La Tradizione Ermetica

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 LA TRADIZIONE ERMETICA Albero ermetico Un filo sottile che scorre quasi invisibile nell'arco dei millenni della storia umana, lega tra loro  personaggi di varia estrazione e collocazione storica, che si sono occupati della cosiddetta "Arte Regale" o "Arte Reale", ricollegandosi ad un archetipo comune la cui esistenza sta a metà tra realtà storica e leggenda: Ermete Trismegisto, vale a dire tre volte grande, già conosciuto dalla tradizione esoterica dell'antico Egitto. I figli di Ermete, i filosofi ermetici, parlano in termini criptici di una dottrina che non è pura e semplice conoscenza, ma che, partendo dalla conoscenza della realtà consente al vero iniziato di compiere operazioni che lo possono reintegrare con il Principio Pri mo, l'Uno da cui tutto discende e verso cui tutto tende. I filosofi ermetici, rifacendosi al "Corpus Hermeticum", che risalirebbe allo stesso Ermete, hanno descritto la dottrina ermetica in termini di simboli che ne sintetizzano i principi ed in termini di operazioni che ne costituiscono il percorso operativo. Le parole più adatte per descrivere lo spirito con cui intraprendere questo cammino le troviamo  proprio nel "Corpus Hermeticum": <<Innalzati oltre ogni altezza, discendi oltre ogni profondità, raccogli in te tutte le sensazioni delle cose create, dell'acqua, del fuoco, del secco, dell'umido.  Pensa di essere simultaneamente dappertutto, in terra e mare e cielo: che tu non sia mai nato, che tu sia ancora embrione, giovane e vecchio, morto e oltre la morte. Comprendi tutto insieme: i tempi, i luoghi, le cose, le qualità e le quantità>>. Chi intraprende questo percorso deve aderire ad una concezione eroica e non sacerdotale e ne deve comprendere il carattere necessitante. Mentre la conoscenza scientifica può essere volta indifferentemente al bene o al male, la vera conoscenza ermetica fornisce il potere di comandare sulle nature angeliche, di realizzare la vera natura dell'uomo. Di nuovo con le parole del "Corpus Hermeticum:

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LA TRADIZIONE ERMETICA 

Albero ermetico

Un filo sottile che scorre quasi invisibile nell'arco dei millenni della storia umana, lega tra loro

 personaggi di varia estrazione e collocazione storica, che si sono occupati della cosiddetta "Arte

Regale" o "Arte Reale", ricollegandosi ad un archetipo comune la cui esistenza sta a metà tra realtà

storica e leggenda: Ermete Trismegisto, vale a dire tre volte grande, già conosciuto dalla tradizione

esoterica dell'antico Egitto.

I figli di Ermete, i filosofi ermetici, parlano in termini criptici di una dottrina che non è pura e

semplice conoscenza, ma che, partendo dalla conoscenza della realtà consente al vero iniziato di

compiere operazioni che lo possono reintegrare con il Principio Primo, l'Uno da cui tutto discende e

verso cui tutto tende.

I filosofi ermetici, rifacendosi al "Corpus Hermeticum", che risalirebbe allo stesso Ermete, hanno

descritto la dottrina ermetica in termini di simboli che ne sintetizzano i principi ed in termini dioperazioni che ne costituiscono il percorso operativo.

Le parole più adatte per descrivere lo spirito con cui intraprendere questo cammino le troviamo

  proprio nel "Corpus Hermeticum":<<Innalzati oltre ogni altezza, discendi oltre ogni profondità,raccogli in te tutte le sensazioni delle cose create, dell'acqua, del fuoco, del secco, dell'umido.

 Pensa di essere simultaneamente dappertutto, in terra e mare e cielo: che tu non sia mai nato, chetu sia ancora embrione, giovane e vecchio, morto e oltre la morte. Comprendi tutto insieme: i

tempi, i luoghi, le cose, le qualità e le quantità>>.Chi intraprende questo percorso deve aderire ad una concezione eroica e non sacerdotale e ne deve

comprendere il carattere necessitante.

Mentre la conoscenza scientifica può essere volta indifferentemente al bene o al male, la veraconoscenza ermetica fornisce il potere di comandare sulle nature angeliche, di realizzare la vera

natura dell'uomo. Di nuovo con le parole del "Corpus Hermeticum:

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<<L'uomo non è sminuito dall'avere una parte mortale, ma questa mortalità accresce la sua possibilità e la sua potenza. Le sue doppie funzioni gli sono possibili per la sua doppia natura: egliè costituito in modo da abbracciare ad un tempo il terrestre ed il divino. Anzi non temiamo diaffermare la verità. L'uomo vero è al di sopra degli dei celesti o per lo meno uguale a loro. Poichénessun dio lascia la sua sfera per venire sulla terra, mentre l'uomo sale in cielo e lo misura. Ondeosiamo affermare che l'uomo è un dio mortale e che un dio celeste è un uomo immortale>>.

Avendo chiara la difficoltà di questo cammino, per l'elevatissima meta che si pone, esaminiamosinteticamente l'insegnamento ermetico, così come tramandato dai filosofi ermetici, che spesso

hanno utilizzato un trasposto linguaggio alchemico.

Vane furono le speranze di quelli che fraintesero questa trasposizione, interpretandola "ad litteram".

La ricerca della mitica "Pietra Filosofale", capace di trasmutare il Piombo in Oro, è destinata al

fallimento se non si comprende che l'Oro non è quello materiale ma è il simbolo della raggiunta

  perfezione esoterica.

La Pietra

Filosofale

Chi si accosta a questa dottrina deve quindi imparare a comprendere il linguaggio figurato dei

simboli e dei principi alchemici. Secondo la tradizione ermetica la realtà ha origine dall'Uno, dal

Caos, dal Tutto. Con le parole della "Tabula Smaragdina":

<<Il Telesma, il Padre di tutte le cose, è qui>>.

Simbolicamente ciò è indicato con un Cerchio, cioè con una linea che si chiude su se stessa, che

segna Principio e Fine, che è il Tutto, l'Universo.

Questo è il Magnum Mysterium, è il grande oggetto della ricerca. Questo è il Tutto. Da Lui il Tutto

e per suo mezzo il Tutto. Due nature, una essenza sola, che l'una dall'altra è attratta e l'una dall'altra

è dominata. E' l'Acqua Divina, la cui natura è arduo contemplare, Acqua dell'Abisso, Acqua

Misteriosa, Acqua Eterna, Acqua Argento. E' il Mare inteso come Sorgente della Vita, è quello che

i Saggi chiamano Myriam e che i cristiani chiamano Maria.

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L'antica sapienza dell'India così parla dell'Uno nelle Upanishad:

<<Si guardò intorno e nulla vide di diverso da se medesimo "QUESTO SONO IO", furono le prime parole che pronunciò. Egli ebbe paura. Perciò ha paura chi è solo. Ma poi pensò "Di chi dunqueho paura, se nulla vi è all'infuori di me". Quindi gli passò la paura. Egli non era contento. Perciònon è contento chi è solo. Egli sentì il desiderio di un altro.

  La sua grossezza era allora quella di un uomo e di una donna abbracciati. Egli si scisse in due parti. Così ebbero origine il Principio Maschile ed il Principio Femminile>>

SHRY-YANTRA

Interazione tra i principi maschile e femminile (Rajasthan, Secolo XVIII)

Questa narrazione mitologica esprime il concetto alchemico della separazione che

dall'uno produce due principi, quello solare , con il punto centrale che si

manifesta nel caos come principio di fissità incorruttibile, di stabilità, di

trascendenza, e quello lunare , che rappresenta la possibilità indeterminata, la

capacità di trasformazione infinita.

Si determinano così gli elementi primordiali fuoco e acqua .

Il fuoco, che corrisponde all'oro ed al colore rosso, è fiamma che non brucia, ardore

di generazione, principio incorporeo di ogni animazione. L'elemento acqua è già un

concetto derivato dal concetto prima espresso di acqua eterna, di Uno-Tutto,

rappresenta la caduta verso il basso, natura vinta e dominata dalla natura, principio di

identificazione e di immedesimazione. La dottrina ermetica c'insegna che il percorso

che porta dal Principio Eterno a noi va ripercorso a ritroso per andare da noi verso

l'Eterno. Se domina il principio lunare stiamo seguendo una via mistica, se domina il

 principio solare stiamo seguendo una via eroica, bisogna trovare il giusto equilibrio

tra i due principi per seguire la giusta via iniziatica.

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I due elementi sono associati ad operazioni Alchemicamente espresse, l'acqua

materializza l'operazione di dissolvimento (SOLVE), capacità di divenire ogni cosa,

mentre il fuoco rappresenta la potenza di individuazione precisa, specializzazione,

qualificazione e corrisponde all'operazione di ricongiungimento (COAGULA).

SOLVE e COAGULA sono le operazioni alchemiche fondamentali, ogni operazione

complessa si realizza con una sequenza di solve e coagula, questo l'insegnamento

criptico dei filosofi ermetici. Fuoco è attività, è rappresentabile con un tratto verticale

|, Acqua è passività, è rappresentabile con un tratto orizzontale -. L'incontro dei due

 principi determina la croce +, simbolo molto antecedente alla Religione Cristiana, che

in quanto incontro di fuoco e di acqua equivale al Sigillo di Salomone e che ci ricorda

come recita la "Tabula Smaragdina": <<È vero senza menzogna, certo è verissimo.Ciò ch'è in basso è come ciò ch'è in alto, e ciò ch'è in alto è come ciò ch'è in basso,

 per fare i miracoli della cosa una>>. 

Il punto centrale rappresenta la quintessenza, contiene già in potenza tutta la croce,

come sintesi attiva dei due principi, ma anche come punto di caduta, di

neutralizzazione, di fissazione, di arresto , espresso in termini di elementi alchemici,

dal sale, dalla pietra, dalla corporeità, dalla terra.

Imprigionando, fissando, arrestando il naturale moto di fuoco e di acqua si ottengono

gli altri due elementi primordiali aria e terra .

Ai quattro elementi primordiali, raggruppabili nella croce +, i maestri ermetici

affiancano tre principi espressi in termini alchemici: il Solfo, formato dalla croce

sottoposta al fuoco che simboleggia lo spirito; il mercurio, ove i quattro elementi

sono sottoposti alla natura, su cui a sua volta domina la legge lunare del divenire, è il

simbolo dell'anima; il sale, che esprime la fissazione, l'identificazione, è simbolo del

corpo.

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L'elemento Terra imprigiona tutti i nostri sensi, quelli che a noi appaiono fuoco aria

acqua terra è in realtà filtrato attraverso l'elemento Terra, non coincidono con gli

elementi primordiali, che non possiamo sentire attraverso i nostri sensi. Nell'uomo

l'elemento terra è materializzato dallo scheletro, l'acqua dal sistema nervoso e

linfatico, il fuoco dal sistema circolatorio, l'aria dallo spirito aureo che ne è l'essenza

vitale, reso prigioniero dalla terra, concetto che coincide con quello espresso nelle

Upanishad dal principio dell'ATMAN, il respiro vitale, il soffio di vita.

I sette enti così ottenuti sono poi rappresentabili attraverso i sette punti Chakra ed

attraverso i sette pianeti tradizionalmente conosciuti, così come sono sette le porte

che gli iniziati ai misteri di Mithra devono superare successivamente. Il percorso

attraverso così delineato attraverso i sette elementi simboleggiati da sette pianeti va

compiuto con sette successive operazioni alchemiche e può essere così schematizzato

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Si va dal Piombo all'Oro per mezzo di operazioni di sublimazione (solve) e di

  precipitazione successiva (coagula) che portano da un pianeta a componente

dominante maschile ad uno a dominante femminile e viceversa.

Da Saturno verso Il Sole, secondo la spirale centripeta, si segue il cammino iniziatico

di ricongiunzione dal corpo verso l'Uno.

La spirale centripeta, dal Sole verso Saturno, è il percorso della eterna e sempre

reiterata Creazione.

I Sette

Pianeti

Chi voglia compiere questo cammino deve essere padrone delle operazioni

alchemiche basilari (l'interpretazione di tutto quanto qui scritto è ovviamente intesa in

senso figurato e simbolico). Prima di tutto la separazione, vale a dire la liberazione

del principio vitale (Mercurio) dalla prigione del corpo.

Ciò si compie attraverso l'OPERA AL NERO, che si realizza attraverso una forma di

morte.

La morte fisica compierà integralmente quest'opera, se vi si giunge opportunamente

  preparati, ma i maestri ermetici fanno riferimento alla morte filosofale, attiva, che

uno spirito volitivo può dominare allontanandosi momentaneamente dal corpo.

Un prototipo di tale operazione si ha nella fase di sogno che mantenga, nel sonno, una

coscienza attiva.

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Apocalisse, Il Quarto Sigillo

La Morte segue l'Agnello

Miniatura napoletana del XIV° Secolo

Si tratta comunque di difficilissime operazioni che presentano rischi non indifferenti,

agevolabili attraverso un dosaggio lento e graduale dell'azione, senza troppa fretta: si

  parla di operazioni "a fuoco lento", una fiamma troppo forte distruggerebbe tutta

l'opera.

L' Athanor 

Una volta che il mercurio si sia separato, va rifissato al corpo, per evitare che

svanisca.

Tale processo è la cosiddetta OPERA AL BIANCO, che è la rinascita, la rifioritura,

la vittoria della vita sulla morte, è l'azione dell'acqua di vita (un terzo tipo di acqua

simbolicamente intesa). Al bianco così ottenuto, deve essere l'oggetto del

ricongiungimento, il principio maschile si deve ricongiungere con il principio

femminile, riottenendo la fissazione alla terra, ma con un più alto livello di

consapevolezza esoterica.

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Una frase indicativa e scolpita nella Porta Magica di Piazza Vittorio a Roma, "Aqua

torrentum convertes in Petram".

Tale acqua fissata, congelata porta all'origine del termine ANtico GELO ------>>

ANGELO.

Lo stato angelico è quello di pieno dominio, di ricongiunzione col bianco, di

immortalità. A questo ambito appartiene il Mito Evangelico dell'Uomo che, innalzato

sulla Croce, trafitto versa rosso sangue e bianca acqua, deposto nel Sepolcro (Terra)

ne discende le profondità (Inferi), resuscita (ascesa) assumendo prima la forma

celeste quindi (discesa) nuovamente quella umana (ricongiunzione al bianco), fino

alla Pentecoste, quando lo Spirito discende ad impregnare completamente il Corpo ed

a rivivificarlo!

Quindi sale al Cielo dove potrà giudicare "i vivi e i morti", ove con "morti" l'ermetico

sa intendere tutto ciò che è impuro e non resisterebbe al fuoco alchemico.

Ipogeo di Tutankanon

Il mistero della rinascita

Per completare un percorso già abbastanza arduo va poi compiuta la finale OPERA

AL ROSSO, con un intensificazione ulteriore della fiamma sul composto che ora

fissato resiste a tale apocalittica potenza.

Tale fiamma si ricongiunge al corpo direttamente, senza passare dalle acque e che

risveglia il fuoco primordiale che ha sede nella telluricità del corpo.

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La terra che si trovava nel fondo dell'Athanor (così gli alchimisti chiamano il vaso

ove avvengono le operazioni) è la miniera da cui si estrae l'ORO (simbolico). Solo

così sarà compiuta la GRANDE OPERA. Ciascuno di noi misuri le proprie forze e

decida se e come affrontare quest'arduo percorso.

Albrecht Durer: Melencolia (1514)

OSIRIDE

.. Osiride era il quarto dio che regnava in terra. .. I suoi predecessori si erano ritirati

in cielo stanchi e scoraggiati: non erano riusciti ad educare gli uomini. Solo un dioche accettasse di condividere le sofferenze e la morte segnata nel destino dell'uomo

poteva vincere l'ardua impresa. Osiride .. con l'aiuto della moglie-sorella Iside, aveva

insegnato loro a lavorarare la terra, a coltivare la vite, il grano e l'orzo, ricavandone il

vino, la farina, il pane e la birra. Aveva anche mostrato loro come forgiare i metalli

per ottenere utensili e armi. A sua sorella e sposa Iside lei si doveva l'istituzione della

famiglia e l'insegnamento alle donne della tessitura e del ricamo. I due sposi

regnavano felici sull'Egitto. Osiride affiancato dal dio Thoth delle arti e della scienza,

inventò i segni della scrittura e si prestò a civilizzare il resto del mondo, lasciando al

governo dell'Egitto all'amata moglie Iside.

Ma Nefti, moglie di Seth, sedotta dalla bellezza del cognato, si era data a lui, dopo

aver assunto le sembianze di Iside, per non essere respinta. Dalla relazione nacque

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Anubi. Il fratello Seth - geloso - insieme ad Aso, la regina dell'Etiopia, avevano ordito

una congiura contro di lui: col pretesto di onorare Osiride, lo invitò come ospite

d'onore ad un banchetto, alla fine del quale fece portare una cassa riccamente

ornata e la mostrò ai commensali dicendo che l'avrebbe donata a quello, fra loro,che l'avesse riempita esattamente della propria persona. Appena Osiride si stese

nella cassa, Set e i convitati, suoi complici, inchiodarono ermeticamente il coperchio,

portarono la cassa in riva al Nilo e la gettarono nel fiume. Il cofano raggiunse le

spiagge del Biblo e si arenò ai piedi di un rigoglioso cespuglio di tamerice.

Immediatamente dalla tamerice nacque un altissimo albero d'acacia che nascose la

cassa racchiudendola al suo interno. Intanto Iside, venuta a sapere dell'accaduto,

raggiunse Biblo e si mise a cercare il cofano. Tutte le notti si trasformava in rondine

e svolazzando intorno alla colonna lanciava gridi strazianti a cui però nessuno faceva

caso.

Ospite della regina e sua cara amica, le svelò la sua segreta natura divina e diventò

la tutrice del figlioletto ammalato del re e della regina. Riconoscente dell'ospitalità,

decise di rendere immortale il principino ammalato: ogni notte lo immergeva nelle

acque purificatrici, ma invano. La regina ne fu profondamente rattristata, ma allo

stesso tempo grata e le avrebbe offerto tutto ciò che avesse voluto. Iside richiese ed

ottenne la grande colonna che, il re aveva fatto costruire con l'albero miracoloso,

dove era contenuto il cofano. Ne trasse lo scrigno e riempì il tronco di profumi, lo

avvolse in aulenti bende e lo lasciò al re e al suo popolo come suo ricordo e preziosa

reliquia.

Ripresa la via del ritorno, fece fermare la carovana e aprì la cassa. All'apparire del

volto del marito, le sue urla riempirono l'aria di dolore; usò tutte le possibili formule

magiche per richiamare in vita lo sposo, ma nulla cambiò. Straziata dal dolore, si

trasformò in falco e fece vento con le ali sul corpo senza vita dello sposo. La

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grandezza, la potenza e l'amore di Iside portarono alla resurrezione di Osiride, ma

solo per il tempo necessario al concepimento di Horus.

Iside nascose allora la cassa in un luogo presso Buto, nel fango, tra le paludi del

Delta. A turno il sarcofafago veniva vegliato dalla Dea e dai suoi fedeli aiutanti. Ma

per caso Seth, andando a caccia di notte lo trovò incustodito e apertolo, tagliò il

corpo del fratello in quattordici pezzi che sparpagliò per tutto l'Egitto. Iside,

saputolo, ricominciò la ricerca con l'aiuto della sorella Neftis, Thoth e Anubis e riuscì

a ricomporre il corpo. Le parti del corpo di Osiride furono tutte recuperate tranne il

membro virile, mangiato dall'ossirinco, un pesce comune nel Nilo. In ognuna delle

città dove furono recuperate le parti del corpo di Osiride sorse un tempio. Anubi neimbalsamò il corpo, confezionò la prima mummia fasciata e ricoperta di talismani;

sui muri del sepolcro furono incise le formule magiche di rito e accanto al sarcofago

fu deposta una statua a lui somigliante. Così Osiride ricominciò a regnare ma non più

sulla terra, bensì sul "Sito che è oltre l'Occidente", l'oltretomba. Compiuto il rito

della sepoltura, Iside ritornò a nascondersi nelle paludi per proteggere il nascituro

dalle vendette di Seth.

Nel contempo Seth era diventato re d'Egitto, ponendo fine al florido governo del

fratello assassinato. Quando Horo nacque, fu protetto con tutto l'amore, crebbe e

Osiride tornò sulla terra per farne un soldato. Radunati tutti i suoi fedeli, Horus partì

alla ricerca di Seth per vendicare il padre. La battaglia durò tre giorni e tre notti:

Horo mutilò Seth, ma questo si trasformò in un enorme maiale nero e ingoiò l'occhio

sinistro di Horo. Alla fine Seth stava per soccombere, quando Iside implorò il figlio di

risparmiarlo alla sorelle Neftis. Horo, in uno scatto di ira, tagliò la testa alla madre,

ma Thoth la guarì ponendole una testa di mucca (Hator - la Dea nutrice del Faraone).

La battaglia non ebbe né vincitori né vinti: tutta la battaglia fu posta nelle mani del

giudizio di Thoth. Thot, dio della saggezza e della sapienza, persuase i due

contendenti a sottoporsi al giudizio del consiglio degli dei ad Eliopoli. Il giudizio durò

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80 anni; nel frattempo Thoth guarì Seth che fu costretto a restituire l'occhio sinistro

ad Horo. Il Divino Tribunale diretto da Thot, sentenziò che Horus fosse il legittimo

erede di Osiride e, come tale, erede del trono del Basso Egitto. A Seth fu assegnato il

governo dell'Alto Egitto.

Dopo la sentenza, Horus compie un viaggio nel mondo sotterraneo per comunicare

la novella al padre. La felice notizia consente all'anima di Osiride di risvegliarsi per

divenire così, il simbolo della rinascita, lo spirito della vita. Giustizia e ordine

regnano di nuovo sovrani. Il legittimo erede è sul trono per continuare il buon

governo del padre, il ciclo naturale della vita continua dopo la morte. Osiride era

rinato nell'oltretomba divenendone sovrano e giudice delle anime dei morti chegiungevano nell'Aldilà.

LE 12 FATICHE DI ERCOLE

.. Le 12 fatiche di Ercole, o Eracle, [rappresentano] il racconto mitologico di ciascuna

fatica iniziatica simboleggiata anche dai 12 segni zodiacali; l'analogia del lavoro

interiore che il neofita deve compiere su sé stesso, superando, segno per segno, gli

ostacoli posti dalle 12 prove, sino a poter racchiudere in sé, in un'unità inscindibile,

tutt'e dodici i segni.

.. Eracle [nacque a Tebe,] figlio di Zeus e Alcmene, moglie di Anfitrione. .. Hera,

gelosa del tradimento del consorte, .. permise che, nel parto gemello di Alcmena,

Euristèo, concepito da Anfitrione, nascesse prima di Ercole, concepito da Giove. In

forza della primogenitura, Euristèo, governò su Micene e prescrisse al fratello le

famose dodici fatiche, dalle quali Hera sperava non potesse, alla lunga, uscire

incolume.

.. La sua prima prova fu la lotta col leone di Nemèa, mostro nato da Tifone e da

Echidna e che non poteva essere ucciso con nessun'arma, poiché la sua pelle era

invulnerabile. Per vincerlo, l'eroe lo costrinse a rifugiarsi nella tana, dopo averlo

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senza risultato colpito con le frecce e intontito con i tremendi colpi della sua clava;

quindi lo soffocò nella stretta delle sue braccia di acciaio. Poi, scuoiatolo, si servì

della pelle come di una veste, ricoprendosi il capo con la testa della bestia.

Secondo l'interpretazione della Bailey, l'episodio spiega come il candidato

all'iniziazione deve uccidere il leone della personalità, per far posto al disinteresse,

per imparare a subordinarsi al tutto. Anche secondo il filosofo O.M. Aivanhov,

l'episodio del leone nemeo corrisponde al quinto segno dello zodiaco. La prova

consisterebbe nel "vincere la fierezza orgogliosa e l'ostinazione del Leone, e

sviluppare la sua nobiltà, la sua grandezza, la sua rettitudine".

È da notare come la pelle del leone vinto da ora in avanti costituirà in un certo senso

la "divisa" di Eracle, l'abito che servirà a coprirlo.

La seconda fatica consistette nell'uccisione dell'Idra di Lèrna, dalle sette o, secondo

le versioni, nove teste, una delle quali immortale, mentre le altre rinascevano

appena recise. Il corpo dell'Idra era, per metà, quello di una bella ninfa, e, per metà,

quello di un serpente o drago. Ercole l'affrontò; e dopo aver bruciato le sei otto

teste mortali, per impedire che si riproducessero, finì il mostro.

L'Idra di Lerna rappresenta lo Scorpione, anche conosciuto come serpente o drago,

sede astrologica dell'istinto sessuale. La prova sarebbe quindi il dominio dell'istinto

da parte del candidato: l'Idra ben rappresenta la forza sessuale, alla quale,

nonostante si cerchi di tagliare le sue numerose teste, ricrescono con vitalità

frustante.

Lottare contro l'istinto, servendosi semplicemente della repressione e cercando di

annientare questa potente forza soltanto con la volontà, non porta alla vittoria: è

necessario trasformare l'istinto in qualcos'altro, e l'eroe, per riuscire, userà il fuoco,

simbolo dall'amore sacro.

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Il terribile Cinghiale d'Erimanto, che devastava l'Elide e l'Arcadia, è la terza prova di

Ercole. Inseguita la fiera fino alla cima del monte Erimanto, egli l'afferrò per le

quattro zampe e la portò viva dinanzi ad Euristeo.

Secondo la Bailey l'episodio è in analogia con il segno della Bilancia, poiché, per

catturarlo, Eracle costrinse l'animale a scendere dalla montagna tenendolo per le

zampe posteriori. L'animale perse così l'equilibrio, simbolo del segno in questione.

Secondo Aivanhov invece l'associazione è con la forza bruta di Marte, e quindi con il

segno dell'Ariete; a ulteriore riprova, egli cita una leggenda della mitologia greca:

Marte infatti per ferire Adone, del quale era furiosamente geloso, si trasformò

proprio in cinghiale.

Le due proposte si pongono in perfetta antinomia: nella zodiaco ciascun segno è

descritto e completato dall'opposto: considerando la ruota, Ariete e Bilancia sono

due raggi di uno stesso diametro.

La quarta fatica consisté nel prendere la cerva di Cerinèa, abbracciandola mentre

stava per sfuggirgli lanciandosi a nuoto nel fiume Ladine. L'animale, dai piedi di

bronzo e dalle corna d'oro, sacro a Diana, viveva sulle pendici del monte Cerine. Essa

si muoveva con tanta agilità e leggerezza nella corsa, tanto che nessuno era mai

riuscito a raggiungerla. Ercole l'insegui per un anno prima di riuscire a prenderla.

Anche per questa fatica abbiamo due diverse attribuzioni; il Cancro e il Capricorno,

segni complementari in opposizione esattamente come i precedenti. Secondo

Aivanhov la quarta impresa dell'eroe sarebbe in corrispondenza con il segno del

Capricorno a causa dell'animale rappresentato, che racchiuderebbe un significato

simbolico affine alla capra, glifo del decimo segno.

La Bailey sottolinea invece come l'aspirante iniziato, consegnando la Cerva, sacra ad

una divinità lunare, ad Apollo, raggiungerebbe un'espansione solare di coscienza. "è

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appunto il processo in gioco nel Cancro: ciò che in Ariete non era che istinto dovrà

riconcentrarsi per produrre il suo frutto in Leone".

La quinta fatica consisteva nel riuscire ad eliminare gli Uccelli del Lago Stinfalo, che

avevano artigli, becco, ali e penne di bronzo, di cui essi si servivano, lanciandole,

come di frecce.

I due autori concordano nell'attribuire l'impresa alla conquista delle qualità proprie

del Sagittario. La tappa fu superata da Ercole abbattendo gli uccelli con un'idea, vale

a dire quella di riuscire a produrre un suono insopportabile per il loro udito.

La sesta vede il nostro eroe impegnato nella conquista del Cinto d'Ippolita, regina

delle Amazzoni, alla quale era stato donato dal dio Marte. La figlia d'Euristeo

reclamava tale cinto per se stessa, e per carpirlo Ercole fu costretto ad affrontare le

bellicose Amazzoni. Durante la lotta egli assassinò la regina, cui tolse il cinto

desiderato, anche se un'altra variante del mito afferma che egli non l'uccise ma la

diede in sposa a Teseo.

Entrambi gli autori concordano nell'analogia tra le Amazzoni e il segno della Vergine.Ma, secondo la Bailey, l'episodio dell'uccisione della regina costituirebbe uno scacco

nell'iniziazione di Ercole, un errore.

Per la settima fatica Eracle doveva pulire le Stalle di Augia che l'omonimo re degli

Epei non aveva mai pulito. Stabbio e letame vi si erano così accumulati che l'impresa

pareva davvero impossibile. Augia in compenso gli promise la decima parte delle

bestie che vi erano ammassate. Ercole riuscì nel compito deviando nelle stalle ilcorso dei fiumi Alfeo e Peneo, che spazzarono via, con la violenza della loro

corrente, tutto l'enorme sudiciume.

Le acque dei fiumi rappresenterebbero le Acque spirituali dell'undicesimo segno,

l'Acquario, acque che sarebbero in grado di purificare il subcosciente dell'uomo.

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L'ottava fatica di Ercole è la cattura del Toro dell'isola di Creta. Nettuno, per punire

Minosse re di Creta di non aver eseguito i sacrifici necessari al suo culto, aveva

mandato nell'isola un toro ferocissimo, che l'eroe catturò vivo e condusse a Micene.

Il segno del Toro rappresenta, così come del resto il suo opposto, lo Scorpione,

l'istinto sessuale e gli istinti in genere, la brutale forza animale della lotta per la

sopravvivenza. Questo segno chiude la croce dei fissi, cioè dei segni centrali di ogni

stagione: Leone, Scorpione, Acquario e Toro.

.. Diomède era il crudele re dei Bistoni, che aveva l'abitudine di nutrire le sue cavalle

con la carne dei viandanti smarriti. Come nona fatica Ercole uccise Diomede, che,

poi, fece divorare dalle sue stesse cavalle. Però Euristeo, quando esse gli furono

condotte innanzi, preferì lasciarle in libertà.

Sia la Bailey che Aivanhov concordano nell'assimilare le cavalle all'attività mentale,

ma secondo la prima la fatica è in analogia con il segno dell'Ariete, per cui l'impresa

lo instraderebbe lungo la via dove s'impara a domare i propri pensieri. L'autore

bulgaro invece attribuisce le cavalle di Diomede ai Gemelli e al deleterio uso

dell'intelletto, facoltà che usata per separare, analizzare, esaminare, sezionerebbe la

realtà distruggendola. La fatica sarebbe quindi di monito contro l'eccessiva fiducia

nella propria attività mentale: i pensieri, secondo l'autore, possono davvero

diventare feroci belve carnivore.

La decima fatica consisté nella conquista dei buoi di Geriòne, un mostruoso gigante

con tre corpi che possedeva un ricco armento custodito da un drago con sette teste

e da un cane bicipite; la Bailey afferma che questa fatica sarebbe l'ultima, poiché gli

donerebbe l'immortalità: essa sarebbe in analogia con il segno dei Pesci, domicilio di

Nettuno, secondo il mito padre putativo del gigante. Aivanhov sostiene invece che la

fatica sia in analogia con il segno del Cancro, poiché i tre corpi, raffigurando i tre

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aspetti principali della personalità dell'uomo, fisico, emotivo e mentale,

rappresentano la personalità, in analogia con la Luna che governa appunto il Cancro.

L'undicesima fatica vede il nostro eroe impegnato nella conquista dei pomi d'oro del

giardino delle Esperidi. I preziosi frutti erano custoditi dal drago Ladòne e da Atlante.

Per venirne in possesso, Ercole propose ad Atlante di reggere per lui, sulle spalle, il

peso del cielo ma in cambio questi avrebbe dovuto cogliere per lui i pomi. Atlante

non avrebbe più voluto liberarlo, ma Ercole, con un'astuzia, riuscì a cavarsela.

La Bailey asserisce che, raccogliendo i frutti della conoscenza, Eracle apprenderebbe

il concetto di discriminazione, qualità in analogia con i Gemelli. Ma Aivanhov,

ricordando molto opportunamente come Hesperos sia il nome greco di Venere

mattutina, pone la fatica in analogia con il segno della Bilancia, il segno

dell'equilibrio.

La dodicesima ed ultima fatica, Eracle la compie scendendo all'Inferno dove secondo

alcuni uccide Cerbero, secondo altre versioni lo porta incatenato al povero Euristeo,

che gli impose di riportarlo subito all'Inferno. Però tutte le versioni concordano

nell'affermare che Ercole riuscì anche a liberare Teseo dopo che vi era stato

incatenato perché aveva tentato di rapire Proserpina.

La Bailey pone la fatica in corrispondenza con il Capricorno, ricordando come venga

prima dell'Acquario, per cui l'uccisione del Cane guardiano degli Inferi sarebbe

preliminare alla famosa pulizia delle stalle, mentre il filosofo bulgaro pone l'accento

sulla liberazione di Teseo e sul segno dei Pesci, "regno del caos e dell'indistinto, le

tenebre dell' inconscio dalle quali Ercole strappò Teseo per riportarlo alla luce, alla

coscienza".

Al termine di tutte queste fatiche, finalmente al nostro eroe fu concessa la libertà. ..

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APOLLO / FEBO

Apollo, detto Febo, era - come Artemide - figlio di Zeus e di Leto o Latona. Narravasi

che perseguitata dalla gelosia di Era, la povera Leto fosse stata costretta a

peregrinare di terra in terra prima di trovar un luogo sicuro dove dare alla luce i figli

suoi. [Esattamente come la Madonna, ndJB]

Febo-Apollo è il Dio raggiante, il Dio della benefica luce, il sole che vien fuori dal

grembo della notte (Latona, la nascosta), e Delo, che vuol dire «quella che mostra» è

il luogo per questa epifania della luce. .. La leggenda ce lo rappresenta fin da

giovinetto in lotta .. contro il serpente Pitone (Python) mostro parimenti nato dalla

terra, che infestava la pianura di Crisa nelle vicinanze di Delfo. Una simile vittoria di

un Dio contro un serpente, ricorre in tutte le mitologia, e simbolizza il trionfo del

giorno sulle potenze delle tenebre. Apollo avendo colle sue frecce ucciso Pitone,

n'ebbe il soprannome di Pizio, e Delfo divenne da allora in poi sede principale del

culto di questo Dio.

.. E, per i benefizi da lui apportati alla vegetazione, Apollo era venerato corna

Targello (Thargelios), il calore fecondo che matura i frutti della terra (di qui il nome

del mese Targelione, o Maggio [mese Sacro ad Apollo]). .. Egli è un Dio benefico e

datore di ogni felicità ai mortali, ma ha anche il suo carattere bellicoso e funesto. È

persino Dio della morte; manda pestilenze ed è cagione di morti improvvise. A Troia,

quando i Greci negarono al suo sacerdote Crise i dovuti onori, Apollo si appostò

lontano dalle navi, e per nove giorni volarono le sue pestifere saette nel campo

greco seminando la morte e la desolazione. Però se apporta questi mali, Apollo sa

anche guarirli; ed ecco riappare il carattere benefico del Dio; egli è anzi il Dio

salutare per eccellenza, protettore degli armenti e degli uomini, quegli che allontana

i mali, il medico; onde la leggenda lo fe' padre di Asclepio o Esculapio e lo identificò

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con Peone il medico degli Dei. E non solo dei corpi, ma è anche medico delle anime,

che ei guarisce dal male morale colle pratiche della purificazione. Dissipa le tenebre

dell'ignoranza e del peccato, come dissipa quelle della notte; e persino i perseguitati

dalle Furie sono da lui compassionati e difesi. ..

E poiché tra le cose che più calmano lo spirito e gli infondono una tranquilla pace è

la musica, niuna meraviglia che Apollo sia stato anche pensato come inventore della

musica. Il suo istrumento era la cetra o forminx, ed ei la sonava con grande abilità a

sollazzo degli dei immortali, durante i loro conviti. ..

Del divino suono della cetra di Apollo dà una bella descrizione Pindaro nella prima

Pitica, ricordando come a quel suono si spegne il fulmine, l'aquila vinta dalle

cadenze si addormenta sullo scettro di Zeus, Ares lascia in disparte le lance e tutti gli

Dei sentono molcersi il cuore. .. Dirigeva anche il coro delle Muse, figlie di Zeus e

Mnemosine; di qui il titolo di Apollo Musagete (Mousagetes, conduttore delle

Muse); e celebri cantori dell'età mitica, come Orfeo e Lino, furono detti suoi figliuoli.

Ma la più grande importanza presso tutte le stirpi greche e fino ai più tardi tempi

l'acquistò Apollo per l'attribuitogli potere divinatorio. Era creduto il profeta di Giove,

e i suoi oracoli, considerati come l'espressione infallibile della segreta volontà del

supremo Iddio, ebbero una notevole efficacia e nella politica degli Stati, e altresì nei

destini delle famiglie. Di oracoli d'Apollo in antico ve n'erano parecchi, .. ma il più

celebre senza contrasto era l'oracolo di Delfo.

.. I simboli di Apollo sono per lo più .. la cetra e la corona d'alloro [e, fra gli animali,]

il delfino. «[E il] topo, animale imparentato ad Apollo, e il cui comportamento era

considerato, nell'antica Grecia, particolarmente divinatorio.» (Luc Brisson

[http://www.societa-ermetica.it/brisson.htm])

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COSMOGONIA EGIZIA

* ELIOPOLI: come Atum-Ra, venuto all'esistenza da sé', generò l'enneade, il

gruppo dei nove dei che portò il mito nella storia.

Al principio sono le acque di Nun, il caos nelle cui profondità giace addormentato

lo spirito del creatore.

Gli Egizi non identificano in esse un principio negativo: si tratta di una sorta di

'brodo primordiale' in cui galleggiano, ancora informi, i germi della vita. Nun è il

disordine del non-creato che si oppone all'ordine del creato; la sua esistenza non

viene meno dopo la creazione quando "si estende sotto ogni luogo", contropartita

del mondo organizzato pronta a riespandersi qualora l'equilibrio del cosmo venga

meno.

Di qui emergerà la collinetta sabbiosa su cui, prendendo l'aspetto di una fenice,

si poserà il creatore, Atum-Ra, il Sole, l'essere compiuto per eccellenza, colui che con

la sua voce vincerà il silenzio.

"Tenendo il fallo in pugno ed eiaculando, diede vita ai gemelli Shu e Tefnut".

Un'altra versione sostiene che i figli del Sole nacquero da un suo sputo, o

starnuto:

"Tu sputasti ciò che fu Shu, tu sputasti fuori ciò che fu Tefnut. Li circondasti delle

tue braccia come braccia di un ka, perché il tuo ka era in loro."

.. Shu e Tefnut sono l'aria e l'umidità dalla cui unione nasce un'altra coppia, Nut,

il Cielo, e Geb, la Terra. La prima è donna, il secondo è uomo e, nell'identificare la

terra in un maschio e non viceversa, come vuole per esempio la tradizione

indoeuropea, la cosmologia egizia è del tutto originale.

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Originale è anche il ruolo di queste divinità nella costruzione della topografia

dell'universo.

Si dice che l'amore di Nut per il fratello fosse tale che i due trascorressero la

maggior parte del loro tempo abbracciati e poiché tra cielo e terra non c'era spazio

sufficiente affinché la vita potesse prosperare, Atum-Ra dà incarico al loro padre Shu

di intervenire. Questi obbedisce, calpesta Geb e solleva sulle palme delle proprie

mani Nut che, da questo momento, è raffigurata piegata ad arco sopra lo sposo, con

i piedi e le dita sul suolo, mentre la luna, il sole e le stelle ne ornano il corpo.

Si legge nei Testi delle Piramidi:

"Le braccia di Shu sono sotto il cielo perché lo possa reggere.".

Vedremo più avanti come Nut, a quella data, già portasse nel grembo la stirpe

terrestre, il primogenito Osiride, il fratello e le due sorelle. .. Nut è il limite

dell'universo al di là del quale è l'assenza di vita; il viaggio del Faraone, dopo morto,

si compie sotto il suo corpo arcuato; alla fine del suo percorso diurno, il sole è per

così dire inghiottito dalla dea e l'attraversa per poi rinascere all'alba tra una nebbiarossastra che segna il passaggio all'orizzonte orientale. È questa la frontiera fra il

mondo sensibile e quello celeste, il punto in cui la terra e il cielo si congiungono, in

cui gli uomini e gli dei sono più vicini. ..

* ERMOPOLI: il grande scoppio, come l'ogdoade precedette la creazione del

mondo e dall'esplosione di energia della materia primitiva nacque la terra.

Ermopoli è centro d'irradiazione di un mito della creazione poco diverso da

quello eliopolita.

La materia primordiale vi è descritta con precisione quasi scientifica ed è

popolata da otto creature divine, rane e serpenti, che nuotano nelle sue acque.

Sono Nun e Naunet, le acque primigenie e stagnanti; Heh e Hehet, divinità dello

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spazio infinito simboleggiate dall'acqua che si spande e cerca la sua via; Kek e KeKet,

l'oscurità; Amon e Amaunet, dei dell'ignoto, "il nascosto". Quattro coppie unite in un

gruppo di otto, per gli Egizi la totalità perfetta, l'Ogdoade.

Sono "i padri e le madri che vennero in essere all'inizio, che fecero nascere il Sole

e che crearono Atum".

La loro fusione diede origine ad un grande uovo, da cui sarebbe uscito il creatore.

Secondo altri le loro forze unite avrebbero dato vita ad un'esplosione, tale da

creare dal nulla la terra.

Se si dà grande rilievo al tema delle origini, sia a Eliopoli sia a Ermopoli, si

trascura quello della creazione degli uomini che pare essere contemporanea a quella

del mondo e che, nella Leggenda dell'occhio di Ra, è raccontata così:

"Poiché ha perso il proprio occhio, l'occhio solare, Ra manda i figli Shu e Tefnut a

cercarlo. I due però tardano a rientrare; nel frattempo l'occhio ritorna ed è costretto

a prendere atto che, nel corso della sua assenza, è stato sostituito. Allora si mette a

piangere e, dalle sue lacrime, nascono gli uomini. Per ripagarlo dell'affronto, Ra lo

trasforma in serpente e se lo mette in fronte: il suo compito, d'ora in poi, sarà quello

di fulminare i nemici del dio Sole.".

È interessante rilevare come, nella lingua egizia, le parole lacrima, remut, e

uomo, remet, siano simili.

Prevale nelle due cosmologie la ricerca dell'equilibrio, dell'ordine: ogni fenomeno

osservato deve avere il suo contrappeso, la creazione segna una linea di

demarcazione netta tra il caos che precede e l'armonia che segue.

Infine, gli elementi dell'universo derivano tutti da una stessa sostanza e sono

inoltre sostituibili, visto che ogni elemento ha la facoltà di rappresentare e

trasformarsi in un altro.

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* MENFI: come dal cuore e dalla bocca di Ptah nacquero gli dei e il mondo.

Dal caos, la già nota Nun, nasce l'idea di Atum-Ra, il creatore, e prende corpo nel

cuore divino identificato in Ptah. In un secondo tempo l'idea viene espressa dalla

sua bocca, ancora Ptah.

"Ptah, il grande, è il cuore e la lingua dell'Enneade degli dei. Lui creò gli dei,

nacque nel cuore e nacque sulla lingua qualcosa nella forma di Atum.";

"Grande e possente è Ptah che ha trasmesso il potere a tutti gli dei così come

pure ai loro spiriti, attraverso questa attività del cuore e questa attività della

lingua.".

L'evangelista Giovanni scrive:

"In principio era il Verbo, e il Verbo era in Dio, e il Verbo era Dio".

Ricordiamo che i Greci chiamano Logos, la coincidenza di pensiero e parola.

Il processo creativo non si arresta a questa fase: Ptah è

"...presente nel cuore e nelle bocche di tutti gli dei, di tutte le persone, di tutto il

bestiame e di tutti gli esseri striscianti che vivono..."

egli dunque continua a creare là dove al suo cuore e alla sua bocca sia data

possibilità di operare. Se

"...l'Enneade di Atum nacque dal suo seme per opera delle sue dita, quanto

all'Enneade di Ptah furono i denti e le labbra della sua bocca che pronunciarono ilnome di ogni cosa, e così nacquero Shu e Tefnut".

Prendono forma gli dei, sono tracciati i destini dell'umanità che il dio provvede a

fornire di mezzi di sostentamento, viene definita una linea di demarcazione fra il

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giusto e l'ingiusto, si definiscono le arti e i mestieri, vengono fondate le città e dotati

i loro governanti degli strumenti del comando.

"Così Ptah fu soddisfatto dopo aver creato ogni cosa.".

È facile pensare che quel fu soddisfatto' diventò per gli Ebrei un più generico

riposò' e il riferimento al libro della Genesi è obbligato.

L'ANDROGINO

di Platone

«L'androgino è, soprattutto, il simbolo generalizzato della coincidenza e della

riconciliazione dei contrari. .. La sua principale tendenza è volta al superamento, alla

dissoluzione, alla negazione di una polarità sessuale. .. Asessuale è il destino

fondamentale dell'androgino, ed ogni disputa sul sesso degli angeli è inopportuna

poiché l'angelismo e l'androginia, nel discorso simbolico, tendono a sovrapporsi.»

(Jean Libis)

.. In principio tre erano i sessi del genere umano, e non due come ora, maschile e

femminile, ma ve ne era anche un terzo: .. il genere androgino, e il suo aspetto e il

suo nome partecipavano di entrambi, del maschile e del femminile. .. La forma di

ogni uomo era tutta rotonda, con la schiena e i fianchi che formavano un cerchio, e

quattro mani e quattro gambe, e due facce sopra il collo rotondo, in tutto simili; e su

entrambe le facce, orientate in senso opposto, un'unica testa, e quattro orecchi, e

due sessi, e tutto il resto come si può indovinare da questi elementi. Camminavanodiritti come ora, in qualunque direzione volessero; ma quando cominciavano a

correre in velocità, come i saltimbanchi fanno capriole in cerchio portando le gambe

in alto, così rotolavano rapidamente poggiandosi su quei loro otto arti.

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Dunque tre erano i sessi e di questo tipo, perché il maschio traeva origine dal sole, la

femmina dalla terra, e quello che partecipava di entrambi i generi dalla luna, dal

momento che la luna partecipa del sole e della terra; erano rotondi e il loro moto

era circolare perché erano simili ai loro genitori. Erano terribili per forza e possanza,e avevano grande superbia, e assalivano gli dei.

.. Zeus dunque e gli altri dei andavano discutendo su che cosa si dovesse fare con

quelli, ed erano dubbiosi: non potevano infatti ucciderli e distruggere la loro specie

fulminandoli come i giganti - sarebbero venuti così a mancare gli onori e i sacrifici da

parte degli uomini -, né potevano permettere che fossero così insolenti. Alla fine

Zeus, dopo tante macchinazioni, disse: «.. Taglierò ciascuno in due parti, e in talmodo diverranno più deboli e contemporaneamente più utili a noi perché saranno

raddoppiati di numero; e cammineranno diritti su due gambe. E se ancora

sembreranno comportarsi con insolenza e non volersene stare tranquilli, allora di

nuovo li taglierò in due, così che cammineranno saltellando su una sola gamba». ..

Dopo averli tagliati, .. Apollo girava il volto, e tirando da ogni parte la pelle verso ciò

che oggi si chiama ventre, la annodava, come si fa con le borse legate con un nodo,

formando un'apertura nel mezzo del ventre, nel cosiddetto ombelico.

.. Dopo che la natura umana fu tagliata in due, ogni parte, per il desiderio della

propria metà, le si attaccava, e gettandosi le braccia intorno e intrecciandosi l'una

all'altra, desiderando formare un'unica cosa, morivano di fame e di inedia, per non

voler fare niente separate l'una dall'altra. E quando una delle metà moriva, e l'altra

sopravviveva, quella rimasta cercava un'altra metà e si stringeva a quella, sia che si

imbattesse nella metà di una donna intera - ciò che ora chiamiamo donna - sia di un

uomo; e così morivano.

Zeus allora, avendone compassione, escogitò un altro sistema, e trasferì i loro

genitali sulla parte davanti - fino ad allora li avevano sulla parte esterna, e

generavano e partorivano non fra di loro, ma in terra. .. Affinché, se nell'amplesso si

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incontrassero maschi e femmina, generassero e originassero la discendenza; se

invece un maschio si incontrasse con un altro maschio, vi fosse appagamento in

quell'unione e smettessero e si rivolgessero alle loro attività e alle altre occupazioni

della vita. Dunque da tanto tempo l'amore vicendevole è connaturato negli uomini,e restaura l'antica natura cercando di fare da due un'unica creatura e di risanare la

natura umana.

Ciascuno di noi dunque è la metà di un essere umano, tagliato come lo sono le

sogliole, due pezzi da uno; e ciascuno ricerca sempre la propria metà. Quanti tra gli

uomini derivano dal taglio del genere misto, che allora era chiamato androgino,

amano le donne e da questa origine deriva la maggior parte degli adulteri; allostesso modo provengono da questa radice quante delle donne amano gli uomini e

sono adultere. Le donne invece che sono parte di femmina, queste non pensano agli

uomini, ma piuttosto sono attratte dalle donne, e da questo genere derivano le

omosessuali.

Quanti invece sono parte di maschio, inseguono il maschio, e finché sono fanciulli,

essendo pezzetti di maschi, amano gli uomini, e godono a giacere e ad abbracciaregli uomini, e sono i migliori fra i fanciulli e i ragazzi, perché sono i più virili per

natura. Alcuni li reputano svergognati, ma non è vero: non per impudenza infatti si

comportano in questo modo, ma per la loro natura coraggiosa e forte e virile,

amando ciò che è loro simile. Grande prova di ciò è il fatto che questo genere

soltanto di uomini, una volta raggiunta la maturità, riesce nelle attività pubbliche.

Quando raggiungono l'età adulta, amano i ragazzi e la loro natura non è incline al

matrimonio e alla procreazione, ma vi sono costretti dalle convenzioni; sarebbero

altrimenti felici di vivere fra loro senza sposarsi. Un tale uomo è il vero amante di

fanciulli e il vero innamorato degli amanti, sempre proteso a chi gli è congeniale. E

quando a qualcuno di questi, all'amante dei fanciulli o a qualsiasi altro, capita di

incontrare la propria metà, allora sono con un tale impeto catturati dall'amicizia e

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dall'intimità e dall'amore, che non vogliono per così dire rimanere lontani l'uno

dall'altro neppure per poco tempo. Questi sono coloro che passano insieme tutta la

vita, e non saprebbero dire che cosa desiderano l'uno dall'altro. A nessuno infatti

sembrerebbe che si tratti soltanto del rapporto amoroso, come se a causa di questociascuno desiderasse stare con l'altro con così veemente passione; ma è chiaro che

l'anima di ciascuno desidera qualcosa di diverso, che non sa esprimere, ma riesce ad

indovinare ciò che vuole e lo manifesta per enigmi.

«Secondo .. Platone, .. la possibilità dell'unione sessuale accordata da Zeus agli

uomini in realtà non è altro che un ripiego. Nell'agitazione che conduce i corpi ad

unirsi, in questo tipo di terror panico da cui peraltro non è escluso il grottesco,accade che non vengano realizzati effettivamente né l'androginato primitivo, né la

completa simbiosi degli amanti.» (Jean Libis)

LA TEOLOGIA ORFICA

«Orfeo ha insegnato che sono Re gli dei che sovrintendono a ogni cosa,

conformemente al numero perfetto (6 = 1 + 2 + 3 = 1 x 2 x 3), Fanes, la Notte, Urano,

Cronos, Zeus, Dioniso. Fanes in effetti è il primo a tenere lo scettro: "In primo luogo

ha regnato l'illustre Eriképaios". In secondo luogo viene la Notte, che ha ricevuto lo

scettro da suo padre. Urano l'ha ricevuto per terzo da sua madre, Cronos per quarto,

quando, come si dice, fece violenza a suo padre. Zeus per quinto quando si rese

signore di suo padre, e dopo di lui, per sesto, Dioniso». (OF 107 = PROCLO,

Commento al Timeo di Platone III, 168. 17-25).

Riprendiamo nei dettagli, completandola, questa testimonianza di Proclo. E con

Cronos ageraios (il tempo «che non invecchia») che questa seconda versione della

teogonia orfica ha inizio. Da Cronos nascono l'Etere e il Caos (OF 66). Nell'Etere,

Cronos crea un uovo (OF 70), che si apre in due, lasciando uscire Fanes (OF 72), il

primogenito degli dei. Meravigliosamente bello e raggiante di luce, il suo collo è

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sormontato dalla testa di differenti animali (OF 79), e alle sue spalle sono attaccate

due ali d'oro. È bisessuato (OF 81). Egli che porta la semenza di tutti gli altri dei, è

chiamato Fanes, Metide, Protogenia, Eriképaios, Eros e perfino Dioniso (OF 105,

109). Fanes trasmette il potere alla Notte (OF 101, 102), che gli dà due figli, Urano (ilCielo) e Gaïa (la Terra) (OF 109), i quali, a loro volta, generano in particolare i Titani e

le Titane (OF 114 e segg.) e quindi Cronos e Rea. Così come raccontato da Esiodo

nella Teogonia, Cronos mutila suo padre (OF 127) che, con i suoi abbracci eccessivi,

impedisce ai figli che Gaïa gli ha dato di vedere la luce. Poi Rea usa un sotterfugio

per salvare Zeus dall'essere inghiottito, ed egli libera i suoi fratelli e le sue sorelle e si

impadronisce del potere (OF 148-157). A questo stadio, il processo delle generazioni

si arresta per realizzare un nuovo punto di partenza: la teogonia propriamente detta

fa posto alla cosmogonia. Perché, su consiglio della Notte, Zeus inghiotte Fanes. E, a

partire dall'unità così ricostituita in lui, dal momento che con il suo gesto è divenuto

l'inizio, il centro e la fine di ogni cosa, crea l'universo (OF 168). Proprio come Fanes,

Zeus è bisessuato; ha come contraltare una divinità femminile che è ad un tempo

sua madre, sua sorella, sua figlia e soprattutto sua moglie con il nome di Rea,

Demetra e Core (OF 145, 198). Ma improvvisamente Zeus trasmette il potere a un

Dioniso ancora bambino (OF 207). Con Dioniso, la cosmologia viene sostituita

dall'antropogonia. Attirato in un imboscata, il bambino viene ucciso dai Titani che lo

tagliano a pezzi, poi lo mangiano, dopo averlo cotto secondo una ricetta inversa a

quella del sacrificio tradizionale di tipo prometeico16. Soltanto il cuore viene salvato

da Atena che lo porta a Zeus, perché faccia rivivere Dioniso.

Per vendicarne la morte, Zeus colpisce con la folgore i Titani e li brucia. E, dalla

fuliggine che si deposita dalla fumata di tale combustione, nascono gli uomini la cui

costituzione è duplice: una parte del loro essere deriva da Dioniso, ed un'altra dai

Titani che lo hanno ingerito (OF 210 e seguenti). [Zeus : Dioniso = Osiride : Horus

ndJB]

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INNO A ZEUS (OF 168)

Zeus è nato per primo, Zeus dalle brillanti saette è l'ultimo.

Zeus è la testa, Zeus è il centro, da Zeus hanno avuto origine tutte le cose.

Zeus è nato maschio, Zeus è un giovane vergine immortale.

Zeus è il supporto della Terra (Gaïa) e del Cielo stellato (Urano).

Zeus è re, solo Zeus è il primo artefice di tutti gli esseri.

È nato sovrano unico, unico daimon, potente monarca dell'universo.

Unico è il suo corpo reale, nel quale si muovono in cerchio tutte queste cose:

il fuoco, l'acqua, l'aria, la notte, il giorno

e Metide, primo generatore, e il delizioso Eros.

Infatti, tutte queste cose si trovano nel corpo del grande Zeus.

La sua testa e il viso di bell'aspetto

sono il cielo rifulgente di luce. Tutto attorno volteggiano i

capelli d'oro degli astri marmorei.

Alle sue due estremità si levano due corna taurine d'oro,

il levante e il ponente, che delimitano il corso degli dei celesti.

I suoi occhi sono il sole e la luna che lo fronteggia.

Il suo proprio intelletto; senza menzogna, reale è l'imperituro etere,

attraverso il quale tutto sente, tutto osserva; e non esiste

né voce umana, né clamore, né rumore eclatante, né altro rumore

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che sfugga alle orecchie di Zeus, il potentissimo figlio di Cronos.

Ecco qual è la sua testa immortale e la sua intelligenza.

Il suo corpo è brillante come il fuoco, immenso, incrollabile.

È stato costruito intrepido, robusto, molto potente e inamovibile.

Le spalle del dio, il suo petto, l'ampia schiena,

è l'aria molto potente, e sulle spalle gli hanno messo delle ali,

grazie alle quali volteggia ovunque. Il suo santo ventre,

è la terra, madre universale, e le cime elevate delle montagne.

Al centro del suo corpo, vi sono le onde del mare dal boato profondo;

e più in basso i suoi fondamenti, sono le radici all'interno della terra,

il vasto Tartaro, i limiti estremi della terra.

Dopo aver nascosto tutto questo, di nuovo Zeus, per ricondurlo alla luce che dà

gioia, doveva, con un'operazione meravigliosa, trarlo dal suo cuore.

.. Zeus è contemporaneamente .. maschio/femmina, cielo/terra. .. La cosa è tanto

più interessante in quanto la bisessualità in certi trattati gnostici gioca un ruolo

considerevole, e in particolare nel quinto trattato del codice II scoperto vicino Nag-

Hammadi.

Questo scritto, datato agli anni 330-340 d.C. da un punto di vista paleografico, ma ilcui contenuto risalirebbe, essenzialmente, alla seconda metà del II secolo d.C.,

sviluppa una teo-cosmo-antropogonia che appare un tentativo di sintesi tra il

giudaismo e la religione popolare di un Egitto in cui l'influenza greca era

determinante.

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.. L'uccello Fenice, i serpenti e due torri, [erano] tre simboli «egizi» del paradiso (NH

II 5, 169.35 - 171.2). .. La tripla Fenice - quella immortale, quella che vive mille anni e

quella che viene distrutta - è la sintesi dei tre tempi - cosmogonico, storico ed

escatologico. .. Questo uccello straordinario, che è bisessuato, costituisce unsimbolo di resurrezione.

.. Nell'antica Grecia, il primo autore che parla della Fenice, favoloso uccello

originario dell'Etiopia, .. è Erodoto (II, 73), [ma] fu nel IV secolo d.C. che il mito della

Fenice conobbe la sua maggiore popolarità nel mondo greco-romano. Allora, infatti,

apparvero delle opere a lei interamente dedicate. Lattanzio e Claudiano composero,

entrambi, un poema in suo onore. All'inizio del Basso Impero, .. l'Impero, impegnatoa risollevarsi dalla decadenza politica e sociale in cui versava, faceva della Fenice un

simbolo di continuità e di rinnovamento. D'altronde, i cristiani vedevano in questo

mito onorato dai pagani, un argomento ad hominem in favore della resurrezione:

quella del Cristo e quella della carne.

Il Grande Fenice L'aspetto generale della Fenice è quello di un'aquila di

considerevole grandezza ed il cui piumaggio si fregia dei colori più belli: rosso fuoco,azzurro chiaro, porpora ed oro. Generalmente sono tutti concordi nell'affermare che

visse in Etiopia, durante un periodo di tempo che, a seconda degli autori, varia tra

500, 1461 e perfino 12954 anni. Quando la Fenice sente giungere la fine della sua

esistenza, raccoglie delle piante aromatiche e dell'incenso per costruirsi una specie

di nido, che sarà ad un tempo la sua tomba e la sua culla, perché, unica nella sua

specie, la Fenice non può riprodursi che rinascendo. Secondo alcuni autori, l'uccello

dà fuoco al nido sul quale riposa, e dalle ceneri di questo rogo profumato sorge una

nuova Fenice. Secondo altri, la Fenice muore nel suo nido che ha, precedentemente,

impregnato della sua semenza. Allora, nasce una nuova Fenice, che raccoglie il

cadavere di suo padre e lo porta ad Eliopoli per farlo ivi bruciare dai sacerdoti del

Sole sull'altare del dio. Terminata la cerimonia o subito dopo la sua rinascita,

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l'uccello ritorna in Etiopia per un altro periodo di tempo [Spesso per gli alchimisti

l'Etiopia indica l'Opera al nero - n.d.t.]. Si capisce quindi come la durata della vita

della Fenice sia stata paragonata a quella del «grande anno». Inoltre, sembra

assolutamente naturale che la Fenice, di per se stessa principio e fine in una serieinfinita di cicli, sia un essere bisessuato:

«Ch'egli sia maschio o femmina o anche né l'uno né l'altra,

Felice essere, che ignora i legami di Venere!

.. Per poter nascere, aspira a morire.

È figlio di se stesso, suo discendente, suo padre.

È ad un tempo nutrice e nutrito.»

(Lattanzio, Poema sulla Fenice 163-168)

RA (appunti)

* dio del sole, alternativamente vecchio e bambino, che spariva la notte e si

mostrava il mattino seguente

* viaggiava verso la notte con un'imbarcazione (cfr.Colombo, da est a ovest!)

* chiunque ne conoscesse il nome segreto (=l'essenza), si ritrovava in possesso dei

poteri della magia (Ra-vecchio fu costretto a cederli a Iside, simbolo che l'Amore è la

conditio-sine-qua-non, la chiave d'accesso alla magia)

* fece diventare faraone Tutmosi IV dopo che aveva spazzato via la sabbia che

ricopriva la sfinge, protettrice delle piramidi e flagello di Ra-Herakty

* Ra Herakty: horus dell'orizzonte, più antico di Horus il figlio di Osiride

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* nemico=serpente Apep (come Tiamat, drago babilonese del Caos) che aveva

osato riempire il cielo di nubi temporalesche per oscurare la luce del sole (io mi

debilito con cielo grigionero)

* Heimdal, dio germanico del primo sole, era il solitario guardiano del cielo, e fu

incaricato di stabilire l'ordine sociale sulla terra; insegnò la magia al figlio Jarl