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La storia della Lingua italiana Perchè una lingua e perchè questa lingua

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La storia della Lingua italiana

Perchè una lingua e perchè questa lingua

Come tutto ebbe inizio

Dante e il De vulgari eloquentia, 1303-1305

Dante definisce la lingua volgare quella lingua che il bambino impara dalla balia, a differenza della grammatica (termine con cui Dante indica il latino) vista come lingua immutabile e, erroneamente, ritenuta un prodotto artificiale delle élites. L'autore afferma, dunque, la maggiore nobiltà della lingua volgare, perché è la lingua naturale, la prima ad essere pronunciata nella vita sua e dei suoi lettori: la novità dantesca sta nell'individuare gli strumenti del volgare come adatti ad occuparsi di qualsiasi argomento, dall'amore alla moralità e alla religione.

Giochix e Ghenos, la tavola del gioco che prende il nome dal trattato di Dante

La lingua edenica e la pluralità come punizione

In principio era l'ordine. La lingua era una ed era quella di Dio.Dopo la caduta l'uomo tentò disperatamente di tornare al Padre e per questo peccato di Amore, che noi abbiamo sempre erroneamente inteso come peccato di hybris, ricevemmo la punizione del caos: non più una lingua con cui il Padre ci poteva almeno ascoltare ma molte lingue con le quali l'uomo non poteva più comunicare nemmeno coi fratelli.

Dal Medioevo

Nel Medioevo, dunque, le cose erano chiare: il coacervo di lingue era una giusta punizione del Padre per i figli disobbedienti.

Come la ricerca, anche se non di pieno successo, di una vita perfetta poteva valere la conquista del perdono, così la costruzione di una lingua perfetta sarebbe stata merito agli occhi di Dio.

L’ italiano deriva dal latino 'volgare'Cioè dal latino parlato più o meno liberamente

dagli antichi 'italiani': il sermo vulgaris

Per iniziare: Le origini quasi nobili

Più o meno liberamente è un'espressione con un significato che deve essere spiegato, perchè la lingua non è né regola né assoluta libertà: la lingua, infatti, dovrebbe essere definita come costrizione libera oppure come libertà costretta.

O visto l'a tua amika ke corevva asieme ha Giusepe

Ho visto la tua amica che correva assieme a Giuseppe

I've vue ton friend ch'a la curéa cum Giuseppe

Tin ton pack!

Più o meno liberamenteIl senso della 'grammatica'

La situazione oggi

Questa è la situazione attuale delle varie forme di 'Italiano' che si parlano (o si parlerebbero) oggi in Italia: i dialetti, qui riuniti secondo le loro affinità

Queste famiglie linguistiche hanno le loro antenate nelle lingue che si parlavano nella penisola prima dell'espansione di Roma.

Un link di approfondimento sulle lingue italiche (bisogna essere collegati al WEB)

… e che curiosamente hanno delle corrispondenze col modo in cui le civiltà, anticamente e prima dell'espansione romana, avevano di trattare il corpo del defunto.

Anche se ammetto che la cosa, apparentemente, c'entra poco con la nostra storia della lingua...

Dunque, anche così ad occhio...

Possiamo pensare che noi parliamo una lingua che deriva, in qualche modo, da quella che parlavano gli antichi abitatori delle nostre zone.Noi spezzini parliamo infatti una lingua che ha dei collegamenti con l'antica lingua ligure, o celto-ligure.O parleremmo, per dir la verità, se non ci fosse stata una guerra pluriennale contro i dialetti, una guerra senza prigionieri e ormai quasi completamente vinta.

E, come si dice, saremmo quasi cinesi...

La cioca ciù ca iei.Te te chini chi? No, me a chino ciù'n là.Ne state a ciapae fredo ca te rantegaesse com'a n'ase.Ho ciapà 'n man na lessoa. Belàn, a l'éa tuta lepegòsa!A gh'ea 'n fricialase sur la broca.

Traduzione (ma lo spezzino è, per dir così, più divertente)

La cioca ciù ca iei.Il sole batte più di ieri

Te te chini chi? No, me a chino ciù'n là. (in autobus) Scendi alla prossima? No, io scendo dopo

Ne state a ciapae fredo ca te rantegaesse com'a n'ase. Non prendere freddo che ti metteresti a tossire come un asino

Ho ciapà 'n man na lessoa. Belàn, a l'éa tuta lepegòsa!Ho preso in mano una lucertola. Perdincibacco! Era tutta bagnata e viscida come muco o, forse, fango.

A gh'ea 'n fricialase sur la broca.C'era uno scricciolo sul ramo tagliato dell'olivo.

Sia detto tra parentesi

Come è avvenuto che l'Italiano ha vinto (e i dialetti hanno perso)

Partiamo dall'idea che le lingue sono, né più né meno, come le specie viventi.Sottoposte, come loro, alla pressione darwinistica dell'ambiente.

E pensiamo all'ambiente delle lingue come ad un sistema ecologico in cui ogni lingua deve cercare di sopravvivere alla forza delle sue vicine.

E, come in un ecosistema, per sopravvivere deve adattarsi continuamente, cambiando il suo corredo genetico senza mai fermarsi.

L'evoluzione di una parola

Prendiamo, ad esempio, una parola che forse non conosciamo bene:Cheppia

Il nome di un pesce, simile a una grossa sardina, che qui da noi risale i fiumi come i salmoni

L'evoluzione di una parola

Questo pesce si chiama CHEPPIA (italiano) o SALACCA (toscano) o anche cepa, agon, ARENGA, ceppa, alosa, saraghe, cieppa, laccia, scarabin, alaccia, saboga. Nei vari dialetti italiani.

Se andiamo a vedere su un dizionario etimologico (quel dizionario che trova non il significato delle parole ma la loro storia) troviamo:

Cheppia: derivato dal lat. Clypea o Clùpea, parola gallica.Salacca: voce certamente connessa a sàle, ma per spiegare la seconda parte della parola (-acca) si pensa ad una contrazione del Lat barb. Sala caccàbia, cibo salato da cuocersi e conservarsi in grandi vasi. Il pesce detto Salacca, appunto, simile alla sardina, viene conservato sotto sale.

Parola gallica? Latino barbarico? Alto tedesco? Cosa diavolo c'entrano con il pesce che risale il fiume Magra in Aprile?

Arenga: da aringa. A sua volta derivato dall'alto tedesco Haring, che ha origine dall'antico Har (truppa) e da -ing, terminazione di molti nomi tedeschi. L'origine dà conto, ovviamente, dell'abitudine di questi pesci di muoversi sempre in folto branchi

La distribuzione dei significanti

Cheppia: derivato da Clypea, parola gallica, appunto. Vi ricordate dov'erano i Galli, prima che fossero eliminati dai Romani?

Tutte le altre parole, non galliche, possono essere collegate tra loro:Salacca>Saraca>Saracuni eccSaboga>Boga (Prov Buga)

Sarda>Saracuni>Sarache>Sardone>Sardòn (Grosso pesce della Sardegna) o da grosso pesce salato (sar=sale, -dòn=-done, grosso, oppure cattivo, non buono da mangiare)

Cipia

Salacca

Ciepa

Losa

Saboga

Laccia

Alaccia

Ceppa

Alosa (fr)

Saraca

Lacìa

Saracuni

Alosa

Sarache

Sardone

Sarda

Chjappie

ChieppaSeccia

Cepa

CipraSardòn

Alacho (prov)Alacha (spag)

Latino Latino volgare Italiano

Speculum speclum specchio

Mas (dim.Masculus) masclus maschio

Auris oricla (dim per auricola) orecchia

Vetulus vetlus vecchio

Calida calda calda

Frigida fricta fredda

Nurus nura nuora

Socrus socra suocera

Alcune trasformazioni

Cavallo

Equus CaballusEquino

Casa

Domus CasaDomestico

Alcune sostituzioni

Bello Pulcher BellusAgnello Agnus Agnellus

Italiano Latino colto Latino familiare

Piombo e Plumbeo Plumbeum

Pieve e Plebe Plebem

La forma latina serve per indicare il lemma 'colto'

Una vista nell'uso del tardo Latino Volgare in Francia si può avere con le Glosse del codice Reichenau, scritte a margine di una copia della Vulgata (Bibbia scritta in latino classico anche se intesa per l'uso del volgo), che suggeriscono che le parole scritte nel IVsec non potevano più essere comprese nel'VIII, quando le glosse furono probabilmente scritte. Queste glosse attestano tipiche differenze tra il lessico del latinoclassico e quello del latino volgare nel dominio Gallo-romanzo.

canere > cantare mares (nom. mas) > masculi liberos > infantes hiems > hibernus forum > mercatum lamento > ploro

ager > campus caseum > formaticumflare > suflare ita > sicpulchra > bella umo > terra

lebes > chaldaria necetur > occidetur pingues > grassi ungues > ungulasvim > fortiam oppidis > civitatibus

Le glosse del codice Reichenau

Dal Germanico:galea > helme (elmo)coturnix > quaccola (quaglia)fulvus > brunusturbas > fulcos (folla)cementariis > mationibus (mattoni)

La lenta e laboriosa elaborazione di una lingua unitaria

Il dibattito nel '500

Pietro Bembo, Prose della volgar lingua (1525): tesi classicista

Calmeta, Castiglione, Trissino: tesi "cortigiana' (1520 circa)

Lingua unitaria, indispensabile

La lingua delle Corti cioè della politica

La lingua dei letterati e dei sapienti (Petrarca e Boccaccio)

Così i Certaldesi hanno alcuni vocaboli, modi di dire e pronunzie differenti da quelli di Prato e quelli di Prato da quelli di San Miniato e di Fiorenza e così degli altri lochi fiorentini; ma chi rimovesse a tutti le differenti pronunzie , modi di dire e vocaboli, che sono tra loro, non sarebbono alhor tutte queste lingue una medesima lingua fiorentina et una sola? [...] A questo medesimo modo si ponno anchora rimovere le differenti pronunzie, modi di dire e vocaboli a le municipali lingue di Toscana e farle una medesima et una sola che si chiami lingua toscana. E parimente, rimovendo le differenti pronunzie, modi di dire e vocaboli, che sono tra la lingua siciliana, la pugliese, la romanesca, la toscana, la marchiana, la romagnuola e le altre de l'altre regioni d'Italia, non diverrebbono alhora tutte una istessa lingua italiana?

La tesi del Trissino: una lingua per 'sottrazione'Il Castellano, 1529

Havemo la cortesiana romana, la quale de tucti boni vocabuli de Italia è piena, per essere in quella corte de ciascheuna regione preclarissimi homini [...] et volemo in tucto il tusco idioma imitare per havere Dante, Boccaccio et Pulci non dico da imitare ma robare? Cosa da imbecillo ingegno!

Mario Equicola, La redazione manoscritta del Libro de natura de amore, 1505 ca.La tesi dell'Equicola: la lingua cortesiana romana

Machiavelli: la lingua forte dell'assimilazione

Oltre di questo io voglio che tu consideri come le lingue non possono esser semplici, ma conviene che sieno miste con l'altre lingue. Ma quella lingua si chiama d'una patria, la quale convertisce i vocaboli ch'ella ha accattati da altri nell'uso suo, ed è si potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.

Aggiungesi a questo che qualunque volta viene o nuove dottrine in una città o nuove arti, è necessario che vi venghino nuovi vocaboli, e nati in quella lingua donde quelle dottrine o quelle arti son venute; ma riducendosi, nel parlare, con i modi, con i casi, con le differenze e con gli accenti, fanno una medesima consonanza con i vocaboli di quella lingua che trovano, e così diventano suoi; perchè altrimenti le lingue parrebbero rappezzate e non tornerebbero bene.

Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua, (prob.1524)

Sì come li greci hanno cinque lingue et in tutte scrivono e spesso confondano l'una con l'altra sanza biasmo, così credo a noi sia leccito torre termini italiani d'ogni sorte, e basti che se servino le regole gramaticali e che l'uomo sii discreto e cauto in ellegere belle parole, ma però consuete nel comun parlare, et in tal modo ne resulterà una lingua che si potrà dire italiana, comune a tutti, culta, fiorita et abondante de termini e belle figure; [...] E se non sarà in tutto pura toscana, non per questo meriterà essere sprezzata.

Il Cortegiano,1518-20, libro I, xxxii.

La tesi del Castiglione: una lingua che funzioni

Leonardo Bruni: il latino dei dotti e del popolo

Nei suoi studi riscontrò fenomeni di corruzione della lingua latina dall'interno, rilevando ad esempio in Plauto le forme di assimilazione linguistica isse per ipse, oppure colonna per columna; teorizzò quindi che il latino si fosse evoluto dal proprio interno, sostenendo l'esistenza di una diglossia: oltre al latino classico, aulico, sarebbe esistito un livello inferiore, meno corretto, usato informalmente nei contesti quotidiani, da cui provengono le lingue romanze.

Arezzo, 1370 – Firenze, 9 marzo 1444

Flavio Biondo: il latino, lingua unica morta con l'Impero

Flavio Biondo (latino Flavius Blondus; Forlì, 1392 – Roma, 4 giugno 1463), storico e umanista, fu il primo a coniare il termine Medio Evo e fu lui "ad analizzare per primo gli antichi monumenti di Roma con vero e proprio metodo archeologico".

Si oppose alla teoria di Leonardo Bruni secondo la quale il latino subì dal proprio interno corruzioni e mutazioni che portarono alla nascita del volgare; sostenne invece che la causa fu l'aggressione esterna dei popoli longobardi. Gli studi moderni di linguistica hanno mostrato che le due teorie non sono effettivamente incompatibili e che il latino si è evoluto sia per ragioni interne che esterne.

Prose, 1.XVIIIl parlare e le favelle non sempre durano in uno medesimo stato, anzi elle si vanno o poco o moltocangiando, sì come cangia il vestire, il guerreggiare, e gli altri costumi e maniere del vivere.

La tesi del BemboLe lingue cambiano

La tesi del Bembo

Prose, 1.XIVMa questo ragionare per aventura e questo favellare tuttavia non è lingua, perciò che non si può dire che sia veramente lingua alcuna favellache non ha scrittore.

Ma i cambiamenti random non fanno una lingua

La tesi del Bembo

Prose, 1.XVIII.La lingua delle scritture, Giuliano, non dee a quella del popolo accostarsi, se non in quanto accostandovisi non perde gravità, non perde grandezza; che altramente ella discostare se ne dee e dilungare, quanto le basta a mantenersi in vago e gentile stato..

La lingua scritta è diversa da quella parlata

La tesi del Bembo

1.XVI. e viemmi talora in opinione di credere, che l'essere a questi tempi nato fiorentino, a ben volere fiorentino scrivere, non sia di molto vantaggio. Perciò che, oltre che naturalmente suole avenire, che le cose delle quali abondiamo sono da noi men care avute, onde voi toschi, del vostro parlare abondevoli, meno stima ne fate che noi non facciamo, sí aviene egli ancora che, perciò che voi ci nascete e crescete, a voi pare di saperlo abastanza, per la qual cosa non ne cercate altramente gli scrittori, a quello del popolaresco uso tenendovi, senza passar piú avanti, il quale nel vero non è mai cosí gentile, cosí vago, come sono le buone scritture. Ma gli altri, che toscani non sono, da' buoni libri la lingua apprendendo, l'apprendono vaga e gentile..

Anche il fiorentino, se naturale, è imperfetto

Tesi dei personaggi a confronto

Carlo Bembo: tesi di Pietro Bembo

Giuliano de’Medici: fiorentino in uso

Federigo Fregoso: tradizione del volgare

Ercole Strozzi: latino

La tesi del Bembo: una lingua da raffinatiLe prose della volgar lingua

Distinzione tra lingua della scrittura e lingua parlata

Eternità delle opere e piacevolezza

Elite di intellettuali come destinatari

Petrarca e Boccaccio come modelli

poiché le lingue mutano al trascorrere del tempo, quando si scrive è necessario avvicinarsi al linguaggio parlato per rendere i testi accessibili a tutti

La tesi del Bembo

Bembo propone tre modelli letterari1) Dante per la poesia epica, o narrativa.2) Petrarca per la poesia lirica.3) Boccaccio per la prosa d'arte.

E questa sua proposta è vincente.

Dante scompare come modello linguistico per la sua difficoltà e la inattualità dei suoi contenuti.Boccaccio non sostiene la concorrenza di Petrarca come modello artistico.In pratica, inizia il lungo periodo del petrarchismo.

Una lingua 'artificiale', colta, aristocratica e nobile

Nel frattempo, al di là delle Alpi

In Francia la nascita della monarchia nazionale (germe dello stato moderno) impone l'adozione del dialetto di Parigi in tutto il Regno francese, semplicemente scrivendo le leggi in questa lingua e vietandone la traduzione. La lingua del potere dall'alto.

Nei paesi tedeschi la Riforma di Lutero (sponsorizzata dai principi tedeschi) diffonde una lingua unitaria attraverso la traduzione della Bibbia, il sacerdozio universale e il libero esame.Una lingua potentemente sponsorizzata (un mix tra alto e basso tedesco, ricco di lemmi popolari).

Pausa e ricapitolazione

Fermiamoci un attimo e ricapitoliamo:

1) la lingua è in continua trasformazione e non è possibile congelarla2) la lingua è segno della nostra condizione di peccato (Dante)3) la lingua deriva da un latino corrotto (Bruni e Biondo)4) la lingua deve essere normata e:

4.1) viene dal basso (Calmeta, Machiavelli, Equicola, Trissino)4.2) sia come sia, basta che sia buona e che funzioni (Castiglione)4.3) deve essere lingua di cultura, scritta e, possibilmente, esemplata sui

grandi, Petrarca e Boccaccio. E' la scelta vincente del Bembo.

La conseguenza, in Italia, è che nel '500 ciascuno continuava a usare il dialetto imparato nella culla e solo sui libri e nei rapporti diplomatici si usava, bene o male, un monstrum linguistico e culturale che ormai aveva perso quasi ogni contatto con la natura della lingua viva.

Manzoni: lettera al Bonghi (link internet)

L'Ottocento romantico e nazionale

Sino al 1800 le lingue parlate e la lingua letteraria non ebbero alcun contatto

Nel 1800, con la nascita dei movimenti rivoluzionari e unitari il problema si ripresentò.

La posizione, prevalente ma non unica, fu quella manzoniana e romantica.

La lingua ora viene vista come espressione dello spirito di un popolo; ogni lingua — sostiene il massimo linguista dell’epoca, il tedesco Wilhelm von Humboldt (1767-1835) — è dotata di una “forma interna” corrispondente alla visione del mondo del popolo che la parla. Il linguaggio non nasce, secondo Humboldt, da un’esigenza pratica di comunicazione, ma è una spontanea emanazione dello spirito.

Ogni popolo è la lingua che parla e ogni lingua è spirito del popolo che la parla.

La sua posizione, come patriota e letterato, è riassumibile in pochi punti:1) una nazione esiste solo se ha una lingua unitaria2) la lingua deve essere patrimonio della classe dirigente, intendendo questa come vero e proprio strato sociale: la borghesia cittadina produttiva e colta3) la base per la lingua unitaria non può che essere il fiorentino, non quello classicista della tradizione bembesca e petrarchesca ma quello vivo che parlavano nella vita quotidiana le classi medie della Toscana fiorentina.

A questo proposito, oltre la visita a Firenze per la risciacquatura dei panni in Arno, Manzoni arrivò ad assumere una governante fiorentina, alla quale aveva dato l'incarico di compilare una rubrica, un semplice dizionario nel quale traduceva in fiorentino le parole di uso comune che non esistevano nella lingua letteraria e delle queli Manzoni aveva bisogno per comporre i Promessi Sposi.

Manzoni

Manzoni era lombardo di madrelingua ed aveva ottima conoscenza del francese come lingua di cultura. L'italiano letterario era la sua lingua scolastica e di studio.

Nel nostro paese, come spiegava Manzoni nelle lettere a Fauriel scritte prima dell’elaborazione dei Promessi sposi, la stessa conversazione fra italiani di regioni diverse non poteva svolgersi in modo spontaneo. Le uniche alternative all’uso dei dialetti erano rappresentate dalla lingua letteraria, del tutto astratta e convenzionale, lontanissima dal parlato, e perciò sentita come artificiosa e innaturale, oppure da una lingua straniera, il francese, frequentemente impiegato nei salotti letterari. Si ponevano dunque due problemi: quello di creare, a livello nazionale, una lingua di conversazione e d’uso comune e quello di una lingua letteraria meno lontana dall’uso.

Manzoni

La scelta vernacola della letteratura nell'800

A Manzoni, nella scelta della lingua letteraria peraltro, si opposero il milanese Porta e il romano Belli. Due grandi dialetti venivano scelti per una operazione di rottura nella stagnante letteratura italiana.

El sarà vera fors quell ch’el dis lu,che Milan l’è on paes che mett ingossa,che l’aria l’è malsana, umeda, grossa,e che nun Milanes semm turlurù.

Impunemanch però el mè sur Monsùhin tredes ann che osservi d’ona cossa,che quand lor sciori pienten chì in sta fossaquij benedetti verz no i spienten pù.

Per ressolv alla mej sta question,Monsù ch’el scusa, ma no poss de menche pregall a addattass a on paragon.

On asen mantegnuu semper de stobbia,s’el riva a mangiá biava e fava e femel tira giò scalzad fina in la grobbia.

...

El sarà vera fors quell ch'el dis lu

La rrivuluzzione der 31

Più cce se penza e mmeno se pô ignótte’,Ch’er zanto Padre ha dd’abbozzà, perdio!,Co’ sti porcacci fijji de miggnotte,Che lo tràtteno peggio d’un giudìo.

Stasse a mme a commannà, bbrutte marmotte!Ve vorrebbe fa’ vvéde’ chi sso’ io:’Na scommunica, e annateve a fa’ fótte’!Ma ste cose, si, pproprio a ttempo mio!

Sémo o nun zémo? Fa pparà dde neroLa cchiesa de San Pietro, indeggnamente;Metti le torce ggialle, chiama er crêro,

Furmina, come usava anticamente:E allora vederemo si ddaveroMòreno tutti cuanti d’accidente.

La scelta vernacola della letteratura nell'800

La lingua nazionale nella politica italiana

La via usata in Italia per imporre la lingua nazionale è fondamentalmente la via della legge: nella scuola di Stato da sempre c'è l'obbligo di uso della lingua 'manzoniana'.

Le numerose inchieste dei governi della Destra e della Sinistra rivelarono una diffusa resistenza dei maestri toscani, milanesi, torinesi, romani all'adozione di questa lingua 'straniera'. Ottimi risultati si riscontravano, invece, nei contesti linguistici più poveri o distanti dal toscano manzoniano: Sardegna e Sicilia, il meridione e le Alpi.

La lingua nazionale nella politica italiana

La vera strada per l'unificazione linguistica nazionale fu, però, quella della realtà extrascolastica.

La prima guerra mondiale, con un esercito formato da soldati meridionali che non capivano gli ordini degli ufficiali torinesi, costrinse ad un'integrazione forzata e veloce.

La politica autocelebrativa del fascismo, con le trasmissioni radiofoniche e l'uso del cinema diffuse una lingua finalmente e orgogliosamente nazionale. Il dialetto diventò per la prima volta una vergogna.

Dagli anni '60, con la diffusione della TV, venne dato l'ultimo assalto alla biodiversità linguistica.Gli speakers in TV (e radio) vengono sottoposti ancora oggi ad un esame di dizione durante il quale non devono commettere errori che possano tradire la loro provenienza regionale (anche se magari diranno baipàrtisan e ripeteranno in continuazione piuttosto che...)