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LA VENTICINQUESIMA ORA - GIORNALINO A DISTRIBUZIONE GRATUITA DEL LICEO “A. CANOVA” - NUMERO IV ANNO VII

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LA VENTICINQUESIMA ORA - GIORNALINO A DISTRIBUZIONE GRATUITA DEL LICEO “A. CANOVA” - NUMERO IV ANNO VII

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a cura di Lorena Patricia Hossu

GRECIA, 50 mila cittadini greci hanno protestato contro la riforma delle pensioni attuata dal governo.

SPAGNA,il primo caso di virus Zika, contratto da una donna incinta tornata dalla Colombia, è stato registrato a Madrid e si è ormai difuso in 30 paesi. Per l’Oms è emergenza globale.

MESSICO,EcoDomum è il nome della nuova startup fon-data da Carlos Daniel González, la quale si oc-cuperà di recuperare i materiali di plastica in-utilizzati per creare nuove case low cost per i cittadini più poveri.

EGITTO,è stato ritrovato il corpo senza vita di Giulio Regeni nei pressi della capitale egiziana. Il ragazzo riporta segni di accoltellamento, tagli sulle orecchie e bruciature. Secondo l’autopsia il decesso risulta essere av-venuto poco dopo la frattura della vertebra cervicale, in seguito ad una possibile torsione violenta del collo.

AFGHANISTAN,i Taliban hanno rivendicato un altro attentato facendo esplodere una bomba all’esterno di una stazione della polizia di Kabul, provocando la morte di 20 persone e 29 feriti

BOSNIA,2mila donne di fede musulmana sono scese in piazza a Sarajevo per opporsi alla nuova legge che vieta anche l’uso dell’hijab, simbolo della religione musulmana, nelle sedi giudiziarie.

TAIWAN,il paese è stato colpito da un terremoto di magnitudo 6,4 tra la notte del 5 e il 6 febbraio. Al momento si contano 12 morti

TURCHIA,nella baia Edremit sono stati trovati i corpi di 24 migranti; in la guardia costiera turca ha rin-venuto altri 11 corpi presso Dikili.

FRANCIA,dal 3 febbraio 2016 è in vigore una legge che vieta ai supermercati di gettare via il cibo in scadenza, il quale sarà poi donato a enti di be-neicenza.

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EDITORIALE

In linea con la nostra bellissima copertina, avevo pensato di iniziare a riempire questa pagina parlando della conferenza internazionale sul clima, svoltasi a Parigi lo scorso dicembre. Subito però mi è sorto il dubbio che l’argomento fosse, in qualche modo, datato. (Insomma, siamo a Febbraio inoltrato, sono passati due mesi buoni, a chi interessa ora leggere di questo?) Giuro di essermelo chiesta, appena prima di rendermi conto dell’assoluta stupidità della questione che mi stavo ponendo. Si è trattato di una confe-renza internazionale con l’obiettivo di determinare impegni precisi atti a ridurre le emissioni di gas serra dei paesi industrializzati, e limitare così il surriscaldamento globale e i conseguenti sconvolgimenti am-bientali. E io ho avuto per qualche minuto il dubbio che fosse una questione da accantonare, a due mesi dal giorno di chiusura delle trattative. Ovviamente si tratta di una mia leggerezza, tuttavia non credo di sbagliare se ipotizzo che una buona parte di voi, leggendo, avrebbe condiviso lo stesso pensiero. Allora mi chiedo: se una questione di tale importanza riguardante un progetto così a lungo termine scompare in poche settimane da giornali e conversazioni, che cosa mai potrà arrogarsi il diritto di restarci, nei nostri pensieri? Vi chiederete dove voglio arrivare. Io noto, e non credo di essere l’unica, una certa schizofrenia nel sus-seguirsi delle questioni all’ordine del giorno, che rilette la frenesia della nostra routine quotidiana: ritmi veloci, scadenze ristrette, impegni asissianti. Siamo prigionieri di uno stile di vita iperattivo che ci co-stringe a focalizzarci solo ed esclusivamente sul qui ed ora. Ed è qui che torniamo alla questione ambien-te: chi lo trova il tempo e la voglia di occuparsi di problematiche ambientali e sviluppo ecosostenibile in giornate e in tempi così complessi e frenetici? Quasi nessuno, probabilmente. Io per prima ci penso po-chissimo. L’istinto porta a mettere ogni impegno per un bene a lungo termine in fondo alla lista delle cose da fare (lo so bene, credetemi: faccio parte di quella fetta di popolazione mondiale che stila liste di cose da fare in maniera compulsiva). Siamo incapaci di pensare ad un futuro che vada al di là della settimana successiva. Intrappolati in un eterno presente ce ne vantiamo pure, ingendo che ci piaccia, riempiendo la bacheca facebook di CAR-PE DIEM usati a sproposito. Io e i miei compagni quest’anno siamo chiamati a scegliere il percorso di studi o lavoro successivo al liceo ma non abbiamo nemmeno un minuto per fermarci, stare seduti, soli, in silenzio, chiudere gli occhi e chiederci cosa ci piace, cosa ci interessa, cosa ci aspettiamo da noi stessi e dalla nostra vita. Studiando stiamo immersi per qualche ora nel passato, poi alziamo la faccia dai libri e veniamo sparati nel presente, e basta. Il futuro è bandito, c’è sempre qualcosa di più urgente nella scala delle priorità. Abbiamo perso una dote che sarebbe fondamentale e necessaria per occuparci con serietà della nostra casa comune, del nostro pianeta e del suo benessere: la LUNGIMIRANZA. Il saper guardare lontano. Se limitiamo il consumo di energia elettrica o di acqua nella doccia, se utilizziamo una bottiglia di vetro anziché di plastica, se prendiamo l’autobus anziché la macchina non avremo fatto nulla di utile a risolvere i problemi che ci assilleranno domani mattina. E allo stesso modo i rappresentanti di 195 nazio-ni, incontrandosi a Parigi, non hanno risolto la questione dell’immigrazione o del terrorismo islamico, né si sono assicurati la vittoria alle prossime elezioni. Ma noi con i nostri piccoli gesti quotidiani e loro con un impegno concreto per contrastare il surriscaldamento globale abbiamo fatto un passo in direzio-ne del futuro, un futuro che non è domani e nemmeno dopo domani, ma è la nostra vita adulta, magari la nostra vecchiaia, la vita dei nostri igli e nipoti, anche se adesso non ce ne importa nulla, perché per ora ci basta, che ne so, prendere sei nel tema e avere il permesso per andare a una festa domani sera. Ma non dobbiamo dimenticare che nessun passo avanti dell’umanità sarebbe stato compiuto senza la capacità di guardare oltre al nostro domani, oltre a noi, ai nostri giorni limitati, alle nostre ore scandite a un ritmo vertiginoso. Chi mai avrebbe costruito, per esempio, una piramide, se avesse pensato esclusivamente al suo presente o al suo immediato futuro? Chi mai avrebbe scoperto l’elettricità, il vaccino antipolio o la termodinamica dei buchi neri? Dante avrebbe forse scritto un’opera tanto immensa e straordinaria se avesse pensato semplicemente ad arrivare a ine giornata o a portare Beatrice fuori a cena il giorno suc-cessivo?

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Quando perdiamo la capacità di guardare lontano, chi ne risente di più è il nostro pianeta. Sradichiamo alberi, gettiamo cemento, distruggiamo ecosistemi, sfruttiamo ino allo stremo risorse che sappiamo essere limitate, in nome di bisogni contingenti e desideri che abbiamo qui ed ora, senza spendere ne-anche un secondo a chiederci se per caso tra cinque, dieci o cento anni noi o un altro essere umano ne sofriremo. Noi siamo giovani, ma non troppo per capire che una vita in balìa dell’attimo non è suiciente a ren-derci felici. Lo vedo nelle nostre facce stanche e stressate, negli sguardi vuoti di chi è assillato dalle mille pretese dell’oggi e non ha la forza di vedere a un palmo dal naso. Lo sento nel respiro di eternità che gli antichi esalano dalle loro poesie e opere immortali, che ha permesso loro di attraversare i secoli e far arrivare sulle nostre scrivanie le loro parole ancora intatte. Loro, ad esempio, ci hanno consegnato qualcosa di immensamente prezioso senza conoscerci, senza sapere se lo avremmo apprezzato, senza ricevere un compenso immediato. Hanno avuto iducia in un futuro lontano, hanno messo il lavoro di una vita in mano all’eternità . Ci dicono che l’attimo va colto, si, ma non è che un pezzetto. Possiamo avere molto di più, se mettiamo in pegno un po’ di questo frenetico presente per guadagnarci il nostro futuro, prendendoci cura di un pianeta che ha accolto e nutrito millenni di umanità, e che non abbiamo alcun diritto di deturpare per asservirlo ai nostri assurdi stili di vita. Se torniamo a guardare qualche metro più lontano, per capire che preservare l’immensa bellezza e generosità del nostro pianeta è un compito da mettere decisamente in cima alla lista delle cose da fare. Oggi.

Beatrice Criveller

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COSA SUCCEDE AL CANOVA

Terminati i corsi di recupero e gli approfondimenti, si sono concluse anche le vacanze di Carnevale ed ora ci aspet-ta un mese intenso ino alle vacanze di Pasqua. Ripercorriamo in breve questo primo mese dell’anno.E’ stato sperimentato il primo periodo di cogestione o didattica alternativa dall’11 al 14 gennaio; e durante questa settimana si è tenuta anche la seconda assemblea di istituto: l’11 gennaio presso l’aula magna del Liceo Da Vinci, mentre il 12 e 13 gennaio presso l’aula magna dell’Istituto Palladio. La prima e l’ultima giornata hanno visto come protagonista per la prima metà della mattinata la dottoressa Rando, la quale ha tenuto una lezione di educazione all’afettività sessuale; invece per la seconda giornata il professor Calò si è occupato dell’orientamento in uscita con le classi quarte e quinte.Il terzo open day (15 gennaio) si è svolto in maniera particolare per le varie attività che hanno costituito “La notte del Liceo classico”, evento difuso in tutta Italia in più di 100 licei. Durante il pomeriggio si sono tenuti i Vergilian Games, un quiz show simile al programma televisivo di Rai3 “Per un pugno di libri”. Per la prima sida più di tren-ta ragazzi tra studenti del nostro liceo e studenti del Liceo G. Carducci di Bolzano si sono cimentati in una gara di latino sul secondo libro dell’Eneide tra traduzioni, domande, mimi con la collaborazione del gruppo teatrale, riconoscimenti di episodi a partire da fonti iconograiche ecc.. Ne sono usciti vincitori per un punto i canoviani! La partita di ritorno è prevista per il 3 marzo a Bolzano.La sera, a partire dalle 18, la sede centrale si è popolata di laboratori, simposi, caccia al tesoro, esibizioni teatrali, corali, allievi, ex allievi e professori che accoglievano i ragazzi di terza media e le loro famiglie. In Aula Magna Giorgione si è tenuta la tavola rotonda “il classico verso il futuro” con l’intervento di Nicola Endimioni, giornalista inviato di “Chi l’ha visto?”; Mario Lentano, ricercatore di Latino, Università di Siena; Milan, Direttore Generale Unindustria Treviso; Alessandro Minelli, già ordinario di zoologia, Università di Padova; Gianquinto Perissinotto, commercialista; Pietro Signoriello, Vice Prefetto vicario di Treviso ed inine Edoardo Stellini, professore ordinario del Dipartimento di Neuroscienze, Università di Padova. In particolare, si sono confrontati sull’utilità delle lingue classiche anche nel mondo del lavoro, a partire da una crisi del Liceo Classico e dalla diminuzione delle iscrizioni, soprattutto nel Nord Italia. (in riferimento: a pag. articolo di Paolo Vitale, associazione degli ex allievi”) La prima autogestione dell’anno (20 gennaio), a tema “Poesia”, ha coinvolto gli studenti con laboratori creativi (lavoretti con il das, i glitter e gli smalti), di musica (la stretta connessione che c’è tra il rap e la poesia), di sport (karate e calcetto) e con l’intervento di esperti. Ci si chiede se la seconda autogestione prevista per l’8 aprile avrà luogo, visto il poco interessamento di alcuni studenti che considerano queste giornate come una perdita di tempo.L’ultimo open day di questo anno scolastico si è tenuto il 30 gennaio ed è stato dedicato esclusivamente al lingui-stico (con una piccola rappresentanza anche per il classico). Un ringraziamento speciale per lo splendido lavoro e per l’impegno alla professoressa Topan, a Nellida, ai rappresentanti e a tutte le ragazze che hanno collaborato per rappresentare al meglio la nostra scuola.Quest’anno alcuni allievi avranno la possibilità di partecipare non solo alle Olimpiadi di Italiano, ma anche a quel-le di Filosoia dove gareggeranno con la possibilità di scegliere il canale A (lingua italiana) o il canale B (francese, tedesco, inglese e spagnolo): terze, quarte e quinte dovranno redigere un testo ilosoico a partire da alcune tracce.Si sono svolte le selezioni per il certamen Livianum organizzato dal Liceo Classico “Tito Livio” di Padova, che avrà luogo il 18 marzo 2016. Per la gara sono state scelte due studentesse: Valentina Dalla Villa (IID) e Alice Barbisan (IIC). Alcune studentesse, invece, hanno ricevuto un premio per la loro generosità e il loro impegno nell’aiutare bambini e ragazzi nello svolgere i compiti al dopo scuola una volta a settimana presso l’associazione “Granello di Senapa” a Ponzano. Il presidente dell’Associazione Amici al Ponte Dante, Carlo Martinelli ha premiato, presso le scuole medie Stefanini, Sara Galli (IID), Ludovica Frare (IID), Ilaria Mion (IID), Elisabetta Zampieri (IID), Alessandra Graziotto (IID) e Cristiana Mazzetto (IID) con il Premio Ponte della Bontà 2016.La serata della memoria ha avuto luogo anche quest’anno in Aula Giorgione, con una performance del Canora “Beautiful that way” di Noa, la lettura di un brano tratto da “Il dolore” di Marguerite Duras del gruppo autogestito di teatro, la proiezione del ilm “Notte e nebbia”, l’intervento musicale di Ludovica Mayer (‘Andante cantabile n’47 tratto dal III fascicolo op.32 di Sitt’, violino solista) ed inine “Gam gam” di Elie Botbol eseguita nuovamente dal Canora.Il primo comitato studentesco dell’anno 2016 ha avuto luogo il 3 febbraio con l’attesissima consegna delle maglie e felpe d’istituto e con tante novità che i vostri rappresentanti di classe vi avranno sicuramente già riferito. Ricordo le date per i prossimi comitati studenteschi: 6 aprile e 25 maggio.

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BUCCIA DI BANANA Scivoloni e svarioni di alunni e professori (quando lo stress al Canova gioca brutti scherzi!)

Prof: “X, read your story!”Alunno: “E’ persa!”

“Un latino da teletubbies!”

Prof: “Ragazzi, scrivetelo nel noto efetto LAS VEGAS!”

Prof:“Guarda quanti 2 da mettere ancora!”

Prof:“Siete caldi come le palline lipper!”

Alunno:“Ma esiste ancora il tifo?” Prof.:“Eh, di tifosi ce ne sono tanti”

Alunno:“Lei si è mai preso un periodo sabbatico?”Prof:“No, mai” Alunno:“Ma quando si è iscritto all’università allora?”Prof:“Di lunedì”

Prof: “Voi dovreste sapere, già da molto tempo, che le piante non fanno la pipì! E questo è molto bello quando si festeggia nei boschi!”

Prof.: “Bisogna tagliare il campione sottilissimo, neanche il vostro salumiere fa fette così!”Alunno: “..e quello di iducia?!”

Prof.: “Cosa assomiglia a un microscopio elettronico?”Alunno: “...quando fai le fotocopie non devi guardare la luce: fa male agli occhi!”Prof.: “E’ un ottimo consiglio, ma non c’entra niente.”Alunno: “I fari delle auto!”Prof.:“..hai un’ottima fantasia!”

Prof:”Quando un prof. vi aggredisce perché avete sbagliato una parola, sorridete e dentro di voi dite ‘strunz’”

Prof:”Ragazzi, ma come si chiamano quelli che indossano i cappelli rossi? (riferendosi alla iaba di Cap-puccetto rosso)”Alunno:”I comunisti prof?”

(alunno incerto sulle doppie in “penicillina”)Prof.: “La penNicillina serve per curare le penne, la penicillina invece...”

Prof.: “Create una pagina Facebook per l’uguaglianza dei diritti tra cellule procariote e cellule eucario-te!”

Anche tu hai degli scivoloni da raccontare?

Scrivi a [email protected] !Daniela Zotea

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©Lucrezia Gazzola

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“Adattarsi, improvvisare e centrare l’obiettivo”

Intervista ad Alberto Angela

Se da piccolo non hai passato almeno un sabato pomeriggio, o un sabato sera a guardare Alberto Angela avventurarsi in oscuri cunicoli per rivelare all’umanità fossili, giacimenti di oro bianco o graiti paleolitici del tutto inediti, praticamente non hai avuto un’infanzia. La diagnosi è drammatica, ma la cura è possibi-le: acquista immediatamente su e-bay la collana completa di dvd di Super Quark, saluta amici e parenti e procedi alla maratona.Studenti, casalinghe, professori o carpentieri: nessuno, da quando negli anni ’90 si è afacciato alla televi-sione italiana, è sfuggito al fascino di Alberto Angela. Con le sue parole semplici, il suo linguaggio imme-diato e il suo vivace gesticolare è entrato nell’immaginario collettivo istituendo una igura professionale ino ad allora poco difusa: quella del divulgatore scientiico. Ed è proprio in questa divulgazione gentile, alla portata di tutti, per nulla pretenziosa, che sta forse la chiave del suo successo. Ce ne siamo resi conto di persona quando Alberto ha tenuto una speciale lezione sulla basilica di S.Pietro, oggetto di studio nel suo nuovo libro, rivolta a noi studenti del liceo Canova. Non contento di averci dedicato quasi un’intera mattinata, dopo un’estenuante maratona di foto e autograi concessi a studenti, professori, personale e pas-santi random, il nostro eroe è stato così gentile da concedersi ai microfoni (leggi: registratore dell’iPhone) della Venticinquesima Ora. Non ci aspettavamo, a dire il vero, delle risposte così ampie, profonde e ricche di spunti di rilessione. Siamo felici di averle raccolte, custodite e trascritte per voi. Enjoy it e ricorda: “Sii sempre la persona che gli Angela vorrebbero che tu fossi”.

Davide Sutto, Giulia Palaja e Beatrice Criveller

Beatrice: In questo libro emerge come San Pietro possa raccontare duemila anni di storia. Secondo lei, quali sono gli altri luoghi d’Italia che sono in grado di raccontare la nostra storia?

Alberto: In realtà è il paese intero, perché se noi andiamo all’estero troviamo delle nazioni, dei luoghi che sono entrati nella storia, ma per dei periodi precisi. L’Egitto, la Grecia, la Spagna, la Francia, l’Inghilterra, il Centro-Sud America sono in realtà delle situazioni che si issano o a un periodo della storia (Medioevo, antichità etc.), oppure a un livello culturale che non ha dato un’evoluzione simile alla nostra: noi passiamo dagli Etruschi alla Cappella Sistina, c’è stata un’evoluzione incredibile, che in altri posti del Mondo (es. Cambogia, Cina…) non è stata così viva. Quindi, più che altri monumenti, direi altre nazioni e il motivo è molto semplice: l’Italia si trova al centro di un grande cortile che è il Mediterraneo, grande abbastanza per tenere lontane le varie culture e civiltà, e quindi permettere loro di evolversi, ma piccolo abbastanza per riuscire a far sì che loro comunicassero in passato. Per cui, anche se uno guarda all’evoluzione dell’alfabeto, quello che usiamo nei nostri cellulari o nei nostri computer, in realtà parte da qualcosa di antichissimo, dai Fenici, parte dal Libano: la lettera “A” in realtà era “aleph” che simboleggiava la testa di una mucca (Mima la lettera), poi è diventato “alfa” e, ruotando, “A”. Quindi ogni civiltà ha preso dalla precedente: i Fenici, i Greci, gli Etruschi, i Romani e i Romani hanno dato quello che oggi noi utilizziamo. Questa è la cosa incredibile: da noi c’è una specie di calamita che ha permesso alla storia di lasciare tutti i suoi capolavori, passando dalle tribù che vivevano dentro delle capanne (Villanoviani), agli Etruschi, ai Romani, poi c’è il Medioevo, poi c’è il Rinascimento, il Barocco. In Italia qualunque zona ha qualcosa: se vado nel Sud trovo l’antica Grecia, oppure gli Etruschi, trovo anche le tribù più antiche, trovo i Neanderthal, persino; però, poi, se vado avanti, trovo i Romani e, va beh, c’è Roma; poi, se devo dire “Medioevo”, il Nord è pieno di esempi di Medioevo; il Rinascimento, Firenze va bene? Ok, Barocco, Roma va bene? Ok, Settecento cos’hai? Beh, tutto il Veneto e Venezia, ti va bene? (Sorride) Quindi è incredibile come l’Italia sia un libro di storia e di cultura che nessun altro paese ha. Infatti quando si dice “due terzi del patrimonio artistico e culturale si trova da noi (soprattutto artistico)” è vero. Assolutamente. Altrove io non trovo questa varietà.

Beatrice: La scelta di parlare di San Pietro è legata al fatto che quest’anno è l’anno del Giubileo?

Alberto: No, è una coincidenza. Quando ho cominciato a scrivere questo libro non si parlava di Giubi-leo: a metà strada è saltato fuori, nessuno lo sapeva. È solo una coincidenza, fortunata o meno, a seconda di come la si vuol vedere (Sorride). Devo dire che io, avendo ilmato a san Pietro tante volte e in tante situazioni, ho capito che c’è una storia incredibile. Soprattutto, è una specie di “tavolozza della creatività dell’uomo”, poiché da Michelangelo, a Rafaello, a Giotto, al Bernini, al Borromini, tutti ci si sono dedica-ti. È una specie di grande scrigno che ti racconta una storia che segue la declinazione del senso del bello, percepito dalle varie civiltà o dalle varie generazioni prima di noi.

Giulia: L’abbiamo sentita parlare così tanto di storia; quello che vorremmo sapere è: qual è secondo lei il motivo più forte che ti spinge a imparare e a conoscere la storia?

Alberto: Il passato serve a capire il presente e indirizzare il futuro. Nel senso che chi ti ha preceduto ha avuto i tuoi stessi problemi; certo, erano epoche diverse, con tecnologie diverse, a volte con culture e religioni diverse, però i problemi erano gli stessi. Come una persona anziana che ti può dare dei consigli: le persone coi capelli bianchi non sono dei rompiscatole, sono dei giovani che hanno più esperienza di te, non sono vecchi, sono ex-giovani che ti sanno dire qual è il modo migliore per uscire e non prender gli scogli. Come un vecchio capitano su un molo che sta guardando il sole, prendendo il cafè, e tu sei un giovane capitano, lui ti sa dire dove sono gli scogli. Quindi c’è sempre una saggezza, sia nelle civiltà, sia nelle persone, per trovare la via giusta. Io trovo, tra l’altro, che ci sia una civiltà in particolare, quella Romana, che ha attraversato esattamente tutti i nostri stessi problemi e ha dato delle soluzioni. Basta guardare il passato: come i Romani trattavano il problema della religione, del razzismo etc. Molte cose loro sono anche nostre: il Diritto Romano lo avevano inventato loro, senza computer, e lo usiamo noi. Questo vuol dire che c’era una grande saggezza; i muri romani sono ancora in piedi, qualcosa avranno fatto. Da noi basta una macchia d’umidità e dopo dieci secondi sparisce tutto, buche nelle strade etc. (Ride) Quindi la saggezza antica della storia ti permette di capire il perché tu fai certe cose, ad esempio: uno dei libri che ho scritto è stato sull’amore e il sesso nell’Antica Roma; in realtà è un libro su di noi, non sui Romani, perché attraverso i Romani e le loro abitudini tu fai un paragone: «Accidenti! Anche noi facciamo così! Ah no, noi invece non facciamo così etc…»; il modo di corteggiare, il rapporto di un marito e di una moglie et cetera, et cetera. Quindi attraverso questo passato tu hai uno specchio che ti fa capire chi sei e come dovresti agire, o come puoi agire. A volte ci sono tante piccole dritte e soluzioni che sono molto pratiche.

Davide: A proposito della cultura Romana e Greca: la cultura classica. Lei, che ruolo pensa abbia tale cul-tura al giorno d’oggi, nella nostra società moderna?

Alberto: La struttura, lo scheletro del nostro pensiero, è questo. Dalla Pietas, fondamentale, il rispetto del culto dei morti, chi ti ha preceduto e non c’è più, che non è qualcosa da buttare via, è qualcosa che ti ispira e che ti protegge. Poi, soprattutto, quello che a me ha colpito sempre in questo passato è il calore, è il senso della comunità che hanno sempre creato; che siano Romani, Greci, etc., c’è sempre questa di idea di quanto sia importante il gruppo, la famiglia, certo, ma il gruppo in generale. I Romani, ad esempio, hanno avuto i nostri stessi problemi: non si sposavano più, non facevano più igli, le stesse cose. Però c’erano gli schiavi, che venivano liberati. Si pensa che uno facesse lo schiavo tutta la vita; no, ad un certo punto veniva liberato e cominciava ad essere un cittadino, un Romano ancora più bravo (forse), o co-munque molto motivato, non prendeva e se ne andava. Allora questa era la nuova linfa ed è questa l’idea: alla ine tu hai un senso lato della comunità: anche se non sei mio parente genetico, io ti adotto; i Romani adottavano tantissimo, un amico, o un iglio di un proprio collega che era morto; l’adozione voleva dire questo: la parentela non deve essere per forza isica, DNA, genetica, ma basta che sia culturale.

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Sopra ogni cosa: persone

Il 27 gennaio è la giornata della Memoria indetta per ricordare una delle pagine più sanguinose e fosche della nostra storia: la Shoah. Di discorsi al riguardo ne abbiamo sentiti tanti, iumi di parole sono stati spesi sul tema, quasi ino a renderci insensibili.In questi casi però è meglio concentrarsi ogni volta su un lato nuovo della questione, piuttosto che guardare alla parte generale di cui parlano tutti. Con questo articolo volevo sofermarmi su un par-ticolare fattore che ha contribuito alla realizzazione del terribile piano nazista: l’opera di disumaniz-zazione dei perseguitati nell’opinione pubblica, ossia la sostituzione dell’identità individuale con la deinizione di una categoria.“Ebrei”, “omosessuali”, “zingari”, “testimoni di Geova” erano le etichette assegnate e non aveva im-portanza chi vi fosse dietro. Chiudendo le persone in compartimenti stagni si crea un “noi” e un “voi” e il passaggio da “noi siamo diversi da voi” a “noi siamo meglio di voi” è na-turale. I nazisti si limitarono semplicemente ad eliminare le categorie inferiori e “scomode” nel modo più eiciente possibile.La propaganda nazista ha spinto le masse a generalizzare le etnie e a classiicarle in base a ste-reotipi e pregiudizi. L’ideale nazista sottolineava diferenze culturali, il divario divenne così profondo che la “razza pura” arrivò a ritenere che le “razze inferiori” non meritassero di essere nemmeno ritenute umane o degne di vivere.Nonostante numerosi esempi nella storia che testimoniano come questo comportamento sia sbaglia-to e porti ad atti di terribile disumanità, tuttavia non abbiamo ancora imparato a vedere le persone come tali sopra ogni altra cosa, a dispetto di tutto. Ancora oggi diamo più impor-tanza alle etichette che a chi si trova dietro di esse, saliamo sul podio della superiorità e dall’al-to giudichiamo, perché il senso di appartenenza ad un “noi” fa sentire potenti, superiori ed è più semplice. Al contrario, ab-bassarsi al livello zero e confrontarsi da essere umano a essere umano, senza preconcetti, è diicile.L’indiferenza, alzata come muro per proteggere la propria bolla di tranquillità, c’era allora come oggi. La pigrizia di seguire il lusso, di non costruirsi un’opinione mettendo da parte ogni pregiu-dizio, c’era allora come adesso. Le etichette? Sono cambiate, magari ora è quella di “immigrato”, domani chi sa?La malvagità nazista ci pare così ovvia adesso che la storia si spiega davanti a noi, lo fu per coloro che vissero in quel periodo? E noi adesso, siamo sicuri di star andando nella giusta di-rezione? Cosa diranno di noi quelli che leggeranno della nostra epoca sui libri?Forse anche loro si stupiranno della nostra cecità.

Alexia Cautis

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Questa è la cosa bella: se tu hai il mio stesso modo di vivere, il mio stesso modo di concepire la vita e rispetti l’altro, non mi interessa il colore della tua pelle, dei tuoi occhi, o la tua altezza, ciò che conta è la comunità. Il mondo non è facile, Charlton Eston diceva «È un posto diicile, nessuno ne esce vivo», quindi voglio dire, se in questo mondo riusciamo a stare uniti nei termini della comunità, riusciamo ad andare avanti. I problemi religiosi che ci sono adesso sono proprio questi, stanno su questo livello: il fatto che comunque devi avere una comunità; ad esempio la religione cristiana fa parte di un pensiero molto mediterraneo e molto europeo, fa sì che tu ti carichi del problema dell’altro e cerchi di aiutarlo. Questo è qualcosa di ance-strale, l’empatia, che è il fatto di prendersi carico della diicoltà o della gioia di un altro, è qualcosa che ci ha permesso di rimanere in gruppo nella savana dove si moriva se eri solo. Le lacrime: nessun animale tira fuori delle lacrime che siano emotive, come le nostre; da noi esistono perché l’altro si deve caricare subito della tua soferenza; voi gioite o piangete di fronte alla televisione, ma la televisione sono dei cavi elettrici, non c’è realtà. Quindi, questa idea di non considerare il tuo prossimo un estraneo, ma qualcuno che ti è molto vicino, a cui tieni come un iglio, questo fa sì che la comunità possa andare avanti. Possono morire le persone, ma tu hai adottato qualcuno che ha il tuo stesso modo di pensare, soprattutto in questa idea che siamo tutti simili, tutti uguali e, soprattutto, che da soli è diicile andare avanti, ma insieme si può vincere; ecco, questo è un po’ quello che avviene nella storia. Si guarda il passato ed è la chiave di vita, secondo me, di tutte le epoche. Noi l’abbiamo abbastanza centrata, siamo molto fortunati.

Volevamo chiederle se ha qualche messaggio da lasciare agli studenti del Canova.

Alberto: Il mio consiglio è questo: ragazzi, io ero seduto sui banchi poco tempo fa, come voi. Adesso sto un attimo dall’altra parte, un po’ più in là, ma il consiglio che emerge è questo. Allora: imparate le lingue, l’Inglese, ma non bisognerebbe nemmeno dirlo; abbiate sempre l’idea che non esiste più il lavoro sicuro. Forse, sotto certi aspetti, è anche un bene, nel senso che nella vostra vita voi avrete tanti lavori messi uno dietro l’altro, a volte strani, a volte hai fatto per un certo periodo una cosa e poi ne fai un’altra, così è il mon-do, innanzitutto. Questa evoluzione di lavoro fa in modo che, ad un certo punto, ti accorgerai che alle tue spalle hai tante esperienze di lavoro, non per forza negative, magari meno esaltanti, ma che comunque ti hanno dato esperienza nel contatto con gli altri, nel trattare gli altri e nel capire le tue potenzialità rispetto agli altri; alla ine il tuo passato sarà tuo e unico, nessuno ha avuto le stesse esperienze che hai avuto tu e tu puoi trasformare questo in un punto positivo, perché magari conosci una lingua, hai esperienza in un settore che altri non hanno, et cetera, et cetera. Quindi, il mio suggerimento è questo: sappiate che non esiste il posto sicuro, quindi dovete ingegnarvi; tre parole fondamentali: “adattarsi”, “improvvisare” e “rag-giungere l’obiettivo”; e poi un’altra cosa, chi andrà all’università deve ricordare una cosa: non faccia l’errore di fare una laurea che rappresenti la ine degli studi. È sbagliato. Prendete una laurea che vi proietti in un settore, deve essere non l’ultimo atto della carriera universitaria, ma il primo atto del mondo del lavoro. Non prendete una laurea perché c’è un professore che vuole fare una pubblicazione e vi usa come il sistema per pubblicare qualcosa, siate indipendenti, prendete un tema e dite: «A me piace questo settore, lo voglio sviluppare. Infatti io, dopo l’università, entro già in un settore, magari non sarà quello deinitivo, ma va bene». E, poi, alla ine, sorridete sempre alla vita.

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50 chili d’oro

1943 – La guerra ha preso una cattiva piega per le forze naziste e Hitler decide di mettere in atto la “solu-zione inale”: tutti gli uomini di razza ebrea dovranno essere internati nei campi di sterminio e uccisi al più presto. Solo un’ultima via di scampo si presenta per gli abitanti del ghetto ebraico di Roma: versare entro il 28 settembre al comando tedesco 50 kg d’oro. L’oro è presentato e ritirato dai soldati del Terzo Reich, eppure qualche settima dopo, il 16 ottobre, il ghetto viene rastrellato: chi viene ucciso sul luogo, chi portato via in camion per non tornare mai più. La maggior parte morirà ad Auschwitz. Pochissimi si salvano, per volere del destino, del caso, o di chissà quale dio...Un bambino senza padreNando Tagliacozzo è un uomo come tanti altri. È diverso solo per un particolare: è ebreo, e questo gli costerà caro. Il 16 ottobre 1943, dopo pochi giorni dalla raccolta di 50 kg di oro da parte dei tedeschi, Nando si trova a casa assieme ai genitori e al fratello, mentre la sorella è nell’appartamento accanto con la nonna. I soldati, quel giorno, andando di casa in casa, arrestano e deportano 1200 ebrei. Per un caso, viene perquisito solo l’appartamento della nonna e della sorella, perciò Nando si salva da una morte certa, mentre la sorella non tornerà mai più. Quindi, i membri rimanenti della famiglia si rifugiano prima da un conoscente, poi in un convento dal quale sono cacciati e in seguito in un altro convento. Nel febbraio 1944 il padre di Nando riceve una telefonata da un amico, il quale lo invita ad un appunta-mento, che non avverrà mai. È una trappola. Lo sventurato viene internato ad Auschwitz. La madre non proverà mai rancore nei confronti del traditore, solo pena e delusione. Bisogna pensare al passato con animo di pace, perché il mondo va avanti, nel presente si aggiungono altri problemi e quindi non pos-siamo vivere arrabbiati sia con il passato sia con il presente. Nel primo dopoguerra, la madre spedisce a Nando delle lettere per i compleanni, facendogli credere che il padre sia ancora in vita. I ricordi di quel periodo sono felici, Nando trascorre un’infanzia “normale”, anche senza il padre, di cui non conosce la sorte. Il 1944, 1945, 1946 sono anni complicati perché bisogna spiegare cos’è successo, si vive con la speranza che gli scomparsi un giorno tornino, tutte le informazioni sulle atrocità commesse sono vaghe e confuse.Ma tu devi andargli incontroL’esperienza ha insegnato molto a Nando e gli ha anche permesso di vedere il mondo di oggi sotto un’altra luce. I suoi messaggi non sono molto ottimisti, tuttavia ci fanno rilettere sulla realtà che spesso cerchiamo di ignorare. In primo luogo, ci ha fatto notare che la Shoah era scritta, prevista e prevedibile. Tutto ciò che è accaduto era stato anticipato da vari episodi, tra cui la conferenza di Evian relativa al problema crescente degli ebrei che scappavano dalla Germania nazista. I 34 paesi presenti riiutarono di accogliere gli ebrei profughi, giustiicandosi con l’assenza di posto per ospitarli. Fatti molto simili av-vengono anche oggi (e ancora oggi non si interviene), nonostante non siano più gli ebrei a fuggire, ben-sì gruppi di persone provenienti dal Nord Africa e dal Medio Oriente. Neghiamo, ritenendoci superiori ai nostri antenati, ma stiamo ricommettendo gli stessi errori. Il Messia non è venuto, non sta venendo e non verrà mai, ma tu devi andargli incontro. Questa è l’amara conclusione di Nando. I problemi di oggi sono talmente complessi che non riusciremo mai ad afrontarli se i paesi ricchi non iniziano a farsi cari-co di quelli poveri, tuttavia noi singoli individui dobbiamo continuare a vivere sperando che ci sarà una soluzione. Quindi gli abbiamo chiesto perché testimonia nelle scuole. Ci ha risposto: “ Se le parole dette oggi sono servite anche a solo quindici persone, ho fatto il mio viaggio in qui per una buona causa.”

Marco Frassetto, Flavia Falcone, Mathilde Romeo

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Banchi vuoti

“Carpe diem”, scrisse Orazio nel I sec a.C. Oggi nel 2016 sembriamo tutti ignorare un messaggio così importante e siamo annebbiati da notizie, da immagini, da pensieri negativi che ci oscurano un po’ la vita. Tuttavia è giusto ricordare anche il passato, bello o brutto che sia, per farci stare con i piedi per terra senza lasciarci afogare nella società attuale. Proprio per questo ho voluto dedicare un articolo a tutti quegli studenti, giovani come noi, che ora non possono più percorrere quei corridoi delle loro scuole, uguali a quelli che percorriamo noi con tutto l’amore e l’odio che ciò comporta. Persone che per vari motivi ora non ci sono più e vengono ingoiate dalla mole ingente di notizie, perché oggi il mondo ha fretta di andare avanti senza fermarsi più di tanto. San Donà di Piave, 03/03/2015, Enrico Gaggion, 18 anni, Itis “Volterra”, si è suicidato per il “male di vivere”.Orune, provincia di Nuoro, 08/05/2015, Gianluca Monni, 19 anni, Istituto professionale “Volta”, è stato ucciso con una fucilata da alcuni “bulli”.Treviso, 11/11/2015, Luca Sponchiado, 18 anni, Itis “Planck”, muore travolto da un treno merci della linea Treviso-Portogruaro.Napoli, 05/09/2015, Gennaro Cesarano, 17 anni, viene ucciso da un “proiettile vagante”, in realtà si tratta di un omicidio camorristico.Milano, 10/05/2015, Domenico Maurantonio, 19 anni, liceo scientiico “Nievo” di Padova, muore preci-pitando dal quinto piano dell’Hotel Da Vinci.Garissa, Kenya, 02/04/2015, 147 studenti sono morti nel campus universitario in seguito ad un attentato jihadista.Questi sono solo alcuni esempi di giovani studenti morti con un’intera vita davanti. C’è chi muore per un incidente, chi per una casualità, chi per la follia del genere umano. Ma gli concediamo il giusto ricordo che meritano? Avremmo potuto essere noi, il nostro compagno di banco, la nostra sorella più grande o più piccola.Ora rimangono solo dei banchi vuoti, presto tolti per essere riutilizzati da altri studenti, forse ignari di chi fosse il loro precedente proprietario, forse sapevano e hanno dimenticato. I banchi vuoti testimo-niano l’assenza di un futuro che non verrà mai ridato. Noi possiamo fare in modo di non lasciare quei banchi vuoti, al contrario abbiamo il dovere di portare avanti il ricordo di tutti quei nostri “colleghi” che come noi avevano ambizioni e speranze, talenti e competenze che non verranno mai sfruttati. E quando ci sentiamo stanchi della scuola, pensiamo alla fortuna che abbiamo ad essere vivi e a tutte le possibilità che il mondo ci può riserbare.

NiccolòAcram Cappelletto

12©Federica Scapin

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La polizia: ‘Atmosfera festosa’

Almeno 500 le donne molestate

e derubate a Colonia nell’ultima

notte del 2015

La paura. La paura di chi ha sempre difeso i rifu-giati. La paura di chi li ha sempre voluti rispedire ‘a casa loro’. La paura di chi ha aperto le frontiere e la paura di chi le avrebbe volute chiudere da tempo. La paura di Trump, di Salvini, di Marine Le Pen e quella di Angela Merkel che pochi mesi fa diceva: ‘Ce la possiamo fare’.La sera di Capodanno a Colonia, ad ovest di quel-la Germania che ha accolto solo nel 2015 circa un milione di rifugiati, si sono realizzate le paure di tutti. Dalle 21 del 31 Dicembre si scatena il caos: la po-lizia nota che circa quattrocento persone di sesso maschile in apparente stato di ebrezza si compor-tano in modo apertamente aggressivo, lanciando petardi e razzi. Si comincia subito a parlare di rifu-giati, pur non avendone nessuna certezza, e ‘l’origi-ne nordafricana dei soggetti’ viene confermata nel rapporto delle 23. Nel frattempo la polizia sembra essere del tutto inadeguata alla situazione: agisce lentamente e mancano uomini e mezzi, probabil-mente per l’efetto sorpresa degli attacchi, in un paese in cui comportamenti simili non sono all’or-dine del giorno. Una ragazza diciannovenne avrà le spalle piene di cicatrici per sempre: un petardo le ha bruciato la schiena. Altre hanno riportato traumi psicologici: gruppi di uomini hanno ten-tato di togliere loro i vestiti ed è stato denunciato almeno uno stupro, a cui sono seguiti centinaia di furti, le cui vittime sono anche di sesso maschile. Nei giorni immediatamente successivi sono stati individuati solo trentuno sospetti, per altro di na-zionalità diverse, tra i quali però ci sono 18 richie-denti asilo e stranieri senza permesso di soggiorno provenienti dal Nord Africa. La questione è stata portata alla luce come politica, quando è in realtà solamente giudiziaria. Ogni stupratore, ogni molestatore, è sempre tale: la nazionalità, almeno per quanto riguarda la for-mulazione del reato, non dovrebbe avere nessuna rilevanza. Per quanto riguarda invece la pena, la cancelliera Merkel ha sottolineato che verranno introdotti provvedimenti per poter revocare, an-che a chi si macchia di reati puniti con meno di due anni di reclusione, lo status di rifugiato.

Questo non è bastato però all’opinione pubblica, che si è scatenata e come sempre ha dato sfogo a tutte le sue paure, generalizzando nell’isteria.Tra il dieci e l’undici gennaio il partito antislami-sta Pegida, nato nel 2014, ha manifestato contro gli immigrati, seguito dai neonazisti dell’NPD, radu-natisi anche a Lipsia. Le vittime degli scontri? Sette pachistani aggrediti da 20 tedeschi in gruppo, che hanno visto la questione come una guerra tra po-poli, uno scontro tra culture. Sembrano aver però tralasciato che in nessuna cultura il furto è ammes-so, poiché in realtà è di furto che stiamo parlando. Le molestie sono state, come spesso accade, il me-todo con cui distrarre ed impaurire le vittime, al ine di portare via loro il portafoglio o il telefono.E se l’imam di Colonia aferma che la colpa è sta-ta delle donne, che portavano del profumo e per questo sono state aggredite, io direi piuttosto che è stato il profumo dei soldi a scatenare gli assalitori che infatti solo in un caso si sono spinti ino allo stupro. Inoltre risulta interessante come più del 60% delle tedesche afermasse di aver subito molestie sessua-li già l’anno scorso, ma l’estrema destra se ne inte-ressi solo nel momento in cui tra i responsabili vi sia una minoranza che avevano già programmato di colpire e non quando ogni anno all’Oktoberfest si registrano centinaia di atti simili.Così mentre i musulmani vengono banditi dalle piscine pubbliche di Colonia, viene ristampato uf-icialmente per la prima volta, dal 1945, il ‘Mein Kampf ’ di Adolf Hitler e i Tedeschi comprano spray al peperoncino per le mogli, sarebbe utile ri-cordare che le grandi nazioni costruiscono ponti, non muri. Un muro, in Germania, cadde il 9 novembre di 27 anni fa e la sua esistenza causò morte, distruzione, arretratezza e soferenza. La prima volta in cui ho visto le foto di quei giovani sono rimasta colpita dal senso di liberazione che traspariva dai loro vol-ti, mentre uccidevano a forza di picconi quel muro, quel mostro, che li separava. Quei giovani ora sono adulti e forse hanno cam-biato idea, forse sono meno idealisti, forse si sono arresi e hanno costruito altri muri.

Arianna Crosera

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Non occorrono compromessi per dare alle persone i loro diritti

“Lo stesso amore gli stessi diritti”

Quante volte abbiamo sentito gridare queste parole? Quante volte abbiamo visto ilm in cui appariva-no manifesti con richieste simili a questa? Quante volte persone come noi, in ogni parte del mondo, hanno sentito il dovere di scendere in piazza, di prendere parte a cortei, parate, manifestazioni per ottenere eguaglianza nei diritti? Quante volte ancora noi e quel milione di persone che con noi il 23 gennaio ha partecipato alla manifestazione in favore delle unioni civili, occupando le piazze di cen-to città italiane, dovremo continuare a lottare contro l’ingiustizia, la discriminazione, l’omofobia? E quante altre persone dovranno movimentarsi prima che lo Stato italiano approvi leggi da tempo in vigore nella maggior parte dei paesi europei? Giungere al consenso di tutti è soltanto un’utopia, non c’è dubbio. Ci sarà sempre qualcuno che “noi i froci non li vogliamo” o “accendiamo il Pirellone con la scritta Family Day”. Ma non mi rivolgo a loro, conido in tutte quelle persone dotate di una mente pensante che, forse perché troppo giovane e ottimista, mi illudo che siano ancora numerose in questo Paese. Persone come noi, ragazzi come noi, che diventeremo gli adulti di domani, dobbiamo sentirlo da dentro il desiderio di informarci e partecipare al mondo che ci circonda, battiamoci per un’idea, non consentiamo che cada nell’oblio l’immensa eredità che ci hanno lasciato i ragazzi di ieri, quei ragazzi che negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Francia e in molti altri paesi del mondo sono riusciti a far valere i propri diritti. Perché il progresso non riguarda solo il campo tecnologico, medico o economico. Il progresso è anche sociale. E noi, non solo come cittadini, ma in quanto esseri umani, non possiamo permettere che uno Stato che ha la pretesa di deinirsi “civile”, neghi ad alcuni suoi componenti il diritto di sposarsi e di avere una famiglia, per il solo fatto che amano qualcuno dello stesso sesso. La grandezza di uno Stato, il suo grado di civiltà, si misura anche in base alla capacità della maggioranza dei suoi cittadini di approvare leggi che tutelino le minoranze.Non possiamo più permetterci di trovare rifugio in una corrosiva indiferenza, di ingere che l’argo-mento non ci tocchi perché “noi non siamo omosessuali”. Come sostiene Guccini: “Uscir di casa a vent’anni è quasi un obbligo, quasi un dovere”, perché “il mondo è un posto pericoloso, non a causa di quelli che compiono azioni malvagie, ma per quelli che osservano senza dire nulla” (A. Einstein). È davvero arrivato il momento di dire #Svegliatitalia.Suggeriamo: Milk (ilm) Due Madri, Roberto Vecchioni

Anjeza Llulla e Francesca Rosso

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#agoràsimulator

Ovvero: i social network come nuova piazza

Tendenzialmente penso siano signori nostalgici e giovani asociali ad afermare che la comunità dei nostri giorni è svuotata di tutti i valori che dovrebbero renderla tale. I primi si lanciano contro i social network, rei di corrompere i giovani, svuotare le strade e appesantire le bollette elettriche; i secondi, memori di una relazione traumatica col mondo – perché, diciamocelo, nessuno nasce timido o eremita - , danno contro ai ighetti posteggiati dietro uno spritz. Credo tuttavia che, tolti i collettivi, le organiz-zazioni, gli oratori e il gazebo-coi-vecchietti-la-domenica, nostalgici e asociali non abbiano tutti i torti. Queste associazioni e questi luoghi catturano infatti, ahimè, una ristretta percentuale della popolazione, lasciando il resto in balia della sottocultura, dove per sottocultura intendo gli usi e i costumi che elogia mediamente la televisione. E così (estremizzando) il bar diventa un magico luogo dotato di Gazzetta/amiche pettegole, beveraggi e, nella migliore delle ipotesi, free-wii; la piazza invece si manifesta come un parcheggio illuminato dalle vetrine. Dov’è inito allora il nostro status di cittadini, di polites con un ruolo attivo nella società? Un pratico sostituto della piazza è diventato il web, che ofre uno sconinato territorio dove condividere e discutere qualsiasi cosa. Gli stessi termini tipici dei social ci fanno capire che questi ultimi possono sostituire, o hanno anzi sostituito, l’agorà. Il consenso della folla è ora pre-cisamente quantiicabile con i “likes”, possiamo discutere nei commenti, si difondono le idee con il tasto “share”. È uno spazio democratico dove ognuno può esprimersi liberamente e, in teoria, tutti sono uguali: in rete, al contrario della piazza greca o del foro, le donne, le minoranze, i poveri, gli stranieri non vengono esclusi. Dai Greci si recupera perino l’ostracismo, sebbene rivisto in maniera dispotica: se dai fastidio a qualcuno questi ti escluderà dal suo proilo bannandoti, altro che votazioni segrete. Direte che invece l’arte oratoria è andata perduta, che non ha valore in un tweet di centoquaranta caratteri, e soprattutto che non si può scegliere chi votare solo leggendo un post su Facebook (e infatti chi vota?). Ebbene, sbagliate: sono suicienti poche parole per capire se il vostro onorevole ha la licenza elementare o almeno il tempo per rileggere ciò che ha digitato durante una seduta in aula; basta un feed o un link per capire se il candidato è in realtà un attore comico; e guardando la frequenza delle pubblicazioni e delle apparizioni nei media potete capire se quel grande lavoratore responsabile quale si dice non sia in realtà un nerd con una dipendenza dai cinguettii delle notiiche in arrivo. Ad Atene mille comizi ben recitati non avrebbero potuto essere più espressivi. Ma non dimentichiamo che l’agorà è anche un mercato. Qui entra in campo la “sociologia della vetrina”, ossia la valutazione del prossimo attraverso la percezione di ciò che ognuno vuol mostrare di sé: possiamo osservare tutto quello che fanno gli altri (o meglio, dicono di fare) e commentarlo da brave zitelle con i nostri amici. Dunque ogni fotograia viene scrupolosamente analizzata e ogni pubblicazione attentamente valutata, sapendo che tutti la possono vedere. E se si sbaglia si torna indietro con un pratico “opzioni-elimina”. Il mercato è poi, proverbial-mente, un gran rumoreggiare di pettegolezzi, storielle, litigi, contrattazioni e barzellette. E allora iniamo con una battuta. Un uomo pubblica una foto di alcuni ragazzi neri : sono sulla neve, vestiti con una tuta da sciatore, sorridono. Sullo sfondo alcune racchette, più indietro degli abeti. Il commento, in soldoni, recita così: “Lo stato paga ai clandestini lezioni di sci. Ruspa!”. Sarebbe una battuta niente male. Solo che quest’uomo è un europarlamentare. E non è una battuta.

Giovanni Risato

Prendetene e spammatene tutti

E la carne in scatola appestò il mondo

È probabile che la maggior parte dei lettori della Venticinquesima Ora siano iscritti ad almeno un social network, ed è quindi scontato che abbiano ricevuto almeno una volta una notiica di questo genere:Facebook: “Il tuo amico Susanna Tutta Panna ti ha invitato ad un evento”Instagram: “Tizio Sconosciuto ti ha taggato in un post: #getmorefollowers”.Ecco, questo irritante messaggio si chiama “spam”.Tutti conoscono lo spam, una delle più atroci torture mai inventate dall’uomo per molestare in ogni momento e in ogni luogo la popolazione della rete.È come la sabbia: si inila dappertutto, introducendosi fastidiosamente nelle caselle di posta elettronica intasandole letteralmente di pubblicità inutile, oppure inviando notiiche nei social network come Fa-cebook, Instagram, Pinterest e Tumblr, suggerendo insistentemente alla preda nuovi proili da seguire, nuove pagine su cui cliccare il fatale “mi piace”, nuovi eventi a cui partecipare (molto spesso già spam-mati a suicienza dalla giungla di PR che popola i social network).Ma qual è esattamente la provenienza della parola “spam”? Ebbene, questo termine è stato involonta-riamente coniato nei lontani anni ’70, quando in uno sketch della serie televisiva britannica “Il circo volante dei Monty Python” una cameriera consigliava ad un cliente alcune pietanze, tutte contenenti un misterioso ingrediente chiamato “Spam” (con un palese riferimento all’omonima marca di carne in scatola che costituì uno degli alimenti più nutrienti nella Seconda Guerra Mondiale), con una tale ap-prensione ed insistenza da suscitarne il disgusto; in pratica, a causa di una cameriera troppo insistente, inviare la cosiddetta posta-spazzatura è diventato pure un lavoro: veri e propri hacker che con i loro programmi setacciano a casaccio la rete alla ricerca di indirizzi di utenti indeiniti a cui poi inviare la loro posta, oppure sfruttando i Wiki per introdurre i loro link pubblicitari.Ma se la rete è così infarcita di immondizia digitale, è possibile proteggersi da quest’ultima? La risposta è sì: esistono infatti i programmi di iltraggio dello spam, dove nella propria casella le mail vengono passate in rassegna e quelle che assomigliano a una junk-mail vengono isolate in un comparto apposito, la famosa “casella spam”; i blogger invece scongiurano la posta spazzatura occultando l’indirizzo del proprio sito web con l’address munging, ossia storpiandolo in modo che i programmi degli spammer non possano riconoscerlo; in ogni caso, è molto importante non rispondere mai a questo genere di messaggi, in quanto si darebbe a colui che li invia la conferma del fatto che il proprio indirizzo è valido, diventando così un bersaglio sicuro.

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Pietro Stefani

16 17©Pietro Stefani

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Dieta vegana

Nuova moda o nuova vita?

Il termine vegano deriva dall’inglese vegan, neologismo dalla parola vegeterian, poiché questo “movi-mento” si basa sulla vita da vegetariano, cioè il non mangiare carne, togliendo inoltre tutti gli alimenti derivati dagli animali (come uova, latticini etc...), e anche l’utilizzo di oggetti della medesima origine (ad esempio: scarpe in pelle, pellicce etc...). In Italia le persone che seguono queste due diete, la ve-getariana e la vegana, sono il 9% della popolazione (rispettivamente il 6% e 3%) e si stima che i dati aumentino tra il 10-15% annuo. Le motivazioni sono principalmente: rispetto degli animali (31% dei casi), per la salute (24%) e per tutela dell’ambiente (9%).Seguire questa dieta, per le sue limitazioni, è molto complesso, senza contare il fatto che è necessario trovare altri cibi per soddisfare gli stessi bisogni nutrizionali, procurati ad esempio dalla carne. Per risolvere questo problema sono state ideate delle sostituzioni, ainché sia possibile ricevere le stesse so-stanze nutritive che occorrono, senza dover mangiare alimenti animali e derivati, per esempio i legumi al posto della carne. Per essere vegani, però, non basta rinunciare alle categorie di cibi citati prima, ma bisogna anche ac-quistare ortaggi e prodotti come olio e succhi di frutta con particolari e ben precise caratteristiche, ed il motivo sembra quasi una battuta: il fatto è che una grandissima parte di frutta e verdura deriva da campi concimati, e si sa che il concime è un “prodotto” animale, ergo i vegani non dovrebbero mangiare ortaggi derivanti da campi concimati, da cui derivano anche altri prodotti come il vino e l’olio d’oliva. Oltre a questa motivazione ce ne sono anche altre per alcuni prodotti. Il vino, ad esempio, non dovreb-be essere bevuto, poiché durante la lavorazione, per pulirlo, viene aggiunto l’albume dell’uovo; oppure l’olio d’oliva, per cui le olive, per i vegani più radicali, devono essere mature e raccolte dall’albero con la “pettinatura”, ovvero nell’utilizzo di rastrelli appositi per non rovinare i frutti.La dieta vegana, nonostante le combinazioni ideate, provoca carenze di alcune sostanze nutritive ne-cessarie per l’uomo, come la vitamina B12, il ferro, il calcio e la vitamina D. La prima, forse la meno conosciuta, è molto importante, poiché permette di prevenire malattie legate al sangue e al sistema nervoso, e si trova in dosi suicienti nella carne e in quantità ridotte in alcune alghe. A causa di queste carenze, senza considerare che l’essere umano non è fatto per mangiare solo frutta e verdura, chi è vegano deve essere seguito da un medico, poiché da questa dieta potrebbero nascere dei problemi gravi alla salute.Io, personalmente, sono avverso a seguire per un lungo periodo o per tutta la vita una dieta che si basa solo su frutta e verdura, dati i gravi rischi che può comportare, e in ogni caso l’essere umano ha una vita sana anche mangiando, nelle dosi adeguate, la carne e i derivati non a caso, una delle diete considerate più equilibrate è quella mediterranea, che comprende sia ortaggi sia alimenti animali. Molti, a mio pa-rere, iniziano questa dieta anche per stare in forma, mettendo a rischio la propria salute per realizzare il proprio ideale, poiché inconsci delle conseguenze, dal momento che questo tipo di alimentazione non può essere seguita per un tempo lungo senza dei controlli medici adeguati.In conclusione, si può avere una vita sana senza mangiare solo ortaggi o grandissime quantità, ma come per tutte le cose è necessario un equilibrio, che in questo caso è una dieta varia e ben equilibrata.

Niccolò Bonato

Surriscaldamento globale, Quarta Rivoluzione Industriale,

Terrorismo:

Qualche conclusione dal World Economic Forum di Davos

Il World Economic Forum, conosciuto anche come Forum di Davos, è un’organizzazione internazio-nale fondata nel 1971, con sede nella città svizzera di Coligny, ed è particolarmente importante perché pone tra i suoi obiettivi quello di analizzare e tentare di migliorare le condizioni del mondo.Ogni anno, infatti, organizza un meeting tra alcuni dei più importanti esponenti della politica e dell’e-conomia mondiali, per discutere sui temi più scottanti riguardanti lo sviluppo dell’intero pianeta e le problematiche che deve afrontare.L’incontro si svolge a Davos, in Svizzera, e quest’anno ha avuto luogo dal 20 al 23 gennaio.Per quattro giorni, oltre 2000 manager, leader politici e religiosi, scienziati e intellettuali hanno discus-so su tutti quegli aspetti che indubbiamente stanno inluenzando le condizioni del mondo dal punto di vista politico, sociale, economico, ambientale e scientiico-tecnologico.Non c’è da stupirsi che tra i temi più pressanti ci fossero quelli del terrorismo e della forte instabilità politica dei paesi africani e mediorientali, che ha scatenato quell’ondata di migrazioni che sta inve-stendo l’Europa negli ultimi anni, con forti ripercussioni sia dal punto di vista sociale che economico per i Paesi coinvolti.Inoltre, è spiccato il grande rallentamento del’economia della Cina, che aveva dimostrato una rapidis-sima ascesa nell’ultimo decennio e sta ora retrocedendo, rischiando di trascinare con sé la ripresa di altri Paesi in via di sviluppo, in particolare dell’India e del resto dell’Estremo Oriente, con conseguenti efetti negativi sull’economia mondiale.Anche sullo sviluppo tecnologico s’è molto discusso, in quanto, secondo gli esperti, le numerose inno-vazioni in ambiti come la biotecnologia, la nanotecnologia, la neuroscienza e l’ingegneria ci avrebbero portato ad una “Quarta Rivoluzione Industriale”, basata sulla connessione sempre più forte tra il mon-do digitale e la vita umana.Inine, è emersa la gravità degli efetti del cambiamento climatico sull’ecosistema, in quanto le misure prese inora per ridurre il surriscaldamento globale si sono rivelate insuicienti, mentre l’ambiente continua a degradarsi in modo lento ma irreversibile.Ad ogni modo, vi sono altri fattori di rischio a cui far fronte per salvaguardare la sicurezza e il benesse-re globali, come dimostra il Global Risk Report, pubblicato dallo stesso Forum di Davos pochi giorni prima del meeting.Proprio il rischio di non riuscire ad afrontare il cambiamento climatico è quello con il maggiore im-patto potenziale, ma si trova anche al terzo posto tra quelli con più probabilità di accadere. Inoltre, tra essi è inserita al secondo posto la possibilità che si veriichino eventi climatici estremi e al quinto che abbiano luogo gravi catastroi naturali.Seguono, per gravità dell’impatto, il rischio rappresentato dall’uso di armi di distruzione di massa, fortunatamente poco concretizzabile; la crisi da carenza di acqua, che ha invece più possibilità di ve-riicarsi, essendo connessa al problema ambientale; la migrazione di massa, che occupa tra l’altro la prima posizione tra i rischi più veriicabili; inine, il forte sbalzo nei prezzi dei prodotti energetici, che determinerebbe un aggravamento della crisi economica globale.Tuttavia, l’analisi di questi dati così apparentemente catastroici non dovrebbe portare ad un atteggia-mento di scoraggiamento di fronte agli irreversibili danni che il nostro pianeta rischia di subire, ma piuttosto incoraggiare le autorità e le organizzazioni non governative ad elaborare nuove strategie alla luce della consapevolezza dei problemi reali della Terra.

Giada Tubiana

18 19©Pietro Stefani

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In guardia dal “Metano che ti dà una mano”!

La ben nota e paradisiaca West Coast sta diventando, negli ultimi mesi, la culla di migliaia di tonnellate di gas metano che si riversano giornalmente nella nostra atmosfera.La perdita fu scoperta il 23 ottobre scorso, a Porter Ranch, sede di uno dei più grandi depositi naturali di metano, l’Aliso Canyon, situato a pochi chilometri da Los Angeles. Fino ad ora le cause della fuga restano sconosciute. Nel quartiere vivono ben trenta mila persone che, a causa del gas metano fuoriuscito nell’aria e degli additivi nauseabondi aggiunti per segnalarne le fughe, da mesi sofrono di nausea, sangue dal naso e mal di testa o vomito: i sintomi di una vera e propria intossicazione. Più di 1800 famiglie sono state evacuate e molte altre aspettano di fuggire il disastro ambientale. Altrettanto attesa è la ine delle operazioni per riparare la falla del pozzo di Porter Ranch. “Fermare la fuga di gas comporta uno sforzo complesso, che implica la partecipazione di tecnici esperti di prima ca-tegoria, funzionari del governo locale e statale e personale di soccorso. Siamo riusciti a compiere un pro-gresso importante con la perforazione del pozzo, per fermare la fuga, e speriamo di inire l’operazione a ine febbraio o marzo”, si legge in una lettera indirizzata ai cittadini, pubblicata sul sito della compagnia SoCalGas, la quale gestisce l’impianto di stoccaggio a Porter Ranch.L’autorità responsabile della qualità dell’aria in California ha stimato che la fuga è così massiccia che ha aumentato la produzione di gas a efetto serra su tutta la costa californiana del 25% (il metano è, infatti, un gas serra molto più potente della CO2). Secondo l’Environmental Defense Fund, le emissioni di gas conseguenti alla continua fuoriuscita equivalgono all’inquinamento dato dalla circolazione di sette mi-lioni di automobili. L’ammontare economico della perdita di gas è stato calcolato in più di 10 milioni di dollari. Tuttavia, l’entità efettiva del danno e il suo impatto ambientale potranno essere valutati solo a conclusione dei lavori di chiusura della falla. Questa catastrofe invisibile all’occhio umano, insieme a quella della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, che nel 2010 riversò milioni di greggio nel Golfo del Messico (impossibile da non notare), ci portano a rilettere sulle terribili conseguenze ambientali che le nostre frenetiche vite causano alla nostra casa, la nostra Terra.Data la sua estrema versatilità, la facilità di trasporto e l’alto potere caloriico (cioè l’energia che se ne ricava bruciandolo) il gas naturale è un combustibile ideale per le industrie e per tutti gli usi domestici: cucinare, produrre acqua calda e per il riscaldamento. Nessuno scrupolo, tuttavia, riguardo l’impatto climalterante. L’impatto climalterante? Un’espressione molto complessa, tecnica, che indica quanto l’utilizzo di un gas, apparentemente naturale, possa intaccare il nostro ambiente e l’aria che respiriamo. Il problema princi-pale del gas, infatti, è proprio il fatto di essere un gas: il caso dell’incidente di Porter Ranch ci ricorda che le fuoriuscite grandi e piccole di metano (anche durante ciascuna delle fasi di estrazione, lavorazione, stoccaggio e trasporto, ino alla distribuzione capillare nelle condutture delle nostre città, aggiungendo altre emissioni a quelle derivanti dalla combustione), di fatto riducono sensibilmente, se non quasi com-pletamente, il beneicio del gas naturale rispetto alle altre fonti fossili.

Eva Fedato

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Progetti e proposte concrete dalla conferenza sul clima per

proteggere l’ambiente e migliorare la qualità della vita

Dal 29 Novembre al 15 Dicembre dell’anno appena trascorso si è svolta a Parigi la COP21, acronimo indicante la ventunesima “Conference of the Parties” voluta dall’ONU, più comunemente identiicata da giornali e televisioni come “Conferenza sul Clima”: due settimane di lavoro e dibattito intensissimi, che hanno visto coinvolti e riuniti ben 190 Paesi con gli obiettivi comuni di frenare il riscaldamento del pianeta, limitare le emissioni di CO2 e arginare i disastri naturali ed ambientali legati all’aumento del-la temperatura nell’atmosfera e negli oceani. Più nello speciico, le conclusioni raggiunte dall’incontro (purtroppo svoltosi in una clima di tensione in seguito agli attacchi terroristici del 13 Novembre che hanno richiesto maggiori misure di sicurezza) possono essere riassunte nei seguenti punti fondamentali:

• Aumento della temperatura entro i 2°C. Alla conferenza sul clima che si è tenuta a Copenaghen nel 2009, i circa 200 Paesi partecipanti si diedero l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura globale rispetto ai valori dell’era preindustriale. L’accordo di Parigi stabilisce che questo rialzo va contenuto “ben al di sotto dei 2 gradi centigradi”, sforzandosi di fermarsi a +1,5°. Per centrare l’obiettivo, le emissioni devono cominciare a calare dal 2020. • Consenso globale. A diferenza di sei anni fa, quando l’accordo si è arenato, questa volta ha aderito tutto il mondo, compresi i quattro più grandi inquinatori: Europa, Cina, India e Stati Uniti.• Controlli ogni cinque anni. Il testo prevede un processo di revisione degli obiettivi che dovrà svolgersi ogni cinque anni.• Fondi per l’energia pulita. I Paesi di vecchia industrializzazione erogheranno cento miliardi all’anno (dal 2020) per difondere in tutto il mondo le tecnologie verdi; potranno contribuire anche fondi e in-vestitori privati.• Rimborsi ai paesi più esposti. L’accordo dà il via a un meccanismo di rimborsi per compensare le per-dite inanziarie causate dai cambiamenti climatici nei Paesi più vulnerabili geograicamente, che spesso sono anche i più poveri.

(fonte: l’Internazionale)

Se questi punti rappresentano l’impegno che si intende assumere d’ora in avanti a livello globale, il con-senso raggiunto e la volontà di renderli pubblici ed uiciali mediante una ratiica in tempi, possibil-mente, brevi, dovrebbero rappresentare per tutti un chiaro segnale di volontà di coinvolgimento della popolazione da parte delle istituzioni, inalizzato a sostenere un progetto condiviso di salvaguardia e protezione dell’ambiente. Cosa possiamo fare noi, nel nostro piccolo quotidiano, per contribuire? Per prima cosa cercare di ridurre la nostra “impronta ecologica”, legata soprattutto alle emissioni e al consu-mo dei combustibili fossili, nonché iniziare ad adottare nuovi comportamenti ragionevoli da sostituire alla consueta mentalità, condizionata e deformata dalla società del consumo e dello spreco: è importan-te, ad esempio, ridurre i consumi di acqua ed energia, preferendo la doccia, meglio se breve, al bagno, riciclando l’acqua di cottura per innaiare il giardino, o ancora, utilizzando lampadine a basso consumo energetico ed elettrodomestici più eicienti, evitando di lasciarli in modalità stand- by se inutilizzati. Forse non tutti sanno, inine, che anche le nostre abitudini alimentari possono incidere sull’ambiente: è bene preferire il consumo di cibi locali e biologici e di frutta e verdura rispetto alla carne, il tutto cor-redato ad uno stile di vita sano e consapevole, mirante a ridurre gli sprechi. Semplici azioni quotidiane, quindi, che, se messe insieme, possono fare una grande diferenza: ricordiamoci che noi uomini siamo solo di passaggio ed il pianeta Terra è la nostra casa e il nostro nido, che abbiamo il dovere di preservare, difendere e garantire interamente alle generazioni successive, in tutta la sua preziosità e bellezza.

Alice Barbisan

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Sono Caterina e sono iscritta al primo anno di Lingue a Trento. Per cominciare, va speciicato che la nostra facoltà è divisa in due rami: Lingue, Letterature e Traduzione e Lingue per L’Intermediazione Turistica e d’Impresa. Entrambi gli indirizzi, così come il resto dei corsi di Laurea di questa università, sono a numero chiuso e l’accesso è regolato da un test che solitamente ha luogo sia a ine Aprile sia a ine Agosto. Il numero chiuso, infatti, è una caratteristica particolare di questo ateneo e permette agli studenti di essere più se-guiti a livello didattico, senza problemi di sovrafollamento delle aule e di organizzazione delle lezioni. La Laurea in Lingue fa parte dei “Corsi di Laurea a Ciclo Breve” (Lauree Triennali) a seguito delle quali si può accedere alla specializzazione (Laurea Magistrale), da completare all’interno dello stesso ateneo o altrove. Normalmente le lingue da studiare sono due a scelta fra Inglese, Francese, Spagnolo, Tedesco e Porto-ghese durante la triennale, a cui si aggiungono Russo e Catalano nella specialistica. La scelta delle Lin-gue, in ogni caso, non si compie al momento del test ma solo dopo aver compilato il “piano di Studi”, cioè dopo aver deciso quali materie avremo intenzione di seguire nei tre anni di corso. Il mio indirizzo (Lingue, Letterature e Traduzione) comprende esami comuni a più corsi di laurea ed esami caratterizzanti, come quelli di Letteratura e di Cultura in lingua.In merito all’aspetto più tecnico, il primo anno è organizzato su un orario di 28 ore settimanali, divise in lezioni a frequenza non obbligatoria e lezioni, ahimè, a frequenza obbligatoria, come le esercitazioni di lingua. L’università, comunque, è una delle migliori in Italia sia per quanto riguarda la didattica sia per lo stato degli ediici, quasi tutti nuovi e progettati a misura di studente (la sede di Lingue e Lettere è quella più bella, idatevi). L’ateneo, inoltre, è rinomato per la sua apertura internazionale e per le numerose agevo-lazioni, soprattutto economiche, riservate agli studenti (borse di studio, incentivi alle attività sportive, eccetera).

Mi chiamo Sara, ho 19 anni e sono un’indecisa cronica. Non so mai cosa ho voglia di mangiare a cola-zione, cosa mi piacerebbe fare il sabato sera, quale maglione mettermi. Forse sono soltanto pigra, pro-crastino ino a quando è troppo tardi per scegliere in modo ponderato e sono costretta a mangiare/fare/mettermi la prima cosa che capita. Così è facile, no? Ma a volte ci sono scelte che non puoi proprio evitare di fare.Credo possiate immaginare quanto fossi indecisa sul “Cosa Fare della Mia Vita”, quel maledetto punto interrogativo che inghiotte tutti dopo la ine delle Scuole Secondarie. Scegliere il Liceo Classico era stato semplice, sapevo cosa mi piaceva e cosa non mi piaceva; quello che avrei fatto dopo non era un grande problema, galleggiava nell’indeinito, era solo un miscuglio di sogni iperbolici. Ma dopo il Liceo, sapen-do che quello che scegli condizionerà la tua vita per sempre, che fare? Io, per farla breve, ho preso l’ipotesi più assurda e improbabile, sapete, no? quella che se ne parli tutti pensano sia uno scherzo, e l’ho scelta. Ho scelto di studiare Arabo ed Ebraico a Ca’ Foscari, a Venezia, insieme a tante altre materie interessan-tissime come Islamistica, Storia del Caucaso, Geograia politica del Medio Oriente, Diritto Islamico ecc. Almeno, a me sembrano interessantissime.Ed ecco il lieto ine, la ragazza insicura e indecisa ha trovato la sua strada e vivrà per sempre felice e con-tenta. Però io non lo so se questa è la mia strada. Direte, e chi altro può saperlo? Ma a me più di tanto non interessa saperlo. Alla ine, io credo, fare una scelta non signiica prendere una direzione e uscire dalla bussola dell’Orientamento per sempre. Io la vedo così: noi cominciamo a camminare verso un punto cardinale, certo, ma è un’illusione; sotto di noi la bussola diventa sempre più grande, e passo dopo passo ci ritroviamo sempre comunque al centro. L’Orientamento non inisce con il Liceo, è una ricerca conti-nua di equilibrio interiore, un girotondo con se stessi, un viaggio meraviglioso alla scoperta del proprio futuro. Che ancora non è scritto da nessuna parte.

Lavoro e cultura classica: amore

o odio?

La notte del Liceo Classico è inita da poco e i ricor-di sono così freschi e vividi: l’entusiasmo dei prota-gonisti, l’interesse degli ospiti, la voglia di scoprire e raccontare il Canova nel 2016. Un liceo classico proiettato nel futuro, già… ma che futuro ha la no-stra cultura classica soprattutto se la rapportiamo al mondo del lavoro? Questo è un tema ricorrente e anche nella serata del 15 gennaio scorso è stato am-pliamente trattato durante la tavola rotonda in aula magna. Ospiti illustri, ex allievi, si sono espressi su questo argomento, toni importanti e rilessioni profonde sull’importanza degli studi classici. Ma nel mondo del lavoro, la cultura classica piace o non piace? E come si misura questo gradimento?Ci provo con un esempio culinario. La cultura clas-sica è come il burro in cucina: a tutti piace man-giare al ristorante dove ogni piatto è così saporito e ti chiedi ma come è possibile? Oppure lo dai per scontato… il tocco dello chef! Gli ingredienti non sono segreti, ti danno pure la ricetta! Salvo poi scoprire che il segreto sta nel burro che insapori-sce le pietanze. La cultura classica è così, quel certo non so che che insaporisce le relazioni in azienda, le conversazioni in uicio, le analisi, le relazioni di progetto, i confronti tra professionisti, i colloqui di lavoro. Ora, come in tutte le cose, non bisogna esagerare. Burro compreso. Nessuno vuole sentir parlare durante un incontro di lavoro di Cicerone, Orazio e Virgilio, a volte ci rimane addosso quel senso di superiorità un po’ snob che da fastidio a chi ci sta vicino, cosa che tra noi può anche esse-re fonte di scherzo e battute, sicuramente anche di identiicazione, ma il più delle volte non diamo una sensazione piacevole all’esterno. Nel lavoro si incontra di tutto e gli studi fatti non sono garanzia di corsia preferenziale né di autorevolezza a prio-ri. E soprattutto, non fanno ottenere un lavoro più facilmente. L’ideale è sapersi confrontare con tutti. La cultura classica è una risorsa segreta che aiuta a distinguersi, a guardare le cose in maniera più aperta, è un patrimonio di storia da cui attingere per cercare soluzioni e idee. Provo a farvi vivere un momento di selezione di lavoro realmente accaduto. Un giorno un’azienda doveva scegliere un nuovo Direttore Generale e i candidati che avevano superato le prime selezioni erano tre.

Tutti ingegneri, tutti in gamba e ugualmente pre-parati. La Direzione Aziendale decise di scegliere la “persona”. Così portò a cena i tre candidati per conoscersi meglio. Alla ine il posto lo ottenne l’ingegnere che aveva sostenuto la miglior con-versazione, colta e piacevole, aperto al dialogo e al confronto. Era l’unico che aveva sostenuto studi classici alle superiori. E come si fa a distinguersi senza risultare snob? Evitando di fare sfoggio del proprio sapere. Ci ri-cordiamo tutti cosa diceva Socrate, uno che sapeva distinguersi eccome!, infatti parlava con chiunque e ad elevarlo era la sua intelligenza, la capacità di ragionamento, di confronto. Esattamente quello che serve nel mondo del lavoro. Chi assumerebbe un giovane con la puzza sotto il naso? Il mondo del lavoro vuole gente che si sa rimboccare le maniche e sa risolvere problemi complessi come una ver-sione di greco. Inoltre, nessuno è un’isola, nessuno lavora da solo o in gruppo con i propri “simili”. Le carte si stanno mescolando sul tavolo e bisognerà sapersi confrontare con chiunque – gruppi di lavo-ro multietnici e multiculturali, ad ogni latitudine – ed essere capaci di afrontare orizzonti e proble-matiche nuove. La cultura classica e il mondo clas-sico da cui proviene, è un patrimonio ricchissimo e comune a tante popolazioni, compresa la nostra, non solo la nostra. Così come il ragionamento “classico” che abbiamo imparato e state imparando a scuola è fondamen-tale, oggi e domani. A noi tutti usarlo con intelli-genza.

Paolo Vitale

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ORIENTAMENTO

RU

BR

ICH

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Un nuovo approdo

Le onde del mare bagnano la sabbia, ruvida sotto ai miei piedi. Le mie braccia sono doloranti per i grai che ricoprono quasi tutto il mio corpo. Non ho le forze per alzarmi e nemmeno per guardarmi intorno. Allora chiudo gli occhi e mille ricordi riaiorano nella mia mente. Prima mi appare l’imma-gine del bambino della barca, mentre cerchiamo di restare in vita. Lo tengo stretto tra le braccia, ma l’oceano ghiacciato presto esaurisce le mie energie, il mio cervello non controlla più niente, nonostan-te non desideri altro che salvarlo. La sua piccola mano scivola lentamente dal mio collo, facendomi rabbrividire ancora di più, un’ultima luce illumina il suo sguardo, la sua bocca minuta si piega in un sorriso ingenuo, ignaro del proprio destino. Afonda, il suo viso è ormai inespressivo, vuoto. Non co-nosco il suo nome, eppure vederlo sparire è tanto doloroso quanto perdere un fratello. In quel volto anonimo riconosco ogni membro della mia famiglia. Non ho più rivisto i miei genitori e mio fratello dalla partenza, quando un uomo imponente e sicuro di sé ci ha mandati in due barche diverse, assicu-randoci che il nostro approdo sarebbe stato lo stesso. Il loro è stato la morte, probabilmente lo sarebbe stato anche il mio, se dopo l’incendio una barca di pescatori non mi avesse raccolta come un pesce tra le sue reti e poi gettata sulla prima spiaggia incontrata, come un peso inutile. Da lì non mi sono più mossa ed eccomi, adesso, sdraiata sulla sabbia. Non so da quanto io sia stata abbandonata in questo stato: ho perso la nozione del tempo, ma non importa, ormai non cambia molto tra un martedì e una domenica. Ecco, di nuovo altri ricordi. Questa volta vedo il lunedì mattina della partenza. Mia madre mi aveva svegliata prima del solito, io avevo creduto che fosse un’altra delle sue strane teorie, ma men-tre mi parlava spostava ansiosamente lo sguardo sull’orologio o verso la porta come se avesse fretta. Rapidamente mi aveva spiegato che dovevamo andare via: la nostra casa, la nostra città, il nostro pa-ese non erano più sicuri. Io, invece, ero convinta di essere la fortunata, di essere lontana dal mondo cruento delle guerre, di vivere protetta in un posto incontaminato dai conlitti politici. Mi ero chiesta se tutto quello sarebbe rimasto. Non volevo abbandonare la casa, perché racchiudeva tutta la mia vita. Tuttavia, non avevo scelta, dovevo andare via. Mia madre aveva lasciato la tavola apparecchiata per il ritorno, mio padre chiuso la serratura a chiave (come se i ladri fossero il pericolo più grave), mio fratello abbracciato il suo orsacchiotto. E ancora un’altra silza di scene si susseguono rapide e confuse. Torno al presente che è oscuro quanto lo è il passato. Sento delle voci e dei passi intorno a me. Dopo un trambusto generale, piomba di nuovo il silenzio. Probabilmente non sono la prima naufraga, le persone avranno creduto che sono morta. Trovo inalmente le forze per sollevare la testa. Intorno a me una spiaggia libera, troppo tranquilla, il mare fosco, ma non in tempesta, una casetta di legno in cui risplende ioca una lampada. La notte sta calando e in lontananza vedo dei fuochi. Subito li asso-cio all’incendio sulla barca, per un attimo sento di nuovo le forze mancare. Mi faccio coraggio e mi trascino ino a un cespuglio, da cui vedo la scena che si sta svolgendo un po’ più in là. Delle piccole igure vengono tirate e sposate da una ila all’altra. Sono bambini e alcuni uomini li stanno separando dalle madri, che supplicano, urlano, ma che ottengono solo frustate. È orribile e incredibile allo stesso tempo che nessuno intervenga per fermarli. Questa scena continua, atroce, quando all’improvviso mi attraversa il pensiero di inire anche io nel traico umano. La paura che non smette di crescere mi spinge a correre ino alla casetta che mi sembra il luogo più rassicurante visto inora. Busso alla porta e una vecchia donnina mi apre. D’un tratto non controllo più niente. Senza dire una parola, mi precipito verso la fonte di calore più vicina, il caminetto della sala, e crollo a terra sinita.

Mathilde Romeo

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Settimana dei recuperi

Vagheggiare pallido e assortoPresso un Canova assai contorto,Sentirsi ancora come in vacanza,

Cercando elenchi, nomi, una stanza.

Nei momenti buchi tra ogni bloccoSpiar le masse di alunni spaesati,

Che ora si trovano ed ora si bloccanoSenza saper dove sono assegnati.

Osservare sorridendo il brillareLontano dei raggi, e pensare,

Mentre si leva il mondo e va al lavoro,Che tu dormi e ridi di loro.

Immensa, confusa marmagliaDi gente che si afolla e si aggroviglia...A chi non va vagando allo sbaraglio,

Sarebbe da donare una medaglia(E anche alla Nelly, che tutti consiglia)

Cristiana Mazzetto

PARODIE DI POESIE

Stranieri ad altezze abbaglianti,rilettiamo immoti su un piano bianco.

Ascolto strisciare nel silenziouna bestia che conosco;mi si accosta sibilando,

stridendo,gridando,

acuta vertigine che squarcia gli spazie mi aferra,

e mi soppesa,e di colpo mi lascia andare

e mi abbandonanel vuoto.

Francesca Varago

Futuro

Entriamo come ciechiIn mostre d’arteNel velato oblio

Che forse si vedrà da vecchiParte

Mentre svago dall’odioAttorno domina.

Anonimo

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Attesa

Sai ti seguirei oltre le mie mura malatecombattendo con le ombre che proietto

combattendo con i ricordi e il rilesso allo specchio

combattendoper i miei sogni da folle

partoriti in un plenilunio allucinatoe per i tuoi sogni da poeta.

Uno stilo spuntato e viaggio ogni notteper cercarti sulla carta

nel rilesso cupo dell’inchiostro.Sai se fossi un buon amante ti parlerei per pri-

moma qui dentro non sono solo

e le altre voci non sono tutte buoneci sono urla e incubi lacerati

e sognicorrosi dalla realtà

ho rammendato le mie ferite con bende di carta

cuciture di china e bisturi ben temperatinella speranza di un tuo gesto

di una tua parola per far tacere la folla qua dentro

di una tua parola per fuggire dalla Reading personale nella mia testa.

Anonimo

Dove sei?La casa è silenziosaNel buio della sera,

Nel vuoto della notteSi accende una preghiera.

Il suono del passatoRintocca nei dintorni,Sussurra “Sei andato.

Torni?”

Dove sei?Il mondo sta cambiandoE nulla qui è cambiato,L’inverno sta passando,Ma tu, non sei passato.

Risvegliati nei iori,Ritorna in primavera,Accendi i tuoi colori

Nella sera.

Dove sei?Il tempo non si fermaAd attendere chi tace,Il ticchettio risuonaDel canto della pace.Scorrono le lacrime

Sul viso di chi aspetta,Voltano le pagine,

Fai in fretta.

Dove sei?Risuona la domanda

In un’eco ininita,Ho perso la speranzaE tu hai perso la vita,

Non sento una rispostaE rimango qui da sola,

Una voce nascosta,Ancora.

Dove sei?Vorrei il tuo caloreUna volta soltanto.Ricordi? Nel dolore

Asciugavi il mio pianto.Ma ora sei andato

Lasciando solo un’orma,E un anno è già passato.

Torna.Cristiana Mazzetto

Il pozzo

Le cascate non si sentonoDentro il pozzo di pensieri,

Non funzionano,Non sono meccanismi.

Probabilmente volevi volare,Ti bastava sognare.

Probabilmene volevi rubareQualche dolce astro.

Ma ora rimane l’acquaChe non vede il cielo rispondere,Il pozzo risponde alle sue ansie.

Aianco ad esso i ioriSi sbizzarriscono con i loro colori,

Si imbarazzano alla tua vistaTutti rossi, tutti gialli, tutti blu.

Poco più avanti c’è un secchioEd una corda.

Probabilmente ti servonoPer raccogliere i iori nel pozzo.

Probabilmente una stellaCi è caduta dentro.

Acram

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Il trionfo della macchina

Si parla del trionfo della macchinama la macchina non trionferà mai.

Da mille e mille secoli dell’uomole felci si dispiegano, mentre le lingue

dell’acanto sciabordano nel Sole,per un secolo triste soltanto

le macchine hanno trionfato, ci hanno sbattutodi qua e di là, hanno rinsecchito

la terra, scosso il nido dell’allodolasino a spezzarne le uova.

Scossi gli stagni, inchè le anatresono partite, e volati via i selvatici

cigni, cantando il nostrocanto del cigno.

Duramente sopra la terra vannole macchine, ma in certi cuori non

si apriranno mai la strada.

Ah, no, nel cuore di qualche uomo c’è ancorail tempio dove l’allodola nidiica

al sicuro.

L’allodola nidiica nel suo cuore,e attraverso i canneti delle sue reni

palustri il germano reale nuota all’alba, in quellarapida gioia;il cervo spezza i suoi

corni nelle montagne del suo petto, ci sonovolpi nel nascondiglio della sua barba.

Ah, no, la macchina non trionferà mai.In certi cuori ancora i templi della

vita selvatica sono intatti.

E alla ine,tutte le creature che non possono

morire mentre un cuore dà loro albergo,udranno un silenzio calare

quando le macchine conoscerannodecadenza e ine.

Udranno il debole sibilo delle straded’asfalto che si spaccano

come il carpine spinge su i suoi germogli.Udranno lontano, lontano la sirena

dell’ultima fabbrica mandare l’ultimogrido selvaggio, disperato

quando la macchina si spezzerà, inalmente.

E alla inetutte le creature che erano state

portate indietro negli angoli più internidell’anima

loro, rispunteranno. David Herbert Lawrence

Per questo numero dedicato all’ambiente ho scelto una poesia dello scrittore e po-eta inglese D. H. Lawrence(1885-1930), scritta dopo la ine della rivoluzione indu-striale, che sembra quasi esserel’espressione di un sentimento di speranza e di iducia in un nuovosecolo in cui la natura trioni sulle mac-chine, anche se ciò non è avvenuto...Ricordo che chi avesse piacere di pubbli-care una propria poesia, anche in anoni-mo, può farlo inviandola alla mail:

[email protected]

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Mito e Natura: dalla Grecia a Pompei

Si è conclusa il 10 gennaio la mostra “Mito e Natura: dalla Grecia a Pompei” allestita a Palazzo Reale, nel centro di Milano, accanto a Piazza del Duomo. Un’ esposizione vastissima che ha ospitato per cin-que mesi: vasi, sculture, afreschi e cibi provenienti da altri musei italiani ed europei, quali il Museo Archeologico di Atene, il Kunsthistorisches Museum di Vienna e il Louvre di Parigi. La mostra è orga-nizzata in varie tematiche: lo spazio della natura, la natura come segno e metafora, la natura coltivata come dono degli dei, il giardino incantato, il passaggio dalla natura al paesaggio, il verde reale e il verde dipinto, inine, nature morte e nature vive di Pompei. Del primo tema l’opera che spicca di più tra le altre è lo straordinario vaso in vetro-cammeo chiamato “vaso blu”: un’anfora che mostra una scena di vendemmia (deducibile dai grappoli di uva e dal putto che pigia l’uva). Durante tutto il percorso, le divinità che emergono nei vasi e negli afreschi sono principalmente quattro: Atena, Zeus, Dioniso e Apollo, rappresentati mediante i loro attributi. Inoltre, questa mostra ofre l’occasione di vedere anche “La tomba del tufatore” in prestito dal museo di Paestum. Nel dipinto si può vedere un tufatore che si accinge a tufarsi in una fonte d’acqua da un piedistallo di colonne e la natura intorno a lui appare sti-lizzata. Questa natura irrealistica diventa vera grazie agli architetti Marco Bay e Filippo Pizzoni, i quali hanno ricostruito un viridarium, ossia un giardino romano di duemila anni fa. In occasione dell’Expo 2015 è stata anche riservata una stanza per presentare i cibi tipici dell’antica Roma: si possono vedere alcune erbe aromatiche, pesche, ichi, datteri e addirittura una pagnotta ritrovata negli scavi di Pompei. Per concludere in bellezza questa mostra, prima di arrivare al bookshop, è stata allestita una stanza particolare e piuttosto moderna. All’inizio i curatori della mostra erano dubbiosi su come allestirla per la ricchezza già esibita negli altri spazi, di conseguenza hanno deciso di dipingere le pareti di questa stanza “di passaggio” con colori vivaci come il verde, il rosso e il giallo e di lasciarla spoglia, imprezio-sita solo dall’aggiunta di qualche quadro di natura morta, per riprendere il tema della mostra.

Lorena Patricia Hossu

Alcune mostre in Italia consigliate:

Le passioni di Picasso, 19 dicembre 2015 -20 marzo 2016, PAVIA | Palazzo VistarinoMatisse e il suo tempo, 12 dicembre 2015 - 15 maggio 2016 TORINO | Palazzo Chiablese

Toulouse - Lautrec, 4 dicembre 2015 - 8 maggio 2016 ROMA| Museo dell’Ara Pacis Joan Mirò. La forza della materia, 25 marzo 2016 - 11 settembre 2016 MILANO | MUDEC

Splendori del rinascimento veneziano, Andrea Schiavone tra Tiziano Tintoretto e Parmigianino

28 novembre 2015 - 10 aprile 2016 VENEZIA | Museo

Vaso Blu La tomba del tufatore

Eschermania

Il Museo di Santa Caterina ospita dal 31 ottobre 2015 al 3 aprile 2016 ben 140 opere di Maurits Cornelis Escher, artista olandese poco conosciuto se non per la famosissima “Mano con sfera rilettente”. Escher era un incisore e graico, il quale utilizzava principalmente la tecnica della xilograia ritraendo paesaggi naturalistici olandesi e del Sud-Italia, in seguito ai lunghi soggiorni tra la Calabria, la Sicilia e il Lazio. Solo per citare un esempio della genialità di quest’artista basti pensare che Escher si aggirava nel cuore della notte per la caput mundi con una lanterna in mano per vedere tutti quei giochi di luci e ombre creati dai pochi lampioni che illuminavano San Pietro o il Colosseo, rilessi poi nei suoi lavori. Dopo l’Italia, è ritornato in Olanda, dove si è dedicato al calcolo, alla matematica, alla geometria, all’il-lusionismo e all’assurdo. Ne è un esempio la sua litograia “Relatività”: scale, uomini che salgono, che scendono, inestre e botole.. In questa opera ha voluto includere tre punti di vista: non c’è un punto di vista giusto o una ragione perché è tutto in movimento, tutto si muove secondo un proprio principio. Rifacendosi alla teoria dei tre mondi di Popper, Escher ha realizzato Tre mondi: un laghetto sopra il quale si muovono delle foglie (la realtà); l’acqua, che appare trasparente e permette di vedere alcune carpe (mondo sommerso); inine, il rilesso degli alberi (mondo sovrastante). La mostra è suddivisa in sei sezioni: la formazione (Escher, l’Italia e l’ispirazione Art Nouveau), superici rilettenti e metamor-iche, dall’Alhambra alle tassellature, paradossi geometrici (dal foglio allo spazio) ed inine economia escheriana ed eschermania. Le opere più curiose rimangono i tantissimi disegni periodici: pesci, dra-ghi, lucertole, leoni; creature che pian piano si trasformano geometricamente mentre cercano l’ininito. Ma ora non vi svelo più niente.. correte ad acquistare il vostro biglietto!

“Solo coloro che tentano l’assurdo raggiungeranno l’impossibile.” (Maurits Cornelius Escher)

“Ho realizzato che l’ordine è disordine solo con scarsa fantasia”“Era strabella Metamorfosi II”“La mostra era ben organizzata, bella l’esposizione e molto brava la guida. E’ stato un modo piacevole di conoscere una artista di cui spesso non si parla a scuola”“Escher a Treviso è una mostra che merita di essere visitata soprattutto perché si ha l’impressione di essere guidati nella storia dell’artista. La chiave sta in parte anche nell’organizzazione dell’esposizione, gli spazi interattivi aiutano a comprendere le sue idee e ad immedesimarsi nell’opera, mentre la disposi-zione nelle sale costituisce una sorta di climax dalle opere meno conosciute ai capolavori emblematici”

Lorena Patricia Hossu

hree Worlds,1955 Relativity, 1953

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Un’epifania. Non credo ci sia una parola che descri-va meglio il mio stato dopo aver visto per la prima volta he Hateful Eight: l’ottava fatica del maestro Quentin Tarantino. Lo ammetto, se si parla dello zio Quentin io di certo non sono un giudice im-parziale, anzi, per quanto mi riguarda potrebbe persino ilmare otto uomini seduti ad un tavolo che cianciano di frivolezze come il vero signiicato di Like a Virgin di Madonna o se sia giusto o no lasciare la mancia, sarebbe un capolavoro sempre e comunque. Ad ogni modo nel valutare questo ilm cercherò di essere il più imparziale possibile, ma vi posso dire che anche svariati giorni dopo averlo visto la sensazione non è cambiata: he Hateful Eight è senza ombra di dubbio il miglior lavoro di Tarantino (tralasciando Pulp Fiction che non è un ilm, bensì l’opera di una divina mente superiore), la summa del suo percorso sia di re-gista sia di sceneggiatore. Guardando la pellicola, infatti, si notano subito tutti gli elementi che negli anni hanno caratterizzato la carriera del maestro del pulp. Ed è proprio il pulp che fa da sostrato a tutto il ilm, quella caratteristica peculiare dei pri-mi lavori del regista (Reservoir Dogs, Pulp Fiction e Jackie Brown), che col tempo si era persa lasciando spazio alla maestosità da kolossal che si nota be-nissimo già in Kill Bill, ma soprattutto in Inglorious Basterds e in Django Unchained. Ebbene, con he Hateful Eight Tarantino è riuscito a ritornare ad un’atmosfera squisitamente “anni novanta” senza però perdere quel taglio altisonante e maestoso (forse anche un po’ altezzoso) che ha caratterizzato i ilm della maturità. Insomma, per usare una me-tafora, Quentin ha preso Reservoir Dogs e Django Unchained, li ha frullati assieme e li ha serviti su una pellicola formato “Super Panvision 70” con una spruzzatina di Kill Bill a guarnire il tutto. De Le Iene troviamo infatti il concetto di base che fa da scheletro alla trama (otto cani rabbiosi tra quat-tro mura pronti ad azzannarsi tra di loro), Django fornisce l’ambientazione e il genere (il caro vecchio Western), mentre Kill Bill ci regala il sangue, che in questo ilm torna a scorrere a iumi, e la violenza. Parlando di dettagli più tecnici, devo dire che an-che per quanto riguarda la regia, di solito oscurada una sceneggiatura superlativa, Quentin ha svolto un ottimo lavoro, regalandoci, soprattutto nella

prima parte, inquadrature magistrali e riuscendo ad organizzare i tempi in maniera ottimale, grazie alla tipica (e amatissima) suddivisione in capitoli, facendoci scappare pure un intermezzo riassuntivo ed esplicativo. Della sceneggiatura e dei dialoghi credo sia superluo parlare, Tarantino ci ha abituati bene e anche questa volta non delude: trama avvin-cente e ricca di suspense, un’atmosfera cupa, quasi da ilm horror, alimentata dalla bufera di neve che imperversa fuori lo chalet di Minnie ma smorzata dall’ironia, dalla leggerezza e dal black humor ti-pici dei dialoghi tarantiniani. Sorvolerei pure sulla colonna sonora: Ennio Morricone, non dico altro. Veniamo, dunque, alle interpretazioni. In he Ha-teful Eight troveremo i classici attori già collaudati da Mr. Tarantino, su cui si può sempre fare aida-mento per delle ottime performance: ed ecco quin-di che ritorna l’onnipresente Samuel L. Jackson, aiancato da un altro veterano come Kurt Russel, in compagnia del solito muso duro di Michael Madsen e del tipico sorriso sornione di Tim Roth, aggiungiamoci pure l’ennesimo cameo di Zoë Bell e il gioco è fatto; a stupirmi, però, sono state le in-terpretazioni di Jennifer Jason Leigh e di Channing Tatum. L’attrice ha impersonato in maniera mol-to convincente la criminale Daisy Domergue: un misto di ignoranza, razzismo, violenza e cinismo che dall’inizio alla ine del ilm incassa pugni, calci e scudisciate di ogni tipo; Tatum, invece, supera il ruolo del “tizio-muscoloso-con-la-faccia-da-idio-ta” di 21 e 22 Jump Street riuscendo in un’interpre-tazione che, seppur breve, rientra perfettamente nei canoni di Tarantino. Un ultimo appunto lo fac-cio sulla fotograia, in modo tale che anche i pro-fani sappiano che per la sua nuova opera Quentin, con l’aiuto del idato Robert Richardson, ha voluto strafare girando l’intero ilm in 70mm: il formato più costoso in circolazione che dona all’immagine una deinizione doppia rispetto al solito 35mm e che rende l’esperienza visiva totalmente diversa da quella a cui siamo abituati.

Per usare le parole del maestro “La versione 70mm è come andare a vedere la Bohème alla Scala o una pièce con Al Pacino a Broadway. Se vieni a vedere lo show sei mio!”. (Sfortunatamente in Italia tale formato arriverà solo al “Cinema Arcadia” di Melzo). Ok, diciamo che alla ine l’imparzialità è andata a farsi benedire già con la dichiarazione di intenti, ma per un appassionato di cinema è impossibile non impazzire di fronte al lavoro di Quentin Tarantino: puro cinema che parla di cinema, carico di citazioni e riferimenti ai grandi maestri del passato, ine a se stesso, autoreferenziale ino allo sinimento, preten-zioso e superbo, avantpop e postmoderno, ma anche dannatamente divertente. E questa pellicola non è altro che il punto di arrivo di tutta l’opera Tarantiniana: il più cineilo dei cineili che prende un genere come il Western, una colonna portante per la storia del cinema (diverso dallo Spaghetti Western all’a cui si era ispirato per Django), e ci fa un iglio, un Western-Pulp che ha l’aspetto di Dio, lo charme e il carisma di Satana e la compostezza di Buddha. Chapeau, Quentin, chapeau!

Davide Sutto

30 31©Lucrezia Gazzola

he Hateful Eight:

la grandiosità del kolossal e il ritorno del pulp

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he rise and the fall of Ziggy Stardust

Ziggy Stardust è il protagonista del tanto celebre e amato album “he rise and fall of Ziggy Stardust and the spiders from Mars” che, a detta di molti, racconta le avventure di una “rockstar extraterrestre” di ambigua sessualità giunta sulla Terra ed investita di ruolo messianico, famoso alter ego del suo creatore, la leggenda della musica David Bowie, che, per “liberarsene”, ne inscenò la morte sul palco-scenico davanti a tutti i suoi fan. Ero molto piccola quando ho sentito parlare per la prima volta del “Duca Bianco”, com’era noto qui in Italia David Bowie. Mio papà ne è da sempre un grande appassionato, ma, nonostante io ne ascoltassi i successi alla radio, durante la mia infanzia questo personaggio non era ancora riuscito a stimolare la mia curiosità, dal momento che gli preferivo altri gruppi britannici come i Beatles. Negli anni però, sono stati numerosi gli episodi che mi hanno permesso di entrare in contatto col grande artista. Me-morabile è la volta in cui mio padre, raccontandomi come spesso faceva dei suoi viaggi in giro per il mondo (in giovane età ed in splendida forma!), ha avuto la possibilità di recarsi nell’esclusiva isola di Mustique nell’esotico e paradisiaco Mar dei Caraibi, dove, dopo aver scorto un arzillo Mick Jagger circondato da un gruppetto di splendide ragazze, ha stretto la mano a un vacanziero David Bowie di-cendogli, imbarazzato ed impreparato, la sera di Capodanno: “Happy New Year”! Sempre da piccola, ricordo quando mia madre (evidentemente la mia famiglia cercava di appassionarmi in tutti i modi alla rockstar inglese attraverso svariati messaggi subliminali!) comprò il DVD dell’ormai vecchio ilm fantasy “Labyrinth”, in cui, tra i personaggi principali, spicca il temibile “Re dei Goblin” interpretato da Bowie: ho ancora impressi nella mente il trucco esagerato, i capelli letteralmente “sparati in aria” e la striminzita calzamaglia grigia che portava, una “mise” ridicola, ma che giustamente si prestava alla pellicola e allo stile dell’artista. Negli anni delle medie, un buio periodo in cui mi ero totalmente lasciata vincere dalla musica pop-dance “pseudo-teenager”, sempre mio padre, probabilmente per salvarmi dal distruttivo tunnel in cui ero inita, mi regalò un CD con alcuni successi di Bowie che mi aveva portato da un viaggio di lavoro, dicendomi: “Ascolta un po’ di buona musica!”. Inutile dire che all’epoca, senza neanche perderci troppo tempo, scartai con facilità il regalo. Ci sono sicuramente altri episodi in cui il Duca Bianco ha tentato di entrare nella mia vita (o meglio, nella mia “playlist”), ma credo che il momento decisivo sia stato quando sentii per la prima volta la celebre “Under Pressure”. Ho conosciuto questa brano grazie alla mia grande ossessione per Freddie Mercury e per i Queen, quando ancora stavo indagando sulla produzione di quello che oggi considero il mio gruppo preferito.A questo punto le canzoni di David hanno cominciato una dietro l’altra a far parte della colonna so-nora delle mie giornate. Negli anni i miei gusti musicali sono gradualmente diventati più soisticati e il mio orecchio più sottile; inoltre, l’eccentricità e talvolta l’ambiguità che creano un personaggio come David Bowie non hanno potuto passarmi inosservate. Personalmente credo, sebbene il mio giudizio di grande fan non sia assolutamente oggettivo, che si tratti di un grandissimo artista sia a livello musi-cale, avendo creato ed inluenzato enormemente la musica degli ultimi decenni, sia a livello di “cultura popolare”, avendo contaminato anche il resto del mondo artistico.Come saprete, recentemente anche questa grande personalità della musica è scomparsa, e con essa questa volta Ziggy Stardust, il leggendario extraterrestre, se n’è andato veramente. Un’altra stella si è spenta, lasciandoci in eredità un ricco e vasto patrimonio artistico come ce ne sono stati pochi, senza però potendolo più rappresentare. Lascio il mio addio a David Bowie con la speranza che la sua musi-ca, carica di un’immensa capacità evocativa, capace alle volte di immergere in atmosfere surreali in cui ambientare i propri sogni e permettere a questi di prendere vita, e soprattutto ricca di drammaticità e poesia, venga tramandata alle generazioni più giovani come accade oggi con altri grandi artisti, e che faccia ancora a lungo parte delle nostre vite.

Linda Petenò

32 © Lucrezia Gazzola

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Born to lose, lived to win

Il 28 dicembre si spegneva, a quattro giorni dal suo settantesimo compleanno, l’ultima delle icone rock delle origini, il bassista e cantante dei Motörhead Lemmy Kilmister; nonostante i problemi di salute degli ultimi anni e lo stile di vita – sregolato ino alla ine – la notizia della morte, apparentemente causata da un tumore diagnosticato pochi giorni prima, ha colto impreparati i fan e il mondo della musica, che hanno reagito con numerosi messaggi di cordoglio e partecipato in centinaia alla cerimo-nia commemorativa, tenutasi pochi giorni dopo al locale preferito di Lemmy, il Rainbow, dove pare che presto verrà ricordato con una statua.Nei giorni seguenti si sono susseguiti tributi, epi-tai e ricordi di colleghi e amici del bassista, dal-la lunga lettera di Ozzy Osbourne che lo ricorda come amico e fonte di ispirazione, al sentito tri-buto di Rob Halford, al comunicato uiciale del-la band: “Non c’è un modo semplice per dirlo… il nostro forte e nobile amico Lemmy è morto oggi dopo una breve battaglia con un cancro estrema-mente aggressivo. (…) ascoltate forte la musica dei Motörhead, ascoltate forte gli Hawkwind, ascoltate forte la musica di Lemmy. Fatevi un drink o due. Raccontatevi storie. Celebrate la vita che questo uomo amabile e meraviglioso ha celebrato così bene per primo. Lui vorrebbe esattamente questo.”Nemmeno i fan si sono fatti attendere, creando due petizioni, una per chiamare “Lemmium” uno degli elementi della tavola periodica ancora senza nome e uno per nominare uicialmente “Lemmy” il Jack e Cola (quest’ultima già andata a buon ine, almeno per quanto riguarda gli USA).Ancora, sul web, post su post che ripercorrono una vita di eccessi e storie che nel corso degli anni avevano contribuito a formare un’aura di leggen-da attorno al bassista di Motörhead e Hawkwind, compositore unico dei Sam Gopal e roadie di Jimi Hendrix; storie di allucinanti tour che lo portava-no a stare sveglio ino a dieci giorni di ila, mas-sacranti e continui come l’ultimo, quello europeo concluso solo pochi giorni prima nonostante il tu-more non ancora diagnosticato. Storie di centinaia di amanti, di una bottiglia di jack giornaliera, di problemi più o meno grandi con la polizia, di lotta con le major discograiche e di concerti e collabo-razioni con musicisti di ogni genere che lo avevano portato ad avere uno status ormai iconico (tant’è vero che Dave Grohl dopo aver registrato una

canzone con lui aveva commentato “Fanculo Elvis, Lemmy è il vero rock’n’roll”).Eppure, guardare a Lemmy semplicemente come ad un simbolo del lato più autodistruttivo e “igno-rante” del rock, magari come ad una macchietta del genere, sarebbe estremamente riduttivo, per-ché prima di tutto stiamo parlando di un musicista in grado di spaziare in generi anche estremamente diversi come il rockabilly degli Head Cat, il pro-to-trash metal, lo psychedelic-prog e il blues e di scrivere alcuni dei dischi più inluenti degli anni ‘80 (su tutti Ace Of Spades e No Sleep ‘Till Ham-mersmith), senza i quali non avremmo mai avuto band come i Metallica, giusto per fare un esempio.Diicile anche, per molti, ricordare la totale i-ducia e fedeltà alla propria essenza, il duro nuo-tare per anni nella melma di recensioni schierate, pubblico refrattario e major discograiche ostili, in quella che oggi chiameremmo scena underground e che all’epoca si traduceva semplicemente in ap-partamenti sporchi e bus scalcinati, ma in grado alla ine di fruttargli una carriera quarantennale, milioni di dischi venduti e una reputazione, quella di essere sempre autentico, genuino nella semplici-tà dello stile e della musica. Per dirne una lo stile da biker sul palco non era un costume o una posa ma i vestiti di ogni giorno, con tanto di chiavi di casa al ianco.Ancora, diicile ricordare il Lemmy appassiona-to di storia e lettura, che passava notti insonni sul palco spento e vuoto a leggere con una pila, il Lem-my “ilosofo” e il Lemmy scrittore di testi impensa-bilmente profondi e curati, toccanti e intimi nelle ballad troppo spesso dimenticate.Il suo lascito? Qualche milione di dischi venduti, un’autobiograia, una stella scoperta da qualche anno che oggi ha il suo nome, una famiglia, un segno indelebile nella storia di almeno due generi musicali, tributi da fan e star della musica, un ul-timo irriverente spot pubblicitario, un ultimo otti-mo album, un ultimo video (“When the sky comes looking for you”, “Quando il cielo viene a cercarti”) e un’ultima intervista : “Dopo la morte? No, direi che a quel punto dovrò smettere, credo. Ma non si sa mai… potrei anche diventare uno spettro e far casino ai concerti di qualcun altro. Dei Tears for Fears per esempio, potrei apparire nel bel mezzo del concerto e urlare: ‘Fuori tutti!’”.

Giacomo De Colle

Chiacchiere

Ingredienti: 450g farina,

50g latte, 150g zucchero,

50g burro, 1 uovo,

1 bicchierino di grappa, olio extravergine d’oliva,

vaniglia in polvere, sale

Procedimento:

lavorate con una frusta 100g di zucchero con l’uovo ino ad ottenere un composto spumoso e chiaro; unite il burro sciolto a bagno maria, il latte, un pizzico di sale,un pizzico di vaniglia e la grappa (oppure la bevete voi).Mescolate con cura, poi incorporate poco per volta 400g di farina e lavorate ino ad ottenere un impasto liscio ed elastico. Trasferite la pasta su un piano da lavoro infarinato e continuare a lavorarla inché si formeranno delle bollicine, quindi stendere l’impasto e ritagliare con l’apposita rotella (tipo quella per tagliare la pizza) delle strisce della grandezza desiderata. Friggere le chiacchiere in olio bollente, far assorbire l’olio in eccesso con della carta assorbente e ,prima di servirle, spolveratele con lo zucchero rimasto.

Carla Ogoumah Olagot

Pepernoten (biscotti tipici olandesi)

Ingredienti:

150 g di burro125 g di zucchero di canna

10 g speculaaskruiden250g di farina autolievitante

4 cucchiai di latteSale

Spezie per speculaaskruiden (versione originale)

30 gr cannella10 gr chiodi di garofano

10 gr noce moscata5 gr pepe bianco

5 gr anice5 gr semi di coriandolo

Macinare tutte le spezie e mischiarle. Conservare in un barattolo ben chiuso.

Procedimento:Preriscaldare il forno a 160 ° C. In una ciotola, aggiungere lo zucchero, le spezie, il burro, la farina e un pizzico di sale aggiungere il latte alla pastella, impastare ino ad avere una pasta morbida.Rivestire una teglia con la carta forno. Formare delle palline della grandezza di nocciole, disporle sulla teglia e premete leggermente sopra per appiattirle. Cuocere in forno per 15-20 minuti inché sono teneri e leggermente dorati. Far rafreddare.

Valentina Dalla Villa

CUCINA

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OROSCOPO

Sodoma & Gomorra sveleranno la via che gli astri hanno predisposto per voi con un oroscopo abusivo, molesto e politicamente scorretto (ma anche colto ed intellettuale). Paolo Fox, fatti da parte!

Ariete (20 Marzo – 20 Aprile): Ur(ano) spostandosi in Bilancia inluirà beneicamente sulle vostre funzioni corporali. Dite addio alle ibre la mattina, d’ora in poi il vo-stro intestino sarà regolare come la passeggiata di Kant per le vie di Königsberg. Consiglio: mettersi alla ricerca del noumeno sarà uno “sforzo” inutile, lasciate perdere.

Toro (21 Aprile – 20 Maggio): con una spruzzatina di brio Ve-nere in Vergine ravviverà la vo-stra vita amorosa. Purtroppo Cupido, dopo una nottata al-colica con Dioniso, Nietzsche e Wagner, ha scagliato il suo dar-do con eccessivo impeto; ci sono buone probabilità che sia inito oltreoceano, su un altro pianeta o in un’altra epoca. Non dispe-rate, questo è un ottimo periodo per i voli low-cost. Consiglio: non lasciate andare l’occasione con un Pesci coraggioso che ri-uscirà ad aprire una breccia nel vostro cuore: o è amore, o è in-farto.

Gemelli (21 Maggio – 20 Giugno):

David Foster Wallace in Mercurio inluirà in maniera più o meno po-sitiva sulla vostra produzione scritta. Diarree letterarie e appendici di note gargantuesche vi porteranno sull’or-lo di una crisi di nervi, ma non ap-pendetevi al cappio: Bret Easton El-lis nella congiuntura tra la settima e l’ottava casa vi porterà una boccata d’aria con un po’ di sano minimali-smo. Consiglio: diidate delle tradu-zioni in Italiano di Haruki Murakami poiché, scevre di ortodossia gram-maticale, non soddisferanno i vostri gusti di grammar-nazi; si consiglia di ripiegare su un corso accelerato di giapponese.

Cancro (21 Giugno – 21 Luglio):

inalmente Plutone spostandosi in Toro porterà un po’ di cinismo e di dissolutezza morale nelle vo-stre tristi giornate buoniste. È un ottimo momento per scatenare tutta la vostra cattiveria contro un povero Scorpione indifeso, andateci giù pesante con il poli-tically uncorrect. Consiglio: dif-idate dei Gandhi, fanno tanto i paciisti ma lo sanno tutti che col sale ci caricano i fucili per legna-re quei fastidiosissimi inglesi.

Leone (22 Luglio – 22 Agosto):

L’inlusso di Creso nel cielo di Saturno porterà una sferzata di fortuna nella vostra esistenza. Tale contingenza astrale, però, attirerà le invidie degli altri se-gni: non tiratevela troppo che tanto anche le vostre fortune avranno ine, c’è sempre un Era-cle dietro l’angolo pronto a darvi una clavata. Consiglio: abbiate almeno la decenza di non osten-tare in pubblico la vostra fortuna e state attenti ai Malavoglia che potrebbero ristabilirsi nel cielo del Cancro e farvi tornare alle vostre tristi e solitarie vite.

Vergine (23 Agosto – 22 Settem-

bre): Hegel nella terza casa vi porterà ad un conlitto dialettico col vostro amato Capricorno. È un ottimo mo-mento per cercare di rivoluzionare le vostre vite, ma tanto poi il Geist fa come gli pare quindi non perde-teci troppo tempo. Luna: triadica. Ascendente: gemelli, ma di parto ri-gorosamente trigemellare. Consigli: diidate degli inviti a cena dei segni in ascendente Schopenhauer e Kier-kegaard, non hanno sicuramente buone intenzioni e, in generale, state lontani da quei cialtroni dei materia-listi dialettici.

Bilancia (23 Settembre – 22 Otto-

bre): termina inalmente l’inlusso di Beatrice nell’Empireo. Dopo aver scaricato alla Candida Rosa la sac-centella fastidiosa, sarà il momento opportuno per buttarla in caciara ed ignoranza con Ciacco e Farinata. Gli ascendenti Virgilio, come al so-lito, cercheranno di non farvi alzare troppo il gomito, ma voi corrompe-teli col solito vinaccio greco non di-luito e guardateli mentre se ne van-no barcollando per la campagna ad importunare poveri pastori. Consi-glio: state attenti agli alberi parlanti, manderanno a monte la vostra sera-ta con le tristi storie delle loro vite.

Scorpione (23 Ottobre – 21

Novembre): Lady Gaga nel cie-lo di Venere vi porterà magni-icenza, magniloquenza e divi-nità. Un Acquario indispettito tenterà di smontare la vostra autostima ma voi non fateci caso e ripetete nella vostra te-sta: “I’m beautiful in my way ‘cause God makes no mistakes, I’m on the right track baby I was born this way”. Consiglio: dif-idate di eccentrici proprietari di alberghi che parlano con un accento strano, probabilmente si tratta di serial killer incalliti.

Sagittario (22 Novembre – 21

Dicembre): ci dispiace molto, tanto Leone è fortunato, tanto voi sarete perseguitati dalla jel-la. Ci sono buone probabilità di incontrare quattro loschi iguri a cavallo, sicuramente non sono i principi azzurri che stavate aspettando. Consigli: se piove, iniziate a preoccuparvi. Non fa-tevi mettere in croce. Occhio ai primogeniti. Se un tizio vi consi-glia di tagliare per il deserto del Sinai per far prima, non ascolta-telo, mente. Se il riscaldamento si rompe, ri-piegate su stalla zooriscaldata.

Capricorno (22 Dicembre – 20 Gen-

naio): sappiamo che vi sentite un po’ soli e che molti dubitano della vostra esistenza, l’allineamento di Leopardi con Nettuno non migliorerà la vostra sorte. Non disperate, una bella gita in Molise e passa tutto. Consiglio: in questo momento delicato della vo-stra vita evitate esperienze estreme e pericolose, per cui si consiglia di astenersi dalle versioni di Tacito

Acquario (21 Gennaio – 19

Febbraio): la contingenza astrale dell’Immaginiico Vate col cielo di Marte favorirà le vostre imprese. Cogliete l’occa-sione al volo: se una domeni-ca non sapete cosa fare potete sempre raccogliere un gruppo di amici arditi e dirigervi verso Fiume. Consiglio: questo è il periodo migliore per cambia-re genere ai nomi di toponimi, perché “la Piave” proprio non si può sentire.

Pesci (20 Febbraio – 19 Marzo):

l’inlusso positivo del Sole vi farà prendere l’iniziativa nella vita di coppia. Non fatevi scappa-re l’occasione d’oro con un Toro molesto, sotto l’inlusso del dio Priapo, che vi prenderà all’amo; Venere potrebbe riservarvi pia-cevoli sorprese. Consiglio: evi-tate i “pescetariani” ma soprat-tutto non abboccate alle avances di quelli che fanno battute tristi come queste.

Sodoma & Gomorra

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Caterina BaldassoAlice BarbisanNiccolo’ BonatoClara BortolettoChiara BuosiNiccolo’acram CappellettoAlexia CautisMarco Cecchinato Beatrice CrivellerValentina Dalla VillaGiacomo De ColleFlavia FalconeEva FedatoMarco FrassettoElena Forte

Lucrezia GazzolaGiulia GiacominLorena Patricia HossuMartina LovatAnjeza LlullaChiara MarcassaCristiana MazzettoGiulia MencarelliCarla Ogoumah OlagotGiulia PalajaLinda Peteno’Tatiana PierfedericiGiovanni RisatoMathilde RomeoFrancesca Rosso

Matteo Rubbini Caterina SammarchiGiulia SantiFederica ScapinGiulia SchirripaPietro StefaniDavide SuttoChiara TortatoGiada TubianaFrancesca VaragoSara VerdierGiorgia ZanattaDaniela Zotea

LA REDAZIONE:

Impaginatrice: Lorena Patricia Hossu

Copertina realizzata da Lucrezia Gazzola

Illustrazioni di Alexia Cautis, Marco Frassetto, Lucrezia Gazzola,

Federica Scapin, Pietro Stefani

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http://liceocanova.it/studenti/giornalino

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Il collettivo del Liceo Canova “Pensiero in accelerazione” presenta “POLITICAL LAB-sto-

ria dell’ideologia politica italiana dal ‘900 ad oggi” un ciclo di incontri pensati per gli studenti con la partecipazione di docenti ed Ex Alunni del nostro liceo 17/02 e 02/03 storia della politica italiana del ‘900

09/03 evoluzione della destra

16/03 evoluzione della sinistra

23/03 dibattito Dalle 14.30 alle 16.00

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