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La terra della presenza L’ esperienza spirituale della donna Patrizia Lorenzi, Roma Non fatemi aver sete con il vino alle labbra, ne mendicare con le ricchezze in tasca. E. Dickinson È passato del tempo da quando Virginia Woolf rivendica- va per la donna quella «stanza tutta per sé» dove conce- dersi il tempo silente e concentrato di una vita intellettuale, una stanza che potesse rappresentare quel luogo appartato, quel «bosco sacro» che i miti e le fiabe hanno sempre rappresentato come spazio di rigenerazione delle energie profonde della donna, come luogo di contatto con le forze dell'anima, con le immagini sacre e terribili, ora benigne, ora orrende della sua matrice terrestre. Un luogo in cui concentrarsi in se stessa non in un movi- mento di fuga dal mondo e dai suoi oggetti, ma per salva- guardare uno spazio privato dell'esperienza, reso impos- sibile dai suoi doveri di moglie e di madre e dalle imposizioni della vita quotidiana. Un luogo in cui conce- dersi all'immaginazione coltivando una sensibilità attenta alle mille impressioni dei sensi, alle mille voci e forme del desiderio, una fonte inestinguibile che nessuna repressione ha mai potuto prosciugare. Una sensibilità e una sensuosità che l'hanno resa sin dai tempi antichi agli occhi dell'uomo una creatura di cui dif- fidare, strumento della passione e del male, strega e sirena. 121

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La terra della presenzaL’ esperienza spirituale della donna

Patrizia Lorenzi, Roma

Non fatemi aver sete con il vino alle labbra,ne mendicare con le ricchezze in tasca.

E. Dickinson

È passato del tempo da quando Virginia Woolf rivendica-va per la donna quella «stanza tutta per sé» dove conce-dersi il tempo silente e concentrato di una vitaintellettuale, una stanza che potesse rappresentare quelluogo appartato, quel «bosco sacro» che i miti e le fiabehanno sempre rappresentato come spazio dirigenerazione delle energie profonde della donna, comeluogo di contatto con le forze dell'anima, con le immaginisacre e terribili, ora benigne, ora orrende della suamatrice terrestre.Un luogo in cui concentrarsi in se stessa non in un movi-mento di fuga dal mondo e dai suoi oggetti, ma per salva-guardare uno spazio privato dell'esperienza, reso impos-sibile dai suoi doveri di moglie e di madre e dalleimposizioni della vita quotidiana. Un luogo in cui conce-dersi all'immaginazione coltivando una sensibilità attentaalle mille impressioni dei sensi, alle mille voci e forme deldesiderio, una fonte inestinguibile che nessunarepressione ha mai potuto prosciugare.Una sensibilità e una sensuosità che l'hanno resa sin daitempi antichi agli occhi dell'uomo una creatura di cui dif-fidare, strumento della passione e del male, strega esirena.

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Sappiamo che questa proiezione d'Ombra sull'immaginefemminile è nata in seno ad una tradizione dualistica cheha distanziato Logos ed Eros, maschile e femminile, e hacontrapposto spirito, ragione e trascendenza a corpo,materia, sentimento. La femminilità, identificata con il «latoabissale» dell'essere corporeo, con l'oscurità della materiae l'oscenità della natura - quando la natura distrugge,dissecca, uccide - è diventata il polo «nero» nella dialetticadegli opposti, e sappiamo bene cosa tale unilateralità haprodotto in termini di scissione e di rimozione, e in qualiatteggiamenti repressivi si è poi tradotta. Sappiamo ancheperò che la coscienza muta, lentamente ma inesorabil-mente: così questa mentalità dualistica ci sembra giunta alsuo tramonto, li suo primato, che ha comportato quel gravesquilibrio della coscienza collettiva che Hillman ha definitouna «coniunctio sbilanciata», presente «quando gli oppostinon sono concepiti come una simmetria, indipendenti edistinti e tuttavia reciprocamente necessari» (1), staincrinandosi.Lo sviluppo recente, la manipolazione distruttiva dellacreazione, hanno messo in dubbio la competenza delpotere tecnico e l'illusione perfezionistica. La pretesa tota-litaria del pensiero è nelle vicinanze di un limite inquietantee minaccioso: essa produce ai suoi margini un disorien-tamento riguardo all'esistenza nella sua totalità.Dinanzi a questi scenari inquietanti nemmeno la riflessionee la prassi religiosa hanno dato delle risposte «positive»:non è più possibile cercare la via della salvezza al di làdella creazione, rinunciando alla terra e ai suoi beni elasciando che venga sequestrata dagli arroganti; non èpossibile pensare che il prezzo dell'aspirazione all'ideale eall'infinito sia la requisizione dell'anima dalle sue radici ter-restri, non è possibile più contrapporre la felicità terrestreai beni dello spirito. L'anima non chiede uno sradicamentoma una conversione.lo credo che iniziare un'avventura dello spirito a partiredalle cose più care, dall'amore per i corpi, per la terra,dalla compassione per le creature, dalla sensibilità per leforme, per i colori, per la fisicità dell'esperienza, rispondaad un'intuizione psicologica che la donna ha sempre ser-bato in sé, e che oggi è un suo compito. Noi abbiamo rice-

(1) J. Hillman, «Sulla femmi-nilità psicologica», in II mitodell'analisi, Milano, Adelphi,1979, p. 260.

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(2) F. Donfrancesco, Nellospecchio di Psiche, Bergamo,Moretti & Vitali, p. 5.

vuto in affidamento la terra e siamo stati ad essa affidati:occorre allora una nuova adesione ad essa che è amoreper la psiche in tutte le sue forme, dentro e fuori di noi.Una presenza veramente religiosa - veramente umana - siradica nell'amore per la vita, nella devozione alle cose purnella coscienza della loro fragilità, insomma in una cono-scenza psicologica. La conoscenza psicologica infatti«non si attua nel corso di un processo di purificazionedalla sensibilità, dalle emozioni, dal pathos, dalparticolare; al contrario, la conoscenza psicologica, comeparola della sensibilità, delle emozioni, del pathos, rimanevincolata all'impermanente (...) e non può essere sostituitada una parola che aspiri a forme desensibilizzate,anestetizzate» (2).

Le donne e la spiritualitàNella tradizione religiosa la presenza del pregiudizio sulfemminile è stata costante, in quasi tutti i sistemi religiosi.La via spirituale della donna è stata per secoli controllata ediretta da un sistema gerarchico patriarcale, e il fine dellaricerca stessa si è configurato come raggiungimento di unideale stato di perfezione intesa come liberazione dalgiogo della carne, della materia, dell'eros.In Occidente il monaco - colui che in nome della Chiesa sioccupava del cammino spirituale della discepola - ne diffi-dava profondamente, edotto com'era a sospettarne comeradice di tutti i mali, a guardarsene perché era proprio inspecie mulieris che il demonio avrebbe potuto tentarlo. Ilvoto di obbedienza obbligava la religiosa a riferire dei suoipiù sottili moti dell'anima al direttore di spirito, il qualegiudicava dell'autenticità delle sue trasformazioni inferiori,della demonicità delle sue visioni o della malvagità deisuoi propositi anticonservatori. Caterina da Siena, Teresad'Avila, oggi nominate «dottori della Chiesa» hannosofferto per anni della diffidenza e dell'ostracismo dei loroconfessori, ostili ad esperienze interiori che, in donne«analfabete» nella dottrina, sono sempre state sospette dipossessione demoniaca.Le forme che la sensibilità accesa della donna insegue ofantastica sono pericolose, le parole e gli atti vanno purifi-cati, scarnificati, perché tutto ciò che proviene dal corpoed

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è manifestazione della sua sensibilità, è trappola, pericolo,minaccia maligna.Nella sua tradizione più antica, anche il buddhismo haconosciuto questa diffidenza: solo dopo molte insistenze ilBuddha accettò le donne nel suo ordine, a patto che pren-dessero otto voti in più. Tra questi, uno obbligava la mona-ca a trattare qualunque monaco, anche il più rozzo deinovizi, come un suo superiore.La forma ideale dell'ascesi è l'immagine maschile: nel«Sutra della trasformazione del sesso femminile», Buddhaafferma:I difetti femminili - avidità, odio, inganno - sono peggiori di quelli defl'uo-mo... Voi (donne) dovete avere in mente tutto ciò. Poiché io desidero libe-rarmi delle impurità del corpo della donna, entrerò nel corpo bello e nuovodell'uomo (3).

Così, quando la donna ha desiderato aprirsi a un'espe-rienza spirituale profonda ha dovuto assumere su di sé losguardo scettico del padre, del maestro, del religioso, finoa sottomettersi e identificarsi a tale sguardo, ad assumerlovolontariamente, fissando da estranea il proprio corpo,vigilando sull'imprevedibilità dei suoi appetiti, estranean-dosi dall'istinto e dalla sua peculiare sensitività, sospettan-do dei suoi sentimenti, controllando i movimenti più intimicome una spia crudele: «A causa del mio karma negativomi è stato dato questo corpo inferiore di donna..» recitauno dei Centomila canti di Milarepa.Eppure non è possibile, ne sarebbe corretto, liquidare ilcomplesso sistema di esperienze, di regole e soprattutto ilfecondo territorio della mistica, sia in occidente che inoriente, cristallizzandolo in un'immagine negativa e repres-siva. Occorre anche comprendere che il monachesimofemminile ha rappresentato per la donna un fattore deter-minante per il superamento della sua condizione di esseresenza storia, senza cultura e senza autonomia.Sebbene infatti il monachesimo sia sorto sulle fondamentadi quello stesso pensiero dualistico che era presente nellafilosofia della tarda antichità, che contrapponeva la materiadecaduta allo spirito immortale, l'illusorietà dei sensi alleverità dello spirito, esso ha assunto per la donna unsignificato e una funzione diversi.La motivazione di abbandonare il mondo e i suoi piaceri

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(3) Cit. in T. Allione, Donne disaggezza, Roma, Ubaldini,1985, p.37.

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come beni caduchi e marchiati dalla colpa, come piaceriche ostacolano il rapporto con la divinità, è una motivazio-ne secondaria per la donna dell'alto medioevo «quasisempre analfabeta, senza potere economico, inserita nellastruttura sociale solo attraverso il matrimonio, che di solitole viene imposto, destinata a morire giovanissima di parto»(4), dunque a un essere che ben poco poteva concepire evivere degli effimeri beni del mondo e dei suoi piaceri. Perquesta donna, la professione monastica diviene unamaniera di entrare nella storia e nella cultura: pensiamo alfatto che nei monasteri le si insegnava a leggere, a stu-diare e ad elaborare nella meditazione l'ufficio divino e itesti sacri, e non è un caso che, fatta eccezione per reginee imperatrici, saranno le monache e le mistiche a lasciareun segno della presenza femminile nella storia culturaledel tempo.È forse per questo motivo, come ha intuito Beli (5), chepersino la pratica ascetica, i digiuni, le forme di anoressiadelle religiose e delle mistiche divengono, senza perderenulla dell'autenticità della motivazione religiosa, uno stru-mento di affermazione, seppure esasperata, di una auto-nomia negata: la verginità esaltata, (frequente era lasospensione delle mestruazioni delle novizie all'entrata alconvento) e il rifiuto del cibo diventano i significanti delrifiuto di una funzione sociale assegnata alla donna.La cella potrebbe dunque essere stata una prima immagi-ne di «stanza tutta per sé», ma troppo caro è stato il prez-zo pagato per questa libertà. La Chiesa ha infatti sotto-scritto la negazione della corporeità e della sessualitàfemminili «per propagandare un ascetismo assoluto e unanegazione di valore all'unione umana» :

L'ha pagato caro perché nel valore della «verginità», (la donna) ha supe-rato d'un balzo il problema di una mal posta sessualità, senza poterlo piùne affrontare ne risolvere... Ma l'ha pagato caro anche perché ha avallatodi sé solo un'immagine positiva, quella della vergine (..) precludendosicosì per secoli una presenza reale e non «sublimata» nel mondo, econtribuendo a scatenare e a fomentare quell' horror feminae che nonpoteva non sedimentare nell'impulso sessuale del maschio (6).

Naturalmente il perfetto modello di identificazione di que-sta donna alla ricerca di un'identità anche spirituale era laVergine Maria. La Regina del Cielo, ci ricorda Jung, ha

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(4)AA.VV., «Monachesimo»,n Enciclopedia delle religioni,Firenze, Vallecchi, p. 631.

(5) R. M. Beli, La santa ano-ressia, digiuno e misticismodal Medioevo a oggi, Bari,Laterza, 1987.

(6)AA.VV., «Monachesimo»,op. cit, pp. 635-636.

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perso tutte le qualità delle antiche divinità femminili, trannela bontà, la luminosità e l'eternità e «come la madre di Diofu affrancata da tutte le proprietà essenziali della naturamateriale, così la materia è stata a sua volta completa-mente svuotata dell'anima» (7).Come Jung aveva evidenziato nel suo studio sugli aspettipsicologici dell'archetipo della Grande Madre (1938/54), lerappresentazioni religiose antiche della divinità femminileconiugavano invece in un'unica figura aspetti contrastanti,benigni e terrifici, protettivi e tenebrosi, tolleranti e divo-ranti, il senso della trasformazione e della rinascita e quel-lo della perdizione e della morte.I pantheon delle antiche religioni vedica, induista, tantricae del buddhismo tibetano sono popolati di divinità femminiliche coniugano in sé atteggiamenti polari che consentonoalla mentalità degli adepti di comprendere nell'orizzontedell'esperienza religiosa aspetti totalmente differenti in cui,alla fine di una lunga pratica ascetica e mistica, per-sino iconcetti etici di «bene» e «male» vengono reinterpretati erivisti in una chiave assolutamente nuova.Per entrare nel merito di questa visione dell'esperienzareligiosa, prenderò in esame alcuni aspetti della praticameditativa religiosa del buddhismo tibetano, riferendomi aciò che di questa pratica narra una protagonista, TsultrimAllione, monaca buddhista, al cui testo rimando per unapprofondimento (8).

// «principio femminile» nella tradizione tibetanaLa religione tibetana, che ha conciliato buddhismo e tantri-smo, assorbendoli nello sfondo della matrice religiosa piùarcaica e autoctona di quella terra, l'antica religione Bon,rappresenta un esempio di come sia possibile l'integrazio-ne degli opposti - specie femminile-maschile - quandoviene riconosciuta in tutti i suoi attributi la femminilitàpsicologica. La religione tibetana, sull'onda della più anticatradizione Bon tipicamente animistica, e delle più tardeacquisizioni mitologiche del Buddhismo e del Tantrismo diorigine indiana, ha un pantheon di divinità che è oggetto diuna iconografia molto importante, in cui hanno un granderilievo la forma, i colori, gli attributi divini, la simbologia. Èun'i-

(7) C. G. Jung (1938/1954),«Gli aspetti psicologici del-l'archetipo della GrandeMadre», in Opere, Voi. 9,tomo I, Torino, Boringhieri,1980,p. 106.

(8) T. Allione, Donne di sag-gezza, op. cit.

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conogratia ricca, accesa di sensualità e di crudezza, incui dei e dee operano in un ambiente naturale che, per lasua stessa morfologia, è imponente e straordinario,popolato di presenze magiche, numinose e tremende.Il Canone Tibetano riunisce moltissimi scritti di variaorigine (mahàyànica, vajrayànica, tantrica) e le correntitantriche e arcaiche che sono penetrate nella dottrinabuddhista ne hanno modificato profondamente lapurezza e il rigore. Le idee circa il riscatto della creaturadalla sofferenza attraverso l'indifferenza, l'astinenza daldesiderio e dalla sessualità condannati come le radicidell'attaccamento alla vita che perpetua il dolore e lamorte, tipiche dell'antico Buddhismo, vengonocontaminate e fecondate dai principi delle altre correnticitate: così le immagini della congiunzione sessuale tradivinità come immagini di riunificazione cosmica eliberatoria, tipiche del Tantrismo, immettono una nuovatolleranza verso tutte le espressioni della sessualità nellapratica buddhista, e (nella seconda metà del primomillennio d.C.) appaiono accanto al Buddha, le com-pagne femminili (le sakti). Esse rappresentano qualità oattributi specifici della divinità e vengono poi fatte oggettodi particolari riti eretico-sessuali.Così il principio femminile assunse un ruolo molto piùimportante di quello dell'originario buddhismo: divenne lacontroparte essenziale della polarità sessuale, intesacome dinamismo e dialettica che rende possibileraggiungere lo stato di non-dualità: il principio staticospirituale maschile senza l'attivazione dell'energiafemminile non può trasformare i mondi, e soloattraversando la dialettica degli opposti è possibile poisuperarla.Il riconoscimento dell'importanza dell'esperienzasessuale profonda e della necessaria dialettica tramaschile e femminile, si accompagna all'esistenza di unricco pantheon di figure femminili. Nel Tantra tibetanovengono riconosciuti aspetti differenti e compositi delprincipio femminile, rappresentati in immagini daipoliedrici attributi: l'immagine delle «dakini», divinitàdinamiche, attive, spesso infuriate, di solito danzanti;l'immagine gentile e compassionevole della PrajnaParamita, figura di saggezza, e la figura femminilenell'unione sessuale con il suo compagno. Questedifferenti forme del femminile aiutano la donna adidentifi-

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carsi con, a riconoscere in sé e ad integrare differentiaspetti psichici.Le «dakini» in particolare sono divinità femminili di capita-le importanza per il lavoro di trasformazione inferiore degliadepti. Raffigurate spesso nude, coi genitali dipinti, esserappresentano il. corpo femminile come fonte di ispirazio-ne, e l'energia in continuo mutamento, con la quale lapraticante deve lavorare: entrare cioè in contatto conquesto principio dell'energia dinamica attraverso alcunetecniche. La pratica prevede la meditazione e la«visualizzazione» di queste dakini (una sorta di eserciziodi immaginazione attiva) per permettere l'interazione ditutte le componenti psi-chiche, istintuali e spirituali, attivee passive. Si aiuta così la praticante a personificare lasaggezza, a liberarsi dal concettualismo e agiredirettamente sull'energia psichica. Le dakini, cherappresentano i differenti aspetti del principio femminile,si presentano in forme cangianti: esse sono sessuali espirituali, estatiche e intelligenti, feroci e pacifiche.Attraverso la visualizzazione delle diverse dakini, le qualipossono apparire anche in sogno, la praticante rende gra-dualmente attive tutte queste componenti. Le immaginicontemplate e visualizzate diventano il veicoloindispensabile di questa trasformazione e integrazionepsichica:attraverso esse la persona «assimila» la divinità, la incor-pora per farsi simile ad essa.Ecco come l'autrice, monaca buddhista, commentaqueste immagini:Che sollievo non dover avere, caste e pure, uno sguardo scoraggiato,per poter essere spirituali! Possiamo essere penetranti e profonde epersino arrabbiate, continuando a celebrare il nostro essere donna.Possiamo rendere attive tutte le parti di noi e aumentare la nostraenergia femminile e maschile, armonizzandole anziché negarle ereprimerle, come ci viene insegnato nelle religioni patriarcali. La dakiniche danza nuda e feroce crea sulla psiche un effetto diverso di quellocreato dalla madonna che sorride dolcemente (...). Quando non le èconcesso fondere in se stessa tutti questi aspetti del principio femminile,la donna diventa distorta e alienata dalle proprie energie (9).

La donna non è preclusa al rapporto positivo e appassio-nato con l'uomo. Anzi, la forza che essa acquista incorpo-rando l'aspetto maschile in sé, bilancia i suoi bisogni psi-chici rendendola più disponibile a una relazione genuina:

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(9) Ibidem, p. 42.

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Anziché considerare il suo compagno da una posizione di povertà (laBella Addormentata che deve essere svegliata dal principe) essa è giàsveglia e danza e non ha bisogno di succhiare l'energia dal consorte pertrovare l'equilibrio (10).

Può così accadere, come risulta dalla biografia di celebrimaestre spirituali del buddhismo, che a un certo punto delpercorso la monaca sia invitata dal suo guru a trovare uncompagno, così da completare il suo cammino spiritualesenza rinnegare nulla della sua natura.Non c'è bisogno di particolari commenti: capiamo subitoche l'esperienza religiosa diventa un percorso di realizza-zione che attiva tutte le parti dell'io e promuove un'atten-zione a tutte le forme di esistenza, al mondo e alle suecreature.Certamente il tipo di pratica è difficilmente esportabile,nascendo in una cultura assolutamente differente dallanostra, tuttavia l'esperienza della psiche è universale, eseppure con immagini diverse, essa propone alla donnaoccidentale un medesimo percorso: Eva, Elena, Beatricee la Sophia non più allineate secondo una gerarchia dalpiù basso al più alto, ma l'una accanto all'altra. Non cisarà più la luce della Sophia senza l'eros di Elena, nel'aspirazione ideale di Beatrice senza la sofferenza diEva. I modi in cui ciò si rende attuabile sono legati perognuna alla sua esperienza profonda, ma la ricerca di unrinnovamento spirituale e di una nuova presenza delladonna a se stessa e all'altro è un impegno etico cheaccomuna tutte. Da questo nuovo luogo interiore, conquesto nuovo sguardo è possibile percorrere traiettoriedifferenti rispetto sia all'imitazione del modello patriarcale,sia a quelle forme dell'attesa tipicamente «femminili» chehanno per tanto tempo stornato la donna dall'essere unapresenza viva, arrischiata, consapevole. Non aspettando,dunque, ma raccogliendo l'invito all'esistenza.

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(10) Ibidem, p. 61.