon mercato.I bambini tornarono a scuola,come andassero a una festa

dopo la lunga ricreazione.Furono loro alla testadella rivoluzione.Il primo giornodel nuovo mondofu il tempo di uscireal di fuori di noidalla Terra imparammola grande lezionerinati alla vita,più umani di maiCosì al suo segnale,in mondovisioneci scrollammo di dossoil mille e novecentoe i sospiri di sollievodivennero il vento.

Simone Cristicchi

Beniamino delle nostre gen-ti, inseriamo ancora una volta in queste pagine Si-

mone Cristicchi, con i versi da lui recentemente composti, ispi-randosi al dramma che attual-mente tutti stiamo vivendo e che lui spiega così: “Ho immaginato il momento esatto in cui torneremo alla nostra vita quotidiana, spero rinnovati nello spirito, e con uno sguardo diverso sul mondo. È il mio piccolo contributo, un pensiero di speran-za nel futuro che ci attende”.

Il primo giorno del nuovo mondo

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L’ARENA DI POLA n. 4 del 30 APRILE 2020 5

Un ano go rivà cior ferie più lunghe e tor-nar in Istria per Pasqua. Gavevo voia de veder quei posti

che me ricordavo tuti brusai del sol de estate, in primavera, quando che scominzia el bel tem-po, vien fora le prime foie, i alberi xe tuti in fior e xe tuto bel verde. Xe anche stagion de sparisi che xe boni con la fritaia ma, sopratuto, Pa-squa xe l’ocasion per far quele bele magnade in bona compagnia che dopo se se ricorda per tuto l’ano. Un brodin, per scominziar, dopo fusi col sugo de galina, dopo ancora capuzi garbi con luganighe e panzeta, agnel con le patate roste, che xe obbligatorio per Pasqua e, a la fi-ne, le pinze, tuto acompagnado con malvasia e teran. Semo rivai con un per de giorni in antici-po e gavemo scominzià a parlar per trovar la roba per ‘sto grande pranzo. El primo problema iera l’agnel perché, per el resto, iera tuta roba de casa. Mio zio che el se se credeva un gran-de afarista, nonostante el gavessi provà tuti i ti-pi de comerci, però finidi mal, ga dito subito: “Per l’agnel ghe penso mi. “Del becher no xe de andar perché el xe imbroion, el fa vignir tuti i agnei surgeladi de fora chisà dove remenghis, e li vendi come bestie de late nostrane. Noi in-veze, bel pulito, anderemo in fiera e la compre-remo un bel agnel nostran, a bon prezo, dei contadini che mi conosso”. Per non ofenderlo, no volevimo contraddirlo. Andando in fiera, du-rante el viagio mio zio me ga racomandà: “Ti no sta mai parlar perché, se ti parli, i capissi subito che ti son italian. Lori i sa che i italiani xe richi e alora i ne ciava sul prezo.” Rivadi in fiera, “Bon”, ga dito mio zio, “partimo a l’ataco, ti scol-ta e impara come che se fa i afari” e semo an-dai del primo che vendeva ‘sti agnei. Iera un ometo de meza età, picio,magro e con una fa-cia triste. Mio zio lo ga saludà, el ghe ga dà la man, el ghe ga domandà come che ghe xe con la moglie che la iera in ospedal? Che abastan-za ben, grazie,ga risposto lui. Se el fio ghe xe tornà de militar? Che sì che el xe tornà ma che el xe ancora a casa senza lavor e cussì avanti. Tutintun, mio zio ghe domanda: “cossa ti vendi questi agnei?” Mi go pensà tra de mi: “me par logico, se uno li porta in fiera, xe per venderli” ma po’ me son anche dito: “questo farà parte de la tatica per far i afari”. “Li vendo perché go bisogno de ciapar qualche soldo per riparar el teto de la casa” ga dito l'omo. E mio zio: "Ma i xe magri, pici, no xe gnente de lori, no sarà che i xe maladi?” L’omo ga cambià facia: “come maladi?I xe pici perché i xe ancora de late ma i xe sani come tute le mie bestie”. Bon, che nol

se ofendi, ghe ga dito mio zio, e quanto che el vol per uno? El omo ghe ga dito una cifra per mi più che ragionevole ma mio zio ghe ga subito risposto che el xe mato, che no se ga mai sentì un prezo compagno per un agnel, picio, magro, tuto ossi e forsi anche malado, che forsi lui ghe daria la metà de quel che el ghe domanda, ma squasi per farghe un piazer, perché el ga biso-gno de soldi. El omo alora el se gà incazzà e el ga dito: “Ti sa cossa, va a comprar el agnel de qualche altra parte, mi no go bisogno de i tui soldi” e noi semo andadi via. Mi iero un poco preoccupà perché no gavevimo combinà el afar ma mio zio me ga dito: “xe andà ben, noi adesso anderemo pulito in osteria, magneremo una porzion de tripe, che qua i fa bone, bevere-mo un mezo de teran e dopo torneremo indrio de l’omo. Ti vederà come che el gavarà cambià idea e el ne venderà el agnel per el prezo che ghe go dito mi. Dopo 1 ora e aver magnà e bevù in osteria, semo tornai de l’omo per com-prar l’agnel. Come che semo rivai là, no te ve-demo che i agnei no xe più e l’omo tuto conten-to che el se ingruma la roba per andar a casa. A mio zio che ghe domanda dove che xe i agnei e el mato ghe rispondi che xe vignù el becher de Pola e che ghe li ga compra tuti a un bon prezo. “Ma come”, ghe fa mio zio, “che ierimo in parola che uno lo compravo mi?” “No che no ierimo in parola”, ghe rispondi l’omo, “che anzi ti ti ga di-to che l’agnel iera picio, magro, che no iera gnente de lui e che forsi el iera malado”. “Ma mi go dito cussì per dir”, ghe fa mio zio, ma intanto i agnei iera andai. Alora gavemo fato de corsa tuta la fiera per veder se iera restà qualche al-tro agnel, ma el becher de Pola el gaveva netà tuto. E cussì no gavemo concluso afari a la fie-ra. I disi: “Chi troppo vuole, nulla stringe” e an-che “chi disprezza compra”. A mi me xe vegnù in amente un altro proverbio “I furbi i combina e i mona va a magnar tripe”. Ma intanto ierimo senza agnel. Durante el ritorno, mio zio me ga dito: “Ti no sta contar gnente a casa, lassa par-lar mi”. Quando che semo rivai, mia mama ga domandà de l'agnel e mio zio “i agnei a la fiera i iera magri, pici, forse anche maladi, no iera de comprarli”. E mama: “Ma adesso dove andere-mo a zercarlo che xe squasi Pasqua e chi ga-veva i agnei li ga zà vendudi?” E zio: “Ti no sta pensarghe, che de rif o de raf mi l’agnel lo pro-curo”. “Ma che no vadi a finir che restemo sen-

za agnel” ga dito mama. Do-po zena, mio zio me ga ciamà in

disparte disendome: “Domani noi an-deremo de contadini che mi conosso in un

paese qua vizin e ti vederà che agnel che com-preremo, lori i aleva le bestie ancora come una volta e i agnei i ciuccia solo el late de la mama, no i ghe da late in polvere, come là de voi in Italia.” Mi no go dito gnente ma scominziavo a gaver seri dubi sule capacità de combinar afari de mio zio. E infati el giorno dopo noi gavemo girà tuti i paesi del circondario ma agnei gnen-te. L’unica roba bona xe stada che, intanto che zercavimo, se fermavimo in tute le osterie de ogni paese e cussì, quando che semo tornai a casa, no se ricordavimo gnanche cossa che ierimo andai a zercar, iera tardi e semo andai driti a dormir. Ma la matina dopo, come che me son sveià, me xe subito vignù in amente che risciavimo veramente de restar senza agnel per Pasqua. E alora,senza dirghe gnente a nissun, mi son andà drito in becheria. “Cossa posso darghe?” me fa el becher. E mi: “Voleria un bel agnel per far pranzo per Pasqua”. El me varda e po’ el fa: “veramente xe un poco tardi, bisognava ordinar per tempo, tuti vol l’agnel per Pasqua e le bestie che go procurado le xe prenotade dei mii clienti. “Mi go fato la facia di-spiasuda e ghe go dito: “La sa, mi vegno de l’I-talia, se trovemo dopo tanto tempo tuta la fami-glia e volessimo far un bel pranzo de Pasqua tuti insieme in alegria, ma ghe se vol l’agnel, se no no par gnanche Pasqua.” El becher el se ga inpietosì, el xe andà in frigider e el xe tornà con un bel agnel. “Xe de quei boni?” ghe go do-mandà “altro che” el ga dito lui, “lo go comprà dei contadini in fiera l’altro giorno”. Mi no go di-to altro anche quando che el me ga fato el con-to e el prezzo iera squasi el dopio de quel che el omo in fiera ne gaveva domandà. Son tornà a casa e ghe lo consegnà a mia mama che la iera zà in cusina a prontar per el grande pran-zo. E xe stado veramente un grande pranzo per Pasqua. El agnel rosto con le patate el iera squisito, le pinze le se iera levade ben e el vin iera ecezionale. Gavemo magnà, bevù, cantà, contà storie, ridesto, pianto de la contenteza. Solo verso la fine, mio zio, el afarista, el me xe vignù vizin e el me ga dito: “domani anderemo a comprar persuto e formajo de quel bon de contadini che mi conosso”. Ghe go impinì el bi-cer e “bevi” ghe go dito “domani vedaremo”.

L’ARENA DI POLADirettore responsabile:

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Editore:Associazione Italiani di Pola e

Istria - Libero Comunedi Pola in Esilio

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Che cori el tempo...Mulete

coi libri de scolanel zaineto

che pica de le spale,con passo franco

le va verso el doman.Me torna su

co un sussultola mia stagion dei fiori,

(ieri, me par,e inveze…).

E‘l mio caminar, ‘desso,

no xe più quel,se sa, epur

la vita mi la vivocome quel tempo,

vagandone la fregola de spazio

che xe mio.Altro, né prima né dopo,

no conosso.Graziella Semacchi Gliubich

Din don danDin don dan

sonava le campanesventolando nel cel

aria de festaanche se pioveva.

De una cesa a l’altrale rintocava

come man che se ciapaper far un girotondo.

Risorto El iera!Ogi xe sol

sui bronzi chescampana

e gnente vento.Come ieri

come domanie per l’eternitàno xe el tempo

quel che fa la storia,ma el Cristo

che con noi camina.

El Agnel de PasquaRoberto Stanich

Che cori el tempo...Xe tornade le rondinele

e le se ciamauna co l’altra

mostrandose i nidi,fra svoli che l’ariaricama de zighi.

I glicini sazi de solregala profumi

e spiana el nervosope’l bus che no riva,cussì che far tardixe quasi un piazer.Che cori el tempo

che fermarse no pol,più no bazilo

e vado spassetiportando i pensieria ‘negarse nel mar.

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gliersi la vita.Frate Lorenzo apprende da fra-te Giovanni il mancato recapitodella missiva a Romeo, poichéMantova è sotto quarantenaper la peste. Romeo raggiungeprecipitosamente Verona e insegreto si inoltra nella criptadei Capuleti determinato aunirsi a Giulietta nella morte.Qui incontra Paride, anch'egliin lutto venuto a piangere Giu-lietta. Ne nasce un duello nelquale Paride rimane ucciso.Romeo – dopo aver guardatoteneramente Giulietta un'ulti-ma volta beve il veleno e muorepronunciando la famosa frase:«E così con un bacio io muoio».Giulietta intanto si sveglia e ve-dendo Paride e Romeo mortiaccanto a lei, si uccide trafig-gendosi il petto con il pugnaledel suo sposo.Nella scena finale le due fami-glie, come anticipato nel prolo-go, sono riconciliate dal sanguedei loro figli e giurano di porrefine alle loro sanguinose dispu-te. Il Principe pronuncia la fa-mosa frase «Una triste paceporta con sé questa mattina: ilsole, addolorato, non mostreràil suo volto. Si parlerà a lungodi questi tristi eventi. Alcuniavranno il perdono, altri il ca-stigo, ché mai vi fu una storiacosì piena di dolore come que-sta di Giulietta e del suo Ro-meo.»

Quasi certamente le pri-me repliche della tra-gedia di Romeo e Giu-

lietta avvennero al Globe, ri-costruito nel 1996 sul sito ori-ginario. Il debutto si tenne pri-ma del 1597. L'opera deve esser stata inter-pretata dagli attori della LordChamberlain's Men, la compa-gnia del ciambellano Hunsdonche, nel 1603, prese il nome diKing's Men. Nella compagniarecitavano Richard Burbage elo stesso William Shakespeare.Burbage potrebbe essere stato ilprimo attore a interpretare Ro-meo, con il giovane Robert Gof-fe nella parte di Giulietta.Il dramma sarebbe stato rap-presentato nel teatro, costruitonel 1596 dal padre di Burbage echiamato The Theatre, "Il Tea-tro", in seguito smantellato daiBurbage stessi e ricostruito co-me Globe Theatre e al Curtain,costruito nell'anno successivo,entrambi nella periferia di Lon-dra. Entrambi gli edifici eranoanfiteatri di forma assai similenei quali il pubblico assisteva inpiedi in una sorta di corte inter-na scoperta, oppure al copertoseduto sui palchetti. Le rappre-sentazioni si tenevano di gior-no sfruttando la luce naturale eil prezzo del biglietto era in ge-nere di un penny. Come nellamaggioranza delle rappresen-tazioni del teatro elisabettianoil dramma si svolgeva su unpalco centrale, che era circon-dato per tre lati dal pubblico,mentre la mancanza di sceno-grafie elaborate lasciava il com-pito evocativo interamente allamaestria degli attori.

LL’’AArreennaa ddii PPoollaa::”Come eravamo” - Cultura, Arte, Fatti e Tradizionia cura di Piero Tarticchio

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di PIERO TARTICCHIO

La più bella storia d’amoremai raccontata:

Romeo & Giulietta

MMeettttee ttrriisstteezzzzaa vveeddeerree ii vveecccchhiivittime del coronavirus, che se ne vanno in silenzio. Le salme caricate su camion militari,

senza cortei funebri, né familiari al seguito se ne vanno senza nemmeno un tocco di campana. Di Tiziana Sozzi su FB.

“Se ne vanno.Mesti, silenziosi, come magari è stata umile e silenziosa la loro vita, fatta di lavoro, di sacrifici.Se ne va una generazione, quella che ha visto la guerra, ne ha sentito l’odore e le privazioni, trala fuga in un rifugio antiaereo e la bramosa ricerca di qualcosa per sfamarsi. Se ne vanno maniindurite dai calli, visi segnati da rughe profonde, memorie di giornate passate sotto il sole co-cente o il freddo pungente. Mani che hanno spostato macerie, impastato cemento, piegato fer-ro, in canottiera e cappello di carta di giornale. Se ne vanno quelli della Lambretta, della Fiat500 o 600, dei primi frigoriferi, della televisione in bianco e nero. Ci lasciano, avvolti in un len-zuolo, come Cristo nel sudario, quelli del boom economico che con il sudore hanno ricostruitoquesta nostra nazione, regalandoci quel benessere di cui noi delle nuove generazioni abbiamoapprofittato. Se ne va l’esperienza, la comprensione, la pazienza, il rispetto, pregi oramai di-menticati. Se ne vanno senza una carezza, senza che nessuno stringa a loro la mano, senzanemmeno un ultimo bacio. Se ne vanno i nonni, memoria storica del nostro Paese, patrimoniodella intera umanità. Tutta l’Italia deve dirvi GRAZIE e accompagnarvi in quest’ultimo viag-gio con 60 milioni di carezze…” RICEVUTO dal Dott. Begher, pneumologo!

Romeo e Giulietta è unatragedia di WilliamShakespeare composta

tra il 1594 e il 1596, la storia d'a-more più popolare del mondo.

Nel prologo il coro racconta co-me due nobili famiglie di Vero-na, i Montecchi e i Capuleti, siosteggino da generazioni e che«dai fatali lombi dai due nemicidiscenda una coppia di amanti,nati sotto una cattiva stella, ilcui tragico suicidio porrà fine alconflitto».La tragedia incomincia con unarissa di strada tra le servitù del-le due famiglie, interrotta dalprincipe di Verona, il quale am-monisce che – in caso di ulterio-ri scontri – i capi delle due fa-miglie sarebbero stati conside-rati responsabili e avrebberopagato con la vita. Il conte Paride, un giovane no-bile, chiede ai Capuleti in mo-glie la figlia Giulietta, poco me-no che quattordicenne. Il capo-famiglia Capuleti lo invita adattendere perché ritiene la fi-glia ancora troppo giovane, magli permette di farle la corte.Durante un ballo in maschera,il rampollo sedicenne dei Mon-tecchi, Romeo su invito di Mer-cuzio (amico di Romeo e con-giunto del principe) e Benvolio(cugino di Romeo) decidono diandare mascherati nella casadei Capuleti per divertirsi. Du-rante il ballo, il giovane Mon-tecchi incontra Giulietta.I due ragazzi si scambiano po-che parole, ma sufficienti a farliinnamorare fino a spingerli abaciarsi. La balia rivela a Giu-lietta il nome di Romeo, il qualea sua volta apprende che la ra-gazza è la figlia dei Capuletistorici nemici di casato. Il se-condo atto inizia con Romeoche si congeda dai suoi amici e,a rischio della vita, si trattienenel giardino dei Capuleti dopola fine della festa. Durante la fa-mosa scena del balcone i dueragazzi dichiarano reciproca-mente il loro amore e decidonodi sposarsi in segreto. Il giornoseguente frate Lorenzo, aiutatodalla balia, unisce in matrimo-nio Romeo e Giulietta, speran-do che la loro unione porti fi-nalmente la pace tra le due fa-miglie. Nel terzo atto le cose precipita-no quando Tebaldo, cugino diGiulietta e di temperamentobellicoso, incontra per stradaRomeo e cerca di provocarlo inun duello. Romeo rifiuta dicombattere contro colui che or-mai considera suo cugino, maMercuzio ignaro di tutto racco-glie la sfida. Nel vano tentativodi separarli Romeo si frapponetra i duellanti permettendo aTebaldo di ferire Mercuzio, chemuore augurando «la peste atutt'e due le vostre famiglie». Inun impeto d’ira per vendicarel’amico Mercuzio Romeo ucci-de Tebaldo. Sopraggiunge ilprincipe mentre Romeo fuggedisperato. Benvoglio raccontaal Principe i fatti e chi abbiaprovocato la rissa mortale e ag-giunge come Romeo abbia ten-tato invano di placare le offese.Il Principe condanna Romeo al-l'esilio, dato che Mercuzio erasuo congiunto accusandolo di

agito per vendetta. Romeo deve lasciareVerona prima dell’albadel giorno seguente al-trimenti sarà messo amorte.Giulietta apprendel’uccisione di Tebaldo(suo cugino) e del ban-do inflitto a Romeo echiede disperata allabalia di trovare Ro-meo, portargli il suoanello e chiedergli diincontrarla per l'ulti-mo addio. La balia sireca da frate Lorenzo,dove Romeo ha trova-to rifugio e insieme al-la balia concordano difar incontrare i duesposi. Nel frattempo il casatodei Capuleti decide diaffrettare le nozze diGiulietta con il conteParide fissando la dataper il prossimo gio-vedì. Romeo e Giulietta passa-no insieme un'unica notte d'a-more, svegliati all’alba dal can-to dell'allodola, messaggera delmattino (che vorrebbero fosse ilcanto notturno dell'usignolo).Romeo fugge a Mantova. Lamattina dopo Giulietta appren-de dai suoi genitori della datadelle nozze con Paride ma alsuo rifiuto viene redarguita dalpadre, che minaccia di disere-

darla e cacciarla da casa. Giu-lietta chiede conforto alla suafedele Balia e poi, fingendo unravvedimento, manda questa achiedere ai suoi genitori il per-messo di andare a confessarsida frate Lorenzo per espiare iltorto fatto al padre con il suo ri-fiuto.Il quarto atto inizia con un col-loquio tra frate Lorenzo e Pari-de, che gli annuncia il matrimo-

nio con Giulietta pergiovedì. Immediata-mente giunge la ragaz-za, la quale per conge-darlo è costretta a farsibaciare da Paride. Poi sirivolge disperata a fra-te Lorenzo, esperto dierbe medicamentose.Quest’ultino escogitauna soluzione al dram-ma e consegna a Giu-lietta una pozione-son-nifero che la porterebbea uno stato di morte ap-parente.Nel frattempo il fratemanda il suo fidato as-sistente, frate Giovan-ni, a informare Romeoaffinché egli la possaraggiungere al suo ri-sveglio Giulietta. Tor-nata a casa Giuliettafinge la propria appro-vazione alle nozze madi notte beve la pozio-ne e si addormenta di

un sonno profondo, come mor-ta. Al mattino seguente la baliasi accorge della "morte" di Giu-lietta. La giovane viene sepoltanella tomba di famiglia dove ri-posano anche le spoglie di Te-baldo.Nel quinto atto Romeo viene asapere della morte della suasposa e disperato si procura unveleno con l'intento di dare l'e-stremo saluto a Giulietta e to-

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L’ANGOLO DELLA POESIA

di BIAGIO MARIN

a cura di Piero TarticchioLL’’AArreennaa ddii PPoollaa::”Come eravamo” - Cultura, Arte, Fatti e Tradizioni

di LUCIA BELLASPIGA

CCoossìì rreessiissttee ll’’iissttrriioottoo,, ““ffaavveellàà””

ddii uunn ppooppoollooLucia Bellaspiga (nella foro sopra), parla

dell’antico dialetto istrioto in procinto di essereinserito nel “Red Book of seriously

endangered languages”, il libro rosso degli idiomiquasi scomparsi e quindi patrimonio dall’Unesco.

El FaroGera una volta, in meso del palù,un faro vecio duto carolao;la dosana lo veva colegao,ma ben o mal el steva incora su.

Ma che bei timpi quili in zoventùcò i lo veva piantao la sul canal,vestio de rosso comò un gardenalcol sielo vasto e alto a tu per tu.

Che festa alora cussì drito e novoper sfida messo a ninbi e fortunali;duto 'l mondo riflesso in t'i fondali,duto quel mondo belo 'l gera sovo.

Vigniva a gara i ciapi de corcalisu la so testa a coronalo in bianco;elo, da re, el steva drito e francoin meso al svolo dei bei vassali.

E 'l sol, che festa! e l'aqua, quanti basi!che notade cò l'aqua verdulina!basi la sera, basi la mantina:e quela rispondeva tasi, tasi.

Po, co la gera stanca, 'l palo rossospecieva drento de ela la so fiamae comosso al penseva: si la me ama...e gera sogni in quel so cavo grosso.

Cussi sognando 'l se desmenteghevadei nuoli colorai e de le stelee no 'l vegheva più passà le vele,perso in t'el baucà de la so freva.

E 'na vogia i vigniva tormentosade colegasse su quel'aqua queta;ma l'aqua la diseva: speta, speta,colorandosse duta de un bel rosa.

Colegasse su ela e puo 'ndà vialontan, per sempre, fra i so brassi moli,comò che 'ndeva via pel sielo i nuoli,cò la luse festosa in conpania!

Senpre più zoso, senpre più sbandao,senpre più stanco, senpre più sbiadio,el vecio faro un dì ze 'ndao con Dio,perchè l'amor lo veva consumao.

C’era una volta nel mezzo della palude,/ un faro vecchio tuttotarlato;/ la marea lo aveva inclinato,/ ma bene o male restavaancora su.// Ma che bei tempi quelli della gioventù / quando loavevano piantato lì sul canale,/ vestito di rosso come uncardinale / col cielo vasto e alto a tu per tu.// Che festa alloracosì diritto e nuovo / messo per sfidare i nembi e fortunali;/tutto il suo mondo riflesso nei fondali,/ tutto quel mondo belloera suo.// Facevano a gara i voli dei gabbiani / sulla sua testa acoronarlo in bianco;/ lui, da re, restava dritto e franco/ nelmezzo al volo dei suoi bei vassalli.// E il sole che festa! e l’acquaquanti baci!/ che nottate con l’acqua verdolina!/ baci alla sera,baci alla mattina:/ e quella (gli rispondeva) taci, taci.// Poi nei momenti di calma, il palo rosso/ specchiava in lei la suafiamma/ e commosso pensava: sì lei mi ama…/ e erano sogninella sua testa grossa.// Così, sognando, si dimenticava/ deinuvoli colorati e delle stelle/ e non vedeva più passare le vele/perso nel farneticare della sua febbre.// E una voglia gli venivatormentosa/ di stendersi su quell’acqua quieta/ ma l’acqua glirispondeva, aspetta, aspetta/ colorandosi tutta di un bel rosa.//Stendersi su di lei e poi andare via/ lontano, per sempre, fra lesue braccia molli/ come vanno via per il cielo i nuvoli/ con laluce festosa in compagnia!// Sempre più in basso, sempre piùinclinato,/ sempre più stanco e sempre più sbiadito,/ il vecchiopalo un giorno è andato con Dio,/ perché l’amore lo avevaconsumato.

Lucia Bellaspiga, giornali-sta della testata “Avveni-re” ha gentilmente con-

sentito l’utilizzo di un suo arti-colo apparso il 22 novembre,del quale proponiamo ampistralci, un reportage su di un te-ma che analizza un aspetto del-la cultura istriana, quello del-l’antico dialetto istrioto. Lucia èun raro esempio di quella se-conda generazione che ha in-troiettato il dramma dell’esododella prima, diventandone unatestimone attiva, impegnata asollecitare, a promuovere ini-ziative, programmi, contatticon le comunità italiane, e conl’autorità locale attraverso loro,avendo come stella polare il ri-pristino della cultura italiananei luoghi dove ha dominatoper secoli. Inoltre è nostra ca-rissima amica, ci legge da tem-po e ha anche espresso giudizifavorevoli: da professionistaqual’ è ne possiamo andar fieri.

Come gli ultimi dei Mohi-cani. Seduti al banco,con quaderni e diziona-

ri, come fossero scolari, anchese i capelli spesso sono bianchi.Si consultano, confrontano vo-caboli e pronunce, recitanoproverbi ereditati dai bisnonni,traducono poesie e canti. Sonogli ultimi a ricordare l’“istrio-to”, una lingua autoctona del-l’Istria meridionale consideratadall’Unesco in grave pericolodi estinzione e perciò inseritanel “Red Book of seriously en-dangered languages”, il librorosso degli idiomi quasi scom-parsi. Per questo sono stati con-vocati in Istria: per richiamarein vita un idioma prima che sispenga per sempre. Oggi resi-ste solo in sei località: Rovigno,Valle, Dignano, Gallesano, Sis-sano e Fasana, e sarebbe affida-to alla memoria degli anzianidel posto se… non fosse che al-la fine della seconda guerra

mondiale l’esodo degli italiani,in fuga dal nuovo regime jugo-slavo, svuotò l’Istria e, nelladiaspora, gli esuli portaronocon sé, dovunque, anche la par-lata; si stima che oggi, nel mon-do, siano in tremila a parlare l’i-strioto, in gran parte sul territo-rio italiano. Spiega il presidentedella CI di Sissano, Paolo De-marin “Sono loro ad aver man-tenuto l’istrioto originale, per-ché chi va lontano cristallizza lalingua senza più modificarla;per questo abbiamo deciso dimettere a confronto i nostri re-sidenti e coloro che partironoper il mondo; tocca a noi giova-ni tenere in vita il patrimonioidentitario dei nostri nonni”. Ed ecco il “Festival dell’Istrio-to” che ha riunito i “Rimasti” egli “Andati”, raccolti tappa do-po tappa da un pullman partitoda Torino e passato per Nova-ra, Milano, Padova e approdatoa Sissano con il suo carico dianziani, ma anche di figli e ni-poti che in casa hanno impara-to un istrioto rimasto inalteratodal 1945. Tre giorni di laboratorio lingui-stico hanno riportato alla me-moria vocaboli e proverbi delfavelà quasi dimenticati. Tra i testimoni più attivi c’è ilmaestro Luigi Donorà, 84 anni,direttore d’orchestra e compo-sitore, arrivato da Torino. Per decenni ha raccolto daglianziani i canti della tradizionepopolare della sua terra e li haarmonizzati. “Sono partito esu-le da Dignano e a Torino hosempre parlato bumbaro (laversione dignanese dell’istrio-to), con mia figlia Giuliana stoscrivendo un dizionario dei no-stri vocaboli” “Qui al Festivaldi Sissano - dice Giuliana - è co-me mettere la macchina dell’os-sigeno a un malato e vedere sesi rialza; sono felice di osserva-re in una sola aula tante perso-ne appassionate e di tutte le età;

le differenze tra le sei parlatesono evidenti, è interessante.L’ulivo, a Dignano, è il vulèio, aValle l’ulìo, l’insalatiera a Rovi-gno è la puàdana a Sissano lapiàdina. Un istrioto unitario inrealtà non esiste”. Come si ve-de, la similitudine con il venetoè molto parziale e non bastacerto a spiegare le origini di unidioma che è sì romanzo (l’I-stria era regione romana), mabasato su un substrato istro,con apporti lasciati dalle variedominazioni: bizantina, longo-barda, veneziana, austriaca, ita-liana. Fu il glottologo Graziadio IsaiaAscoli a coniare per il favelà iltermine “istrioto”, nato quindia tavolino. Il dibattito sulle origini è anco-ra aperto nell’ambito degli stu-diosi, storici e linguisti, sullasua origine; persino la politicalo ha orientato, nel primo nove-cento, tra coloro che sottolinea-vano la matrice veneta e, daparte slava, l’originalità rispettoai dialetti italiani.Quel che è certo è che per secolila lingua è stata solo orale e, cu-riosamente, la prima testimo-nianza scritta risale al 1835 e sideve al canonico Pietro Stanco-vich, che tradusse la paraboladel Figliol Prodigo così: “Ounomo al viva du fiuòi. El piounpeicio da luri ga deis a su pa-dre: misàr pare, dime la partode la ruoba ca ma tuca” – dam-mi la parte di patrimonio chemi spetta. E ora? “Dopo questo festival –spiega Demarin – il prossimoobiettivo è far dichiarare uffi-cialmente l’istrioto “patrimo-nio culturale immateriale” daparte della Repubblica di Croa-zia, delle Regione Istriana, deisei comuni in cui è parlato edella intera realtà italofona,quindi della Repubblica Italia-na, così che venga tutelato”.Un’annotazione particolare suFasana, dei sei il comune piùcolpito dall’esodo; in quantoimbarco per Brioni, luogo vil-leggiatura preferito dal mare-sciallo Tito, quindi il più “jugo-slavizzato”, non è stato possibi-le trovare alcun fasanese di ma-drelingua in vita da partecipareal festival; “speriamo che ne ri-manga ancora qualcuno nelladiaspora, là fuori in qualche an-golo del mondo” è stato il com-mento.

Questo articolo ridotto da Fu-rio Dorini è apparso su “La Ca-ravella” n.71. - Sotto: il mani-festo del Festival.

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8 L’ARENA DI POLA n. 4 del 30 APRILE 2020

Ancora auguri!Gentilissimi Tutti, anche se quest’anno le festività saranno totalmente diverse a tutti va il nostro più caloroso augurio di BUONA PASQUA. Con i più cordiali saluti

Amina Dudinewww.danteisola.org

Comunità degli Italiani “Dante Alighieri” di Isola d’IstriaSeppur in ritardo, ma per cause indipendenti dalla nostra volontà, contraccambiamo gli auguri, anche nell'auspicio che possano arrivare tempi migliori (VF)

Alla ricerca del padreVilma Tomaro ci scrive chiedendo notizie su suo padre, Antonio Feletti. Le informazioni in suo possesso sono po-che e frammentarie: nato intorno al 1920/30, probabilmen-te a Cherso, da dove è esiliato durante (o dopo) la secon-da guerra mondiale in Italia. Qui è stato accolto nel campo profughi di Aversa (CE), dove ha incontrato Giuseppina, la madre di Vilma. Visse in quel campo profughi per diverso tempo negli anni '50, nel 1957/58, dopo aver ricevuto un'offerta di lavoro dall'Australia, emigrò in quel continen-te, dove risiedeva già uno dei suoi fratelli ... e poi le sue tracce sono andate perdute!Chiunque abbia notizie o informazioni è invitato a mettersi in contatto con la figlia, che lo sta cercando da molti anni, al seguente indirizzo: [email protected] Signora Vilma ringrazia per qualsiasi informazione utile per risolvere il problema.

Una notizia da pubblicareCome ci scrive Giorgio Varisco e che volentieri pubblichia-mo.L’Ateneo Veneto di Scienze, Lettere ed Arti di Venezia bandisce la VII edizione del concorso “Achille e Laura Gorlato”. Il premio è stato indetto per legato testamentario dalla prof. sa Laura Gorlato, socia dell’Ateneo, per onora-re la memoria del padre Achille, storico ed etnografo istria-no. (…) Il premio biennale di € 3.000 (tremila) sarà asse-gnato a uno studio inedito e originale, contenuto tra le cento e centocinquanta cartelle di duemila battute ciascu-na, su argomenti di storia istituzionale, artistica e culturale, di antropologia e di geografia economica e umana delle Venezie e dell’Istria. (...) Le domande dovranno essere presentate entro e non oltre il 23 novembre 2020. Con-tatti: [email protected].

Un augurio di tutto cuoreOggi mia mamma Carmen esule da Pola compie 94 an-ni. Non la vedo da due mesi per l'isolamento, che com-pleanno assurdo. Ma auguri, mamma!

LuciaAUGURISSIMI alla nostra si-gnora Carmen Bellaspiga, benvoluta da tutti noi uniti in un sincero abbraccio, anche se solo virtuale per causa di forza maggiore. (VF)

Un incontro ed un salutoBuona sera Viviana, mi chiamo Marco Rompato, sono na-to a Udine nel 1934 ma ho vissuto tutta la mia infanzia a Fiume (anzi a Cantrida) dove mia madre era maestra e mio padre militare, ho vissuto a Fiume fino al '44-45, e, da bambino ho vissuto il periodo dell' occupazione prima dei tedeschi, poi dei bombardamenti, e anche l' arrivo dei titini. i miei ricordi sono quelli di un bambino ma risento ancora il senso di angoscia che provavo alla vista dei soldati di Tito. L' esodo fu difficile, più volte cercammo di raggiungere Trieste su mezzi di fortuna, alla fine riuscimmo a lasciare Fiume e arrivare a Tarcento dove avevo i miei nonni ma-terni. Ed ecco perché quando ho letto della cerimonia che

si è tenuta proprio a Tarcento dove ho vissuto la seconda par-te della mia infanzia non ho resi-stito a contattarti e a esprimerti il

mio rammarico per non aver potuto partecipare all' incon-tro, ma spero …Grazie gentile amico per l'attenzione e la stima. Sono cer-ta che passati questi momenti bui, non mancherà l'occa-sione per un'altra possibilità di condivisione ed approfon-dimento di momenti non solo di storia ma anche di grandi emozioni. (VF)

W San MarcoA Orsera, il primo merendin al scoio de San Sorsi-Giorgio. Tutti attraversavano quel breve tratto di mare e la Messa i canti le chitarre i giochi dei bambini le ciacolade, infinite, gli scherzi le remenade: l’essere tutti insieme, paese co-munità, ancora una volta con la protezione di San Marco.

Annamaria CrastiPoche righe che significano tanto e grazie per aver condi-viso questo ricordo (VF)

Tempi difficil ed il messaggio fiumano

FIUMANI SPARSI IN ITALIA.. NEL MONDO.. A FIUME.. E AMICI NOSTRI! In questi tempi difficili ricordare ci aiuta sempre! Un pensiero particolare agli amici che stanno a Bergamo e dintorni. È questa Fiume esule in Italia e nel mondo, la Fiume minoritaria oggi in città che fanno anche parte, a pieno titolo, della capitale europea della cultura 2020. In allegato due foto 1) Nascita della Lega Fiumana di Napoli 3 dicembre 1950 – (tra le due bandiere Mario Stelli il primo presidente di quella lega e papà di Giovanni Stelli) 2) Pallacanestro femminile a Fiume anni ’30 – Fina-le del campionato italiano di I divisione – Dopolavoro fem-minile “Silurificio Whitehead” contro Dopo lavoro “BER-GAMO”. Auguri di italianità fiumana a tutti voi dall’Archivio Museo di Fiume!

Marino Micich

Importante comunicazione di servizioSottolineando l'attenzione che va senz'altro riservata all'informazione, pubbichiamo la nota pervenuta tramite Marino Micich, in collaborazione con l'ANVGD di Milano. La limitatezza dello spazio redazionale non ci consente di pubblicare l'elenco nominativo completo, più avanti men-zionato e riferito a 124 tombe. I contatti di riferimento per

Ci scrivono maggiori e più dettagliate informazioni, oltre all'indirizzo mail sotto riportato, rimangono quelli dei mittenti della no-ta: "MILANO COMITATO ANVGD"<[email protected]> e Marino Micich della Società di Stu-di Fiumani [email protected] lo spirito di fare cosa utile e gradita, in particolare per chi proviene da Fiume o discendente di Esuli Fiumani se-gnaliamo che il Comune di FIUME ha approntato una lista di Tombe, del Cimitero di COSALA, che verranno consi-derate abbandonate in quanto non si hanno più i riferi-menti di eredi e/o proprietari. Pertanto gli Esuli o loro di-scendenti che riscontrano interesse nell'elenco allegato si possono eventualmente attivare per evitare che la tomba venga venduta. Chi conoscesse eventuali eredi faccia da portavoce e informi gli eventuali interessati. Tutti si posso-no informare scrivendo una e-mail, in italiano, direttamen-te al cimitero. Di seguito l'indirizzo: [email protected]

BenvenutoLorenzo!

Un arrivo importante a Chioggia nella famiglia Pugiotto, di origini istria-ne e di cui avevamo rife-rito a suo tempo in meri-to alla circumnavigazio-ne dell'isola di Cherso in kayak. Speciale la culla che il nonno ha predi-sposto per il tanto atteso nipotino, a cui rinnovia-mo i nostri auguri di buo-na navigazione in acque sempre serene. (VF)

Antichi ricordi fra Pola e RovignoMi chiamo Riccardo Rossi, sono un giornalista missiona-rio, sono nato a Napoli da Antonia e Arturo. Mio padre è nato a Pola nel 1937 e ha vissuto i primi anni della sua vita con la sorella Pierina e con la mamma Maria Paliaga a Rovigno in Istria. Mio nonno Ubaldo, che era un marinaio italiano, invece in quegli anni era prigioniero in Africa degli inglesi. Mio padre ha pochi ricordi della sua prima infan-zia, racconta di quando andava al mare con uno zio a catturare grossi granchi. Ricorda anche che nel 1944 suo zio Giordano, fratello di sua mamma Maria, li avvisò di scappare subito perché lì erano in pericolo di vita. Mia nonna Maria prese con sé i due figli e andò a Napoli, città natale di mio nonno, dove vennero ricoverati all’Albergo dei Poveri. Tornato Ubaldo in Italia dalla prigionia si ricon-giunse con la moglie, ma ben presto i due si separano. Nacquero le prime incomprensioni, che col tempo sfalda-rono la famiglia. Maria tornò in Istria dove partorì un’altra figlia, Silvia; Ubaldo si rifece una nuova vita. La piccola Pierina fu cresciuta dalle suore, mio papà fu messo in ri-formatorio e a 16 anni si arruolò nella marina italiana. Ar-turo da adulto si è sposato, ha avuto tre figli (Riccardo, Maurizio e Renato), ma con il tempo ha tagliato tutti i ponti con i parenti, anche con le sorelle Pierina e Silvia. Io sono cresciuto con il desiderio di conoscere i miei parenti che mi erano stati negati a causa di rancori di altri e di vedere almeno una volta i luoghi dove aveva vissuto mio padre da piccolo. Non era facile, non avevo riferimenti precisi, tranne qualche sbiadito ricordo di due cugini Nino e Clelia, figli di mia zia Pierina. Un giorno nel mio profilo social mi arriva un messaggio “Buonasera volevo chiederti se sei il figlio di Arturo Rossi?”. A contattarmi era proprio mio cugi-no Nino, che mi ha individuato grazie alla mia somiglianza al nonno Ubaldo. Organizziamo così un incontro a Vero-na, dove già da anni i miei genitori si erano trasferiti e do-ve scopro che vivono anche mia zia Pierina e due mie cu-gine, a pochi passi gli uni dagli altri. E così dopo 46 anni ci siamo finalmente riuniti. Che emozione! Con Nino deci-diamo allora di programmare un viaggio in Istria alla ricer-ca delle nostre radici. Con le rispettive mogli ci dirigiamo a Rovigno per incontrare Gianfranco Paliaga, 72 anni, figlio di zio Giordano, colui cioè che ha salvato la vita a nostra nonna e ai due figli, avvisandoli di scappare. E’ stato emo-zionante conoscere Gianfranco, sentirlo parlare del suo lavoro di pescatore e dei nostri parenti, della nostra bi-snonna paterna Santa Fonio, che aveva un panificio a Rovigno, che le consentiva una vita agiata.Rovigno è una cittadina veramente bella, dove si mantie-ne ancora la lingua italiana in tanti cartelli. Siamo andati nel luogo dove ha vissuto mio padre da piccolo, è stato tutto molto intenso, come se avessi recuperato una parte di me. Tornando a Palermo alla Missione Speranza e Ca-rità, che ospita più di mille persone, tra cui tanti migranti, dove opero occupandomi della comunicazione, ho riflettu-to sul fatto che da figlio di profugo capisco molto di più chi scappa dalla guerra, dalla fame o solo per la speranza di una vita migliore. Capisco quanto sia importante avere una memoria storica per non ripetere più certe nefandez-ze. Ringrazio Dio per avere ritrovato tanti familiari e per-ché il mio vissuto mi ha permesso di diventare empatico e di lottare con tutte le mie forze perché ogni uomo sia sem-pre accolto dignitosamente.

Riccardo Rossi Gentile Riccardo, con piacere pubblichiamo la tua storia contando, come già successo, di poter contribuire a farti ritrovare ancora altri amici e parenti. Buon proseguimento nel 2020. VF

Il 22 aprile di quest’an-no si celebra il 55° an-niversario della morte di Pier Antonio Qua-rantotti Gambini, narratore e giornalista figlio dell’Istria. Quarantotti Gambini venne a mancare prematuramente nel 1965 ad appena 55 anni, a causa di un infarto provo-cato da un’accesa discussione in un salotto di quella Venezia che lo vedeva ospite dopo l’esodo, in una sorta di volontario esilio che lo portò a dedicarsi quasi esclusi-vamente alla scrittura. Nato a Pisino nel 1910, figlio di rovignese e di capodistriana, Pier Antonio trascorse l'in-fanzia e l'adolescenza a Semedella, presso Capodistria, luogo evocato spesso nelle sue creazioni letterarie. Du-rante la Seconda guerra mondiale, Quarantotti Gambini, trasferitosi a Trieste, venne incaricato della conduzione della biblioteca civica Attilio Hortis. Al termine del conflit-to si stabilì a Venezia, ove diresse per quattro anni (1945-1949) Radio Venezia Giulia, emittente prettamen-te antijugoslava e finanziata dalla Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi. Sempre negli anni immediatamen-te successivi alla fine della guerra, Quarantotti Gambini conobbe il successo del grande pubblico grazie al suo romanzo più famoso, “L'onda dell'incrociatore”. La fama dello scrittore si consolidò negli anni successivi, grazie ad alcune pregevoli opere di narrativa fra cui “Amor mili-tare” (1956), “Il cavallo di Tripoli” e soprattutto “La calda

vita” (1958). Negli anni Cinquanta e Sessanta si dedicò anche alla saggi-stica e al giornalismo:

“Primavera a Trieste” (1951), “Sotto il cielo di Russia” (1963), e “Luce di Trieste” (1964), sono opere che ebbe-ro poi una certa diffusione in Italia e all'estero.La vicenda personale di Quarantotti Gambini si configu-ra come quella di un autore irregolare rispetto ai canoni stereotipati del suo tempo. Come usava sostenere lui stesso parlando di sé «Se un giorno dovessi scrivere la mia autobiografia, la intitolerei “Un italiano sbagliato”. Come uomo, sento di essere qualcosa di simile a uno straniero in Patria. Proprio quel modo di essere e di pen-sare che poteva fare di me un cittadino normale in un’i-potetica Italia un po’ nordica e molto europea, mi mette fuori fase tra la maggior parte dei nostri connazionali». Parole che meglio non potrebbero descrivere i senti-menti provati nei decenni da tanti istriani, fiumani e dal-mati nei confronti della tanto anelata madrepatria, un’Ita-lia cercata fino allo stremo ai tempi della dominazione asburgica fino a idealizzarla con qualcosa che in realtà non era, scoprendo così sulla propria pelle nel corso de-gli anni che la loro Italia, così come molti l’avevano so-gnata, in realtà non esisteva.

Renzo CodarinPresidente ANVGD

Quarantotti Gambinipatriota istriano ma "italiano sbagliato"

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L’ARENA DI POLA n. 4 del 30 APRILE 2020 9

Il 10 maggio 2010 mio padre ci ha lascia-to, è “andato avanti”.

Sarebbe dovuto morire a di-ciannove anni nella foiba di Fianona, in Istria, ma il Si-gnore gliene ha regalati altri sessantacinque.Per la nostra famiglia, per gli esuli istriani, per i famigliari delle vittime delle foibe ha sempre rappresentato una voce, un simbolo di quella tragedia che solo molto tardi ha potuto testimoniare.E quel silenzio sofferto, pe-sante, assurdo, imposto dalla situazione politica del tempo, durato decenni è stato per lui una seconda profondissima voragine in cui vedeva inghiottito il dramma che quotidianamente riaffiorava nella sua mente.Ricordo che mi raccontò per la prima volta solo una par-te della sua terribile storia, quando stavo terminando l’Università. Non capivo il perché di tanta ferocia in quel-la storia. Sì, le guerre sono mostri orrendi, ma quello che mi si presentava andava ben oltre ciò che immaginavo in un fronte di guerra.Papà mi mostrò le foto dei corpi degli infoibati recuperati dai Vigili del Fuoco, su cui belve, non uomini, si erano accaniti. Inorridivo incredula e decisi di non affrontare

Cara SILVANA, da un anno ci hai lasciato. Il ricordo della tua persona rimane intatto, sigillato dai

preziosi doni d'affetto ed amicizia che ci hai generosamente affidato.

Con affetto FAMIGLIA GRUBISSA ANGELAROSANGELA e ROBERTO

Un ultimo saluto aVittorio Minisci

Il 16 marzo 2020 è scomparso a Milano il caro Vittorio Minisci, marito di Marina Rangan che è esule da Pola ed è stata per lungo tempo Consigliere del Libero Co-mune di Pola in Esilio e del Comitato di Milano dell’ANVGD. A Marina Rangan ed ai Famigliari l’AIPI-LCPE presenta sentite condoglianze per la grave per-dita.

Tito Sidari

LA MEMORIA

più quell’argomento. Non mi piaceva parlarne.

Capii dopo, molto tempo do-po. Quello che lui cercava di raccontarmi non era la “sua storia”, era un pezzo impor-tantissimo della “nostra Sto-ria italiana”, sconosciuto, ne-gato, oscurato, seppellito per decenni insieme ai morti. Era la storia di migliaia di italiani massacrati in modo barbaro, bestiale, orrendo e fatti scomparire nelle viscere del-la terra.Era la storia di centinaia di migliaia di italiani costretti

dalle circostanze politiche del tempo ad abbandonare la propria terra, le proprie cose, i propri affetti, ad andare profughi in Italia e nel mondo.Nel suo libro “Foibe: ultimo testimone”, composto poco prima di morire, papà ha lasciato in eredità a tutti noi la sua storia allucinante insieme a quella dei Martiri delle Foibe e delle Vittime dell’Esodo. Se la portava scritta dentro da quel lontano 14 maggio 1945. Il suo ultimo re-galo.Il nostro ricordo possa restituire a tutti loro ciò che il si-lenzio, l’indifferenza, la negazione hanno tolto.

Raffaella Udovisi

Con rammarico comunico la recente prematura scomparsa della Dottoressa CHIARA VEGGIAN,

figlia di polesani. Il padre lavorò per lunghi anni come bibliotecario del Collegio Navale Francesco Morosini di Venezia. Viveva tuttora nel sestiere di Castello, in

una delle case assegnate agli esuli istriani di Venezia nel 1970. Pazienti e amici ricordano soprattutto il suo essere medico nel senso più profondo del termine.

In suo ricordo da ROMANA DE CARLI€ 10 pro “Arena”.

A dieci anni dalla scomparsa di Graziano Udovisi

L'abbraccio mancato a don Albino Sossa

Come si legge nel quotidiano triestino, proprio in coin-cidenza con il cinquantanovesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale, è mancato don Albino Sossa, 86 anni, vittima anche lui del micidiale Co-vid-19. Esule da Matterada, era arrivato in Piemonte, dove divenne sacerdote a Bollengo (To) il 25 marzo 1961. Insegnante e direttore di oratori salesiani, dopo aver operato per quattro anni come missionario in Ni-geria, si stabilì a Vigliano Biellese, dove fu vicario par-rocchiale, curando vari incarichi pastorali e seguendo con spirito salesiano le attività dei giovani. I funerali si sono svolti in forma strettamente privata a Torino, in ot-temperanza alle disposizioni ministeriali e della curia vescovile. La salma è stata traslata momentaneamen-te nella tomba dei salesiani di Muzzano, sempre nel biellese, per poi essere tumulata nel cimitero di Sant’Anna a Trieste nella tomba dei confratelli salesia-ni.

Lutto a FertiliaÈ mancata a Fertilia Daria Battaia in Muzul, profuga da Fiume. In FB Mauro Manca le ha rivolto il suo ultimo saluto.Era arrivata a Fertilia con i miei nonni dopo che aveva-no condiviso tre anni e mezzo di campo profughi nel carcere militare di Gaeta, dove è nata mia madre. Quando mio nonno ed il marito di Daria, Otto Muzul, sono arrivati a Fertilia in “avanscoperta” hanno manda-to alle famiglie un telegramma che diceva: - Trovato Paradiso Terrestre. Venite subito.Per loro, amanti della pesca subacquea mio nonno Ma-rio Kucich e della caccia Otto, era veramente un para-diso; per le mogli quel luogo selvaggio e poco abitato, abituate ad una città come Fiume, non fu altrettanto fa-cile. Una donna forte e determinata, classe 1925, che lascia un grande vuoto nella nostra comunità. Una del-le ultime testimoni che, tuttavia, non amava molto par-lare dei suoi ricordi. Un carattere forte ma riservato. Un caro abbraccio.

Ci ha lasciato a 96 anni d’età, ma ancora lucido e partecipe delle vicen-

de dell’associazionismo della diaspora adriatica, Honorè Pi-tamitz. Esule da Zara e trapiantato in Lombardia, Pitamitz fu tra i pa-dri fondatori dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, di cui è stato per molteplici mandati Consigliere nazionale oltre che Presidente del comitato provinciale di Va-rese. Generoso nel sostenere i giuliano-dalmati durante il non sempre facile inserimento nel nuovo contesto sociale d’insediamento, ironico e at-tento osservatore delle vicende italiane, ha poi svolto un ruolo importantissimo anche in seno al Libero Comune di Zara in Esilio, con particolare riferimento alla capacità di mantenere i contatti con i dalmati che l’esodo aveva

sparpagliato in tutto il mondo. Le sue testimonianze, le sue ricerche sulla storia delle terre dell’Adriatico orientale e l’atti-vismo nelle nostre associazio-ni (è stato presente pure all’ul-timo raduno dei dalmati) rap-presentano un patrimonio che aveva già trasmesso alla figlia Diadora (referente regionale dell’A.N.V.G.D. in Lombardia) e che oggi noi tutti siamo chia-mati a portare avanti anche nel rispetto della sua memo-ria. Assieme ai grandi rappresen-tanti dell’esodo dalmata venuti a mancare in questi ultimi anni (Silvio Cattalini, Lucio Toth e

Tullio Vallery), Honorè è tornato nella sua Zara, cui è sta-to sempre profondamente legato.

Renzo Codarin Presidente ANVGD

Addio a Honorè Pitamizpunto di riferimento e memoria storica degli esuli

Honoré Pitamitz è mancato a Varese il 14 aprile 2020. La nostra associazione AIPI-LCPE si stringe con profondo do-lore ai famigliari, in particolare alla Si-gnora Piera e alle figlie Marina e Dia-dora. Nato da famiglia zaratina ad An-tibes il 1° aprile 1924, aveva appena compiuto i 96 anni contornato dai suoi famigliari, dopo qualche problema di salute. Chi lo ha conosciuto lo ricorda sempre presente e attivo nei momenti cruciali e nelle manifestazioni di italianità, sia per la inaugurazione di un monumento, con qualsiasi tempo, sia per la celebrazione del Giorno

del Ricordo negli anni più recenti. Esu-le da Zara nel pieno vigore della gio-ventù, giunse a Varese nel 1948; per lunghi anni fu la guida molto apprezza-ta del Comitato di Varese della ANVGD e Consigliere e poi Senatore dell’ADIM

- Libero Comune di Zara in Esilio. La figlia Diadora ne segue le orme come attivissima componente del Comi-tato di Milano della ANVGD. Però un altro nostro capo-saldo rimane sguarnito.

Tito Sidaripresidente AIPI-LCPE

La partecipazione dell'AIPI – Libero Co-mune di Pola in Esilio

Honorè Pitamitz all’età di 96 anni è tornato alla casa del Padre. Il “varesi-no “ della Dalmazia era molto cono-sciuto e stimato in città per il suo impe-gno culturale e storico. Spesso lo si poteva incontrare in Cor-so Matteotti, il “salotto buono” della città di Varese, per un commento sui recenti avvenimenti politici nazionali e internazionali o semplicemente per fare due ciacole. Nativo di Zara ed esule dalmata nella seconda guerra mondiale, dopo la prigionia in Germania, arrivò a Vare-se nel 1948. Fu tra i fondatori e punto di riferimento per il Comitato Provinciale dell’ANVGD, tanto da diventarne Presidente per molti anni. Suo successore fu Argeo Benco già sindaco del Libero Comune di Pola in Esilio.Honorè, da sempre partecipe, non ha mai smesso di essere presente sino all’ultimo giorno alle riunioni del direttivo. La sua visione e il suo impegno costante gli hanno permesso di creare, durante il suo periodo di pre-sidenza, grandi raduni di esuli sul territorio e di dar vita ai primi importanti segni di presenza. Si è anticipata così di gran lunga la legge del giorno del ricordo, facen-do conoscere alla città di Varese e alla sua provincia una storia appartenente a tutta l’Italia. Infatti nel cimitero monumentale di Belforte a Varese, sulla parete del Sa-crario dedicato ai caduti, c’è una grande targa di marmo posta durante un suo anno di presidenza. La targa reci-ta: “Agli Istriani Fiumani e Dalmati caduti in guerra, infoi-bati, scomparsi tutti in esilio in patria e nel mondo. 1947-

1992 nel 45° dell’Esodo l’ANVGD Va-rese”. Ogni anno, durante la Celebra-zione della ricorrenza del 2 Novembre, di fronte a questa lapide il Comitato, con la presenza di tutte le autorità civi-li, militari e religiose della città e della

provincia, depone una corona di alloro e si raccoglie con gli Esuli in un momento pubblico di riflessione e pre-ghiera.Honorè incarnò perfettamente lo spirito dalmata, man-tenendo per decenni intensi legami epistolari con diver-si esuli di Zara in tutti i continenti. A Varese inoltre riuscì a coltivare e mantenere rapporti di stima e amicizia con Ottavio Missoni, campione dello sport zaratino. In parti-colare Honorè è stato grande amico della pallacanestro dalmata e questo legame ha rappresentato un ponte con quella di Varese, mantenendo sempre forte la pas-sione per lo sport.Il Comitato di Varese - non appena sarà consentito - vuole ricordarlo assieme alla famiglia con le bandiere, le musiche e i canti della nostra tradizione. In quello spirito che lo ha sempre contraddistinto.Ci mancherai Honorè, grazie per i preziosi ricordi che ci lasci e per la forza con cui ti sei dedicato alla nostra amata storia.Lo ricordano Pier Maria Morresi Presidente del Co-mitato Provinciale ANVGD Varese e Giacomo Fortu-na Vicepresidente, prima e terza generazione degli esuli da Pola.

Il ricordo del Comitato ANVGD di Varese

Un saluto al"dotor in segadura"

Una gran bella persona ci ha lasciato: ARRIGO PE-TRONIO Maestro d'Ascia, nato a Pirano nel 1928, am-mirevole ed ammirato non solo per i traguardi che ha saputo tagliare, per la sua determinazione e la capacità di scelta di fronte ai bivi che la vita gli presentò; ma an-che e soprattutto per la vitalità e l'amabilità del suo porgersi. Anche lui ha rappresentato un tassello dell'I-stria che fu e che ha continuato altrove il suo futuro.In omaggio alla sua memoria, riproponiamo il link del video che, a suo tempo, avevamo allegato alla nostra Arena; in esso Arrigo Petronio si raccontava e parlava della sua passione... https://bit.ly/2rYlgLm

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10 L’ARENA DI POLA n. 4 del 30 APRILE 2020

Parlare del Sentiero Beato Francesco Bonifacio si-gnifica ripercorrere le tappe più importanti della vi-ta di questo sacerdote martire e dei luoghi in cui

egli è vissuto e ha svolto il suo breve ma intenso ministe-ro. Significa camminare e immergere il proprio corpo e il proprio spirito in un ambiente particolare in cui natura e storia si incontrano, per riflettere, rigenerarsi, cercare e trovare nuovo vigore e nuovi significati per la nostra vita. Significa anche rimeditare sulla nostra storia, quella vis-suta in anni dolorosissimi, nei quali il nostro Beato donò la sua vita a Cristo per rimanere fedele a Lui e alla gente. Significa ancora incontrare storie, volti e persone simili a noi, e con esse intessere nuovi rapporti per ricucire e ri-costruire quello strappo che la storia e la cattiveria degli uomini hanno prodotto.Sono veramente tanti i significati che si possono dare all’idea di percorrere questo sentiero, che da Trieste arri-va a Cittanova in 6 tappe, attraversando tre Stati: tra colline, mare e cielo, il sentiero tocca i luoghi principali della vita del Beato (il Duomo e il Battistero di Pirano, dove fu battezzato, i luoghi dove esercitò il suo ministero a Cittanova, Crassiza e Tribano, e infine il luogo del suo rapimento) e gli antichi segni della fede delle nostre terre (le catte-drali di san Giusto e san Nazario, la basilica di Muggia Vecchia), at-traversando luoghi do-ve la natura e il lavoro dell’uomo si incontrano (la riserva della Val Ro-sandra, le saline di Sic-ciole e Strugnano, la Parenzana).C’è però ancora un al-

NOTIZIE E SPIGOLATUREte ammirare non poche balene, mentre dei delfini si sono esibiti in danze spettacolari davanti a Spalato.Auguri!

Compleanno di un isolano famoso: il 26 aprile Nino Ben-venuti ha compiuto 82 anni.FiumeSi legge nella nota informativa inviata da Roma da Mari-no Micich, direttore dell’Archivio Museo di Fiume: “Rinviati sine die i programmi a Fiume della Società di Studi Fiu-mani come anche il raduno fiumano organizzato dall’A-FIM Associazione fiumani italiani nel Mondo per le giorna-te di San Vito (metà giugno 2020). La Società di Studi Fiumani, pur non essendo coinvolta ufficialmente in nes-sun progetto ufficiale organizzato dall’Ufficio per la Cultura di Fiume, dovrà anch’essa rinunciare quest’anno a orga-nizzare un convegno - in collaborazione con la Comunità degli italiani e l’AFIM - sul tema dell’esodo da Fiume (1945-1952), la ricostituzione delle organizzazione fiuma-ne in esilio e i rapporti, dopo il 1990, con la città di origine. Rinviato anche il concorso dei premi letterari “San Vito” per gli studenti delle scuole in lingua italiana presenti a Fiume.

Piemonte d'Istria

Anche quest'anno non è mancato l'appuntamento con la tradizione per la Comunità di Piemonte d'Istria, che ha or-ganizzato la "Rogazion de S.Marco", decima edizione della passeggiata libera a Piemonte d'Istria sugli antichi sentieri... Stante l'emergenza pandemia in corso, la crea-tività degli organizzatori ha ideato un programma virtuale nel corso della giornata, che ha visto una entusiastica adesione di 102 partecipanti. Il commento degli organiz-zatori a fine giornata: “anche questa è stata una gran bella Rogazione, con tanti amici che hanno voluto partecipare contribuendo in vario modo. Siamo stati in bella compa-gnia consumando le suole e... le tastiere”.BarbanaDopo l'ampio programma di iniziative realizzato lo scorso anno, l'emergenza virus quest'anno ha fatto rimandare a data da definire la tradizionale cerimonia celebrativa alla memoria del Venerabile Egidio Bullesi. Scrive Walter Ar-zaretti: Il Comitato “Ven. Egidio Bullesi” - coordinato dai frati nella persona di padre Marciano Fontana, che a Bar-

bana è vissuto ben 31 anni – attende di celebrare il cente-nario del “christifidelis laicus” cui l'Azione Cattolica, sia goriziana che triestina, saranno partecipi.TriesteDalla stampa locale si apprende che, compatibilmente con l'emergenza sanitaria conseguente alla pandemia Corona virus, per quest'estate è previsto al Museo dell'Irci l'avvio di una mostra dedicata all''ampia e variegata rac-colta di pregiati pezzi d'impronta marinara, appartenenti alla collezione del triestino Carlo Sciarelli. Come riportato dal quotidiano, tale piccolo grande tesoro stava per anda-re disperso in quanto la Casa d’aste Cambi di Genova stava per procedere alla messa in vendita. Guido Crechi-ci, presidente della storica azienda triestina Modiano, l'ha salvato con un’offerta che ha permesso di mantenerlo in toto a Trieste. Ad integrare la rassegna espositiva, è previ-sta anche una mostra dei principali elementi di pregio provenienti dall'archivio Modiano, che da poco ha festeg-giato i 150 anni di attività.SebenicoCome sottolinea Andrea Marsanich nel Il Piccolo di Trie-ste, l'assenza di traffico marino, conseguente all'emer-genza Covid-19, ha indotto grandi cetacei a risalire anche l'Adriatico. Così nel mare pulito e senza navi si sono potu-

tro significato nell’idea che sottende allo sviluppo di que-sto camminare, ed è quello di portare alla luce una storia – quella di don Francesco Bonifacio - che potrebbe es-sere definita carsica, come le terre che l’hanno ospitata. Perché, dopo il suo martirio, purtroppo poco si è saputo di lui, della sua azione pastorale, del suo amore per i poveri e per i giovani, della sua grande fedeltà al Vange-lo e alla sua gente. Come un torrente carsico, questa storia si è inabissata, nascosta come i suoi poveri resti, in modo che più nessuno potesse ricordarla. Questo è avvenuto sicuramente per paura, almeno nei primi anni dopo la scomparsa di don Francesco, ma anche per omertà o per fedeltà al giuramento di tacere fatto a quel tempo da chi sapeva qualche cosa.Ora però, con il contributo del Sentiero Beato Bonifacio e delle tante iniziative fatte in questi ultimi anni (nuove pubblicazioni, pellegrinaggi, incontri di studio e di pre-ghiera) la storia di don Francesco è riaffiorata, è divenu-ta motivo di ricerca, di riflessione, di voglia di conoscere, di sapere. Soprattutto voglia di approfondire la figura di questo semplice e umile sacerdote, ma vero gigante nel-la fede, per conoscere la sua spiritualità, i suoi insegna-

Sul sentiero Beato Francesco Bonifacio

menti ai giovani dell’Azione Cattolica, insegnamenti che hanno contribuito a formare veri uomini e donne e veri cristiani.C’è un’ultima, ma non secondaria considerazione fatta nell’anno del Grande Giubileo del 2000 dall’allora vesco-vo di Trieste, mons. Eugenio Ravignani: riguarda il tema della purificazione della memoria. Riferendosi alla dolo-rosa storia delle nostre terre, così ricordava mons. Ravi-gnani: «Anche questo secolo è davvero poca cosa, ma racchiude gli anni in cui l’uomo ha continuato a vivere le sue intime contraddizioni dibattendosi tra bene e male. […] Ha sognato un mondo senza confini e barriere tra i popoli, e nella violenza di guerre e conflitti ha seminato nuove ragioni di divisione e di odio. […] Ancor oggi nei nostri cuori ci sono ferite aperte che sanguinano. Non si tratta di rimuovere la memoria di questi fatti, bensì di pu-rificarla nel perdono chiesto e donato che apra nuovi spazi alla fraternità e alla concordia».Proprio a questo orizzonte, certo non facile, guarda an-che il progetto del Sentiero Beato Francesco Bonifacio, perché percorrendolo potremo incontrare persone e

genti che con noi condi-vidono questi obiettivi e, insieme, si potrà con-tribuire a costruire vera-mente un nuovo mondo di pace e di giustizia.

Mario Ravalicoe Giulio Bartoli

Per info: pagina Face-book Sentiero Beato Francesco Bonifacio o [email protected]

FOTO del gruppo di Isa Malve da Padova

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piuttosto il nome, che da solo dice tutto, rimasto ad altro villaggio, ovvero Germania, conseguente ai numerosi minatori sassoni impegnati a lavorare in quel giacimen-to. L’attività estrattiva portò in queste terre un certo be-nessere e, dopo fasi alterne che dal cinquecento la vide-ro più o meno attiva, venne abbandonata del tutto negli anni ’30 del ‘900.Sulla cima della collina e dei suoi 291 metri di quota, si

Cuore e saporenella cucina tradizionale istriana

La treccia pasqualeCari amic,i cari lettori, cara Direttore, ecco una treccia pasquale veramente squisita, ottima da gustare in qualsiasi momento dell'anno. INGREDIENTIPer l'impasto: gr. 600 farina 00, 1 cubetto lievito di birra, gr. 120 zucchero, gr. 120 burro, gr. 140 latte tie-pido, 2 uova più 2 tuorli, gr. 8 sale, scorza di limone Per il ripieno: gr. 350 noci macinate, gr. 80 zucchero, gr. 100 miele, gr. 50 burro, gr. 125 latte, 1 uovo, 2 cuc-chiai di rumPREPARAZIONESciogliete il lievito di birra nel latte tiepido e unitelo al-la farina ollo zucchero il burro morbido le uova e il sa-le. Mettere l'impasto i un luogo caldo a lievitare per almeno 2 ore. Preparate nel frattempo il ripieno: fate bollire il latte con il burro il miele lo zucchero le noci macinate Quando i composto è freddo aggiungere il rum e l'uo-vo e mescolare bene. Stendere l'impasto cm 45x50 e dividerlo in 3 strisce. Spalmare il ripieno di noci su ogni striscia in parti uguali arrotolarle e formare una treccia. Mettere nuo-vamente a lievitare per 40 minuti sempre al caldo( la temperatura è fondamentale negli impasti lievitati). Infornare a 180 gradi per 30 minuti.A metà cottura, per ottenere un bel colore dorato, spennellate la treccia con un uovo sbattuto con un poco di latte.Un caro abbraccio a tutti voi

Gemma Pizziga

LE RUBRICHE

C’è un paese in Istria, nel suo cuore più fertile, do-ve i tre elementi caratterizzanti il territorio istria-no si incontrano: a monte verso Nord-est trovia-

mo l’Istria bianca del calcare, a occidente l’Istria verde dell’arenaria che ben accoglie i boschi di latifoglie, a sud l’Istria della terra rossa ricca di minerali ferrosi, pratica-mente un tricolore.Questo paese è Sovignacco, piccolo centro abitato po-sto sulle immediate alture a sinistra del corso del Quieto lungo la strada che proviene da Pinguente e procede verso Montona.Sulla cima della collina che ospita il paese, anticamente esisteva un castelliere, testimone di un luogo dal quale facilmente si controllava la valle sottostante e che nel punto dove sale l’antico tracciato viario presenta oggi come allora una strozzatura naturale.Alla base dell’altura che porta a Sovignacco, nel XV se-colo molti abitanti del luogo erano impieganti nella minie-ra di San Pietro dalla quale si estraeva il vetriolo, sali di allume e pirite. Lungo queste contrade infatti troviamo testimonianza dell’antica pratica estrattiva nei nomi dei paesi del circondario. Non deve così meravigliare il visi-tatore la presenza di un paese denominato Miniera, ma

Giorgio Dendi,l'enigmista che conquista

Brillante, veloce, sinteti-co, essenziale, riesce ad affascinare anche

chi guarda con occhi estranei al complesso mondo della matematica. Ecco tracciato l'identikit di Giorgio Dendi, pluripremiato matematico ed enigmista di livello internazio-nale. Contattato per compli-mentarci con lui, dopo aver ammirato una sua partecipa-zione televisiva, abbiamo an-che scoperto le sue origini istriane. “Le mie radici sono di Pisino, al centro dell'Istria, però a Pola viveva una sorel-la della mia mamma” - precisa, aggiungendo anche di aver insegnato nel liceo Dante Alighieri della città, invita-to da un insegnante dell'istituto, che l'aveva ammirato durante una gara interscolastica a squadre. Dagli innu-merevoli traguardi vittoriosi raggiunti con i suoi allievi nel corso di ogni tipo di gara matematica, è conseguita an-che la proposta dell'università di Trieste di tenere le sue lezioni presso l'ateneo giuliano: antefatto questo che l'ha portato a concludere i suoi studi universitari. “Mi manca-vano 3 esami e mi laureai a Brescia per rimediare alla posizione di 'docente irregolare'. Era il 2000. Avevo vinto a Parigi i mondiali di giochi matematici, organizzati dall'I-talia per la Bocconi.” - racconta - “L'Italia partecipa ogni anno, meno che quest'anno per i noti motivi di emergen-za sanitaria.”- precisa, illustrando il meccanismo della selezione - “Generalmente in Italia ci sono all'incirca 50.000 candidati, provenienti da scuole di ogni ordine e grado. Dopo rigorose tappe selettive, rimane un ristretto numero di concorrenti ammessi alle finali parigine. C'è sempre una partecipazione triestina di livello”. Dopo il successo di quell'inizio secolo, cominciarono a convo-

carlo per allenare le squadre nostrane. Come il gruppo in-ternazionale che riuniva i candidati provenienti dall'a-rea, che da Treviso si esten-deva a Trieste e Pola. Colpi-sce il suo modo di porgersi, che incuriosisce l'interlocuto-re mentre spiega il procedi-mento per calcoli mentali ve-loci, anche di numeri a più ci-fre; oppure la creazione di giochi enigmistici, rebus o anagrammi. “Probabilmente anche il teatro ha contribuito a darmi i tempi giusti.” - ci spiega, precisando di far par-

te anche dell'Armonia, compagnia teatrale amatoriale - “Quando propongo un giochetto, lascio sempre un atti-mo di tempo per il ragionamento, prima di dare la solu-zione.” Impiegato bancario, istintivamente informatico fin dall'infanzia, la sua passione da sempre è rappresentata dalla matematica e da tutte le sue sfumature. Sempre di un entusiasmo contagioso mentre parla delle sue espe-rienze, osserva che purtroppo la superficialità fa dare frettolose risposte senza controllo. Ci racconta come i ragazzi restino affascinati nell'apprendere i suoi percorsi di calcolo veloci. “La grammatica ha verbi regolari e irre-golari, la matematica ha solo numeri regolari” - la sua osservazione. Vincitore di tutti i tipi di concorsi enigmisti-ci, campione italiano delle gare riservate agli autori della Settimana Enigmistica, campione di composizione critto-grafica, Cavaliere al Merito della Repibblica Italiana, an-che in questo periodo di isolamento ha organizzato dei corsi online per i suoi studenti. Gli abbiamo proposto di regalarci qualche appuntamento con l'enigmistica. Oltre al rebus allegato, ecco anche l'anagramma del Liceo di Pola dove ha insegnato e Dante Alighieri è diventato “hai

l'arte di geni”Viviana Facchinetti

raggiunge Sovignacco, dove si trova la parrocchiale di San Giorgio, sulla cui fiancata nord orientale si apre una vista spettacolare, che supera la vallata sottostante e guarda verso Stridone e le alture della Cicceria.Alberi maestosi circondano la chiesa, offrendo ombra e riparo; sulla piazza, l’antico lodogno è ancora oggi cono-sciuto come l’albero del consiglio, sotto il quale si riuni-vano gli anziani consiglieri, che poi suggellavano le loro decisioni presso la vicina osteria, ancora oggi attiva per dare ristoro al viandante di passaggio.Intorno le umili case sono la quinta teatrale della storia ormai passata, dell’occupazione dei Veneziani agli albori del Rinascimento, della presenza di un castello, oggi so-lo un cumulo di rovine, dove si trova il cimitero e che ri-troviamo nella toponomastica del luogo. Detto castello, insieme a quelli di Draguccio, Rozzo e Vetta, facevano parte della linea difensiva usata dai Veneziani per difen-dersi dalle incursioni degli Uscocchi.Quante vicende, quanta storia! l’Istria interna non smette mai di sorprendere ed insegnare a chi sa leg-gere nelle sue pieghe le umane gesta di chi ci ha preceduto.Chi ne conosce la lin-gua lo può leggere nella disposizione dei suoi assi viari, nell’orienta-mento delle case e della sua vegetazione, nei sottili segni grafici che i muschi e i licheni trac-ciano sulle pietre e sui tronchi secolari.

Cognomi istrianiL'appuntamento con Marino BonifacioGIRÀLDI Antico cognome duecentesco di Pirano, detto in origine e nel corso del tempo Giroldo / Ghi-rardo / Ghiroldo / Girardo / Giraldo, il cui capostipite non è Dominicus Giroldi attestato nel 1290, bensì il fratello Petrus de Ghirardo; questi ebbe tre figli, tra i quali Chiconus qm. Ghiroldi nel 1338, i cui discen-denti sono proseguiti dal ʼ400 come Giraldo e dalla fine del ̓ 500 quali Giraldi. Un componente del casato, Giovanni Battista Giraldi di Angelo da Pirano, dimo-rante a Umago, ha sposato a Isola il 27/8/1753 Fran-cesca di Bortolo De Grassi fu Giovanni, originando così i Giraldi umaghesi. Nel 1945 cʼerano 7 famiglie Giraldi a Umago; di esse oggi continuano ancora 2 a Umago, 1 a Morno, 1 a Metti, 1 a Zagabria, mentre altre 6 famiglie Giraldi umaghesi esodate vivono a Trieste, ove naturalmente la rimanente maggioranza dei Giraldi viene da Pirano. Adattatosi nel tempo al latino e al francese, Giràldo (detto anche Giròldo e Giràrd), Il cognome istriano piranese e umaghese Giràldi deriva dal nome di origine germanica Gerhardt / Gerhold “lancia potente”.

Tre per unaGli itinerari di Marina Parladori

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12 L’ARENA DI POLA n. 4 del 30 APRILE 2020

“Guarda che devi lavorarla meglio quella pasta” mi dice l a m a m m a mentre impa-sto. È difficile e la pasta si scre-pola. “Forse ho sbagliato qual-cosa o forse non la sto impa-stando bene” penso, mentre mia madre con-tinua a darmi direttive fino a che – dopo aver lavorato la pa-sta per almeno venti minuti – la

lasciamo riposare qualche ora perché possa lievitare. Un piccolo panetto dorato tutto liscio, dal dolce profumo di limone, che con il passare delle ore si gonfia e si allar-ga. “Ora lavorala di nuovo e falla bella tonda” mi dice mia madre e aggiunge “Non devono esserci buchi!”. Lavoro la pasta e le do la forma di una piccola pagnotta. Ora è pronta per il taglio delle forbici che incidono sulla rotondi-tà una specie di “Y”. È finalmente pronta per essere in-fornata. “Non aprire il forno per almeno mezzora e poi controlla”, continua a darmi istruzioni mia madre. Dopo una decina di minuti la casa si è già riempita del deciso e avvolgente profumo di quel dolce tipico istriano: la Pin-

za. Ore di preparazione e lievitazione per riavere indietro soltanto un vago ricordo di quella originale. Mi ricordo ancora quando, inebriante e da far venire l’ac-quolina in bocca, il profumo delle Pinze istriane invadeva l’androne delle scale nel condominio, qui in via Brigata Salerno a Genova. Trenta appartamenti per trenta fami-glie, tutte provenienti dall’Istria e da Fiume. Il dialetto, seppur mischiato ormai tra fiumani e polesani, sopravvi-veva al ricordo così come le tradizioni culinarie.Tutte le donne del palazzo – chi veniva da Fiume, chi da Pola e chi da Rovigno – cominciavano il sabato mattina e finivano la sera a cucinare per la Santa Pasqua del giorno dopo. Mia madre –nata a Genova, ma cresciuta in mezzo a quella comunità di esuli – si ricorda ancora quando da bambina sentiva alla sera tardi prima di andare a dormi-re il rumore del tavolo della vicina di sotto che, appoggia-to al muro, al movimento delle mani che lavoravano an-cora una volta la pasta delle pinze, sbatteva contro la parete.Certo i primi tempi qualcuno vedendole da fuori forse deve aver pensato ma quanti dolci cucinano? A Genova infatti la tradizione pasquale prevede una torta, ma sala-ta: la famosa torta Pasqualina, fatta con carciofi e uovo sodo. L’uovo sodo nelle case di via Brigata Salerno inve-ce veniva usato a Pasqua non certo per il salato, bensì per un altro dolce, le titole. Piccole trecce di pasta della pinza con incastrato l’uovo all’apice. Oltre ai dolci il menù di Pasqua comprendeva gnocchi di patate fatti a mano con il sugo di carne e come secondo

i crauti con il maiale e l’agnelletto. Quando mia madre era bambina la tradizione voleva anche che suo nonno comprasse un prosciutto ben stagionato e iniziasse a tagliarlo, rigorosamente a mano, già dalla mattina per una merenda a base di pane fatto in casa e un bicer de vin. Il nonno cercava solitamente di trovarne uno simile, ma non uguale purtroppo per gusto, a quello di Dignano. A Genova bisognava arrangiarsi un po’ con quello che si trovava. Le vicine di mia nonna che venivano da Fiume, ad esempio, erano solite cucinare le “sarme” per Pa-squa. Degli involtini ripieni di riso, carne macinata e ci-polla soffritta avvolti nelle foglie dei capuzi garbi, quasi del tutto introvabili a Genova. Per averle le donne del condominio se le facevano arrivare infatti da un paesino dell’entroterra ligure, Busalla, dove esisteva un’altra, più numerosa, comunità di fiumani che riusciva a preparale mettendo nelle botti di legno a fermentare sotto sale le teste dei capuzi interi.Tradizioni e sapori che con il tempo sono andati forse sfumando e di cui a me rimane solo un piccolo ricordo, trasmesso da mia nonna prima e ora da mia madre che in questo momento così particolare che stiamo vivendo, per colpa del covid-19, insegna a me e alle mie cugine – la terza generazione di esuli – in una videochiamata co-me fare la Pinza.Per questo motivo, oggi poter sentire di nuovo finalmen-te, anche se solo per un istante, quel dolce profumo di Pinza uscire dal forno, mi ha fatto pensare che fino a che nelle scale di questo palazzo il sabato prima di Pasqua si sentirà ancora l’odore della Pinza appena sfornata, forse la tradizione non smetterà di essere tramandata e il ricordo delle origini rimarrà intatto.

Petra Di Laghi

Finalmente la pinza

Pasqua 2020Pasqua 2020Gli auguri con pinze, uova... e mascherineGli auguri con pinze, uova... e mascherine

Un abbraccio a tutti i polesani e Buona Pasqua de cuor!

Ester Carloni

Adesso che credo de gaver tuto... anche se manca la libertà de girar perchè son ai "ARRESTI DOMICILIA-

RI", go però Pasqua in tel calendario, ma... me manca el "Din Don" de le campane de Sant'Antonio, me manca...la fila de pinze profumade che fasseva mia mama e che mi ghe iutavo a portar nel forno de Via Flacio sora quela lunga tola, me manca... la mia "titola", me manca...la co-stoleta de quel povero agnel che mia nona gaveva tirado su per... la "Santa Pasqua" (no per lui), me manca... la "bonaman" dei parenti che i me dava quando andavo a dirghe "Bona Pasqua", me manca... i vestiti lavadi con el Perlin e profumadi de neto che metevo quel giorno per andar in Cesa, me manca... la "Pasqueta" del giorno do-po tuti insieme in Siana a sercar a sercar violete per le mame, me manca..., me manca... e ancora me manca!

Claudio BronzinCara Novella Bačić quanti ciclamini e violette go ingruma-do in bosco Siana ho tanti ricordi ti au-guro una Buona Pa-squa, un caro saluto dalla lontana Austra-lia.

Noemi Bernardi

Care amiche e amici, xe una

Pasqua insolita, che non dimentichere-mo, ve fasso tanti auguri, e ve prego, se volemo che finissi

presto, stemo a casa. Xe più giorni che luganighe, recu-pereremo!

Fulvia Siscovich Sizzi

Al nostro Presidente, a Viviana Facchinetti e a tutta la redazione, agli amici dell’ AIPI e del LCPE, i miei mi-

gliori auguri di Buona Pasqua e altrettanti ringraziamenti con la speranza che tutto il mondo ritorni alla normalità.

Bruno CarraGrazie a tutta la redazione per il vostro bel giornale e Buona Pasqua nonostante covid-19.

Carmen

Tempo di Pasqua, ma sempre fervida l'inesauribile creatività di Erminia Bernobi che ha realizzato, oltre

alle mantelle, anche le mascherine personalizzate, qui indossate dal figlio, dott. Sergio Bernobi e dalla signora Anna Zupanch dell'Istituto fisioterapeutico Città Di Trie-ste.

Carissimi Isolani, diciamolo pure quest`anno per tutti noi sarà una Pasqua tutta diversa… Staremo chiusi

in casa, sperando tempi migliori Auguriamo a tutti una Serena Pasqua e che presto tutto possa tornare alla nor-malità Auguri dal Canada, ma con Isola nel cuore.

Un Grande Abbraccio da Mario e Franca Lorenzutti Cristina Scala, ha corredato i suoi au-guri fiumani con una testimonianza del papà, tratta dai Ri-cordi Fiumani e Cia-colade di Giul io Scala, di cui ripor-tiamo qualche pas-saggio:

Sto ano xe Pasqua “bassa” perché la casca ai primi de april e questo per el

fato che anca el ultimo de Carneval era già a metà de febraio. Qua i tedeschi i gà anca lori tradizioni pasquali. Presempio el giorno de Pasqua lori i scondi in giardin de casa o in campagneta nelle graie ovi coloradi e de cioco-lata e i fioi, muleti e mulete, i se diverte a zercar sti ovi

Mai come quest'anno, la luminosità della Pasqua ha dovuto attraversare momenti bui. L'ob-bligata lontananza da amicizie ed affetti è stata però mitigata da tante testimonianze di spon-

taneo affettuoso slancio, postate nei social in una virtuale vicinanza.

con un zestelin in man. Da noi a Fiume inveze una bela roba che mi me ricordo era la marenda de Pasqua. La mia mama la meteva su la tavola una tovaja bela, de quele ricamade a man co-piade da “Mani de Fata”, e verso le diezi de matina se magnava pinza fata a casa - o magari preparada a casa e portada in forno dal pek perché la vegniva mejo - per-suto coto, ovi coloradi e scalogna. Non mancava mai i sisser con uno o due ovi. Se beveva ciocolata (cacao) bojente. Per Pasqua a noi muli, de solito i ne comprava el vestito novo co le braghe briges e noi andavimo el giorno de Pasqua a la Messa in Sabiza dai Capuzini, per farse ve-der da le mule.

Buona Pasqua a tutti, sperando che porti tempi migliori...

Visto il momento difficile che si sta passando e la non reperibilità di mascherine, ho deciso di fare il possibile per aiutare gli altri nel rea-lizzarsele in casa. Ho deciso di spiegare come ho fatto la mia e ho cercato di farlo il prima possibile. Ho usato il mio sito internet di sar-toria sul quale in realtà sto ancora lavorando. il materiale immesso è poco e non ben organizzato... In realtà avrei aspettato di renderlo più ricco prima di renderlo pubbli-co, ma vista la situazione mi è sem-

brato il veicolo più veloce e semplice per aiutare più per-sone

Ileana Macchi

Il mio abbraccio pasquale.Niki Giuricich - Johannesburg

Buona Pasqua dall'Australia.Denise Perentin