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“La struttura delle rivoluzioni scientifiche” di Marco Tului A. A. 2004/2005

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“La struttura delle rivoluzioni scientifiche”

di Marco Tului

A. A. 2004/2005

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Sommario

Il titolo di questa relazione non deve trarre in inganno: non si tratta dello studio della strutturadelle rivoluzioni scientifiche di Marco Tului, il sottoscritto, ne dello studio che il sottoscritto hafatto delle rivoluzioni scientifiche in generale. Ma semmai di uno studio dell’omonimo saggio diKuhn di storia della scienza. Non e una trovata molto originale, lo so, ma e la prima che m’e venutain mente, e non m’e uscito un titolo migliore.

Ho voluto dividere il lavoro in due parti:

• una prima in cui raccontare, capitolo per capitolo, il libro di Kuhn, cercando di farne unasorta di “versione ridotta”, arricchita qua’ e la’ da personali osservazioni, come da piccolereinterpretazioni delle parole di Kuhn, atte a rendere il suo pensiero un po’ piu chiaro escorrevole. Un’edizione minore, insomma, utile sia per chi non abbia mai letto il libro, e purstimolato dall’argomento non voglia leggerselo tutto per forza, sia per chi l’abbia gia fatto, mavoglia farne ciononostante una (spero) piacevole ripassata.

• E una seconda parte invece in cui ho raccolto osservazioni di carattere piu generale.

E’ inutile dire che tutto cio e frutto dell’interesse e del diletto di un semplice studente, e quindiva preso con beneficio di inventario: non mi si prenda troppo sul serio.

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Parte I

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0.1 La Prefazione del libro

Contrariamente alla maggior parte dei saggi, maforse secondo la consuetudine di quelli di mag-giore spessore, questo libro di Kuhn non e natoin pochi mesi, ma dopo una gestazione di benquindici anni. E per lui e anzitutto una spie-gazione di come sia diventato uno storico dellascienza.

Prim’ancora di iniziare l’universita, ci raccon-ta, aveva sempre avuto dei generali interessi filo-sofici, che hanno poi trovato ulteriore e decisivostimolo una volta venuto a contatto colle scien-ze sociali, piu o meno per caso quand’era ancorauno studente di fisica teorica. Si accorse infat-ti che nelle scienze sociali vi fosse un disaccordomolto piu aperto e acceso sulla natura dei proble-mi e dei metodi scientifici legittimi, di quello chepensava. Fu proprio allora che comincio a svi-luppare, in embrione, il concetto di paradigma,che come vedremo diverra il cardine fondamen-tale di tutto il libro, attorno a cui ruota tutta lasua tesi.

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Capitolo 1

Introduzione: un ruolo per la storia

Essendo questo un saggio di Storia della Scien-za, una delle prime domande che ci si puo porree che senso abbia questa disciplina, cos’abbia daoffrire a chi vi si avvicina. Domanda che puo ve-nire in mente a chiunque, dal semplice profanoallo studioso piu impegnato, ma che in realta sela pongono in pochi, pensa Kuhn, se e vero chegli storici della scienza si contano sulla puntadelle dita, o poco piu.

Obiettivo di questo libro pero non e di attirarenuove leve da arruolare nella storia della scienza.Ma semmai contribuire a trasformare l’immaginedella scienza alla quale siamo abituati, dimodo-che dopo averlo letto, ciascuno, lo studente co-me il fisico sperimentale, possa riprendere il suolavoro con maggior cognizione di causa, perchepiu cosciente di cio di cui fa parte: la comunitascientifica.

Sui banchi di scuola, infatti, i manuali di fisicao biologia sono scritti in una maniera cosı fluidae lineare che si puo facilmente venire indotti apensare che la scienza, grossomodo, si e svoltanella stessa maniera cosı fluida e lineare. Manaturalmente non e cosı.

E se questa e una delle prime differenze tral’immagine scolastica della scienza e la sua ver-sione storica, c’e un altro aspetto che emerge da

un confronto del genere, meno evidente, ma nonmeno importante: il metodo. Proprio l’ordinee la scorrevolezza dei manuali possono suggeri-re anche che la scienza abbia intrinsecamente unmetodo, il cosiddetto “metodo scientifico”.

Come si puo venire assuefatti a credere ancheche si possa parlare propriamente di “progresso”per la scienza, che essa si muova e proceda nelladirezione individuata come da un vettore. Checioe in fondo il percorso che da Galileo ha porta-to ad Einstein sia necessitato, non poteva esserealtrimenti.

Almeno per il primo e l’ultimo aspetto di que-sti tre, Kuhn ci spieghera come siano degli ste-reotipi antistorici, da abbandonare. Per il secon-do invece, sull’esistenza di un metodo scientificovero e proprio, non ne parlera esplicitamente.

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CAPITOLO 1. INTRODUZIONE: UN RUOLO PER LA STORIA 4

Ad ogni modo, prima di affrontare tutto cio,Kuhn trova doveroso fare un’ulteriore premessa:in cosa consiste il lavoro dello storico in generale?Chi e lo storico della scienza? Non e solo per unaquestione di credibilita personale, diciamo cosı,che ce lo vuole spiegare, o almeno accennare, maproprio per farci comprendere meglio cio che diranelle pagine seguenti.

Allora, da un lato lo storico cerca di determi-nare da parte di chi ed in quale momento ciascunfatto, legge o teoria e stata scoperta o inventata.Dall’altro, al contempo, deve riuscire a spiega-re l’insieme di errori, miti e superstizioni che nehanno ostacolato una piu rapida nascita.

Quest’impresa pero col tempo si e resa semprepiu difficile, contrariamente a quanto si potreb-be pensare. Piu dati e ricerche si accumulano,infatti, e piu diventa arduo rispondere a doman-de come “quando fu scoperto questo” e “chi hainventato quest’altro”: si fa sempre piu fatica aindividuare paternita e luogo di nascita precisidi pressoche ogni invenzione e scoperta, percheci si accorge che ogni passo nel cammino dellaconoscenza e stato ottenuto in un contesto piuaperto e indefinito di quel che si pensava fino adun momento prima.

E assieme a questa difficolta coesiste poi quelladi distinguere nettamente la componente “scien-tifica” delle osservazioni e delle credenze delpassato da cio che gli storici precedenti han-no sbrigativamente etichettato come “errore” o“superstizione”.

Queste complicazioni han portato gli storiciattuali1 a dubitare se questo sia solo un proble-ma di metodo storiografico, o semmai un pro-blema di fondo, di principio. Portandoli a pro-pendere per questa seconda ipotesi, e iniziando

1o almeno del periodo in cui scrive Kuhn, di cui sisente rappresentante a quanto pare

cosı una vera e propria rivoluzione storiografica,che al momento pero sarebbe ancora allo stadioiniziale2.

2al momento in cui scrive Kuhn almeno, ovvero unaquarantina d’anni fa: sarebbe interessante sapere a chepunto sia adesso. . .

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Capitolo 2

La via verso la scienza normale

Definizioni Per Kuhn la scienza non e un enteimmutabile ed eterno, ma come un essere uma-no che nasce, cresce e matura, attraversa del-le fasi. Una delle piu importanti, e quella chela rappresenta nella sua normalita, la chiama(guardacaso) “scienza normale”.

La scienza e normale, secondo Kuhn, quandoe stabilmente fondata su uno o piu risultati rag-giunti nel passato, che vengono raccolti in ope-re che possiamo chiamare “classici”, e ne fannoda fondamento. Si pensi ad esempio alla “Fi-sica” di Aristotele, i “Principia” di Newton, la“Relativita” di Einstein, etc.

Domanda: come nasce un “classico” dellascienza come questi? Come devono essere questirisultati del passato, dimodoche si possano rac-chiudere e confezionare in libri del genere, e sudi essi si possa erigere una “scienza normale”?Quando possiedono due caratteristiche:

• devono essere sufficientemente nuovi per at-trarre un nutrito gruppo di studiosi, e nellostesso tempo

• sufficientemente aperti da lasciare al gruppodi scienziati cosı costituitosi la possibilita dirisolvere problemi di ogni genere, o quasi.

Quando soddisfano entrambi questi requisiti,questi risultati diventano quello che Kuhn chia-

ma paradigmi. I paradigmi quindi definisconola scienza normale: una scienza e normale quan-do possiede uno o piu paradigmi. Ed e grazie adessi che si mantiene nel tempo una certa tradi-zione di ricerca all’interno di una scienza. Ra-ramente difatti l’attivita di ricerca di un nuovomembro della comunita di studiosi suscitera unaperto disaccordo riguardo ai principi fondamen-tali, una volta accettati come tali, ma questo, sibadi bene, non e un fatto necessariamente ne-gativo, ma anzi al contrario una condizione ne-cessaria alla sopravvivenza stessa della comunitascientifica.

Primi problemi di definizione Non dob-biamo credere pero, in generale, che primad’avere il suo primo paradigma una scienzanon sia scienza. Gli ottici pre-Newtoniani,quelli cioe che lavoravano prima dell’uscitadell’“Ottica” di Newton, ad esempio, purnon lavorando sulla base di un paradigmacomune erano scienziati. Almeno per avercontribuito in maniera significativa al consegui-mento del primo paradigma. Prima di questo,una scienza puo essere tale, puo essere scienza,

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CAPITOLO 2. LA VIA VERSO LA SCIENZA NORMALE 6

solo che non ancora nella fase “normale”1.Cio precisato, se nella matematica e nell’astro-

nomia la comparsa del primo paradigma risale atempi relativamente remoti, non vale lo stessoper le altre scienze: i paradigmi non si sono af-fermati con eguale facilita in tutte le scienze. Diquesto punto fondamentale, pero, almeno per ilmomento il nostro autore non ci spiega il motivo,ma suggerisce solo un abbozzo di risposta: che latecnologia abbia giocato un ruolo fondamentalenella genesi di una (nuova) scienza.

Piccoli problemi crescono Orbene, ad ognimodo, poniamo che per qualche motivo sorga inun dato ambito di ricerca il primo paradigma:quali sono le sue influenze piu immediate sullacomunita scientifica?

• Tanto per cominciare, il paradigma imponeinevitabilmente una nuova e piu rigida defi-nizione del campo di indagine stesso, col ri-sultato che la maggior parte dei membri del-le scuole di pensiero differenti, precedenti alparadigma, si convertono al nuovo paradig-ma, mentre una minoranza, di solito moltoesigua, non lo accetta. Minoranza pero chese al di fuori, tra i non addetti ai lavori, puogodere di una certa notorieta, all’interno delproprio settore viene pressoche ignorata.

• Poi, il paradigma, sollecita la nascita asua volta delle cosiddette “specializzazioni”:una volta che siano ben fissati i principidell’ottica piuttosto che della meccanica, il

1questo e un punto un po’ controverso, perche nel se-guito Kuhn non sembra far altro che identificare la scien-za normale colla scienza, o meglio la scienza puo esserenormale o, come vedremo, straordinaria, ma non e bendefinita una “scienza” in se

gruppo si puo serenamente dividere in sot-togruppi, ognuno rivolto ad una particolareparte della teoria.

• E infine una volta che lo scienziato accetta ilprimo paradigma come vero, puo comincia-re la sua ricerca dal punto in cui il paradig-ma finisce, o se vogliamo dal punto in cui ilmanuale in cui e stato confezionato il para-digma finisce. E concentrarsi cosı esclusiva-mente sugli aspetti piu sottili e complessi deifenomeni naturali che fino a quel momentopossono interessare al suo gruppo.

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Capitolo 3

La natura della scienza normale

Le definizioni appena introdotte necessitanouna piu accurata discussione, che cominciamosubito.

Paradigma Allora, anzitutto il termine “pa-radigma”, nell’accezione comune, significa mo-dello, o schema accettato. Per esempio, “amo,amas, amat” e un paradigma, perche mostralo schema da usare nel coniugare numerosi al-tri verbi latini, per ottenere “laudo, laudas, lau-dat” etc. In questo senso il paradigma serve ariprodurre esempi.

Ma nell’accezione che qui ci interessa,invece, questo significato rischia di essereriduttivo. Un paradigma, kuhnianamente, equalcosa di piu. Piu che uno strumento diriproduzione e, analogamente ad un verdet-to giuridico accettato nel diritto vigente1,uno strumento per un’ulteriore articolazione edeterminazione sotto nuove o piu restrittivecondizioni.

Per capirlo bene, dobbiamo pero anzituttocapire i suoi limiti e difetti.

I paradigmi raggiungono la loro posizionequando meglio dei loro competitori riescono arisolvere alcuni problemi che il gruppo degli spe-cialisti ha riconosciuto come urgenti. Riuscire

1almeno in America

meglio pero non significa riuscire completamenteper quanto riguarda un unico problema, o riu-scire abbastanza bene per infiniti problemi. Ilsuccesso di un paradigma e anzi, all’inizio, ingran parte una promessa di successo che si puointravedere in alcuni esempi scelti ed ancora in-completi. E la scienza normale consiste proprionella realizzazione di questa promessa.

Realizzazione che e accompagnata da un gran-de lavoro di ripulitura, di inquadratura di vecchiee contemporanee erronee spiegazioni dei fenome-ni all’interno del paradigma. Lavoro che occupala maggior parte degli scienziati nel corso di tut-ta la loro carriera, e che porta inevitabilmentead una certa resistenza nei confronti della sco-perta di nuovi generi di fenomeni: spesso sfug-gono completamente quelli che non si potrebbe-ro adattare all’incasellamento, e di norma anzigli scienziati non mirano nemmeno ad inventarenuove teorie. La loro ricerca e rivolta prevalente-mente ad articolare quei fenomeni e quelle teoriegia prospettate dal paradigma.

Ma queste restrizioni, questa limitatezza nel-l’orizzonte degli interessi scientifici, non e un ve-ro e proprio difetto. Gioca anzi un ruolo fon-damentale per lo sviluppo di una scienza. Al-trimenti infatti gli scienziati non riuscirebbero aconcentrarsi su certi fenomeni, e non potrebbero

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CAPITOLO 3. LA NATURA DELLA SCIENZA NORMALE 8

elaborare risultati utili e significativi.Se poi il paradigma cessasse di funzionare ef-

ficacemente, allora la scienza normale attivereb-be un meccanismo interno per rilassare questerestrizioni che vincolano la ricerca, in modo dadare spazio ad un nuovo e piu generale paradig-ma, magari, o qualcos’altro, come vedremo poi.Ma in ogni caso, almeno una parte dei risulta-ti che gli specialisti ha ottenuto sotto l’influenzadel paradigma, resteranno permanenti.

Scienza normale Il paradigma, come tale, de-finisce stimola e limita i problemi di cui si occu-pa la scienza normale. Precisamente, questi sonoclassificabili nelle seguenti categorie:

• v’e quella classe di fatti che il paradigmaha indicato come particolarmente rivelatoridella natura delle cose. Ovvero, in parolepiu semplici, di dati importanti, significati-vi, come la posizione e la grandezza dellestelle in astronomia, o in chimica le formuledi struttura e i punti di ebollizione. Datiimportanti, e, se vogliamo, di base;

• una seconda categoria, poi, piu piccola manon meno importante, e quella dei fatti chepur non avendo grande interesse di per se,possono venire messi direttamente a con-fronto colle previsioni ricavate dalla teoriaparadigmatica. Una teoria scientifica, spe-cie se formulata in forma prevalentementematematica (una teoria fisica), raramentepuo essere messa immediatamente a con-fronto colla natura (si pensi alla relativitagenerale di Einstein). Bisogna allora di-mostrare piu stretto l’accordo tra teoria enatura con prove o esperimenti indiretti;

• infine, una terza e ultima classe di esperi-menti e osservazioni consiste nel lavoro em-

pirico intrapreso per articolare la teoria pa-radigmatica, risolvendo alcune ambiguita epermettendo la soluzione di problemi su cuiessa si era in precedenza limitata a richia-mare l’attenzione. Questa, che e la classepiu importante di tutte, ci dice Kuhn, vasuddivisa a sua volta:

1) nelle scienze che hanno un maggiore ca-rattere matematico alcuni degli esperimen-ti che hanno per scopo questa articolazionevengono diretti a determinare costanti fisi-che (la costante di gravitazione universale,il numero di Avogadro, etc.);

2) ma non solo. Gli sforzi per articola-re un paradigma possono anche avere dimira, ad esempio, la formulazione di leggiquantitative, come la legge di Coulomb perl’attrazione elettrica o quella di Boyle chelega pressione e volume di un gas2;

3) vi e poi un terzo genere di esperimen-ti che ha lo scopo di articolare un paradig-ma. In misura ancora maggiore degli altri,questo puo assomigliare all’esplorazione, ede particolarmente frequente in quei periodie in quelle scienze che sono interessati al-lo studio della regolarita della natura piunei suoi aspetti qualitativi che quantitati-vi. Spesso infatti un paradigma, stabilitoper spiegare un gruppo di fenomeni, diven-ta ambiguo quando viene applicato ad altrifenomeni strettamente collegati ai primi. Ecosı gli esperimenti sono necessari per ope-rare una scelta tra i vari modi alternativi

2potremmo pensare che leggi quantitative possano es-sere trovate anche senza un paradigma alle spalle, senzarichiamarsi ad alcuna teoria. Ma la storia non confer-ma il verificarsi di un metodo cosı baconiano, almeno daGalileo in poi

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CAPITOLO 3. LA NATURA DELLA SCIENZA NORMALE 9

di applicare il paradigma alla nuova area diinteresse.

Questo per quanto riguarda i problemi spe-rimentali di una scienza normale. Volgiamociadesso a quelli teorici. Una parte dell’attivitateorica di una scienza normale, sia pure una pic-cola parte, consiste semplicemente nell’usare lateoria esistente per prevedere informazioni su fat-ti di valore intrinseco. La compilazione delle ef-femeridi astronomiche o il computo delle carat-teristiche delle lenti sono esempi di problemi diquesto genere.

Ma questo e considerato dagli scienziati unlavoro minore, da lasciare ad ingegneri e tecnici.Prova ne e’ che compare poco sui giornaliscientifici importanti, che contengono invecepiu che altro discussioni teoriche volte allamanipolazione della teoria, allo scopo di presen-tare una nuova applicazione del paradigma o diaccrescere la precisazione di un’applicazione chee gia stata fatta.

L’esigenza di questo tipo di attivita si puo ca-pire se si considera le difficolta che spesso esisto-no nel sviluppare punti di contatto tra una teoriae la natura. Ad esempio, i Principia di Newtonrappresentarono una grande teoria, un grandeparadigma, capace di spiegare un gran numerodi fenomeni. Ma proprio questa grande genera-lita delle leggi di Newton faceva sı che il numerodelle loro applicazioni non fosse altrettanto gran-de. Newton infatti non ne sviluppo’ poi molte,e nemmeno con grande precisione, se paragonia-mo quello che oggi uno studente universitario difisica puo fare con quelle stesse leggi.

Occupiamoci per il momento della precisione.Newton piu volte fu costretto a fare delle ap-prossimazioni, quando approssimo ad esempio il

pendente di un pendolo a punto materiale, sen-za contare che la maggior parte dei suoi teore-mi trascurava l’effetto della resistenza dell’aria.Pur con queste approssimazioni, che erano del-le buone approssimazioni, i suoi teoremi resta-vano dei buoni teoremi, ma veniva limitata l’a-rea di accordo tra le previsioni e gli esperimentieffettivi.

Questi limiti, pur non invalidando le sue teo-rie, lasciarono aperti molti affascinanti proble-mi teorici ai successori di Newton, di perfeziona-mento dell’accordo tra paradigma newtoniano enatura.

In conclusione, riassumendo, queste tre clas-si di problemi, ovvero la determinazione di fattirilevanti, il confronto dei fatti colla teoria, e l’ar-ticolazione della teoria medesima, esauriscono laletteratura della scienza normale, sia empirica3

che teorica.Esse pero non esauriscono l’intera letteratura

della scienza, perche, come vedremo (d’altron-de non possiamo che aspettarcelo, visto il titolodi questo libro), esistono anche problemi straor-dinari, che non rientrano in queste categorie, eche diventano i cardini attorno a cui nascono eruotano le rivoluzioni scientifiche.

Prima di affrontarli, abbiamo bisogno diapprofondire ulteriormente il panorama dellascienza normale.

3per empirica Kuhn intende quella che noi oggiintendiamo piu comunemente come sperimentale

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Capitolo 4

La scienza normale come soluzione dirompicapo

I problemi della scienza normale che abbiamoappena incontrato mirano in scarsa misura a pro-durre novita fondamentali. Se allora lo scopodella scienza normale non sta nell’elaborare so-stanziali novita, e anzi l’incapacita di ottenereod andare vicini al risultato anticipato e di so-lito considerato un fallimento per lo scienziato,che senso ha il suo lavoro? In parte abbiamo giarisposto a questa domanda, nel capitolo prece-dente: i risultati ottenuti nel corso della ricercanormale sono significativi perche accrescono laportata e la precisione con cui il paradigma puoessere applicato.

Una simile risposta pero non puo spiegare l’en-tusiasmo e la devozione che gli scienziati ci met-tono nel loro lavoro: sebbene il risultato finaledella ricerca dello scienziato possa essere antici-pato, spesso in modo tanto particolareggiato checio che resta da conoscere e in se stesso privodi interesse, la via da seguire per ottenere quelrisultato rimane ancora sconosciuta. Individuar-la, e percorrerla, richiede la soluzione di una seriedi complessi rompicapi strumentali, concettualie matematici.

La scienza normale consiste proprio nella so-luzione di rompicapi. Va precisato pero che per

essere classificato come un rompicapo, un proble-ma deve essere caratterizzato da qualcosa di piuche una soluzione certa. Vi devono essere del-le regole che delimitano la natura delle soluzioniaccettabili, come anche i passaggi attraverso iquali si devono ottenere tali soluzioni.

Regole che sono di diverso tipo:

• il primo e quello costituito dalla semplice ac-cettazione di leggi e concetti del paradigma(ad esempio, accettare le leggi di Newtondella dinamica come punto di partenza);

• poi vi e una serie di assunti, di caratterestrumentale, che inducono cioe a preferirecerti tipi di strumentazione, e ad impiegar-li secondo le modalita che sono consideratelegittime;

• e ad un livello superiore vi sono assunti dicarattere “metafisico”, per cosı dire, e me-todologici. Ad esempio, dopo la comparsanel ’600 degli scritti scientifici di Cartesio,la maggior parte dei fisici assunse che l’u-niverso fosse composto di microscopici cor-puscoli, e che tutti i fenomeni naturali po-tessero essere spiegati in termini di forma,

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CAPITOLO 4. LA SCIENZA NORMALE COME SOLUZIONE DI ROMPICAPO 11

dimensione, moto e interazione di questicorpuscoli;

• infine, ad un livello ancor piu elevato, vie un altro insieme di assunti che lo scien-ziato assume (o deve assumere), e che sonodi piu difficile definizione. Consistono neldovere che lo scienziato sente di compren-dere il mondo ed estendere la portata e laprecisione dell’ordine che gli e stato dato.Quest’impegno lo deve a sua volta guidarea scrutare alcuni aspetti della natura fin neiminimi dettagli empirici. E se tale esamesvela sacche di apparente disordine, questelo devono allora stimolare a raffinare ulte-riormente le sue tecniche di osservazione e adare maggiore articolazione alle sue teorie.

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Capitolo 5

La priorita dei paradigmi (sulleregole)

Abbiamo parlato di paradigmi, scienza nor-male e regole. Ma che relazione intercorre piuprecisamente tra tutte queste?

Scovare le regole Se i paradigmi di una co-munita scientifica matura possono venire indi-viduati con relativa facilita (basta assistere allelezioni universitarie, o sfogliare i manuali), noncontemporaneamente a questi si possono deter-minare le regole. Per trovarle bisogna fare un la-voro in piu, un po’ differente: lo storico deve sco-prire quali elementi isolabili, espliciti o impliciti,i membri della comunita possono aver astrattodai loro paradigmi per usarli come regole dellaloro ricerca. E questo lavoro puo essere piu dif-ficile di quello di ricerca dei paradigmi, se nonaddirittura frustrante.

Gli scienziati infatti non imparano mai con-cetti, leggi e teorie in astratto e per se stesse,ma sempre assieme alle loro applicazioni. Unostudente di dinamica newtoniana scopre il signi-ficato di termini come “forza” “massa” “spazio”e “tempo” non tanto sulla base di definizioni in-complete, sebbene talvolta utili, contenute nelsuo manuale, ma osservando e partecipando al-

l’applicazione di questi concetti nella soluzionedei problemi. E questo processo di apprendimen-to attraverso l’esercizio o l’esperimento (didatti-co), continua lungo tutto il processo d’iniziazioneprofessionale.

In modo tale che lo scienziato non si rende be-ne conto delle regole del gioco. E se mai ne hauna qualche cognizione, la esprime al piu impli-citamente tramite l’abilita con cui conduce unaricerca con successo. Da qui capiamo che se gialo scienziato non riesce ad identificarle bene, oquasi per niente, figuriamoci lo storico.

Un dubbio potrebbe balenare allora ai piu cri-tici: forse che, invece di essere troppo implicitee nascoste, in realta queste regole non esistonoproprio? Qualunque sia la risposta a questa do-manda, le regole paiono avere un ruolo di se-condo piano rispetto ai paradigmi. E’ curiosoinfatti ma e cosı (almeno per Kuhn): per de-terminare una scienza normale possono bastarei paradigmi, non c’e bisogno di regole.

Se non che quando i paradigmi comincianoa scricchiolare, a non godere piu di fiducia in-condizionata, tipicamente ad esempio nelle fasidi transizione da scienza normale a rivoluzione

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CAPITOLO 5. LA PRIORITA DEI PARADIGMI (SULLE REGOLE) 13

scientifica, come vedremo piu avanti, le regole(ri?)acquistano importanza. Basta pensare ai di-battiti circa la natura ed i criteri della fisica nelpassaggio dalla meccanica newtoniana a quellaquantistica.

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Capitolo 6

L’anomalia e l’emergere delle scopertescientifiche

Seppure la scienza normale non si prefiggadi trovare (grandi) novita, ma appunto comegia detto di estendere stabilmente la portata ela precisione della conoscenza scientifica attor-no al paradigma. . . cio non toglie che nella ricer-ca scientifica compaiano ripetutamente fenomeninuovi e inaspettati. Che qualora siano partico-larmente “nuovi” e particolarmente inaspettativengono chiamati scoperte.

Le scoperte: di nuovo un problema di defi-nizione Sul termine scoperta e opportuno fareuna precisazione. O piu che altro ricalcare quel-la gia fatta nell’introduzione al libro: cosı comela fisica e l’ambito dove lo “spazio”, “l’energia”,etc trovano la loro definizione piu precisa e ap-propriata, la storia della scienza e l’ambito doveun termine come “scoperta” trova la sua defi-nizione piu corretta, discostandosi da cio che ilsenso comune gli attribuirebbe.

Per esempio, non ha senso chiedersi “quando”e “chi” abbia scoperto l’ossigeno. Si puo dire chesia stato scoperto entro un certo lasso di tempo,tra il 1774 e il 1777, e dire quali ne siano stati iprotagonisti, ma non di piu. Perche la scopertae un processo, un processo di assimilazione con-

cettuale alla teoria, gia esistente o da formulare,che richiede necessariamente del tempo.

Invenzioni Se pero questo vale per le scoperte,vale anche per teorie (inventate)? Di nuovo, ilsenso comune lascerebbe supporre che la rispostasia negativa: la teoria della relativita di Einsteine stata formulata proprio da lui, ed e uscita inun anno preciso (il 1905).

Ma Kuhn ci avverte: la distinzione tra sco-perte e teorie si dimostrera presto artificio-sa, e quest’artificiosita sara proprio una chiavedi lettura importante per capire parecchie tesifondamentali del suo saggio.

L’influenza delle “scoperte” sul paradigmaRimandiamo per il momento il problema di defi-nizione che abbiamo comunque almeno introdot-to, e poniamoci una domanda che sorge sponta-nea: per il discorso che si sta facendo, questoprocesso (la scoperta) comporta un mutamentodel paradigma di partenza? Be’, in certi casi sı,ma non in generale.

Ad esempio, se prendiamo la scoperta dei rag-gi X (tipica scoperta dovuta al caso), questa

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CAPITOLO 6. L’ANOMALIA E L’EMERGERE DELLE SCOPERTE SCIENTIFICHE 15

non fu implicata in alcuna evidente rivoluzio-ne della teoria scientifica, almeno nei dieci anniche seguirono. Ciononostante, l’assimilazione diquesta scoperta ha reso alla fine necessario uncambiamento di paradigma. In che modo pero?

Be’, piu che da un punto di vista teorico (iparadigmi non escludevano, almeno in manieraesplicita, l’esistenza di raggi X), i raggi X mi-sero in discussione gli strumenti e le apparec-chiature fino ad allora ritenute coerenti col pa-radigma, negando loro il diritto ad essere ancoraconsiderate tali.

Una domanda latente La piu importantedomanda che possiamo e anzi dobbiamo porcisulle scoperte, alla luce della definizione di pa-radigma e di scienza normale, e piu semplice escontata delle altre, ed e: com’e possibile che lascienza normale, una ricerca che non e direttaa mettere in luce le novita e che anzi tende asopprimerle, e terreno fertile per la loro nasci-ta? Come mai nascono scoperte all’interno dellascienza normale?

Ebbene, sembra paradossale, ma una volta ac-cettato il paradigma, il suo ulteriore sviluppo ri-chiede un affinamento teorico e sperimentale (enon ultimo anche delle apparecchiature e deglistrumenti di misura), ed e proprio grazie a que-sto affinamento che la novita riesce ad emergere,allorche si conosce con maggior precisione e accu-ratezza cosa ci si dovrebbe aspettare. Se il para-digma non esistesse, l’anomalia non si noterebbenemmeno.

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Capitolo 7

La crisi e l’emergere di teoriescientifiche

Non sono solo le scoperte a produrre cambia-menti nel paradigma, ma anche, e di piu, l’inven-zione di nuove teorie. Analogamente alle scoper-te, pero, com’e possibile che la scienza normaleconsenta il sorgere di nuove teorie?

Be’, una teoria scientifica, per quanto pos-sa godere di un successo straordinario, come adesempio la teoria tolemaica ha fatto per secoli,non puo essere eterna, completa e definitiva.

La concezione tolemaica infatti si rese manmano sempre piu inefficace a descrivere certi fe-nomeni, e a poco a poco anzi che la strumen-tazione e le osservazioni si facevano sempre piuaccurate, la teoria si rendeva sempre piu impreci-sa. Senza contare che un contributo fondamenta-le alla modifica del paradigma tolemaico lo die-dero fattori esterni, di carattere sociale, comead esempio la pressione per una riforma del ca-lendario, che rese ancor piu urgente risolvere ilrompicapo della precessione degli equinozi.

Di esempi di “nuove” teorie se ne potrebberofare a iosa, e si vedrebbe che tutti abbiano al-meno una caratteristica in comune: presentarsicome risposte dirette alla crisi.

Questo non vuol dire pero che siano una rispo-sta immediata alla crisi: i problemi di fronte ai

quali si manifesta il fallimento sono quasi sem-pre gia tutti conosciuti molto tempo prima allanascita della nuova teoria. L’attivita precedentedella scienza normale aveva fornito tutte le ra-gioni per considerarli risolti o quasi, e cio aiutaa capire perche la sensazione dell’insuccesso delparadigma e di solito acuta. Sensazione pero, sibadi bene, che provoca spesso disappunto, mamai sorpresa: ne problemi ne rompicapo cedonocon facilita al primo attacco.

E inoltre, dobbiamo sapere che diverse voltenella storia la soluzione di ciascuno dei problemi“problematici” viene almeno parzialmente anti-cipata in un periodo in cui non esiste ancora lacrisi. Poi pero, proprio perche non si e ancoranella fase di crisi, queste anticipazioni vengonotrascurate, e si vanno a riprendere solo dopo.

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Capitolo 8

La risposta alla crisi

Vediamo ora come gli scienziati reagiscono al-la crisi. Parte della risposta puo essere data os-servando anzitutto cosa gli scienziati non fan-no mai di fronte anche alle anomalie piu gravie prolungate: se le nuove teorie, come detto nelcapitolo precedente, non sono delle risposte im-mediate alla crisi, e anche perche gli scienziatinon considerano mai le anomalie come controe-sempi di per se sufficienti ad invalidare la teoriaparadigmatica.

Questo non significa che non considerino l’e-sperienza importante, ma che il giudizio in baseal quale gli scienziati decidono di respingere unateoria precedentemente accettata si basa sempresu qualcosa di piu di un semplice confronto del-la teoria colla natura. Deve infatti anche esseredisponibile un’alternativa pronta a prenderne ilposto.

In quest’ottica, dobbiamo anche considerareche ad un’analisi piu attenta non si nota unanetta linea di demarcazione tra il controfatto eil rompicapo. Fatta eccezione per alcuni1, tut-ti i problemi che la scienza normale consideracome un rompicapo possono essere visti da alcu-

1l’ottica geometrica ad esempio, che pero appunto inbreve ha cessato di produrre problemi di ricerca, ed ediventata soltanto uno strumento tecnico

ni, ed avviene proprio cosı, come un controfatto,mentre da altri no. Di solito, infatti, di frontead un’anomalia spesso gli scienziati sono dispo-sti ad aspettare, e lasciare il tempo a decidere seera solo un rompicapo o invece un controfatto.

Nel caso pero un’anomalia si riveli qualcosa dipiu che un semplice rompicapo della scienza nor-male, perche mette in discussione generalizzazio-ni esplicite e fondamentali del paradigma (peresempio nel caso del problema del trascinamen-to dell’etere per coloro che accettavano la teoriadi Maxwell), oppure perche essa impedisce appli-cazioni di particolare interesse pratico (nel casodei problemi della teoria tolemaica per la proget-tazione di calendari). . . allora, per queste ragionied altre analoghe, la transizione alla crisi ed allascienza straordinaria e iniziata: l’anomalia vienericonosciuta come tale dalla maggioranza deglispecialisti, che vi dedicano sempre piu attenzio-ne. Al punto che se essa continua a resistere permolto (cosa che di solito non succede) molti degliscienziati possono giungere a considerare la suasoluzione come l’argomento principale della lorodisciplina.

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CAPITOLO 8. LA RISPOSTA ALLA CRISI 18

Una volta entrati nella crisi, almeno un paio dieffetti che essa produce paiono essere universali:

• sfocamento del paradigma e conseguen-te allentarsi delle regole che governano laricerca2;

• emergere di un nuovo candidato per il para-digma, con conseguente battaglia per la suaaccettazione.

La scienza straordinaria Riguardo al nuovocandidato a paradigma, storicamente si e verifi-cato che questo spesso emerge, almeno in embrio-ne, gia prima che la crisi si sia sufficientementesviluppata e sia stata riconosciuta esplicitamentecome tale3.

In questi casi lo storico puo soltanto dire cheun insuccesso secondario del paradigma e l’ini-ziale sfocamento delle regole che esso forniva al-la scienza normale furono sufficienti ad indur-re qualche scienziato a guardare il suo campocon occhi nuovi: quello che accadde tra la primasensazione di turbamento ed il riconoscimento diun’alternativa possibile deve essere stato in granparte inconscio.

In altri casi, pero, ad esempio nel caso di Co-pernico o Einstein, tra la prima presa di coscien-za del fallimento e l’emergere del nuovo paradig-ma trascorse un considerevole periodo di tempo.Questa diversa casistica da invece allo storicouna migliore occasione di afferrare l’idea di cosa

2sotto questo aspetto la ricerca che si svolge nel pe-riodo di crisi assomiglia molto a quella del periodo pre-paradigmatico, colla differenza pero che stavolta il tuttoavviene in un ambito piu ristretto e chiaramente definito

3per esempio, i primi resoconti della teoria ondulato-ria della luce da parte di Young apparvero in uno stadiomolto precoce della crisi che stava maturando nel campodell’ottica.

sia la scienza straordinaria: di fronte ad un’ano-malia che manifestamente intacca le fondamentadella teoria, i primi sforzi dello scienziato sono ri-volti ad isolarla con maggiore precisione e a darleuna struttura. Sebbene ora egli sia cosciente chele regole della scienza normale non possono esse-re completamente esatte, cerchera di applicarlepiu rigidamente che mai, per vedere con esattez-za dove e fino a che punto possono continuarea funzionare nell’area in cui si manifestano ledifficolta. Al tempo stesso cerchera di ingran-dire il guasto, di renderlo piu rilevante e forseanche piu suggestivo di quanto non fosse appar-so negli esperimenti fatti quando si pensava diconoscere in anticipo il risultato. Ed in que-st’ultimo sforzo piu che in ogni altro momentodello sviluppo postparadigmatico della scienza,lo scienziato apparira quasi perfettamente cor-rispondente all’immagine che l’opinione correnteha di lui, ovvero in primo luogo assumera l’a-spetto di colui che cerca a caso, tentando diversiesperimenti per vedere semplicemente che cosaaccade, ed andando alla ricerca di un effetto lacui natura egli non puo minimamente indovina-re. E al tempo stesso, poiche nessun esperimentopuo essere concepito senza una teoria, lo scien-ziato in crisi tentera costantemente di produrreteorie speculative che, se coronate da successo,possono aprire la via ad un nuovo paradigma,e, in caso negativo, possono essere abbandonatecon relativa facilita.

Questa ricerca straordinaria, poi, spesso an-che se non sempre e accompagnata da un altrogenere di ricerca: filosofica, specialmente quan-do la crisi e ufficialmente riconosciuta come tale.Prima infatti, la filosofia veniva tenuta a debitedistanze, e forse non a torto: nella misura in cuila ricerca normale poteva essere svolta usandoil paradigma come modello, abbiamo gia detto

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CAPITOLO 8. LA RISPOSTA ALLA CRISI 19

che le regole e i presupposti non dovevano ne-cessariamente diventare espliciti, e anzi possonoal limite anche non esistere. Ma adesso, nellacrisi, un esame dei presupposti e una riflessionesulla mente, sul pensiero e la logica ad esempio,puo rappresentare una maniera efficace per inde-bolire il dominio della tradizione e suggerirne labase di una nuova. Non e un caso che l’emerge-re della fisica newtoniana come della relativita edella meccanica quantistica siano stati precedu-ti e accompagnati da analisi filosofiche di questotipo.

Dopo tutto cio comunque, capita finalmenteche uno o piu scienziati riescano ad elaborare ilnuovo paradigma, sotto cui viene spiegata e ri-solta l’anomalia. Come cio accada di preciso nonsi sa, e forse mai si potra saperlo. Di certo pero siriscontra che quasi sempre a farlo sono scienzia-ti giovani, o appena entrati nel campo. Questoben si concepisce alla luce di quanto detto fino-ra: sono gli uomini piu adatti e propensi a farlo,perche meno abituati e condizionati dalle regoletradizionali della scienza normale.

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Capitolo 9

La natura e la necessita dellerivoluzioni scientifiche

“Rivoluzione”: di nuovo un problema didefinizione Una rivoluzione scientifica e quin-di un episodio di sviluppo non cumulativo, ma disostituzione, di un paradigma vecchio con unonuovo incompatibile col precedente. Una do-manda a questo punto potrebbe sorgerci: perchechiamare un semplice mutamento di paradigma“rivoluzione”? Considerando le vaste ed essen-ziali differenze tra lo sviluppo scientifico e quel-lo sociale, quale analogia puo giustificare l’usodella medesima metafora secondo cui avvengonorivoluzioni sia nell’uno che nell’altro campo?

• Un aspetto dell’analogia e evidente: le ri-voluzioni politiche sono introdotte da unasensazione sempre piu forte, spesso avver-tita solo da un settore della societa, che leistituzioni esistenti hanno cessato di costi-tuire una risposta adeguata ai problemi po-sti da una situazione, che esse stesse hannoin parte contribuito a creare. E cosı come lerivoluzioni balcaniche dell’inizio del secoloscorso (il ’900) possono sembrare agli estra-nei, ai non addetti ai lavori, parti norma-li di un processo di sviluppo, le rivoluzioniscientifiche sembrano rivoluzionarie soltan-

to a coloro che usavano i paradigmi che sonostati colpiti.

• L’analogia ha poi un secondo e piu profon-do aspetto, da cui peraltro dipende il primo:non possiamo limitarci ad esaminare solo lacorrispondenza tra il nuovo paradigma e lanatura e la logica. Come nelle rivoluzionipolitiche, dove coll’approfondirsi della cri-si la societa e divisa in partiti avversi, l’u-no impegnato nel tentativo di difendere lavecchia struttura istituzionale, l’altro impe-gnato nel tentativo di istituirne una nuo-va. . . e siccome quest’ultimo non riconoscealcuna struttura al di sopra delle istituzionimedesime alla quale poter far riferimento,per giudicare della differenza rivoluzionaria,deve alla fine far ricorso alle tecniche dellapersuasione di massa, che spesso includonola forza. Cosı, sebbene forse per la forza sipuo fare un distinguo tra le rivoluzioni po-litiche e quelle scientifiche, sicuramente valeun parallelismo per quanto riguarda la com-ponente della persuasione: tanto nelle pri-me, quanto nelle seconde alla fine il giudi-ce ultimo e semplicemente il consenso della

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CAPITOLO 9. LA NATURA E LA NECESSITA DELLE RIVOLUZIONI SCIENTIFICHE 21

popolazione interessata.

Ma al di la di problemi di definizione, esi-stono davvero le rivoluzioni scientifiche?Orbene, accettare le rivoluzioni scientifiche, al-la stregua delle rivoluzioni francese, industriali,etc., come eventi normali nella scienza, puo nonessere cosı facile come puo sembrare da quelloche abbiamo detto fin qui. Sono in parecchi, an-zi, a pensare che la scienza si evolva in manie-ra continua, senza rivoluzioni. Un caso tipico equello della relativita einsteniana: si dice sempreche la dinamica di Einstein includa quella new-toniana come caso particolare, quello in cui levelocita relative siano sufficientemente inferioria quella della luce. Ma, dice Kuhn, in realta none proprio cosı: anche ponendo questa condizione,dalla relativita di Einstein possiamo ricavare del-le leggi particolari che possono solo assomigliarea quelle di Newton, ma non essere propriamenteuguali. Per farlo dobbiamo infatti reinterpretar-le in una maniera che sarebbe stata impossibileprima di Einstein: fatta pure questa condizionesulla velocita, i concetti di massa, tempo e di po-sizione nello spazio restano sempre quelli einste-niani, che non sono e non possono avere gli stessiriferimenti fisici dei loro omonimi newtoniani.

Le differenze che dividono i tradizionalistidagli innovatori Bene, supposto che esistanole rivoluzioni scientifiche (d’altronde il titolo diquesto libro non lascia spazio ad altre supposi-zioni), qualche paragrafo prima abbiamo dettoche da soli la logica e l’esperimento non basta-no perche venga adottato il nuovo paradigma.Per capire come mai avvenga questo, dobbiamo

esaminare brevemente la natura delle differen-ze che dividono i sostenitori di un paradigmatradizionale dai loro successori rivoluzionari.

Ammettiamo anzitutto che le differenze traparadigmi successivi siano tanto necessarie quan-to irreconciliabili: piu esplicitamente allora chegenere di differenze sono?

• Il tipo di differenza piu evidente e gia statodescritto piu volte. Paradigmi successivi cidicono cose differenti sugli oggetti che po-polano l’universo e sul comportamento ditali oggetti. Differiscono per esempio ri-guardo a questioni come l’esistenza di par-ticelle subatomiche, la materialita della lucee la conservazione del calore e dell’energia.Queste sono differenze sostanziali esistentitra paradigmi successivi, che non richiedonoulteriori spiegazioni.

• Ma i paradigmi differiscono anche in qual-cos’altro oltre che negli oggetti, giacche essisono rivolti non solo alla natura, ma anchealla scienza precedente che li ha prodotti.Essi determinano i metodi, la gamma deiproblemi e i modelli di soluzione accettatida una comunita scientifica matura di un de-terminato periodo, come sappiamo. Ne con-segue che l’accoglimento di un nuovo para-digma spesso richiede una nuova definizio-ne di tutta la scienza corrispondente. Alcu-ni vecchi problemi possono venire trasferitiad un’altra scienza o addirittura dichiarati“non scientifici”. Altri, che precedentemen-te erano stati considerati banali o non eranonemmeno stati considerati problemi, posso-no, con un nuovo paradigma, diventare an-che veri e propri archetipi di conquiste scien-tifiche rilevanti. E col mutare dei problemi,spesso muta anche il criterio che distingue

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CAPITOLO 9. LA NATURA E LA NECESSITA DELLE RIVOLUZIONI SCIENTIFICHE 22

una soluzione realmente scientifica da unamera speculazione metafisica, da un giocodi parole, o da un indovinello matematico.

Questi caratteristici mutamenti della conce-zione accettata dalla comunita scientifica riguar-do ai suoi problemi e criteri legittimi avrebbeuna rilevanza minore per la tesi di questo sag-gio se si potesse supporre che essi si verificaronosempre da un livello metodologicamente inferio-re ad uno superiore. In questo caso i loro effettisembrerebbero cumulativi. Non c’e da meravi-gliarsi che alcuni storici hanno sostenuto che lastoria della scienza registra un continuo aumentodi maturita e di affinamento nella concezione chel’uomo si fa della natura della scienza. Tuttaviala tesi di uno sviluppo cumulativo dei proble-mi e dei criteri scientifici e ancor piu difficile dasostenere della tesi dell’accumulazione di teorie:spesso non si verifica ne un decadimento ne unperfezionamento dei criteri, ma semplicementeun mutamento dei criteri richiesto dall’adozio-ne del nuovo paradigma. Mutamento che d’altraparte puo essere a sua volta rovesciato in futuro.

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Capitolo 10

Le rivoluzioni come mutamenti dellaconcezione del mondo

Mutamenti dei criteri, abbiamo detto: fin quii paradigmi sembrano avere a che fare solo collascienza. Ebbene, in realta essi fanno parte inte-grante anche della natura. In questo senso: nelmomento in cui mutano i paradigmi, il mondostesso cambia con essi. Il mondo presente e fu-turo, perche col nuovo paradigma gli scienziatiguardano in nuove direzioni, ma anche il mon-do passato, perche costoro vi vedono adesso cosenuove e diverse. E’ come se la comunita deglispecialisti fosse stata improvvisamente traspor-tata su un altro pianeta dove anche gli oggettifamiliari vengono visti sotto una luce differentee sono accostati ad oggetti insoliti.

Questa similitudine pero va presa un po’ collepinze, serve solo per dire che la percezione delmondo cambia dopo che e cambiato il paradig-ma. Il quanto e il come invece non e cosı facileesemplificarlo.

Al di la del fatto se il mondo sia effettivamentecambiato oppure sia solo la visione dello scienzia-to ad essere mutata, di fatto, diversamente ad unesperimento di illusione ottica, ad esempio, do-ve l’osservatore puo far ricorso all’illusionista senon capisce quale sia la corretta immagine che

sta guardando, nella realta lo scienziato non puoappellarsi a nessun altro che a se stesso per chie-dere un confronto tra cio che vede adesso e quelloche vedeva prima del mutamento di paradigma.Non puo far ricorso ad alcunche che sia al di so-pra o al di la di cio che vede coi propri occhi ecoi propri strumenti.

Guardando la luna, lo scienziato convertito alcopernicanesimo non dice: “ero solito vedere unpianeta, ma ora vedo un satellite”. Una simile lo-cuzione implicherebbe che esiste un senso in cuiil sistema tolemaico sia stato esatto una volta.Poiche abbiamo escluso che la scienza procedaper “accumulazione” (Popperiana?), colui che estato convertito alla nuova astronomia dira in-vece: “un tempo credevo che la luna fosse (o misembrava di vederla come) un pianeta, ma misbagliavo”.

Affermazioni di questo genere sono frequen-ti nei periodi immediatamente successivi aduna rivoluzione scientifica, seppure non possia-mo aspettarcene alcuna testimonianza diretta daparte dello scienziato, ma solo indiretta, tramiteprove di suoi particolari comportamenti.

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CAPITOLO 10. LE RIVOLUZIONI COME MUTAMENTI DELLA CONCEZIONE DEL MONDO24

Un’eccezione: l’astronomia Eccetto forseper quanto riguardo l’astronomia: soltanto nellastoria dell’astronomia possiamo sperare di trova-re in un certo senso un parallelismo completo trale osservazioni degli scienziati e quelle degli indi-vidui sottoposti ad esperimenti psicologici comeillusioni ottiche o simili. La facilita e rapiditacon cui gli astronomi videro cose nuove quandoguardarono oggetti vecchi con vecchi strumentici puo indurre ad affermare che, dopo Copernico,gli astronomi vissero in un modo differente1. E inogni caso, nella loro ricerca essi si comportaronocome se le cose stessero proprio cosı.

Obiezione: ma siamo proprio sicuri cheesistano questi mondi differenti? Ma eproprio necessario descrivere come trasformazio-ne del modo di vedere cio che separa Galileo daAristotele, o Lavoiser da Priestley? Videro co-storo realmente cose differenti quando guardaro-no oggetti dello stesso genere? V’e un senso legit-timo in cui possiamo dire che essi perseguironole loro ricerche in mondi differenti?

Molti lettori potrebbero obiettare, cartesia-namente (e un pensiero che risale a Cartesio)che cio che muta con un paradigma e soltantoil modo in cui lo scienziato interpreta le osser-vazioni che, di per se stesse, sono determinateuna volta per tutte dalla natura dell’ambiente edall’apparato percettivo.

Questo anzi e cio che dice il paradigma epi-stemologico dominante (Popper?). Orbene, con-traddire quest’opinione diffusa e delicato, manon impossibile. Anzitutto dopo il mutamen-to i dati che lo scienziato raccoglie sono diversi,e siccome sono diversi, al mutamento non puocorrispondere una semplice reinterpretazione (didati fissi).

1si pensi alla “stella nuova” di Galileo. . .

Un esempio significativo: Aristotele. . .Prendiamo ad esempio Aristotele e Galileo. Ve-dendo il moto di un corpo vincolato ad un’a-sta verticale, che venga spostato dalla sua con-dizione di quiete, Aristotele pensava che un cor-po pesante si muovesse per sua natura da unaposizione piu elevata verso uno stato di riposo“naturale” in una posizione piu bassa. Percioper lui un corpo oscillante era semplicemente uncorpo che cadeva con difficolta: vincolato dall’a-sta, esso poteva raggiungere lo stato di riposo nelsuo punto piu basso soltanto dopo un movimentotortuoso e un periodo di tempo considerevole.

Quindi Aristotele misurava2 il peso della pie-tra, l’altezza verticale alla quale era stata solleva-ta e il tempo che essa impiegava per raggiungerelo stato di riposo.

. . . e Galileo Galileo invece, quando guardavaun corpo oscillante vedeva un pendolo, ossia uncorpo che quasi riusciva a ripetere lo stesso movi-mento piu e piu volte all’infinito. Cosı misuravail peso, il raggio, lo spostamento angolare ed ilperiodo di oscillazione. E cosı trovava, quasi sen-za alcuno sforzo interpretativo, che il periodo eraindipendente dall’ampiezza delle oscillazioni3.

Senza contare che dalle proprieta del pendoloGalileo derivo le sue argomentazioni veramentecomplete e solide a sostegno della reciproca in-dipendenza tra peso e velocita di caduta, comepure quelle per determinare il rapporto tra l’al-tezza verticale e la velocita terminale dei motilungo un piano inclinato.

2o perlomeno discuteva: Aristotele raramente misura-va

3entro il suo grado di precisione di misura, che nonandava per quanto riguarda il tempo oltre il secondo, nonessendoci ancora orologi nella sua epoca

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CAPITOLO 10. LE RIVOLUZIONI COME MUTAMENTI DELLA CONCEZIONE DEL MONDO25

Alla ricerca del linguaggio perduto Be’,visto che i dati sono diversi, a questo punto gliobiettori si potrebbero appellare ad un linguag-gio puramente descrittivo, neutrale, che corri-sponda a cio che lo scienziato vede prim’ancoradi interpretare. Ma questo linguaggio, astrattoe da definire, a tre secoli di distanza da Cartesio(e almeno fino a Kuhn) non e ancora stato indi-viduato da una qualche teoria della percezione edella mente. E anzi, la moderna sperimentazionepsicologica produce rapidamente e in gran quan-tita fenomeni con cui questa eventuale teoria nonpotrebbe andare d’accordo4.

Di conseguenza, possiamo almeno mettere indiscussione che gli scienziati abbiano ragione inlinea di principio, e anche in pratica, quandotrattano i pendoli (e gli atomi e gli elettroni)come gli elementi fondamentali della loro espe-rienza immediata. In conseguenza dell’esperien-za, fatta sotto la guida di paradigmi, del mon-do umano, della cultura e infine della professio-ne, il mondo dello scienziato e diventato popo-lato di pianeti e di pendoli, di condensatori, diminerali composti e di tanti altri oggetti simi-li. In confronto a questi oggetti della percezione,sia le letture del metro che le impressioni reti-niche sono costruzioni elaborate, cui l’esperienzaha diretto accesso soltanto quando lo scienziato,per gli speciali scopi della sua ricerca, predispo-ne che l’uno o l’altro di essi vi si presti. Cio nonequivale a dire che i pendoli, ad esempio, sonole uniche cose che uno scienziato potrebbe ve-dere quando guarda una pietra oscillante (altriappunto potrebbero vedervi una caduta vincola-ta). Ma significa suggerire l’idea che lo scienzia-to che guarda una pietra oscillante puo non fare

4tra l’altro Kuhn parla di “costruire” questo lin-guaggio, ma personalmente penso si tratti invece di“scoprirlo”. . .

affatto un’esperienza, in linea di principio, piuelementare del vedere un pendolo. L’alternativanon e rappresentata da qualche ipotetica visione“determinata e immutabile”, ma da una visioneattraverso un paradigma che fa sı che la pietraoscillante si presenti come qualcos’altro.

Cio nonostante, come dicevamo, l’epistemolo-gia dominante confida nell’oggettivismo, o me-glio in una sorta di “realismo ingenuo”: l’espe-rienza sensibile e immutabile e neutra, cio checambia nel tempo sono solo le interpretazioni.

Purtroppo, non esiste, almeno a conoscenza diKuhn, un alternativa evidente a questo pensiero,percui non possiamo accantonarlo. Ma almenoridimensionare un po’ sı.

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Capitolo 11

L’invisibilita delle rivoluzioni

I manuali didattici velano le rivoluzioniSe nell’accezione comune, e anche all’interno del-la stessa comunita scientifica, le rivoluzioni disolito fanno fatica ad essere riconosciute cometali, ma piu spesso vengono considerate sempli-cemente come eventi in cui nuovi elementi si sonoaggiunti alla conoscenza. . . un ruolo primario vigioca la didattica e la conseguente impostazio-ne nella comunicazione scientifica, a partire daimanuali.

Questo gia si poteva capire quando si e parla-to della scienza normale: in una misura che nonha eguali in altri campi, la conoscenza che sia ilprofano che lo specialista hanno della scienza ebasata su manuali e su pochi altri tipi di lettera-tura derivanti da essi. E i manuali, essendo de-gli strumenti pedagogici costruiti appositamenteper trasmettere la scienza normale, vanno riscrit-ti interamente o in parte ogni volta che mutanoil linguaggio, la struttura dei problemi o i cri-teri della scienza normale. E una volta riscrit-ti, inevitabilmente celano non soltanto il ruoloma anche l’esistenza stessa delle rivoluzioni cheli hanno prodotti.

E’ tipico infatti che i manuali scientifici con-tengano soltanto un accenno alla storia, contenu-to in un capitolo introduttivo, oppure piu spessodisperso in notizie frammentarie che ricordano i

“grandi eroi di un’epoca passata”.E’ soprattutto per come sono fatti i manua-

li che la scienza tende ad apparire largamen-te cumulativa, e sembra seguire un progressolineare.

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Capitolo 12

La soluzione delle rivoluzioni

Finora non abbiamo trattato nel debito con-to un punto. E cioe, qual e il processo in virtudel quale una nuova teoria che ha i requisiti perdiventare un paradigma riesce a soppiantare ilvecchio paradigma? Come possono i rivoluzio-nari, di solito giovani o nuovi del campo, riuscirea convertire l’intero gruppo degli specialisti, oanche solo il sottogruppo di loro piu interessatoal problema, al loro modo di vedere le cose?

Abbiamo detto che dopo che un persistente in-successo nel risolvere un rompicapo importanteabbia dato origine alla crisi, il paradigma vienemesso alla prova. Prova che ha luogo soltan-to dopo che e gia stato trovato un candidato anuovo paradigma, e che, contrariamente all’atti-vita di soluzione di rompicapo, non consiste maisemplicemente nel confronto tra il paradigma ela natura.

Ora, la filosofia della scienza ha ormai ab-bandonato criteri assoluti per la verificazione diteorie scientifiche: poiche nessuna teoria puomai venire sottoposta a tutte le prove del ca-so possibili, ci si accontenta di chiedersi se lateoria sia “probabile” alla luce dell’evidenza cheeffettivamente esiste.

Le teorie probabilistiche piu popolari sonodue:

• la prima vuole che la teoria in esame vengaconfrontata con tutte le altre teorie possi-bili, che si adattino alla stessa collezione didati di osservazione;

• la seconda che si costruiscano nell’imma-ginazione tutte le prove concepibili cui lateoria scientifica possa essere sottoposta.

Entrambe pero, si capisce, fanno ricorso a quellinguaggio di pura e mera osservazione che abbia-mo discusso nel capitolo decimo, e che almenoper il momento1 non e ancora stato individua-to. E quindi in realta non si possono immagi-nare tutte le esperienze possibili e tutte le teoriepossibili, ma solo quelle concesse all’interno del-la tradizione paradigmatica: queste teorie pro-babilistiche nascondono ed illuminano al tempostesso le condizioni della verifica, valgono solo inlinea di principio.

La strada di Popper: la verificazione del-la nuova teoria attraverso la falsificazionedella vecchia Karl Popper ha proposto alloraun approccio diverso: invece di concentrarsi sulleprocedure di verifica in positivo, bisogna puntaresulla falsificazione, cioe sulla prova che, quan-

1almeno al momento in cui Kuhn scrive, cioe

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CAPITOLO 12. LA SOLUZIONE DELLE RIVOLUZIONI 28

to piu ottiene un risultato negativo, tanto piusuggerisce l’abbandono della teoria corrente.

Questa prova di falsificazione non ha pero mol-to a che fare colle esperienze anomale di cui ab-biamo parlato, quelle che portano alla crisi, seb-bene vi sia un certo parallelismo tra questi dueconcetti2.

Nessuna teoria infatti risolve tutti i rompicapocui essa viene a trovarsi in un dato momento, espesso le soluzioni gia raggiunte non sono perfet-te. Al contrario e proprio l’incompletezza e l’im-perfezione dell’accordo esistente tra dati e teo-ria che, in un dato momento, definisce molti deirompicapo che caratterizzano la scienza normale.

In questo senso quindi se qualsiasi insuccessonello stabilire quell’accordo dovesse essere unaragione sufficiente per abbandonare una teoria,tutte le teorie dovrebbero venire abbandonatesubito. D’altra parte, se pero un insuccesso par-ticolarmente clamoroso dovesse giustificare l’ab-bandono della teoria, allora Popper dovrebbe ti-rar fuori qualche criterio di “improbabilita” odi “grado di falsificazione”. Ma nel tentarlo in-comberebbe nello stesso complesso di difficoltache hanno incontrato i sostenitori delle teorieprobabilistiche di verificazione.

La terza via: l’anomalia e la falsificazio-ne vanno ben distinte Buona parte di que-ste difficolta possono essere risolte se si correggel’errore comune alla proposta di Popper comealle teorie probabilistiche di verificazione, e cioequello di comprimere due processi, l’anomalia ela falsificazione, in uno solo: la falsificazione (delvecchio paradigma, o la verificazione del nuovo)infatti viene dopo la comparsa dell’anomalia, enemmeno sempre.

2sarebbero invece sovrapponibili le due cose nel casodella matematica, invece?

Una simile formulazione a due stadi consentetra l’altro di cominciare a spiegare finalmente ilruolo che l’accordo o meno dei fatti colla teoriasvolge nel processo di verificazione.

Anzitutto la verificazione non consiste pro-priamente nello stabilire l’accordo tra fatti e teo-ria, ma piu che altro nel chiedersi quale di dueteorie determinate e in competizione tra loromeglio si adatti ai fatti.

Questo processo e pero meno facile di quantosi potrebbe pensare. I sostenitori di paradigmiin competizione hanno sempre propositi e orien-tamenti diversi, come pure presupposti empiricie criteri. Se poi aggiungiamo che di solito non vie mai un solo gruppo di problemi da trattare, diun solo tipo cioe, la competizione tra i paradig-mi non puo essere risolta ricorrendo a sempliciprocessi convenzionali, come quello di contare ilnumero di problemi risolto da ciascuno di essi.

Le incomprensioni tra le due fazioni, i tra-dizionalisti e i rivoluzionari Questo lasciaimmaginare che i motivi dell’incomprensione trai due schieramenti siano a loro volta di diversotipo:

• in primo luogo i sostenitori di paradigmi incontrasto saranno spesso in disaccordo suiproblemi concreti che ogni teoria candidataa diventare paradigma dovrebbe risolvere.Come pure i loro criteri e le loro definizionidi scienza non sono gli stessi3;

3la dinamica di Newton venne respinta da moltissimiscienziati del tempo perche, diversamente da Aristotelee Cartesio, dava per scontato che la teoria del movimen-to non potesse spiegare la causa delle forze di attrazioneesistenti tra le particelle di materia, ma limitarsi a consta-tare l’esistenza di tali forze. Questo problema fu quindieliminato quando fu accettato il paradigma di Newton,ma poi ripreso e risolto da Einstein colla sua relativitagenerale

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CAPITOLO 12. LA SOLUZIONE DELLE RIVOLUZIONI 29

• c’e poi qualcos’altro oltre all’incommensura-bilita dei criteri. Tra le due scuole in compe-tizione c’e anche un’incomprensione dovutaall’uso dei termini : siccome i nuovi paradig-mi sono nati da quelli vecchi, di solito essicontengono gran parte del vocabolario e del-l’apparato, sia concettuale che operazionale,che era appartenuto al paradigma tradizio-nale, ma raramente usano questi elementiereditati dalla tradizione in maniera del tut-to tradizionale. Si pensi allo spazio “curvo”di Einstein, o all’affermazione copernicanache “la Terra si muoveva”;

• vi e poi un terzo e ancor piu fondamentaleaspetto. In un modo che Kuhn stesso con-fessa di non saper spiegare piu di quantogia fatto, i sostenitori di paradigmi lavora-no in mondi differenti (l’uno contenente cor-pi vincolati a cadere aristotelicamente, l’al-tro pendoli che ripetono il loro movimentopiu e piu volte galileianamente). E siccomevedono cose differenti, e le vedono in dif-ferenti relazioni tra loro, puo accadere cheuna legge, che neanche se fosse dimostratariuscirebbe a convincere un gruppo di scien-ziati, puo sembrare intuitivamente ovvia adun altro gruppo.

Per tutti questi motivi, si capisce forse meglioadesso che il passaggio da un paradigma ad unaltro non puo essere realizzato gradualmente, unpasso alla volta, ne imposto dalla logica o daun’esperienza neutrale. Ma deve compiersi tuttoin una volta (sebbene non necessariamente in unistante) oppure non si compiera affatto.

Bene, ma come avviene alfine questa con-versione al nuovo paradigma? Torniamoadesso alla domanda con cui abbiamo iniziato

il capitolo: come vengono indotti gli scienziati arealizzare questo passaggio? In parte, la rispostae che molto spesso non si lasciano convincere af-fatto: il copernicanesimo convertı pochi scienzia-ti per quasi un secolo dopo la morte di Coperni-co, cosı come l’opera di Newton. Spesso infatti,come diceva Planck, “una nuova verita scienti-fica non trionfa convincendo i suoi oppositori efacendo loro vedere la luce, ma piuttosto perchei suoi oppositori alla fine muoiono, e cresce unanuova generazione che e abituata ad essa.”

Non si tratta pero di una semplice difficoltadi carattere comportamentale degli scienziati, adammettere i loro errori, nemmeno di fronte aduna prova stringente. La cosa rientra invece nel-la natura stessa della ricerca scientifica: la ra-gione della resistenza al nuovo paradigma consi-ste nella sicurezza che il vecchio paradigma finiracol risolvere tutti i suoi problemi, che la naturapuo essere forzata entro le incasellature fornitedal paradigma. E’ la stessa sicurezza che rendepossibile la scienza normale, come abbiamo giadetto.

Quando pero avviene la conversione, questaalmeno in parte puo essere dettata da atteggia-menti o motivi che possono trovarsi anche com-pletamente al di fuori della sfera della scienza:per quanto agli occhi razionalisti dell’uomo dioggi possa sembrare strano, il culto del sole con-tribuı significativamente ad avvicinare Kepleroal copernicanesimo.

Oppure la stessa nazionalita o la preceden-te reputazione dell’innovatore puo svolgere unafunzione importante: Lord Rayleigh, quando go-deva gia di una reputazione consolidata presentoalla British Association un articolo su alcuni pa-radossi dell’elettrodinamica, in cui pero fu inav-vertitamente omesso il suo nome. L’articolo cosıin un primo tempo venne respinto come opera di

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CAPITOLO 12. LA SOLUZIONE DELLE RIVOLUZIONI 30

qualche “buontempone”, e solo dopo che ne fuchiarita la paternita venne accettato, con grandeprofusione di scuse.

Ci sono pero naturalmente anche argomenta-zioni di carattere piu razionale che contribuisco-no alla conversione. Di solito quella piu efficacee costituita dalla pretesa che il nuovo paradig-ma sia in grado di risolvere i problemi che hannoportato il vecchio paradigma alla crisi. Questapretesa pero difficilmente e sufficiente da sola, nee sempre possibile avanzarla legittimamente.

Poi ci sono anche argomentazioni piu implici-te, che fanno appello alla sensibilita dell’indivi-duo per cio che presenta un aspetto esteticamen-te attraente: se la nuova teoria e piu elegante opiu semplice della vecchia. Tuttavia argomen-tazioni di questo genere si riscontrano piu nel-la matematica4 che nelle altre scienze: le primeversioni della maggior parte dei nuovi paradig-mi all’inizio sono grezze, e prima che sviluppinocompletamente una forza d’attrazione estetica,la grande maggioranza della comunita scienti-fica e gia stata persuasa con altri mezzi. Cionon significa tuttavia che in alcuni scienziati piusensibili di altri anche solo la parvenza di un’at-trattiva estetica non possa comunque attrarli, eproprio da questi pochi non possa dipendere iltrionfo finale della nuova teoria.

Infine, buona parte della discussione sui para-digmi verte, e non puo fare altrimenti, su qualeparadigma debba guidare la ricerca in futuro, suproblemi molti dei quali nessuno dei due com-petitori puo ancora pretendere di dare soluzio-ne completa. Decisione che, se non all’estetica,

4persino oggi, ci dice Kuhn, la teoria generale di Ein-stein attrae gli scienziati principalmente per ragioni este-tiche, un potere di attrazione questo che pochi, al di fuoridel campo della matematica, sono riusciti a sentire

comunque non puo essere affidata alla ragione:bisogna ricorrere alla fede.

Attenzione, non si vuole dire che il nuovo pa-radigma alla fine trionfa attraverso qualche for-ma di estetica mistica generale, ma semmai cheaffinche trionfi debba prima conquistare alcunisostenitori, un po’ per la via estetica, un po’per la via della fede di cui sopra. I quali poilo svilupperanno fino ad un punto in cui moltesolide argomentazioni potranno venire prodottee moltiplicate. Non si verifica infatti un’unicaconversione (mistica) di gruppo, ma un progres-sivo spostamento della distribuzione della fiduciadegli specialisti.

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Capitolo 13

Progresso attraverso le rivoluzioni

Siamo infine giunti al capitolo conclusivo. Fi-nora abbiamo tratteggiato la struttura essenzialedella continua evoluzione di una scienza, ma nonabbiamo ancora risposto, ne accennato ad unadomanda: perche l’impresa scientifica dovrebbemuoversi costantemente in avanti, diversamenteda quanto fanno l’arte, la teoria politica o la fi-losofia? Perche il progresso e una prerogativa ri-servata quasi esclusivamente al genere di attivitache chiamiamo scienza?

Parte della risposta e interamente semanti-ca: in misura molto notevole infatti il termine“scienza” e riservato a campi che progredisco-no in maniera evidente, e questo appare chiaronei ricorrenti dibattiti sulla questione se l’unao l’altra delle scienze sociali contemporanee siadefinibile propriamente come scienza (dibattitianaloghi a quelli che avvennero nei periodi pre-paradigmatici in campi che oggi vengono senzaesitazione etichettati come scienza).

Ma si tratta solo di una parte della risposta,non si puo ridurre la questione ad una pura que-stione di definizione: possiamo modificare e al-largare la definizione di scienza quanto vogliamo,ma la psicologia non potra mai rientrarvi a pienotitolo come la matematica o l’astronomia.

La domanda che ci siamo posti ne sottendeinfatti in realta un’altra, piu fondamentale: per-

che il mio campo non riesce ad avanzare comefa, ad esempio, la fisica? Quali mutamenti tecni-ci, metodologici o ideologici potrebbero metterloin grado di fare cio? Questi non sono quesitiche possono essere risolti con un accordo sulladefinizione.

Allora, una scienza normale, per la definizio-ne che ne si e data, fa progressi. Se dubitiamopero che campi non scientifici facciano anche loroprogressi, cio non significa che le singole scuole,i singoli gruppi che li compongono non ne faccia-no alcuno a loro volta. Semmai esistono semprescuole in competizione tra loro, ciascuna dellequali mette costantemente in discussione i fon-damenti delle altre: dire che la filosofia, ad esem-pio, non ha fatto progressi, significa mettere inrilievo il fatto che vi sono ancora aristotelici, nonche l’aristotelismo non sia riuscito ad evolversi.

Nella scienza stessa, d’altra parte, e soltantodurante i suoi periodi “normali” che il progressosembra evidente e sicuro (nella fase preparadig-matica come in quella rivoluzionaria, la mancan-za o la messa in discussione del paradigma rendediscutibile se la strada che si sta per intrapren-dere consenta o meno del progresso): durante lafase normale il progresso scientifico non e di ge-nere diverso da quello del progresso in altri cam-

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CAPITOLO 13. PROGRESSO ATTRAVERSO LE RIVOLUZIONI 32

pi, ma l’assenza per la maggior parte del tempodi scuole in competizione tra loro, ognuna dellequali metta in discussione gli scopi e i criteri del-le altre, fa sı che il progresso di una corporazionegovernata dalla scienza normale sia piu facile davedere.

L’isolamento Questa spiegazione non e suffi-ciente, pero, a rispondere alla nostra domandainiziale. Buona parte della rapidita con cui lascienza normale si sviluppa, difatti, e dovuta alfatto che una volta che l’accettazione di un pa-radigma comune ha liberato la comunita scienti-fica dalla necessita di riesaminare costantementei suoi principi fondamentali, i membri della co-munita possono concentrarsi esclusivamente suifenomeni piu sottili ed esoterici che il paradig-ma mette in luce. E inevitabilmente cio accrescel’efficienza e l’efficacia con cui il gruppo nella suatotalita risolve nuovi problemi, e provoca ancheun isolamento rispetto al mondo dei profani edella vita d’ogni giorno. Isolamento che e tipicodella scienza normale: il piu esoterico dei poeti oil piu astratto dei teologi e molto piu interessatodi quanto lo sia lo scienziato all’approvazione del-la sua opera da parte dell’uomo comune, sebbenepossa ancora meno interessarsi all’approvazionein generale.

Proprio perche lavora soltanto per un pubblicodi colleghi, un pubblico che condivide i suoi valo-ri e le sue convinzioni, lo scienziato puo affidarsiad un unico insieme di criteri: non deve preoccu-parsi di quello che puo pensare un altro gruppoo un’altra scuola, e puo percio sbarazzarsi di unproblema e passare ad un altro piu rapidamentedi quanto possano fare coloro che lavorano perun pubblico molto piu eterodosso. E cosa ancorpiu importante, questo isolamento consente alloscienziato di concentrarsi di piu sul suo lavoro. E

di scegliere i problemi di cui occuparsi piu libera-mente, a differenza invece dagli ingegneri e me-dici (per non parlare dei teologi) che sono invecepiu pressati dalle esigenze comunitarie urgenti1.

L’educazione Gli effetti dell’isolamento dal-la societa sono resi notevolmente piu forti daun’altra caratteristica che possiede la corpora-zione scientifica specialistica: il tipo di educa-zione con cui i suoi membri vi sono stati iniziati.A differenza che nel campo della storia, della fi-losofia, per non parlare della musica e delle artigrafiche, nelle scienze naturali l’allievo dall’iniziofin quasi alla fine della sua carriera universitariaviene educato su trattati e manuali specificamen-te scritti per lui. I rari professori che consiglia-no letture supplementari di articoli o monografiedi ricerca si limitano a farlo solo nei corsi piuavanzati, e per materiali che cominciano comun-que piu o meno la dove i trattati disponibili fi-niscono: fino agli ultimi stadi dell’educazione diuno scienziato i manuali sostituiscono sistemati-camente la letteratura scientifica creativa che liha resi possibili.

D’altronde questo ha un senso: perche lo stu-dente di fisica dovrebbe leggere le opere origina-li di Newton, Faraday, Einstein o Schroedinger,dal momento che tutto quello che ha bisogno diconoscere su queste opere e ricapitolato in unaforma molto piu breve, precisa e sistematica innumerosi manuali aggiornati? E dal momentoche, sebbene rigida e limitata, prepara quasi allaperfezione lo scienziato a risolvere i rompicapo,e naturale che continui ad essere fatta in questo

1qui Kuhn pero pone una discutibile distinzione tra lascienza propriamente detta e la tecnica: che gli ingegnerie i medici non facciano anch’essi parte della comunitascientifica personalmente faccio fatica ad accettarlo

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CAPITOLO 13. PROGRESSO ATTRAVERSO LE RIVOLUZIONI 33

modo l’educazione scientifica: se funziona cosıbene, perche cambiarla?2

Ma il progresso ha a che fare anchecolla scienza straordinaria? Se il progres-so, e chiaro, accompagna la scienza normale,non abbiamo ancora detto se e come debbaaccompagnare anche quella straordinaria.

Be’, le rivoluzioni si concludono con la vitto-ria totale di uno dei due partiti opposti. Potramai accadere che il gruppo vincente affermi cheil risultato della sua vittoria e qualcosa di menodi un progresso? Una tale affermazione equivar-rebbe ad ammettere che essi hanno avuto torto eche i loro oppositori avevano ragione: lo scienzia-to vede il passato della propria disciplina comemuoventesi in linea retta verso lo stato attuale,lo vede cioe come un progresso, inevitabilmente.

Se ci fermassimo qui, pero, trascureremmo lanatura del processo e l’autorita in base a cui vie-ne fatta la scelta dei paradigmi. Abbiamo giadetto infatti che non e una forza esterna a decre-tare il successo di un paradigma su di un altro,e quindi a determinare la direzione del progres-so, ma e un’autorita giudicante che fa parte ed edentro (anzi e) la comunita scientifica medesima.

La comunita scientifica Spendiamo quindiqualche parola per riassumere le caratteristicheessenziali di una comunita scientifica:

2non sara sfuggito al lettore che qui Kuhn non dicecome mai “i manuali” esistano nella scienza, ma non nel-l’arte e nella musica, ma semmai solo che essi sono cosıcomodi e utili, che sarebbe un peccato buttarli via. Sulperche invece in fisica o matematica esistano questi ma-nuali, mentre non altrettanto in psicologia, non rispondeesplicitamente, ma non e difficile indovinare come lo fa-rebbe: e la scienza normale stessa, per il suo carattere,che ne consente l’esistenza

• uno dei primi requisiti per farne partee essere interessati a risolvere problemiconcernenti il comportamento della natura;

• oltre a cio, sebbene il suo interesse per lanatura possa avere una portata globale, iproblemi su cui lo scienziato opera debbonoessere problemi di dettaglio;

• cosa ancor piu importante, le soluzioni chelo soddisfano non possono essere puramen-te personali, ma debbono venire accettatecome tali da molti, devono godere di unconsenso generale;

• e non potendo fare appello a capi di statoo alla grande maggioranza del pubblico inquestioni scientifiche, i membri del gruppodevono necessariamente possedere un crite-rio comune di valutazione, pena la solleva-zione del problema se la verita nelle scienzepossa essere una sola.

Questo breve excursus sulle caratteristichedella comunita scientifica dovrebbe suggeriregrossomodo, secondo Kuhn, la direzione in cuidovrebbe essere ricercata una soluzione piu raf-finata del problema del progresso nelle scien-ze: forse dobbiamo abbandonare la convinzione,esplicita o implicita che mutamenti di paradig-mi portano gli scienziati, e coloro che ne seguo-no gli ammaestramenti, sempre piu vicino alla“verita”. Ovvero, se nella scienza normale hasenso parlare di progresso, non lo ha piu, o al-meno non nello stesso significato, nella scienzarivoluzionaria.

Il processo di sviluppo descritto in questo sag-gio e stato un processo di evoluzione a partire dastadi primitivi, un processo i cui stadi successivisono caratterizzati da una comprensione sempre

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CAPITOLO 13. PROGRESSO ATTRAVERSO LE RIVOLUZIONI 34

piu dettagliata e raffinata della natura. Ma nul-la di cio che abbiamo detto ne fa un processo dievoluzione verso qualcosa.

E’ inevitabile che questo sorprenda parecchilettori: siamo tutti profondamente abituati a ve-dere la scienza come un’impresa che si avvicinacostantemente sempre piu ad uno scopo stabilitoin anticipo dalla natura.

Ma se impareremo a sostituire l’evoluzioneverso cio che vogliamo conoscere con l’evoluzio-ne a partire da cio che conosciamo, un gran nu-mero di problemi inquietanti puo dissolversi, acominciare da quello dell’induzione, ad esempio.

Quando Darwin pubblico la sua teoria dell’e-voluzione per selezione naturale nel 1859, cio chemaggiormente preoccupava molti specialisti nonera ne il concetto di mutamento della specie ne lapossibilita che l’uomo discendesse dalla scimmia.Ma semmai, tutte le ben note teorie evoluzio-niste predarwiniane –quelle di Lamarck, Cham-bers, Spencer etc.– avevano affermato che l’evo-luzione era un processo diretto verso uno scopofinale. Si pensava che l’“idea” dell’uomo, del-la flora e della fauna contemporanee fosse statapresente fin dalla prima creazione della vita, for-se nella mente di Dio, e ogni nuovo stadio dellosviluppo evolutivo era una realizzazione piu per-fezionata di un piano che era stato presente findall’inizio.

Che significato potevano avere termini co-me “evoluzione”, “sviluppo” e “progresso” inassenza di uno scopo specifico, d’altronde?A parecchia gente questi termini sembravanoimprovvisamente contraddittori.

La domanda ultima Chiunque abbia seguitosin qui queste argomentazioni sentira tuttavia ilbisogno di chiedersi che cos’e che spinge avantiil processo evolutivo. Non e soltanto la comu-

nita scientifica che deve essere specifica. Anche ilmondo, di cui tale comunita fa parte, deve posse-dere caratteristiche abbastanza specifiche, e nonsiamo piu vicini di quanto lo fossimo all’inizioa conoscere quali debbano essere queste caratte-ristiche. Il problema “che aspetto deve avere ilmondo perche l’uomo possa conoscerlo?” non estato pero creato da questo saggio. Al contrario,esso e vecchio quanto la scienza stessa, e non haancora avuto una risposta.

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Parte II

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Capitolo 14

Prime considerazioni

14.1 La prima parte: piccola nota apologetica

Che il lettore abbia letto o meno questa prima parte, probabilmente si saro chiesto che senso abbiaavuto scriverla: non bastava semplicemente rimandare alla lettura del libro?

In parte ho gia risposto nel sommario, a pag. 2, ma forse non in maniera sufficientementeesplicita: a mio personale e modesto giudizio, il libro di Kuhn non e scritto molto bene. Sı, lo so,non sono certo un Umberto Eco o chissa’ qual altro grande scrittore per potermi permettere ungiudizio del genere, ma se fossi stato nei panni di Kuhn avrei cercato di fare meglio, e credo (fossistato in lui) ci sarei riuscito.

Sara anche stata colpa della traduzione dall’originale inglese degli anni ’60 all’italiano, probabil-mente un po’ troppo letterale1, come forse anche la mancanza all’epoca di un computer che potesseconsentire a Kuhn una piu facile revisione e ristrutturazione del suo scritto, ma di fatto si fa piufatica del dovuto a leggere le sue parole. E non solo da un punto di vista prettamente linguistico,ma anche concettuale: ad esempio l’idea di paradigma viene prima introdotta e definita in un capi-tolo, per poi essere ripresa e ridefinita meglio in un altro e poi in un altro ancora, in continuazione,generando una certa ridondanza che mal si associa all’immagine di eleganza e autorevolezza, chenon puo non emanare uno dei maggiori storici della scienza quale Kuhn.

Puo anche darsi che sia piu che altro un mio problema, di semplice adattamento alla materia:dopo essermi fatto un giro in qualche biblioteca, avro visto male, ma mi sono imbattuto facilmentein testi di storia della scienza almeno a prima vista un attimino “barbosi”, se mi e consentito iltermine. Ma di fatto comunque questo e il primo, se non al massimo il secondo libro del genere cheho letto, e quindi mi devo basare su questo.

Ad ogni modo, se quel che ho cercato di fare nella prima parte e stata una sorta di edizioneminore, ridotta, con qualche breve accenno critico, utile a me anzitutto, per poter meglio imparare

1mi riferisco almeno all’edizione italiana del 1999 pubblicata dall’Einaudi, che e una traduzione della secondaedizione della Chicago University Press degli anni ’60

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CAPITOLO 14. PRIME CONSIDERAZIONI 37

la tesi di Kuhn, e anche (spero) a chi voglia fruirne in maniera piu agevole. . . se e vero questo,giustamente mi si potrebbe obiettare che allora, gia che c’ero, avrei potuto rendere questo riassuntoancora piu scorrevole e lineare di quel che ho fatto. Per esempio accorpando piu capitoli in unosolo, o eliminandone alcuni, migliorando insomma la struttura e l’organizzazione generale del librooriginale, invece che limitarmi a farlo solo capitolo per capitolo.

Be’, non l’ho fatto, ma non soltanto per fare prima (scherzo), ma anche perche ho pensato chein fondo, conservando il piu possibile la struttura dei capitoli originali, avrei potuto consentire allettore un piu agile rimando al singolo capitolo e alla singola parte del libro originale che man manogli fosse interessata.

Naturalmente comunque con tutto cio non voglio sottovalutare il merito di Kuhn. Non e facileconcentrare in un libro come il suo, in poco piu di duecento pagine, rivolgendosi per di piu ad unpubblico generico, una concezione di un’intera vita sulla scienza, coll’obiettivo anzi di darcene unamigliore e piu realistica visione di quel che il luogo comune ci lascerebbe supporre.

Lo stesso Kuhn d’altra parte ammette nel suo poscritto del 1969, che questa era poco piu di unabozza di un libro definitivo che sarebbe dovuto uscire in seguito, ma che poi, almeno che io sappia,non e mai stato pubblicato2.

14.2 Il poscritto del 1969

Non so se per iniziare una critica sul libro di Kuhn sia una buona cosa iniziare dal suo poscritto,essendo questa una risposta alle critiche che gli sono state poste. Ma trovandosi allegato nel librostesso di Kuhn, viene naturale dargli subito un’occhiata.

La discussa nozione di paradigma Buona parte delle critiche mossegli vertono sulla definizionedi paradigma: secondo molti sarebbe vaga, imprecisa, e fonte di circoli viziosi (si pensi infatti cheun paradigma e cio che viene condiviso dai membri di una comunita scientifica, e al contempo,inversamente, una comunita scientifica consiste di coloro che condividono un certo paradigma).

Seppure pero un approfondimento dell’idea di paradigma possa pure portare a interessanti di-scorsi, come sulla struttura della comunita scientifica ad esempio3, io pero non percorrerei questastrada. Voglio dire, e vero, non e una definizione esatta, chiara distinta e circoscritta quella che da

2la seconda edizione inglese, di cui la mia dell’Einaudi e la traduzione in italiano, consiste soltanto di una correzionedi alcuni errori, e dell’aggiunta di questo poscritto

3Kuhn tra l’altro suggerisce l’idea che il concetto di paradigma venga separato da quello di comunita scientifica: lecomunita scientifiche dovrebbero essere individuate senza un precedente ricorso ai paradigmi; questi ultimi possonoin seguito venire scoperti analizzando il comportamento dei membri di una data comunita. La distinzione, se davverovolesse essere fatta in modo vigoroso, porterebbe ad una riscrittura completa del libro, come Kuhn stesso si rendeconto e ammette esplicitamente: in tutto il libro e evidente una spiccata sovrapposizione tra paradigma e comunitascientifica

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CAPITOLO 14. PRIME CONSIDERAZIONI 38

Kuhn di paradigma, ma secondo me non e ridefinendolo come “matrice disciplinaria”4 o in altromodo piu articolato, che cambiano molto le cose.

Penso infatti che un semplice studente universitario di una qualunque facolta scientifica, o allimite anche un liceale, puo facilmente rendersi conto di cosa Kuhn intenda per paradigma e scienzanormale: e la sua stessa educazione a indicarglielo. Costantemente, giorno per giorno noi studentiveniamo istruiti a risolvere “rompicapo”, e a studiare sugli stessi manuali da scienza normale dicui parla Kuhn nell’ultimo capitolo, come in altri.

La rivoluzione Piuttosto, una discussione piu interessante puo vertere secondo me sul concettodi rivoluzione. Se infatti la sola manualistica, come ho appena detto, abitua all’idea di scienzanormale, non altrettanto si dimostra utile per aiutare lo studente a sviluppare un atteggiamento“rivoluzionario”. Almeno non direttamente.

Per cominciare, riporterei una prima precisazione che Kuhn stesso fa di questo concetto nelposcritto:

“[. . . ] alcuni lettori di questo libro hanno tratto la conseguenza che il mio interesse sia rivoltoprincipalmente o esclusivamente alle principali rivoluzioni scientifiche come quelle associate ai nomidi Copernico, Newton, Darwin ed Einstein. Una piu netta delineazione della struttura comunitariadovrebbe pero aiutare a consolidare l’impressione abbastanza diversa che ho cercato di creare.Una rivoluzione e, per me, una specie molto particolare di cambiamento che comporta una sortadi ricostruzione dei dogmi condivisi dal gruppo. Ma non deve essere necessariamente un grandecambiamento, ne deve necessariamente apparire rivoluzionario a coloro che sono al di fuori di unasingola comunita, la quale consiste forse meno di venticinque persone. E’ proprio perche questotipo di cambiamento, poco riconosciuto o discusso nella letteratura della filosofia della scienza, siverifica cosı regolarmente su scala cosı ridotta, che e assolutamente necessario intendere cosa siaun cambiamento rivoluzionario in contrasto con un cambiamento cumulativo.”

Il nostro autore pero non va oltre queste parole. Cosı, restando vago il confine tra grande epiccola rivoluzione, tra semplice innovazione quindi e rivoluzione, piu che chiarirsi il concetto dirivoluzione rischia di offuscarsi. Senza contare che subito dopo dice che non necessariamente lerivoluzioni sono precedute da una crisi, in quanto possono essere provocate anche in altri modi,seppur raramente. . .

Soggettivismo e irrazionalismo Un’altra delle critiche piu ricorrenti e poi la seguente: poi-che insiste che cio che gli scienziati condividono non e sufficiente a imporre un assenso uniformeper quanto concerne questioni, come la scelta tra teorie in competizione tra loro o la distinzio-ne tra un’anomalia ordinaria e una anomalia che provoca una crisi, lo si accusa di dar spazio alsoggettivismo e addirittura all’irrazionalita.

Kuhn pero non risponde molto chiaramente nemmeno a questa critica, se non che facendo unadistinzione tra i “valori” condivisi e le “regole” che governano l’ordinario operare all’interno della

4si vada a leggere nel poscritto cosa significhi

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CAPITOLO 14. PRIME CONSIDERAZIONI 39

comunita scientifica, dando priorita ai primi. I valori condivisi dal gruppo possono essere importantifattori determinanti del comportamento del gruppo anche se non tutti i membri del gruppo liapplicano nello stesso modo. E la scelta individuale, che indirizza a prendere sul serio un’anomaliae a dirigersi verso la rivoluzione, ricorre piu a questi valori comunemente condivisi che alle regole.Cosa siano pero questi valori, resta un po’ oscuro: eleganza, semplicita, precisione, o cos’altro?

Kuhn nel seguito dice poi che questi valori/intuizioni non sono appunto individuali, e non evero che non sono analizzabili in linea di principio. E ci annuncia curiosamente che (al momentodella stesura del libro, ovvero intorno agli anni ’60) stia praticando esperimenti con un calcolatoreprogrammato per indagare le loro proprieta ad un livello elementare. . .

Incommensurabilita e rivoluzioni Sul fatto che uno schieramento debba far uso della per-suasione per convertire la restante parte del gruppo al nuovo paradigma, Kuhn ci riferisce che lemaggiori incomprensioni le hanno avute i filosofi. Parecchi di loro, ci dice, hanno interpretato lacosa in questo modo: coloro che propongono teorie incommensurabili non possono minimamentecomunicare tra loro; di conseguenza, in un dibattito intorno alla scelta fra teorie diverse non epossibile fare ricorso a buone ragioni; una teoria deve invece essere scelta in base a ragioni che inun ultima istanza sono personali e soggettive; una sorta di percezione mistica e percio responsabiledella decisione che viene effettivamente presa.

Piu di qualsiasi altra parte del libro, sono i passi su cui si basano questi travisamenti, dice Kuhn,che gli hanno attirato accuse di irrazionalita. Come risponde a questi fraintendimenti? Anzituttoci tiene a precisare che quando ha detto che la dimostrazione di una diversa teoria rispetto adun’altra precedente non puo avvenire per via logica o matematica, intendeva dire che non puoavvenire completamente per queste due vie, ma non che queste non c’entrino per niente.

Prendiamo ad esempio una dimostrazione matematica: le premesse e le regole di inferenza ven-gono stipulate fin dall’inizio. Se v’e disaccordo per quanto riguarda le conclusioni, i contendentiche prendono parte al dibattito possono ripercorrere i loro passi uno per uno, verificandoli ciascunoalla luce delle precedenti stipulazioni. Alla fine di questo processo l’uno o l’altro dei partiti deveammettere di avere commesso un errore, o di aver violato una regola preliminarmente accettata, edopo tale ammissione non ha diritto ad alcun ricorso, e la dimostrazione del suo avversario diventavincolante. Soltanto se i due contendenti scoprono invece di non essere d’accordo sul significato osull’applicazione delle regole stipulate, e si rendono conto che il loro accordo precedente non fornisceuna base sufficiente per la dimostrazione, solo allora il dibattito continua nella forma che esso inevi-tabilmente assume durante le rivoluzioni scientifiche. Questo dibattito riguarda le premesse stesse,e l’unico ricorso possibile e alla persuasione come preludio alla possibilita della dimostrazione.

In questa tesi relativamente familiare non v’e nulla che implichi o che non vi siano buone ragioniper essere persuasi o che tali ragioni non siano alla fine decisive per il gruppo. Essa non implicaneppure che le ragioni della scelta siano diverse da quelle solitamente elencate dai filosofi dellascienza: accuratezza, semplicita, fecondita e simili. Quello che essa suggerisce, invece, e che tali ra-gioni operano come valori e che pertanto possono venire differentemente applicate, individualmente

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CAPITOLO 14. PRIME CONSIDERAZIONI 40

e collettivamente, da coloro che concorrono nel sottoscrivere ad esse. Se ad esempio due personenon sono d’accordo sulla relativa fecondita delle loro teorie, o se sono d’accordo su cio ma sono indisaccordo sulla relativa importanza della fecondita e, ad esempio, sulla sua portata nel raggiun-gere una decisione per fare una scelta, ne l’una ne l’altra puo essere accusata di avere commessoun errore, o di avere agito in maniera poco scientifica. Non esiste nessun algoritmo neutro perla scelta di teorie diverse, non v’e nessun procedimento sistematico che, propriamente applicato,debba condurre ciascun individuo del gruppo alla stessa decisione. In questo senso e la comunitadegli specialisti piuttosto che i suoi singoli membri a prendere la decisione effettiva. Allo scopo dicapire perche la scienza si sviluppi in un certo modo, non c’e bisogno di svelare i particolari dellabiografia e della personalita che portano ciascun individuo a effettuare una scelta particolare, anchese questo argomento ha un grande fascino. Quello che si deve capire, invece, e la maniera in cui uninsieme particolare di valori condivisi da una comunita di specialisti interagisce con le particolariesperienze condivise dalla medesima comunita, allo scopo di assicurare che la maggior parte deimembri del gruppo trovi alla fine che un insieme di ragioni e piu decisivo di un altro.

Questo processo si chiama persuasione. Esso pero presenta un problema piu profondo: duepersone che percepiscono differentemente la stessa situazione ma nondimeno fanno uso del medesimovocabolario, devono usare le parole in maniera altrettanto differente. Parlano cioe da quelli chesono stati chiamati punti di vista “incommensurabili”. Domanda immediata: come possono allorapersino sperare di parlarsi e tanto meno di essere persuasive?

Ancora sulla persuasione Se specifichiamo meglio la natura della difficolta, forse possiamoalmeno suggerire una risposta. La prassi della scienza normale dipende dall’abilita, acquisita sullabase di esemplari (i paradigmi), di raggruppare oggetti e situazioni in insiemi similari che sonoprimitivi, nel senso che il raggruppamento viene fatto senza dare risposta alla domanda “similirispetto a cosa?”5. Un aspetto centrale di qualsiasi rivoluzione e dunque che qualcuna delle relazionidi similarita cambia.

Oggetti che erano stati precedentemente raggruppati nel medesimo insieme vengono successiva-mente raggruppati in insiemi differenti, e viceversa. Si pensi al Sole, alla Luna, a Marte e alla Terraprima e dopo Copernico, o ai movimenti di caduta libera dei gravi, del pendolo e dei pianeti primae dopo Galileo. Poiche la maggior parte degli oggetti continuano ad essere raggruppati assiemepersino entro gli insiemi modificati, i nomi degli insiemi vengono solitamente conservati, come giadetto nel libro. Ma allorche si verificano redistribuzioni di questo genere, due persone i cui discorsiprecedentemente erano proceduti con intendimento reciproco apparentemente completo, possonoadesso improvvisamente reagire al medesimo stimolo con descrizioni e generalizzazioni incompatibi-li. Tali difficolta non verranno avvertite in tutte le aree del loro discorso scientifico, ma sorgeranno

5da notare come questa prassi sia esattamente la stessa che viene praticata nella normale vita dello studente, ilquale non fa altro, sostanzialmente, che cercare di ridursi o di paragonare i problemi e gli esercizi che incontra aproblemi e rompicapo piu elementari o fondamentali, che ha gia imparato e acquisito

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e si addenseranno soprattutto attorno ai fenomeni da cui dipende principalmente la scelta dellateoria.

Problemi del genere, anche se in un primo momento appaiono evidenti sul piano della comu-nicazione, non sono meramente linguistici, e non possono venire risolti semplicemente stipulandole definizioni dei termini che creano difficolta. Poiche le parole attorno alle quali si addensano ledifficolta sono state apprese in parte sulla base della loro diretta applicazione ad esemplari, coloroche ne sono coinvolti nella interruzione di una comunicazione non possono dire “uso il termine’elemento’ (o ’pianeta’ o ’moto non vincolato’) nei modi determinati dai seguenti criteri”. Questoperche non possono fare ricorso ad un linguaggio neutrale che tanto gli uni quanto gli altri possanousare nello stesso modo.

A cosa possono appellarsi allora? Be’, sostanzialmente, quello che possono fare coloro che sitrovano coinvolti in una interruzione di comunicazione e di riconoscersi l’un l’altro come membridi comunita linguistiche differenti, e di diventare quindi dei traduttori. Cercare di tradursi l’unl’altro, vicendevolmente.

Cosı facendo, ciascuno puo cercare di scoprire che cosa vedrebbe e direbbe l’altro quando sitrovi di fronte ad uno stimolo al quale la propria risposta verbale sarebbe differente. E se essiriescono sufficientemente a trattenersi dallo spiegare un comportamento anomalo come conseguenzadi un mero errore o di pazzia, possono col tempo diventare molto esperti nel prevedere i rispettivicomportamenti. Ciascuno avra imparato a tradurre nel proprio linguaggio la teoria dell’altro ele sue conseguenze, e simultaneamente a descrivere nel proprio linguaggio il mondo cui si applicaquella teoria.

Dal momento quindi che la traduzione permette a coloro che ne sono coinvolti in una interruzionedi comunicazione di fare, per delega, l’esperienza di alcuni dei meriti e dei difetti dei rispettivi puntidi vista, essa e un potente strumento di persuasione e di conversione.

Persuadere un’altra persona pero equivale a convincerla che il proprio punto di vista e superioree deve pertanto soppiantare quello dell’altra. Questo effetto viene talvolta raggiunto senza farericorso a qualcosa come una traduzione. Per esempio per coloro che sono appena entrati nellaprofessione, poiche non hanno ancora acquisito gli specifici vocabolari e le specifiche credenzedell’uno o dell’altro gruppo.

C’e poi un secondo aspetto della traduzione. Tradurre una teoria o una concezione del mondo nelproprio linguaggio non equivale a farla propria. Per ottenere questo effetto bisogna naturalizzarsinel nuovo linguaggio, bisogna scoprire che si pensa e si opera in, e non semplicemente si traduce da,un linguaggio che precedentemente era straniero. Una traduzione di questo genere, pero, non puoessere realizzata o rifiutata da un individuo per scelta e decisione, per quanto buone siano le ragioniche glielo fanno desiderare. Invece, ad un certo momento del processo durante il quale impara atradurre, si accorge che ha avuto luogo la transizione, che egli e scivolato nel nuovo linguaggiosenza aver preso alcuna decisione. Di nuovo riemerge la questione dei giovani ricercatori contro glianziani: chi ha conosciuto per la prima volta la teoria della relativita o la meccanica quantisticaquando ha raggiunto la mezza eta, puo trovarsi pienamente convinto della nuova concezione ma

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nondimeno non e in grado di farla intimamente propria e di sentirsi come a casa sua nel mondo cheessa ha contribuito a modellare. Intellettualmente una simile persona ha fatto la sua scelta, ma laconversione, necessaria per essere efficace, gli sfugge.

La conversione quindi, che resta al cuore del processo rivoluzionario, puo essere realizzata da“buone ragioni” (buoni risultati, etc.), o dalla traduzione, ma ne le prime ne quest’ultima laesauriscono completamente.

L’accusa di relativismo Cosı facendo, se il passaggio alla rivoluzione, alla nuova teoria avvienetramite un processo di persuasione come quello descritto, ovvero non ben definito e legato piu aquestioni psicologiche e di sociologia (come il fatto che vengono persuasi di piu i giovani neofiti),che non propriamente razionali. . . non essendoci nell’idea di Kuhn un criterio razionale si potrebbepensare ad un relativismo delle teorie, ovvero che una teoria valga l’altra, che una teoria possasoppiantarne un’altra, come un’altra lo possa fare ugualmente.

Kuhn fa notare che questa accusa di relativismo si fonda, o ruota attorno all’idea di progressomaggiormente prevalente sia tra i filosofi della scienza che fra i profani: si ritiene di solito che unateoria scientifica sia migliore di quelle che l’hanno preceduta non solo nel senso che essa costituisceuno strumento migliore per la scoperta e la soluzione di rompicapo, ma anche perche in un certomodo essa fornisce una migliore rappresentazione di cio che la natura e realmente. Si sente spessoaffermare che teorie successive si avvicinano sempre di piu, o rappresentano approssimazioni sempremigliori, alla verita.

Be’, secondo Kuhn, come ha gia detto nell’ultimo capitolo (tredicesimo) del suo libro, non v’ealcun modo, indipendente da teorie, di ricostruire espressioni come “esservi realmente”, la nozionedi un accordo tra l’ontologia di una teoria e la sua “reale” controparte nella natura gli sembra inlinea di principio ingannevole, e anzi scarsamente plausibile. La meccanica di Newton costituisceun miglioramento rispetto a quella di Aristotele, e quella di Einstein rispetto a quella di Newton,se le consideriamo come strumenti per risolvere rompicapo. Ma non riesce Kuhn a vedere nella lorosuccessione alcuna direzione coerente di uno sviluppo ontologico. Al contrario, sotto alcuni aspettiimportanti, anche se non sotto tutti gli aspetti, la teoria generale della relativita di Einstein glipare piu vicina alla teoria aristotelica di quanto l’una o l’altra delle due sia vicina alla teoria diNewton.

Secondo Kuhn, questa non e propriamente una concezione relativistica. E anche se lo fosse, nonvedrebbe come il relativista sia privo di qualche elemento essenziale per spiegare la natura e losviluppo delle scienze.

Normativo o descrittivo? Alcuni lettori gli han fatto infine notare che passa ripetutamentedai modi descrittivi a quelli normativi e viceversa, transizione che appare a volte particolarmenteesplicita in passi che si aprono con espressioni del tipo “ma questo non e cio che fanno gli scienziati”,e si chiudono invece dicendo che gli scienziati non devono fare cosı. L’accusa e che lui confonda la

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descrizione con la prescrizione, violando l’antico dettame filosofico che “l’essere non puo implicareil dover essere”.

Kuhn risponde sostanzialmente che non vi trova nulla di male a confondere questi due aspetti,e che anzi vi sia una profonda giustificazione di fondo, che pero accenna soltanto6. E io, d’altraparte, pur non conoscendo a fondo queste motivazioni filosofiche, ho volutamente e sistematicamentesovrapposto il descrittivo al normativo, prediligendo quest’ultimo. Nell’ottica del libro, infatti, sesi vuole dare un’immagine (migliore) di cosa sia la scienza, il confine tra cio che sia e che debbaessere non puo non essere sfumato da quest’intenzione, tanto piu per il fatto che Kuhn fa sı continuiriferimenti al passato, ma sostanzialmente e come se parlasse al presente (“la scienza e cosı, ancoraadesso”).

6fa un riferimento a diversi filosofi linguisti a lui contemporanei, che avrebbero scoperto importanti contesti in cuicio che e normativo e cio che e descrittivo sono inestricabilmente mescolati

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Capitolo 15

Le riflessioni di Geymonat

Il Geymonat, celebre filosofo della scienza italiano (e uno dei piu seri, per il solo fatto di essersiprima laureato in matematica), ha scritto un breve libro, dal titolo “Riflessioni critiche su Kuhn ePopper”, in cui, dopo una premessa in cui spiega come sia passato dal neopositivismo o empirismologico al materialismo dialettico, espone delle osservazioni in merito alla concezione della scienzadi Kuhn (e di Popper, ma noi parleremo solo del primo).

A mio parere, pero, sono osservazioni un po’ troppo forzate, perche Geymonat vuole ostinata-mente incasellare il pensiero di Kuhn all’interno del materialismo dialettico. Al punto che sostan-zialmente tutta la sua critica si puo riassumere nell’esternazione “ma perche Kuhn non e anche lui,come me, un materialista dialettico, accidenti?!”.

Inizia infatti lamentandosi che i filosofi di ispirazione marxista di solito vogliono legare la storiadella scienza alla storia della societa, ma che invece, nel modello di Kuhn, questo legame per stessaammissione dell’autore e tralasciato. Oltretutto Kuhn ammette esplicitamente di tralasciare anchele implicazioni e le problematiche filosofiche del suo modello, ma questo pare preoccupare meno ilGeymonat.

Scienza cumulativa, o non cumulativa: e davvero questo il problema? Cio premesso,fa notare che Kuhn scrive che la scienza non procede per via cumulativa, ma di fatto la scienzanormale procede per via cumulativa, e solo nei brevi periodi di passaggio al nuovo paradigma si faun salto non cumulativo.

Agli occhi pero di un materialista dialettico, dice Geymonat, la contraddizione e il motore ditutti i processi di sviluppo, e quindi in realta anche della scienza normale. Sia nel libro, che nelposcritto, Kuhn dice che esistono delle rivoluzioni scientifiche (o mutamenti di paradigmi) le qualinon comportano grandi cambiamenti e proprio percio possono non apparire rivoluzionarie a chi e aldi fuori di una singola comunita scientifica. Per queste rivoluzioni “minori” non si potra sostenereche esse implichino, come le maggiori, delle autentiche “trasformazioni della struttura concettualeattraverso cui gli scienziati guardano il mondo”, ma comunque cio non toglie che il materialista

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CAPITOLO 15. LE RIFLESSIONI DI GEYMONAT 45

dialettico e chiaramente disposto a riconoscere il carattere rivoluzionario di tutte le svolte in cui siproduce un mutamento di paradigma, si tratti pure di un mutamento esiguo. E proprio per questoriconoscimento, egli non e disposto ad ammettere che i periodi di scienza normale siano del tuttoprivi di svolte rivoluzionarie.

Agli occhi del materialismo dialettico, anche i piccoli mutamenti costituirebbero delle vere eproprie rivoluzioni. Ma cosı facendo, mi pare, si mina l’idea stessa di scienza normale: se avven-gono sempre e in continuazione rivoluzioni, non c’e piu spazio per definire un periodo di scienzanormale, almeno nel senso Kuhniano. Geymonat suggerisce di parlare allora di “unita dialettica”per lo sviluppo della scienza. Ma a mio avviso, nel senso che lui propone e che si puo capire soloapprofondendo il materialismo dialettico, questo rischia di essere fonte di maggiori imprecisioni diquelle che Geymonat rivendica all’idea Khuniana.

In tutto questo ci sono due aspetti, secondo me, erronei: il primo e che Geymonat parte dalpresupposto che per Kuhn la scienza sia sostanzialmente cumulativa: non lo sarebbe solo neiperiodi rivoluzionari, ma essendo questi molto piu brevi rispetto a quelli normali, secondo Geymonatfacendo una semplice media temporale non si puo non concludere che la scienza sia cumulativa. Lapiu banale obiezione e che, se si ha letto bene il libro di Kuhn, non si puo fare una semplice mediadei periodi cumulativi/rivoluzionari, ma una media pesata: le rivoluzioni sono sı brevi, ma la loroimportanza e tale che dire che per Kuhn la scienza e cumulativa mi pare eccessivo, se non buffo.

E l’altro aspetto e che comunque Geymonat non fa che forzare continuamente ed esageratamente ilpensiero di Kuhn al materialismo dialettico, senza dare nemmeno tante spiegazioni: sostanzialmentedice che per il materialista dialettico e tutta una continua rivoluzione dialettica, e quindi cosıdev’essere anche per la scienza, e se Kuhn non la pensa come lui si sbaglia e basta.

Scienza normale Geymonat poi dice che spesso Kuhn identifica la nozione di scienza normale conquella di tradizione scientifica, e ritiene che questa identificazione sia del tutto accettabile. Ma credepero che essa finisca per introdurre nella nozione di scienza normale una ricchezza di articolazioniche pareva esclusa dalla primitiva definizione kuhniana. A tutti e noto, dice Geymonat, quanto siavago il concetto di tradizione nell’arte, nella filosofia, nella religione etc. Possiamo affermare, adesempio, che la pittura di Giotto appartiene alla tradizione degli artisti medievali, o che la filosofiadi Spinoza appartiene alla tradizione del pensiero ebraico? Probabilmente sı, dice Geymonat, maalla condizione che il fatto di riconoscere tale appartenenza non ci porti a negare la svolta radicaleche Giotto e Spinoza hanno fatto compiere alla pittura e alla filosofia.

Qualcosa di simile sembra per lui ovviamente ripetersi per le tradizioni scientifiche. E alloral’identificazione del concetto di scienza normale con quello di tradizione scientifica avra proprio perconseguenza che nella scienza normale sono possibili delle autentiche svolte radicali. Ma questa eper l’appunto la tesi sostenuta dal materialista dialettico, che sembrava invece essere esclusa daKuhn.

Be’, per i motivi che ho gia detto, per il fatto che questo parallelismo con l’arte e troppo debole,e soprattutto per il fatto che l’idea di scienza normale e gia in Kuhn qualcosa di piu della semplice

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CAPITOLO 15. LE RIFLESSIONI DI GEYMONAT 46

“tradizione” artigianale o altro, non condivido nemmeno questa critica di Geymonat, sebbene abbiail pregio di mettere la pulce nell’orecchio al lettore sul come mai siano possibili, all’interno dellascienza normali, le rivoluzioni. Secondo Geymonat, tra l’altro, paradossalmente le rivoluzioni cosınon sarebbero concepibili all’interno del pensiero di Kuhn, ma solo coll’aiuto del materialismodialettico: la tesi del libro di Kuhn, basta guardare al titolo stesso, e che le rivoluzioni scientifichesono possibili, e anzi esistono proprio (come mai sono possibili, be’, questo sostanzialmente e perchela scienza normale non e perfetta e assoluta, come niente d’altronde puo esserlo).

L’irrazionalismo Altra osservazione che pone Geymonat, e che l’accusa di soggettivismo (o ir-razionalismo) dovrebbe secondo lui essere elevata a Kuhn per altri motivi, diversi dai soliti. Nondovrebbe essere l’affermazione kuhniana che le due fazioni sono fra loro “incommensurabili” a sug-gerire l’idea che la scelta fra l’uno e l’altro paradigma sarebbe affidata esclusivamente a fattori prividi qualsiasi oggettivita, ma invece essere l’indeterminatezza con cui Kuhn parla della distinzionetra mutamenti di paradigma importanti ed esigui a dare motivo di accusarlo di irrazionalismo.

Secondo Geymonat, se non si enuncia un criterio oggettivo per valutare l’importanza di unmutamento di paradigma, e difficile negare che tale valutazione verra a dipendere in modo essenzialedai gusti personali (o dalla preparazione specifica) dell’individuo che valuta.

Questa e un’osservazione interessante, che riprenderemo piu avanti nel prossimo capitolo, maper il momento possiamo osservare che, a parte il fatto che Geymonat, pur forte del suo buonmaterialismo dialettico, non sembra suggerirne alcuno di criterio utile per distinguere piccola dagrande rivoluzione (probabilmente perche proprio la sua concezione filosofica vorrebbe che non cifosse alcuna distinzione), ma in ogni caso non mi pare quest’argomentazione possa diventare laprincipale argomentazione dell’accusa di irrazionalismo, come lui vorrebbe: anche se ci fosse uncriterio per stabilire con certezza l’importanza di un mutamento, questo non basterebbe per poterdire come mai poi una data comunita possa accettarlo e inaugurare una nuova fase di scienzanormale.

Il mutamento della concezione del mondo: non solo per gli scienziati Un buon contributoal dibattito Geymonat comunque lo pone, alla fine, specificando meglio a mio giudizio un’aspettodella tesi di Kuhn. Quando Kuhn dice che l’importanza di una rivoluzione scientifica si valuta suquanto essa contribuisce a cambiarci la visione del mondo, si riferisce di per se solo alla concezionedel mondo degli scienziati, degli specialisti del campo d’indagine. Geymonat invece ha il merito diaggiungere un paio di parole significative a riguardo, e cioe che una rivoluzione scientifica dobbiamocalarla nel quadro piu generale dello sviluppo delle nostre idee scientifiche e filosofiche e anzi anchedelle nostre conquiste tecniche, connesse piu o meno direttamente a quelle scientifiche, nonche dellavita sociale nel suo complesso. Non conosco bene la filosofia marxista, ma se questa vuole legare lastoria della scienza a quella della societa, in questo credo di potermi trovare piu che d’accordo conGeymonat. L’importanza della rivoluzione copernicana puo venire compresa nella sua interezzasoltanto se teniamo conto dell’influenza che essa esercito sulle idee filosofiche e religiose dell’epoca,

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CAPITOLO 15. LE RIFLESSIONI DI GEYMONAT 47

nonche, sia pure indirettamente, sulle stesse concezioni morali dell’uomo, che non poterono fare ameno di trasformarsi profondamente quando egli seppe di non occupare piu il centro dell’universo.

Questo discorso pero va preso comunque con cautela: all’epoca di Copernico, una sempliceocchiata ai dati statistici sull’analfabetismo basta per intendere l’osservazione di Geymonat nonriferita all’intera societa europea, ma solo o prevalentemente a quella delle persone mediamenteacculturate. Poche quindi, ma sempre un po’ di piu della cerchia di specialisti del particolaresettore interessato.

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Capitolo 16

“Critica e crescita della conoscenza”

Un classico che raccoglie alcune delle principali critiche mosse a Kuhn e il volume “Critica e crescitadella conoscenza”, edito negli anni ’70 come resoconto dattiloscritto di un congresso tenutosi aLondra nel ’65, proprio pochi anni dopo l’uscita del libro di Kuhn.

Dei diversi interventi ne esaminero solo due, quelli che ho trovato piu interessanti, seppur perdiversi motivi, tralasciando purtroppo, tra gli altri, quelli piu corposi e forse piu significativi diPopper: richiederebbero un’analisi della sua concezione, che a sua volta necessiterebbe di troppotempo ed energia, ben al di fuori degli obiettivi di questa mia relazione.

16.1 John Watkins

Il pezzo di John Watkins s’intitola, senza mezzi termini, “Contro la scienza normale”. La sua tesie che la scienza normale non puo avere il carattere che Kuhn le attribuisce, se deve poter dareorigine alla scienza straordinaria.

Kuhn sopravvaluta la scienza normale? Punto di partenza e che Kuhn tenderebbe a so-pravvalutare la scienza normale, e sottovalutare invece quella rivoluzionaria. A Watkins sembrache la scienza normale, per come la presenti Kuhn, sia noiosa, e poco stimolante, se paragonataa quella straordinaria. Kuhn la considererebbe sostanzialmente come una serie di piu accuratedeterminazioni di costanti fisiche: questo secondo Watkins sarebbe il tipico lavoro della scienzanormale.

Watkins si da anche una risposta al fatto che Kuhn eleverebbe la scienza normale sopra quellarivoluzionaria: Kuhn penserebbe alla comunita scientifica alla stregua di una comunita religiosa evedrebbe la scienza come la religione dello scienziato. Quindi la scienza straordinaria corrisponde-rebbe, sul piano religioso, ad un periodo di crisi e di scisma, di confusione e disperazione, a unacatastrofe spirituale.

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CAPITOLO 16. “CRITICA E CRESCITA DELLA CONOSCENZA” 49

Io non so se Watkins abbia inteso la parola “crisi”, usata da Kuhn per descrivere la fase pre-rivoluzionaria, nel senso letterale, o come “crisi nervosa” o altro. Ma di certo questo mi pare unpalese travisamento del pensiero di Kuhn, e se mi e concesso di dirlo, anche abbastanza grossolano:un’onesta lettura del libro di Kuhn contraddice palesemente sia il presupposto, che la rispostache si da Watkins. Kuhn scrive chiaramente che la scienza normale consiste sı (anche) di misurevolte a migliorare la precisione di alcune costanti, ma non si riduce assolutamente a questo. Unodei compiti principali anzi della scienza normale e quello volto alla risoluzione di rompicapo eall’articolazione del paradigma, impresa tutt’altro che noiosa e priva di interesse. E sul fatto chela scienza per Kuhn sarebbe una sorta di religione, non mi sembra nemmeno il caso di rispondere.

La scienza Kuhniana e cumulativa? Secondo Watkins inoltre Kuhn respinge la concezionesecondo cui la scienza progredisce per accumulazione, “ma se gli venisse chiesto in che modo lascienza normale progredisce, presumibilmente direbbe che essa lo fa in modo disciplinato, nondrammatico, graduale, cioe progredisce per accumulazione”. Anche questo punto personalmentenon lo capisco: che la scienza normale sia sostanzialmente cumulativa mi pare chiaro, ma dire cheper Kuhn la scienza tutta progredisca per accumulazione, come gia detto riguardo alla critica delGeymonat, vuol dire semplicemente eliminare i capitoli del suo libro dedicati alla fase rivoluzionaria.

A Kuhn non piacciono le rivoluzioni? Afferma poi che Kuhn avrebbe in antipatia filosoficale rivoluzioni scientifiche, e sarebbe al contrario affascinato dalla scienza normale che avanza len-tamente e senza senso critico. Di nuovo, non capisco come si possa dire una cosa del genere dopoaver letto l’opera di Kuhn: il titolo stesso parla chiaro, e “La struttura delle rivoluzioni scienti-fiche”, non “Ma quanto mi piace la scienza normale”. E basta pensare al discorso che Kuhn fasull’educazione scientifica e la manualistica (che offuscherebbe e tenderebbe a rilegare nell’oblio lerivoluzioni passate), per dubitare definitivamente di questa critica.

Tra l’altro e curioso come nel riportare il pensiero di Kuhn, Watkins riesca pergiunta a con-traddirsi da solo: prima afferma che “Kuhn avrebbe dovuto dichiarare che egli non vuole unirsi aPopper nel classificare l’astrologia una metafisica piuttosto che una scienza. Si puo vedere perche:l’attenta redazione di un oroscopo o di un calendario astrologico si adatta piuttosto bene all’ideache Kuhn ha della ricerca normale. Il lavoro e fatto sotto l’egida di un corpo stabile di dottrineche non e screditato agli occhi degli astrologi da fallimenti nelle predizioni”. Per poi dire, com’eriportato nella nota a pie di pagina del libro, (il pur giusto) esatto contrario: “Questa citazionee tratta dall’abbozzo originario della comunicazione di Kuhn. Egli ora dice: “Popper ha ragionenell’escludere l’astrologia dalle scienze”, ha ragione, ma per motivi sbagliati: infatti c’erano erroridi predizione nell’astrologia (anche se potevano sempre venir “spiegati”); d’altra parte gli astrologi“non avevano rompicapo da risolvere e percio scienza da praticare”.”

Contro la scienza normale, insomma? Tutte queste critiche preliminari, per cosı dire, hannolo scopo per il nostro critico di mettere in dubbio che la storia della scienza prosegui tramite un

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CAPITOLO 16. “CRITICA E CRESCITA DELLA CONOSCENZA” 50

alternarsi di periodi di scienza normale e straordinaria, cosı come la scienza normale pensata daKuhn non possa portare a quella che Kuhn intende rivoluzionaria, come detto all’inizio. Egli provaquindi ad argomentare oltre questa tesi, ma non trovando corretti questi presupposti che abbiamoappena esaminato, non mi pare valga la pena andare oltre.

16.2 Toulmin

Una critica che ho trovato invece decisamente piu interessante, e quella di Toulmin, dal titolo“Fa acqua la distinzione tra scienza normale e scienza straordinaria?”. Tolumin alla fine proponeanche lui di abbandonare e superare la tesi di Kuhn, ma prima di farlo suggerisce secondo meun’interessante possibile sviluppo del pensiero di Kuhn stesso.

In prima approssimazione L’idea di fondo di Toulmin, infatti, e che la distinzione tra scienzanormale e rivoluzione e solo in prima approssimazione cosı netta come puo sembrare.

Facendo un parallelo colla storia politica, il termine rivoluzione in quest’ambito serve ancoracome utile etichetta descrittiva, ma da tempo avrebbe esaurito la sua funzione esplicativa: in casodi drastici mutamenti non si riesce a fornire alcuna spiegazione di tipo razionale, che e invecerichiesta a buon diritto nel caso di normali sviluppi politici. Ma tali mutamenti, ad un’analisi piuapprofondita, non sono mai una soluzione di continuita cosı assoluta e immediata.

Nella sfera politica, enunciati sull’occorrenza di “rivoluzioni” sono solo preliminari rispetto adomande circa i meccanismi politici coinvolti nel mutamento rivoluzionario. A livello esplicativo,sempre almeno nella sfera politica, la differenza tra mutamento normale e rivoluzionario risultaessere dopo tutto solo una differenza di grado.

Mentre invece per Kuhn, secondo Toulmin, le differenze tra i tipi di mutamento che hannoluogo durante fasi “normali” e “rivoluzionarie” di sviluppo scientifico sono assolute. Oltre chenella politica, Toulmin trova un’analogia anzi ancor piu significativa nella storia della paleontologiadella prima meta dell’800: si costruı allora uno dei due piu influenti sistemi paleontologici intornoalla teoria delle “catastrofi”, introdotta da George Cuvier e poi sviluppata ampiamente da LouisAgassiz. Questa teoria insisteva sulle nette discontinuita che dovevano trovarsi nei reperti geologicie paleontologici. Cuvier, movendo dalla sua originaria e autentica osservazione delle discontinuitageologiche e paleontologiche, giunse ad affermare che queste discontinuita erano testimonianze dieventi “super-naturali”, cioe mutamenti troppo improvvisi e violenti per poter essere spiegati intermini di processi naturali fisici e chimici. Le discontinuita erano testimonianze di “catastrofi”e queste (come le originarie “rivoluzioni” degli storici politici) costituivano lacune incolmabili dalpunto di vista intellettuale.

Come fu risolta questa opposizione tra la teoria dell’uniformita (no alle catastrofi) e quella dellecatastrofi? Accaddero due tipi di avvenimenti. Da un lato i geologi uniformisti e i paleontologidella generazione di Lyell furono costretti, poco per volta, a riconoscere che alcuni dei mutamentiche erano oggetto delle loro ricerche avevano avuto luogo in realta in modo piu drastico di quanto

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CAPITOLO 16. “CRITICA E CRESCITA DELLA CONOSCENZA” 51

avessero supposto fino ad allora. Charles Darwin, per esempio, osservo sulla costa del Cile gli effettidi recenti terremoti che avevano alterato di ben 20 piedi in una sola scossa la posizione relativadi diversi strati geologici e questa scoperta convinse Lyell che, dopotutto, i terremoti del passatoavrebbero potuto esser stati piu forti di quanto aveva immaginato in precedenza.

Da parte uniformista, di conseguenza, i pareri si fecero progressivamente piu “catastrofici”. Nelfrattempo, in campo catastrofista si svilupparono idee nella direzione opposta. Louis Agassiz, inparticolare, trovo che i suoi studi lo costringevano a moltiplicare il numero delle catastrofi chia-mate a spiegare le attuali prove geologiche e a diminuirne la loro dimensione. Come risultato, leoriginarie catastrofi “drastiche e inesplicabili” diventarono alla fine cosı numerose e di cosı pocaimportanza che cominciarono a mostrare uniformita, divenendo cosı, di diritto, fenomeni geologicie paleontologici. Come tali, l’affermazione che non erano suscettibili di spiegazione meccanicisticao naturalistica non fu piu plausibile e l’esigenza, anche nel loro caso, di dare un qualche tipo didescrizione del meccanismo ivi coinvolto divento incontestabile. In una parola, le originarie “ca-tastrofi” divennero uniformi e regolate da leggi proprio come qualsiasi altro fenomeno geologico epaleontologico. Cio che i paleontologi catastrofisti non compresero immediatamente fu che questomutamento entro la struttura della loro teoria, apparentemente innocuo, distruggeva il loro ori-ginario criterio di descrizione tra mutamenti “normali” (o naturali) e mutamenti “catastrofici” (osupernaturali) nella crosta terrestre e che era crollata dunque proprio la distinzione tra “normale”e “castastrofico”.

Cosı, secondo Toulmin, quest’analogia puo essere applicata anche a Kuhn. Secondo lui quest’ul-timo ha posto egli stesso le basi perche le discontinuita nella storia della scienza trovino una lorospiegazione piu razionale, meno “catastrofista” per cosı dire. In realta l’idea che ha in mente Toul-min, come anticipato all’inizio, e che al limite la differenza tra scienza normale e rivoluzioni svanisca,ma il modo in cui lo pensa, diciamo cosı, questo suo atteggiamento moderato ha almeno l’indubbiomerito di incuriosire il lettore e invogliarlo profondamente a pensare se la tal “rivoluzione” del talesettore scientifico sia stata davvero una vera rivoluzione.

E’ assai curioso, in questo senso, come Kuhn gli risponda1 che anche se si possa meglio definiree studiare una rivoluzione, il suo carattere, la sua natura rivoluzionaria non puo venire a mancare:per quanto la si approfondisca, la Rivoluzione Francese resta sempre una rivoluzione. Per poipero ammettere nelle pagine seguenti di sentirsi pressoche impossibilitato ad applicare con unacerta disinvoltura la sua tesi delle rivoluzioni ad un qualsiasi caso storico. Eccetto poche e famoserivoluzioni scientifiche (quella Copernicana, Einsteniana, etc.), per altre Kuhn non si sente di direse sia trattato o meno di rivoluzioni, prima di aver approfondito caso per caso e momento storicoper momento storico la struttura della comunita scientifica interessata al mutamento.

Il contributo di Toulmin, secondo la mia interpretazione, lo si puo vedere come un forte invitoa scrivere quello che sarebbe dovuto essere per Kuhn il seguito di “La struttura delle rivoluzioniscientifiche”: un altro libro intitolato appunto “La struttura delle comunita scientifiche”.

1nel pezzo “Riflessioni sui miei critici”, contenuto sempre nello stesso libro “Critica e crescita della conoscenza”

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Capitolo 17

Concludendo

Dopo tutte queste parole spese per Kuhn, o almeno sul suo libro, il lettore potrebbe chiedersi seio mi senta Kuhniano, se condivida la sua concezione della scienza. Be’, a questa domanda peril momento non saprei proprio rispondere: questo documento rappresenta solo un primo timidoapproccio alla storia della scienza, nei confronti della quale dispongo di un bagaglio culturale e diesperienza troppo esiguo perche possa esprimermi definitivamente.

Quel che posso fare in queste ultime righe e semmai proporre a me come al lettore ulterioriapprofondimenti sull’argomento:

• la tesi di Kuhn e applicabile ad ogni scienza, in pari modo? O, a seconda che si tratti del-la matematica, dell’astronomia o della biologia andrebbero fatte delle modifiche piu o menosostanziali? Ci sono scienze piu “normali” di altre? Si pensi per esempio al concetto di “sco-perta”: nel capitolo sesto dice che la “scoperta” comporta a volte un mutamento di paradigma,ma non sempre. Questo “non sempre” e riferito particolarmente alla matematica, per caso,dove il termine scoperta ha un significato assai diverso che in altri campi?

• nel quarto capitolo, quando parla delle regole, tralascia la logica. Aveva avvertito nell’intro-duzione che nel corso dell’opera avrebbe omesso, suo malgrado, le implicazioni filosofiche, matra tutte questa delle logica mi pare una delle piu importanti;

• a che punto sono oggi in psicologia e filosofia le ricerche sul linguaggio “naturale” di cui discutenel capitolo dieci e dodici? E per quanto riguarda invece l’alternativa alla possibilita che esistaproprio questo linguaggio?

• Kuhn parla piu volte dei manuali, che sarebbero utili e fondamentali per l’esistenza stessadella scienza normale, ma adombrerebbero le rivoluzioni. Che discorso farebbe pero delleriviste scientifiche, piu o meno divulgative?

• infine, un’ultima domanda da primo premio del montepremi della lotteria: se i giovani ri-cercatori sono piu inclini dei loro anziani maestri alle rivoluzioni, leggendo il libro di Kuhn

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CAPITOLO 17. CONCLUDENDO 53

possono diventarlo ancor di piu, oppure una maggiore coscienza storica diffusa non incide so-stanzialmente sulla nascita e lo sviluppo dei cambiamenti di paradigma? Influiscono di piu,ad esempio, le concezioni filosofiche generali che ognuno di loro si porta dietro?

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Bibliografia

[1] Thomas S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi 1999 (traduzioneitaliana della seconda edizione originale del 1970 edita dalla Chicago University Press).

[2] Ludovico Geymonat, Riflessioni critiche su Kuhn e Popper, Dedalo 1983.

[3] AA. VV., Critica e crescita della conoscenza, Feltrinelli 1976.

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