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49 48 LA VITE OLTRE LE SBARRE I detenuti del carcere di Alba, nel cuore delle Langhe, coltivano una vigna. Dal loro lavoro escono 1500 bottiglie all’anno di un “rosso” apprezzato e venduto anche all’estero. A Io donna raccontano come nasce un vino che è anche una promessa. A partire dall’etichetta: Valelapena di Marisa Fumagalli, foto di Armando Rotoletti Il carcere di Alba e una parte della vigna coltivata dai detenuti. io donna – 9 novembre 2013 io donna – 9 novembre 2013 terra e libertà

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la vite oltre le sbarre

i detenuti del carcere di alba, nel cuore delle langhe, coltivano una vigna. Dal loro lavoro

escono 1500 bottiglie all’anno di un “rosso” apprezzato e venduto anche all’estero. a Io donna raccontano come nasce un vino che è anche una

promessa. a partire dall’etichetta: valelapenadi Marisa Fumagalli, foto di Armando Rotoletti

Il carcere di Alba e una parte della vigna coltivata dai detenuti.

io donna – 9 novembre 2013io donna – 9 novembre 2013

terra e libertà

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rappoli maturi nelle mani di roberto (il nome è sil-labato nel tatuaggio sulle dita). Grappoli dentro gli scarponi davanti alle in-

ferriate della cella, dove spuntano mani anonime. Un tipo di mezz’età, con la t-shirt “Colorado 72”, trasporta cassette, la guardia sorveglia, il volontario assiste. scatti d’autore in un pomeriggio d’autun-no in un luogo speciale. Dove cresce la vigna che mai ti aspetteresti di trovare. e poi il vino, la bottiglia con l’etichetta che incuriosice. il disegno e il nome: Valela-pena. Nel suo piccolo è già un successo. il rosso è buono, profumato e soprattutto rappresenta il lavoro e la speranza di un gruppo di detenuti del carcere di alba: in un fazzoletto di terra - circa un ettaro

Detenuti al lavoro. Per loro bere vino è vietato, tranne che in occaisoni speciali. Vengono prodotte circa 1500 bottiglie l’anno, vendute anche all’estero.

l’obiettivo è dare un senso alla detenzione, favorire la partecipazione di persone escluse dalla società a progetti concreti

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- circondato dalle alte mura, ecco i filari allineati, i pampini che dal verde tendono all’oro, prima di seccare e rinascere a pri-mavera. la vita della vite s’intreccia con quella dei reclusi. la vendemmia è conclu-sa, i grappoli scuri diventeranno vino. Un rosso da tavola, non pregiato ma schietto.

benvenuti nella tenuta del carcerato. Parla Giuseppina Piscioneri, direttore della casa circondariale dal 2006: «la pro-duzione è limitata ma le bottiglie hanno mercato. Durante le manifestazioni eno-gastronomiche locali sono in mostra. in questi giorni si trovano sui banchi della Fiera del tartufo (fino al 17 novembre, ndr). i detenuti con permesso di uscita e gli assistenti presentano il vino al pub-blico. È apprezzato e venduto, glielo assi-curo. Dare un senso alla pena, favorire la

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partecipazione di persone private della li-bertà a esperienze concrete come coltivare e produrre è per me un punto d’orgoglio». Di più: in questo caso, la coltura giusta nel posto giusto diventa valore aggiunto. sia-mo nel capoluogo delle langhe, terra di vigne importanti. sicché, uscito in libertà, qualche ex detenuto-viticoltore potrebbe trovare lavoro in una delle numerose azien-de del distretto piemontese.

l’Obiettivo Filare- così si chiama il pro-getto - ha messo radici in pochi anni, con la collaborazione di syngenta, l’agrosocie-tà che lo sostiene fornendo mezzi e risorse per la coltivazione del vigneto, l’istituto enologico Umberto i° di alba che provve-de a vinificare le uve, la Casa di carità arti e mestieri, l’amministrazione penitenziaria, gli enti locali. «Una équipe del carcere ha

Una volta usciti, qualcuno grazie a questa esperienza potrebbe trovare lavoro in una delle aziende vinicole del distretto

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individuato i soggetti da coinvolgere che hanno seguito un corso di formazione» af-ferma il direttore «e quindi dalla teoria so-no passati alla pratica». si tratta di una ven-tina di reclusi su 180, di età compresa tra i 20 e i 35 anni (più un paio di cinquantenni), extracomunitari e italiani. Qualcuno è in attesa di giudizio, altri scontano pene defi-nitive per reati non particolarmente gravi. «lavoriamo sodo, ma il contatto diretto con la natura è impagabile e la soddisfa-zione per i risultati ci conforta» confidano a Giovanni bertello, l’agrotecnico che per primo ha creduto nel progetto, dopo essere entrato nel carcere di alba come insegnan-te del corso per operatore agricolo. «l’idea della vigna nacque casualmente» racconta «quando vidi tra le mura carcerarie un’a-rea sporca, piena di erbacce. Degradata.

Alcune guardie carcerarie assaggiano un bicchiere di vino Valelapena.

al CiNemaA uno dei primi direttori di carcere donna, Armida Miserere, è dedicato uno dei film più interessanti presentati al Festival del cinema di Roma, Come il vento di Marco Simon Puccioni, con Valeria Golino (il 10 novembre, nelle sale dal 28). Dal 1984 al 2003, Miserere diresse le carceri più difficili, da Pianosa all’Ucciardone. È morta suicida nel 2003.

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Pensai che andava ripulita; poi è scattata la molla di farla fruttare. Ha funzionato. la vigna cresce rigogliosa».

le immagini esclusive per Io donna so-no di armando rotoletti. È il primo fo-tografo cui è stata concessa l’opportunità di entrare nella Casa circondariale di alba per documentare la vendemmia: i detenu-ti al lavoro, le sbarre delle celle in cui so-no rinchiusi. «Questa esperienza fa parte anche di un mio progetto» dice rotoletti. «Ho incominciato a documentare il pae-saggio e i volti dei distretti agroalimenta-ri. Penso che le (belle) immagini aiutino a tutelare e valorizzare i nostri territori, che possono diventare il motore di una nuova ripresa sostenibile. Nel caso del carcere di alba, il valore sociale è un passo oltre».

le uve curate dai reclusi sono Nebbiolo,

l’idea è nata per caso, durante la bonifica di un’area degradata e piena di erbacce cresciute all’interno della casa circondariale.

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In alto, Alessandro Catacchio, comandante della polizia penitenziaria del carcere di Alba; Giuseppina Piscioneri, direttore; Giovanni Bertello, agrotecnico; le bottiglie; detenuti al lavoro.

barbera, Dolcetto, Cortese. «tipici vitigni del Piemonte» nota bertello «il vino è di buona qualità. mercato piccolo, ma solido. la produzione media è 1400-1500 bottiglie annue, vendute a 5 euro, anche all’estero. in un carcere di londra dove funziona un ristorante aperto al pubblico il nostro vino primeggia in carta». il nome è nato per ca-so durante la presentazione del progetto. «Ne vale la pena» disse qualcuno. e titolo fu. il disegno è il risultato di un concor-so fra i detenuti. Per motivi di sicurezza, però, loro non possono bere vino. Nep-pure il valelapena. Con qualche strappo alla regola. «Durante il rinfresco di fine corso, un bicchiere non si nega a nessuno» conclude il direttore. «e ormai nel gruppo c’è chi sa illustrare le caratteristiche del vino». sommelier prossimo venturo? •