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La Strada Sanmarchi 2012 - 2013 Un suggestivo e selvaggio viaggio sulle Marmarole

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La Strada Sanmarchi

2012 - 2013

Un suggestivo e selvaggio viaggio sulle Marmarole

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A noi tutti amici del SomariTeam, con reciproca gratitudine e riconoscenza per aver condiviso ore di fatiche e sudore lungo i sentieri e sulle rocce delle Marmarole: Enrico, Serena, Luca, Livio, Mauro, Maurizio, Michele.

“Non sarà quello che abbiamo fatto oggi il fine del nostro discorrere… ma quello che andremo a fare domani”

“Nessuna cima, nessuna vetta solitaria vale quanto un sentiero condiviso con fatica in compagnia”

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Premessa Questa non ha la pretesa di essere una guida per chi intenda percorrere il tracciato descritto ma solo una raccolta di impressioni dei giorni che ci hanno impegnato lungo i saliscendi in un ambiente tanto unico quanto spettacolare. Scrivere non è facile. Esprimere le proprie sensazioni ancor meno. Tutto questo e magari non stancare chi ti legge è difficile e sono convinto che spesso la cosa migliore sia lasciar parlare ciò che senza proferire parola dice più di quanto ognuno di noi possa mai fare: le immagini. Ecco perché le considero le principali parole ed invece quello che si va a scrivere voglia essere solo un semplice contorno.

Le Marmarole da cima Ajarnola

Le Marmarole non sono certo un posto alla moda, pur se frequentate sul lato sud dove arrivano le auto al Pian dei Buoi e dove diversi rifugi offrono servizi ed accoglienza. Il versante nord, al contrario, è supportato solo da alcuni bivacchi situati fra i 1700 ed i 2300 metri, con percorsi lunghi per raggiungerli e su versanti spesso ripidi e faticosi da risalire. Un’ideale sentiero ne percorre le ‘terre alte’ restando sotto la linea di spartiacque e lambendo quest’ultima solo in qualche occasione permettendone lo scavalcamento verso il versante meridionale.

Questo lungo tracciato inizia in Val Da Rin, poco dopo La Primula e dove la viabilità termina, a circa 1120 m con il segnavia 270. Si addentra e risale la Val Baion fino al bivacco Fanton – 1750 m, che peraltro può essere anche evitato girando a destra poco sotto. Si prosegue sul 280 verso l’alta forcella Marmarole – 2661 m punto di valico sul lato sud per il Vallon del Froppa; si alza invece ancora a destra per forcella del Froppa – 2790 m la più alta del gruppo toccata da un sentiero ed al cospetto del vicino Cimon del Froppa – 2932 m, cima principale dell’intero gruppo. Si continua scendendo non di molto e toccando il successivo valico della forcella Jau de la Tana – 2650 m seguita da una lunga discesa ora su segnavia 260 AV5 fino al colle dove sorgono le due costruzioni del Tiziano. La prima storica (anche se ricostruita almeno un paio di volte) costruzione in pietra ed il classico bivacco in lamiera. Se si esclude l’inizio descritto, da nord arriva il primo vero accesso intermedio dalla Val d’Ansiei sul sentiero in questione.

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Da questo punto inizia quella che viene storicamente chiamata la Strada Sanmarchi, in onore del primo tracciatore nonché estensore della storica guida dell’Alta Via 5 di Tiziano, Toni Sanmarchi. I tratti successivi, sempre su 280 AV5, si allontanano dalle cime lungo la catena centrale e toccano in successione, dopo una forcella intermedia: il bivacco Musatti – 2111 m, altro punto di accesso da nord, altre forcelle ed il bivacco Voltolina – 2082 m. Questo è idealmente il punto di chiusura della Strada Sanmarchi ma non dell’attraversamento completo del gruppo se si considera il Corno del Doge come facente parte del gruppo stesso delle Marmarole piuttosto che del vicino Sorapis in quanto nettamente separato dall’ampia Val di San Vito. E’ su una aerea cengia del Corno del Doge che prosegue appunto l’attraversamento ideale per chiudersi appunto in Val di San Vito nei pressi di un importante quadrivio per poi ridiscendere in Val d’Ansiei sul 226 verso il centro forestale di Somadida.

Il Corno del Doge da sud con l’evidente cengia nella sua metà

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L’idea Il gruppo delle Marmarole non è mai stato un obiettivo nei miei primi 30 anni di montagna. Da sempre considerata come zona da visitare ma per vari motivi sempre rimandato, con rammarico peraltro. Finalmente nel 2007, quando il gruppo del SomariTeam aveva ormai gettato le basi, si decise di soddisfare la curiosità con qualche giro tra i rifugi a sud, poi con il sentiero attrezzato Da Prà attorno a Punta Ciarèido ed infine con il sentiero degli Alpini alla forcella Jau de la Tana, forcella Froppa, forcella Marmarole e discesa sul tremendo Vallon del Froppa. Si lasciò così spazio ad altri prossimi progetti quali la normale al Cimon del Froppa, la Cengia dei Camosci e, perché no, i vari bivacchi del lato nord. Nel 2011, pungolati dallo stimolo di Enrico, villeggiante padano in quel di Auronzo, ci si propose di iniziare a toccar con mano il ‘lato oscuro’ - dal punto di vista solare - delle Marmarole. Da Somadida al bivacco Voltolina quindi lungo la cengia del Doge che taglia il Corno e discesa lungo l’alta Val di S.Vito. In quel periodo, complice pur se non in gran parte il martellamento di Maurizio, si inizia a parlare insistentemente ed in maniera più concreta della Strada Sanmarchi. Si legge di tutto, si cercano foto, relazioni, impressioni… ma soprattutto si comincia a fare sul serio. L’idea iniziale di compierla in due giorni viene ampiamente scartata. Non miriamo ad exploit da sbandierare né tanto meno a correre lungo zone dove non ci si tornerebbe spesso senza nemmeno vivere l’ambiente in maniera riflessiva. Una prima soluzione fu quella di fare due pernotti nei rifugi, ma anche questa intenzione si scontrava con problemi logistici, vuoi per impegni vari, vuoi per la lontananza. Nel 2012 si arrivò quindi a considerare obiettivo primario il tratto più interessante della Strada Sanmarchi, dal bivacco Musatti al bivacco Voltolina, tratto sicuramente più tosto ed impegnativo, lasciando in secondo piano il primo tratto dal bivacco Tiziano al bivacco Musatti. Destino volle poi che quest’ultimo venne poi percorso solo due settimane prima, in una scampagnata di 1600 metri dell’ultimo minuto, ma dal carattere esplorativo e con intenti organizzativi per quella successiva. Dopo alterne vicende programmatorie, alcuni rinvii e col timore di dover rinunciare per l’ennesima volta, nel settembre 2013 si è dato corpo al tratto più impegnativo e spettacolare della Strada Sanmarchi approfittando di una pausa benigna del tempo pur fresco. Nel racconto quindi collegherò i due tratti come sequenza logica e temporale della Strada Sanmarchi nella sua naturale ed integrale estensione. Michele

Il circo soprastante il Meduce di Fuori

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Strada Sanmarchi Val d’Ansiei - bivacco Tiziano – bivacco Musatti agosto 2012 Incontrare Enrico ad Auronzo per un giro in compagnia era una promessa da mantenere.

Si parlava delle Pale o altro, ma visto che si era in pochi ed il solo giorno libero era il sabato…

perché non trovarci con lui?

Potevano starci mille altre alternative in zona, ma con l’incertezza degli ultimi giorni ed il caldo

opprimente, io mi sono sentito di buttarla lì. In verità ne parlammo tempo prima, anzi avevo

quasi pungolato Enrico, viste le sue imminenti vacanze ad Auronzo, ad una puntatina al

bivacco Musatti.

In primo luogo sarebbe stato utile rendersi conto di come fossero le condizioni del GrandHotel

Musatti in previsione di un pernotto e poi verificare l’esistenza e la portata di questa famosa

sorgente a poco meno di mezz’ora dal bivacco stesso. Quest’ultima cosa per evitare di portare

su da valle almeno buona parte dell’acqua necessaria due settimane dopo.

La Val d’Ansiei sotto i Cadini

Dunque, il giorno prima raffica di mail a chi era libero e disponibile e accordi per partenza

all’alba verso Auronzo a raccogliere Enrico.

Subito al parcheggio presso la forestale di Somadida all’ombra del primo sole, sotto il ‘lato

oscuro’ delle Marmarole, si decide di allungare sul piano un po’ il giro nel tratto iniziale

piuttosto che doverlo poi subire al rientro, probabilmente alquanto stanchi.

Da Auronzo sulla strada verso Misurina poco dopo Palus San Marco – indicazioni per la riserva di Somadida - sulla sinistra dopo pochi metri su sterrato fino al parcheggio (1135 m). Oltre il parcheggio, subito dopo il ponte degli Alberi, a sinistra stacca una piacevole mulattiera parallela al torrente ed in piano fino al bivio col sentiero 260 – tabella per bivacco Tiziano (1100 m – 35’).

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Dopo una prima mezz’ora di calma apparente, poco oltre il bivio con tabella, cominciamo a

renderci conto che la ripidità letta in alcune foto e dal vivo lungo la strada non fosse per niente

un effetto ottico od una distorsione.

Il sentiero parte in quarta ripido senza tanti preamboli, come se chi l’avesse tracciato fosse

atteso al più presto da un incontro galante al

rientro. Senza pensarci su, tornanti zero,

alè!.

C’è una lingua di ghiaie? Bene, passi dritti a

risalire. C’è una pietraia? Salta da un sasso

all’altro senza perdere tempo!

Solo in qualche tratto nel calmo e caldo

bosco ci si concede qualche tornata, ora a

destra, ora a sinistra, per poi ricominciare.

I baldi giovani del gruppo hanno già scaldato

i motori e lanciato il missile. I diversamente

giovani Livio e Michele preferiscono andare

più lenti di quanto possano, almeno fino al

bivacco Tiziano, poi… chissà.

I 1600 metri che ci aspettano inducono

qualche timore, non sia altro per le

terrificanti bombardate di aria

condizionata dei centri commerciali

subite i giorni precedenti in pianura, che

hanno sfiancato ogni ottimo precedente

allenamento.

Con Livio si cerca con lo sguardo una

complicità su di un andamento

tranquillo, concedendoci foto e riflessioni

panoramiche.

Non fa troppo caldo ma si suda come un

coniglio davanti al cuoco. All’ombra e

all’aria del primo mattino non si soffre

più di tanto ma si suda, eppure l’umidità

sembra contenuta.

I Cadini di Misurina e le Tre Cime dal sentiero al Tiziano

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A dire la verità il sentiero non crea particolari problemi. In salita anche certi passi instabili li

affronti meglio, sei più bilanciato, e te ne rendi conto quando incontri qualcuno in discesa.

E’ proprio un gruppetto familiare che incrociamo lungo la pietraia che, saliti il giorno prima a

pernottare al bivacco, rientrano per la stessa via. Di fronte alle evidenti ed imbarazzanti

difficoltà dei ragazzi nella impervia discesa, ci guardiamo tra di noi chiedendoci perché per

un’esperienza simile non siano andati da qualche altra parte, più adatta alle loro capacità,

meno pericolosa insomma.

Dopo tanti anni e tanti sentieri percorsi in lungo ed in largo, ci siamo fermati a pensare quanto

potesse essere ostico e fastidioso un tratto simile anche per noi, figurarsi per ragazzini alle

prime armi.

Intanto il sole comincia a dare il suo contributo sia per la luce che per il calore e l’aria che tira

rende la giornata piacevole. Ci avviciniamo alla parete dove la pendenza è più omogenea,

senza sbalzi o salti e davanti a noi scrutiamo la linea dei colli individuando presto l’edificio in

pietra. Quando vedi il punto d’arrivo non sai mai se prevalga l’illusione di essere vicino oppure

la consapevolezza di avere ancora strada da fare.

Gli ultimi colli da aggirare in vista degli edifici del bivacco Tiziano

Ma una volta sotto l’ultimo colle, quando anche la sagoma di chi è già arrivato non concede più

dubbi sulla reale distanza, ti arriva un’ultima spinta emotiva anche se sai bene che non puoi

godertela appieno in vista degli altri quattrocento metri che ti aspettano più tardi.

I due edifici del bivacco Tiziano

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Dopo il bivio si entra nel bosco su largo sentiero inizialmente poco ripido. Poco oltre il guado di un torrente la traccia diviene più stretta e comincia ad inerpicarsi con pendenza più accentuata e con linee dirette. Si risale la traccia anche lunghi e stretti ghiaioni, verso una marcata costola rocciosa verso sinistra. Evitando un passaggio dismesso si sormonta a destra un colle erboso e sempre nel bosco ci si allontana dalla catena rocciosa di destra con ripidità. Si risale faticosamente una pietraia oltre la quale, anche su tratti umidi e scalina menti ricoperti di terra ci si dirige fin sotto le verticali pareti del Tacco del Todesco. Le si contornano alla base salendo costantemente; siamo ora ormai fuori dalla vegetazione e, man mano che si conteggiano le ripide pareti alla nostra destra, comincia a delinearsi sopra di noi il profilo del pianoro dove sorge il bivacco. Ormai in vista dell’edificio ci si allontana dal Tacco del Todesco per aggirare alcuni colli e con ultima ripida salita si sormonta lo stretto pianoro con il ricovero in pietra ed il classico edificio a botte del biv. Tiziano (2246 m – 2.30’/3.00’). Ad est le varie cime della catena del Froppa dalla Croda Alta di Somprade e culminante con la più alta del Cimon del Froppa. A seguire a destra la forc. Jau Tana ed in successione le Cime di Valtana, il Monticello, le Cime di Vallonga e Cima Tiziano a chiudere.

Dal bivacco Tiziano sotto il Tacco del Todesco verso Cima Tiziano – Pala di Meduce e Cima Schiavina

Dalla forcella che collega il bivacco Tiziano al bivacco Musatti

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Ci godiamo appieno la splendida posizione del Tiziano situato sul colle come a guardia della Val

d’Ansiei ed avamposto verso le numerose cime che segnano lo spartiacque con il Cadore e

quelle più a sud con il Cimon del Froppa a far da padrone.

Il sole ci regala una giornata ideale, una leggera brezza ne attenua il calore e ci concediamo

una sosta per prepararci alla successiva ascesa, non lunga ma probabilmente ripida, come

peraltro intuibile dal profilo delle pendenze che si intravvedono ad ovest.

Ripresi dall’ascesa al rifugio ci caliamo nella valletta ed in piacevole falsopiano approcciamo le

successive balze erbose ben irte verso quella cresta che diventa presto l’obiettivo logico ed

auspicato, termine ultimo della ripida salita odierna e dalla buona prospettiva dell’ormai

imminente discesa.

La breve ed ormai più calma linea di cresta ci accompagna alla forcella dove finiscono le

fatiche a naso in sù. Ci sgraniamo, Michele e Livio più dietro, presi sia dalle pause fotografiche

che dal passo ormai più rallentato dalle pendenze e dai parecchi metri ormai accumulati.

Ma è solo questione di pochi minuti e in forcella la concessione di una lunga pausa per

mangiare, chiacchierare e soprattutto ammirare il circondario.

La cresta finale che porta alla forcella

Si scende dal biv. Tiziano per deviare su chiara traccia a sud-ovest – scarsi segnavia 280 AV5. La prima parte del tracciato, ben visibile dall’alto, scende quasi fino al fondo della Val Longa per pochi minuti ed inizia a contornare il ripido contrafforte per lo più erboso alla nostra destra. Si ricomincia a salire verso destra seguendo gli sbiaditi segnavia (attenzione in caso di nebbia), su scalinamenti erbosi a volte poco marcati. Ora decisamente su pendenza accentuata, ancora a sinistra e poi a destra risalendo un largo canale erboso fino al suo termine. Ancor su più comoda traccia a sinistra poi, ormai in vista della marcata cresta sopra di noi, in diagonale a destra su ghiaie e roccette a raggiungere la cresta presso un marcato ometto. Lungo la linea di cresta oppure appena alla sua sinistra in ascesa meno ripida anche se a tratti aerea, fino al termine presso un’ampia forcella tra la Val Longa ed il Meduce di Fuori, tra due cime secondarie, di qualche metro appena più alte (2640 m – 1.00’).

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Cima Tiziano e Pala di Meduce

Pochi passi di discesa e ci appare il Meduce di fuori, ampia valle punteggiata nel suo basso

limitare dalla lontana sagoma rossa del bivacco Musatti.

Da questo punto appare nella sua articolata conformazione il prosieguo della Strada Sanmarchi

oltre il Musatti, a contornare e poi risalire parte del Mescol.

In basso a destra il rosso bivacco Musatti ai piedi del Mescol a ancor più dietro il Sorapis

Il Campanile S.Marco, Cima Schiavina e poco oltre più a sud Cima Vanedel e la Pala di Meduce,

la valle con i loro ripidi contrafforti roccioso, alti torrioni a difesa dei selvaggi versanti

meridionali. Anche a nord le Tre Cime di Lavaredo, i Cadini ed oltre le Dolomiti di Sesto sono

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appetibili contorni panoramici ma sembrano relegati in secondo piano dalle più vicine e quasi

misteriose vette delle Marmarole. Scendiamo ancora rimanendo sempre immersi nei panorami

sino ad immetterci in un salto di roccette poco mosse che ci deposita su un ampio ghiaione da

scendere con agilità. Tra grossi massi e caratteristiche fessure nelle rocce contorniamo residui

nevai che portano ancora molta acqua ma che ben presto scompare nel terreno.

L’incontro con le gli unici altri frequentatori della giornata è quantomeno singolare. Due giovani

escursioniste, con cane al seguito, quasi in ‘accativante’ tenuta da spiaggia (oppure senza il

quasi) che beatamente risalgono il faticoso ghiaione.

Qualche minuto ancora e la meritata sosta al bivacco ci regala una lunga e piacevole pausa

dalle fatiche della giornata. Ci aspetta una faticosa discesa fino a Palus S.Marco e non è il caso

di lesinare un po’ d’ozio sui prati verdi attorno al bivacco. L’unica accortezza è la verifica dello

stato della costruzione, dei materassi e di quanto altro utile per il successivo pernotto quando

risaliremo dalla Val d’Ansiei per la seconda parte della Strada Sanmarchi.

Dalla forcella si scende dapprima a nord ad una secondaria, costeggiando alti e panoramici strapiombi sulla Val Schiavina e la Val d’Ansiei. Seguendo la traccia ed i segnavia verso ovest a discendere velocemente il grande spallone. E’ ora ben visibile l’ampia vallata del Meduce di Fuori con l’isolato puntino rosso del biv. Musatti nella zona più verde ed a sinistra Cima Vanedel ed il caratteristico profilo del Campanile S.Marco. Di fronte il Mescol dove si inerpica il prosieguo della Strada Sanmarchi, contornato dietro dalla massiccia sagoma del Sorapis. La traccia esaurisce la sua relativa pendenza sopra un ripido salto che si contorna in discesa a sinistra verso l’alta parete. Si arriva quasi alla base rocciosa toccandone le ghiaie basali, lungo le quali con velocità verso una ampia zona di grandi massi, superando ai lati alcuni depositi nevosi sotto i quali scorre l’acqua di fusione (eventuale sosta per acqua). Si attraversano ancora altre zone sassose ed alcune placche tagliate da profonde spaccature, pericolose in caso di neve. In questa zona una traccia a sinistra evita la successiva discesa al bivacco per tagliare in quota il vallone a riprendere il sentiero per forc. Mescol. Esauriti gli attraversamenti su rocce si percorrono gli ultimi tratti su mughi e terra fin sul pianoro dove si trova il biv. Musatti (2111 m – 0.45’/1.00’). L’indicazione della sorgente ad una ventina di minuti sotto il bivacco pare poco attendibile a stagione inoltrata ma ancor più sotto è più probabile trovare una buona fonte presso una zona di muschi.

La Val d’Ansiei contornata da Cristallo e Popena, Cadini e Tre Cime, Dolomiti di Sesto

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Scendiamo, ora paghi delle fatiche, lungo il sentiero che ci riporta in valle.

Incontriamo due stranieri che salgono contriti e delusi per non aver trovato la sperata acqua

come indicato nelle relazioni e chiedono a noi chiarimenti… Sono in traversata sulla Sanmarchi

e pernottano al Musatti ma a quanto par di capire ormai senza niente da bere. L’unica cosa che

possiamo consigliare è di salire ai nevai soprastanti dove hanno tutto il resto della giornata per

approvvigionarsi.

Proseguiamo la discesa e poco sotto rinveniamo la copiosa sorgente… Mah! Chissà fin dove

l’hanno cercata, visto che tutta la zona attorno è facilmente distinguibile per i muschi…

Scendiamo su un terreno impegnativo a volte anche sporco, oltre il tratto attrezzato e con

fatica verso il bosco che sarà l’unico tratto morbido e relativamente rilassante.

Al parcheggio, ormai stanchi e contenti, ci concediamo un breve pensiero per il ritorno di lì a

poco sulla stessa via ma in salita per continuare il nostro discorso con la Strada Sanmarchi con

la compagnia più nutrita sperando in una giornata simile.

Il bivacco Musatti verso i Cadini e le Tre Cime

Variante di discesa dal biv. Musatti a Palus S.Marco - Percorso sempre alquanto ripido, faticoso e solo la prima parte risulta asciutto anche se in qualche tratto le ghiaie rendono il fondo instabile. Su ambiente aperto si scende la chiara traccia che si avvicina pian piano al fianco est del Mescol, alla cui base si notano presto alcuni umidi anfratti, punti di eventuale stillicidio. Poco più sotto, dopo una mezz’ora dal bivacco su chiari pendii una più probabile fonte da sorgente, punto di scolo della fusione dei nevai soprastanti il Meduce di Fuori. Oltre un delicato e bagnato salto di roccette, il ripido sentiero si inoltra tra i mughi a tratti su rocce sporche e scivolose. Si prosegue fino ad un salto attrezzato tra rocce, radici e terra lungo una quarantina di metri. Dopo il salto ancora tra mughi ancora più alti lungo instabili canalini tra rocce e ghiaie quindi nel bosco con linee più dirette e pure faticose. I tratti a cui prestare attenzione proseguono sino a che il fondo, più morbido, non risulta essere coperto da aghi. Con ultime ripide tornate fino all’ultimo tratto pianeggiante che termina presso la stazione forestale di Somadida con fontana e punto informativo. Pochi metri in piacevole piano fino al Ponte degli Alberi ed al parcheggio (1135 m – 1.50’/2.00’).

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La settimana seguente, programmata appunto per la seconda parte della Sanmarchi, si rivela

una delusione dal punto di vista meteo. Con rammarico per un’occasione perduta che avrebbe

impreziosito ancor di più il primo approccio sulla “Strada”.

Neanche le successive settimane presentano condizioni favorevoli alla ripresa delle intenzioni e

– complice anche la mancata coincidenza delle possibilità personali - la stagione estiva termina

presto con abbondanti nevicate in quota e la rinuncia definitiva del completamento ormai

rinviato all’anno successivo.

Magari con anticipo nella stagione sperando in un inverno clemente ed una calda primavera…

ma mai aspettativa fu così disattesa.

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Strada Sanmarchi settembre 2013 Val d’Ansiei - bivacco Musatti – bivacco Voltolina – Cengia del Doge Quando il destino vuole essere ironicamente… bastardo. Un inverno in ritardo con le

conseguenti tarde nevicate a contrastare le temperature primaverili in salita.

Salta luglio e pure agosto e poi non è semplice organizzare un gruppo nutrito, che tale

vorrebbe essere, con i propri impedimenti personali da coniugare con una due giorni

favorevole e sperando sempre di non incappare in un feroce affollamento del bivacco Musatti.

Per fine agosto l’occasione buona sembra esserci ma ancora una volta il primo giorno

programmato non consente una salita sufficientemente sicura al bivacco e dunque

mestamente si rinvia nuovamente.

Si fissa tutto per metà settembre, incrociando le dita per il meteo, per le nostre possibilità, per

ogni altra variabile.

Qualche giorno prima arriva, perfida, una prima spruzzata di neve, pure a quote medie. Ma

disposti a portarci dietro picche e ramponi si spera comunque nel bel settembre e sulle ancor

calde temperature. Solo il meteo sembra girare per il verso ottimale: la finestra venerdì-sabato

sembra buona e ormai nessuno ha più intenzione di tirarsi indietro.

Si carica in auto tutto il materiale disponibile lasciando la decisione di cosa portare solo dopo

una verifica visiva delle condizioni da valle.

Venerdì 13 settembre 2013

Luca, Mauro, Serena e Michele arrivano in tarda mattinata a Palus San Marco con zaini colmi.

Enrico e Maurizio arriveranno a pomeriggio inoltrato.

Solo dopo un’ultima occhiata ci si rende conto che al di là di qualche nevaio d’accumulo le

pareti sembrano ben pulite. Anche se alcuni versanti da percorrere sono ancora nascosti alla

vista decidiamo di lasciare in auto ramponcini e picche e portare su tutto il resto.

Solo l’acqua viene razionata al minimo visto che la sorgente ci garantisce il rifornimento poco

sotto il bivacco.

Salendo al Musatti verso i Cadini di Misurina

Ci si avvia lentamente sbagliando subito due bivi tanto per esorcizzare il timore di repentini

cambi meteo, ma una volta intrapreso il sentiero nessuno parla più. Ripido tanto quanto

pesano gli zaini in spalla.

Sappiamo che il super peso di Mauro è dovuto sicuramente anche a qualche sua sorpresa per

la sera in bivacco eppure non sembra darlo a vedere. Con calma e sacramenti vari usciamo dal

bosco sotto il breve tratto attrezzato che superiamo già preparati con imbrago dal parcheggio.

Ancora più su senza tregua quando sentiamo il dolce rumore della sorgente sgorgare dalla

parete sui muschi e l’attenzione si sposta subito poco sotto dove un grande tronco,

probabilmente precipitato dall’alto, ha lasciato pezzi di legna frantumati tutto attorno.

E’ solo un attimo.

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Il proposito era di raccoglierne qualche pezzo per accendere un piccolo fuoco nell’improvvisato

caminetto dietro il bivacco, tanto per

dare colore alla sera. Ma tanta

generosità non poteva essere

misconosciuta.

Michele e Serena riempiono le

bottiglie vuote per una scorta

d’acqua da cisterna mentre Luca e

Mauro caricano legna sugli zaini già

pesanti e sufficiente da bruciare i

nevai soprastanti.

Così gli ultimi trenta minuti

diventano un incedere himalayano,

uno step by step alla bradipo-style,

ma al bivacco si arriva, con calma,

ma si arriva…

Una scura nuvola copre gli ultimi metri e comincia a scendere un nevischio ghiacciato condito

dalle imprecazioni. Per oggi il meteo non era il massimo in assoluto ma la tendenza doveva

essere al bello…

Pochi minuti e tutto smette. Dietro, a coprire i Cadini ed il Cristallino di Misurina, la pioggia di

nevischio è evidente. Metà valle ne è sotto e si spera che passi presto e torni un po’ di sole.

Solo una pausa, poi a pochi passi dal bivacco un’altra scarica, anche se non fitta.

Il tempo di riparare legna, attrezzi vari sotto il bivacco e di portare il resto dentro. Stendiamo

un telone a fianco del bivacco tanto per crearci un’area ulteriore di riparo e movimento ma il

vento inizia ad aumentare e ci mette poco a spezzare tutto.

Si riapre il cielo ma torna un’altra sventagliata di nevischio, meno intensa ma comunque pur

sempre demoralizzante.

Solo dopo qualche ora resta solo il

vento, meno intenso, e la

temperatura inizia a calare.

Verifichiamo e ripristiniamo il

caminetto esterno ed aspettiamo gli

altri…

Nel frattempo scendono provenienti

dal Tiziano tre giovani che si fermano

più in alto al sole e lì restano per due

buone orette. Ci assale in dubbio di

trovarci in bivacco in nove… presagi

di scomodissimi accomodamenti…

Non scendono… magari vanno giù a

valle… proseguono? No, impossibile.

Quando si rimettono in moto e

scompaiono dietro un colle non lontano dal rifugio ci passa l’idea che possano aver trovato un

buon posto per la tenda. Mah! Forse…

Ma Luca è curioso più di una scimmia. Dopo aver girovagato in lungo e in largo nel Meduce di

Fuori decide di andarli a trovare e se ne torna con la conferma che vedendoci – e soprattutto

sentendoci – i tre ragazzi spagnoli hanno deciso di bivaccare in tenda lasciandoci qualche

comodità in più in bivacco.

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Mauro sembra ipnotizzato dal panorama verso i Cadini e per qualche istante si isola nella sua

mistica contemplazione col contributo di Mark nelle cuffie.

C’è una singolare euforia… restano solo gli altri per completare tutto.

Si avvicina sera ed è Enrico che fa capolino dietro una roccia seguito da Maurizio

confermandoci che hanno preso di buona lena la salita. Si tratta ora solo di prepararci per la

cena tra le inevitabili battute ed il desiderio di accendere un fuoco tanto insperato quanto, ora,

agognato. Nell’azzardo delle basse temperature esterne il cuoco-kermit Luca, recupera fornello

e stoviglie ed al riparo dietro il bivacco improvvisa l’angolo cottura mentre le prime fiamme del

falò cominciano a bruciare.

Mauro se inventa una delle

sue e dopo essere

scomparso per qualche

minuto preannuncia

l’aperitivo preparato in

bivacco a base di salatini e

buon vino… neanche in

albergo…

Il fuoco diventa più corposo.

Dopo poco anche i primi

pezzi di legna, di ottima

consistenza, prendono posto

tra le pietre e tutto intorno il

calore rinvigorisce e crea

un’atmosfera più calda e

casereccia.

I due giri di minestrone caldo

contribuiscono a scaldare ulteriormente fisico e mente, poi ognuno integra con quanto portato

fin lassù, ma solo il dolce preparato e portato da Serena chiude la cena.

Cos’altro potrebbe mancare? Ci pensa ancora Mauro a scoprire le carte con whisky e grappa

attorno al fuoco… certo come suo battesimo in bivacco non s’è voluto far mancare nulla…

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E’ il momento più emozionale, attorno

al fuoco e avvolti dal buio. La luna

piena, che nel frattempo si è spostata

ad ovest dietro il Mescol, disegna dei

magici chiaro-scuri sulle pareti del

Meduce. I nevai soprastanti sembrano

illuminarsi e la sensazione di essere nel

posto giusto nel momento giusto è

ormai assodata.

Sopra di noi un mare di stelle. La

ricerca di una costellazione piuttosto di

una venatura sulle pareti ci impegnano

tra discorsi seri e altre inezie. Ognuno è

portatore sano di stupidaggini o

tentativi semi seri di discussioni.

Così si tira fin oltre ogni aspettativa, fino all’ultimo ceppo, ancor fino all’ultima brace. Poco

manca che Enrico si sieda letteralmente sul fuoco per assorbire anche l’ultimo calore prima di

rientrare in bivacco per la notte.

Dentro la botte di lamiera non si sta male. Fuori sono ormai zero gradi ma il fuoco ci ha

regalato qualche ora di benessere ed ora aspettiamo solo di dormire almeno qualche oretta.

Qualcuno parte col sonno, altri restano ancora in attesa. Chissà chi sta pensando a domani.

Dopo aver buttato una prima occhiata alla parete da salire la mattina dopo, nessuno nelle

successive poche ore in rifugio nomina la Sanmarchi. Un capitolo riservato al giorno dopo, in

quegli istanti contava più il presente probabilmente. Niente di più, niente altro.

Curiosa la cosa. Solitamente ci si scambia qualche impressione la sera prima, ci si confronta…

Sembra che tutti trovino almeno sufficientemente comoda la branda visto che nessuno va oltre

qualche parola.

Ci pensa Maurizio ad un certo punto a provare una calata in libera simulando una scivolata su

placca levigata e scuotendo il bivacco, alla ricerca di una coperta. Qualcun altro nella notte si

muove ma è al mattino che si scopre come Mauro abbia dormito nella posizione più riparata di

tutti: nella cripta del bivacco protetto e oscurato dalle coperte di Maurizio che nella notte sono

scese a mò di baldacchino…

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Sabato 14 settembre 2013 - 07.00

E bravo il romagnolo. Bel modo di dare la sveglia a tutti. Scende dalla branda, apre

completamente la porta e si posa beato a contemplare il panorama… tanto lui ha caldo!!!

Tra gli improperi degli altri e le risate verso la cripta dello Sherpa ci si alza per una calda

colazione ed i dolci di Serena. Che spartana vita da bivacco…!

Pulizia interna e raccolta rifiuti e bottiglie vuote all’esterno, imbraghi e materiale addosso, zaini

pronti e si parte.

Bivacco Musatti - 08.00

Saliamo dietro il rifugio per scendere

subito alla base del Mescol.

Ci si guarda attorno. Fa freddo ma è

un buon freddo. C’è ora il pensiero

della lunga giornata in mente e di

quello che troveremo ma che non

conosciamo. Sembrano tutti

concentrati ma ben disposti.

Quando si inizia a salire seriamente,

ancora all’ombra, i primi commenti

escono concordi sulla verticalità e la

precarietà del terreno. Ma dura poco

finché le gambe non si scaldano ed il

primo sole ci accoglie sulla cengia

superiore, bella, attraente, calda.

Sono questi gli ambienti che recentemente stiamo calcando. Non tanto la verticalità pura

quanto i camminamenti naturali,

seppur a volte addomesticati

dall’uomo.

Sono queste orizzontalità che seguono

le rughe naturali dei monti che ci

consentono di vivere la montagna in

maniera più… genuina. Senza ferri,

senza chiodi ma solo sfruttando le

concessioni che le pareti ti regalano.

La rampa successiva è forse il giusto

approccio alla prima forcella, alla

prima tappa e dietro di noi salutiamo il

Meduce di Fuori col bivacco Musatti

che ci ha tenuto compagnia per

parecchie ore.

Dal bivacco Musatti si segue l’indicazione della tabella per il biv. Voltolina 280 AV5 che ad ovest si alza per pochi metri per scendere subito nel catino occidentale del Meduce di Fuori sotto una costola del Mescol. La si contorna alla base per prendere subito un ripido pendio su verde e roccette risalendone parecchi metri su esigui ed esposti scalinamenti. Ci si alza decisamente sulla parete quindi dentro un canalino smosso tra pareti attrezzate recentemente con accortezza per la mobilità del fondo. Si esce dal canale sopra un successivo

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pendio verde solo poco più comodo su ripide zolle erbose sino a trovare altre funi poco sotto le gialle pareti soprastanti che si toccano subito dopo su una bella cengia appena esposta ma comoda. La si percorre tutta a sinistra fino ad una singolare stratificazione rocciosa arcuata che forma una rampa obliqua e quasi verticale dove gli appoggi sono solo giusti ed essenziali ma sempre attrezzata con fune di sicurezza. Attenzione da porre dove la roccia risulta più sporca e levigata. La fune termina all’apice della rampa e con pochi passi esposti ci si porta sulla stretta ma panoramica forc. del Mescol dove si apre la spettacolare visione del Meduce di Dentro (2420 m – 1.00’).

Forcella del Mescol - 09.00

Un primo rassicurante pensiero corre nella visione, peraltro splendida, sul Meduce di Dentro.

Neanche una chiazza di neve sul percorso. Scendiamo rincuorati con l’immagine del largo

vallone da attraversare ed oltre la successiva parete da superare per arrivare a forcella Croda

Rotta.

Torniamo all’ombra tra i grossi

massi che, nel punto più basso,

costringono a un tortuoso

superamento nel mare di massi e

pietre. Qualche ometto e rari bolli

indicano la strada ma niente è

complicato sapendo che bisogna

arrivare alla base di un evidente

ghiaione.

Riprendiamo il sole poco sotto il

ghiaione dove la luce aiuta lo spirito.

Si scherza e si contempla il

panorama sotto una giornata tersa e

fresca. Non potevamo sperare di

meglio, la giornata ideale per noi.

Si sosta per pochi minuti e si riprende quota sotto la Croda Rotta.

Sembra una salita lunghissima ma ci stiamo rendendo conto che nell’arco di una giornata ne

potremmo fare parecchie di simili risalite e poi… sono trecento metri e… punto.

Ci portiamo sotto una serie di scalette che

risalgono un budello levigato e dove si

accumulano dietro i pioli i sassi facili da

smuovere.

Attenzione! Sassi!... Attenzione! Infisso

mobile!... Attenzione! Bagnato!...

E’ solo un gioco di provocazioni del primo

che sortisce l’effetto in Mauro di

promettere una randellata a Michele… al

prossimo Attenzione!.

La necessità di progredire accostati, come

sulla rampa inclinata sotto forcella

Mescol, ci fa sembrare un unico essere

dai vari colori… ma dall’unico spirito.

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Sopra il canale ci calmiamo. Ora servono le gambe ed il fiato.

L’ambiente è bellissimo con i primi animali che ci tagliano il sentiero, le prime macchie di neve

sui sassi e le inesorabili ghiaie da risalire.

La traccia è buona ed il freddo aggrappa i sassi, li rende meno mobili al passaggio, ma la salita

alla forcella non termina ancora.

Sembra la prossima… no… si devia ancora a sinistra… allora è quella…

Enrico e Mauro sono i primi a salire in forcella.

Tra Mauro e Michele corre uno sguardo veloce, un solo gesto, aspettavano solo quello: oltre la

forcella tutto pulito e senza vetrato.

Era il momento cruciale, forse, dell’intero percorso. Trovare pulito il primo traverso da forcella

Croda Rotta era essenziale per assicurare il prosieguo senza problemi. Si trattava ora, in

pratica, solo di scendere e quello sarebbe stato il punto più alto.

E’ spettacolare la forcella. Da un nuovo punto di vista su Cristallo e Piz Popena, le Dolomiti di

Sesto e davanti a noi, oltre la Croda de Marchi, il sontuoso massiccio del Sorapis.

Da forcella Croda Rotta verso nord-ovest

Quello che ormai sta dietro noi è quello che abbiamo attraversato. La discesa da forcella

Mescol con l’attraversamento del Meduce di Dentro, ora appartengono al passato, al vissuto

anche se solo di un capitolo precedente.

Oltre la forcella si scende ancora in ripidità ma su buona traccia e ben marcata dapprima a sinistra e quindi a destra fin sotto una parete che con brevi attrezzature ci consente di superare un insidioso salto tra rocce e mughi. Ora si entra nel Meduce di Dentro dapprima su grosse ghiaie seguendo gli ometti ed i segnavia rossi, quindi in un mare di grossi massi che vanno aggirati in un continuo saliscendi anche tortuoso alla ricerca della linea più comoda (ca. 2180 m). Pochi ometti e talvolta anche radi segnavia non impediscono comunque di puntare con facilità ad un pendio poco ripido a sinistra di un evidente ghiaione che cala dalla Croda Rotta. Quando la traccia diventa più lineare e le rocce più agevoli si inizia a risalire il pendio poco inclinato, tra radi mughi e su facili roccette; prima diritti quindi a sinistra e solo dopo aver quasi toccato lo spigolo di una parete ci si dirige ancora a destra su zona prativa con riferimento alcuni antri scuri ed umidi sopra di noi. Si incontra una breve fune quindi sotto una paretina la prima scaletta che, accompagnata dalle funi, introduce uno stretto ed umido camino dove una lunga sequenza di scalette ne permette la risalita. In questo tratto bisogna evitare di smuovere sassi che ristagnano tra le rocce e nella parte superiori trattenuti dagli stessi pioli delle scale. Dopo l’ultima conviene approcciare il successivo pendio subito sulla destra evitando di smuovere i sassi e poco sopra deviare nettamente a sinistra tagliando il ghiaione e salendo un miglior pendio roccioso. Sopra la spalla ci si prepara alla faticosa risalita verso la forc. di Croda Rotta ma assorbiti dal panorama delle Dolomiti di Sesto alle nostre spalle. La successiva salita è lunga ed a tratti ripida ma su traccia evidente e alquanto facile. Si contorna la base una slanciata e tozza torre e ci si dirige a sud ora in salita meno accentuata e con gli ultimi tornanti verso la successiva torre si mette piede sulla panoramica e comoda forcella di Croda Rotta (2570 m – 1.45’).

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Vanedel, Croda De Marchi, Corno del Doge, Sorapis

Forcella Croda Rotta - 10.45

Superato il breve e freddo traverso ci

lasciamo portare dalla veloce quanto

friabile discesa in Val del Fogo. Ci si

sposta tra le ombre delle pareti e le

terrazze scaldate dal sole.

Certo che di ghiaie, forcelle, salite e

discese questa Sanmarchi ne ha da

vendere!

E’ in questo punto che sostiamo

inaspettatamente ammirando un

famiglia di locali coi piccoli appresso.

Non sono soli. Sopra, molti metri più in

alto sulla cresta Vanedel il probabile capo branco ci osserva… attento e con circospezione.

Siamo a casa loro ed a parte qualche foto rubata in silenzio, scendiamo con calma cercando di

non turbare il loro girovagare.

Siamo presto sopra forcella Vanedel ma

tutto quello che riusciamo ad intravvedere

è la parvenza di uno stretto intaglio sotto

di noi.

E’ su quel punto che solo muovendoci sul

sentiero scarichiamo una valanga di sassi

che precipitano sulla forcella… o quello

che ci sta là sotto…

Dobbiamo muoverci accostati al massimo

e portarci con calma sopra l’ultimo

traversino attrezzato, in posizione sicura

per chi inizia a scendere in forcella.

Qualcuno sollecita il passaggio in velocità

prima che qualche sasso in precaria posizione si lasci andare o solo un animale pensi di

scendere…

Oltre saliamo in fretta sulla scaletta e solo sulle comode balze rocciose ci riconcediamo un

momento di pausa per andare nuovamente con lo sguardo sul sinistro intaglio di sfasciumi

appena superato.

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Oltre la forcella a sinistra scendendo per pochi metri in traversata sul punto più delicato. Per una cinquantina di metri si taglia il ripido versante su rocce e ghiaino pericoloso in caso di neve o vetrato. Ci si alza sensibilmente poi su alcune rocce inclinate che non presentano particolari problemi se asciutte e successivamente una fune aiuta in un traverso in leggera salita più levigato seppur breve. Ora sopra una spalla con ampia visione sulla sottostante Val del Fogo e la prosecuzione del percorso poco sopra questa. Dalla spalla, ignorare ogni deviazione in discesa a destra, ancora a sinistra in salita e quindi in breve traverso appena esposto quanto ricoperto di ghiaie che termina su una vicina forcella. Qualche metro prima della stessa si scende a destra sotto un grosso masso e si continua in decisa discesa su un fastidioso canalino di sfasciumi appena sotto la scura parete della Torre Frescura. Ci si abbassa sensibilmente sino ad un singolare e stretto passaggio tra un’isolata spaccatura ed ancora in discesa sulle ghiaie verso la liscia parete della Cresta del Vanedel. Se ne contorna la base nel punto più basso per risalire oltre l’evidente traccia ancora su traversi e scalinamenti appena faticosi e toccando presto un ampio terrazzo panoramico. Evidente e chiara alle nostra spalle la discesa dalla Corda Rotta e la successiva risalita nelle ghiaie. Davanti a noi la possente sagoma della Croda De Marchi con dietro il gruppo del Sorapis. A sud degrada la Val Vanedel ad incrociare ben più sotto la Val d’Oten. Si continua a scendere dapprima con facilità poi su tornanti sempre più stretti ed instabili. La discesa che segue fin sopra forc. Vanedel è il punto più critico: quasi impossibile non smuovere sassi che inevitabilmente precipitano sull’angusta forcella. Meglio assicurarsi quindi che nessuno arrivi dal senso opposto – decisamente sconsigliato e pericoloso - e di raccogliersi in prossimità di ogni tornante prima di approcciare la discesa in forcella. Pochi metri sopra l’angusto intaglio una fune aiuta su un esposto traverso da affrontare decisi e con circospezione, saltando sulla stretta e sinistra forc. Vanedel (2370 m – 1.15’).

Forcella Vanedel – 12.00

Bello il tratto attorno il basamento settentrionale della Croda de Marchi. La roccia è ruvida,

ottima per le suole e per le mani.

Alcuni tratti attrezzati sembrerebbero anche

superflui su una roccia così ideale.

Perdiamo quota sensibilmente e dalla chiara roccia

passiamo su un terreno più morbido, su mughi ed

erba anche se qualche tratto risulta essere più

scivoloso.

Cominciamo ad intravvedere, poco oltre il largo salto

della Val Grande, la verticale parete nord del Corno

del Doge tagliata a metà dalla suggestiva cengia…

vedremo quanti avranno gambe e volontà di

includerla nel giro odierno.

Le fatica comincia a farsi sentire. Salire e scendere

ripetutamente lascia il segno più di ogni altra cosa.

Forse solo l’imminente chiusura di un vecchio

progetto ci darà l’ultimo stimolo.

Tagliamo l’ultimo ghiaione a chiudere su un delicato

quanto ridotto terrazzo erboso tra pochi alberi ma

tanto panorama. Accostiamo la parete alla nostra

sinistra all’ultima ricerca della chiusura della Strada Sanmarchi immortalata in tante foto: una

esigua cengia aerea attrezzata.

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In verità è piuttosto comodo metterci i piedi e la

buona fune aiuta a superare quei metri che seppur

esposti vanno a chiudere sui prati che, una volta

attraversati alcuni colli, depositano all’incrocio di

sentieri in Val Grande.

Mauro, che ha anticipato tutti per una veloce puntata

al bivacco Voltolina, ci raggiunge alla sosta, ormai

pago.

Ora c’è spazio per qualche considerazione, per

qualche conclusione emotiva sui continui saliscendi.

Nessuna cima è stata toccata oggi seppure ne

abbiamo accostate alcune ma forse è questo che

rende la traversata unica quanto unica.

L’esposta cengia a chiusura della Strada Sanmarchi

Sul lato opposto di forc. Vanedel una scaletta seguita da una breve fune in verticale consente di recuperare velocemente quota per togliersi dall’intaglio e seguire gli esagerati segnavia ora in falsopiano verso nord lungo banche rocciose dal fondo ottimale. Si scende in progressione e per qualche tratto accompagnati dalle funi ma con facilità ed evidenti segnavia. Il fondo si trasforma poco a poco presentando ora maggiori tratti su mughi, lungo brevi cenge ed ancora facili salti rocciosi. Un ultimo deposita infine su un ampio ghiaione che bisogna attraversare in leggera discesa e con comodità puntando ad una verde zona alberata dove la parete degrada e poggia. Ci si affaccia ora sulla Val Grande con il Corno del Doge davanti a noi e l’evidente traccia della Cengia che la taglia nella sua metà. Superati alcuni grossi alberi ed un piacevole tratto tra il verde si tocca la verticale parete e l’ultima esposta cengia che si inizia dopo pochi metri in discesa. Questa esile ma solida cengia rocciosa, lunga una ventina di metri, è più spettacolare che altro e conferisce un ultimo tocco al percorso. Al suo termine si segue il tratto finale su prati in leggeri saliscendi per puntare al suo termine con più decisione verso l’incrocio con gli altri sentieri della zona (1995 m – 1.15’). Da nord arriva la salita dalla Somadida, a sud in salita verso il vicino biv. Voltolina che si raggiunge brevemente (2180 m – 0.30’ e non 2080 metri come riportato sulle carte e sulle guide in commercio) e di fronte dopo una breve risalita il prosieguo per la Cengia del Doge fino in Val di San Vito.

Dall’incrocio in Val Grande due le possibilità: - Si scende a nord sul 278 che contornando la base del Corno del Doge e scendendo un breve salto attrezzato si ricongiunge col 226 proveniente dall’alta Val di San Vito sotto parete e immediatamente alla tabella sopra il ghiaione (1600 m – 0.40’). - Si prosegue sul 280 AV5 a nord-ovest in leggera salita per un centinaio di metri a prendere la Cengia del Doge, percorso facile ed a tratti esposto ma attrezzato, anche se in rinnovamento frequente per la natura friabile della roccia. Contornare a sud il Corno del Doge sino ad un panoramico pulpito sulla Val di San Vito con la Torre dei Sabbioni, quindi in lineare discesa fin sotto un breve ma verticale salto roccioso; oltre questo al secondo canale sassoso si può tagliare a destra seguendone il greto sino ad incrociare dapprima il torrente ed in seguito il segnavia 226. Lo si discende a nord ad incrociare il 278 di cui sopra presso la tabella sopra il ghiaione (1600 m – 1.30’). Discendere ora, sul 226, in velocità il ghiaione quindi attraversare un rio secondario portandosi sotto una parete che si accosta a destra e si contorna nel bosco; seguire la traccia su una lunga serie di tornanti e poi più diritti sino ad una radura nei pressi di uno sbarramento artificiale. Da qui su su forestale nella riserva di Somadida sino al PP (1135 m – 1.20’).

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Incrocio in Val Grande - 13.15

Nessuno, seppur nella fatica, vuole togliersi la soddisfazione di aggiungere anche la Cengia del

Doge alle fatiche odierne.

Saliamo quindi per pochi minuti alla

soprastante cengia, solo una degna

conclusione di quanto già fatto, ma

che regala ancora qualcosa.

Dapprima nella sua percorrenza

quasi aerea, poi nell’affacciarsi in Val

di San Vito, al cospetto della Torre

dei Sabbioni e delle pendici sud della

Croda Marcora.

E’ al suo termine che, come degna

conclusione, ci si affaccia sullo

splendido balcone verso l’alta Val di

San Vito dove si staglia la Torre dei

Sabbioni e le pendici settentrionali

della Croda Marcora.

Val di San Vito - 14.50

La successiva discesa a prendere il sentiero che arriva da sud è il primo distratto epilogo sulla

via del rientro. Un’intermedia perdita del sentiero e qualche altro piccolo inconveniente non

tolgono nulla nel lento e lungo divallamento nella valle.

Modo allora di incontrare altri erranti che scopriamo aver fatto la Cengia del Doge con una

nostra relazione in tasca… una piccola nostra soddisfazione… la ciliegina della giornata, dice

Mauro…

Ci sgraniamo ormai sulla via del ritorno, ognuno a chiacchierare con qualcun altro, di ieri, di

oggi e del domani. Siamo già fuori di testa. E’ un altro dei nostri obiettivi di questi anni e

l’abbiamo puntata in questi due giorni, e soprattutto oggi, dai panorami dalle forcelle: la Cengia

Alta di Cima Bagni… per noi meglio il Cadin del Biso…

Già ora per l’ennesima volta definiamo tempi e modi pur nella consapevolezza che sarà

qualcosa di più, di oltre, di altro impegno.

Un altro bivacco… un'altra cosa…

Ponte degli Alberi - 16.50

Al parcheggio, chi prima, chi dopo, ci si ritrova tutti. I complimenti, le impressioni, le riflessioni.

Un ultimo whisky per festeggiare. Un saluto agli occasionali compagni trovati per caso.

Un abbraccio tra di noi ed un saluto alla prossima.

La prossima… sarà diversa… sarà un’altra… ma questa è stata e sarà la nostra Sanmarchi.

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Epilogo

Qualcuno, alla nostra preventiva richiesta di informazioni sulle condizioni della Sanmarchi, ci ha

fatto ironicamente osservare che “… ah! Allora non fate l’integrale dal Tiziano al Voltolina…”.

Ebbene, quel qualcuno non ha capito o probabilmente non ha mai saputo cosa voglia dire far

montagna.

Quanto di meglio si possa assorbire in una traversata potendo restare più tempo in quota,

dormendo in un bivacco, in ottima compagnia, è un privilegio riservato solo a chi lo merita!

La corsa col tempo, i metri accumulati in giornata, le ore stringate a correre tra forcelle e crode

non tengono nemmeno per un istante il paragone con tutto quello che passa per la mente e

l’anima di chi si immerge nella montagna al cospetto dei suoi silenzi, delle sue rocce, delle sue

fatiche.

Quelle fatiche che lentamente assimilate e superate prolungano oltre ogni aspettativa la

soddisfazione per quanto visto, vissuto, toccato.

Non è nostra prerogativa, né tanto meno ambizione, dettare tempi e modi nell’andare per

monti. Lasciamo questa superficiale incombenza a chi ne può trarre un proprio vano

appagamento personale.

Quello che possiamo e vogliamo raccomandare è solo calarsi nel ruolo di ospiti e come un

ospite che degno sia, mai prolungare oltre modo il proprio soggiorno, tanto meno mai

concedersi ad una fugace apparizione e fuga.

La montagna rispetta i tempi giusti, la fatica, il sudore e talvolta anche il dolore e si concede

ripagandoti nella maniera più naturale e genuina che le si addice: con se stessa.

Niente di meno, niente di più.

La nostra Sanmarchi o SanMarKnopfler – come giustamente battezzata da Enrico ed

ampiamente sposata da Mauro – sarà qualcosa da rimembrare, chiacchierare, da recuperare

dalle nostre memorie anche quando le giornate in montagna saranno centinaia e gli anni ci

porteranno a fare tante altre cose magari più toste.

Quando faremo fatica a ricordare un nome, una data, un monte, un rifugio, un’istantanea

particolare, sarà invece naturale riandare con la mente a quei giorni. Senza fatica e senza

timore di confonderci ripercorreremo gli stessi sentieri, le stesse cenge e le stesse fatiche.

Il tutto sarà così vivo e reale quanto lo è stato in quei momenti…

senza toccare una cima…

soli con noi stessi…

Dalla prossima cima il nostro sguardo correrà sulle Marmarole ed ognuno di noi cercherà nel

silenzio quei luoghi, rievocando dentro di sé lo spirito che ci ha portato assieme ad essere una

sola entità…

Brothers in arms…

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Somari Team on SanMarKnopfler Road Ma che roba ragazzi, percorso davvero bello e più tosto di quello che immaginavo. Fino a tre anni fa non sapevo nemmeno dell'esistenza della Sanmarchi ma con Enrico e Michele si è cominciato a parlarne sempre di più, questa è proprio un altra cosa bella dei Somari, avete saputo far ampliare l'orizzonte davanti a me facendomi vedere anche cose che prima non avevo visto, la Sanmarchi, il Cadin del Biso, la Cengia dei Camosci sono cose che probabilmente da solo non avrei mai preso in considerazione di fare... anche se le avessi notate mi sarebbero sembrate troppo remote. Grazie ancora di tutto, grazie per il bivacco, grazie per l'esperienza di vita...

LucaLucaLucaLuca E’ stata per me un’esperienza eccezionale, forse il massimo che ho ricevuto dalla montagna finora. L’esperienza in bivacco e tutta quella bellissima traversata con la miglior compagnia in cui potevo sperare. Ancora una volta ho avuto la conferma del perché il fare montagna mi dia così tanto: è una consapevolezza che lentamente in questi ultimi anni si è fatta strada. Se agli inizi era preponderante il senso della sfida con l’ambiente e soprattutto con me stesso, con le mie paure, con la curiosità di fare cose nuove, ora è ben chiaro in me che non è tanto quello che si sta affrontando, lunga passeggiata, ferrata, escursione semi-alpinistica ecc…., ma lo stato di grazia che mi pervade quando sono per monti. E come per altre cose nella mia vita ho riscoperto che non c’era bisogno della difficoltà, dei “ferri” ad esempio, ma lo sapevo già dentro di me, le avevo già fatte le lunghe e solitarie escursioni sin da piccolo: l’essere in mezzo alla natura, lì su due piedi e tutto quello di cui hai bisogno ce l’hai addosso (un buon paio di scarpe, uno zaino e poche altre cose). Niente fronzoli, niente cose superflue. Questa semplicità così in contrasto con molti aspetti della nostra vita quotidiana, del lavoro e anche della famiglia… Ed è in questa essenzialità che vorrei vivere sempre, liberandomi del superfluo. Libertà. Grazie amici. EnricoEnricoEnricoEnrico Ragazzi io non so proprio cosa dire... Fare questo giro meraviglioso insieme a voi è stata un'emozione unica. Un percorso di per se già stupendo, con voi è diventato semplicemente strepitoso. Senza ombra di dubbio tra le migliori esperienze montane della mia vita. Un grazie di cuore a tutti quanti. Primo perché mi avete aspettato, sopportato e supportato in ogni momento e poi perché è stata una due giorni veramente bella, in tutti i sensi, compagnia, ambiente, escursione....

MaurizioMaurizioMaurizioMaurizio Un'escursione che mi ha lasciato sazio come mai, vissuta in maniera unica, la Sanmarchi 2013 è stata l'escursione perfetta, senza retorica. Più di tutto ho apprezzato l’autenticità della cosa; un gruppo di Amici che (come da spirito del SomariTeam), senza alcuna maschera si sono incontrati per creare assieme un’emozione unica, che non è nata grazie alle splendide Marmarole, non è nata grazie al tipo di percorso selvaggio, ruvido... vero, ma grazie alla semplicità e autenticità di ognuno dei partecipanti. Tante Sanmarchi e tanti escursionisti che le percorrono, ma solo una Sanmarchi SomariTeam2013. Un unico Alver-Michele, un’unica Sere-Micromachine-Serena, un unico Muress-Maurizio, un unico Luck-Luca, un unico Enrock-Enrico ed un unico Sherpa-Mauro. Questo è il senso e poche volte ho percepito così forte la consapevolezza da parte di tutti di essere stati oggetto e autori di una magia.

MaurMaurMaurMauroooo Un'esperienza che va oltre ogni aspettativa, tanto agognata quanto vissuta. Tenere a battesimo il primo bivacco di uno di noi, traversare valli e forcelle, senza toccare una cima, assistiti dal bel tempo… la giornata ideale. E tanto ideale è stata la compagnia con cui abbiamo condiviso il tutto. La lunga aspettativa, le rinunce, il fuoco della sera… Se ognuno raccoglie quel che semina… allora ci siamo meritati tutto ciò. Siamo quel che siamo, poca cosa al cospetto di quello che visitiamo ma molto per quello che viviamo. Potevamo essere al completo, mai facile se non quasi impossibil,e ma evidentemente doveva andare così. E come sempre è stato un privilegio essere dei vostri.

MMMMicheleicheleicheleichele

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www.somariteam.it

SerenaSerenaSerenaSerena “Sere” LucaLucaLucaLuca “Luck” EnricoEnricoEnricoEnrico “Enrock”

MaurizioMaurizioMaurizioMaurizio “Muress” MauroMauroMauroMauro “Sherpa” MicheleMicheleMicheleMichele “Alver”