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Luciano Rondanini La valutazione degli alunni con BES Il nuovo quadro normativo e strumenti operativi

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Luciano Rondanini

La valutazione degli alunni con BES Il nuovo quadro normativo e strumenti operativi

La valutazione degli apprendimenti rappresenta uno dei terreni più complessi per la progettualità delle istituzioni scolastiche e per gli interventi dei docenti. È un processo che, in ambito educativo, oc-cupa tutti i momenti della vita dell’alunno, in classe ma anche al di fuori dell’aula. A partire dai principi contenuti nelle Indicazioni nazionali per il curri-colo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione del 2012, nel presente testo vengono sottolineate alcune finalità che determinano corrispondenti vincoli di operatività per un’organizzazione inclusiva delle scuole e per le attività dei docenti.Una buona preparazione e un’effettiva corresponsabilità del gruppo docente costituiscono la conditio sine qua non della qualità inclusiva delle classi in cui sono inseriti alunni con disabilità, DSA o BES. Nel presente testo le problematiche dell’inclusività vengono affrontate in relazione alla riflessione generale che deve guidare il lavoro delle istituzioni scolastiche, ma anche in chiave operativa, per consentire ai dirigenti e agli insegnanti di agire concretamente ed efficacemente nei differenti livelli di istruzione del primo e del secondo ciclo.

Luciano RondaniniLuciano Rondanini è stato dirigente tecnico del MIUR in servizio presso la Direzione regionale dell’Emilia-Romagna. Autore di numerose opere, per le Edizioni Erickson ha pubblicato, insieme a Nunziante Capaldo: Gestire e organizzare la scuola dell’autonomia (2002); La scuola italiana al bivio (2002); La scuola dell’infanzia nella Riforma (2004); La scuola primaria nella Riforma (2004); Norme e documenti della Riforma (2004), Dirigere scuole (2005), Ripartire dalla scuola (2005), Governare l’istituzione scolastica (2007), La scuola dei piccoli (2008), Manuale per dirigenti scolastici (2011), Il sistema italiano di istruzione e formazione (2012), Dirigere domani (2015).

€ 21,50

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Luciano Rondanini

La valutazione degli alunni con BES Il nuovo quadro normativo e strumenti operativi

La valutazione degli apprendimenti rappresenta uno dei terreni più complessi per la progettualità delle istituzioni scolastiche e per gli interventi dei docenti. È un processo che, in ambito educativo, oc-cupa tutti i momenti della vita dell’alunno, in classe ma anche al di fuori dell’aula. A partire dai principi contenuti nelle Indicazioni nazionali per il curri-colo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione del 2012, nel presente testo vengono sottolineate alcune finalità che determinano corrispondenti vincoli di operatività per un’organizzazione inclusiva delle scuole e per le attività dei docenti.Una buona preparazione e un’effettiva corresponsabilità del gruppo docente costituiscono la conditio sine qua non della qualità inclusiva delle classi in cui sono inseriti alunni con disabilità, DSA o BES. Nel presente testo le problematiche dell’inclusività vengono affrontate in relazione alla riflessione generale che deve guidare il lavoro delle istituzioni scolastiche, ma anche in chiave operativa, per consentire ai dirigenti e agli insegnanti di agire concretamente ed efficacemente nei differenti livelli di istruzione del primo e del secondo ciclo.

Luciano RondaniniLuciano Rondanini è stato dirigente tecnico del MIUR in servizio presso la Direzione regionale dell’Emilia-Romagna. Autore di numerose opere, per le Edizioni Erickson ha pubblicato, insieme a Nunziante Capaldo: Gestire e organizzare la scuola dell’autonomia (2002); La scuola italiana al bivio (2002); La scuola dell’infanzia nella Riforma (2004); La scuola primaria nella Riforma (2004); Norme e documenti della Riforma (2004), Dirigere scuole (2005), Ripartire dalla scuola (2005), Governare l’istituzione scolastica (2007), La scuola dei piccoli (2008), Manuale per dirigenti scolastici (2011), Il sistema italiano di istruzione e formazione (2012), Dirigere domani (2015).

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I n d i c e

9 Introduzione

13 CAP. 1 La valutazione degli alunni con bisogni educativi speciali

23 CAP. 2 Valutare bene conviene

41 CAP. 3 Funzioni e forme della valutazione

55 CAP. 4 La valutazione degli alunni disabili e il progetto educativo

71 CAP. 5 Forme e strumenti della valutazione personalizzata

101 CAP. 6 Il Piano inclusivo della classe

119 CAP. 7 La legge n. 107/2015: nuovi scenari e vecchi problemi

141 Bibliografia

147 APPENDICE A Esempi di prove equipollenti

169 APPENDICE B Commenti al quadro normativo

Introduzione

La valutazione degli apprendimenti rappresenta uno dei terreni più com-plessi sia per la progettualità delle istituzioni scolastiche sia per gli interventi dei docenti. Un suo corretto uso, infatti, richiama altre importanti funzioni: accoglienza, osservazione, verifica, misurazione, interpretazione…

Come è noto, valutare è un processo che appartiene a ogni rappresenta-zione spontanea e intenzionale che ognuno di noi compie quotidianamente e, in ambito educativo, occupa tutti i momenti della vita dell’alunno, in classe ma anche al di fuori dell’aula.

A scuola la valutazione non è altro che un elemento dell’attività didattica ordinaria e si pone come una dimensione specifica dell’apprendere; come sottolineano Franca Da Re e Lucio Guasti, «il valutare è essenziale per il processo di apprendimento e si configura come componente strutturale dell’insegnamento».1

Nelle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione (MIUR, 2012), si afferma che

agli insegnanti competono la responsabilità della valutazione e la cura della documentazione. […] La valutazione precede, accompagna e segue i

1 La citazione è tratta da Da Re F. e Guasti L. (2016), La valutazione come processo. In D. Ianes, S. Cramerotti, N. Capaldo e L. Rondanini (a cura di), Insegnare domani nella scuola primaria, Trento, Erickson, 2016.

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percorsi curricolari: attiva le azioni da intraprendere, regola quelle avviate, promuove il bilancio critico su quelle condotte a termine.Assume una preminente funzione formativa, di accompagnamento dei processi di apprendimento e di stimolo al miglioramento continuo.

I principi contenuti nelle Indicazioni del 2012 possono essere estesi anche alle scuole del secondo ciclo d’istruzione, in quanto costituiscono la cornice entro cui tutti gli insegnanti sono tenuti a orientare i loro comportamenti professionali.

In particolare, i tre tempi della valutazione didattica — «precede, ac-compagna e segue» — risultano indicativi del lavoro che tutti i docenti dei team (scuola dell’infanzia e primaria) e dei consigli di classe (secondaria di 1° e di 2° grado) devono sviluppare per superare un generico approccio al tema, e «guadagnare», invece, un nuovo orizzonte di sviluppo della professione, quello della valutazione personalizzata.

Tale superamento presuppone un’effettiva corresponsabilità del gruppo docente, che costituisce la conditio sine qua non della qualità inclusiva delle classi in cui sono inseriti alunni con disabilità, DSA o bisogni educativi speciali.

Nel presente testo vengono sottolineate alcune finalità che determinano corrispondenti vincoli di operatività sia per un’organizzazione inclusiva delle scuole sia per le attività dei docenti.

Tra queste finalità, nel libro si sottolinea che:1. la valutazione fa parte del processo decisionale della scuola e quindi non deve

essere percepita come un esercizio a sé stante, ma come componente strate-gica dell’erogazione del servizio educativo. Pertanto, il processo valutativo non rappresenta un mero esercizio aggiuntivo alle incombenze della scuola, ma una forma di ascolto e di risposta alle esigenze dei docenti e degli alunni;

2. tra la valutazione degli alunni e i processi di inclusione esiste una relazione diretta. Valutare significa accertare, misurare, rendicontare, ma anche — e soprattutto — aiutare, educare, accompagnare, sostenere, valorizzare. Valutazione e valorizzazione rappresentano due facce della stessa medaglia (non è un caso che condividano la stessa derivazione etimologica);

3. tra valutazione ed esiti conseguiti dagli studenti c’è un nesso molto più stretto di quanto non sembri in apparenza. Una buona preparazione dei docenti e una altrettanto efficace organizzazione della scuola costituiscono fattori straordinariamente favorevoli all’apprendimento degli alunni. Questa affer-mazione vale per tutti gli allievi, a maggior ragione per coloro che vivono in situazione di handicap o di altre difficoltà e fa da pendant con quanto sottolineato al punto 2.

Introduzione 11

Da queste tre regole discendono alcuni irrinunciabili obiettivi operativi che facilitano l’acquisizione di una valutazione personalizzata.

Una scuola che intenda rafforzare la propria forma inclusiva non può fare a meno di mettere nella propria agenda i seguenti cambiamenti:– la conoscenza in chiave pedagogica della normativa, soprattutto in un mo-

mento di transizione come quello attuale, dovuto all’attuazione della legge n. 107/2015 (si veda applicazione dei decreti legislativi n. 62 e n. 66 del 16 maggio 2017);

– la corresponsabilità del team docente (gruppo degli insegnanti, consiglio di classe, ecc.);

– la classe, intesa come comunità di apprendimento e come gruppo capace di realizzare pienamente forme di sostegno reciproco;

– l’importanza della valutazione diagnostica (osservazione iniziale) da parte dell’intero gruppo docente, momento di fondamentale importanza per una condivisa stesura ed elaborazione del PEI e del PDP;

– l’ineludibilità di un’efficace collaborazione scuola-famiglia;– l’integrazione tra gli interventi posti in essere dalla scuola e le opportunità

offerte dalla più ampia comunità sociale.

Nel presente testo le problematiche sopra richiamate vengono affrontate sia in relazione alla riflessione generale che deve guidare il lavoro delle istituzioni scolastiche, sia in chiave operativa per consentire ai dirigenti e agli insegnanti di agire concretamente ed efficacemente nei differenti livelli di istruzione del primo e del secondo ciclo.

Infatti, la riuscita di un progetto educativo dipende dalla professionalità e dalla disponibilità educativa degli adulti, ostinati, creativi, amorevoli, instan-cabili; persone che sanno prendersi cura di se stessi, ma soprattutto che sanno porsi verso gli altri con uno sguardo sottile e accogliere ogni alunno nella sua unicità, aprendosi all’infinita dignità di ciascuno.

Per fare questo, occorre progettare interventi incentrati sulla responsa-bilità diretta dei docenti e meno su programmazioni in cui si chiedono meri adempimenti esecutivi.

Un orizzonte entro il quale tessere la tela dell’inclusione è quello della comprensione reciproca tra le istituzioni (scuola, enti locali, ASL, ecc.) e gli attori della società civile (famiglie, associazioni, gruppi, movimenti, volontariato, ecc.). Per evitare resistenze e diffidenze, occorre che entrambi i mondi con-dividano una comune progettualità e una «diffusa convivialità relazionale».

La valutazione degli alunni con bisogni educativi speciali

Ebbi l’intuizione che la questione dei deficienti fosse prevalentemente pedagogica, anziché medica.

Maria Montessori

Un po’ di chiarezza

Il tema dell’integrazione scolastica nel nostro Paese ha riguardato princi-palmente le problematiche concernenti gli alunni con disabilità. Solo a partire dai primi anni del Duemila, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) ha preso atto che era necessario pervenire a un’idea più ampia di inclusione.

La direttiva del MIUR del 27 dicembre 2012, Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica, rappresenta una tappa particolarmente significativa nell’estensione degli alunni che presentano bisogni educativi speciali (BES), riproponendo la specificità del modello educativo italiano che, a differenza di quanto avviene negli altri sistemi d’istruzione europei, include tutti gli alunni nelle sezioni e classi comuni della scuola pubblica.

Questa scelta rivoluzionaria, contenuta nella legge n. 118, votata dal Par-lamento italiano nel lontano 1971, viene ufficializzata con la legge n. 517 del

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1977, che ha rappresentato e rappresenta la riforma strutturale più importante della scuola italiana.

Forte di questa esperienza, il nostro Paese è ora in grado, passati più di trent’anni dalla legge n. 517/1977 che diede avvio all’integrazione scolastica, di considerare le criticità emerse e di valutare, con maggiore cognizione, la necessità di ripensare alcuni aspetti dell’intero sistema. (Direttiva del 27 dicembre 2012)

La direttiva propone una visione allargata di inclusione, riconfermando, purtroppo, una concezione essenzialmente medica di «bisogno educativo speciale».

Come sottolinea Dario Ianes,

questo ampliamento del campo si fonda culturalmente su una conce-zione antropologica patologizzante, su un modello medico della salute che individua e certifica clinicamente disfunzioni, che si trasformano in una evidente «proprietà privata» del singolo sfortunato alunno. (Ianes, 2016)

Nella direttiva del 27 dicembre 2012, gli alunni con BES vengono distinti in tre «macrocategorie»:– della disabilità (circa il 2,5% del totale degli studenti);– dei disturbi evolutivi specifici, che comprende prevalentemente gli alunni con

disturbi specifici di apprendimento (DSA), che rappresentano circa il 4-5% della popolazione scolastica totale;

– dello svantaggio socioeconomico, linguistico, culturale (circa il 15% del totale degli studenti). Si tratta degli alunni BES in senso stretto.

Quest’ultima «categoria» non è riconducibile a una tipologia clinica e quindi non è legata, come per gli alunni con disabilità e con DSA, a una valutazione clinica.

Sono BES tutte quelle situazioni in cui qualsiasi combinazione di fat-tori biostrutturali, psicologici, sociali, ambientali crea un funzionamento umano problematico. Alcune di queste sono stabili, altre transitorie e la comprensione della reale situazione di funzionamento viene fatta indipen-dentemente dalle diagnosi e dalle eziologie. (Ianes, 2014)

In ambito scolastico, pertanto, possiamo distinguere bisogni:– comuni, che fanno riferimento a caratteristiche possedute da tutti;– specifici, che riguardano aspetti condivisi da alcuni alunni;

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– individuali, che sono riconducibili esclusivamente ad alcuni allievi e sono differenti da tutti gli altri. (Ianes et al., 2016)

La direttiva sopra menzionata evidenzia un problema strutturale del nostro sistema d’istruzione ed esplicita un fenomeno che coinvolge in misura crescente fasce sempre più consistenti di alunni.

Il tema degli alunni con bisogni educativi speciali viene affrontato dall’U-NESCO nel 1997, tenendo conto delle difficoltà legate al rendimento scolastico degli alunni che vanno male a scuola (failing) per una molteplicità di ragioni che impediscono un progresso ottimale negli apprendimenti di base.

L’UNESCO avvia un processo di revisione che nell’ultimo quindicennio favorirà il passaggio dal concetto tradizionale di «disabilità» a quello di «bi-sogno educativo speciale», inteso come una difficoltà evolutiva causata da un funzionamento problematico per il soggetto, riconducibile a:– un danno (disturbo emozionale, del comportamento, forme di autolesioni-

smo, ecc.);– un ostacolo (difficoltà di linguaggio, disturbi dell’apprendimento, ecc.);– uno stigma sociale (l’immagine che il bambino ha di sé: scarsa autostima,

bassa fiducia, crisi oppositive, ecc.).

Inserimento, integrazione, inclusione

Dal 1971 a oggi, la cultura dell’integrazione scolastica degli alunni in situazione di handicap e, dagli inizi del Duemila, dei DSA e dei BES ha cono-sciuto un aggiornamento anche del lessico pedagogico. In particolare, oggi si insiste sul costrutto di inclusione, che però deve essere rapportato al significato di termini più frequentemente utilizzati: inserimento e integrazione.

L’inserimento indica la presenza fisica dei ragazzi disabili nella scuola e nelle classi frequentate da tutti gli altri. Come accennato nel precedente paragrafo, il primo provvedimento che ha previsto il superamento dell’isti-tuzionalizzazione di questa «tipologia» di persone è stata la legge n. 118 del 1971, che ha sancito il principio della coeducazione degli alunni disabili (nella legge si parlava di «invalidi civili»). È però con la legge n. 517 del 1977 che viene avviato da parte del Ministero della Pubblica Istruzione l’effettivo inserimento degli alunni disabili nella scuola dell’obbligo (ele-mentare e media).

L’integrazione presuppone la fase dell’inserimento, anche se investe un livello più avanzato di responsabilità, in quanto interessa le dinamiche di adattamento del singolo con le altre persone e i contesti relazionali che si

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determinano nelle sezioni della scuola dell’infanzia e nelle classi della scuola primaria e secondaria di 1° e 2° grado.

La qualità dell’integrazione scolastica si fonda su una significativa sintonia tra l’alunno con disabilità e i compagni, tra la classe e il gruppo insegnante; si determinano in tal modo le condizioni per un’effettiva innovazione didattica del contesto di apprendimento.

L’inclusione scolastica costituisce un’ulteriore sfida educativa per la scuola. Infatti, la «presa in carico» delle fasce più deboli della popolazione presuppone l’integrazione di tutti i contesti, istituzionali e non, che connotano la qualità dei servizi di una comunità civile. Coinvolge il progetto di vita del bambino e del giovane con gravi problemi e mette a nudo la capacità dei vari modi di esprimere le peculiarità organizzative di un effettivo «sistema curante».

Nel documento elaborato nel 2002 dalla World Health Organization, Innovative Care for Chronic Condition (ICCC), che fa propri i principi dell’ap-proccio dell’ICF (OMS, 2001) e della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità delle Nazioni Unite del 2006, si sottolinea che:

la disabilità rappresenta un rapporto sociale che dipende non solo dalle condizioni di salute di una persona, ma anche dalle condizioni ambientali e sociali in cui questa si trova. La disabilità da elemento soggettivo diventa quindi effetto di un particolare contesto. La Convenzione afferma che più che riabilitare le persone, bisogna riabilitare la società ad accogliere le persone nelle loro caratteristiche. (WHO, 2002)

L’obiettivo è quello di promuovere le condizioni di una scuola realmente inclusiva, partendo dagli ambienti in cui le relazioni si sviluppano «faccia a faccia» nella sezione, nella classe, in famiglia, fino a raggiungere i macrosi-stemi di vita e di lavoro (la comunità territoriale, i servizi sanitari, il mondo imprenditoriale, ecc.).

Valutazione come espressione di scelte condivise

Il tema dell’inclusione scolastica degli alunni con bisogni educativi speciali incide profondamente sugli orientamenti valutativi dei docenti. La sfida più impegnativa per gli insegnanti è costituita dal passaggio da una valutazione standardizzata a un approccio valutativo personalizzato. Tale cambio presuppone mutamenti significativi nella gestione della classe, dei consigli di classe, dei comportamenti professionali dei e tra i docenti, della comunità scolastica; si tratta di costruire un’intensa azione formativa, in parte

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promossa nel Piano per la formazione dei docenti 2016-2019 del dicembre 2016 (Nota del MIUR dell’1.12.2016, n. 3373 di trasmissione del DM del 19.10.2016, n. 797).

PIANO PER LA FORMAZIONE DEI DOCENTI 2016-2019 (MIUR, 2016)

«Un aspetto chiave è inoltre quello della «presa in carico» dell’alunno, che deve essere realizzato da tutta la «comunità educante», evitando processi di delega al solo insegnante di sostegno. […] il dirigente scolastico, nella sua funzione di promozione dei diritti costituzionalmente tutelati, ha il compito di garantire sul piano organizzativo e amministrativo la qualità dell’integrazione di tutti gli studenti.»

La valutazione didattica non è una funzione a sé stante ma coinvolge tutti i momenti del processo di insegnamento-apprendimento e dell’erogazione dell’offerta formativa dell’istituzione scolastica.

In particolare, la costruzione di una effettiva corresponsabilità del gruppo docente costituisce la conditio sine qua non della qualità organizzativa delle classi in cui sono inseriti alunni con disabilità, DSA o bisogni educativi speciali.

Gli insegnanti, organizzati come gruppo professionale, rappresentano la vera forza di un modello inclusivo. In relazione agli interventi dei docenti, il fattore trainante di una buona qualità dell’inclusione è senz’altro rappresentato dal livello di collegialità del team. Tale indice di collaborazione è espressione di un gruppo maturo, autentico volano di comunità di buone pratiche.

Un gruppo di persone adulte raggiunge la maturità professionale quando ciascun componente:– esprime il proprio punto di vista senza alcuna soggezione o timore nei con-

fronti dei colleghi;– sa fare sintesi delle differenti posizioni espresse in vista del conseguimento

di obiettivi condivisi;– gestisce i tempi degli interventi prestabiliti con tempestività, senza tuttavia

bruciare le tappe;– sa valutare le criticità che inevitabilmente emergono, intervenendo autore-

volmente e assumendo posizioni condivise.

Peraltro, queste circostanze sono richieste agli insegnanti nella normale gestione dei problemi che gli alunni vivono quotidianamente nella loro espe-rienza scolastica.

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A maggior ragione, non si può prescindere dalla condizione di una reale dimensione collegiale dei docenti quando essi sono chiamati a progettare, organizzare e valutare il progetto personalizzato di uno studente con bisogni educativi speciali.

Occorre far sì che la «normalità» con cui si gestisce la classe si arricchisca di repertori educativi e didattici «speciali». Dario Ianes parla in questo senso di «normale specialità». Nel caso degli studenti con BES, infatti, i normali bisogni educativi di tutti (di conoscenze, competenze, abilità, appartenenza, accoglienza, accettazione, fiducia, ecc.) diventano più complessi a causa di un problematico funzionamento dei meccanismi mentali o della presenza di ostacoli di natura emotiva, affettiva o sociale.

In quest’ottica, la valutazione riveste una funzione molto importante nella promozione di una scuola «speciale» nel suo funzionamento ordinario. Ad esempio, «l’uso sistematico della valutazione in itinere dei progressi degli allievi genera incrementi significativi nelle prestazioni finali e in prove sommative esterne; tali incrementi risultano più consistenti per gli allievi più deboli» (Weeden, Winter e Broadfoot, 2009).

Occorre, quindi, che i docenti sappiano rendere speciale la normale attività didattica, cioè la dimensione ordinaria del «far scuola». È bene sottolineare che tale condizione va a vantaggio di tutti gli studenti e non solo di coloro che incontrano specifiche difficoltà.

Nella nota MIUR sopra richiamata, si insiste sul fatto che la promozione di una scuola inclusiva presuppone la capacità di intervento di tutta la comunità educante, chiamata a promuovere una didattica attenta ai bisogni di ciascuno e a perseguire obiettivi comuni, nella prospettiva della personalizzazione degli apprendimenti e della valorizzazione delle diversità.

Lo strumento della qualità «dichiarata» è rappresentato dal Piano per l’inclusione (PI), che non dovrà essere inteso come mero adempimento buro-cratico, bensì come un dispositivo finalizzato ad accrescere la consapevolezza di tutti gli attori chiamati in causa.

Nel decreto legislativo, attuativo della legge n. 107/2015, approvato dal Consiglio dei Ministri il 7 aprile 2017 e pubblicato sulla GU il 16 maggio 2017 con il titolo Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, n. 66, si prevede che il PI venga definito ed elaborato nell’ambito del Piano triennale dell’offerta formativa (PTOF).

La sua condivisione rappresenta, pertanto, uno snodo molto importante per lo sviluppo professionale degli insegnanti, a condizione che esso costitui-sca un’occasione in vista di un’effettiva crescita di una cultura dell’inclusione e della valutazione nelle singole scuole. Infatti, nel medesimo decreto (art. 4)

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si afferma che «la valutazione della qualità dell’inclusione scolastica è parte integrante del procedimento di valutazione delle istituzioni scolastiche previsto dall’art. 6 del DPR 28 marzo 2013, n. 80».

Si ricorda che con l’approvazione del DPR n. 80/2013 il MIUR ha istituito nel nostro Paese il Sistema nazionale di valutazione (SNV).

La valutazione personalizzata

Come già sottolineato, l’elemento che accomuna l’educazione degli alunni con disabilità, DSA e BES è la personalizzazione degli interventi progettuali.

Tale principio mira a delineare percorsi differenziati in base alle caratte-ristiche cognitive di ciascun soggetto (stili cognitivi, di apprendimento, aree di prevalenza, differenze personologiche, ecc.).

L’individualizzazione sposta il traguardo sugli obiettivi comuni che tutti devo-no conseguire, assicurando a ogni componente del gruppo l’uguaglianza delle op-portunità (di accesso e di successo) in vista dell’acquisizione di conoscenze e saperi ritenuti irrinunciabili rispetto all’esercizio di una cittadinanza attiva e responsabile e al conseguimento di obiettivi comuni (prevale il principio di uguaglianza delle opportunità). L’individualizzazione è un trattamento differenziato degli allievi che occorre «per soddisfare le necessità di formazione di ciascuno, in vista del raggiungimento di un risultato definito su un criterio collettivo» (Vertecchi, 1988).

La personalizzazione, invece, è finalizzata a delineare percorsi differenziati a partire dalla esigenze e dalle caratteristiche di ogni studente; nella personaliz-zazione, le modalità e gli strumenti impiegati dai docenti mirano a valorizzare le specificità della persona, particolari stili cognitivi e le misure di facilitazione rispetto a obiettive difficoltà (prevale il principio della valorizzazione della diversità di ciascuno), come si evince dalla tabella 1.1.

TABELLA 1.1Strategie didattiche

Individualizzate Personalizzate

L’insegnante assicura a tutti gli alunni della classe l’acquisizione di saperi irrinunciabili, adottando un ricco repertorio di metodo-logie didattiche (lezione dialogata, lavoro di gruppo, di coppia, uso delle TIC, peer tutoring, ecc.), in modo che ognuno possa esprimere il meglio di sé in relazione agli obiettivi che la classe persegue.

L’insegnante sostiene l’apprendimento di determinati alunni in un contesto di grup-po, di classe, di coppia, adottando misure e strumenti tesi a favorire l’acquisizione di conoscenze, abilità e competenze del singolo allievo, valorizzandone attitudini e caratteristiche, con l’obiettivo di rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla costru-zione dei saperi.

20 La valutazione degli alunni con BES

Il principio della personalizzazione ha ricadute immediate sulla funzione della valutazione da parte dei docenti; esso viene ripreso anche nelle Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri (MIUR, 2014) in cui si sottolinea la valenza formativa della valutazione medesima, sollecitando gli insegnanti ad assecondare «una valutazione che tenga conto, per quanto possibile, della loro storia precedente, degli esiti raggiunti, delle caratteristiche delle scuole frequentate, delle abilità e competenze essenziali acquisite. Si fa in questo caso riferimento soprattutto agli alunni neo-arrivati ultratredicenni, provenienti da paesi di lingua non latina».

Dunque, nella valutazione degli apprendimenti degli studenti con cittadi-nanza non italiana, occorre tener presente le particolari situazioni del contesto culturale di provenienza e prevedere, come sottolineato nel testo delle Linee guida, una modulazione didattica adeguata alla complessa esperienza umana di questa particolare tipologia di studenti.

La costruzione dei requisiti di una scuola inclusiva presuppone

un lavoro d’aula sempre più organizzato come ambiente di apprendimento agganciato alle modalità cognitive degli studenti. […] L’insegnante non può continuare ad essere semplicemente «colui che insegna» ma deve trasformarsi in colui che facilita, aiuta, sostiene, provoca e semplifica il funzionamento dei processi messi in atto dal soggetto che impara. (Fer-raboschi, 2014)

Tutto questo contribuisce a rendere l’ambiente del gruppo-classe molto «liquido»,

dove convivono le diversità più disparate, assolutamente legittime e ri-conosciute ma la cui gestione aumenta i livelli di complessità. […] Ciò che diventa essenziale per ogni soggetto che apprende è la possibilità di un aggancio con quanto avviene nella classe, con la proposta del docente, con la curiosità per l’argomento, con i problemi che vengono posti o che nascono via via durante il percorso. (Ferraboschi, 2014)

Per gestire classi composte da alunni multiproblematici, i docenti do-vranno innovare le strategie didattiche e introdurre forme d’insegnamento improntate alla partecipazione, alla cooperazione e all’apprendimento reci-proco da parte degli stessi allievi. D’altronde, l’apprendimento non può essere disgiunto dalla libertà di colui che impara. Non si può educare qualcuno senza tenere conto della sua condizione di persona libera: ogni reale avanzamento coinvolge tutta la personalità dell’alunno, non soltanto la dimensione cognitiva. La personalizzazione dell’insegnamento chiede ai docenti qualità educative già

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ampiamente presenti in molte classi della nostra scuola: rassicurare l’alunno durante la prova, far sì che non sia penalizzato dagli ostacoli derivanti dal suo disturbo (troppo testo da leggere, troppi calcoli da fare, ecc.), dargli più tempo per lo svolgimento del compito, costruire attorno a lui un contesto favorevole, incentivare l’educazione tra pari, sono tutti aiuti di enorme rilevanza che de-terminano le condizioni di un’effettiva inclusione.

La valutazione personalizzata, intesa innanzitutto come sostegno all’ap-prendimento degli studenti, rappresenta il nuovo e più importante orizzonte di studio, di ricerca e di lavoro dei docenti italiani.

L’inclusione scolastica nel decreto applicativo della legge n. 107/2015

Tra le deleghe al Governo contenute nella legge del 13 luglio 2015, n. 107, Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti, due interessano le tematiche affrontate nel presente testo:1. la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità;2. l’adeguamento della normativa in materia di valutazione e certificazione

delle competenze degli studenti, nonché degli esami di Stato, anche in raccordo con la normativa vigente in materia di certificazione delle com-petenze.

Queste deleghe sono state pubblicate il 16 maggio 2017 come decreti legislativi sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, rispettivamente con i numeri 66 (inclusione scolastica) e 62 (valutazione e certificazione delle competenze).

Il D.lgs. n. 66/2017 si colloca in una cornice di continuità e di un processo irreversibile, che richiede però ulteriori cambiamenti per l’affermazione di una qualità realmente inclusiva delle nostre scuole.

L’obiettivo fondamentale del provvedimento è quello di garantire una scuola sempre più accogliente, anche e soprattutto attraverso la formazione in servizio di tutte le componenti del personale scolastico. In particolare, nell’art. 1, comma 2, del decreto viene accolta l’indicazione delle associazioni e valorizzato il ruolo della famiglia. Infatti, in esso si afferma che si intende «promuovere la partecipazione della famiglia, nonché delle associazioni di riferimento, quali interlocutori dei processi di inclusione scolastica e sociale».

I principi e le finalità del decreto (art. 1) indicano che una buona inclu-sione scolastica deve:

Funzioni e forme della valutazione

A me spaventa la realtà della scuola-bosco in cui tanti bambini non hanno segni per ritrovarsi.

Andrea Canevaro, I bambini che si perdono nel bosco

Valutazione iniziale, formativa, sommativa e autentica

Come richiamato nei paragrafi del capitolo precedente, la legge n. 169 dell’ottobre 2008 ha reintrodotto nel nostro sistema d’istruzione la valutazione numerica su base decimale anche nella scuola primaria e secondaria di 1° grado (nell’istruzione superiore si è sempre valutato con i voti). Tale criterio è stato confermato anche nel decreto legislativo del 16 maggio 2017, n. 62, attuativo della legge n. 107/2015.

A nostro avviso, il voto nel primo ciclo d’istruzione, in particolare nella scuola primaria, risulta scarsamente giustificato e frutto di un concetto distorto di «merito» e di «rigore» difficilmente difendibile. Sottolineo nuovamente che

la valutazione prende avvio con la raccolta di dati e informazioni; la loro combinazione, al fine di costruire un giudizio, è guidata da una interpre-tazione del contesto e della relazione che viene individuata fra i dati. In queste operazioni ha sempre e comunque un forte ruolo la soggettività che imprime una direzione particolare al processo. (Magnoler, 2008)

3

42 La valutazione degli alunni con BES

La dimensione soggettiva è una componente ineliminabile nel momento in cui si formula un giudizio; chi pensa alla valutazione come adesione a un criterio meramente oggettivo dovrà, suo malgrado, ricredersi. Tuttavia, occorre evitare che l’aspetto soggettivo si trasformi in arbitrarietà delle decisioni e dei comportamenti.

La collegialità del team e del consiglio di classe e la responsabilità condivisa di un giudizio sono le armi vincenti che ogni docente deve saper adeguata-mente esercitare.

La distinzione tra valutazione formativa e sommativa è stata introdotta da Michael Scriven alla fine degli anni Sessanta del Novecento nell’ambito degli studi sul rinnovamento del curricolo negli Stati Uniti.

La funzione formativa della valutazione rappresenta un preciso stimolo per gli insegnanti: quello di facilitare l’apprendimento. Viene condotta dall’in-segnante in modo costante per acquisire un flusso di informazioni che gli permetta di accrescere l’adeguatezza e l’efficacia del suo intervento educativo e didattico. Tale peculiare funzione esplicita una connessione molto stretta tra la valutazione dell’alunno e la sua motivazione allo studio.

L’esigenza precipua della valutazione formativa è correlata al bisogno di:– assumere decisioni didattiche tempestive ed evitare inutili perdite di tempo.

Questo vale per tutti gli studenti, in modo particolare per coloro che sono in situazione di handicap o che vivono rilevanti difficoltà;

– differenziare strategie e metodologie didattiche in rapporto alle diverse esigenze manifestate dagli alunni;

– apportare cambiamenti e integrazioni in merito ai contenuti proposti e al percorso didattico;

– accertare le difficoltà incontrate dalla classe o da singoli allievi e progettare i conseguenti interventi.

Per queste ragioni, la valutazione formativa esclude finalità e obiettivi classificatori. Una volta che lo studente si è convinto che è impossibile per lui andare oltre un determinato livello, smetterà di sforzarsi per migliorare il suo apprendimento.

La funzione sommativa della valutazione interviene nella fase finale di un’esperienza didattica o di un percorso formativo (trimestre, quadrimestre, pentamestre, fine dell’anno scolastico). Essa

attesta i cambiamenti avvenuti negli apprendimenti degli allievi, accertando l’acquisizione e la capacità di un repertorio composito e organico di abilità e conoscenze. […] È il processo attraverso il quale si traggono le somme

Funzioni e forme della valutazione 43

o si controlla quanto è stato appreso al termine di una determinata fase dell’apprendimento. (Weeden, Winter e Broadfood, 2009)

Mentre la valutazione formativa entra a far parte del processo di insegna-mento-apprendimento (valutazione per l’apprendimento), quella sommativa registra il rendimento degli alunni alla fine di un corso di studi o di un’unità didattica, di un progetto, di un’esperienza formativa (valutazione dell’appren-dimento).

La prima è di processo e di accompagnamento dell’allievo, la seconda è di consuntivo e di prodotto. Sommativo, infatti, sta a indicare un apprezzamento complessivo degli esiti conseguiti sia dal singolo studente sia dal gruppo-classe. La valutazione per l’apprendimento rappresenta un’ulteriore frontiera del lavo-ro dei docenti ed è connessa con l’attuale dibattito sulle competenze. Questo orientamento ha preso impulso dall’introduzione del portfolio dell’alunno nel periodo 2004-2007, decisione molto contrastata per le modalità attuative adottate dal Ministero dell’Istruzione.

In ogni caso, in alcune realtà scolastiche, il portfolio ha permesso di avviare una riflessione sul costrutto di valutazione autentica, incentrata su ciò che lo studente sa fare con le conoscenze acquisite. Mentre la valutazione tradizionale è appannaggio dell’insegnante, quella autentica è gestita diretta-mente dall’alunno ed è finalizzata a verificare se lo studente abbia maturato una comprensione profonda di ciò che ha appreso, tanto da essere capace di applicarlo a situazioni nuove.

Una valutazione autentica contribuisce alla formazione dell’immagine di sé e della costruzione della personalità dell’alunno. La modalità attra-verso cui viene espressa condiziona positivamente o negativamente la percezione che l’allievo ha di se stesso e, di conseguenza, anche la qualità dell’apprendimento. (Rondanini, 2007b)

L’intento della valutazione autentica è quello di coinvolgere gli studenti in compiti che richiedono di applicare le conoscenze nelle esperienze del mondo reale. In questo modo, lo studente è maggiormente coinvolto nella cura del «suo» apprendimento e l’insegnante considera l’allievo un protagonista atti-vo nel processo di decisione relativo a che cosa apprendere, a come e quando apprenderlo, a come valutarlo.

Come si evince dalle riflessioni sin qui svolte, la funzione che la valutazione didattica svolge nello sviluppo professionale dell’insegnante è determinante per accrescere le aspettative di successo di ciascun studente, in particolare di coloro che vivono situazioni di disabilità o di specifici disturbi di comporta-mento e di apprendimento.

44 La valutazione degli alunni con BES

La valutazione degli alunni con disabilità e il curricolo d’istituto

La valutazione didattica è una delle centralità più rilevanti del curricolo d’istituto che, a sua volta, rappresenta la principale priorità delle Indicazioni nazionali per il curricolo del novembre 2012.

«Agli insegnanti — si sottolinea nel testo — competono la responsabilità della valutazione e la cura della documentazione, nonché la scelta dei relativi strumenti, nel quadro dei criteri deliberati dagli organi collegiali» (MIUR, 2012, p. 13).

Nel DPR n. 122/2009 si esplicitano i criteri di omogeneità, equità e tra-sparenza che ogni collegio dei docenti dovrà deliberare. I contenuti di questi principi, che orientano l’azione valutativa degli insegnanti, possono essere così schematizzati (si veda tabella 3.1).

TABELLA 3.1Criteri posti alla base dell’azione valutativa degli insegnanti

Omogeneità Equità Trasparenza

Deliberare linee guida che esplicitino i criteri valutativi a livello d’istituto:• obiettivi comuni di ap-

prendimento per le classi parallele;

• tempi e modalità delle verifiche;

• criteri comuni per stabilire la votazione periodica;

• [...].

Ridurre al minimo gli in-dividualismi valutativi dei docenti:• utilizzo pertinente dei crite-

ri di valutazione: assoluto, del progresso rispetto al sé e del riferimento al gruppo.

Migliorare gli aspetti comu-nicativi della valutazione, in particolare verso la famiglia:• assicurare tempi adeguati

di presentazione degli esiti conseguiti;

• evitare incontri e colloqui frettolosi.

Dunque, la responsabilità della valutazione degli apprendimenti è di competenza dei docenti, che devono attenersi al quadro normativo generale e condividere criteri, strumenti e tempi sul piano sia individuale sia collegiale. D’altro canto, agli insegnanti è richiesto un compito impegnativo e complesso: quello della costruzione del curricolo d’istituto, espressione dell’autonomia delle scuole e della libertà d’insegnamento.

«Ogni scuola predispone il curricolo d’istituto all’interno del Piano dell’offerta formativa con riferimento al profilo dello studente al termine del primo ciclo di istruzione, ai traguardi per lo sviluppo delle competenze, agli obiettivi specifici per ogni disciplina» (MIUR, 2012, p. 12).

L’elaborazione del curricolo d’istituto presuppone la centralità dell’azione valutativa dei docenti, in quanto strettamente correlata alla dimensione inclu-

Funzioni e forme della valutazione 45

siva della scuola stessa. Infatti, una gestione efficace e coerente dei dispositivi di valutazione degli apprendimenti rappresenta un significativo strumento di inclusione scolastica, di promozione del successo personale di ciascun alunno e di supporto all’integrazione degli studenti, in particolare di coloro che vivono condizioni di bisogni educativi speciali.

La valutazione è espressione di un valore simbolico, che comprende il giu-dizio espresso, ma allo stesso tempo va oltre, perché determina l’implicazione dei diversi stili educativi degli insegnanti verso gli alunni, da quelli includenti a quelli escludenti.

Valutare è attribuire valore, e in questo processo entrano in gioco modelli antropologici che possono essere tra loro antitetici. Ogni insegnante esprime inevitabilmente la personale concezione che egli ha dell’alunno, l’intensità o meno della relazione educativa, l’idea di educazione, di autorità, di fiducia riposta nelle capacità dello studente e anche la sua rappresentazione. È per-tanto ineludibile una certa soggettività, che non può essere però scambiata per soggettivismo o intuizionismo. Va altresì considerato che, in assenza di un dialogo educativo tra docente e studente, la valutazione finisce per trasformarsi in una mera azione di controllo esterno, che svilisce il lavoro dell’alunno ma anche quello dell’insegnante. Come osserva Michele Pellerey, i riflessi degli eventi valutativi influiscono non solo sul proseguimento degli studi, ma anche

sulla percezione di sé, sulla fiducia nelle proprie forze, sulla stima degli adulti e dei compagni. […] Il modo in cui vengono comunicati i giudizi agli alunni e ai genitori propone valori o disvalori che vengono a poco a poco interiorizzati sia dal soggetto, sia dalla comunità locale, sia dalla società più in generale. (Pellerey, 1994)

Del medesimo avviso è anche Luigi Calonghi, il quale sostiene che la relazione adulto-bambino debba essere caratterizzata dalla fiducia reciproca, condizione irrinunciabile dello sviluppo di una personalità equilibrata dello studente.

La valutazione deve incarnare ed esprimere questa fiducia che l’edu-catore ha nell’alunno, realizzandola in modo che non sia solo una guida per il miglioramento, ma sia percepita tale anche dall’allievo e, quindi, desiderata senza residui negativi che offuschino le buone relazioni che ci devono essere tra i giovani che maturano e chi fa di tutto per essere loro utili in questo compito. (Calonghi, 1990)

Questi suggerimenti sono preziosi in generale per tutti i docenti, in modo particolare per quegli insegnanti che operano in classi in cui sono

46 La valutazione degli alunni con BES

inseriti alunni in situazione di handicap. Per questi ultimi, infatti, le «rac-comandazioni» espresse da Pellerey e Calonghi presuppongono da parte dei docenti conoscenza, ricerca e competenza in misura doppia rispetto alle prassi più abituali.

I requisiti di una scuola inclusiva

Il concetto di inclusione è il principio che permea l’intero impianto delle Indicazioni nazionali per il curricolo del novembre 2012. Nel paragrafo Una scuola di tutti e di ciascuno, si sottolinea che

la scuola italiana sviluppa la propria azione educativa in coerenza con i principi dell’inclusione delle persone e dell’integrazione delle culture, considerando l’accoglienza della diversità come un valore irrinunciabile. […] Particolare cura è riservata agli allievi con disabilità o con bisogni educativi speciali, attraverso adeguate strategie organizzative e didattiche, da considerare nella normale progettazione dell’offerta formativa. (MIUR, 2012, p. 14)

Qui sta il punto: l’integrazione degli alunni disabili deve rientrare nell’or-dinaria gestione dell’istituzione scolastica e non essere confinata, come spesso succede, in una prospettiva organizzativa speciale, rendendola così estranea a troppi insegnanti.

Il principio dell’inclusione era stato esplicitato anche nell’Atto di indirizzo dell’8 settembre 20091 in cui si afferma:

La scuola è luogo di apprendimento e, insieme, di costruzione dell’i-dentità personale, civile e sociale. Questo significa mettere ciascuno in condizione di raggiungere la piena realizzazione di sé e l’acquisizione della cultura e dei valori necessari per vivere da cittadini responsabili. Nessuno — questo è l’obiettivo — deve rimanere indietro, nessuno deve sentirsi escluso.

Quali allora i punti irrinunciabili dell’inclusività del curricolo d’istituto che il dirigente scolastico deve promuovere e sollecitare?

1 L’8 settembre 2009, il ministro Mariastella Gelmini emana l’Atto di indirizzo per la scuola dell’infanzia e il primo ciclo d’istruzione, recante i criteri generali necessari ad armonizzare gli assetti pedagogici, didattici e organizzativi con gli obiettivi previsti dal Regolamento emanato con il DPR n. 89 del 20 marzo 2009. Per maggiori informazioni, si veda: http://www.edscuola.it/archivio/norme/programmi/ai_8909.pdf (ndr).

Funzioni e forme della valutazione 47

Il principio di inclusione, come affermato in una nota dell’Ufficio scola-stico regionale dell’Emilia-Romagna,2

annulla l’idea che l’essere più o meno adatti sia una condizione che ap-partiene alle persone, considerandola invece una qualità dei contesti, che possono essere strutturati in modo più o meno duttili e quindi fruibili o non fruibili a diversi livelli di competenze, di conoscenze, di capacità, di possibilità.

Una scuola inclusiva è sicuramente connotata da un’elevata condivisione da parte di tutti gli operatori dell’istituzione circa la cura del contesto, in par-ticolare dell’ambiente di apprendimento.

La creazione di luoghi idonei a facilitare approcci operativi alla conoscenza presuppone alcune condizioni che si collocano a monte dei processi attivabili nei laboratori, e in particolare nelle classi.

Per quanto concerne i temi della valutazione in generale e degli alunni disabili in particolare, tra i requisiti caratterizzanti una scuola dell’inclusione ne evidenziamo tre, che possono essere considerati sovraordinanti rispetto ad altri fattori:1. la promozione costante di una cultura istituzionale inclusiva da parte del

dirigente scolastico;2. la costruzione di una collegialità professionale sostanziale e non meramente

formale;3. l’utilizzo da parte degli insegnanti (team e CdC) dei medesimi strumenti nelle

varie fasi in cui si evolve la funzione accertativa, soprattutto nei momenti delle valutazioni periodiche e finali.

Nel 2009, l’Agenzia europea per lo sviluppo dell’istruzione degli alunni disabili, il cui segretariato ha sede nella città di Odense in Danimarca, ha diffuso una Raccomandazione nella quale sono contenuti i principi guida per promuo-vere la qualità nella scuola inclusiva. Tali principi sono stati frequentemente richiamati in questo testo e possono essere così sintetizzati:1. la partecipazione tesa ad accrescere le opportunità educative di tutti gli alunni:

l’inclusione come problema collettivo, e non solo degli studenti certificati, la qualità della preparazione dei docenti, l’approccio personalizzato all’appren-

2 Con la nota prot. 6721 del 29 maggio 2013 l’allora vicedirettore generale (oggi direttore) dell’Uf-ficio scolastico regionale per l’Emilia-Romagna pone all’attenzione delle istituzioni scolastiche il tema dei percorsi di insegnamento personalizzato per alunni in difficoltà (per motivi diversi). Per maggiori informazioni, si veda: http://istruzioneer.it/wp-content/uploads/2013/05/nota-bes-usr-er.pdf (ndr).

48 La valutazione degli alunni con BES

dimento di ciascuno, l’importanza dell’insegnamento e dell’apprendimento cooperativo, la valutazione come risorsa per l’apprendimento;

2. la formazione dei docenti all’inclusione scolastica: l’accoglienza effettiva di esigenze diverse, la formazione degli insegnanti specializzati e dei dirigenti scolastici, il lavoro in équipe di tutti gli insegnanti;

3. l’organizzazione di strutture di sostegno in ambito comunitario: la qualità dei diversi servizi specialistici, la cura educativa della continuità verticale nei momenti di passaggio, l’organico di rete come indicato nella legge n. 107/2015.

Una scuola sarà inclusiva nella misura in cui lo saranno tutti gli altri soggetti istituzionali (enti locali, ASL, ecc.) e il mondo «espressivo» presente nella comunità civile allargata (associazioni, gruppi, movimenti).

Collegialità e corresponsabilità educativa

Il team nella scuola dell’infanzia e primaria, e il consiglio di classe nella secondaria di 1° e 2° grado, derivano le loro funzioni da fonti normative; per-tanto, si configurano come organi collegiali, non come comunità professionali. Sono spesso dei gruppi «destino», la cui composizione si modifica da un anno scolastico all’altro, ma rappresentano l’architrave del funzionamento della scuola e soprattutto il ponte di collegamento più importante tra insegnanti, alunni e genitori.

Il funzionamento in chiave collegiale di questi organi è un requisito sot-tolineato in tutti gli atti dell’amministrazione scolastica. Nel decreto legislativo n. 62/2017, riguardante la valutazione e la certificazione delle competenze, si afferma che «la valutazione è effettuata collegialmente dai docenti contitolari della classe ovvero dal consiglio di classe. […] La valutazione è integrata dalla descrizione del processo e del livello globale di sviluppo degli apprendimenti raggiunto».

La collegialità del gruppo docente e del consiglio di classe rappresenta la sfida più impegnativa di una scuola che fa dell’inclusione la cifra verso cui orientare prioritariamente l’azione degli insegnanti.

Come trasformare, allora, un gruppo «destino» in un gruppo professio-nale maturo, capace di affrontare con adeguatezza e padronanza un corretto uso della valutazione, senza perdersi in inutili discussioni?

Un gruppo professionale maturo presuppone una cornice condivisa per quanto riguarda gli obiettivi che si intendono raggiungere (conoscenza delle risorse e dei vincoli, selezione delle priorità e dei compiti, definizione dei

Funzioni e forme della valutazione 49

risultati e degli esiti attesi), le modalità impiegate per il conseguimento degli obiettivi programmati (condivisione dei compiti, pianificazione dei tempi, gestione degli incontri), e i ruoli all’interno del consiglio di classe (valorizza-zione delle competenze, definizione delle responsabilità, funzioni del docente coordinatore).

Un’effettiva corresponsabilità educativa poggia su determinati pilastri, la cui costruzione richiede un certo lasso di tempo, in particolare la stabilità dei membri del gruppo e il coordinamento da parte del dirigente o dei docenti delegati a tal compito. Il raggiungimento di un efficace livello di collegialità, riferito in particolare alla valutazione degli alunni con disabilità (ma non solo), può essere ricondotto ai tratti professionali di seguito delineati.– Sapere:

• conoscenza delle norme specifiche non solo sul piano strettamente giuri-dico, ma anche su quello delle implicazioni pedagogiche e didattiche;

• comprensione della natura del deficit dello studente e comprensione delle difficoltà che la disabilità riveste nel comportamento complessivo dell’alunno;

• capacità di cogliere il potenziale formativo delle discipline.– Saper essere:

• disponibilità a mettersi ragionevolmente in discussione, rinunciando a certezze ritenute inattaccabili;

• apertura al valore aggiunto che la natura del gruppo e dell’intersoggettività professionale comporta;

• propensione all’individuazione di obiettivi comuni e alla ricerca di soluzioni condivise.

– Saper agire:• capacità di gestire in modo efficiente gli incontri e le riunioni;• condivisione di procedure gestionali (ordine del giorno, verbale, ecc.) fina-

lizzate a ottimizzare i tempi, anche in previsione degli incontri successivi;• capacità di intervenire in un tempo definito, senza bruciare le tappe.

Si tratta di aspetti apparentemente facili da enunciare, sicuramente più difficili da raggiungere, perché la natura professionale porta l’insegnante ad arroccarsi spesso sulle proprie convinzioni e ad aprirsi con una certa difficoltà alle soluzioni sostenute dagli altri membri del gruppo.

Non va dimenticato, poi, che i fattori che contribuiscono alla costruzione di una comunità professionale hanno inevitabili implicazioni psicologiche. Ad esempio:– per quanto concerne la definizione degli obiettivi, possono ingenerarsi stati

d’ansia per la complessità del compito richiesto o sentimenti di inadeguatezza;

50 La valutazione degli alunni con BES

– rispetto a modalità e metodi, potranno manifestarsi difficoltà ad accettare le regole, a uscire da una certa uniformità dell’abituale comportamento, ecc.;

– relativamente ai ruoli, a volte si dà luogo al timore di essere esclusi o emar-ginati, alla paura del conflitto, al bisogno di riconoscimento e alle difficoltà di manifestare il proprio punto di vista.

Vedremo più avanti come queste condizioni siano decisive nei diversi momenti di progettazione e valutazione del PEI o del PDP, dalla fase iniziale fino a quella conclusiva.

La valutazione personalizzata nel quadro giuridico

È stato già ampiamente sottolineato come la conoscenza giuridica e pedagogico-culturale del quadro normativo sia determinante per una buona partenza in relazione alla valutazione degli alunni in situazione di handicap o in condizioni di specifici disturbi (DSA, BES).

Per quanto concerne la conoscenza delle norme, i principi sottesi alla valutazione degli studenti con disabilità sono esplicitati in alcune fondamentali leggi (a partire dalla n. 104 del 1992) e si sono consolidati negli anni Novanta e nei decenni successivi, tanto da risultare oggi ampiamente acquisiti sul piano giuridico.

La legge n. 107/2015 e i decreti attuativi n. 62 e n. 66 del 16 maggio 2017 hanno riconfermato in toto la validità di questo patrimonio. L’orientamento fondativo della valutazione degli alunni con disabilità è stato affermato nella sentenza della Corte Costituzionale n. 215 del 1987 in cui si sottolinea che «capacità e merito degli alunni con handicap vanno valutati secondo parametri peculiari, adeguati alle rispettive situazioni di minorazione».3

I contenuti di quella sentenza, che assicura a tutti i soggetti in situazione di handicap l’obbligo della frequenza delle scuole secondarie di 2° grado, sono stati recepiti in alcune iniziali disposizioni da parte dell’allora ministro della Pubblica Istruzione: la CM n. 262/1988 e l’OM n. 193/1989.

Successivamente, il Ministero ha richiesto, per quanto concerne l’istru-zione superiore, il parere del Consiglio di Stato, che è stato emesso il 10 aprile 1991, n. 348. Le argomentazioni addotte in questo dispositivo costituiscono ancora oggi la base giuridica orientativa della disciplina della valutazione per gli studenti disabili nell’istruzione di 2° grado. In particolare, nel parere n.

3 Per la sentenza della Corte Costituzionale del 3 giugno 1987, n. 215, si veda: http://www.edscuola.it/archivio/norme/varie/scc215_87.html (ndr).

Funzioni e forme della valutazione 51

348/1991 del Consiglio di Stato, si sottolinea il valore formativo della valuta-zione per ogni alunno con handicap.

È poi nell’art. 16 della legge-quadro n. 104/1992 che il legislatore delinea i principi di riferimento delle innovazioni e degli aggiornamenti successivi in materia di valutazione dei soggetti con disabilità.

In questo articolo si afferma:4

Nella valutazione degli alunni handicappati, da parte dei docenti, è in-dicato, sulla base del piano educativo individualizzato, per quali discipline siano stati adottati particolari criteri didattici, quali attività integrative e di sostegno siano state svolte, anche in sostituzione parziale dei contenuti programmatici di alcune discipline.

Il testo è inequivocabile e riafferma il contenuto della sentenza n. 215/1987, secondo cui la valutazione degli alunni disabili deve essere ricon-dotta a peculiari criteri e a specifici parametri.

Il quadro giuridico è dunque molto chiaro: la valutazione degli allievi certificati è riferita al PEI.

Come già sottolineato, tale riferimento viene confermato in tutte le norme successive: dall’art. 318 del D.lgs n. 297/1994 (Valutazione del rendimento e prove d’esame) all’art. 11 del D.lgs n. 62 del 16 maggio 2017. Dunque, il quadro normativo, relativo alle fonti primarie (leggi e decreti legislativi) e alle fonti secondarie (in particolare l’OM n. 90/2001), rafforza il principio secondo cui il PEI rappresenta il riferimento inderogabile di un’efficace azione valutativa dei docenti nei confronti degli alunni con disabilità.

Il decreto legislativo del 16 maggio 2017 (Norme in materia di valutazio-ne e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato) riafferma i principi sostenuti nella legge n. 104/1992 e nel successivo Testo Unico del 1994, ribadendo che «l’ammissione alla classe successiva e all’esame di Stato conclusivo del primo ciclo d’istruzione avviene tenendo a riferimento il piano educativo individualizzato».

Sul piano professionale però, come già si è accennato, tale orientamento incontra non poche difficoltà applicative da parte degli insegnanti. Le ragioni di tali problematicità sono molteplici.

In generale, la cultura valutativa degli insegnanti italiani è un punto do-lente sia della formazione iniziale sia della formazione in servizio. Tale criticità legittima spesso comportamenti professionali sommari, privi, in certi casi,

4 Per maggiori informazioni, si veda: http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1992/02/17/092G0108/sg (ndr).

La valutazione degli alunni disabili e il progetto educativo 57

Nel decreto legislativo del 13 aprile 2017, n. 66 — Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità — , all’articolo 1 si afferma che «l’inclusione scolastica […] riguarda le bambine e i bambini, le alunne e gli alunni, le studentesse e gli studenti, risponde ai differenti bisogni educativi e si realizza attraverso strategie educative e didattiche finalizzate allo sviluppo delle potenzialità di ciascuno […]».

Lo stesso principio venne esplicitato anche nella CM n. 205 del 1985 che abbiamo commentato in uno dei capitoli precedenti.

Questa asserzione rinvia a una valutazione iniziale che impegna l’intero gruppo docente nella scuola primaria, e il consiglio di classe nella secondaria di 1° e 2° grado. Nella valutazione degli alunni, principalmente quelli con disa-bilità o ricadenti nella più generale area dei BES, il momento dell’osservazione iniziale è molto importante, in quanto

fornisce elementi circa le procedure che dovranno essere avviate e sul modo in cui dovranno svilupparsi. Perché ciò sia possibile, è necessario disporre di strumentazioni idonee a rilevare informazioni relative a quelle conoscenze che si considerano preliminari rispetto al contenuto vero e proprio della procedura e delle decisioni che i docenti saranno chiamati ad assumere. (Vertecchi, 1993)

Il requisito più importante consiste nel mettere in primo piano i processi, gli stili, le caratteristiche dell’apprendimento del soggetto, e non solo gli obiettivi e gli esiti che si intendono conseguire.

Si tratta, infatti, di focalizzare l’attenzione sugli aspetti procedurali dell’ap-prendimento (interessi e motivazioni personali, attitudini, utilizzo di tecnologie, attivazione di particolari strategie, impiego di strumenti compensativi, misure dispensative, ecc.), in assenza dei quali è inevitabile che scattino meccanismi di delega e di deresponsabilizzazione.

Questi presupposti richiedono che il team docente utilizzi un comune strumento di osservazione che potrà investire alcune dimensioni della perso-nalità scolastica dello studente (si veda il seguente box informativo).

La valutazione iniziale promossa dall’intero consiglio di classe costituisce il requisito per:

• individuare problemi specifici del progetto educativo;• valorizzare potenzialità e punti di forza dell’alunno;• arricchire il repertorio didattico di gestione della classe;• facilitare l’impiego di particolari strumenti (compensativi, ecc.);

58 La valutazione degli alunni con BES

• utilizzare programmi e software didattici specifici;• individuare i presupposti di una classe inclusiva;• costruire i presupposti di positive relazioni con i genitori.

Occorre però premettere una riflessione rispetto all’avvio del percorso individualizzato che si intende attuare. Per promuovere un progetto educativo di uno studente con disabilità occorre che alunni e docenti sappiano manifestare una propria visione della realtà. Non è possibile, infatti, avviare un cammino comune se tutti i protagonisti del tragitto non esprimono qual è il loro perso-nale progetto di vita.

Senza questa condizione, difficilmente il mondo degli adulti riuscirà a coinvolgere in questa sfida la partecipazione dei coetanei e dei compagni di classe, che risulta strategica nella riuscita del percorso da intraprendere.

Qual è il progetto di vita che ogni amico di un coetaneo disabile mette in campo? L’esclusione, ad esempio, di un alunno con difficoltà dalle iniziative organizzate dal resto della classe (giochi, compleanni, gite, feste, ecc.) è un’in-dicazione di sfiducia per chi subisce questo tipo di «trattamento».

In sostanza, non si può immaginare il PEI di un soggetto disabile o il PDP di un alunno con DSA o con bisogni educativi speciali in assenza di una duplice progettualità:– la prima riguarda il mondo degli adulti: gli insegnanti, gli specialisti, i genitori,

i formatori, ecc.;– la seconda coinvolge la classe — nello specifico i compagni —, con partico-

lare attenzione ai bisogni espressi da chi, all’interno del gruppo, necessita di particolari attenzioni.

L’integrazione, prima di essere un adempimento normativo, è una disposizione culturale delle persone e delle comunità. È del tutto evidente che se migliorano le persone, migliorano anche le organizza-zioni in cui esse operano. L’inclusione, infatti, nasce in una comunità di uomini e donne capaci di parlarsi e di ascoltarsi, una comunità nella quale si vive una cultura della prossimità e dell’impegno reciproco. (Rondanini, 2011)

Per queste ragioni ogni membro del team o del consiglio di classe do-vrà condividere e utilizzare un unico strumento di valutazione diagnostica iniziale, che risulta di vitale importanza nella fase progettuale del piano individualizzato.

La valutazione degli alunni disabili e il progetto educativo 59

Un esempio di strumento comune di valutazione diagnostica iniziale

Un possibile dispositivo per avviare insieme un’osservazione educativa iniziale può essere così schematizzato:

PIANO EDUCATIVO INDIVIDUALIZZATO E PIANO DIDATTICO PERSONALIZZATO

Valutazione iniziale da parte di ogni insegnante del team e del consiglio di classe

1. Rapporto scuola-alunno: dovrà descrivere i vissuti e le condizioni personali che l’alunno con disabilità o con altri disturbi manifesta verso l’esperienza scolastica (benessere, senso di soddisfazione, autopercezione, autostima, ecc.). Questo primo passo può essere fatto anche a livello collegiale e concludersi con una sintesi condivisa dall’intero gruppo.

2. Rapporto docente-alunno: esporrà le caratteristiche della relazione edu-cativa intercorrente tra insegnante e allievo/a sul piano dell’ascolto, del dialogo, della fiducia. Questo passaggio implica una sincera lettura che ogni insegnante fa con se stesso e con la concezione antropologica che ha dell’altro.

3. Rapporto alunno-compagni: evidenzierà il livello di accettazione, di disponibilità all’aiuto, di impegno dei coetanei verso l’alunno con pro-blemi, e viceversa. Anche questo passaggio, come il primo, può essere fatto collegialmente. Questa osservazione risulta di capitale importanza perché una classe che «sostiene» è un requisito essenziale di una scuola realmente inclusiva.

4. Rapporto alunno-apprendimento: espliciterà l’interesse manifestato per la propria disciplina d’insegnamento, la capacità di resistere a situazioni d’insuccesso, la motivazione allo studio. Tale valutazione è sicuramente quella più complessa e presuppone che ogni insegnante si faccia carico di cosa e di come fare per includere tutta la classe nelle esperienze di apprendimento.

5. Rapporto scuola-famiglia: descriverà il coinvolgimento dei genitori al percorso formativo del proprio figlio; la famiglia, infatti, è un soggetto attivo nella realizzazione del progetto.

Le informazioni raccolte dal coordinatore del consiglio di classe o da un altro docente del CdC costituiranno la base per la progettazione del PEI o del PDP, che vedrà impegnati tutti i componenti del gruppo o del consiglio di classe.

60 La valutazione degli alunni con BES

In relazione alle valutazioni di ogni singolo insegnante e delle osservazioni condotte collegialmente, si potrà decidere che lo studente:– può aver bisogno di un supporto psicologico. In questo caso, si tratterà di

migliorare il funzionamento dello sportello di ascolto per gli studenti e di prevedere particolari interventi finalizzati a rassicurare l’alunno/a nelle difficoltà manifestate;

– deve essere aiutato a recuperare carenze in alcune discipline, mediante il rafforzamento di attività di piccolo gruppo (corsi di recupero) o attività individuali, anche in aggiunta ai tempi delle lezioni in orario pomeridiano;

– privilegia strategie didattiche cooperative (cooperative learning), attività di coppia, di tutoring, di particolari facilitazioni (mappe concettuali, schemi, scalette, ecc.);

– ha bisogno di utilizzare strumenti compensativi (programmi e software mirati) e/o misure dispensative.

Nel caso di alunni con bisogni educativi speciali, non necessariamente si dovrà pervenire alla stesura di un Piano didattico personalizzato. In relazione alle caratteristiche del soggetto e del contesto della classe, potranno essere previste flessibilità organizzative e accorgimenti didattici di cui potrà benefi-ciare l’intera classe.

La valutazione personalizzata, nel caso di studenti con BES, presuppone pertanto da parte dei docenti la capacità di affinare una gamma molto ampia di funzionamenti individuali.

Non ci sono più solamente i «normali», tutti uguali, da un lato, e dall’altro quelli «diagnosticati» […]. Per questo, gli insegnanti devono mediare tra dati oggettivi e interpretazioni soggettive. Tali requisiti presup-pongono competenze professionali in parte nuove, ma anche la possibilità di liberare in molti docenti competenze professionali silenti. (Ianes, 2014)

La valutazione formativa

Secondo il pedagogista Gilbert De Landsheere, la valutazione formativa ha un carattere «privato»: serve cioè al docente per individuare scelte e stra-tegie educative atte a differenziare gli interventi didattici. Riveste, quindi, una funzione regolativa rispetto alla qualità dell’azione metodologico-didattica nello svolgimento di un’attività di apprendimento. Un semplice «diario di bordo» per seguire il percorso di uno studente con disabilità è rappresentato nella tabella 4.1.

La valutazione degli alunni disabili e il progetto educativo 61

TABELLA 4.1Modello di «diario di bordo» per alunni

1 (poco) 2 3 4 (molto)

Difficoltà

Lettura/scrittura

Ascolto-parlato

Matematiche

Lingua straniera

Informatiche

Relazionali

Personali

Affettive

Relative allo studio: capacità di portare a ter-mine in modo autonomo un compito, di comprendere le istruzioni dell’insegnante, di chiedere spie-gazioni, ecc.

……………..

Potenzialità

Indicare i punti di forza, pren-dendo come riferimento gli aspetti sopra indicati

………………

Relativamente alle difficoltà relazionali, si potrà precisare se queste sono più presenti verso gli adulti o i coetanei. Per quanto concerne quelle personali, sarà opportuno precisare se si tratta di scarsa autostima, sfiducia, disinteresse o opposizione verso la scuola. Le difficoltà affettive potranno essere meglio declinate in atteggiamenti di autoesclusione, crisi depressive, di conflittualità verso coetanei, adulti, ecc. In relazione, infine, alle difficoltà concernenti lo studio, potranno essere evidenziate scarsa organizzazione, disinteresse per specifiche attività, rinunce, ecc.

62 La valutazione degli alunni con BES

Oltre ai suggerimenti sopra richiamati, nella fase realizzativa potranno essere rafforzati interventi quali:– forme di aiuto sul piano interpersonale. In molte scuole sono attivi appositi

sportelli gestiti, in certi casi, da insegnanti della scuola, oppure da psicologi, o esperti esterni;

– il recupero disciplinare. Tale eventualità potrà riguardare la struttura gene-rale della disciplina o aspetti più circoscritti. È comunque di fondamentale importanza che il docente curricolare imposti correttamente questa fase, coadiuvato, nel caso di studenti disabili, dal collega di sostegno;

– l’impiego di tecnologie informatiche e di specifici software didattici. In questo caso, sono richieste ai docenti una buona conoscenza e una padronanza delle opportunità offerte da questo settore in rapida trasformazione;

– i cambiamenti riguardanti la gestione della classe (organizzazione spaziale), prevedendo attività di lavoro in piccoli gruppi, adottando strategie di coop-erative learning, promovendo condizioni di apprendimento che impegnino più direttamente gli alunni nello svolgimento di un compito, nella soluzione di un problema, nell’elaborazione di un progetto;

– la tempistica degli interventi. L’organizzazione temporale è importante quan-to quella spaziale. La costanza, l’assiduità, la periodicità delle azioni, delle modalità e degli strumenti che si intendono adottare rappresentano per uno studente in difficoltà un aiuto straordinario nel promuovere un ambiente di apprendimento coerente con le sue potenzialità e nel favorire in lui un senso di fiducia e di efficacia nello studio.

Per queste ragioni, può essere importante che anche ogni insegnante completi lo schema proposto nella tabella 4.1 con un diario in cui egli stesso precisi che cosa sta facendo o che cosa farà per rimuovere gli ostacoli osservati (si veda tabella 4.2).

TABELLA 4.2Modello di «diario di bordo» per insegnanti

Osservazioni relative a: Che cosa fa l’alunno: Che cosa faccio io, insegnante:

Difficoltà

Potenzialità

Sviluppi

La collegialità delle scelte in questa fase, in cui il progetto personalizzato comincia ad assumere una precisa fisionomia, è un fattore dirimente di una corretta impostazione del progetto medesimo.

La valutazione degli alunni disabili e il progetto educativo 63

È del tutto evidente che le decisioni che stanno alla base di questo impor-tantissimo momento coincidano con la funzione formativa della valutazione, che è un tutt’uno con quella iniziale. Infatti, qualora venga meno la valutazione collegiale iniziale, la progettazione sarà inevitabilmente disegnata in modo approssimativo: una sorta di fiera delle buone intenzioni di qualche volente-roso. Gli alunni che manifestano bisogni educativi speciali hanno bisogno di tutto fuorché di ipotesi progettuali casuali e affidate solo alla disponibilità di qualche docente.

Verifica degli apprendimenti: la valutazione sommativa

Mentre la valutazione formativa riveste una funzione «privata», quella sommativa — sempre secondo De Landsheere — è pubblica, perché svolge un ruolo di comunicazione istituzionale nei confronti di allievi e genitori.

La valutazione, come si afferma nelle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione del 2012, precede, ac-compagna e segue i percorsi curricolari. Ci siamo occupati della valutazione iniziale (precede) e di quella intermedia (accompagna); completiamo adesso la progettazione del PEI e/o del PDP con la valutazione periodica e finale (segue).

A questo proposito, nelle Indicazioni per curricolo (MIUR, 2012) si sottolinea che «le verifiche intermedie e le valutazioni periodiche e finali devono essere coerenti con gli obiettivi previsti dalle Indicazioni e declinati nel curricolo».

Nel testo ministeriale, al paragrafo Una scuola di tutti e di ciascuno (MIUR, 2012, p. 14), si richiamano le Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità (MIUR, 2009) e le Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento (MIUR, 2011).

Ai documenti sopra richiamati, aggiungiamo anche la direttiva del 27 dicembre 2012, Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica.1 Affronteremo quest’ultimo tema dei BES nei capitoli successivi.

Nell’affermazione, ripresa dalle Indicazioni, si fa poi riferimento al fatto che gli obiettivi nazionali debbano essere «declinati nel curricolo d’istituto» (MIUR, 2012, p. 13). Questo ulteriore passaggio conferma l’importanza che ogni scuola, all’interno del Piano dell’offerta formativa, predisponga il proprio

1 Per maggiori informazioni, si veda: http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace/SpacesStore/9fd8f30a-1ed9-4a19-bf7d-31fd75361b94/cm8_13.pdf (ndr).

64 La valutazione degli alunni con BES

curricolo e, nel medesimo POF triennale (PTOF), siano esplicitati modalità e criteri di formulazione e gestione del PEI e del PDP.

Per quanto concerne la valutazione degli alunni con disabilità, riprendia-mo quanto accennato in precedenza, facendo riferimento al quadro normativo.

Occorre preliminarmente distinguere tra la valutazione degli alunni nel primo ciclo d’istruzione da quella dell’istruzione di 2° grado.

Per quanto concerne la scuola primaria e secondaria di 1° grado, nell’art. 11 del D.lgs. n. 62/2017 si afferma:

1. La valutazione delle alunne e degli alunni con disabilità certificata frequentanti il primo ciclo di istruzione è riferita al comportamento, alle discipline e alle attività svolte sulla base dei documenti previsti dall’articolo 12, comma 5, della legge 5 febbraio 1992 n. 104.2. Nella valutazione delle alunne e degli alunni con disabilità i docenti perseguono l’obiettivo di cui all’articolo 314, comma 2, del decreto legi-slativo 16 aprile 1994 n. 297.3. L’ammissione alla classe successiva e all’esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione avviene secondo quanto disposto dal presente decreto, tenendo a riferimento il piano educativo individualizzato.4. Le alunne e gli alunni con disabilità partecipano alle prove standardizzate di cui agli articoli 4 e 7. Il consiglio di classe o i docenti contitolari della classe possono prevedere adeguate misure compensative o dispensative per lo svolgimento delle prove e, ove non fossero sufficienti, predisporre specifici adattamenti della prova ovvero l’esonero della prova.

Nel medesimo decreto legislativo, si abbandona l’aggettivo «corrispon-dente» e si afferma che «le prove differenziate hanno valore equivalente». La sostanza non cambia!

Diversa è la situazione nella scuola secondaria di 2° grado. In relazione alla valutazione degli alunni con disabilità, nell’istruzione superiore si potranno determinare due distinte progettualità:– PEI con obiettivi globalmente corrispondenti a quelli perseguiti dalla classe

— chiameremo questo progetto «equipollente» o «per obiettivi minimi»;– PEI con obiettivi riferiti esclusivamente allo studente disabile — chiameremo

questo percorso educativo «differenziato secondo PEI».

Nel primo caso, la valutazione degli apprendimenti potrà conseguire esiti identici a quelli di tutti gli altri studenti (qualifica e diploma conclusivo di Stato); nella seconda circostanza, invece, allo studente con disabilità potrà essere rilasciato un attestato di credito formativo, in cui saranno esplicitate le competenze acquisite nel corso del suo percorso scolastico.

La legge n. 107/2015: nuovi scenari e vecchi problemi 121

costanza, disponibilità e professionalità, qualità spesso determinanti per il conseguimento degli obiettivi prefissati.

Referenti e coordinatori di classe assicurano quelle trame di ascolto, risposte, interventi specifici, che rappresentano un fattore decisivo della qua-lità educativa di una scuola. Sono, per usare una metafora rubata al ciclismo, i «passisti della corsa» capaci di osservare e di dialogare, ma anche di imporsi senza togliere responsabilità ai singoli colleghi.

Il triangolo si chiude con la figura del dirigente scolastico, che — come più volte richiamato — rappresenta l’istituzione scolastica, della quale è legale rappresentante, sia negli organismi interni sia nelle relazioni esterne con gli enti locali, le ASL, le associazioni, i genitori, ecc.

Egli è chiamato ad assicurare gli orientamenti culturali e le linee di con-dotta dei diversi attori.

Le Indicazioni per il curricolo 2012 attribuiscono al dirigente un ruolo decisivo. Nel paragrafo Comunità educativa, comunità professionale, cittadinanza, si afferma infatti: «Determinante risulta il ruolo del dirigente scolastico per la direzione, il coordinamento e la promozione delle professionalità interne e, nello stesso tempo, per favorire la collaborazione delle famiglie, degli enti locali e per la valorizzazione delle risorse sociali, culturali ed economiche del territorio» (MIUR, 2012, pp. 14, 15).

Leadership educativa e leadership gestionale costituiscono i tratti identi-tari più importanti del dirigente scolastico, con particolare riferimento alla co-struzione di una comunità professionale orientata all’innovazione e alla ricerca.

Capo d’istituto, referenti degli alunni con BES, coordinatori del gruppo docente e del consiglio di classe, staff di gestione rappresentano il «front of-fice» della cultura inclusiva (promozione di valori, scelte di natura politica, progettazione, interventi di supporto e di aiuto, consulenza) della scuola. Sullo sfondo, però, non deve mancare il coinvolgimento del collegio dei docenti e del consiglio d’istituto, che dovranno assecondare decisioni, richieste, investimenti e soprattutto condivisione e sostegno alle iniziative promosse dai diretti ope-ratori: una sorta di «back office» attivo e partecipe, sia per quanto concerne il miglioramento dell’organizzazione interna sia per le relazioni interistituzionali, di cui è stata sottolineata più volte l’importanza e l’irrinunciabilità.

Indicatori di gestione della classe

La classe è composta da alunni che posseggono diversi livelli di compe-tenza, ma che spesso non vengono riconosciuti come tali dagli stessi docenti,

122 La valutazione degli alunni con BES

portati a valorizzare gli studenti più inclini ad assecondare i loro stili d’inse-gnamento.

Al contrario, il modello d’inclusione presuppone che tutti gli insegnanti siano impegnati a rimuovere gli ostacoli all’apprendimento e a promuovere la partecipazione di tutti gli alunni della classe. Si tratta di obiettivi che stravolgono il modo di intendere l’insegnamento di molti docenti: la strada da percorrere, però, è quella sopra indicata e le resistenze al cambiamento non aiutano gli studenti ma neanche i docenti.

La più immediata conseguenza è rappresentata dal peggioramento del clima relazionale dentro e fuori la scuola, con inevitabile aumento del livello di conflittualità.

L’Index per l’inclusione (Ainscow e Booth, 2008, a cura di Fabio Dovigo e Dario Ianes), sottolinea che una classe inclusiva deve rispettare quattro parametri essenziali:1. l’insegnamento è progettato tenendo presenti le capacità di apprendimento

di ogni alunno;2. le lezioni e le attività devono stimolare la partecipazione di tutti gli allievi;3. gli studenti sono attivamente coinvolti nelle esperienze di apprendimento;4. le differenze tra gli alunni vengono utilizzate come risorsa per l’insegnamento

e per l’apprendimento.

Si tratta di indicazioni apparentemente ovvie. In realtà, nella scuola italiana tali indicatori sono frequentemente disattesi, nonostante il nostro sia stato il Paese che si è distinto rispetto agli altri in materia di integrazione e inclusione scolastica.

Una breve disamina ci aiuterà ad apprezzare l’importanza dei quattro indicatori in vista di una scuola realmente inclusiva.

L’insegnamento è progettato tenendo presenti le capacità di apprendimento di tutti gli alunni

Questo obiettivo rappresenta una delle chiavi operative di un curricolo inclusivo d’istituto. Tale istanza presuppone un compito decisamente impe-gnativo: passare da un insegnamento standardizzato, pensato per una platea «mediamente uguale», a un insegnamento che tenga conto delle caratteristiche di ciascun alunno.

Il principio richiamato dall’Index cambia radicalmente la tradizionale me-diazione dell’insegnante. Come viene ribadito nei punti 2 e 3 sopra evidenziati, i docenti dovranno orientare le loro strategie educative a un’attenta valutazione

La legge n. 107/2015: nuovi scenari e vecchi problemi 123

dei potenziali d’apprendimento degli studenti e, conseguentemente, arricchire i dispositivi didattici per facilitare l’acquisizione delle conoscenze da parte di ciascun allievo. Questo compito richiede uno sforzo collettivo non delegabile ai singoli insegnanti e presuppone una costante attività formativa per evitare improvvisazioni e fraintendimenti.

La valorizzazione delle capacità di ciascuno non significa progettare percorsi individuali tanti quanti sono gli allievi di una classe, anche se una forma di sostegno «faccia a faccia» è opportuna in determinati momenti e per particolari situazioni personali.

Valorizzare le capacità di ciascuno vuol dire che le strategie di apprendi-mento di un alunno richiedono una mediazione didattica che può essere estesa a tutti i compagni di classe. Uno stile di apprendimento visivo, come nel caso di un alunno con DSA, incentrato sull’utilizzo di mappe, schemi, ecc., diventa una potenzialità formativa anche per tutti gli altri.

Per molti docenti queste strategie rappresentano un problema, in quanto la loro attenzione è rivolta prevalentemente all’esito, mentre è altrettanto importante riservare la medesima attenzione ai processi che portano al risultato atteso.

In sintesi, la mediazione didattica è il confronto cognitivo delle strategie d’insegnamento con gli schemi d’azione del soggetto che apprende. Questo «contraddittorio» determina un conflitto cognitivo sia negli studenti che imparano senza alcuna significativa difficoltà sia negli alunni che incontrano ostacoli; per questi ultimi, il conflitto cognitivo si trasforma in un’insoppor-tabile e incomprensibile fatica psichica e psicologica.

Le lezioni e le attività devono stimolare la partecipazione di tutti gli allievi

Questo secondo indicatore dell’Index può essere considerato un’esten-sione del primo. Contiene un’apparente contraddizione: i termini lezione e partecipazione, infatti, appaiono incoerenti se non antitetici. In realtà così non è.

La partecipazione — processo sociale la cui importanza è sottolineata in tutti i documenti dell’OMS, in particolare nell’ICF — viene associata spesso all’attività del lavoro di gruppo. Questo è senz’altro vero. Attenzione, però: nei modelli di interazione sociale possono coesistere diverse opzioni: «il modello individualistico, secondo il quale gli studenti lavorano separatamente nel gruppo e non condividono idee, né cercano di costruire significati; il mo-dello dominante, che instaura una partecipazione non egualitaria; il modello collaborativo, che consente la creazione di significati condivisi» (Cacciamani e Giannandrea, 2004).

124 La valutazione degli alunni con BES

Non necessariamente, quindi, il lavoro di gruppo stimola la partecipazione e il coinvolgimento nelle prassi didattiche.

La lezione, contrariamente a quanto espresso per il lavoro di gruppo, viene associata all’approccio trasmissivo delle conoscenze dalla figura esperta (l’in-segnante) a un uditorio di ascoltanti (gli studenti). Anche questo è senz’altro vero, ma non è un dogma.

La lezione, che rappresenta la forma asimmetrica del rapporto tra in-segnamento e apprendimento, può sollecitare la motivazione e il confronto. Progettare una lezione di 60 minuti con l’obiettivo di catturare l’attenzione di tutta la classe è un compito non meno impegnativo dell’organizzare un lavoro di gruppo. Sicuramente sollecita una delle funzione più importanti dell’appren-dimento: l’ascolto. Non è facile ascoltare, non è facile farsi ascoltare!

Le modalità di approcciare le informazioni, sempre più simultanee e sempre meno sequenziali, non aiutano questa fondamentale dimensione indi-spensabile nella costruzione dei saperi. Una lezione efficace può avvalersi di una disposizione fisica dei banchi a ferro di cavallo o a cerchio, in modo che il docente possa più agevolmente governare la classe e gli alunni.

Le tecnologie informatiche possono venire incontro anche alle situazioni più difficili sul piano logistico (ad esempio, la ristrettezza degli spazi), così come la preparazione, da parte dei docenti, di schemi per prendere appunti o per fare domande può consentire un’organizzazione didattica della lezione pienamente partecipativa.

Gli studenti sono attivamente coinvolti nelle esperienze di apprendimento

Questo indicatore sottolinea l’importanza della seconda parola dell’ICF: l’attività.

Attività e partecipazione sono le dimensioni del modello sociale di salute e costituiscono le due principali centralità dell’ICF (2001) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Se il concetto di attività sottolinea l’irrinunciabilità della presenza dell’al-lievo in modo autentico e sincero alle esperienze didattiche della classe, il costrutto di partecipazione evidenzia quanto sia importante che ciascuno si senta investito di una parte nella recita collettiva.

Sicuramente il lavoro di gruppo rappresenta la modalità più coerente con un’organizzazione inclusiva. La mediazione didattica incentrata sulla lezione, tratteggiata nel precedente punto, è espressione del «sapere sapiente» del docente; il lavoro di gruppo, invece, è lo spazio in cui si realizzano la media-zione sociale e un apprendimento reciproco tramite l’assunzione di specifiche

La legge n. 107/2015: nuovi scenari e vecchi problemi 125

responsabilità individuali, la maturazione di abilità sociali e l’interazione co-struttiva tra i componenti del gruppo.

Ogni membro del gruppo deve essere consapevole che la sua parte di lavoro è necessaria al gruppo per completare il compito; per poter lavorare in gruppo sono necessarie, oltre alle normali abilità scolastiche, una serie di abilità interpersonali e di relazione nel piccolo gruppo; lavorando insieme gli studenti interagiscono e cercano di sostenersi a vicenda, sia dal punto di vista cognitivo che relazionale. (Cacciamani e Giannandrea, 2004)

Il ruolo dell’insegnante è decisivo nel caratterizzare le modalità di inte-razione che si svolgono nella classe e nel promuovere quei gesti educativi che trasformano la classe in vero e proprio gruppo.

L’apprendimento cooperativo, come si sottolinea nelle Indicazioni del 2012, va incoraggiato per il fatto che, se ben organizzato, consente a ogni alunno di essere posto nelle condizioni «di capire il compito assegnato e i traguardi da raggiungere, di riconoscere le difficoltà e stimare le proprie abilità, imparando così a riflettere sui propri risultati, valutare i progressi compiuti, riconoscere i limiti e le sfide da affrontare, rendersi conto degli esiti delle proprie azioni e trarne considerazioni per migliorare» (MIUR, 2012, p. 27).

Il lavoro di gruppo diventa il milieu attraverso cui può essere compiuto il passaggio dal sostegno ad personam, con i rischi che questo comporta (espro-priazione relazionale, etichettamento, mero collocamento spaziale dell’alunno), al sostegno plurale, un vero e proprio servizio di prossimità che vede l’impegno di tutti, soprattutto dei coetanei.

Le differenze tra gli studenti vengono utilizzate come risorsa per l’insegnamento e per l’apprendimento

Siamo arrivati all’ultimo dei quattro indicatori dell’Index per l’inclusione (Ainscow e Booth, 2008).

La diversità come risorsa è un principio frequentemente richiamato nel quadro normativo del nostro Paese, sia nelle fonti legislative sia in quelle amministrative. Non costituisce, pertanto, una novità, anche se nelle prassi organizzative delle scuole risulta uno degli aspetti più trascurati.

La ragione principale di tale disattenzione va ricercata negli orientamenti culturali del vecchio continente, che ha riservato scarso interesse ai temi della differenza. Basti ricordare il trattamento riservato ai malati mentali, ai cosid-detti «idioti» o «deficienti», la storia dei quali si perde quasi sempre in una

126 La valutazione degli alunni con BES

sorta di porto delle nebbie. Questo condizionamento riguarda anche l’Italia e il nostro sistema educativo.

Un secondo ordine di motivi risiede nella predominanza del modello clinico su quello educativo-culturale, che già Maria Montessori aveva ben espresso alla fine del 1800, quando scrisse che il problema dei «deficienti» era più di natura pedagogica che medica.

Questa, in buona sostanza, è anche la battaglia che Franco Basaglia ha combattuto, nel settore della psichiatria, negli anni Settanta del Ventesimo secolo, affermando che «la scienza assolve il proprio compito fornendo codi-ficazioni ed etichette che consentono la netta separazione dell’abnorme dalla norma» (Basaglia e Basaglia Ongaro, 1971).

La trasposizione in chiave educativa di un diagnosi clinica rappresenta un momento certamente difficile e incontra ostacoli di varia natura. Il primo è rappresentato dalla difficile integrazione tra il livello nomotetico e quello idiografico.

In prima istanza, la diagnosi viene redatta sulla base di un sistema di clas-sificazione riconosciuto dalla comunità scientifica in ambito internazionale (ICD-10, DSM), secondo un parametro generale (nomotetico). La commis-sione, gli enti accreditati o il singolo specialista (nel caso di una diagnosi di DSA o BES) indicano le peculiarità di una persona in base all’appartenenza a una categoria medica.

Il criterio idiografico, che può essere contenuto anche nella valutazione clinica, è riferito invece alla storia personale del soggetto, ai vissuti emotivi, alle potenzialità e criticità che egli esprime nello svolgersi della vita quotidiana. Si tratta di una costruzione originale, irripetibile, non ascrivibile a una categoria ge-nerale, ma a uno specifico frammento di vita: una visione per l’appunto idiografica.

La redazione del «Profilo di funzionamento» introdotto nel D.lgs. n. 66/2017 sembra andare decisamente in questa direzione.

La dimensione nomotetica interessa le scienze sperimentali; quella idiografica le scienze dell’uomo; nella concezione di Jerome Bruner, la prima appartiene al pensiero paradigmatico (delle teorie e delle concezioni universali), la seconda al pensiero narrativo (tipico della storia delle persone).

Nella stesura del PEI e del PDP occorre integrare le due concezioni dell’individuo. È del tutto evidente, però, che il linguaggio dell’educazione appartiene quasi esclusivamente alla concezione narrativo-idiografica: non possiamo chiedere alla scienza ciò che la scienza non può dare.

Il progetto educativo si muove sul filo della complessità dell’esistenza umana e il linguaggio narrativo corrisponde pienamente alle istanze richieste nell’invenzione di un cammino originale.

La legge n. 107/2015: nuovi scenari e vecchi problemi 127

La ricchezza di una biografia è un processo di disvelamento straordinario, che deve trovare però persone disponibili a scoprire le trame di questo romanzo esistenziale: i docenti, innanzitutto.

I tre registri del buon insegnante: epistemico, relazionale, pragmatico

Due ricercatrici francesi, Vinatier e Altet, hanno delineato molto effi-cacemente tre poli su cui si articola la gestione dell’aula, che sintetizzano le riflessioni contenute nei due precedenti paragrafi.

Si tratta di tre registri che denotano la qualità educativa della classe e che esaltano le competenze professionali del buon insegnante: epistemico, relazionale e pragmatico.

Il registro epistemico concerne la costruzione del sapere e come i docenti attivano, sostengono e accompagnano tale fondamentale attività. Questa cen-tralità riguarda la scelta dei contenuti, le strategie relative alla mediazione di-dattica e la valutazione, sia in relazione ai risultati conseguiti dagli allievi sia alle pratiche riflessive dei docenti. Le domande che si pone l’insegnante in questa funzione epistemica sono molteplici: quali criteri stanno alla base della scelta dei contenuti (estensivo, intensivo), quali mediatori si prevede di utilizzare, il tipo di valutazione da adottare e l’assegnazione dei compiti di studio (grado delle difficoltà, di appropriazione delle conoscenze da parte dello studente, ecc.). L’interesse è rivolto principalmente alle caratteristiche dei linguaggi disciplinari — quelle relative all’oggetto di insegnamento-apprendimento.

La stessa polarità, però, comprende anche una seconda dimensione che riguarda i processi di negoziazione di senso di quanto viene proposto all’alunno. Quale valore attribuisce lo studente ai saperi che l’insegnante gli comunica e su cui deve esercitare un pensiero applicativo e critico allo stesso tempo? La domanda è quanto mai attuale, tenuto conto delle straordinarie potenzialità di accesso alle informazioni che Internet consente ai giovani di tutte le età.

Sia sulla scelta dei contenuti sia sul senso dell’esperienza educativa, le Indicazioni del 2012 sono ancora una volta inequivocabili: «La valorizzazione delle discipline avviene pienamente quando si evitano due rischi: sul piano culturale, quello della frammentazione dei saperi; sul piano didattico, quello dell’impostazione trasmissiva» (MIUR, 2012, p. 25).

Per quanto concerne i contenuti di insegnamento, si sottolinea che la scuola primaria mira all’acquisizione degli apprendimenti di base, mentre la secondaria di 1° grado è finalizzata a una più approfondita padronanza delle discipline e a un’articolata organizzazione delle conoscenze.

128 La valutazione degli alunni con BES

Nel paragrafo Il senso dell’esperienza educativa (MIUR, 2012, p. 24), si sottolinea quanto segue: «Fin dai primi anni la scuola promuove un percorso di attività nel quale ogni alunno possa assumere un ruolo attivo nel proprio apprendimento, sviluppare al meglio le inclinazioni, esprimere le curiosità, riconoscere ed intervenire sulle difficoltà, assumere sempre maggiore consa-pevolezza di sé, avviarsi a costruire un proprio progetto di vita».

In questo senso, la scuola non insegna solo i codici alfabetici, ma anche le regole del vivere e del convivere e l’elaborazione dei saperi necessari per comprendere la condizione dell’uomo nei diversi contesti del pianeta.

Il registro relazionale concerne la gestione dei rapporti in funzione degli scambi comunicativi e del dialogo educativo tra i docenti e gli allievi. Lo spa-zio di parola, l’interazione verbale e non verbale, la soddisfazione reciproca, l’incoraggiamento, la percezione dell’autostima degli alunni, le modalità dell’accoglienza, ecc. sono alcuni dei tratti che regolano tale registro. Ci aiuta a cogliere le tonalità di questo ambito professionale il concetto, cui si è accennato nel corso del testo, di capability, cioè della reale capacità e libertà della persona di promuovere e raggiungere il proprio benessere.

Per tutti gli studenti, in particolare per coloro che vivono ostacoli e diffi-coltà, il raggiungimento di una condizione di agio psicologico è determinante nel costruire la propria storia di vita. La persona deve però incontrare contesti e altre persone che le diano la libertà di crescere e di compensare deficit, disa-bilità, disturbi. Il registro relazionale è espressione dello spazio delle passioni, che erroneamente viene considerato antitetico rispetto a quello della ragione. Sottolinea, a questo proposito, il filosofo Remo Bodei:

[…] se proprio si vuole restare nell’ambito concettuale di una dualità tra ragione e passioni, bisognerebbe almeno abbandonare l’immagine di questo rapporto come arena dello scontro fra logica e assenza di logica, fra ordine e disordine, trasparenza e oscurità, legge e arbitrio […]. Si potrebbe interpretare questo rapporto, semmai, quale conflittualità tra due logiche complementari, che operano secondo lo schema «né con te, né senza di te». (Bodei, 2003)

Il registro relazionale dei docenti è un’arma a doppio taglio: può cancellare o rimarginare le paure che l’alunno porta con sé nel cammino scolastico, ma può anche penetrare nelle pieghe dell’anima, ferendola mortalmente.

Il registro pragmatico è riferito alla gestione delle sequenze di insegna-mento. È l’insieme delle modalità con cui i docenti gestiscono il rapporto tra tempo, spazio, compito, studio e interazione reciproca. Questa dimensione si manifesta con varie forme di linguaggi, verbali, non verbali, gestuali, in quanto

La legge n. 107/2015: nuovi scenari e vecchi problemi 129

la posta in gioco è quella di garantire un ordine adeguato in vista dello sviluppo delle attività proposte.

La competenza pragmatica dell’insegnante è apprezzata dagli alunni e dai genitori contrari in genere alla dispersione di tempo ed energie, che si verifica quando i docenti assumono comportamenti autoritari o, all’opposto, permissivi. Autoritarismo e permissivismo finiscono per ottenere i medesimi deludenti risultati: disinteresse, scarsa determinazione, incapacità di resistere alle situazioni avverse e assenza di convinzione.

Il pragmatismo e la risolutezza del docente sono tratti professionali che devono caratterizzare il clima della classe, sia nei momenti in cui i saperi vengono affrontati con modalità prevalentemente trasmissive sia nei contesti di cooperative learning. Infatti, come sottolineato nelle pagine precedenti, il lavoro di gruppo richiede il rispetto di sequenze temporali e una conduzione rigorosa dei compiti assegnati, in assenza delle quali non è immaginabile nessun significativo percorso formativo.

Il progetto individuale e il Piano educativo individualizzato

L’art. 6 del decreto legislativo n. 66 del 16 maggio 2017 disciplina gli aspetti legati alla formulazione del profilo di funzionamento, precedentemente esaminato, del progetto individuale, che è redatto dal competente ente locale su richiesta e con la collaborazione dei genitori o di chi ne esercita la potestà genitoriale, e del Piano educativo individualizzato. Come già sottolineato, la diagnosi funzionale e il profilo dinamico funzionale vengono ricompresi nel Profilo di funzionamento. Le prestazioni, i servizi e le misure del progetto individuale sono definite, oltre che con i soggetti sopra richiamati, anche in collaborazione con le istituzioni scolastiche.

L’art. 7 del decreto aggiorna le funzioni del Piano educativo individualiz-zato, la cui progettazione viene curata dalle istituzioni scolastiche. Nel decreto si afferma che il Piano educativo individualizzato (PEI):1. è elaborato e approvato dai docenti contitolari o dal consiglio di classe, con

la partecipazione dei genitori o dei soggetti che ne esercitano la responsa-bilità, delle figure professionali specifiche interne ed esterne all’istituzione scolastica che interagiscono con la classe e con la bambina o il bambino, l’alunna o l’alunno, la studentessa o lo studente con disabilità nonché con il supporto dell’unità di valutazione multidisciplinare;

2. tiene conto della certificazione di disabilità e del Profilo di funziona-mento;

130 La valutazione degli alunni con BES

3. individua strumenti, strategie e modalità per realizzare un ambiente di ap-prendimento nelle dimensioni della relazione, della socializzazione, della comunicazione, dell’interazione, dell’orientamento e delle autonomie;

4. esplicita le modalità didattiche e di valutazione in relazione alla program-mazione individualizzata;

5. definisce gli strumenti per l’effettivo svolgimento dell’alternanza scuola-lavoro, assicurando la partecipazione dei soggetti coinvolti nel progetto di inclusione;

6. indica le modalità di coordinamento degli interventi ivi previsti e la loro interazione con il progetto individuale;

7. è redatto all’inizio di ogni anno scolastico di riferimento, a partire dalla scuola dell’infanzia, ed è aggiornato in presenza di nuove e sopravvenute condizio-ni di funzionamento della persona. Nel passaggio tra i gradi di istruzione, compresi i casi di trasferimento fra scuole, è assicurata l’interlocuzione tra i docenti della scuola di provenienza e quelli della scuola di destinazione;

8. è soggetto a verifiche periodiche nel corso dell’anno scolastico al fine di accertare il raggiungimento degli obiettivi e apportare eventuali modifiche e integrazioni.

Un possibile schema per la stesura del PEI e del PDP può essere articolato come segue:– dati anagrafici dell’alunno con disabilità, DSA o con BES: scolarità pregressa,

caratteristiche della frequenza scolastica, ecc.;– quadro delle informazioni acquisite a inizio d’anno: degli specialisti, dei

genitori, dei docenti e di tutte quelle figure che sostengono il percorso per-sonalizzato (educatori, assistenti, tutor);

– progettazione del piano annuale individualizzato: identificazione degli obiettivi e dei risultati attesi riguardanti gli apprendimenti, l’autonomia personale, il benessere sociale, ecc.;

– progettazione delle attività e delle esperienze di apprendimento che si inten-dono sviluppare in un arco di tempo più circoscritto (mensile o bimestrale);

– valutazione periodica e finale degli esiti conseguiti sul piano cognitivo, affettivo, sociale;

– relazione conclusiva del gruppo docente e del consiglio di classe, eventual-mente allargata al contributo degli altri attori del percorso, in cui si eviden-ziano i progressi e i problemi incontrati, i punti di debolezza e gli interventi che si prevedono di fare già nella fase di avvio dell’anno scolastico successivo. La relazione, essenziale e mirata, costituisce uno straordinario strumento di progettazione-valutazione, tanto che lo stesso gruppo di lavoro o un gruppo

La legge n. 107/2015: nuovi scenari e vecchi problemi 131

eventualmente rinnovato può assumere quel documento valutativo come base per avviare adeguate e coerenti attività fin dalle prime settimane dell’an-no scolastico successivo, senza perdite di tempo che, nel caso di alunni con difficoltà, risultano doppiamente penalizzanti.

I punti sopra indicati dovranno essere oggetto di attenta ricostruzione biografica.

«La raccolta delle voci che hanno dato vita a una buona storia rappresenta la condizione imprescindibile per costruire trame collaborative e sistemi di aiuto concretamente praticabili. La comprensione di una storia determina uno spazio antropologico che permette a tutti gli attori di sentirsi parte del processo di risignificazione della realtà» (Rondanini, 2008).

Il pensiero narrativo estende la possibilità di comprendere le persone; consente, quindi, di raggiungere quella «ulteriorità di senso» che permette di arrivare ai livelli più elevati di riconoscimento.

PEI e PDP: le voci di un possibile modello

Alla luce del quadro sin qui delineato, dovrebbe risultare abbastanza chiara la «filosofia» della progettazione personalizzata: istituzione scolastica, gruppo docente (nella scuola dell’infanzia e primaria), consiglio di classe (nella secondaria di 1° e 2° grado), referenti d’istituto sono i soggetti che dovranno assicurare che PEI e PDP non si traducano in uno sterile adempimento, ma diventino al contrario strumenti di una concreta innovazione educativa, di-dattica e organizzativa.

Il PEI, per gli alunni con disabilità, è previsto nella legge n. 104 del 1992; il PDP, per gli allievi con DSA, è indicato nella legge n. 170 del 2010 e sotto-lineato nelle Linee guida del 2011, mentre il PDP per gli alunni con bisogni educativi speciali è incluso nella direttiva del 27 dicembre 2012 del MIUR e richiamato nella CM dell’8 del marzo 2013.

Sulla scorta di quanto sottolineato nel paragrafo La valutazione formativa del capitolo 4, una coerente progettazione del PEI e del PDP non può che rifarsi ai criteri utilizzati nella valutazione iniziale, incentrata sul rapporto tra: scuola e alunno; singolo insegnante del team/del CdC e alunno; compagni di classe e alunno; alunno e attività di apprendimento; alunno e area del sé; scuola e famiglia. Indicativamente, possiamo ordinare le voci che compongono questi macroambiti in tre raggruppamenti, che fanno riferimento rispettivamente:– alle relazioni tra i soggetti;– all’organizzazione dei contesti;