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QUADERNI DI ZOOPROFILASSI QUADERNI DI ZOOPROFILASSI Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana SEDE CENTRALE Roma/Capannelle via Appia Nuova, 1411 - 00178 Roma telefono 0039 06 79099.1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana PERIODICO DELL’ISTITUTO ZOOPROFILATTICO SPERIMENTALE DELLE REGIONI LAZIO E TOSCANA NUMERO 2 NOVEMBRE 2008 Cane contro pappatacio: una battaglia tra ‘fido’ e ‘infido’ La formazione d’aula. Lezioni e presentazioni efficaci Valutazione del sistema di sorveglianza per le infezioni gastrointestinali NUMERO 2 NOVEMBRE 2008

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QUADERNI DI ZOOPROFILASSIQUADERNI DI ZOOPROFILASSI

Istituto Zooprofilattico Sperimentaledelle Regioni Lazio e Toscana

SEDE CENTRALE Roma/Capannellevia Appia Nuova, 1411 - 00178 Roma telefono 0039 06 79099.1

Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana

PERIODICO DELL’ISTITUTO ZOOPROFILATTICO SPERIMENTALEDELLE REGIONI LAZIO E TOSCANANUMERO 2 NOVEMBRE 2008

Cane contro pappatacio:

una battaglia tra ‘fido’

e ‘infido’

La formazione d’aula. Lezioni e presentazioni efficaci

Valutazione del sistema di sorveglianzaper le infezioni gastrointestinali

NUMERO 2 NOVEMBRE 2008

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QUADERNI DI ZOOPROFILASSI

QUADERNI DI ZOOPROFILASSI

PERIODICO DELL’ISTITUTOZOOPROFILATTICO SPERIMENTALEDELLE REGIONI LAZIO E TOSCANA

Anno 2Numero 2 Novembre 2008Registrazione al tribunale di Roman.192/2008 del 02/05/2008

Direttore responsabileNazareno Renzo Brizioli

Direttore editorialeAntonella Bozzano

Progetto grafico e impaginazioneArianna Miconi

StampaProstampa Sud

Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana

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1QUADERNI DI ZOOPROFILASSI

SommarioSommarioL’intervista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2

Cane contro pappatacio: una battaglia tra ‘fido’ e ‘infido’

Valutazione del sistema di sorveglianza per le infezionigastrointestinali causate da SSaallmmoonneellllaaBackground . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8Obiettivo della valutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10Descrizione del sistema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10Valutazione del processo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21Valutazione dell’efficacia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29Conclusioni e raccomandazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31

La formazione d’aula. Lezioni e presentazioni efficaciIntroduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34La formazione d’aula. Lezioni e presentazioni efficaci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35L’apprendimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36La lezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42La preparazione e l’utilizzo dei sussidi (audiovisivi) e degli strumenti didattici . . . 51La presentazione in aula . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57La comunicazione paraverbale e non verbale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59Verifica e valutazione dei risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68La gestione dei gruppi in apprendimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80

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3QUADERNI DI ZOOPROFILASSI

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L’INTERVISTA

In questa nuova rubrica di “Quaderni di Zooprofilassi” riporte-remo interviste fatte a professionisti o a esponenti dell’ammini-strazione del settore sanitario e veterinario su attuali problemie tematiche di sanità.Abbiamo scelto il metodo dell’intervista per consentire un contat-to più diretto tra l’esperto e il pubblico. Lo stile sarà di tipo divulgativo, in modo che il messaggio sia chia-ro per tutti i nostri lettori.

Antonio Passaro, giornalista professionista che collabora conl’IZSLT, condurrà questo servizio..

Inauguriamo questa sezione con un’intervista scritta effettuata aGladia Macrì, dirigente veterinario dell’IZS Lazio e Toscana, sullaleishmaniosi, importante malattie del cane e dell’uomo. L’intervista è disponibile anche nel portale dell’IZSLT, www.izslt.it,nella sezione “L’intervista”.

Cane contro pappatacio:una battaglia tra ‘fido’ e ‘infido’

Difficile da riconoscere, impossibile per-cepirlo. Furtivo e infido: così è il pappa-tacio. Punge in silenzio, per l’appunto,“pappa e tace”. Un insettino insignifican-te, molto più piccolo di una comune zan-zara e dalla singolare forma “a virgola”.Eppure la sua puntura può far molto maleai nostri amici più fidati, ai nostri cani. Etalvolta, seppur di rado, qualche proble-ma può crearlo anche a noi. Perché que-sto minuscolo invertebrato può diffonde-re la leishmaniosi. Niente allarmismi: lamalattia si può evitare e si può anchecombattere. Bisogna sfatare alcune leg-gende metropolitane, però, e farsi aiuta-

re da chi, esperto, conosce davvero benela questione. La dottoressa Gladia Macrìè medico veterinario, responsabile dellaDirezione operativa di sierologiadell’Istituto zooprofilattico sperimentaledi Lazio e Toscana. Ne abbiamo dunqueparlato con lei.

D) Dottoressa, ci spieghi innanzituttocos’è la leishmaniosi.R) E’ una malattia causata dal protozooLeishmania infantum che può essere tra-smesso al cane, ma anche all’uomo, daun insetto, il Phlebotomus, comunemen-te noto come pappatacio.

Il pappatacio diffonde la leishmaniosi. Per sconfiggere la malattia bisogna puntare su unacorretta profilassi. E due volte l’anno portare il nostrocane dal veterinario. Per l’uomo rischi limitati.Intervista a Gladia Macrìdi Antonio Passaro

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L’INTERVISTA

4 5QUADERNI DI ZOOPROFILASSI

D) Come si sviluppa la malattia?R) La leishmania è un parassita che ha dueforme di vita distinte: una nel vertebratorecettivo – il cane e l’uomo – e l’altra nel-l’insetto. La forma infettante è quella tra-smessa dall’insetto.D) Questo vuol dire che la malattia nonsi può diffondere per contagio diretto dacane a cane né da cane ad uomo….R) Normalmente si trasmette solo attra-verso la puntura del pappatacio. In sostan-za, il ciclo è questo. L’insetto punge il caneinfetto e da esso assume la leishmania. All’interno dell’insetto questo parassitacompie una trasformazione e da unaforma che si definisce amastigote mutain una forma infettante definita proma-stigote. Dopo questa trasformazione, ilpappatacio, pungendo un altro cane o unuomo, può trasmettere la malattia.

D) E cosa succede nel cane e nell’uomo acui la puntura del pappatacio ha trasmes-so la malattia?R) La risposta delle due specie è diversa.L’uomo sano, immunocompetente, rara-mente si ammala perché il nostro sistemaimmunitario risponde con un tipo di im-munità cellulo mediata decisamente piùefficace rispetto a quella attivata dal caneche, invece, è un’immunità di tipo umora-le. Nel cane, cioè, vengono prodotti anti-corpi che non sono in gradi di proteggerel’animale dalla malattia poiché il protozooin questione è intracellulare. D) La terapia è la stessa per l’uomo e peril cane?R) Sì, la terapia è sostanzialmente analo-ga, ma – lo ripeto – la risposta può esse-re ben diversa. Nel cane, la stessa tera-pia effettuata anche con una diagnosiprecoce e con tutti i dettami dei proto-colli terapeutici attuali non sempre portaalla guarigione e, talvolta, l’esito puòanche essere la morte. Nell’uomo, chenon abbia immunodeficienze, in presen-za di una diagnosi precoce e di una tera-

Phlebotomus, o pappatacio

pia adeguata, la guarigione è completa.Problemi, invece, potrebbero presentar-si nel caso fossero punti dal pappataciosoggetti HIV positivi o che abbiano su-bito trapianti ed assumano elevate dosidi cortisone.D) Esiste un vaccino per contrastare laleishmaniosi?R) Purtroppo ancora no. Esperti del set-tore ci stanno lavorando con grande im-pegno in tutto il mondo, anche in Italia,perché la leishmaniosi è per il cane unproblema sanitario molto importante. Ciòvuol dire che dobbiamo fare di tutto perprevenire l’insorgenza della malattia ricor-rendo anche ad altri mezzi.D) Come?R) In questa battaglia contro la leishma-niosi la profilassi è la cosa più importante.D) E allora cominciamo ad inquadrare ilproblema in quest’ottica. Anche una sta-tistica circa la diffusione della malattianell’uomo e nel cane potrebbero rivelar-si utili nell’opera di contrasto della malat-tia. Esistono studi in tal senso?R) Esistono linee guida per il controllo

della leishmaniosi dell’Istituto Superioredi Sanità, a cui tutti facciamo riferimento,redatte dopo un consesso del 2004 alquale hanno partecipato molti degli ad-detti ai lavori. Linee guida che sono con-sultabili su internet e che ci dicono che inItalia, fra il 1990 e il 2002, il numero dicasi notificati di leishmaniosi nell’uomosupera di poco le 200 unità. Insomma,sono pochi. Nei cani, invece, la malattia èmolto più diffusa e ogni anno si registra-no centinaia di nuovi casi. Da un’indagi-ne sul campo svolta dall’IstitutoZooprofilattico di Roma è stata riscontra-ta una sieroprevalenza del 10-15%, su uncampione casuale e non su prelievi da so-spetto clinico.D) Dove e in che periodo è diffusa lamalattia?R) I focolai larvali sono diffusi in tutta Italia,tranne nelle zone di alta montagna o nellezone urbane densamente popolate, dove lecondizioni di vita – e per lo smog e per lagrande attività umana, tipica dei centri ur-bani – non consentono lo sviluppo del fo-colaio. Inoltre, va ricordato che il pappata-

Il ciclo biologico della Leishmania.

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L’INTERVISTA

6 7QUADERNI DI ZOOPROFILASSI

cio – l’unico agente che trasmette la malat-tia, è bene ribadirlo – punge esclusivamen-te di notte e durante la stagione estiva, piùprecisamente da maggio ad ottobre.D) Un’efficace opera di profilassi, dun-que, deve partire da questi dati...R) Esatto. Nel periodo estivo, dunque,dobbiamo preoccuparci di proteggere i no-stri cani dalla puntura dell’insetto utilizzan-do dei prodotti repellenti. E i principi atti-vi ad attività antiparassitaria che possiedo-no queste caratteristiche sono i piretroididi sintesi. Il prodotto, messo sulla pelle osul pelo del cane provoca, immediatamen-te dopo il contatto, danni al sistema nervo-so dell’insetto impedendogli di pungere eprovocandone la morte. Questi piretroididi sintesi non solo devono essere utilizzaticome strumento di protezione individualema anche come prodotti per la protezioneambientale nel luogo in cui vivono i cani,soprattutto se questi pernottano all’ester-no delle abitazioni. Un’altra raccomandazione, infatti, è quel-la di far dormire, se possibile, il cane al-l’interno dell’abitazione. L’insetto pungeprevalentemente all’esterno, in luoghi

aperti. Non solo; d’estate si tende a far usodi prodotti antizanzare che risultano effi-caci anche contro i pappataci.D) Questa è la prima fase della profilas-si, quella più “casalinga”, per così dire…R) Sì, certo. Poi occorre effettuare, almenouna volta l’anno (preferibilmente due, unoin primavera ed uno in autunno), l’esamesierologico per verificare, con appropriatiesami di laboratorio, la presenza di anticor-pi e, dunque, l’avvenuta infezione. E’ benerivolgersi ad un laboratorio accreditato, cheesegua l’esame sierologico utilizzando letecniche migliori per la diagnosi. Sono incommercio alcuni strumenti diagnostici perl’ambulatorio veterinario, tipo kit veloci,che la letteratura scientifica ha confermatonon avere una specificità e una sensibilitàaltrettanto elevata come gli esami che sipossono fare in Istituto o in altri laborato-ri accreditati.D) Quali sintomi possono farci sospet-tare che nel nostro cane sia in atto la ma-lattia?R) All’inizio non ci sono sintomi specifici:si possono manifestare stanchezza e dima-gramento. Quando vediamo spossatezza

immotivata, dimagramento con appetitoconservato, sintomi non particolari ma cherendono “strano” l’animale, allora è il mo-mento di andare dal veterinario.D) Insomma il messaggio è: fidiamoci delveterinario…R) Assolutamente sì. Il veterinario curan-te è il fulcro di tutta la gestione consape-vole e corretta della malattia. Magari an-diamo dal veterinario almeno due voltel’anno: così stiamo più tranquilli!D) Concludiamo questa intervista, con al-cune domande ancora in merito agli effet-ti sull’uomo. Abbiamo appurato che la lei-shmaniosi non si trasferisce per contattodiretto tra cane e uomo. Tuttavia, la pre-senza di un cane in casa può rappresen-tare per l’uomo un fattore di rischio inpiù? Ha senso una campagna di profilas-si anche per l’uomo?R) La profilassi per l’uomo si realizza facen-do la profilassi sul cane, che è il vero serba-toio della malattia. Un cane sottoposto a te-rapia ha un potere infettante nei confrontidel flebotomo estremamente basso. Peraltro,

l’infezione nel cane si diffonde in tutti gli or-gani linfatici ma prima che arrivi alla cute civuole del tempo. Quando l’infezione arrivaalla cute, allora sì che si pone il problemaperché il pappatacio può assumere con lapuntura il protozoo innescando il processodi cui abbiamo parlato all’inizio. Dunqueuna diagnosi precoce ed una terapia imme-diata sul cane riducono notevolmente le pro-babilità di trasmissione della malattia. D) Se scopriamo che il nostro cane hacontratto la leishmaniosi, è opportunosottoporre anche noi ad analisi cliniche?R) Premesso che a queste domande do-vrebbe rispondere un infettivologo, perso-nalmente penso che sarebbe uno scrupoloeccessivo. Ma se ci si trova in quelle situa-zioni già menzionate di immunodeficienzeo di soggetti trapiantati, un controllo po-trebbe essere opportuno. La profilassi co-munque è importante nelle persone conimmunodeficienze e nei bambini: è meglioevitare che questi soggetti siano punti daipappataci, mettendo in atto quelle normedi comportamento di cui si è detto.

Cane affetto da una grave forma di leishmaniosi

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QUADERNI DI ZOOPROFILASSI

Valutazione del sistemadi sorveglianza per le infezionigastrointestinali causate da Salmonella

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Valutazione del sistemadi sorveglianza per le infezionigastrointestinali causate da Salmonellaa cura di : Stefano Bilei e Rita TolliCentro di Riferimento Regionale per gli Enterobatteri Patogeni

BACKGROUND

ei Paesi industrializzati si stima checirca il 30% della popolazione siainteressato ogni anno da un episo-

dio di tossinfezione alimentare (TA). Lastima può essere solo approssimativa inquanto la maggior parte degli episodi nonarriva all’attenzione del medico.Negli Stati Uniti si ritiene che ogni anno,circa 76 milioni di persone siano colpiteda TA con 325.000 ospedalizzazioni e5.000 decessi.In Italia, le TA rientrano nel sistema di no-tifica obbligatoria delle malattie infettive(2). Tale sistema suddivide le malattie no-tificabili in 5 classi dove quelle di interes-se sono soprattutto la II, che include le sal-monellosi, l’epatite A, la brucellosi, la tu-laremia e la listeriosi e la IV, relativa allanotifica di focolai epidemici. I dati del sistema di notifica delle malattieinfettive, rivelano che in Italia nel 2005sono stati segnalati circa 230 focolai di TA.

Ogni focolaio ha coinvolto in media 5,6pazienti (range 2-120), per un totale dicirca 1.300 casi. L’Emilia-Romagna risul-ta essere la regione che ha segnalato ilmaggior numero di episodi (20% del to-tale nazionale), seguita dal Piemonte(15%), dalla Provincia Autonoma diBolzano (14%), dal Lazio (10%) e dallealtre regioni. Come principale causa di questi focolai èstata individuata Salmonella spp con il52%, seguita dal virus dell’Epatite A conil 10%. Purtroppo il 26% delle segnala-zioni di focolai epidemici non fornisce in-dicazioni sulla eziologia degli episodi. I dati disponibili per il medesimo anno, re-gistrati dalla Basic Surveillance Network(BSN) che raccoglie informazioni sulle pa-tologie infettive, indicano un totale di178.000 casi di salmonellosi umana segna-lati complessivamente da 24 paesi membridella comunità Europea con l’Islanda e laNorvegia ma senza la Grecia, numero infe-riore rispetto a quello registrato nell’anno

precedente (197.000). L’Italia ha partecipa-to con 5.004 segnalazioni, tutte confermatein laboratorio, di cui 3.680 registrate dallarete Enter-net (Enteric Pathogen Network),con un numero di casi pari a 8,6 ogni100.000 abitanti (3).Dati relativi al 1993 riferiscono di un costostimato per ogni caso di salmonellosi paria 3.600 euro.Tra le principali cause di tale situazionesono da ascrivere le modifiche nelle abitu-dini socio-alimentari (pasti consumati fre-quentemente fuori dalle mura domestiche,ristorazione collettiva), l’aumento del nu-mero di individui anziani o immunodepres-si, soggetti questi maggiormente a rischio,oltre che una maggiore capacità diagnosti-ca. Inoltre un ruolo importante nello svilup-po incontrollato di tossinfezioni alimentariè giocato dalla libera circolazione dellemerci nel mercato globale e dalla sempremaggiore complessità della catena di pro-duzione, distribuzione e consumo degli ali-menti nel mondo, causa anche di episodi

con curve epidemiche anomale che si disco-stano dalla definizione classica di un nume-ro di casi di malattie superiore all’atteso inuna data area geografica e in uno specificointervallo temporale.

1.1 Il ruolo delle reti telematiche nelle indagini epidemiche

Negli anni ‘90 la necessità di rispondereall’esigenza sempre più pressante di unamaggiore conoscenza sulla situazione sa-nitaria legata alle tossinfezioni alimentarie alle zoonosi, ha portato l’Europa all’isti-tuzione di diverse reti internazionali disorveglianza tra cui “Salm-Net” e “Enter-Net”, nate con l’obiettivo principale diidentificare le cause alla base degli episo-di infettivi e di definire le misure necessa-rie al loro controllo ed alla prevenzionedell’insorgenza di ulteriori casi. Salm-Net è stata una rete internazionaledi sorveglianza per le infezioni daSalmonella, fondata nel 1994 dalDirettorato Generale XII per la Salute e

N

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ERNI DI ZOOPROFILASSIValutazione del sistema di sorveglianza

la Protezione dei Consumatori (DGSANCO), della Commissione Europea(4). La rete contava sulla collaborazionedi 14 Stati europei e aveva come principa-le obiettivo l’armonizzazione dei protocol-li per la fagotipizzazione e l’identificazio-ne delle resistenze ai chemioantibitoticidei ceppi di Salmonella, in modo da ren-dere confrontabili i dati ottenuti dai diver-si Laboratori. Tali dati erano inviati aColindale (UK) presso il Public HealthLaboratory Service (PHLS) -Comunication Disease Surveillance Centre(CDSC), dove erano analizzati e periodi-camente resi pubblici. La nascita dellabanca dati dei ceppi di Salmonella identi-ficati nei diversi Paesi, risultò essere diestrema utilità nella precoce identificazio-ne di epidemie internazionali e delle lorosorgenti di contaminazione.Nel 1997 nasce, ancora sotto il patroci-nio del DG XII della Commissione euro-pea, ENTER-NET, rete internazionaledi sorveglianza per le infezioni gastroin-testinali causate da Salmonella e daEscherichia coli produttori di verocitotos-sine (VTEC) che prevede anche lo studiodei profili di resistenza agli antibiotici,proseguimento ed ampliamento degliobiettivi di Salm-Net di cui prende ilposto (5).

2. Obiettivo della valutazioneAttraverso l’organizzazione di un focusgroup con gruppi di interesse e l’analisidel processo delle attività, si è inteso valu-tare principalmente la pertinenza delSistema di sorveglianza delle infezioni ga-stroenteriche da Salmonella e definirnel’efficacia in relazione agli obiettivi propridel sistema e a quelli più generali di salu-te pubblica.

3. Descrizione del sistemaLa rete Enter-net (Enteric PathogenNetwork) è un Sistema di sorveglianza eu-ropeo delle infezioni da Salmonella e daE. coli produttori di verocitotossina(VTEC) nell’uomo. Il Sistema, coordinato dall’HealthProtection Agency (HPA) fino ad ottobre2007 quando le attività di coordinamentodella rete sono state inserite in quelledell’European Center for Disease Control(ECDC) ed i dati integrati in “TheEuropean Surveillance System” (TESSy),vede la partecipazione di 36 Paesi tra euro-pei ed extra europei come Canada, SudAfrica, Australia, Giappone e NuovaZelanda. Il Sistema è finanziato dalla CEDG SANCO ed è in linea con le priorità disorveglianza individuate in seguito alla de-cisione del Parlamento europeo n. 2119/98.

In ogni Paese partecipante i dati raccoltidai Laboratori periferici pubblici o priva-ti sono inviati ai Laboratori di riferimen-to territoriale e da questi a quello di refe-renza nazionale che provvede infine al lorotrasferimento al ECDC dove sono orga-nizzati, valutati e quindi resi pubblici.Tali dati comprendono informazioni mi-crobiologiche, quali la tipizzazione delceppo batterico identificato da pazientie/o da campioni ambientali ed i profilidi resistenza agli antimicrobici oltre adinformazioni epidemiologiche ossiasesso, età, data d’inizio dei sintomi, even-tuali viaggi all’estero, zona di provenien-

za del campione analizzato ecc. I fini operativi di Enter-net possono esse-re riassunti in tre principali azioni: moni-toraggio dei trends; raccolta e diffusionedi informazioni su potenziali focolai inter-nazionali; valutazione e intervento in casodi focolai epidemici internazionali dovutia patogeni alimentari.Il principale obiettivo di Enter-Net è quel-lo di arrivare ad una sorveglianza in temporeale attraverso un pieno scambio di datitra tutti i partecipanti. Essendo però pos-sibile l’insorgenza di conflitti tra la neces-sità di pubblicare alcuni di questi dati suriviste scientifiche e l’esigenza di uno

Figura 1 - Paesi partecipanti alla rete Enter-net Nota: nella figura non compaiono i paesi extraeuropei partecipanti Canada, Sud Africa, Giappone, Australia e Nuova Zelanda

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ERNI DI ZOOPROFILASSIValutazione del sistema di sorveglianza

scambio totale e trasparente, sono stati de-finiti dei principi di collaborazione (6) cheprevedono da un lato, la confidenzialitàdelle informazioni ricevute dagli altri par-tecipanti e l’obbligo di portare eventi diimportanza internazionale all’attenzionedi tutti e dall’altro, di rispondere sempread eventuali interrogazioni siano le rispo-ste negative o positive.Se un Paese identifica alcuni casi di tos-sinfezione apparentemente isolati, può in-serire le informazioni in suo possesso nellarete e contemporaneamente interrogaregli altri partecipanti su eventuali episodisimilari che coinvolgono gli stessi ceppi,per capire velocemente se l’episodio è con-finato nel singolo Paese di partenza oppu-re se rappresenta una parte di un piùampio evento internazionale.In entrambi i casi lo scambio d’informa-zioni può aiutare ad identificare più rapi-damente la fonte primaria dell’infezione,scartando via via quelle precedentemen-te ipotizzate.Enter-Net inoltre, può aiutare a ricono-scere le epidemie internazionali anche at-traverso l’analisi dei dati raccolti nei sin-goli Paesi. Attraverso l’utilizzo di un algoritmo è in-fatti possibile paragonare i livelli d’infe-zione riportati in un certo periodo in

tutti i Paesi partecipanti con quelli atte-si sulla base dei dati degli anni preceden-ti. Si può identificare in tal modo l’au-mento di un particolare sottotipo (fago-tipo, sierotipo ecc.) di un determinatomicrorganismo che non sarebbe stato al-trimenti identificato dai sistemi di sorve-glianza dei singoli Paesi. Il Sistema quindi, è in grado di suppor-tare indagini epidemiologiche attraversouna rapida identificazione della sorgen-te d’infezione, del veicolo di trasmissio-ne e la definizione della sua estensione intermini di numero di casi e di diffusionegeografica. Sono stati proposti alcuni principi di ge-stione da seguire durante lo studio diun’epidemia in modo da facilitare la col-laborazione tra i Paesi coinvolti (7).Sono state identificate tre possibili situa-zioni e per ognuna è stata definita unaprocedura da seguire:1) Epidemie identificate in uno Stato gra-zie al sistema di sorveglianza nazionaleIn questo caso l’esistenza di Enter-Net for-nisce l’opportunità di sottoporre un’inter-rogazione al centro di coordinamento, alloscopo di sapere se altri Stati sono staticoinvolti nello stesso periodo in epidemieanaloghe, prodotte dallo stesso agenteeziologico.

In tal modo è possibile riconoscere epide-mie internazionali o epidemie con impli-cazioni internazionali. Ciò è particolarmente utile nel caso nonsia nota la sorgente dell’infezione o il suoveicolo. Sapere infatti se altri Paesi, inparticolare confinanti o con cui si hannorapporti commerciali, siano stati colpitidalla stessa infezione può permettere alleautorità nazionali per la sicurezza deglialimenti di definire delle ipotesi su cui in-vestigare, scartandone altre e concentran-do così gli sforzi.In questo caso chi effettua la prima inter-rogazione sarà responsabile dell’analisi edella sintesi delle informazioni che gli sa-ranno fornite e dell’invio dei risultati ot-tenuti al coordinamento scientifico diEnter-Net, che provvederà alla loro divul-gazione a tutti i partecipanti alla rete.2) Epidemie identificate in uno Stato lacui sorgente d’infezione sia stata identifi-cata in alimenti importati da un altro StatoIn questo caso è necessario avvisare tuttii partecipanti alla rete riguardo la fonte dicontaminazione affinché il Paese produt-tore dell’alimento contaminato e tutti iPaesi in cui tale alimento è stato esporta-to, possano attuare le debite misure dicontrollo.3) Epidemie internazionali identificate at-traverso l’analisi dei dati raccolti da tuttii Paesi partecipantiPoiché l’algoritmo utilizzato nell’analisidei dati è sensibile anche a piccole varia-zioni della frequenza dei diversi sottotipi

cellulari, è necessario che tutti i parteci-panti adottino un approccio unico e siste-matico.Innanzitutto è necessario conoscere l’en-tità dell’aumento per stabilire se sia dav-vero in corso un’epidemia: un incremen-to di 15 o 20 isolamenti rispetto all’atte-so in un certo mese può non avere lestesse implicazioni di 50 isolamenti in ec-cesso.E’ importante inoltre sapere a quandofar risalire l’aumento del numero di iso-lamenti, in quanto la tempestività del ri-conoscimento di un’epidemia è di vitaleimportanza al fine d’identificarne lecause. Particolare attenzione va inoltreposta alla distribuzione dei casi persesso, fascia d’età e ad altri possibili fat-tori di rischio come recenti viaggi, alloscopo di identificare le possibili fonti dicontaminazione. Se ad esempio ci sitrova di fronte ad un incremento di casid’infezione tra i neonati al di sotto deisei mesi, può essere plausibile una pos-sibile contaminazione di alimenti per laprima infanzia.Contemporaneamente alle indagini diepidemiologia analitica (studi caso-con-trollo o questionari), è di grande utilitàsvolgere indagini microbiologiche sucampioni di origine animale e ambienta-le lungo tutta la catena produttiva e di-stributiva degli alimenti ipoteticamentecontaminati, in modo da confrontare iceppi isolati con quelli trovati nei cam-pioni di origine umana.

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ERNI DI ZOOPROFILASSIValutazione del sistema di sorveglianza

15QUADERNI DI ZOOPROFILASSI

Nel dettaglio la rete si prefigge i seguenti obiettivi:1. migliorare la completezza e la tempestività dei dati relativi alle infezioni nel-

l’uomo da Salmonella e da Escherichia coli O157 (VTEC) regolarmente rac-colti;

2. facilitare attraverso lo scambio veloce di informazioni e di ceppi, l’indaginesu focolai internazionali o su quelli nazionali più largamente diffusi dovuti apatogeni enterici;

3. estendere la sorveglianza internazionale a E. coli non-O157 VTEC;4. procedere all’armonizzazione della sorveglianza sulla resistenza agli antibio-

tici attraverso studi di ripetibilità con materiali di riferimento;5. stabilire un controllo di qualità di routine tra i Laboratori di referenza na-

zionali per la sierotipizzazione e la fagotipizzazione di Salmonella attraversol’estensione dei ring-trial già esistenti;

6. proseguire nella promozione e nella facilitazione di ricerche internazionalicollaborative sulla tipizzazione e sui test di resistenza agli antibiotici dei bat-teri enterici umani;

7. riconfermare i principi di collaborazione al circuito Enter-net con i parteci-panti, con la Commissione e con i membri del Comitato organizzatore dellarete della DG SANCO;

8. sviluppare un consenso sugli standards internazionali di sorveglianza in baseai quali poter valutare la performance dei partecipanti e dei coordinatoridella rete;

9. rafforzare la sorveglianza globale di tali infezioni attraverso la collaborazio-ne con il WHO, con i paesi non appartenenti alla Comunità Europea inclu-si i paesi candidati a farne parte e con paesi come Canada, Sud Africa,Giappone, Australia e Nuova Zelanda;

10. sviluppare un database internazionale di batteri enterici completamentecaratterizzati ottenuti nell’attività di analisi degli alimenti;

11. estendere il range dei patogeni sottoposti a sorveglianza per includere laraccolta, lo studio comparativo e l’analisi a livello europeo dei dati sulle in-fezioni da Campylobacter.

L’Italia partecipa alla rete con l’IstitutoSuperiore della Sanità che coordina ilSistema di sorveglianza nazionaleENTER-NET. Numerosi sono iLaboratori del servizio sanitario nazio-nale aderenti, oltre a Società scientifiche,Istituti Universitari e Agenzie Regionaliper la Protezione Ambientale (ARPA),che assicurano la loro collaborazione. I Laboratori periferici (pubblici o privati)comunicano i dati epidemiologici e trasfe-

riscono i ceppi batterici presuntiSalmonella ai Laboratori di RiferimentoRegionale, come Istituti ZooprofilatticiSperimentali (IIZZSS) e Agenzie Regionalidi Protezione Ambientale che effettuanoo confermano la tipizzazione del ceppo e,in alcuni casi, eseguono prove elettrofore-tiche per la definizione del pulsotipo, perpoi inviare i risultati all’Istituto Superioredi Sanità.In tutte le regioni, comprese la province au-

A livello nazionale il sistema di sorveglianza consente di:

• ottenere dati descrittivi sugli isolamenti di Salmonella, E. coli O157e altri batteri enteropatogeni, sul territorio italiano in tempi rapi-di dal momento dell'isolamento;

• descrivere la frequenza dei sierotipi e di altre caratteristiche (fa-gotipi, tossinotipi, pulsotipi, profilo di antibiotico resistenza etc...)degli stipiti isolati;

• analizzare i dati di sorveglianza in modo da riconoscere tempesti-vamente eventuali eventi epidemici sul territorio nazionale anchebasandosi sulla tipizzazione più approfondita dei ceppi isolati;

• confrontare i risultati della sorveglianza sul territorio italiano conquelli di altri paesi europei che partecipano alla rete ENTER-NET;

• identificare eventuali episodi epidemici che interessino più di unanazione;

• implementare il sistema di sorveglianza sugli isolati ambientali eveterinari al fine di attuare un sistema di sorveglianza integrata.

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17QUADERNI DI ZOOPROFILASSI

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ERNI DI ZOOPROFILASSIValutazione del sistema di sorveglianza

ECDC

Figura 2 - Organizzazione della rete in Italia

tonome di Trento e Bolzano ma ad eccezio-ne della Calabria, Campania e Basilicata,sono presenti Laboratori periferici di rife-rimento.Nel Lazio è l’Istituto ZooprofilatticoSperimentale delle Regioni Lazio e Toscanache svolge tale funzione. Il Laboratorio, ac-creditato SINAL n. 0201 secondo la norma

UNI CEI EN ISO/IEC 17025, è stato indi-cato dalla Giunta Regionale del Lazio conDelibera n. 833 del 20 febbraio 1996, qualeCentro di Riferimento Regionale per gliEnterobatteri Patogeni (CREP), in partico-lare per Salmonella di provenienza umana,animale ed ambientale.Con la successiva Deliberazione della

Giunta Regionale del 21 giugno 2002 n.831, che dispone la copertura finanzia-ria per la gestione ed il funzionamentodel Centro, sono stati anche definiti icompiti assegnati al Laboratorio diRiferimento e ai Laboratori sanitari pub-blici e privati: • ricevere e tipizzare i ceppi batterici iso-

lati; • inviare le risposte relative alle tipizzazio-

ni ai Laboratori afferenti e fornire il sup-porto scientifico necessario;

• fornire i dati all’OsservatorioEpidemiologico Regionale;

• tenere i rapporti con l’Istituto Superioredella Sanità per garantire i livelli naziona-li ed internazionali della sorveglianza(ENTER-NET);

• conservare i ceppi batterici ricevuti ai finidella sorveglianza.

Mentre i Laboratori delle strutture di ri-covero pubblici e privati sono tenuti a:• inviare i ceppi ai laboratori di riferimen-

to per la tipizzazione; • fornire i dati richiesti per la sorveglianza

sulle diarree infettive.

Il Centro, quindi, ha come primocompito l’identificazione dei ceppibatterici presuntivi Salmonella isola-ti dai Laboratori sanitari pubblici eprivati da persone sospette di esserecoinvolte in episodi epidemici, da pa-zienti ospedalizzati e da persone sot-toposte ad analisi routinarie o di con-

trollo, ma soprattutto interviene nellatipizzazione sierologica dei ceppi con-fermati Salmonella per la definizionedel sierotipo. Questa seconda attivi-tà, direttamente conseguente allaprima, consente di ottenere informa-zioni epidemiologiche importanti perlo studio della circolazione non tantodelle salmonelle in senso lato in undeterminato contesto, ma dei relativisierotipi. Inoltre, raccoglie, archiviaed elabora le informazioni riguardan-ti gli isolamenti umani e li trasmetteperiodicamente sia all’OsservatorioEpidemiologico Regionale cheall’Istituto Superiore di Sanità, ilquale, a sua volta, provvede a notifi-care all’Organizzazione Mondialedella Sanità (OMS) la presenza deisierotipi di più frequente riscontro,nonché gli episodi epidemici più si-gnificativi.Gli operatori del CREP partecipano a pe-riodici proficiency test attraverso ring trialnazionali ed internazionali, per manteneresotto costante verifica la loro competenza.Come ulteriore caratterizzazione dei ceppidi Salmonella, il Centro esegue la tipizzazio-ne molecolare mediante Pulsed-Field GelElectrophoresis (PFGE) su ceppi diSalmonella isolati da campioni di origineumana, trasferendo poi i risultati all’IstitutoSuperiore di Sanità per la interpretazionedei dati e la relativa trasmissione all’ECDC.Nello specifico la PFGE è una tecnica dianalisi molecolare in grado di consentire la

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19QUADERNI DI ZOOPROFILASSI

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ERNI DI ZOOPROFILASSIValutazione del sistema di sorveglianza

caratterizzazione univoca del ceppo batte-rico analizzato e quindi di agevolare sensi-bilmente assieme ad altri dati epidemiolo-gici, lo studio di un focolaio epidemico. Infine tutti i ceppi di Salmonella sono sot-toposti a prove per la definizione dell’anti-biotico resistenza a cura del Centro diReferenza Nazionale per l’Antibiotico resi-stenza (CRAB) presso l’IstitutoZooprofilattico di Roma soddisfacendo a li-vello regionale, l’esigenza della rete di mo-nitorare tale fenomeno in Italia e in Europasoprattutto nei confronti dei ceppi più pe-ricolosi attualmente in circolazione.Nell’ambito dell’organizzazione dell’IstitutoZooprofilattico di cui è una articolazione, ilCREP funge anche da riferimento per tuttii laboratori di microbiologia alimentare e didiagnostica microbiologica. Tale ruolo as-solutamente privilegiato offre grandi oppor-tunità, permettendo di confrontare e quin-di di studiare e valutare le frequenze di iso-lamento dei sierotipi di Salmonella circolan-ti nella regione Lazio, da campioni umani eveterinari e nella Regione Toscana, limita-tamente agli isolati di origine veterinaria.Come ulteriore strumento del Sistema disorveglianza nella regione Lazio, la GiuntaRegionale ha individuato l’AgenziaRegionale di Protezione Ambientale perla tipizzazione sierologica di Salmonella

isolata dall’ambiente.Le strutture afferenti al CREP sono rappre-sentate da Laboratori di Microbiologia degliOspedali, delle ASL, da Laboratori privaticonvenzionati, da Cliniche e Case di Cura,che inviano per la sierotipizzazione ceppipresuntivi di Salmonella precedentementesottoposti a prove biochimiche e talvolta sie-rologiche, accompagnati dalla documenta-zione necessaria alla registrazione dei datiai fini della sorveglianza ovvero della SchedaENTER-NET Notifica Fonte Umana(Figura n. 3). Nonostante la Deliberazione della GiuntaRegionale del 2002, non tutte le struttu-re sanitarie interagiscono con il CREP at-traverso la trasmissione dei dati epide-miologici e dei ceppi batterici isolati, pri-vando quindi il Sistema di informazioniimportanti.Nel corso degli anni il numero delle strut-ture sanitarie che afferiscono al Centro si èmantenuto abbastanza stabile con alcunepiccole variazioni soprattutto in funzionedell’esiguità degli isolamenti che alcune diesse fanno registrare. Si tratta soprattutto diLaboratori privati con un contenuto volu-me di attività. Al contrario, le strutture piùimportanti con le quale si è stabilito un pro-ficuo e continuativo rapporto di collabora-zione, forniscono costantemente il loro si-

gnificativo contributo alla rete. Le strutture sanitarie pubbliche e priva-te nella regione Lazio in grado di svolge-re indagini microbiologiche sono, secon-do i dati messi a disposizionedall’Agenzia di Salute Pubblica regiona-le (ASP) relativi all’anno 2000, comples-sivamente 293, distinte in Ospedali (84),Case di cura (55), Laboratori AUSL (16),Laboratori privati (128) e PolicliniciUniversitari (10). A Roma sono presenti

170 di queste strutture (58%) , ovvero 30Ospedali, 36 Case di cura, 8 LaboratoriAUSL, 85 Laboratori privati e 11Policlinici. Nel 2006 sono pervenuti alCREP ceppi batterici da 62 (21%) strut-ture, di cui 43 (69%) operanti a Roma:11 Ospedali, 1 Casa di Cura, 3 Policlinicie 28 Laboratori privati. Per facilitare il rapporto di collaborazionecon le strutture sanitarie di Roma, ubicateall’interno e all’esterno del raccordo anu-

Figura 3 - Scheda Enter-Net Notifica Fonte Umana

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ERNI DI ZOOPROFILASSIValutazione del sistema di sorveglianza

lare, il CREP ha organizzato un serviziogratuito di ritiro campioni a chiamata. Lealtre strutture sanitarie fanno riferimentoalle Sezioni dell’Istituto presenti in tutti icapoluoghi di provincia o provvedono di-rettamente con proprie risorse alla conse-gna del materiale biologico al CentroRegionale.Il Sistema si basa su una sorveglianza di tipoessenzialmente passivo, anche se in caso diallerte nazionali o internazionali è in gradodi esprimere la propria flessibilità interlo-quendo direttamente con i Laboratori pe-riferici al fine di raccogliere e valutare le in-formazioni richieste e interagendo con lestrutture sanitarie sul territorio e conl’Istituto Superiore della Sanità, in caso diepisodi tossinfettivi per i quali è richiestoun proprio contributo tecnico scientifico.

Ritenendo estremamente importante con-dividere i risultati complessivi delle attivi-tà condotte non solo dal Centro ma anchedai Laboratori sanitari periferici e soprat-tutto, per creare un legame più solido nel-l’ambito della rete, ogni anno viene redat-to, stampato ed inviato non soltanto allestrutture sanitarie della regione Lazio, ilRapporto regionale sulla sorveglianza dilaboratorio riferito all’anno precedente,disponibile anche sul sito www.izslt.it

dell’Istituto Zooprofilattico. Il documen-to, oltre a riportare il contributo di ciascunLaboratorio afferente, rappresenta e con-fronta i risultati ottenuti in un anno di at-tività sia a partire da campioni di origineumana che da quelli veterinari.L’isolamento di Salmonella è di per sé unaattività di laboratorio microbiologico dibase, relativamente semplice. La profes-sionalità del tecnico infatti, rinforzata dalladisponibilità in commercio di terreni col-turali selettivi e differenziali in grado didistinguere le colonie da sottoporre aprove biochimiche e sierologiche, consen-te con discreta facilità di isolare ceppi bat-terici presuntivi Salmonella da sottoporrealle ulteriori prove di conferma e di tipiz-zazione sierologica. Come protocollo perla ricerca, l’isolamento e l’identificazione,dovrebbe essere seguito quanto previstonell’allegato tecnico che è parte integran-te della Deliberazione della GiuntaRegionale del 4 agosto 1998 n. 4259, maogni Laboratorio, fermo restando i prin-cipi della microbiologia e la disponibilitàdi risorse, utilizza terreni colturali che ri-tiene più idonei.In alcuni Laboratori, all’identificazionesegue anche una tipizzazione sierologica perla conferma di genere prima di decidere dichiamare per il suo ritiro o per l’invio.

4. Valutazione del processoSi è voluto considerare come oggetto divalutazione, il processo delle attività delCentro di Riferimento Regionale della re-gione Lazio (CPEP). Tale livello organiz-zativo infatti si interfaccia contemporanea-mente con i Laboratori sanitari pubblici eprivati della regione e con l’IstitutoSuperiore di Sanità che coordina la reteEnter-net Italia. Il Centro di Riferimentoinoltre, ha un rapporto istituzionale conl’Agenzia di Sanità Pubblica, alla qualetrasmette periodicamente dati epidemio-logici relativi alla salmonellosi umana. Sitratta quindi di un osservatorio di parti-colare rilevanza in grado tra l’altro, di as-sicurare il proprio supporto tecnico-scien-tifico in caso di indagini epidemiologichesu episodi tossinfettivi in cui l’agente incausa sia Salmonella. La valutazione del Sistema di sorveglian-za si è svolta con il coinvolgimento digruppi di interesse interni ed esterni alCentro. In particolare sono stati contatta-ti i referenti di alcune strutture sanitariepubbliche e private operanti nella città diRoma e l’Istituto Superiore di Sanità qualecoordinatore della rete in Italia.L’individuazione delle strutture sanitariecon le quali organizzare un incontro, hatenuto in considerazione il conseguimen-to di una significativa rappresentatività diquelle operanti nella regione. Sono statiquindi interessati sia Laboratori di micro-biologia di grandi strutture sanitarie pub-bliche che Laboratori privati con numeri

di attività tra loro anche molto distanti.Non tutti hanno potuto partecipare machi non è intervenuto ha comunque tra-smesso, come espressione di un reale coin-volgimento, il proprio contributo di opi-nioni circa le criticità del sistema oggettodi valutazione, talora accompagnate ancheda suggerimenti per il suo miglioramento.All’incontro, oltre al personale del Centroe alla responsabile per l’ISS della rete,hanno partecipato i referenti deiLaboratori di microbiologia dell’AziendaOspedaliera Forlanini - San Camillo,dell’Ospedale Sandro Pertini, delPoliclinico Gemelli e del PoliclinicoUmberto I, mentre per i Laboratori priva-ti è intervenuto il LaboratorioBiodiagnostica Alessandrina. Per quantoriguarda la copertura da parte di questestrutture, della popolazione della città diRoma, stimata nel 2005 intorno ai2.400.000 (dati ISTAT), bisogna tenerepresente che l’Ospedale Sandro Pertini èritenuto presidio sanitario di riferimentoper circa il 50% della sua totalità.L’incontro, tenuto presso l’IstitutoZooprofilattico, ha permesso di mettere afuoco diverse criticità soprattutto a livel-lo organizzativo nell’ambito delle singolestrutture di appartenenza e di individua-re alcune proposte di miglioramento. Per quanto riguarda le attività gestite dalCentro, è stato espresso un giudizio piùche soddisfacente con punti di forza par-ticolarmente apprezzati nella tempestivi-tà del ritiro dei campioni e nella rapidità

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23QUADERNI DI ZOOPROFILASSI

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ERNI DI ZOOPROFILASSIValutazione del sistema di sorveglianza

di esecuzione delle prove, dell’invio deirelativi rapporti di prova e della loro com-prensibilità. Il Rapporto sulla sorveglian-za di laboratorio pubblicato annualmenteè risultato un valido mezzo di comunica-zione e di conoscenza, anche se non sem-pre ha raggiunto gli operatori sanitari di-rettamente coinvolti nelle attività diagno-stiche di laboratorio. La principale criticità sulla quale tutti sisono trovati concordi, è relativa alla ge-stione del campione. Molto spesso il cam-pione, soprattutto quando provenientedall’esterno, non è scortato dalla docu-mentazione in cui è riportata la motivazio-ne per cui è richiesto l’esame, mentrequando è interno, frequentemente non ri-sulta adeguatamente compilato il relativofoglio di trasferimento, oppure sono ripor-tati i soli dati anagrafici del paziente epoco altro. La richiesta di ulteriori infor-mazioni raramente viene soddisfatta, so-prattutto per la difficoltà di interagire coni reparti, e comunque richiede tempo,quindi il più delle volte si desiste. Per ilresto le richieste riportate sulla SchedaEnter-net sono chiare e comprensibili enon risulta difficile la sua compilazione. Non sempre il sistema informatico utiliz-zato per l’accettazione dei campioni è ingrado di supportare adeguatamente le esi-

genze del Laboratorio, per cui alcune in-formazioni, come per esempio l’aspettodelle feci e in taluni casi l’esito delle provemicrobiologiche non sono registrati.Il trasferimento di dati e dei ceppi dipen-de talvolta dalla iniziativa di singoli, nonessendo definito nell’organizzazione delleattività del Laboratorio, come accade inun importante Ospedale di Roma, dove ilsanitario che si occupa della diagnosticamicrobiologica, non ha ricevuto alcuna in-dicazione o incarico per lo svolgimento ditale attività.La carenza di risorse per l’approvvigiona-mento di materiali di consumo, in parti-colare terreni di coltura e reagenti, soprat-tutto in alcuni Laboratori di strutture pub-bliche, è motivo di difficoltà nella corret-ta e regolare gestione delle prove micro-biologiche.Si registra un convinto coinvolgimentodelle singole persone, se non delle struttu-re di appartenenza, nell’alimentazione delSistema di sorveglianza, rispetto al qualesarebbe auspicabile un maggior riconosci-mento da parte della propria organizzazio-ne di appartenenza. per il lavoro svolto.

Tutti i partecipanti si sono quindi trovatid’accordo nella proposizione di alcuni in-terventi ritenuti migliorativi, alcuni dei

quali dovrebbero essere fatti propri dalLaboratorio che coordina la rete a livellonazionale ed eventualmente dalla Regione:• condivisione di procedure operative co-

muni a livello nazionale da osservarenelle indagini microbiologiche;

• redazione di una scheda per la raccoltadei dati anamnestici da compilarsi a curadei reparti che deve accompagnare ilcampione al Laboratorio di analisi;

• intervento sui medici di base per la re-golare compilazione delle richieste dianalisi;

• organizzazione di incontri periodici coni Laboratori periferici.

4.1 Performance del processoAl fine della valutazione del Sistema disorveglianza sono stati presi in considera-zione i seguenti indicatori di performan-ce del processo • qualitativi: semplicità, flessibilità, quali-

tà dei dati, tempestività • quantitativi: sensibilità, specificità, VPP

(Valore Predittivo Positivo), costi

4.1.1 Indicatori qualitativi4.1.1.1 SemplicitàI referenti delle strutture sanitarie chehanno partecipato all’incontro, così comequelli direttamente contattati per via tele-fonica, in particolare l’Ospedale BambinoGesù, l’Ospedale S. Pietro Fatebenefratellie i Laboratorio ADI e BIOS di Roma, ri-

tengono che l’attività richiesta per l’ali-mentazione del sistema di sorveglianza siaestremamente semplice. La Scheda che ac-compagna il campione con i dati anagra-fici ed epidemiologici è molto chiara, fa-cile e rapida da compilare quando tutte leinformazioni sono a disposizione, comepurtroppo raramente accade. In questocaso la difficoltà maggiore è reperire le in-formazioni necessarie. Il trasferimento dei ceppi è molto facilita-to grazie al servizio di ritiro organizzatodal CREP, perché gratuito ed efficiente.La difficoltà che talvolta si riscontra, aspet-to questo interno all’organizzazione dellastruttura di appartenenza e non al Sistemadi sorveglianza, è la carenza di risorse peruna maggiore disponibilità di terreni col-turali da utilizzare nella attività di labora-torio che può pregiudicare la qualità e latempestività del lavoro svolto. Il Sistema,riferito all’attività del Centro Regionale diriferimento, risulta abbastanza semplice so-prattutto grazie alla acquisita familiaritàdegli operatori. Al momento è in fase di col-laudo un sistema di registrazione dati online che dovrebbe consentire un più rapidoflusso di informazioni all’interno del Sistemadi sorveglianza nazionale.

4.1.1.2 FlessibilitàIl Sistema ha dato diverse dimostrazionidi flessibilità, soprattutto in caso di aller-te a livello nazionale, in cui è stato neces-

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25QUADERNI DI ZOOPROFILASSI

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ERNI DI ZOOPROFILASSIValutazione del sistema di sorveglianza

sario reperire e gestire in tempi brevi datie informazioni non immediatamente di-sponibili. Anche in questo caso, i dati sonostati raccolti in una situazione operativanon ordinaria, che però ha raccolto la col-laborazione e la partecipazione di tutti ilaboratori contattati.

4.1.1.3 Qualità dei datiRaramente le Schede di Notifica FonteUmana per gli Enterobatteri Patogeni, ri-sultano compilate come richiesto. Non sem-bra tanto un problema di omissione volon-taria, di difficoltà nella comprensione diquanto richiesto o di tempo a disposizionema piuttosto di indisponibilità dei dati ri-chiesti. Gli operatori contattati infatti, rife-riscono di uno scollamento con i repartidelle strutture sanitarie con i quali eviden-temente la comunicazione non sempre è fa-cile o possibile, e di scarsa attenzione daparte dei medici di base di circostanziareanamnesi e motivo della richiesta di analisi.Dallo studio delle schede raccolte nel2006, risulta una situazione sicuramentemigliore rispetto a quanto registrato neglianni precedenti riguardo la completezzadei dati raccolti, confermando un trendpositivo ma assolutamente insufficiente

come valutazione della qualità complessi-va delle informazioni riportate.In particolare su 445 Schede di notificapervenute, per le voci “Motivo accerta-mento diagnostico”, “Ospedalizzazione”,“Viaggi effettuati” e Alimenti implicati,sono risultati i seguenti tassi di dato nonriferito: 57,1%; 62,5%; 63,1% e 62,2%.Al contrario, la richiesta di informazionicirca l’età della persona risultata positivaper Salmonella, risulta soddisfatta nel 91%dei casi.La raccolta dei dati è regolata dall’esigen-za dei Laboratori afferenti, soprattutto diquelli privati, di avere rapidamente la con-ferma dell’isolamento di Salmonella e diconoscere il sierotipo implicato. In alcunicasi, invece, strutture pubbliche in gradodi eseguire direttamente la conferma e latipizzazione sierologica, sono meno pron-te, perché meno interessate, ad inviare conregolarità dati e stipiti batterici.Il feed-back nei confronti dei Laboratoriperiferici afferenti, è un aspetto che si rife-risce sostanzialmente alla regolarità con cuiè trattato il campione una volta pervenutopresso il Centro di riferimento Regionale el’invio tempestivo del risultato.Dalla valutazione dei tempi di attesa del

campione prima che sia avviata l’attivitàdi laboratorio, risulta che nel 95% dei casil’inizio prova coincide con il giorno stes-so dell’accettazione del campione nel la-boratorio (Figura n. 4).La Figura n. 5 mostra che nel 69% deicasi le prove di laboratorio sono conclu-se entro 6 giorni, con l’eccezione del 31%dei campioni che supera tale limite. Sitratta di campioni di colture batterichenon pure, che richiedono anche ripetutipassaggi colturali nel tentativo di ottene-re un isolamento, o di ceppi batterici peri quali la tipizzazione sierologica risultadifficoltosa, come nel caso di stipiti in faserugosa o di ceppi per i quali è richiestoun supplemento di indagine in biologiamolecolare. Come già riferito, ogni anno è redatto,pubblicato e distribuito a scopo divulga-tivo e come strumento della sorveglianza,il Rapporto sulla sorveglianza di laborato-rio di Salmonella, che raccoglie tutti i datiottenuti sia da campioni di origine umanache veterinari.

4.1.1.4 TempestivitàNon esiste un protocollo operativo chedetta i tempi di trasmissione dei dati fraun livello e l’altro del Sistema. Se si con-siderano le informazioni ricevute in alle-gato dai Laboratori periferici come dati,solo in caso di conferma di Salmonella ilflusso informativo di interesse è tra il

CREP e l’Istituto Superiore di Sanità(ISS), e tra Il CREP e l’OsservatorioEpidemiologico Regionale soprattutto perconsentire una rapida applicazione dellemisure di controllo. Nella realtà è privilegiato il rapporto conl’ISS, al quale vengono inviati due voltea settimana i tracciati elettroforetici della

Figura 4 - Organizzazione attività di prova

Inizio-fine prova

3,4

26,7

10,88,2

5,63,4 1,7

31,0

0,00

10,00

20,00

30,00

40,00

0 1 2 3 4 5 6 oltre 6giorniGiorni

N° Campioni

Figura 5 - Tempi di esecuzione delle prove

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ERNI DI ZOOPROFILASSIValutazione del sistema di sorveglianza

PFGE, una volta ogni 10 giorni i ceppidi Salmonella per la fagotipizzazione eogni 20 giorni il data base, dove sono re-gistrati i dati anagrafici del paziente,quelli epidemiologici e il risultato dellasierotipizzazione. Con l’Agenzia regio-nale di Sanità Pubblica e in particolare,con l’Osservatorio epidemiologico, il

flusso informativo è viceversa molto ral-lentato con l’invio delle Schede 3bis,Sorveglianza diarrea infettiva daSalmonella, (Figura n. 6) che vengonoriempite una volta ogni 3 mesi general-mente dal personale del CREP, piuttostoche dagli operatori sanitari delle struttu-re afferenti.

4.1.2 Indicatori quantitativiLa sensibilità e la specificità sono due mi-sure che vengono impiegate per valutarela capacità di individuare, fra gli indivi-dui di una popolazione, quelli provvistidel “carattere” ricercato e quelli che in-vece ne sono privi.

4.1.2.1 SensibilitàLa sensibilità è la capacità di identificarecorrettamente i soggetti ammalati.Lo sforzo più gravoso al quale è corrispo-sto comunque una dimostrazione di fles-sibilità della rete, è stato quello di ottene-re dalle strutture sanitarie contattate peril presente studio, i dati relativi al nume-ro di indagini microbiologiche che hannocompreso la ricerca di Salmonella in cam-pioni biologici. Ottenuto il numero com-plessivo, è risultato però evidente che nonera possibile definire la sensibilità delSistema, intesa come capacità di confer-mare come vera Salmonella i ceppi batte-rici inviati. Infatti al Centro pervengonosolo ed esclusivamente ceppi che hannouna altissima probabilità di essere confer-mati come Salmonella, che la definizionedi caso previsto dalla Decisione dellaCommissione del 28 aprile 2008 che mo-difica la Decisione CE 253/2002, (8) con-sente di isolare con estrema efficacia, pri-vando però il denominatore di un contri-buto significativo. Più in generale, la sensibilità del Sistema

dipende dalla sensibilità di chi è oggettodella sorveglianza, di ritenere la propriacondizione di salute meritevole di esseresottoposta a valutazione medica. Questodetermina naturalmente una riduzionedelle notifiche per il minor numero di casidi gastroenterite sottoposto all’attenzionedel sistema sanitario. La sensibilità delSistema in definitiva è quindi influenzatada vari fattori come cultura, stile di vita,percezione e comprensione del propriostato di salute, ecc.Da un’indagine svolta nell’ambito dellasorveglianza PASSI (Progressi nelleAziende Sanitarie per la Salute in Italia)nel 2006 sul tema della sicurezza alimen-tare in provincia di Terni, per la qualesono state effettuate 3.117 interviste chehanno interessato la fascia di età 18 – 69anni, è risultato che una persona su 4 haavuto almeno un episodio di diarrea (3scariche in 24 ore) negli ultimi 12 mesi, masolamente il 36% si è rivolto ad un sani-tario. Tuttavia, solo al 21% di coloro chesi sono rivolti ad un medico, è stato pre-scritto un esame delle feci.L’indagine, pur considerando che non èstata compresa la fascia di età maggior-mente esposta alle gastroenteriti daSalmonella (nel 2006 i dati Enternet rife-riscono per la regione Lazio una prevalen-za di casi di salmonellosi nella fascia di età0 – 14 anni pari al 60%), evidenzia chenonostante gli episodi di diarrea nella po-

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ERNI DI ZOOPROFILASSIValutazione del sistema di sorveglianza

polazione siano molto diffusi, la diagnosieziologia non viene quasi mai effettuata,con una probabile sottostima dell’impor-tanza di questo problema.

4.1.2.2 SpecificitàLa specificità è la capacità di identificarecorrettamente i soggetti sani. Come per la valutazione della sensibilità,non è possibile valutare la specificità delsistema, in quanto non si conosce il datorelativo al reale numero delle persone ri-sultate negative all’indagine microbiologi-ca per Salmonella.

4.1.2.3 Valore Predittivo Positivo (VPP)Il Valore Predittivo Positivo misura la ca-pacità del sistema di individuare corret-tamente i veri positivi, ovvero nel nostrocaso i veri positivi per Salmonella. Il VPPdipende sia dalla sensibilità che dalla spe-cificità del test, in particolare esso au-menta con l’aumentare di entrambi que-sti due parametri. È però importanteconsiderare un altro aspetto, ovvero cheil VPP dipende dalla prevalenza dellamalattia nella popolazione sottoposta asorveglianza.Diversamente dai due precedenti indica-

tori, i dati a disposizione hanno consenti-to la sua stima.Il VPP, calcolato considerando è risultatopari a 95%.Il VPP è risultato pari a 95%. Il calcolo èstato effettuato considerando il numero dicampioni identificati come positivi pressoi Laboratori afferenti e oggetto di confer-ma presso il Centro regionale, pari a 253di cui 241 confermati come Salmonella e12 come non Salmonella.

4.1.2.4 CostiIl Sistema non richiede per il propriofunzionamento risorse aggiuntive rispet-to a quelle necessarie per lo svolgimen-to della corrente attività dei Laboratoridi microbiologia pubblici e privati ope-ranti sul territorio, di cui utilizza i risul-tati per il raggiungimento dei propriobiettivi. Gli unici costi quantificabili sono quellirelativi alla gestione del Laboratorio diriferimento regionale per la quale, con laDeliberazione della Giunta Regionale del21 giugno 2002 n. 831, è stato dispostouno specifico finanziamento iniziale eduno a regime, che consente al medesimodi svolgere le attività affidate.

5. Valutazione dell’efficacia

5.1 Efficacia realeConsiderando che secondo i dati ISTATrelativi al 2005, la popolazione stimata re-sidente nella Città di Roma è pari a2.400.000 (45%) su un numero di abitan-ti la regione Lazio stimato di 5.300.000, siè voluto per semplicità, valutare l’efficaciareale del Sistema, in riferimento con laCittà e la popolazione di Roma.Dati forniti dall’Agenzia di Sanità Pubblicaregionale, riferiscono che a Roma nel 2000erano presenti 170 strutture sanitarie, ov-vero 30 Ospedali, 36 al Case di cura, 8Laboratori AUSL, 85 Laboratori privati e11 Policlinici in grado di svolgere indagi-ni microbiologiche. Dati attinti dalla medesima fonte informa-no che nel 2006 risultano notificati a Romacomplessivamente 168 (37%) su 449 casidi salmonellosi umana, trasmesse in tuttala regione, numero che però non tieneconto delle 135 (30%) segnalazioni fattedirettamente dai medici di base, di cui nonsono disponibili informazione sulla città acui fa riferimento la notifica.Nello stesso anno sono stati notificati dalCREP al Sistema di sorveglianza, 445 casidi salmonellosi umana, dato complessivoche non si discosta sostanzialmente daquello fornito dall’ASP, di cui 341 (77%)trasmessi da 32 strutture sanitarie afferen-ti e in particolare da 28 Ospedali, 1 Casa

di cura e 3 Policlinici e 104 (23%) da 30laboratori privati. Le strutture sanitarie afferenti al CREP dellacittà di Roma sono complessivamente 43(25% della totalità delle strutture sanitariecensite nel 2006): 11 Ospedali, 3 Policlinici,1 Casa di Cura e 28 Laboratori privati.Di queste strutture, 23 (53%) trovano cor-rispondenza tra quelle che hanno notifi-cato all’ASP. Se il tasso di partecipazionealla rete delle strutture sanitarie regionaliè relativamente modesto (21% calcolatosulle 293 censite nel Lazio nel 2000), si ri-leva che le sole 23 strutture considerate su62 afferenti al CREP, hanno prodotto il70% del totale delle notifiche regionali eil 124% di quelle ricevute nella sola cittàdi Roma dall’ASP. Tale valore non tieneconto del contributo dei laboratori priva-ti. La differenza + 24%, è dovuta alla tra-smissione al Centro di un numero maggio-re di stipiti di Salmonella da parte dellestrutture sanitarie afferenti rispetto al nu-mero oggetto di notifica da parte dellestesse strutture all’ASP, perché provenien-ti da pazienti esterni.I dati riportati fanno ritenere significatival’efficacia del Sistema soprattutto quandoriferita alla sola Città di Roma, intesa comegrado di copertura territoriale e demogra-fica. Lo stesso non può essere invece affer-mato se ci si riferisce al grado di copertu-ra territoriale dell’intera regione Lazio,anche se il sistema riesce comunque a cat-

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ERNI DI ZOOPROFILASSIValutazione del sistema di sorveglianza

turare il 70% di tutte le notifiche ASP.Persiste comunque la volontà di reclutareun numero superiore di strutture puntan-do soprattutto su quelle con un importan-te bacino di utenza nel resto della regione.Per alcune di esse sono state già prese delleiniziative che al momento non hanno avutoseguito, tra le quali la spedizione al mana-gement aziendale del Rapporto annualesulla sorveglianza di Laboratorio, accom-pagnato da una nota della Direzionedell’Istituto Zooprofilattico di Roma. In questo senso sarebbe auspicabile unmaggior raccordo con sia con la Regioneche con l’Agenzia di Sanità Pubblica ed inparticolare con l’Osservatorio epidemiolo-gico regionale.

5.2 Efficacia del sistemaI dati raccolti, organizzati e valutati nell’am-bito del sistema di sorveglianza oggettodella presente valutazione, in diverse occa-sioni hanno consentito di descrivere un fo-colaio epidemico o di identificare un trend.Lo studio retrospettivo del Nuovo sieroti-po con formula antigenica 4,[5],12:i:-, pro-babile variante del sierotipo S.Typhimurium, ha per esempio, consentitodi definire il momento della sua comparsa

nel Lazio, di individuare i principali fatto-ri di rischio avendo identificato le princi-pali fonti di contaminazione. Nel caso spe-cifico ha inoltre permesso di seguire e distudiare l’incremento della frequenza di iso-lamento nell’uomo nel corso degli anni. D’altra parte, se la notifica al Sistema del-l’isolamento di ceppi di Salmonella avvie-ne con la tempestività necessaria, è anchevero che nella maggior parte dei casi c’èuna consistente carenza dei dati epidemio-logici attesi. In alcuni casi, inoltre, la rapi-dità della trasmissione dei dati compensasolo in parte il ritardo con cui è avvenutoil passaggio dal Laboratorio di primo li-vello a quello di secondo, privando il si-stema della conoscenza della reale situa-zione regionale.Le allerte diramate dal Laboratoriodell’ISS che coordina la rete in Italia, comenel caso di S. Napoli nel Nord Italia o diS. Typhimurium DT104A nell’area diRoma, sono il frutto dell’analisi dei dati disorveglianza e sottendono uno studio con-tinuo ed attento di quanto accade sul ter-ritorio regionale e nazionale e talvolta in-ternazionale. La disponibilità dei dati relativi agli isola-menti di Salmonella dall’ambiente e la

condivisione dei dati raccolti dal sistemaEnter-vet, analoga rete nazionale veterina-ria, consente infine di mettere a disposizio-ne delle autorità politiche e sanitarie, le in-formazioni necessarie per la promozionedi interventi in sanità pubblica.

6. Conclusioni e raccomandazioniLa valutazione del Sistema di sorveglian-za sulle gastroenteriti da Salmonella, perquanto limitata nei risultati, ha fornitol’opportunità di un primo approccio cri-tico sull’organizzazione e sulla capacitàdel Sistema medesimo, soprattutto a livel-lo di Laboratorio di Riferimento regiona-le, di realizzare quanto definito negliobiettivi della rete e di mettere a disposi-zione informazioni utili per interventi insanità pubblica. L’EFSA (3) riporta i dati ripresi dal BasicSurveillance Network (BSN), secondo iquali nel 2005 ci sono stati in Europa com-plessivamente 176.395 casi di salmonello-si, ovvero 38,2 casi ogni 100.000 abitanti,con l’Italia al 5° posto, con 5.004 notifichepari a 8,6 casi/100.000 (3).I dati del Sistema di notifica delle malattieinfettive, rivelano che in Italia nel 2005,sono stati segnalati circa 230 focolai di tos-sinfezione alimentare, che hanno coinvol-to in media 5,6 pazienti (range 2-120), perun totale di circa 1.300 casi. Nel Lazio, dati riportati nelle SDO(Scheda Dimissione Ospedaliera) (9,10)

disponibili presso il sito del Ministero delLavoro, della Salute e delle PoliticheSociali, riferiscono che nel 2004 sono statidimessi complessivamente 386 pazienticon infezioni da Salmonella con 329(85%) diagnosi di gastroenterite. Altri datidisponibili presso lo stesso Ministero atte-stano che nel 2006 sono stati segnalati 13(7,5%) casi di febbre tifoide nel Lazio su174 registrati complessivamente in Italia,di cui 9 (69%) nella città di Roma. L’Agenzia di Salute Pubblica ha reso notoche il numero delle notifiche di salmonel-losi nel Lazio nel 2006, sono state 449,valore che poco si discosta da quello re-gistrato dalla rete Enter-net del Lazio cheriferisce di 445 notifiche, che si traducein un tasso pari a 8,4 casi ogni 100.000abitanti.Dai dati riportati risulta quindi che letossinfezioni alimentari e le infezioni ga-stroenteriche da Salmonella costituisco-no ancora un problema sanitario impor-tante e che entrambi sono sottostimateda parte delle autorità sanitarie. La glo-balizzazione del commercio e l’abbatti-mento delle frontiere che consentono illibero movimento delle persone, l’am-pliamento della Comunità Europea versopaesi con situazioni sanitarie diversifica-te, impongono comunque di mantenereelevata l’attenzione per tempestivi inter-venti di sanità pubblica sia nazionali cheinternazionali.

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33QUADERNI DI ZOOPROFILASSI

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ERNI DI ZOOPROFILASSIValutazione del sistema di sorveglianza

Numerosi sono gli aspetti critici emersi dalpresente studio, che dovranno essere ulte-riormente affrontati non tanto e non soloall’interno della rete ma soprattutto con ilcoinvolgimento a livello regionale delle au-torità sanitarie e politiche preposte. In particolare, sarà necessario valutare lascarsa partecipazione delle strutture sani-tarie regionali al sistema di sorveglianza,che non è su base volontaria ma è previstada un’apposita Deliberazione della GiuntaRegionale. L’ampliamento del numerodelle strutture sanitarie coinvolte soprat-tutto nelle province, dove minore è la par-tecipazione alla rete, consentirebbe di di-sporre di una maggiore conoscenza dellasituazione sanitaria relativa all’aspettoSalmonella. Probabilmente dovranno es-sere messi in campo anche iniziative desti-nate soprattutto ai medici di base sull’im-portanza della notifica ai fini degli inter-venti in sanità pubblica.Se infatti il confronto del numero di casinotificati al CREP con quello dei casi no-tificati all’ASP non risultano distanti traloro, è anche vero che le fonti sono per lamaggior parte dei casi tra loro differenti.Sono inoltre da tenere in considerazione ipunti critici evidenziati nell’ambito del

focus group, tra cui l’organizzazione dimomenti di confronto con i Laboratori af-ferenti e la condivisione di procedure ope-rative comuni da utilizzare nella diagno-stica microbiologica, che dovranno essereadeguatamente affrontati. Ciononostante, lo studio ha dimostratoche, rispetto all’efficacia reale, il Sistemacomunque assolve al suo compito di co-gliere la reale situazione relativa all’anda-mento dei casi di salmonellosi, soprattut-to nella città di Roma più che in quella re-gionale. La capitale, infatti, può contaresulla partecipazione alla rete di grandistrutture sanitarie come l’Ospedale SandroPertini e il Gemelli, che costituiscono unpunto di riferimento importante per la po-polazione residente e non residente diRoma. Altro aspetto significativo che dovrà esse-re al più presto affrontato, è la carenza diraccordo con l’Autorità sanitaria regiona-le rispetto al problema delle tossinfezionialimentari, per cui se da una parte l’attivi-tà svolta nella raccolta, gestione e valuta-zione dei flussi informativi regionali sod-disfa primariamente gli obiettivi della rete,non è in grado dall’altra, di misurare l’im-patto sulla salute pubblica regionale.

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8. Commission Decision of 28/IV/2008 amending Decision 2002/253/EC laying down case definitions for reporting communicable disease to the Community network under Decision No 2119/98/EC of the European Parliament and of the Council (Text with EEA relevance)

9. D.M. 28 dicembre 1991 Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 17 gennaio 1992 n. 1310. D.M. 27 ottobre 2000, n. 380 Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 19 dicembre 2000, n. 295

Si ringraziano per il contributo fornito nella realizzazione del presente documento:

Di Giampietro Gina, Maria Grazia Marrocco, Emanuela Lupacchino - Centro di Riferimento Regionale per gli EnterobatteriPatogeni (CREP), Stefania Bugattella – Direzione Controllo Alimenti - Istituto Zooprofillattico Lazio e Toscana, Roma Dott.ssa Ida Luzzi - Dipartimento Malattie Infettive, Parassitarie e Immunomediate dell’Istituto Superiore di SanitàProf.ssa Fernanda Chiarini Policlinico Umberto I (BIT 05)Dott.ssa Claudia Scordo Laboratorio Biodiagnostica AlessandrinaDott. Alberto Spanò, Dott.ssa Carmen Luciana Bonanno - U.O.C. Microbiologia e Virologia Ospedale Sandro PertiniDott.ssa Giulia Gilardi - Ospedale Carlo ForlaniniProf. Giovanni Fadda, Dott.ssa Carola Archibusacci - Istituto di Microbiologia Università Cattolica del Sacro CuoreDott.ssa Antonella La Marca, Dott.ssa Fiorella Tomei, Dott.ssaMaria Paola Anastasio - Laboratorio BIOS A.p.A.Dott.ssa Marta Argentieri - Laboratorio di Microbiologia Ospedale Pediatrico Bambino Gesù,Prof. Carmelo D’Asero, Dott.ssa Sandra Carpiceci, Dott. Enzo di Galbo - Ospedale San Pietro FatebenefratelliDott.ssa Antonietta Signorile Laboratorio A.D.I. Accentramento Diagnostico Italiano

Il documento è stato realizzato nell’ambito del Master di II Livello “Epidemiologia applicata” PROFEA, risultato della collaborazione tra l’Istituto Superiore di Sanità e l’Università “Tor Vergata” di Roma.

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QUADERNI DI ZOOPROFILASSI

34 35QUADERNI DI ZOOPROFILASSI

La formazione d’aula.Lezioni e presentazioni efficacLa formazione d’aula.Lezioni e presentazioni efficaci

siderando tre fasi principali: prima, l’ini-zio ed il cuore della presentazione.Particolare attenzione è rivolta qui agliaspetti della comunicazione verbale inaula ed alla scelta di un linguaggio che ri-sulti consono all’uditorio.Nel quinto invece ci si sofferma sugliaspetti della comunicazione para-verba-le e non-verbale, nello specifico del con-testo d’aula. Particolare attenzione vienerivolta alla gestualità, alla postura, allaprossemica del docente e a tutti gli altrielementi del linguaggio del corpo chehanno un impatto importante sull’effi-

cacia della comunicazione.Il sesto capitolo tratta le modalità attra-verso le quali effettuare la verifica e la va-lutazione di una singola lezione e/o di unintero corso di formazione.Infine, l’ultimo capitolo è dedicato al temadella gestione dei gruppi in apprendimen-to, con particolare attenzione a quelle situa-zioni d’aula definite “difficili” dal punto divista della tipologia di partecipanti coinvol-ti o delle dinamiche che si instaurano.Vengono analizzate qui alcune di queste si-tuazioni-tipo, fornendo consigli pratici sucome gestirle.

INTRODUZIONE

uesto lavoro, di taglio pratico-ope-rativo, tratta gli elementi essenzialiper realizzare lezioni e presentazio-

ni in pubblico che risultino efficaci ai finidella comunicazione.Le tematiche e le metodologie propostesono frutto della pluriennale attività dellaStruttura Formazione, Comunicazione eDocumentazione dell’IstitutoZooprofilattico delle Regioni Lazio eToscana, nella realizzazione di corsi ineren-ti la progettazione degli eventi formativi ela didattica in aula. In particolare, sono statirealizzati negli ultimi 6 anni 19 corsi su te-matiche inerenti le metodologie formative.Tali corsi sono stati realizzati in più edi-zioni, in differenti parti d’Italia e con unatipologia di partecipanti molto variegatarispetto alla provenienza, al ruolo profes-sionale e alle competenze.Ciò ha permesso a chi ha organizzato talicorsi, di confrontarsi con realtà ed esigen-ze molto diverse, sperimentando nel corsodel tempo differenti situazioni formative.Per la realizzazione di questo contributo si

è preso spunto in particolare da un corsorealizzato in tre edizioni (nei mesi di marzoed aprile 2007), dal titolo ‘La formazioned’aula. Lezioni e presentazioni efficaci’,svolto in Emilia Romagna. Gli argomentiaffrontati sono stati trattati per esteso inquesto prodotto, strutturato al suo inter-no in sette capitoli.Nel primo si illustrano i principi e le mo-dalità di apprendimento tipiche dell’adul-to, differenziandole da quelle dei bambi-ni e dei ragazzi.Nel secondo capitolo si entra nel vivo dellaprogettazione di una lezione, consideran-done gli elementi di base: a chi è rivolta,quali sono gli obiettivi, come scegliere icontenuti, di quanto tempo si dispone,quando verrà effettuata e quali sono le me-todologie didattiche e gli strumenti piùfunzionali agli obiettivi da raggiungere.Il terzo costituisce un pratico vademecumper strutturare il materiale didattico, conparticolare riferimento alla realizzazione dilucidi e slide che risultino efficaci e di im-mediata comprensione.Il quarto capitolo è incentrato sulla fasedi presentazione orale della lezione, con-

Q

metodologie formativprogettazione

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37QUADERNI DI ZOOPROFILASSI

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ERNI DI ZOOPROFILASSILa formazione d’aula

1. L’APPRENDIMENTO

1.1 Definizione

Obiettivo principale di ogni interventoformativo, sia di un intero corso che diuna singola lezione, è generare apprendi-mento. Diventa quindi fondamentale com-prendere le caratteristiche principali delprocesso di apprendimento. Possiamo definire l’apprendimento comeil processo di acquisizione di conoscenzee capacità attraverso lo studio e/o l’espe-rienza diretta. Si può affermare che l’ap-prendimento genera cambiamento: attra-verso lo studio e l’esperienza infatti, siviene a conoscenza di fatti, nozioni, prin-cipi o si acquisiscono capacità praticheche andranno implementate alle conoscen-ze e capacità già possedute. Il confronto el’integrazione tra le nuove informazioni inentrata e quelle già possedute, genera ap-prendimento, e quindi cambiamento.La formazione distingue tradizionalmen-te tre ambiti in cui si verifica apprendi-mento: conoscenza, capacità e comporta-mento. La conoscenza è l’ambito del sa-pere, in cui l’apprendimento riguarda fatti,nozioni, teorie, procedure, leggi, principi,ecc. La capacità è la sfera del saper fare, epuò riguardare abilità pratiche e manua-

li, oppure abilità intellettuali, come la ca-pacità di risolvere problemi o situazionecomplesse. Infine, il comportamento èl’ambito del saper essere, e si genera ap-prendimento quando si acquisiscononuovi modelli di comportamento.Lo studio dei processi di apprendimentoè stato tradizionalmente applicato alla pe-dagogia, per indagare le modalità attraver-so le quali il bambino apprende, con loscopo di pianificare metodi di insegna-mento sempre più funzionali e adatti alleesigenze infantili.Negli ultimi anni, però, con l’affermarsidella formazione nei contesti lavorativi e delconcetto di “life long learning” (apprendi-mento durante l’intero arco di vita), lo stu-dio dei processi di apprendimento è statoapplicato anche alla didattica per adulti, perindagare la modalità di apprendimento del-l’adulto e il modo in cui si differenzia daquella infantile.

1.2 Modalità di apprendimentodell’adulto

I processi di apprendimento dell’adulto sidifferenziano in maniera sostanziale daquelli del bambino, come sottolinea ancheMalcom Knowles nel suo testo “Quandol’adulto impara. Pedagogia e andragogia”

(1997), tanto che è stato coniato uno spe-cifico termine, “andragogia”. Quest’ultimasi riferisce alla didattica rivolta agli adul-ti, a differenza della pedagogia, relativa al-l’insegnamento indirizzato ai bambini.L’apprendimento dell’adulto si differen-zia da quello del bambino per almenoquattro aspetti: - il concetto di sé- il ruolo dell’esperienza - la disponibilità ad apprendere - l’orientamento all’apprendimento.

1.2.1 Il concetto di sé

Il bambino ha un concetto di sé basatosulla dipendenza dagli altri, infatti tende adidentificare sé stesso secondo definizioniesterne; l’adulto, di contro, ha un concettodi sé come essere autonomo, ed esige il ri-spetto della sua autonomia e autodetermi-nazione anche in un contesto formativo.

1.2.2 Il ruolo dell’esperienza

Il bambino ha accumulato poca esperienza,quindi il suo apprendimento è autonomorispetto a situazioni pregresse. Nell’adultoil ruolo dell’esperienza è fondamentale,tanto da identificare sé stesso attraverso leesperienze: se queste vengono respinte per-cepisce il rifiuto di lui/lei come persona.Nell’ambito dell’esperienza si comprendeanche il pregresso negativo, che può costi-tuire una barriera di pregiudizi e abiti men-tali cause di resistenza all’apprendimento.

In un ambito formativo, il nuovo appren-dimento deve essere integrato con il pre-cedente.

1.2.3 La disponibilità ad apprendere

Il bambino ha una disponibilità quasi illi-mitata all’apprendimento: tutte le espe-rienze di apprendimento sono per lui ge-neralmente significative.L’adulto ha una disponibilità più mirataad apprendere: è rivolta a ciò di cui senteil bisogno e che pensa di poter utilizzare,fa quindi riferimento alla vita reale.Infatti le esperienze di apprendimentopiù significative sono quelle che incrocia-no il problema attuale che la persona staaffrontando. L’attivazione dei processi di apprendimen-to nell’adulto richiede motivazione, che puòessere estrinseca ed intrinseca. Tra le moti-vazioni estrinseche si comprende l’avanza-mento di carriera, il desiderio di miglio-rare la propria posizione economica, l’ob-bligo ad adeguare la propria attività a spe-cifici requisiti, ecc.; quelle intrinseche pro-vengono dall’interno: bisogno di accresce-re la propria autostima, aspirazione ad ac-crescere la propria cultura, desiderio di unamaggiore soddisfazione al lavoro, ecc.

1.2.4 L’orientamento all’apprendimento

Il bambino è soprattutto abituato ad unapprendimento per materie e la sua pro-spettiva è quella di un utilizzo successivo.

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39QUADERNI DI ZOOPROFILASSI

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ERNI DI ZOOPROFILASSILa formazione d’aula

L’adulto è orientato all’apprendimento suiproblemi posti dalla vita reale, infatti lasua prospettiva è quella di un’immediataapplicazione.

1.2.5 “Leggi” per la formazione degli adulti

Da quanto esposto scaturiscono alcuniconcetti da tenere in considerazione quan-do si progettano e realizzano lezioni e in-terventi formativi da rivolgere ad adulti: • la persona deve sentire che il proprioconcetto di sé viene rispettato dal forma-tore. Egli deve essere considerato comeuna persona autonoma, con il proprio ba-gaglio culturale, esperienza e visione delmondo e delle cose; • l’apprendimento deve avere come basedi partenza l’esperienza del soggetto, a cuiil formatore deve riferirsi; • l’apprendimento fa riferimento alla vitareale e ai bisogni della persona, che il forma-tore deve tener ben presenti e richiamare; • l’apprendimento si attiva a seguito diforti motivazioni, che il formatore dovreb-be conoscere e considerare nello sviluppodel suo intervento.

1.3 Stili di apprendimento e ciclo di Kolb

Inoltre, è opportuno ricordare che ciascunindividuo ha il suo personale stile di ap-prendimento.Lo stile di apprendimento è l'approcciogenerale e preferito all'apprendimento da

parte di una persona, il suo modo tipico estabile di percepire, elaborare, immagaz-zinare e recuperare le informazioni. Lostile è relativamente indipendente dal con-testo e dal contenuto trattato e condizio-na la scelta e l'uso di strategie di appren-dimento. Inoltre, lo stile individuale puòsubire delle modifiche nell’arco della vitadi una persona.Per comprendere tali differenze individua-li nell’utilizzo di uno stile di apprendimen-to, consideriamo la teoria proposta daDavid Kolb. Secondo Kolb il processo diapprendimento è ciclico e comprendequattro fasi:• la fase iniziale è quella dell'esperienzaconcreta, in cui si fa esperienza diretta diuna situazione di apprendimento (adesempio, si svolge un compito o un’eser-citazione; si gioca una simulazione, ci siesercita con il computer o con strumentitecnici, ecc.)• la fase successiva è quella dell'osserva-zione riflessiva, tramite la quale si prestaattenzione e si raccolgono i particolari suciò di cui si è fatto esperienza nella faseprecedente;• segue poi la fase della concettualizzazio-ne astratta, in cui le osservazioni e le ri-flessioni generate nella fase precedentevengono integrate in teorie preesistenti; • il ciclo si chiude con la sperimentazio-

ne attiva (la prova sul campo delle teorieapprofondite), ossia la verifica di quantoappreso in situazioni nuove.A questo punto il ciclo ricomincia perché

ESPERIENZA CONCRETA

OSSERVAZIONI E RIFLESSIONIVERIFICA DELLE IMPLICAZIONI

DEI CONCETTIIN NUOVE SITUAZIONI

FORMALIZZAZIONEDI CONCETTI ASTRATTIE DI GENERALIZZAZIONI

IL CICLO DELL’APPRENDIMENTO DI KOLBE

la sperimentazione dà luogo ad un'altraesperienza concreta e così via.Alcune persone prediligono l’apprendi-mento tramite l’esperienza, iniziando ilproprio percorso di apprendimento dallaprima fase ipotizzata da Kolb e seguendocronologicamente il resto del ciclo; altrepersone invece preferiscono iniziare tra-mite un approccio teorico, iniziando quin-di dalla terza fase ipotizzata, quella dellaconcettualizzazione astratta, e seguendo ilciclo da lì in avanti.Per una persona del primo tipo, è prefe-ribile adottare una sequenza didattica in-duttiva; per l’altra è meglio invece una se-quenza deduttiva.Inoltre, ogni individuo predilige una fase

specifica del ciclo, mostrando così il suopersonale stile di apprendimento. Sullabase delle preferenze individuali, Kolbpropone una classificazione degli stili diapprendimento in quattro tipologie:• l'esperienza concreta esprime uno stiledi apprendimento attivo• l'osservazione riflessiva uno stile rifles-sivo• la concettualizzazione astratta uno stileteorico• la sperimentazione attiva uno stile prag-matico.

Gli attivi sono curiosi, sempre alla ri-cerca di qualcosa di nuovo, si lascianocoinvolgere dalle situazioni. Studiano me-

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41QUADERNI DI ZOOPROFILASSI

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ERNI DI ZOOPROFILASSILa formazione d’aula

glio in gruppo e preferiscono metodi di-dattici alternativi rispetto alla lezione clas-sica, come le simulazioni e i role playing.

∑ I riflessivi preferiscono osservare, riflet-tono prima di agire, imparano dopo pe-riodi di stand by, mostrando progressi ina-spettati. Preferiscono memorizzare pren-dendo molti appunti e ascoltando oppu-re leggendo.

∑ I teorici, quando studiano, amano l'or-dine e la sistematicità, sono analitici, cer-cano sempre gli assunti di fondo dellecose. Non sono adatti a imparare con ilmetodo dei casi, studiano leggendo, scri-vendo schemi e riassunti.

∑ I pragmatici sono meno interessati alleteorizzazioni e ai lunghi discorsi o ad ar-gomentazioni troppo precise; imparanoattraverso esempi che possono ricondur-re al loro quotidiano oppure quandovengono loro posti dei problemi concre-ti da risolvere, soprattutto se vengonoloro presentati come sfide. Prendono ap-punti solo di "messaggi slogan" facili datenere a mente e che toccano la loro fan-tasia.

In fase di progettazione è opportuno ri-cordare l’esistenza di queste differenze in-dividuali. Naturalmente non è possibilesapere a priori e con precisione qual è lostile di apprendimento dei destinatari diun corso o di un singolo intervento. Lo si

può però ipotizzare tramite alcune infor-mazioni preliminari sui partecipanti,quali: titolo di studio, tipo di lavoro svol-to, abitudine allo studio oppure ad attivi-tà operative, ecc. Ad esempio, se i desti-natari di un corso fossero persone laurea-te che svolgono un lavoro teorico e sonogià piuttosto esperti della materia in og-getto, si può ipotizzare che il loro stile diapprendimento passi prima attraverso laconcettualizzazione astratta, e quindi po-trebbe essere più adatto una sequenza di-dattica di tipo deduttivo, che parte dallateoria e poi si porta alla pratica Se invece i destinatari fossero ad esempiodei venditori, abituati ad un approccioconcreto nel loro lavoro, oppure persona-le tecnico, poco abituato allo studio teo-rico, si può ipotizzare che il loro stile diapprendimento sia incentrato prevalente-mente sull’esperienza concreta e la se-quenza didattica più adatta ia quella in-duttiva, che parte dalla pratica e poi siporta alla teoria.E’ comunque necessario precisare chequanto appena rappresentato costituisceuna schematizzazione didattica, che, inquanto tale, deve essere interpretata inmaniera flessibile e relativa.

1.4 Apprendimento ed encefalo

Le differenze individuali nell'apprendi-mento si possono spiegare anche facen-do riferimento alla dominanza emisferi-ca. Infatti, molti studi hanno dimostrato

che gli emisferi cerebrali destro e sinistrosono specializzati e complementari ov-vero funzionano in maniera diversa. Il sinistro è analitico, ricorre a simboli(parole e numeri), procede in modo lo-gico e rigoroso, si concentra su una cosaalla volta, ha una scansione temporale ocronologica, coglie le diversità, è conver-gente.Il destro, invece, ha un approccio globa-le, ragiona per immagini e metafore, è in-tuitivo, elabora l'informazione in modosimultaneo, ha una scansione spaziale, co-glie le somiglianze, è divergente o creati-vo. In alcune persone prevale l'attivitàdell'emisfero destro, in altre quella del-l'emisfero sinistro.

Di conseguenza notiamo che:

• Le persone con dominanza emisfericasinistra, quando studiano, non devono es-sere disturbate, hanno bisogno di un am-biente di lavoro molto ordinato e tran-quillo, hanno un approccio analitico aiproblemi.

• Le persone con dominanza emisfericadestra amano studiare in gruppo, in unambiente informale, sono incostanti, rie-scono meglio affrontando più problema-tiche insieme, hanno un approccio globa-le ai problemi.

A parte le differenze individuali, l’appren-dimento più completo e solido è quelloche si sviluppa a seguito di un coinvolgi-mento globale della persona, cioè dei dueemisferi.

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chi? perché? che cosaquando? dove? come?

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ERNI DI ZOOPROFILASSILa formazione d’aula

2. LA LEZIONE

2.1 Definizione

La lezione può essere definita come l’espo-sizione, per 30’-90’, di un insieme di nozio-ni da parte di un esperto della materia. Èun metodo didattico adatto ad obiettivi diconoscenza, cioè legato al trasferimento difatti, nozioni, principi, concetti teorici.

Immaginando le metodologie didattichedistribuite su un ipotetico continuum che,ad un polo presenta l’accademismo e al-l’altro l’attivismo, come rappresentatonella figura sottostante, la lezione fronta-le si situa sul versante dell’accademismo,ossia l’approccio teorico tradizionale.

LEZIONE CONDISCUSSIONE

ESERCITAZIONIPRATICHE

OUTDOORTRAINING

LEZIONE FRONTALE

STUDIODEI CASI

ROLE-PLAYING(SIMULAZIONI)

ACCADEMISMO ATTIVISMO

COINVOLGIMENTORISCHIO

APPRENDIMENTO

2.2 Punti di forza e criticità

Tra i punti di forza di questo metodotroviamo la sua comodità, sia per il do-cente che per i partecipanti. Per il docente perché la lezione, rispet-to ad altre metodologie didattiche più in-terattive, è facile da preparare, consen-te una più facile gestione dell’aula, è piùprevedibile e se ne possono stimare itempi di durata; per i partecipanti per-ché, chiunque vada in aula, si aspetta diascoltare una presentazione orale. Tra le criticità, vi è il rischio di una rapi-da caduta dell’attenzione dei partecipan-ti. Può esservi infatti una scarsa intera-zione con essi e un ridotto coinvolgimen-to dei partecipanti, di conseguenza laloro attenzione può decadere facilmen-te e questo può incidere sulla compren-sione e memorizzazione dei concettiesposti.

2.3 Progettazione della lezione: le sei domande

Affinché una lezione risulti efficace nelraggiungimento degli obiettivi previsti, ènecessario progettarla seguendo alcuni ac-corgimenti.

Una regola empirica suggerisce di formu-lare sei domande, le cui risposte sono unaguida per la realizzazione della lezionestessa:

1. Chi?a chi è rivolta? Chi sono i partecipanti?

2. Perché? quali sono gli obiettivi?

3. Che cosa?quali sono i contenuti?

4. Quando?quali sono i tempi?

5. Dove?dove si svolge?

6. Come?quali sono le metodologie e gli strumenti?

2.3.1 Chi: ii ppaarrtteecciippaannttii

E’ importante conoscere alcune caratteri-stiche dei partecipanti che il docente tro-verà in aula. Innanzitutto il numero: se ilgruppo è esiguo (max 20-25 persone), saràpossibile l’interazione con essi, dunque lalezione potrà essere interattiva. Laddoveinvece ci fosse un uditorio numeroso, l’in-tervento sarebbe più simile ad una confe-renza informativa che non ad una lezione.Altre caratteristiche importanti sono l’etàdei partecipanti, il ruolo lavorativo, il li-vello culturale, la formazione pregressa,ecc. Sono elementi che influiscono sulprocesso e sulla modalità di apprendimen-to dei singoli. Partecipanti con un livelloculturale medio basso o un ruolo lavora-tivo di tipo tecnico, prediligono lezionimeno teoriche, più interattive e possibil-mente accompagnate da esercitazioni pra-tiche. Chi invece ha un’alta scolarità, un

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ERNI DI ZOOPROFILASSILa formazione d’aula

ruolo manageriale o una buona conoscen-za pregressa della materia, ne apprezzeràanche una trattazione teorica, con loscopo, ad esempio, di approfondirne al-cuni aspetti.

2.3.2 Perché: ggllii oobbiieettttiivvii

Gli obiettivi didattici sono legati alle cono-

scenze, capacità e comportamenti che i par-tecipanti avranno appreso, acquisito, matu-rato, al termine di un intervento formativo.Gli obiettivi di una lezione sono di tipoprevalentemente conoscitivo, legati cioèall’acquisizione di fatti, concetti, nozioni,principi, teorie, ecc.E’ necessario che gli obiettivi didatticisiano S.M.A.R.T., ovvero:

Nella formulazione degli obiettivi, inoltre,bisogna tener presente il livello di cono-scenza da cui partono i partecipanti. Ciòvuol dire considerare quali sono le com-petenze che essi già possiedono e su que-ste cercare di costruire nuove conoscen-ze/competenze.Gli obiettivi didattici dovrebbero essereespressi in termini di conoscenze e/o, ca-pacità e/o comportamenti che i parteci-panti acquisiranno al termine dell’inter-vento formativo.

Esempio:Ipotizzando un intervento sulle normedella serie ISO 9000, un obiettivo didatti-co che rispetti i criteri SMART potrebbeessere: al termine dell’intervento i partecipanti sa-ranno in grado di elencare e descrivere gliotto principi dei sistemi di gestione della qua-lità previsti dalle norme della serie ISO 9000.

2.3.3 Che cosa: ii ccoonntteennuuttii

Il contenuto è l’oggetto stesso di una le-zione. È necessario fare una raccolta ed una se-lezione del materiale per scegliere quali ar-gomenti trattare, evitando quelli seconda-ri per privilegiare invece quelli principali.La selezione dei contenuti può essere fattain base a:

• obiettivi didattici della lezione• concetti chiave

• punti di forza• utilità per i partecipanti

Innanzitutto bisogna considerare gliobiettivi didattici e di conseguenza sceglie-re di affrontare gli argomenti che ne per-metteranno il raggiungimento. Vanno evidenziati inoltre i concetti chia-

ve, che costituiranno il cuore della presen-tazione. I concetti chiave sono costituitida ciò che i partecipanti dovranno appren-dere e ricordare al termine dell’interven-to. Attorno ad essi si svilupperà il restodella presentazione. I concetti chiave do-vranno essere legittimati da punti forza,cioè da argomenti che ne dimostrino la va-lidità e l’importanza. In questo modo lavalidità delle di tesi esposte dal docentesarà oggettiva, e non una semplice opinio-ne o congettura personale. È opportuno inoltre organizzare i conte-nuti in virtù dell’utilità che potranno avereper i partecipanti. Il docente, infatti, devesempre porsi nell’ottica dei partecipanti epianificare la propria lezione pensando al-l’utilità che ne trarranno, in base al lavo-ro che svolgono, alle competenze posse-dute e a quelle da sviluppare, ecc.

2.3.4 Quando: iill tteemmppoo

Il materiale deve essere organizzatoanche in base al tempo di cui si dispone:si tratta di un breve intervento di ventiminuti o di una lezione accademica dioltre un’ora? La quantità di argomenti

• Specifici: devono riferirsi ad aspetti particolari che i partecipanti dovran-no aver acquisito/maturato al termine dell’intervento formativo o della singo-la lezione.

• Misurabili: la misurabilità è legata alla specificità. Gli elementi appresivanno misurati, anche per poterne verificare l’effettivo apprendimento.

• Azione: gli obiettivi sono proiettati all’azione, nel senso che saranno rag-giunti se verranno attuate azioni concrete (es: lo studio permette l’apprendi-mento teorico; l’applicazione pratica consente l’acquisizione di capacità, ecc.)

• Realizzabili: realizzabili con le risorse disponibili (umane, finanziarie, ma-teriali, di tempo).

• Tempo: è opportuno definire il tempo entro il quale l’obiettivo sarà rag-giunto. Può essere a termine della singola lezione, oppure al termine di unpercorso formativo più lungo. Un obiettivo specifico e concreto, dovrà esse-re realizzabile entro un certo tempo.

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tempi argomenti metodosupporti annotazioni

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ERNI DI ZOOPROFILASSILa formazione d’aula

da esporre cambierà nei due casi.È fondamentale il rispetto del tempo dicui si dispone: sarebbe infatti poco pro-fessionale sia prolungare la propria pre-sentazione, sia abbreviarla senza avvisa-re i partecipanti. Per rientrare nei tempipuò essere utile fare una prova prima diandare in aula.Inoltre è importante chiedersi: la lezionesarà di mattina o nell’immediato dopopranzo? Sarà opportuno cioè organizzarei contenuti nella classica modalità teoricafrontale, o è meglio limitare la teoria perprivilegiare le esercitazioni?Se la lezione è di mattina, probabilmentei partecipanti avranno un alto livello di at-tenzione e di concentrazione; ma nell’im-mediato pomeriggio l’attenzione scendebruscamente, di conseguenza sarà neces-sario limitare l’esposizione teorica per pri-vilegiare le esercitazioni. Se la propria lezione si inserisce all’inter-no di una giornata di corso, in cui si al-ternano diversi docenti con diverse rela-zioni, è importante avere una continuitàcon chi precede e con chi segue. Perquesto è opportuno acquisire informa-zione sui contenuti e le modalità didat-tiche relative agli interventi degli altri do-centi.

2.3.5 Dove: llaa sseeddeeAnche la sede di svolgimento della lezio-ne può influire sull’efficacia della stessa.Un’aula confortevole predispone ad unascolto attento.Fattori importanti sono l’acustica, la di-sposizione di tavoli e sedie, la visibilità daparte di tutti i partecipanti, l’illuminazio-ne e la temperatura, ecc.Naturalmente, non sempre è possibile cam-biare le caratteristiche dell’ambiente dovesi farà lezione. È opportuno però che il docente conoscacon anticipo il posto dove terrà la sua lezio-ne e, laddove fosse necessario e possibile,modifichi i fattori che ritiene possano esse-re di disturbo (clima, illuminazione, dispo-sizione dei posti, ecc.).

2.3.6. Come: mmeettooddoollooggiiee ee ssttrruummeennttii

2.3.6.1 Metodologie didattiche e obiettivi

Esiste un legame diretto tra obiettivi di-dattici e metodologie. Queste ultime sonoil mezzo per raggiungere gli obiettivi e, diconseguenza, andranno scelte sulla basedegli obiettivi didattici programmati.

TITOLO TEMPO TOTALE

OBIETTIVO:

TEMPI ARGOMENTO METODOLOGIA SUPPORTI ANNOTAZIONI(DURATA DI PER OGNI DIDATTICA E STRUMENTI DI OGNI FASE) FASE PER OGNI FASE DIDATTICI

La classica lezione frontale è particolar-mente utile per obiettivi di conoscenza; leesercitazioni pratiche, lo studio dei casi, ilrole-playing sono invece metodologie piùattive, che presuppongono un sempre cre-scente coinvolgimento dei partecipanti eche sono più adatte ad obiettivi di capaci-tà e/o comportamento. Anche gli stru-menti e i sussidi didattici vanno scelti a se-conda della tipologia di intervento forma-tivo e degli obiettivi didattici.

2.3.6.2 Il Piano d’Aula

Un valido supporto nella fase di progetta-zione di una lezione è il piano d’aula(fig.1), una sorta di scaletta dell’interven-to che si andrà a realizzare in aula. Si trat-ta di una griglia in cui si pianificano gli ar-gomenti da trattare nel corso della lezione,specificando il tempo da dedicare a ciascu-

no, la modalità in cui proporli ai partecipan-ti e quali strumenti e supporti utilizzare.

2.4 La sequenza dei contenuti

Una volta selezionati i contenuti, sulla basedegli elementi fin qui esposti, bisogna de-cidere con quale modalità presentarli aipartecipanti, cioè scegliere una sequenzadidattica. Le sequenze didattiche maggior-mente utilizzate sono quella deduttiva equella induttiva.

La *sequenza deduttiva è quella che partedal generale, dalla presentazione di argo-menti teorici, e scende poi nel particola-re, portando esempi e proponendo appli-cazioni di quanto enunciato in teoria.Viene anche definita “ad imbuto”, proprioper questa sua struttura “dal generale alparticolare”.

Figura 1

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49QUADERNI DI ZOOPROFILASSI

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ERNI DI ZOOPROFILASSILa formazione d’aula

La **sequenza induttiva, al contrario, partepresentando degli esempi o delle applica-zioni concrete sulle quali si ragiona per ar-

rivare successivamente alla generalizzazio-ne. Si parte in questo caso dal particolare esi arriva al generale.

Titolo: Tempo totaleI principi del sistema HACCP 1 ora

Obiettivo specificoAl termine dell’intervento i partecipanti saranno in grado di elencare i principi del sistema HACCP e descriverne le caratteristiche principali

Tempi Argomenti Metodologia Supporti Annotazioni

Mattina Presentazione Frontale Proiezione5’ del docente e su lavagna

dell’argomento luminosacon lucido

Mattina L’approccio Lezione Lavagna a Stimolare15’ preventivo interattiva fogli mobili interventi

alla sicurezza dei partecipantialimentare

Mattina I prerequisiti Frontale Videoproiettore Chiedere ai15’ del sistema e presentazione partecipanti

HACCP power point le loroesperienze

Mattina I sette principi Frontale Videoproiettore20’ dell’HACCP e presentazione

power point

Mattina Conclusioni5’

Esempio di piano d’aula

SEQUENZA DEDUTTIVA

Principi teorici

Esempi ed applicazioni

Conclusioni

DAL GENERALE

AL PARTICOLARE

SEQUENZA INDUTTIVA

Presentazione di un problemao di un esempio

Approfondimento dei variaspetti del problema

mediante ragionamento

Generalizzazione in una teoriadi riferimento

DAL PARTICOLARE

AL GENERALE

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ERNI DI ZOOPROFILASSILa formazione d’aula

2.4.1 La scelta della sequenza dei contenuti

Scegliere l’una o l’altra sequenza dipendeda diversi fattori. Bisogna ricordare cheogni persona predilige una specifica moda-lità di apprendimento. In accordo conquanto affermato da Kolb, come già illustra-to nel capitolo relativo all’apprendimento(punto 1.3) alcuni apprendono maggior-mente attraverso un’esperienza concreta;altri invece preferiscono lo studio teorico el’approfondimento concettuale, per passa-re successivamente ad un’applicazione diquanto appreso. Per la prima tipologia di

persone è più indicato un approccio indut-tivo, per la seconda un approccio dedutti-vo. Naturalmente non è possibile sapere apriori la modalità di apprendimento dei par-tecipanti, ma la si può ipotizzare sulla basedi alcune loro caratteristiche quali il ruololavorativo, il livello culturale, le esperienzeformative pregresse, ecc.Ciascuna delle due sequenze presenta van-taggi e svantaggi, mostrandosi più o menoadeguata a seconda delle situazioni.La sequenza deduttiva è adatta per pre-sentare nozioni, concetti e principi teori-ci, a partecipanti di livello culturale medio-alto rispetto all’argomento dell’interven-

to, abituati ad esposizioni teoriche e amantenere alta la propria concentrazione.Risulta inoltre comoda per il docente chepuò prepararla in anticipo stimandone ladurata. Tra gli svantaggi c’è la possibilitàche risulti più teorica, rischiando di risul-tare noiosa poiché potrebbe esserci unbasso coinvolgimento dei partecipanti. La sequenza induttiva, invece, risulta gene-ralmente adeguata per partecipanti di livel-lo culturale medio-basso, non abituati adascoltare esposizioni teoriche, ma più por-tati ad applicazioni concrete. Essa presup-pone un maggior coinvolgimento dei par-tecipanti e di conseguenza una maggiorememorizzazione dei contenuti trattati (se-condo il presupposto per il quale “coinvol-gimento maggiore = maggior apprendimen-to e memorizzazione”). Essa si può utilizza-

re per molti argomenti, ma non per tutti, equesta è una caratteristica a confine tra ilpregio e il difetto di questa sequenza.Tra gli svantaggi inoltre, troviamo una mag-giore difficoltà per il docente che può pre-pararla solo in parte e non può stimarne conprecisione il tempo. È necessario infatti untempo più lungo per effettuarla e al docen-te è richiesta una maggiore capacità di ge-stione dell’aula.Le indicazioni sinora fornite devono, co-munque, essere prese con la necessaria re-latività, considerando che diverse sono levariabili che condizionano l’efficacia di unalezione o intervento formativo, tanto che unapproccio di tipo induttivo può essere adat-to anche per un partecipanti di livello cul-turale elevato, in funzione delle abilità deldocente e della tipologia di argomento.

3. LA PREPARAZIONE E L’UTILIZZO DEI SUSSIDI AUDIOVISIVIE DEGLI STRUMENTI DIDATTICI

È consuetudine per un docente, un for-matore o chiunque debba svolgere unapresentazione in pubblico, servirsi di sup-porti audiovisivi e sussidi didattici. È op-portuno sottolineare che non è indispen-sabile il loro utilizzo: il relatore infatti,potrebbe scegliere di effettuare la suapresentazione facendo ricorso alle soledoti oratorie, esponendo il proprio di-scorso, ed eventualmente dialogando,

quando possibile, con l’uditorio. Poiché, però, nella maggior parte deicasi, si utilizzano dei supporti didatticial fine di facilitare il processo comunica-tivo, è indispensabile saperli preparareed utilizzare al meglio. Vediamo quindi i criteri principali perpreparare lucidi, slide e dispense e perutilizzarli in aula come appoggio al pro-prio discorso.

*N.B. DEFINIZIONI

La *Deduzione è quel processo logico per cui da un assunto iniziale, attra-verso una serie di passaggi logici necessari (inferenze), si derivano determinateconclusioni. La deduzione è quindi il processo che permette il passaggio dalprincipio generale esposto nella premessa, alla conclusione che conduce a fattiparticolari.

**Induzione, dal latino in- (‘dentro’) e ducere (‘condurre’); ovvero, ‘porta-re dentro’. L’induzione è il processo logico inverso alla deduzione, che permet-te di formulare una teoria partendo dall'osservazione ripetuta di dati empiriciparticolari.

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sintesi semplicitàimmediatezza leggibilità

53QUADERNI DI ZOOPROFILASSI

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ERNI DI ZOOPROFILASSILa formazione d’aula

3.1 Strumenti didattici: principali caratteristiche

3.1.1 Strumenti a basso contenuto tecnologico: lavagne di ardesia, magnetiche, a pennarelli, a fogli mobili

Le lavagne presentano un’alta facilitàd’uso e favoriscono l’interazione con l’au-la, permettendo la cosiddetta “raccoltad’aula”, cioè di visualizzare i contributi deipartecipanti alla lezione. Attenzione du-rante la scrittura: utilizzare caratteri gran-di, preferibilmente in stampatello, e benvisibili da tutti e non voltare le spalle al-l’uditorio.Quella a fogli mobili presenta il vantaggiodi conservare ciò che si è scritto. I singolifogli possono essere utilizzati per fissare ipunti fondamentali del discorso, oppuresi possono distribuire durante le esercita-zioni, conservando il contributo prodot-to dai partecipanti.In genere è opportuno utilizzare le lava-gne con un pubblico non troppo numero-so, in gruppi non superiori alle venti/ven-ticinque unità. Difficile invece il loro uti-lizzo in aule molto grandi (non sarebberoben visibili da tutti) e con un numero ele-vato di partecipanti, in quanto non sareb-

be possibile la raccolta d’aula e l’interazio-ne tra i membri del gruppo.

3.1.2 Strumenti a più elevato contenuto tecnologico: proiettori, lavagna luminosa, videoregistratore, cinepresa

Tra gli strumenti ad “alto contenuto tec-nologico”, troviamo il proiettore per dia-positive, per la proiezioni delle diapositi-ve tradizionali; la lavagna luminosa, pervisualizzare i lucidi; il videoregistratore,per la visione dei filmati; il videoproietto-re per la proiezione delle slide realizzatein PowerPoint o di filmati; la cinepresaper la ripresa di momenti del corso, peres. di simulazioni.L’utilizzo di diverse strumenti didatticidurante la presentazione movimenta l’in-tervento, favorendo l’attenzione dei par-tecipanti.

3.2 I sussidi didattici: gli audiovisivi

L’utilizzo degli audiovisivi favorisce l’at-tenzione dei partecipanti, aiutano la com-prensione e la memorizzazione dei concet-ti esposti. Infatti, presentare uno stimolovisivo (lucido, slide, filmato, ecc.) oltre allostimolo verbale, costituito dal discorso del

relatore, rafforza l’efficacia del messaggioe aiuta a fissare i punti salienti.

I due tipi di supporti che maggiormentesi usano in aula sono i lucidi e le slide. Essi presentano alcune similitudini, puressendo diversi: il lucido infatti, è un fo-glio (realizzato in materiale plastico), unaslide viene invece realizzata al computer,in genere tramite il programma PowerPoint, e quindi proiettata in aula tramiteil videoproiettore. presentando quindiuna maggiore ricchezza dal punto di vistagrafico.

3.2.1 Lucidi

L’utilizzo dei lucidi è molto diminuitonegli ultimi 10 anni, in quanto il diffusoimpiego del videoproiettore e la facilità erapidità con cui è possibile preparare dellepresentazioni utilizzando il programmapowerpoint, ne ha ridotto l’utilità.Possono essere direttamente stampati, fo-tocopiati o scritti a mano. In quest’ultimocaso deve essere utilizzata una grafia leg-gibile, è preferibile il carattere stampatel-lo e l’impiego di più colori, per un massi-mo di tre.Le principali indicazioni per la prepara-zione dei lucidi e delle slide riguardano:

• La sintesi• La semplicità• L’immediatezza• La leggibilità

Non devono riportare contenuti sintatti-camente articolati, ma soltanto i puntiprincipali del discorso che il docente svi-lupperà oralmente, commentando il lu-cido o la slide che proietta.

Una regola empirica prevede che • il titolo contenga al massimo

cinque parole • il testo un massimo di dodici righe• ciascun rigo non più di sette parolenel rispetto della semplicità e dell’imme-diatezza.

I lucidi possono essere scritti durante lalezione stessa, allo scopo sia di raccoglie-re i contributi dei partecipanti durante lalezione, sia di fissare alcuni punti chiavedei concetti appena esposti, vivacizzan-do così l’intervento.

3.2.3 Slide in powerpoint

Le slide sono il tipo di sussidio maggior-mente utilizzato durante le presentazio-ni. Esse sono utili per i partecipanti, chehanno la possibilità di seguire su di essei punti principali dell’esposizione.Presentano la caratteristica di attirare l’at-tenzione, perché sono ricche graficamen-te e spesso anche animate. Questa lorocaratteristica però, può essere anche unosvantaggio: le slide con troppi orpelli gra-fici o con eccessive animazioni, distolgo-no l’attenzione dei partecipanti dai con-

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tenuti e la indirizzano agli aspetti pretta-mente grafici. È necessario ricordare cheesse sono un ausilio alla esposizione oraledel docente, di conseguenza non posso-no mai sostituirsi ad essa.Caratteristiche salienti delle slide sono:la segmentazione dei contenuti, la se-quenzialità, la dipendenza dal commen-to del relatore.La segmentazione dei contenuti implicache nella singola slide non devono essercitesti sintatticamente articolati, ma soltan-to elencati nei loro elementi principali. Inoltre, durante la presentazione, le slidemostrano gli argomenti in sequenza. Infinela loro visualizzazione da sola non basta acomprendere gli argomenti della presen-tazione; esse necessitano del commentodel relatore.

Nel progettare le slide, bisogna conside-rare le caratteristiche dei destinatari chene usufruiranno, per scegliere un codicecomunicativo adeguato. Un’attenzioneparticolare, come già sopra esposto, vaposta a garantire la sintesi, la segmentazio-ne dei contenuti, e una logica di organiz-zazione piramidale, secondo la quale siparte dal generale per scendere poi neiparticolari. Attenzione al rispetto del rapporto ora-

lità/scrittura: ciò che è anticipato sullaslide, dovrà essere articolato oralmentedal relatore, parallelamente alla proiezio-ne della singola slide.Per quanto riguarda il formato, è oppor-tuno posizionare il titolo in alto, insiemead eventuali loghi, lasciare lo spazio cen-trale, quello principale, per la sintesi deicontenuti e riservare la parte bassa adeventuali date, loghi, nominativo dei do-centi.

3.2.3.1 Caratteristiche grafiche

E’ bene utilizzare dei caratteri (font)complessi e preziosi (es garamond),‘senza grazie’ (sans serif) leggibili e neu-tri ad es. Arial e Verdana .Il corpo (dimensioni) dei caratteri deltesto non dovrebbe superare i 28/30punti, al fine di evitare l’effetto ‘URLA-TO’, e non essere inferiore a 22-24punti, per garantire la leggibilità.Qualora si dovessero riportare un numeroelevato di numeri, è preferibile l’utilizzodei grafici rispetto alle tabelle, in quantopiù immediati. In entrambi i casi, comun-que è opportuno evidenziarne gli elemen-ti salienti, altrimenti c’è il rischio che l’in-tera tabella o grafico attirino inutilmentel’attenzione su informazioni secondarie.

Evitare l’utilizzo di immagini troppograndi, o troppo colorate, o non perti-nenti con i contenuti che si intende tra-smettere. Limitare le animazioni, scegliendo quel-le più semplici e che siano di supportoalla esposizione, sottolineando o enfatiz-zando parole e concetti chiave.Nell’utilizzo di elementi di scrittura edelementi grafici (frecce, titoli, punto-elen-chi, forme geometriche, ecc.), è bene uni-formarli utilizzando la stessa grandezza,a meno che non si voglia sottolinearel’importanza di uno di questi elementi.In tal caso si può usare il MAIUSCOLO,oppure il grassetto, oppure scriverli conun carattere più grande. Attenzione peròa non esagerare con queste variazioni gra-fiche: scrivere con un carattere troppogrande, o particolarmente evidenziato,può infastidire chi riceve il messaggio,creando una sorta di stress cognitivo.Circa il numero di slide, una regola em-pirica afferma che su ciascuna slide si do-vrebbe parlare per almeno un minuto; diconseguenza il numero complessivo dislide in una presentazione, va tarato invirtù del tempo di cui si dispone. Un’altra indicazione pratica: durante lapresentazione lo sguardo va rivolto al-l’uditorio, e non alle slide. Una slide la sipuò indicare, si spiegano i contenuti inessa elencati, ma il discorso deve svolger-si guardando il pubblico.Infine, le copie delle slide o dei lucidi, sipossono utilizzare come dispense da di-

stribuire ai partecipanti. Si può sceglieredi consegnarle a monte o a valle della le-zione: nel primo caso i partecipanti leavranno sott’occhio durante la lezionestessa e potranno seguirla anticipandonei contenuti e prendendo appunti. Nel se-condo caso, essi avranno un effetto sor-presa durante l’esposizione del relatore,perché non potranno guardare le slidementre il docente ne espone i contenuti.Spetterà al docente scegliere l’una o l’al-tra di queste modalità.

3.3. Alcuni suggerimenti

• il testo della slide o di un lucido deveessere essenziale ed utilizzare, dove pos-sibile, il punto elenco invece del discor-so articolato; • è opportuno utilizzare uno sfondo chia-ro e scrivere su di esso un testo scuro,perché così viene facilitata la lettura;• le immagini possono supportare il mes-saggio veicolato dalla slide, rendendolopiù immediato. Attenzione però a non so-vraccaricare le slide con eccessivi orpelligrafici che risulterebbero pesanti: • attenzione sempre alla leggibilità: è op-portuno scegliere colori standard (testoscuro su sfondo chiaro) ed evitare di met-tere come sfondo immagini, foto, disegnieccessivamente colorati, perché impedi-scono una comoda lettura; • le slide e i lucidi sono un supporto aldiscorso del docente, il quale dovrà am-

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pliamente commentarli, e non fermarsisoltanto a leggerne il contenuto.

Gli strumenti e i supporti qui menzionati(lavagne, videoproiettori, slide, lucidi,ecc.) non si escludono a vicenda, ma si in-tegrano. L’utilizzo di diverse strumenti di-dattici durante la presentazione movimen-ta l’intervento, favorendo l’attenzione deipartecipanti. La presentazione con le slide,

ad esempio, può essere interrotta ad uncerto punto per mostrare un lucido, op-pure si può rivolgere una domanda all’udi-torio ed utilizzare una lavagna a fogli mo-bili per raccogliere i contributi forniti daciascuno, per poi riprendere la presenta-zione con le slide. In questo modo si tienealta l’attenzione dei partecipanti, cambian-do la modalità di interazione con essi efornendo stimoli di natura differente.

*PROMEMORIA PRIMA DI ENTRARE IN AULA

• Gli schemi e le lavagne sono visibili da tutti?• Ci sono piante o mobili che coprono lo schermo?• Dove sono le prese di corrente?• Il proiettore funziona?• E’ possibile oscurare la sala?• Il microfono funziona. Come si accende il microfono?• I cavi elettrici ostacolano i movimenti?• I pennarelli funzionano?• C’è il videoregistratore? È funzionante?• altro

Si può suddividere una lezione o una pre-sentazione in pubblico in tre fasi principali:

• Prima della presentazione• L’inizio della presentazione• Il cuore della presentazionePer ciascuna di queste fasi è opportuno ri-spettare alcune regole empiriche.

4.1 Prima della presentazione

E’ buona norma acquisire delle informa-zioni di carattere logistico che possono in-fluenzare l’efficacia dell’intervento: la di-sposizione dei posti dei partecipanti, tipo-logia di strumenti didattici presenti, la pos-sibilità di spostare le sedie, ecc.Il giorno stesso della lezione è utile arriva-re con un certo anticipo, per conoscere ipartecipanti a mano a mano che arrivano,percependo anche il loro atteggiamento sulcorso che stanno per iniziare e il clima ge-nerale, o anche per ascoltare il relatore cheeventualmente ci precede. Sicuramente daevitare l’arrivo in ritardo, specie per rispet-to nei confronti dei partecipanti.

4.2 L’inizio della presentazione

E’ il momento in cui si prende la parola e siinizia il proprio intervento. In questa fase sa-rebbe opportuno mettere da parte slide, lu-cidi o qualunque altro supporto, per presen-tare semplicemente sé stessi e gli argomentidi cui si parlerà. Ci si rivolge al pubblico,

possibilmente in piedi davanti al gruppo econ una corretta postura, e ci si presenta(ved. Capitolo 5 sulla comunicazione). Un elemento importante in questa fase è ilcosiddetto “patto d’aula”: è una sorta di ac-cordo tra docente e partecipanti, nel qualeil primo esplicita gli argomenti che tratterà(la scaletta del suo intervento) e la durata.Rispettare il patto d’aula è segno di serietàe professionalità da parte del docente. È importante soprattutto cercare di rima-nere nei tempi: se si comunica ai parteci-panti che la lezione sarà di 45 minuti, e in-vece poi dura oltre un’ora, è indice di pocacorrettezza e professionalità.

4.3 Il cuore della presentazione

Il cuore della presentazione è il momentodell’esposizione da parte del docente.Un’attenzione particolare dunque va rivol-ta in questa fase alla comunicazione. Ci siriferisce qui alla comunicazione verbale, al-l’articolazione dei contenuti; per le altreforme di comunicazione (paraverbale e nonverbale) si rimanda al capitolo n. 5.Affinché la comunicazione risulti efficaceè bene seguire le successive ‘regole’:• ‘dì cosa dirai, dillo, dì ciò che hai detto’:prima di iniziare il proprio intervento pre-sentare una sintetica scaletta (ad es. su slide)dello stesso e, al termine della presentazio-ne, ricapitolarne i punti fondamentali ;• codificare i messaggi in base alle caratteri-stiche cognitive e psicologiche dei riceventi.

4. LA PRESENTAZIONE IN AULA: I CONTENUTI

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Attenzione quindi al livello culturale deipartecipanti, alla loro età, al ruolo ricoper-to, alle loro aspettative, ecc. E’ importantechiedersi: “come devo formulare il discor-so affinché il gruppo mi comprenda?”; • un messaggio è tanto più efficace quantopiù semplice e chiaro. Nella formulazione deiconcetti, utilizzare frasi semplici, poco arti-colate e con il minor numero di vocabolipossibile.• inquadrare l’argomento da un punto divista generale, per poi scendere nei partico-lari, seguendo una sorta di schema ad im-buto. L’argomento va introdotto nei suoielementi essenziali, dando una sorta disommario generale di ciò di cui si parlerà;nel seguito del discorso si spiegano questipunti in maniera via via più dettagliata perpoi, alla fine, riassumere gli aspetti essen-ziali della presentazione; • tipologia di linguaggio: attenzione allascelta del linguaggio Un linguaggio alta-mente tecnico-scientifico, non adatto ai par-tecipanti, può appesantire il messaggio ecreare confusione nei riceventi. Meglio uti-lizzare parole semplici; se fosse necessariousare qualche termine tecnico, è necessa-rio spiegarne il significato, senza dare perscontato che chi sta ascoltando sappia dicosa si tratta; • i concetti chiave devono essere ripetuti ditanto in tanto, per agevolarne la memoriz-zazione. Quindi ricapitolare e riformulare,

cioè ripetere gli stessi concetti magari uti-lizzando una diversa terminologia.Attenzione, però, a non ripetere troppo,poiché ci sarebbe il rischio di essere ridon-danti e quindi di annoiare.• evitare l’eccesso di concetti. Non sovrac-caricare l’ascoltatore con troppi messaggi.Ci sarebbe il rischio di un repentino calodi attenzione e della perdita delle informa-zioni. Bisogna ricordare infatti che nontutto ciò che viene ascoltato o visto, vienepoi ricordato. Una parte delle informazio-ni viene persa, quindi meglio frazionare imessaggi per facilitarne la comprensione ela memorizzazione. Anche per questo è ne-cessario focalizzarsi sugli aspetti essenzialidel messaggio, enfatizzandoli e riprenden-doli più volte.• mettere in relazione le idee nuove conquelle già note e possedute. L’apprendimento si sviluppa per integra-zione tra le idee nuove, che si stanno tra-smettendo, e le conoscenze già possedute. • utilizzare esempi e metafore, le quali ren-dono la presentazione più concreta e pos-sono favorire la trasmissione di concetticomplessiE, infine, è importante che traspaia dal do-cente, nel corso della sua presentazione, lasua convinzione rispetto agli argomenti trat-tati e un certo grado di entusiasmo in ciòche si sta facendo. Ciò favorisce il processocomunicativo.

5.1 Il modello lineare della comunicazione

Nel lontano 1949 Shannon & Weaver defi-nivano la comunicazione come ‘trasferimen-to di informazioni da emittente a riceventea mezzo di messaggi’La comunicazione si basa su un processo dicodifica/decodifica di messaggi. Nella crea-zione di messaggi, ci si serve di codici, adesempio il codice linguistico. Un codice asua volta è formato da segni, ai quali vannoattribuiti significati. Una parola è un segno, che avrà uno speci-fico significato. L’insieme strutturato delleparole forma un codice, il quale permettedi veicolare messaggi. Colui che veicola messaggi, compie unprocesso di CODIFICA, ossia di attribu-

zione di significato ai segni, cioè alle pa-role. Colui che riceve il messaggio, com-pie invece un processo di DECODIFI-CA, che consiste analogamente nell’attri-buzione di significato ai codici utilizzati.Se colui che decodifica, ossia il riceven-te il messaggio, attribuisce ai segni lo stes-so significato attribuitogli da chi lo avevacodificato, allora c’è comprensione. Seinvece i significati attribuiti nella codifi-ca e nella decodifica sono diversi, il rice-vente non avrà la giusta comprensionedel messaggio. Una comunicazione si definisce EFFICA-CE se il messaggio viene compreso dal ri-cevente.I principali attori in gioco nel processo dicomunicazione sono:

5. LA COMUNICAZIONE PARAVERBALE E NON VERBALE

• l’emittente: colui che formula un messaggio, che compie la codifica• il ricevente: colui che riceve un messaggio, compiendo la decodifica• il messaggio: l’insieme strutturato dei segni, che permettono

di veicolare i contenuti• il canale di comunicazione: il mezzo scelto per veicolare il messaggio

(la voce; la scrittura; il web; ecc.)

Il modello che prevede questi quattro at-tori principali, è definito modello linea-re della comunicazione, secondo il qualela comunicazione è un processo ad unavia che parte dall’emittente e permettedi veicolare un messaggio fino al riceven-

te, attraverso un canale.

Studi più dettagliati hanno permesso laformulazione di modelli più complessi dicomunicazione. L’etimologia del terminerimanda alla parola latina “communis”,

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che significa partecipazione, messa in co-mune. L’essenza del processo di comuni-cazione è il mettere in comune, cioè l’en-trare in relazione. Si può affermare dun-que che comunicare significa entrare inrelazione. Secondo quest’ottica, un modello più accre-ditato di comunicazione è quello che pre-vede cinque attori in gioco: • l’emittente• il ricevente• il messaggio• il canale di comunicazione

e soprattutto

• il feedback

5.2. Il modello dialogico della comunicazione

Secondo questo modello, denominato mo-dello dialogico della comunicazione, tral’emittente e il ricevente c’è un feedbackcontinuo. Il feedback permette all’emit-tente di capire se il suo messaggio è statocompreso dal ricevente. Se così non fosse,sarebbe necessario modificare la modali-tà di comunicazione, cambiando il cana-le, o il linguaggio, o il livello di comples-sità, a seconda dei casi.Il feedback è presente sempre, in ogni tipo

di comunicazione. L’aspetto essenziale è cheil feedback può essere di varia natura, nonsoltanto verbale.Per comprendere meglio questa affermazio-ne, è opportuno considerare alcune carat-teristiche della comunicazione.Secondo gli studiosi della scuola di PaloAlto (in special modo Paul Watzlawich), lacaratteristica principale della comunicazio-ne è espressa dal seguente assioma:

non si può non comunicare

Secondo questa affermazione, il contrariodella comunicazione non esiste. Ciò vuoldire che si comunica in ogni istante, ogniqualvolta ci si trova in un contesto socia-le si veicolano messaggi, sia in manieraconsapevole che inconsapevole. La con-sapevolezza, infatti, è espressa dal linguag-gio verbale, dal contenuto che si decide diveicolare; ma c’è anche una comunicazio-ne inconsapevole, che è data dal linguag-gio del corpo, definito anche linguaggioemozionale, proprio per questa caratteri-stica di istintività. Il linguaggio del corpoè la comunicazione non verbale. Da que-sto si comprende perché il feedback è pre-sente sempre: il motivo è che se anche nonci fosse un feedback verbale, di certo ce

ne sarebbe uno non verbale. Nel momen-to di formulare un messaggio, quindi, peressere certi che la comunicazione sia effica-ce, è necessario prendere in considerazionei seguenti elementi:

• il destinatario• il codice • il canale

Il destinatario, perché le caratteristiche delmessaggio da codificare saranno diverse aseconda di chi riceverà quel messaggio.Bisogna considerare l’età, il livello cultura-le, le competenze, il ruolo dei destinatari,ed inoltre se si tratta di una comunicazionein un contesto formale o informale.Il codice: è opportuno un codice linguisti-co? Orale o scritto? Un codice formale o in-formale?Il canale è il mezzo di comunicazione, il vei-colo attraverso il quale si attua la comuni-cazione: la voce, la scrittura, il web, i media,ecc. Ciascuno di questi elementi va scelto etarato di volta in volta.

5.3 Le barriere alla comunicazione

Le barriere si creano quando non si sonoopportunamente considerate le caratteristi-che del destinatario, oppure quando si sonoscelti un codice o un canale non adeguatialla situazione. Le barriere sono gli elemen-ti che creano difficoltà al processo comu-nicativo, che rischiano di farlo bloccare oche creano incomprensioni.Possono possono essere strumentali, quan-

do riguardano il canale utilizzato. Ad esem-pio un’amplificazione non adeguata, nelcontesto di una conferenza con molte per-sone. Si tratta in questo caso di barriere tec-niche, legate a situazioni oggettive.Altre barriere sono invece di natura sog-gettiva: quando ad esempio il linguaggionon è adatto al destinatario, in termini dieccessiva complessità, o prolissità, o ridon-danza, ecc. In questo caso si creano barriere cogniti-ve, cioè difficoltà cognitive, legate allacomprensione. Un altro tipo di barriera è di natura emoti-va. Bisogna ricordare che l’attenzione è se-lettiva, di conseguenza può capitare che l’in-terlocutore presti attenzione e recepisca sol-tanto una parte del messaggio che l’emitten-te codifica. In questo modo la comprensio-ne risulta parziale e distorta.

5.4 I tre livelli della comunicazione

La comunicazione si realizza su tre livelli:

• Verbale• Non verbale• Para-verbale

Il Verbale è il contenuto, l’informazione chesi vuole veicolare con il messaggio.Il Para-verbale è ciò che “accompagna” ilverbale, ossia il modo di utilizzare la voce.Esso comprende il tono, il timbro, il ritmoe il volume della voce. Infine, il Non Verbale, il linguaggio delcorpo. Esso comprende la postura, i gesti,

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il volto e la mimica facciale, lo sguardo e laprossemica.Si dice che, ai fini dell’efficacia del proces-so comunicativo • la comunicazione verbale ha un impat-to di circa il 7%• la comunicazione para-verbale ha un im-patto di circa il 38%• la comunicazione non verbale ha un im-patto di circa il 55%

5.4.1 La comunicazione non verbale in aula

In ogni situazione, formale o informale,può accadere che il corpo “parli” per noi.In un contesto d’aula, durante un’esposi-zione orale o una classica lezione, è neces-sario avere padronanza della propria mo-dalità di comunicazione non verbale, perevitare di assumere atteggiamenti, postu-re, gestualità non funzionali al trasferimen-to del messaggio.Nel contesto di una lezione in aula, atten-zione ai seguenti aspetti:

• LA POSTURA• LE MANI• I GESTI• IL VOLTO/LA MIMICA• LO SGUARDO• LA PROSSEMICA• L’USO DELLA VOCE

5.4.1.1 La postura

Il primo aspetto da curare è il possesso dellospazio fisico, un'abilità fondamentale ai finidell'efficacia della comunicazione in pub-blico. Possiamo utilizzare la metafora delloscoglio contro la marea: così come uno sco-glio è in grado di rimanere fermo e saldo da-vanti alla marea, allo stesso modo il relato-re deve essere in grado di rimanere in piedi,saldo e con una postura sicura, davanti al-l’uditorio.Attenzione poi alle posture che si assumo-no durante l’interazione. Ricordare che laposizione corretta per dimostrare padro-nanza di sé è quella eretta, mostrando beneil busto, restando saldi sulle gambe, senzadondolare e senza coprire il corpo con ec-cessivi gesti delle braccia. Questa è definitala posizione neutra. Quando si inizia a par-lare, se ci si pone bene di fronte all’udito-rio, questo indica apertura e disponibilitàverso il pubblico; la presentazione obliquapotrebbe indicare timidezza ed anche insi-curezza, se ad esempio si danno le spalle alpubblico per guardare le slide proiettate. Passeggiare continuamente avanti e indie-tro per l’aula, se l’aula lo permette, deno-ta nervosismo e può infastidisce chi sta se-guendo l’esposizione.Attenzione a non utilizzare la lavagna lumi-nosa, o gli altri strumenti presenti in aula,

come rifugio: ci si può letteralmente “na-scondere” dietro la lavagna luminosa, o ri-manere sempre dietro la cattedra e fare le-zione riparati. In questo modo si evita difare “scoglio contro marea” e si mostra in-vece un atteggiamento insicuro. Ogni stru-mento presente in aula non deve fungere darifugio per un docente “timido”: gli stru-menti servono invece come sussidio e sup-porto al contenuto che si vuole trasmette-re, che resta sempre l’obiettivo principaledella comunicazione.

5.4.1.2 Le mani

Sembra difficile “gestire” le mani: avolte non si riesce a trovare una posi-zione adeguata in cui metterle men-tre si parla in pubblico!

Alcuni accorgimenti:

• il nascondere le mani in tasca può espri-mere un atteggiamento di riserva o dichiusura; può essere considerato inoltresegno di poca educazione; • parlare tenendo le braccia dietro la schie-na può denotare un atteggiamento di pa-dronanza di sé riguardo l’argomento chesi sta esponendo; attenzione però a nonesagerare con questa posa, poiché c’è ilrischio di mostrare eccessiva sicurezza, laquale può essere scambiata per arrogan-za; .• le mani alla vita possono indicare un at-teggiamento da despota• gesticolare tenendo il pollice contro l’in-

dice ad anello, può indicare un atteggia-mento autoritario di chi è certo che ciòche sta affermando sia la verità! Questoatteggiamento può infastidire chi ascolta,poiché sembra che chi parla non permet-ta all’altro di esprimere la propria opinio-ne, o di dissentire; • tamburellare con le dita sul tavolo mentresi sta parlando con qualcuno, può denota-re insofferenza, scarsa attenzione per l’in-terlocutore, nervosismo; • autocontatti: sono i piccoli gesti che sicompiono verso sé stessi, come il toccarsi icapelli, pizzicarsi il mento, giocare con labarba, passarsi un dito attorno al collettodella camicia per allargarlo, giocare conl’orologio o con l’anello, ecc. E’ un mododi utilizzare le mani per non tenerle ferme.Inoltre, questi piccoli gesti, di per sé prividi significato, hanno lo scopo di allentare latensione; sono gesti di gratificazione che, seprotratti nel tempo, possono diventare gestistereotipati; • tenere un oggetto in mano mentre si parlain pubblico: l’importante è farlo con stile!Una penna ad esempio può servire per in-dicare su un lucido o sulla lavagna; atten-zione però a non giocherellare con l’ogget-to che si tiene in mano, o di utilizzarlo perscaricare la propria tensione mentre si parla.

5.4.1.3 I gesti

Permettono di rafforzare l'efficacia e l'im-portanza di un messaggio verbale con unsegnale visivo, ma bisogna ricordare cheil corpo è anche fonte di molte informa-

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zioni involontarie quali il sudore, il tremi-to, l'arrossire, ecc. Alcuni gesti come ilgrattarsi il naso, cambiare continuamenteposizione del corpo, bagnarsi le labbra,sono determinati apparentemente da sen-sazioni di fastidio, di prurito, ecc.; moltospesso, però, lo stimolo che è alla base diqueste reazioni del corpo non è solo di ca-rattere fisiologico (avere freddo, provareprurito), ma anche psicologico (sentirsi adisagio, essere in imbarazzo, avere timo-re). Lo stimolo può trovarsi infatti inun’azione o in una parola del nostro inter-locutore, nella sua stessa presenza o nelfatto di vedere o sentire una cosa inattesache può provocare in noi reazioni non ra-zionali, ma inconsce.I gesti, però, possono anche essere un va-lido supporto. Ad esempio, annuire con la testa mentreun’altra persona sta parlando e sta espri-mendo il suo pensiero, indica ascolto at-tento, disponibilità, apertura, attenzioneall’altro. Addirittura, è stata fatta un’inda-gine in cui era stato impedito ai parteci-panti di muoversi mentre parlavano, ed èstato dimostrato come l'eloquio diventi inquesto modo più povero, più “insipido”,l’articolazione delle parole appaia più sten-tata ed aumentino gli errori di pronuncia.In generale bisogna ricordare che, in lineagenerale:

• gesti calmi e solenni esprimono sicurez-za e potenza;• gesti affrettati inquietudine e ambizio-ne;• gesti piccoli e lenti timidezza e pruden-za; • gesti orientati verso il corpo sonosegno di rifiuto o difesa (ad esempio lebraccia conserte);• gesti orientati verso l’esterno sonosegno di disponibilità;

5.4.1.4 Il volto e la mimica

Il volto esprime emozioni e stati d’animo.Quando si parla in pubblico è bene mo-strare il viso scoperto, e non nascosto dafrange di capelli o occhiali vistosi o qua-lunque altra cosa che lo possa coprire.Evitare il viso corrucciato, ma cercare dimostrarsi sorridenti. Il sorriso infatti è unsegno di apertura ed accoglienza nei con-fronti dell’interlocutore. Il sorriso ha un ruolo sociale molto impor-tante. Sorridere ad una persona significamostrare interesse, incoraggiare a conti-nuare il discorso. L’importante è che nondiventi un sorriso di circostanza; in que-sto caso infatti la poca spontaneità traspa-rirebbe dall’espressione degli occhi, conil conseguente rischio di creare diffidenzain chi sta ascoltando.

5.4.1.5 Lo sguardo

Guardare negli occhi una persona vuoldire stabilire un contatto emotivo; losguardo è la parte più espressiva del volto,e guardare negli occhi una persona indicala volontà di entrare in relazione con essa.Lo sguardo sfuggente o lo sguardo basso,è invece indice di disagio, timidezza, timo-re o anche menzogna.Guardare negli occhi una persona mentresi parla indica padronanza di sé e compe-tenza nella materia oggetto del dialogo.Questo vale soprattutto nel contesto d’au-la: saper guardare l’uditorio mentre siespone il discorso, indica competenzanella propria materia.

Davanti ad un gruppo è opportuno rivol-gere lo sguardo non verso tutti in manie-ra generica, ma a ciascuno in particolare.Questo vuol dire che lo sguardo devespaziare tra tutti i presenti, guardare negliocchi ciascuno per un intervallo di qual-che secondo, poi guardare un’altra per-sona, poi un’altra ancora, e così via. Sicrea così, una sorta di “filo” ideale checollega tutti gli elementi del gruppo concontinuità e senza escluderne alcuno.Attenzione, però, a non tenere lo sguar-do fisso su una persona in particolare perpiù di qualche secondo: questo infatti po-trebbe creare imbarazzo e sarebbe segnodi invadenza.Bisogna evitare, inoltre, di tenere lo sguar-do fisso verso una direzione (sguardo personel vuoto) oppure di leggere il proprio di-scorso senza mai guardare l’uditorio.

Attenzione anche a non tenere lo sguardofisso sulle slide, o sulla lavagna, con il rischioanche di volgere le spalle all’uditorio.Il contatto visivo nel contesto d’aula, saràdiverso a seconda delle caratteristiche del-l’aula stessa e dell’uditorio. Parlare ad ungruppo molto numeroso, rende difficile sta-bilire un contatto personale con ciascunodei partecipanti. Anche la disposizione del-l’uditorio fa la differenza: se la disposizioneè a ferro di cavallo, i partecipanti seduti alleestremità avranno un minor contatto visivocon il docente, rispetto a chi è nel centro.Allo stesso modo, la disposizione a plateafavorirà un generico sguardo verso il cen-tro, con difficoltà a guardare direttamentenegli occhi.

5.4.1.6 La prossemica

La prossemica è la distanza fisica tra le per-sone, che sarà maggiore o minore a secon-da del grado di intimità che intercorre tragli individui che stanno interagendo. Per“disciplinare” questa distanza esistono delleprecise Regole di Distanza Sociale. Esse sta-biliscono qual è la distanza adeguata allaquale le persone interagiscono senza crearedisturbo reciproco.

Consideriamo la seguente classificazione:• la distanza intima (0-45cm) a cui ci siabbraccia, ci si tocca e si parla sottovoce• la distanza personale (45-120 cm) perl'interazione tra amici cari• la distanza sociale (1,2-3,5 metri) per lacomunicazione tra conoscenti • la distanza pubblica (oltre i 3,5 metri)per le pubbliche relazioni

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Il rispetto di queste distanze garantisce ilrispetto stesso delle persone; altrimentil’interlocutore può avere una sensazionedi invadenza e disagio.

5.4.1.6.1 La prossemica in aula

Il docente in aula può rimanere in piedidavanti all’uditorio, oppure salire in cat-tedra, sedersi e fare lezione da seduto, re-standoci tutto il tempo. Può decidere adun dato momento di avvicinarsi ai parte-cipanti, se la disposizione dei posti lo per-mette; oppure può rimanere ancorato die-tro ad una scrivania, o dietro al podio diuna sala conferenze. Un relatore che va fi-sicamente vicino ai partecipanti, denotavolontà di creare relazione con essi.Attenzione però alle regole di distanza so-ciale: il rapporto docente/partecipantiresta sempre un rapporto professionale eformale, per quanto possa esserci un climaamichevole. Di conseguenza, un’eccessi-va vicinanza fisica, o addirittura un con-tatto fisico, potrebbe risultare segno di in-vadenza. Invece, un docente che resta fermo in cat-tedra o dietro al podio, può denotare da unlato distacco o senso di superiorità (la cat-tedra come simbolo del proprio ruolo di“docente”), oppure può essere un segno ditimidezza ed insicurezza, dovuto alla diffi-coltà di presentarsi fisicamente in mezzo ai

partecipanti. È opportuno quindi bilancia-re le due modalità: sapersi avvicinare ai par-tecipanti nella maniera giusta, senza crearedisagio.

5.4.2 La comunicazione non verbale: uso della voce e linguaggio

Modificare il tono della voce. Una voce conuna cadenza troppo monotona, pur nonpregiudicando la validità dei concettiespressi, può creare nell’interlocutore onell’uditorio un senso di fastidio; puòcreare inoltre distrazione ed un calo del-l’attenzione. Volume della voce. La voce troppo bassa,oltre che rendere difficile seguire il relato-re, può essere interpretato come una spiadi scarsa sicurezza di sé e delle proprie com-petenze; ma, analogamente, parlare a vocetroppo alta potrebbe comunicare aggressi-vità, arroganza o presunzione. E’ bene cer-care di variare la velocità, il volume, il tonodella voce.Accentuare le parole per enfatizzarne l’im-portanza. Attenzione alle stereotipie. Evitare le ste-reotipie, quali schiarirsi spesso la voce, tos-sicchiare, sospirare: sono impulsi condi-zionati che esprimono frustrazione. Vanno anche evitati i cosiddetti ‘tic’ lin-guistici, che consistono nel ripetere sem-pre uno stesso avverbio, congiunzione o

perifrasi: ‘diciamo’, ‘cioè’, ‘possiamo direche’, ‘quindi’ etc.Pause e domande durante il discorso. Può ri-sultare funzionale l’uso delle pause e delledomande durante il discorso. Una pausa in-fatti richiama l’attenzione su un concettoespresso e crea aspettativa nell’uditorio, conil conseguente desiderio di prestare più at-tenzione al resto del discorso. Una doman-da posta al gruppo invece, cattura l’atten-zione e crea partecipazione.Formulare le frasi in positivo, evitando lenegazioni perché possono creare confu-sione. E’ consigliabile, inoltre, evitare iverbi che creano incertezze, quali ‘prova-re’, ‘tentare’, ‘cercare di…’, ecc.

E’ meglio l’utilizzo del NOI, al posto delVOI, perché il noi crea gruppo, il voi creadistanza ed accentua le differenze.Scegliere un linguaggio adatto all’uditorio,che non risulti né troppo semplicistico, nétroppo tecnico, poiché creerebbe frustra-zione in chi ascolta.L’utilizzo delle metafore permette di comu-nicare concetti complessi in maniera sim-bolica, risultando un valido supporto al-l’esposizione.Gli esempi, specie se vicini alla realtà deipartecipanti, rendono più concreti gli ar-gomenti, interrompono la teoricità dellatrattazione e aiutano a semplificare con-cetti complessi..

5.5 Infine: alcune ‘regole’ per una comunicazione efficace:

• Utilizzare un linguaggio semplice e chiaro• Prestare attenzione alla propria comunicazione non verbale, e fare in modo

che ci sia coerenza tra il linguaggio verbale e quello non verbale• Prestare un ascolto attivo, che significa attenzione ed empatia nei confronti

dell’interlocutore• Per assicurarsi di avere compreso il messaggio di un emittente, riformulare

ciò che si è capito, chiedendo all’emittente stesso conferma della identità tra ciò che si è compreso e quello che egli ha espresso

• Mantenere la concentrazione• Ricapitolare e riformulare spesso, per assicurarsi che i concetti chiave

vengano compresi• Osservare l’interlocutore, o il gruppo, per cercare di cogliere dei feedback,

sia di natura verbale che non verbale• Evitare di interrompere l’altro che parla • Non formulare giudizi di valore sulla persona che ha espresso dei messaggi,

ma riferirsi unicamente ai contenuti.

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6. VERIFICA E VALUTAZIONE DEL RISULTATO

La verifica e la valutazione sono le fasi incui si fa il bilancio dei risultati della lezio-ne o, più in generale, di un interventoformativo.Mentre per verifica si intende l’accerta-mento del raggiungimento di determinatiobiettivi, la valutazione costituisce la tra-sformazione dei dati ricavati dalla verificain giudizi di valore.

6.1 Quando e cosa verificare

Consideriamo due elementi della verifica:quando effettuarla e che cosa verificare.

6.1.2 Quando

Per quanto riguarda il momento, la veri-fica si può svolgere:• prima della lezione • durante• subito dopo • a distanza di tempo

6.1.3 Che cosa valutare

6.1.3.1 Prima della lezione

Alcuni giorni prima dell’intervento puòessere effettuata una verifica, ad es. un

questionario o una prova pratica, peraccertarsi che i partecipanti possiedano irequisiti di base per accedere al corso;per costituire delle classi omogenee o peracquisire delle informazioni sulle cono-scenze pregresse, al fine di impostare unintervento coerente con esse.Lo stesso giorno dell’intervento, ma primadel suo inizio, è possibile verificare se ipartecipanti hanno già delle conoscenzepregresse sull’argomento e il livello dellaloro conoscenza. Per fare questo ci si puòservire di una semplice ‘raccolta d’aula’,chiedendo ai partecipanti di esplicitare see quanto conoscono la materia, oppuretramite un questionario d’ingresso. Lerisposte fornite al questionario permetto-no di sondare il livello dei partecipanti.Tale questionario in entrata, confrontatocon quello in uscita, consente anche divalutare il grado di apprendimento pro-dotto a seguito dell’intervento.

6.1.3.2 Durante la lezione

Durante la lezione i segnali relativi all’an-damento del processo di apprendimentosono diversi, sebbene destrutturati:domande effettuate, esito delle esercitazio-ni, grado di attenzione mostrato dai parte-

cipanti, livello della discussione, ecc. E’ importante il feedback visivo che ildocente riceve in aula durante la lezionestessa. Brusii frequenti, i partecipanti chesi muovono spesso sulle sedie, i lorosguardi che vagano distratti, sono tuttisegnali di scarsa attenzione e di pocointeresse. La conseguenza di un taleclima d’aula, può essere una scarsa com-prensione. Una situazione di questo tiposuggerisce al docente di apportare modi-fiche alla sua esposizione. Si possonorivolgere domande ai partecipanti, percoinvolgerli, oppure fare esempi applica-tivi, o semplicemente proporre unapausa. Il livello della discussione che puòsvilupparsi durante una lezione può indi-care il grado di dimestichezza acquisito daipartecipanti nell’affrontare gli argomentiesposti.I risultati delle esercitazioni, invece,indicano con maggiore precisione il livel-lo di comprensione dei temi trattati.

6.1.3.3 Subito dopo la lezione

Subito dopo una lezione si possono valu-tare due aspetti: il livello di apprendimen-to e il gradimento dei partecipanti, o qua-lità percepita, nei confronti dei diversiaspetti dell’intervento.Nel primo caso si verifica quanto i parte-cipanti hanno compreso e memorizzatole nozioni trasmesse durante la lezione;nel secondo caso saranno i partecipantistessi ad esprimere quanto hannoapprezzato la lezione, evidenziandonepunti di forza ed eventuali punti critici.

Diversi sono gli strumenti per verificare ilgrado di apprendimento: prove pratiche;prove scritte; simulazioni, questionari.

6.1.3.3.2 Questionari di apprendimento

La modalità più diffusa è il questionariodi apprendimento, che ha delle sue rego-le affinché sia efficace nel verificare ill’acquisizione dei concetti esposti.

6.1.3.3.2.1 Tipologia di domande dei questionari di apprendimento

I questionari possono essere principal-mente di tre tipi, in funzione della tipolo-gia di domande prescelte:

a) a domande aperteb) a risposta dicotomica: ‘si-no’,

‘vero-falso’c) a risposta multipla

Esistono anche altri tipi di domande (acompletamento; ad associazione; a scala),ma quelle sopra indicate sono le più fre-quenti:

a) le domande aperte sono facili da for-mulare per il docente e permettono divalutare maggiormente il reale grado diconoscenza dell’argomento, da parte delpartecipante. Di contro, però, questotipo di questionario necessita di un mag-giore tempo per la correzione, poichébisogna leggere le risposte fornite dai sin-goli partecipanti; inoltre può essere piùdifficile per i partecipanti stessi, che

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devono riuscire a sintetizzare in pochiconcetti e in un breve lasso di tempo,idee a volte complesse. È necessariaquindi un’ottima capacità di sintesi edalta concentrazione, elementi che posso-no ostacolare il rendimento di un parte-cipante chiamato a svolgere una prova.Per questi motivi si consiglia di utilizzarepoche domande di questo tipo, all’inter-no di un questionario.

b) Le domande a risposta ‘si-no’, ‘vero-falso’, lasciano alte possibilità (50%) dirispondere correttamente anche se non siconosce la risposta.Possono essere usate più risposte di que-sto tipo per un’unica domanda, che ciconsente di sondare diversi aspetti del-l’argomento oggetto della stessa. Consideriamo il seguente esempio, trattoda un questionario distribuito duranteun corso sulle Procedura da seguire dalpersonale di una struttura a seguito dellapartecipazione ad un evento formativo:

Il rapporto che i partecipanti compilano aseguito della partecipazione ad un eventoformativo:

è sempre obbligatorio vero O falso Oviene redatta entro e un mese dallo svol-gimento dell’evento vero O falso O

deve essere trasmessa all’ufficio del personale vero O falso Odeve essere trasmessa al RepartoFormazione vero O falso O deve sempre accompagnato dal materialedidattico dell’evento vero O falso O

La risposta sarà considerata esatta nelcaso in cui le risposte a tutte le cinquesotto-domande siano corrette.

c) le domande a risposta multipla sonola tipologia più frequentemente utilizzata.Nella fase di progettazione di un questio-nario, è necessario che il docente rispettialcuni accorgimenti.Le domande a risposta multipla dovreb-bero contenere almeno cinque alternativedi risposta, sia per rendere il questionariopiù esaustivo, sia per limitare l’effetto“casualità” nella scelta della risposta.Bisognerebbe prevedere una sola rispo-sta esatta e le altre dovrebbero essereverosimiliE’ bene evitare i trabocchetti e le banali-tà, che potrebbero irritare i partecipanti.Un’attenzione particolare va data al lin-guaggio, che deve essere chiaro e adattoai partecipanti. Inoltre, bisogna sondareun problema alla volta: ciò vuol dire chein una domanda deve essere affrontatoun solo aspetto di un certo argomento,

si no vero falsodiscussione verificaevitando di formulare domande contortein cui si parli di più argomenti contem-poraneamente. Nell’ambito di un questionario diapprendimento possono essere utilizzatetutte e tre le tipologie di domande.

6.1.3.3.2.2 Domande nozionistiche e domande applicative

Una domanda infine, può sondare com-petenze nozionistiche, oppure compe-tenze applicative. In altre parole, con ledomande di tipo nozionistico si verificala conoscenza di una nozione o di unconcetto, con quelle applicative si accer-ta la capacità di applicare quella nozione.

Ad esempio, argomento: media aritmetica.La domanda nozionistica potrà essere: La media aritmetica di una serie dinumeri si ottiene: a) moltiplicando i numeri tra loro e divi-dendoli per il numero complessivo di essib) addizionando i numeri tra loro e divi-dendoli per il numero complessivo di essic) addizionando il quadrato dei singolinumeri e dividendoli per il numero com-plessivo di essid) addizionando i numeri tra loro e divi-dendoli per il quadrato del numero com-plessivo di essie) addizionando i numeri tra loro, calco-lando la radice quadrata della somma, edividendo il risultato per il numero com-plessivo dei numeri stessi

Le domanda applicativa potrà essere:

Dati i seguenti voti d’esame: 30, 28, 28,25, 30, 21, 24, 30, indicare quale tra ivalori riportati rappresenta la media:a) 25,8b) 27c) 26,50d) 28,7e) 28E’ utile inserire nei questionari delledomande applicative, in quanto ci dannodelle informazioni più valide circa il pro-cesso di apprendimento: non solo il sape-re, ma anche il saper fare.

6.1.3.3.2.3 La preparazione dei questionari di apprendimento

La preparazione dei questionari è unafase delicata, che deve essere realizzatacon attenzione, affinché il questionarioprodotto possa realmente sondare l’ap-prendimento dei partecipanti.

Le fasi possono essere così sintetizzate: • Decidere quali aspetti sondare• Decidere la forma dei quesiti• Formulare i quesiti• Testare il questionario.Gli aspetti da sondare devono essere iconcetti principali della lezione e nondelle nozioni accessorie e poco significa-tive rispetto agli obiettivi dell’intervento.E’ opportuno testare il questionario pro-ponendolo ad una persona che ha unadiscreta conoscenza dell’argomento. Cipotrà fornire informazioni sulla chiarezzae adeguatezza delle domande, rendendonecessarie eventuali modifiche.

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6.1.3.3.3 Il questionario formativo

La stessa tipologia delle domande utiliz-zate per la composizione di un questio-nario di apprendimento possono essereimpiegate per la costruzione di un que-stionario formativo.Esso viene utilizzato nel corso di unalezione o di un intervento formativo, perconsolidare le acquisizioni appena svi-luppate dai partecipanti e per segnalareal docente eventuali parti poco chiaredella sua esposizione, affinché possaritornarci. Si tratta di un questionarionon valutativo, costituito da non più disei domande relative agli argomenti trat-tati sino a quel momento, che viene con-segnato ai singoli partecipanti e compila-to in forma anonima. Successivamente ipartecipanti confronteranno in coppia lerisposte formulate, con l’obiettivo di arri-vare ad un’unica versione. Infine, viene effettuata una correzionein plenaria, che consentirà al docente diritornare su eventuali argomenti alle cuidomande i partecipanti non hanno

risposto correttamente. Il questionarioviene lasciato ai partecipanti, senzaessere ritirato dal docente. Si tratta diuno strumento molto valido sia perrompere la ‘monotonia’ della teoria,vivacizzare la lezione, coinvolgere i par-tecipanti e monitorare il processo diapprendimento.

6.1.3.4 I questionari di qualità percepita o di gradimento

Sono uno strumento che permette aipartecipanti di esprimere un giudizio sualcuni aspetti della lezione: interessedei temi affrontati, utilità degli argo-menti per la loro attività lavorativa,qualità della docenza, durata, aspettilogistici, ecc. Sono questionari anonimi, per permettereai partecipanti di esprimersi liberamente.Risultano estremamente utili agli organiz-zatori e ai docenti per conoscere il pareredell’utente, destinatario del servizio forma-tivo, e attivare eventuali interventi dimiglioramento.

7.1 Come facilitare la discussione

Lo sviluppo della discussione è condi-zione importante per il coinvolgimentodei partecipanti e fornisce al docenteimportanti segnali circa il processo diapprendimento. Non sempre essa siavvia spontaneamente, quindi il docen-te deve stimolarla e, una volta attivata,gestirla.

Di seguito alcuni suggerimenti: • facilitare l’espressione dei vari punti divista, magari chiedendo eventuali espe-rienze in merito all’argomento; • non dare subito la “versione esatta”; • dare la parola a chi lo richiede, cercandodi rispettare l’ordine di richiesta; • “zittire” chi interrompe e prevarica; • “disinnescare” polemiche e battibecchi adue protratti; • facilitare l’espressione dei più timidi

7.2 La gestione delle domande

Le domande rappresentano sempre unarisorsa per il docente, qualora l’intenzionesia quella di effettuare una lezione interat-tiva, che coinvolga i partecipanti. Le seguenti tipologie di domande richie-dono al docente specifiche modalità digestione: • Le domande “anticipatorie”• Le domande “affermazioni”

• Le domande poco comprensibili• Le domande provocatorie• Le domande di cui non si conosce

la risposta

• Le domande anticipatorie. Se la domandaanticipa un argomento che verrà trattato inseguito, è bene dare una risposta parziale erimandare a successivi approfondimenti.In questo modo non resta deluso il parte-cipante che l’aveva formulata, ma, allostesso tempo, non si esula dal discorsoprincipale.

• Le domande “affermazioni”. Alcuni par-tecipanti, invece di formulare unadomanda, effettuano ripetutamente delleaffermazioni, con l’obiettivo di mostrareagli altri la conoscenza dell’argomento,con il rischio di risultare irritanti per que-st’ultimi. In tal caso il docente, dopo avercolto e valorizzato il contributo del parte-cipante fornito con le primedomande/affermazioni, alle eventualialtre chiederà a quest’ultimo, con ildovuto garbo, “qual è la domanda?”.

• Le domande poco comprensibili. Il docen-te dirà di non aver capito completamentela domanda e chiederà al partecipante diriformularla, magari chiedendo di fare unesempio, oppure potrà chiedere aiuto alresto del gruppo, sempre nel rispetto delcontributo del singolo.

7. LA GESTIONE DEI GRUPPI IN APPRENDIMENTO

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• Le domande provocatorie. E’ opportunocercare di non cadere nel tranello, dandoluogo a sterili polemiche. Evitare, regolasempre valida, di farsi coinvolgere emoti-vamente, e dare una risposta, laddove èpossibile, concentrandosi sul contenutodella domanda e non sulla vena polemica,riprendendo subito dopo il discorso prin-cipale. Anche in questo caso il docentepotrà girare la domanda al resto dei parte-cipanti, smorzando così il potenziale pro-vocatorio della stessa.

• Le domande di cui non si conosce larisposta. Si può girare la domanda algruppo, senza cercare di dare una rispo-sta subito, in modo da generare undibattito che potrebbe fornire una chiavedi lettura della problematica sollevata.Laddove invece questo non fosse possi-bile, è bene evitare di arrampicarsi suglispecchi e riconoscere invece la proprialacuna in merito. La risposta che si puòdare in questo caso è: “al momento nonso rispondere con precisione, mi docu-mento in merito e ne riparliamo durantela prossima lezione”. Questo nel caso incui si svolgano più lezioni con lo stessogruppo; altrimenti, nel corso della stessalezione, ci si può documentare durante lapausa e riprendere successivamente ildiscorso, oppure si rinvia ad un contatto

successivo con il partecipante che ha for-mulato la domanda.

Tra gli errori più frequenti che possonoessere commessi dal docente nella gestionedelle domande si segnalano i seguenti: • un atteggiamento di sufficienza nei con-fronti del partecipante che ha formulato ladomanda, come a dire che la sua doman-da è sciocca o priva di significato. Questopuò essere determinato da un’insicurezzadi fondo da parte del docente che, nonavendo padronanza dell’argomento perpoter rispondere, preferisce sminuire ladomanda stessa; • una domanda stimola il docente a talpunto da far nascere prolungate discussionia due tra il partecipante che l’aveva formu-lata e il docente stesso. Questo comporta-mento è da evitare soprattutto perchéesclude il resto del gruppo; • evitare del tutto di rispondere, affer-mando che la domanda non è pertinenteo fuori luogo con il proprio discorso, oche implica l’ignoranza del partecipanterispetto all’argomento oggetto dellalezione. In questo modo si svaluta l’inter-vento del partecipante, inibendo anchealtri eventuali interventi.Sono tutte circostanze che raffreddano iprocessi comunicativi e ostacolano quellidi apprendimento.

7.3. La gestione delle obiezioni

Per quanto possano essere complesse dagestire, le obiezioni non vanno mai igno-rate. Attenzione ad alcuni accorgimenti.Un’obiezione o una critica rivolte da unsingolo partecipante, possono far nasce-re polemiche, discussioni o battibecchitra lo stesso partecipante e il docente,che può percepire uno scarso riconosci-mento della propria autorevolezza. Unaregola importante è quella di non farsicoinvolgere emotivamente e cercare dievitare discussioni a due, che risultereb-bero estremamente noiose per il restodei partecipanti, ostacolando l’appren-dimento.È bene invece cercare di “mettersi neipanni dell’altro”, cioè avvicinarsi psico-logicamente al partecipante, cercando dicogliere qualche elemento di concordan-za con le sue idee. In questo caso, quin-di, si parte dall’evidenziare i punti incomune, e poi si riafferma, magari conaltre parole, il proprio punto di vista.Anche in questo caso si può coinvolgerel’aula, girando al gruppo la domandaoppure chiedendo pareri in merito.

In sintesi:

• Non ignorare le obiezioni• Non cadere nella polemica• Non farsi coinvolgere emotivamente• Rispondere partendo dai punti

in comune• Coinvolgere il resto dei partecipanti

7.4 Situazioni critiche in aula

Durante l’interazione in aula con il grup-po, ci possono essere situazioni ed elemen-ti di criticità, che possono ostacolare il pro-cesso di apprendimento e che necessitanoun’adeguata gestione.

Tra questi consideriamo:

7.4.1 La gestione dei gruppi difficili7.4.2 La gestione dei partecipanti difficili

7.4.1 La gestione dei gruppi difficili

Il docente può trovarsi davanti a gruppiproblematici, che, schematicamente, pos-sono essere ricondotti a due tipologie: • il gruppo silenzioso• il gruppo polemico

7.4.1.1 Le cause dei gruppi difficili

All’origine di queste criticità ci sono diver-si elementi. Innanzitutto:La modalità di convocazione dei parteci-panti. Non sempre, infatti, si “sceglie”di partecipare ad un corso; spesso la par-tecipazione è un obbligo dettato dal-l’azienda. In questo caso, c’è il rischioche il clima d’aula risulti pesante e pocostimolante fin dall’inizio, poiché le perso-ne si sentono obbligati a stare lì, a voltesenza neanche saperne il motivo.Il messaggio implicito trasmesso con ilcorso. Ci può essere anche un atteggiamen-to di contrasto dei partecipanti, dovutoalle riserve che nutrono nei confronti del

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ERNI DI ZOOPROFILASSILa formazione d’aula

corso stesso. Possono pensare, ad es., chel’obbligo a frequentare il corso sia dovutoalle loro carenze su alcune tematiche ine-renti il lavoro; in questo modo si possonosentire giudicati.Le persone in aula. Nel caso in cui i parte-cipanti provengano dalla stessa azienda cipuò essere un altro elemento di disturbodel clima: ad es., la presenza in aula di undirigente. In questo caso i partecipantipotranno sentirsi costantemente sottoosservazione, con una conseguente scarsaspontaneità, o, al contrario, potrannointervenire di continuo per dimostrare aldirigente la propria competenza.Quest’ultimo, a sua volta, potrebbeanch’esso intervenire di frequente perdimostrare ai suoi collaboratori la suaposizione di superiorità gerarchica anchenel contesto formativo. In altri casi puòessere il dirigente stesso che fa da docente,con analoghe conseguenze. Il clima generale dell’organizzazione. Nelcaso di corsi o interventi formativi che sieffettuano nell’ambito di un’unica azien-da, il gruppo è un sottoinsieme rappre-sentativo di quest’ultima. Quindi, i pro-blemi aziendali di tipo organizzativo ointerpersonale verranno portati in aula,con conseguenze nella didattica.Consideriamo, ad es., una lezione o unintervento effettuato nel corso di un pro-

cesso di ristrutturazione organizzativa diun’azienda, o durante un momento diforte conflittualità sindacale. Il comportamento del docente. Il peso mag-giore, però, nel determinare un climad’aula ostile, è dato dal comportamentodel docente. Alcuni atteggiamenti sonoassolutamente da evitare, ad esempio:• non esprimere giudizi di valore sulle per-sone. Si può essere più o meno d’accordocon un’idea, ma mai giudicare chi ha for-mulato quell’idea. Questo comporterebbedifesa e chiusura nei partecipanti; • evitare troppi formalismi che creanobarriere. Si interagisce con adulti e dun-que è bene, per quanto possibile, rappor-tarsi con essi alla pari e creare un climaamichevole; • i contenuti proposti e i metodi didatticiutilizzati non devono sembrare dei dogmiimposti dall’alto. È bene sempre proporree non imporre.Qualunque siano le cause dei gruppi diffi-cili, è comunque necessario agire con unacerta immediatezza al momento in cui ci sitrova di fronte ad essi.

7.4.1.2 Il gruppo silenzioso

Si tratta del caso in cui il gruppo mostrapassività, ci sono scarsi interventi e non sicrea interazione tra docente e partecipanti.

Potrebbe dipendere da un momento distanchezza, in questo caso si può risolverela situazione dando una pausa e, duranteessa, parlare con qualcuno dei partecipan-ti per capire “il problema”.Altri metodi risultano più incisivi. Adesempio, si possono lanciare domande-stimolo al gruppo e sollecitare i parteci-panti a dare qualche risposta o pareri inmerito o ad esporre le proprie esperienzein merito. Un altro metodo può essere quello di pro-porre un quiz nozionistico. In questo casosi interrompe la lezione teorica e si distri-buisce un questionario, formativo e nonvalutativo, sui temi esposti fino a quelmomento. Oppure, qualora si sia all’iniziodella lezione, il questionario può interessa-re aspetti che probabilmente rientrano nelbagaglio culturale dei partecipanti.Un’alternativa di maggior impatto è quelladi proporre un breve lavoro di gruppo. Ipartecipanti vengono suddivisi in sotto-gruppi e lavorano, ad esempio, alla solu-zione di un caso poco complesso. In que-sto modo si inverte la dinamica che da pas-siva diventa attiva.

7.4.1.3 Il gruppo polemico o aggressivo

L’ostilità dei partecipanti può risultare evi-dente da alcuni elementi della loro comu-nicazione non verbale: posture chiuse,sguardi assenti o visi accigliati, ecc.A questo si aggiungono frequenti battuteo interruzioni con chiaro significato pole-mico o tese a sminuire le tesi del relatore.Possono esserci, inoltre, domande tra-

bocchetto con l’intento di mettere in diffi-coltà il docente.In genere, la causa di tali atteggiamenti èda ricercare non tanto nel docente, quan-to nelle problematiche esistenti tra i par-tecipanti e la propria azienda o nelle riser-ve che essi nutrono nei confronti dellaformazione in generale.Che fare?Innanzitutto cercare di non cadere nel vor-tice della polemica e rispondere invece alledomande e alle sollecitazioni in manierapiù neutrale possibile. Favorire il dialogosui contenuti proposti, girando sempre ledomande al gruppo ed evitando discussio-ni a due. Non dare mai giudizi di valore nésulle singole persone, né sull’azienda;quindi, evitare di schierarsi.Se la situazione diventa critica, con uno opiù partecipanti particolarmente polemicie di disturbo, si può proporre una pausadurante la quale si chiarisce la situazionecon i diretti interessati.

Qualora la causa risieda in situazioniesterne all’intervento formativo, il docen-te può richiedere ai partecipanti di espor-re sinteticamente il problema, ascoltareattentamente, non schierarsi, e, dopo averaffermato la propria impossibilità di agiresu quella situazione, proporre ai parteci-panti di utilizzare al meglio il tempodisponibile per entrare nel merito degliargomenti del corso. In tal caso i parteci-panti sentiranno di essere ascoltati sulproblema che in quel momento li affliggepiù di altri e saranno più disponibili adinteragire con il docente.

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7.4.3 La gestione dei partecipanti difficili

Ci sono alcune tipologie di partecipantiche, con il loro comportamento, possonoessere di disturbo per l’intero gruppo,ostacolando il processo di apprendimento.

Qualche esempio:

• Il domandologo. C’è chi ama fare conti-nuamente domande, anche su aspettisemplici o secondari. Le domande, seben gestite, possono essere di aiuto allalezione, soprattutto perché interrompo-no la monotonia dell’esposizione. Se ledomande fossero eccessive e il resto delgruppo sembrasse infastidito, allora sipotrebbe invitare il “domandologo” aporre le proprie domande in separatasede, dove saranno possibili degli appro-fondimenti.

• Il logorroico. È quello che ama fareinterventi particolarmente prolissi. Lelunghe divagazioni, però, possonoessere noiose per il resto del gruppo. Inquesti casi si chiede, con garbo, di esse-re più concisi nei propri interventi. Se ipartecipanti si conoscono tra loro, nelcaso ad esempio di colleghi di lavoro, dicerto ci sarà un clima d’aula più infor-male che permetterà ai partecipanti

stessi di suggerire al proprio collega,anche scherzosamente, una maggioresintesi.

• Il “saccente”. Può capitare che il grup-po non sia del tutto omogeneo e presen-ti partecipanti neofiti della materia, insie-me a chi già la conosce. In questo casopuò succedere che “l’esperto” si senta indiritto di intervenire per fornire spiega-zioni aggiuntive anche quando non sonorichieste. Il rischio può essere che ildocente si senta spodestato e cerchi didimostrare che ne sa di più del parteci-pante. Diventa così una sorta di lotta perdimostrare la propria competenza. Ilcomportamento migliore invece, è quellodi sfruttare positivamente i contributiforniti dal singolo, senza entrare in com-petizione con lui.

• Il mormoratore. E’ colui che parla con-tinuamente con i vicini, creando quelbrusio che infastidisce gli altri. Il docen-te può interrompere la trattazione, sino ache il partecipante termini di parlare: intal caso quest’ultimo si renderà contodella propria azione di disturbo.Oppure, si potrà chiedere al mormorato-re di esporre anche agli altri ciò che stadicendo al vicino, in quanto potrebbeinteressare tutti.

• Il brontolone, il criticone. Sono i parteci-panti polemici o sempre pronti a criticare.Con loro l’atteggiamento migliore è quelloproposto in precedenza: non cadere nellapolemica personale, girare domande e cri-tiche all’aula per chiederne il parere,

rispondere ai contenuti e non alla polemi-ca in sé, ecc.

Per quanto riguarda l’uso dei telefonini, èconsigliabile richiederne lo spegnimentosin dall’inizio della lezione.

Bibliografia

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Franco Angeli, 20034. Maurizio Castagna, Progettare la formazione, Guida metodologica

per la progettazione del lavoro in aula, Franco Angeli, 20035. Crast M.L., Oliviero N. Parlare, scrivere, comunicare, Il Sole 24 ore, 20026. Gordon Bell, Come parlare in pubblico…anche per lavoro,

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