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Page 1 of 7 Cari amici, il Basant Panchami porta con sé la freschezza della primavera e la possibilità del cambiamento. Tuttavia, anche se ci sforziamo di cambiare, con impegno e ottimismo, spesso non raggiungiamo i risultati sperati. Magari avete iniziato l’anno con il proposito di alzarvi prima dell’alba per meditare, ma ora, dopo qualche settimana, vi rendete conto che non avete ancora acquisito questa nuova abitudine. Oppure vi siete ripromessi di smettere di perdere tempo online, ma continuate a farlo lo stesso. Forse, non senza un certo sconcerto, vi chiedete: “Perché non riesco a raggiungere i miei obiettivi? Dove ho sbagliato? Come mai non riesco a liberarmi delle tendenze negative, anche se vorrei rimuoverle per sempre?”. A volte capita che le stesse tendenze e limitazioni continuino a infastidirci per tutta la vita. Un chiaro esempio di questa situazione si trova nelle parole attribuite a Duryodhana, nel Mahabharatha: “So cos’è il dharma, il dovere morale, ma non riesco a rispettarlo. Conosco il suo opposto, l’adharma, ma non riesco a evitarlo”. Questa affermazione esprime una pena familiare a molti: il Invoca l’Altissimo

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Cari amici,

il Basant Panchami porta con sé la freschezza della primavera e la possibilità del cambiamento. Tuttavia, anche se ci sforziamo di cambiare, con impegno e ottimismo, spesso non raggiungiamo i risultati sperati.

Magari avete iniziato l’anno con il proposito di alzarvi prima dell’alba per meditare, ma ora, dopo qualche settimana, vi rendete conto che non avete ancora acquisito questa nuova abitudine. Oppure vi siete ripromessi di smettere di perdere tempo online, ma continuate a farlo lo stesso. Forse, non senza un certo sconcerto, vi chiedete: “Perché non riesco a raggiungere i miei obiettivi? Dove ho sbagliato? Come mai non riesco a liberarmi delle tendenze negative, anche se vorrei rimuoverle per sempre?”.

A volte capita che le stesse tendenze e limitazioni continuino a infastidirci per tutta la vita. Un chiaro esempio di questa situazione si trova nelle parole attribuite a Duryodhana, nel Mahabharatha: “So cos’è il dharma, il dovere morale, ma non riesco a rispettarlo. Conosco il suo opposto, l’adharma, ma non riesco a evitarlo”. Questa affermazione esprime una pena familiare a molti: il

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dolore di essere intrappolati nei propri difetti e tendenze, nonostante la volontà e gli sforzi per superarli. Vale la pena di riflettere un momento su questa sindrome di Duryodhana, così ampiamente diffusa.

Superare le imperfezioni del carattere è importante anche dal punto di vista spirituale. I shastra dicono che il Divino risiede nel cuore di ciascuno, ma fino a che punto si manifesta? Se resta nascosto, allora l’affermazione “L’uomo è di natura divina” è solo di carattere filosofico. Come disse Lalaji Maharaj: “Se una persona si è avvicinata a Dhruva Pad, se ha raggiunto una condizione spirituale elevata, ma continua a essere debole di carattere, significa che non ha ancora ottenuto la vera perla”. Anche il migliore dei santi, se si comporta male, non è altro che una persona che si comporta male. Magari è spiritualmente elevato, magari ha raggiunto grandi traguardi nello yatra, nel viaggio spirituale, ma tutto ciò perde valore se compie anche solo un atto in contrasto con la sua condizione interiore. Sarebbe come aggiungere una goccia di veleno in un bicchiere di acqua pura: diventerebbe letale. In altre parole, ciò che ci definisce realmente è il carattere che esprimiamo attraverso le nostre azioni.

Man mano che progrediamo, espandiamo lo spettro di possibilità finché non raggiungiamo il Divino. Tuttavia, ogni volta che agiamo, la nostra natura interiore viene misurata a partire dalla sua espressione esteriore. La nostra natura indefinita svanisce e rimane solo l’azione, che rivela il nostro livello di consapevolezza. È questo che definisce la nostra natura.

Man mano che progrediamo, espandiamo lo

spettro di possibilità finché non raggiungiamo il

Divino. Tuttavia, ogni volta che agiamo, la nostra

natura interiore viene misurata a partire dalla sua

espressione esteriore. La nostra natura indefinita

svanisce e rimane solo l’azione, che rivela il nostro

livello di consapevolezza. È questo che definisce la

nostra natura.

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Questo richiama l’“interpretazione di Copenaghen”, un’interpretazione del comportamento quantistico degli elettroni proposta da Niels Bohr e Werner Heisenberg. Secondo i due fisici, un sistema non possiede nessuna proprietà definita finché non viene misurata. Fino ad allora, si ha soltanto una distribuzione di probabilità. Soltanto al momento della misurazione, la distribuzione di possibilità si riduce a un’unica realtà.

Ciò mostra la grande importanza del carattere nella vita spirituale. In certi momenti particolari, la nostra natura indefinita si cristallizza in un carattere. Se così non fosse, le prove cui siamo sottoposti, in modo più o meno cosciente, non avrebbero alcuno scopo. Dunque, il nostro destino spirituale dipende dalla capacità di superare le nostre tendenze più profonde. In un certo senso, il criterio principale con cui misuriamo la nostra coscienza, che è in continua evoluzione, è la capacità di dominare le nostre tendenze.

Spesso, i nostri sforzi di cambiare rendono solo più fitta la rete di complessità in cui siamo intrappolati. Cerchiamo di liberarci delle nostre tendenze, ma in realtà ne veniamo sempre più condizionati, e ciò le rende sempre più forti. È come se i nostri sforzi di liberarci fossero diventati parte integrante delle nostre stesse tendenze. Come recita un’affermazione attribuita a Einstein: “Non possiamo risolvere i problemi con lo stesso modo di pensare che li ha creati”. Spesso, quando cerchiamo di rimuovere tendenze indesiderate, i nostri sforzi sono insufficienti, se non addirittura controproduttivi. È necessario un aiuto dall’alto.

La tecnica del cleaning, che ci è stata offerta dai nostri Maestri, ha un’efficacia straordinaria nel rimuovere la causa principale delle nostre tendenze: i samskara, le impressioni che si accumulano nel corpo sottile. Tuttavia, non è ugualmente efficace nel rimuovere gli schemi mentali e le tendenze comportamentali che nascono da questi samskara. I samskara sono come le forti correnti di

Il nostro destino spirituale dipende dalla capacità

di superare le nostre tendenze più profonde. In un

certo senso, il criterio principale con cui misuriamo

la nostra coscienza, che è in continua evoluzione, è la

capacità di dominare le nostre tendenze.

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un fiume, in grado di trascinare via anche il nuotatore più esperto. Queste correnti ci spingono in ogni direzione, e possono allontanare qualsiasi aspirante dal percorso spirituale. Per questo è fondamentale rimuovere i samskara, e ciò è possibile con la pratica quotidiana del cleaning, oltre che con sessioni di meditazione con trainer certificati o con il Maestro. Tuttavia, se anche rimuoviamo il flusso dei samskara, il letto del fiume rimane. Se la corrente rappresenta i samskara, il letto del fiume simbolizza le nostre abitudini e tendenze.

Un letto del fiume asciutto può apparire innocuo. Non può trascinarci via, né spingerci di qua o di là: è solo un canale vuoto. Per questo, dopo aver praticato il cleaning, le nostre tendenze sembrano inattive. Eppure il letto del fiume continua a esistere. In altre parole, le tendenze possono rimanere. Cosa succederà, poi, se inizierà a piovere? L’acqua riprenderà a scorrere nello stesso letto del fiume, e i samskara torneranno a influenzarci.

Cos’è questa “pioggia” che fa rinascere un samskara? La “pioggia” rappresenta l’ambiente e le circostanze esteriori. Quando ci troviamo in certe situazioni, simili a quelle che hanno generato inizialmente il samskara, la tendenza dormiente ci spinge a reagire in modo da ricreare il vecchio samskara, precedentemente rimosso. Vuol dire che l’effetto del cleaning non è permanente, dal momento che le tendenze e le abitudini non vengono distrutte. È per questo che continuano a riemergere nel corso della vita, cogliendoci di sorpresa ogni volta che pensiamo di essercene liberati. Le tendenze hanno dunque una natura persistente, ed è per questo che Babuji diceva che dobbiamo “spianare il letto del fiume”.

Come aspiranti, il nostro obiettivo è restare connessi con il Centro. Chi è orientato verso la periferia, di solito non è disturbato dai propri difetti, e non sente il bisogno di cambiare. Anche se fa buoni propositi, li fa in modo superficiale, senza una reale intenzione di cambiare. Non sono veri propositi. Assomigliano più a pensieri passeggeri, formulati senza riflettere, e facilmente dimenticati. “D’ora in poi farò sempre il cleaning”, si dice, ma poi ce ne si dimentica.

I propositi superficiali non sono in grado di superare la resistenza che avvertiamo quando cerchiamo di metterli in pratica. È per questo che non hanno successo. È possibile spostare un masso con un filo d’erba? A meno che non cerchiamo di

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spostarlo con tutte le nostre forze, non sentiremo nemmeno la sua resistenza a essere mosso. Chi rimane staccato dal Centro, chi si identifica con la periferia, non inizia nemmeno la lotta interiore, non cerca nemmeno di rimuovere dal proprio cammino gli ostacoli rappresentati da samskara e tendenze. Senza provarci, non ci si accorge di quanto sia difficile cambiare.

D’altro canto, il guerriero spirituale, colui che si impegna a lottare contro i propri difetti, si rende conto ben presto dei limiti di un approccio che dipende solo dall’utilizzo della forza. La nostra forza di volontà – frutto di manas, la mente, e di ahankar, l’ego – ha un potere limitato. Nella maggior parte dei casi, la volontà viene applicata a partire da una dimensione mentale, e la sua azione rimane a questo livello, senza mai raggiungere la dimensione emotiva, il campo del cuore, dove si radicano e prosperano le nostre tendenze.

Esercitare la forza di volontà rappresenta un approccio insistente. Insistere equivale a imporre. Imporre la volontà di produrre un cambiamento è una forma di violenza. Ad esempio, cosa succede se usiamo la forza per produrre un cambiamento in un’altra persona? Creiamo soltanto resistenza. Se anche la persona cambia secondo i nostri desideri, si tratta di un cambiamento a livello superficiale. I nostri sforzi non hanno prodotto un vero cambiamento.

Un approccio decisamente migliore è cercare di infondere nell’altro la volontà di cooperare. Ad esempio, possiamo chiedere gentilmente: “Puoi fare questa cosa, per piacere?”. O, come diceva Babuji, con una suggestione indiretta: “Sarebbe magnifico se venisse fatta questa cosa”. Tale approccio crea increspature minime. Un approccio ancora più sottile consiste nel non dire nulla. Invece di parlare, pronunciamo una preghiera silenziosa: “Mi auguro che questo possa succedere”. Esprimere una volontà sottile, e metterla nelle mani del Signore, evitando qualsiasi forma di attaccamento e insistenza, rappresenta la forma più potente di suggestione. Il risultato può apparire dopo molto tempo, ma alla fine il cambiamento sarà reale e permanente. È come piantare un tulipano: ci mette sei

Come aspiranti, il nostro obiettivo è

restare connessi con il Centro.

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mesi a germogliare, ma quando fiorisce è magnifico! Il segreto sta nell’orientarsi verso il Centro, nell’allontanarsi dalla periferia e nell’invocare l’Altissimo.

Alla base di tutto c’è il ricordo costante. È ben altro che un semplice esercizio mentale, come lo considerano in molti. Spesso chi legge il capitolo “Ricordo costante” in Realtà all ’alba crede di dover iniziare a ricordare il Maestro mentalmente. Cerca dunque di pensare al Maestro in continuazione, sperando che questo pensiero diventi permanente. In realtà, Babuji ci invita a passare dal ricordo intermittente del Maestro allo stato profondo in cui sentiamo la sua presenza costante. Se ci ricordiamo davvero del Maestro, ci accorgiamo che è già al nostro fianco. Di più, è già dentro di noi!

Pensare in continuazione a qualcosa è un vincolo: che sia di ferro o d’oro, una gabbia è pur sempre una gabbia. Anche il ricordo costante può diventare un vincolo? Se ciò accade, diventa una penitenza, un’autopunizione, una cosa priva di gioia; e se è senza gioia, è anche senza vita e senza amore. Se il ricordo non crea amore, allora è inutile.

Il seme del ricordo costante è la meditazione praticata correttamente. Man mano che la meditazione ci porta dal pensare al sentire, impariamo a percepire, apprezzare e gioire delle sfumature di ogni condizione che riceviamo. Quando poi questo apprezzamento si trasforma e sfocia in gratitudine, crea un legame e una risonanza con il Divino. Il ricercatore spirituale diventa così un aspirante devoto, e questo passaggio segna l’inizio del ricordo.

Babuji scrisse che l’aspirante devoto “è libero di portare umilmente davanti al Maestro qualsiasi cosa desideri”, e ciò implica una collaborazione tra Maestro e

Il seme del ricordo costante è la meditazione praticata

correttamente. Man mano che la meditazione ci porta dal

pensare al sentire, impariamo a percepire, apprezzare e

gioire delle sfumature di ogni condizione che riceviamo.

Quando poi questo apprezzamento si trasforma e sfocia in

gratitudine, crea un legame e una risonanza con il Divino.

Il ricercatore spirituale diventa così un aspirante devoto, e

questo passaggio segna l’inizio del ricordo.

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discepolo. Non è sufficiente avere un Maestro per liberarci dalle nostre tendenze; anche noi abbiamo un ruolo in questo processo. Il primo passo da compiere è diventare consapevoli delle nostre tendenze interiori. Come possiamo porle davanti al Maestro, se non le conosciamo? Non è possibile. Conoscere le nostre tendenze nasce dall’interesse a purificarci, e da una sufficiente pratica del cleaning. È il cleaning dei samskara che ci rivela le nostre tendenze, così come rimuovere l’acqua rivela il letto del fiume.

Nel corso degli anni, ho osservato che gli aspiranti che progrediscono più velocemente sono quelli che sono consapevoli dei propri difetti. Quando individuiamo un problema in noi stessi, la soluzione non è mai lontana, ma dobbiamo avere la giusta attitudine. Una mente pronta a reagire può forse vedere il problema, ma vi rimane invischiata, mentre una mente che si trova in stato di saranagati presenta semplicemente le sue tendenze davanti al Signore, con estrema umiltà, senza alcuna pretesa o disperazione. “Sia fatta la Tua volontà” è l’unico sentimento presente. È solo in questi momenti di totale sottomissione che il potere divino può scorrere in noi e liberarci dalle nostre tendenze più profonde. Si tratta dell’attitudine conosciuta come “morte vivente”.

Babuji ci invitò a “viaggiare leggeri”, come un pellegrino che affida la sua valigia pesante al controllore del treno. Continuare il viaggio con un carico pesante è impossibile, e da soli non siamo nemmeno in grado di liberarcene. L’unica soluzione è dunque affidare il nostro carico al Maestro e apprezzare il piacere di viaggiare senza pesi.

Con amore e rispetto,Daaji

In occasione del 148° anniversario della nascita di

Lalaji Maharaj

www.heartfulness.org