La Storia del Calcio Napoli diventa un’opera d’Arte. Un ... · la narrazione dei campioni...

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La Storia del Calcio Napoli diventa un’opera d’Arte. Un Club e una città unite da un legame indissolubile e da una simbiosi eterna. Nasce così “Il Napoli nel Mito – Storie, Campioni e Trofei mai visti, in mostra al Mann” un evento unico e senza precedenti che porterà l’epopea della squadra azzurra in mostra al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, custode e depositario delle più alte espressioni di opere, sculture e bellezze architettoniche del nostro territorio, testimonianza dell’assoluto splendore artistico che risiede nel cuore di Napoli. Novantuno anni di una delle squadra più amate del mondo che si intrecciano in maniera itinerante con il panorama storico e culturale, scanditi all’evolversi epocale della nostra città. La storia del Club raccontata parallelamente al contesto sociale, in un percorso che rivela l’osmosi tra un popolo, la propria squadra e la propria terra. Il calcio a Napoli rappresenta lo stato d’animo di un’intera città”. E questo stato d’animo viene rappresentato attraverso la narrazione dei campioni azzurri, dei Trofei, dei cimeli, delle vittorie, dei momenti sportivi più salienti ed emozionanti, ma anche declinato dallo sguardo disincantato di un osservatorio scientifico, accademico e letterario che definisce i contorni didattici e divulgativi dello sport, impreziosendo il patrimonio evocativo e culturale del nostro mondo morale e sociale.

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La Storia del Calcio Napoli diventa un’opera d’Arte. Un Club e una città unite da un legame indissolubile e da una simbiosi eterna. Nasce così “Il Napoli nel Mito – Storie, Campioni e Trofei mai visti, in mostra al Mann” un evento unico e senza precedenti che porterà l’epopea della squadra azzurra in mostra al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, custode e depositario delle più alte espressioni di opere, sculture e bellezze architettoniche del nostro territorio, testimonianza dell’assoluto splendore artistico che risiede nel cuore di Napoli.

Novantuno anni di una delle squadra più amate del mondo che si intrecciano in maniera itinerante con il panorama storico e culturale, scanditi all’evolversi epocale della nostra città.

La storia del Club raccontata parallelamente al contesto sociale, in un percorso che rivela l’osmosi tra un popolo, la propria squadra e la propria terra.

“Il calcio a Napoli rappresenta lo stato d’animo di un’intera città”. E questo stato d’animo viene rappresentato attraverso la narrazione dei campioni azzurri, dei Trofei, dei cimeli, delle vittorie, dei momenti sportivi più salienti ed emozionanti, ma anche declinato dallo sguardo disincantato di un osservatorio scientifico, accademico e letterario che definisce i contorni didattici e divulgativi dello sport, impreziosendo il patrimonio evocativo e culturale del nostro mondo morale e sociale.

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Il Napoli nel Mito, questo il titolo della mostra nelle sale del MANN, dal 21 dicembre al 28 febbraio 2018, ideata e progettata da Alessandro Formisano, Head of Operations, Marketing and Sales; una mostra della SSC Napoli fortemente desiderata, per mostrare ai tifosi azzurri “memorie mai viste” nel solco di una consolidata strategia di marketing che da oltre dieci anni distingue il Napoli nel panorama competitivo del calcio europeo. Un primo appuntamento di un percorso espositivo in evoluzione che racconta alcuni personaggi e tappe fondamentali nella storia del club, ma che non esaurisce l’intero bagaglio di calciatori, campioni ed eventi che caratterizzano il Calcio Napoli, costituendo solo l’inizio di una narrazione che proseguirà in futuro.Un progetto appassionante, testardo, determinato a nascere a dispetto di ogni difficoltà, realizzato anche grazie alla capacità, alla sensibilità e alla lungimiranza “dell’illuminato” Paolo Giulierini, Direttore del MANN, a cui si deve l’enorme impulso che il prestigioso museo napoletano ha ricevuto in questi anni.”La mostra progettata dall’architetto

Andrea Mandara, con consulenza grafica di Francesca Pavese e testi di Serena Venditto, propone un percorso dall’età pionieristica del calcio a Napoli ai giorni nostri.

La storia del club viene ricostruita e raccontata attraverso i materiali e i cimeli di Momenti Azzurri: un’associazione nata nel luglio 2007 da un’idea di Dino Alinei e Giuseppe Montanino. I due professionisti, medico radiologo e ingegnere, appassionati tifosi e storici dello sport napoletano e del calcio in particolare, aprono alla città e agli sportivi il meraviglioso mondo delle loro collezioni private ricche di testimonianze di oltre un secolo di sport a Napoli e in Campania.

La Mostra si avvale anche delle preziosissime collaborazioni del mondo editoriale e giornalistico. La Rai, partner televisivo unico della mostra, ha fornito video e filmati storici che animano il percorso espositivo;

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il Corriere dello Sport, con Alessandro Vocalelli, Direttore Responsabile, Sergio Acciarino, Direttore Commerciale, e Antonio Giordano, giornalista, che ha fornito esclusivo materiale fotografico sulla squadra nel corso di tutta la sua storia e l’Archivio fotografico Carbone, che ha messo a disposizione il suo patrimonio di immagini storiche della città e della squadra.

Uno sguardo periferico ma profondo quello del Professor Guido Trombetti già Rettore dell’Università degli studi di Napoli Federico II, eminente matematico, gran tifoso del Napoli che ha dato un contributo sulle capacità didattiche della mostra verso un pubblico trasversale dai tifosi storici alle nuove generazioni che si affacciano con passione al mondo azzurro.

Vittorio Dini, filosofo, Università degli studi di Salerno e Oscar Nicolaus, psicologo, Università degli studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, hanno collaborato alle qualità narrative del percorso storico della mostra e alla raccolta di alcune citazioni significative riferite al calcio.

Il Napoli nel Mito. Dal 22 dicembre al MANN.

Novantuno anni di vita di una squadra e della propria città uniti da un filo emotivo indissolubile. Un evento senza precedenti e un appuntamento imperdibile per chi ogni giorno vive con Napoli nel cuore.

Storie, campioni e Trofei in una Mostra inedita e mai vista prima, nel contesto suggestivo e pregno di leggenda del Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Un Club, una squadra, una città, che intrecciano amore, cultura e passione in un abbraccio unico e universale. Perché il Mito di Napoli è la più grande opera d’arte che la nostra Storia possa regalare…

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La casa dei sognidi Antonio Giordano

Chissà com’erano i campi, all’epoca, se sapevano di polvere e caos, come ce li raccontavano i nonni, o rappresentavano (semplicemente) l’impasto del sogno? E certo che a guardarli nelle foto, o intrufolandosi con lo sguardo in quelle immagini bianco & nero che racchiudono il fascino nostalgico del vissuto, c’è il sospetto, neanche tanto vago, che nulla sia cambiato, che la distanza con il resto dell’universo calcistico sia rimasta immutata, forse persino dilatata: perché in quei giorni di tanti e tanti anni fa, c’era ben altro a cui pensare, tra gli echi delle guerre e gli effetti d’una crisi, tra la miseria post-bellica e la ricerca d’un futuro da scorgere tra le macerie e il rumore sordo di pallottole vaganti nella memoria. Però, che tenerezza: uomini accatastati ad inseguire una favola, a disegnarsi un microcosmo nel quale restare dentro, aggrappati alla dimensione onirica (ed a volte anestetizzante) del calcio, cappelli lanciati al vento e braccia agitate al cielo, in un intreccio che sa di magia. Ma certo, sono i luoghi della memoria, rappresentano la storia, e graffiano sulle pareti dell’anima d’una città baciata dagli dei che

va attraversata ripercorrendo, magicamente, un tragitto immaginifico che conduce dal Mandracchio al San Paolo e poi, lasciatevi andare, semmai nell’ignota galassia che apparterrà alle generazioni che verranno. Mandracchio è un suono buffo, sa d’epica o d’ironia, forse d’iperbole cinematografica, ma è stata un’arena, un anfiteatro di quel calcio rugoso ch’è andato in scena (praticamente) tra via Cristoforo Colombo, via De Pretis e via De Gasperi, un pallone ch’è rotolato poi nel traffico.... Ma prima che s’arrivasse al San Paolo, imponente e cattedratico, un santuario moderno (nel 59’) poi sfregiato del suo passato, il calcio s’è lasciato andare dolcemente, od ossessivamente, tra Agnano e Bagnoli Ilva, l’Open Air e l’Ascarelli, il Littorio, l’Arenaccia e l’Orto Botanico e ancora il Vomero, come se fosse stampato nei versi di Starnone o facesse da sfondo appassionato all’universo di un’amica geniale, il Napoli, ch’è una squadra, una dolce, vecchia donzella che ha bisogno d’una casa, d’uno stadio che non la facesse sentire distante dal Mondo. Chissà come sarà il San Paolo che verrà, semmai verrà?

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La suggestione del tifo tocca l’apice quando c’è di mezzo la Juventus. La rivalità è storica, in parte è calcistica, in altra parte è politica, sociale. Napoli l’ha sempre vissuto come momento di rivalsa, questo confronto. Negli anni di Diego Maradona, quelli dei due scudetti e della coppa Uefa, l’esaltazione ha raggiunto livelli intensi, è stato il trionfo del sud contro il nord, del meridione pigro, socialmente disagiato, contro il settentrione impegnato nel produrre e nel tenere alta l’economia del Paese. In quegli anni, il napoletano s’è sentito importante, talvolta al centro del mondo. E per una volta non per questioni di cronaca nera, ma soltanto per uno scudetto, il primo, vinto dopo stagioni di attese e umiliazioni.Trent’anni dopo, nulla è cambiato sul piano della rivalità, ma della competizione si. Il progetto di Aurelio De Laurentiis è in continuo progresso e, oggi, Napoli è una delle realtà del calcio europeo insieme alla Juventus. Una crescita costante, che l’ha reso esempio da seguire sia come gestione societaria sia come questione tecnica.

Nonostante la storica rivalità, Napoli e Juventus hanno concluso diversi affari. Nell’estate 1965, alla stazione di Mergellina, 5.000 napoletani accolsero Omar Sivori che lasciò la società bianconera per problemi d’incompatibilità con l’allora allenatore, Heriberto Herrera. Con lui, arrivò anche José Altafini, dal Milan, nel suo momento migliore. I due hanno infiammato la passione napoletana, ma lo scudetto è arrivato soltanto 22 anni dopo. Sull’asse Napoli-Torino, invece, le operazioni concluse sono state dettate dalla necessità di fare cassa. Corrado Ferlaino, il presidente di quegli affari, dovette cedere Dino Zoff e José Altafini alla Juventus, nell’estate 1972, per sistemare i conti, così come fu necessario vendere Ciro Ferrara, in anni diversi, per lo stesso motivo. L’ultimo passaggio, in ordine di tempo, è stato quello di Gonzalo Higuain, imposto dalla clausola rescissoria. Un affare da 90 milioni di euro che ha riempito le casse del club, ma ha deluso i milioni di tifosi nel mondo che avevano trovato nel Pipita il campione che avrebbe potuto interrompere l’egemonia bianconera.

La sfida infinita tra rivalità e affaridi Mimmo Malfitano

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Il papà del Napoli moderno, nato il 1° agosto 1926, fu un trentaduenne imprenditore mecenate, amante delle arti e del calcio. Grande e sfortunato, Giorgio Ascarelli morì per peritonite sette mesi dopo aver regalato alla città lo stadio Vesuvio, edificato in meno di un anno. Primo di 24 presidenti azzurri, l’unico per ora ad aver costruito un impianto di proprietà. Pur essendo a capo di una flotta navale, Achille Lauro, ‘O Comandante, fu sempre oculato negli investimenti nei trent’anni in cui, anche dietro le quinte, si occupò del club. Sindaco monarchico di Napoli, fu decisivo per l’acquisto di Omar Sivori per la squadra presieduta da Roberto Fiore, garantendo a Gianni Agnelli l’acquisto di motori Fiat per le sue navi se la Juve avesse ceduto il campione. A distanza di anni, Fiore avrebbe confidato il tentativo di prendere anche Pelé. A Napoli sarebbe arrivato nel 1984 l’altro re del calcio, Diego Armando Maradona, il più bel colpo nelle 33 stagioni del presidente Corrado Ferlaino.

Questa operazione avrebbe aperto la strada ai due scudetti e alla Coppa Uefa. Vittorie con Maradona, non solo di Maradona, perché c’era una squadra forte, che però nel tempo sarebbe stata schiacciata dalla crisi economica, culminata nel fallimento del 2004. Da quel dramma sportivo il Napoli è rifiorito. Con Aurelio De Laurentiis, uomo del cinema e del fare, che prese per mano quel Simbolo come fosse una creatura smarrita. La sua intuizione fu l’inizio del progetto che ha riportato il Napoli ai vertici nazionali e in Champions League attraverso grandi tecnici e calciatori, risvegliando l’orgoglio della comunità azzurra.

I Presidenti di Francesco De Luca

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Più le donne sono nel pallone, più gli uomini sono forti con il pallone. La metafora non sembri troppo fantasiosa, la storia del calcio a Napoli insegna che il gentil (ma non troppo) sesso ha avuto ed ha la sua influenza specifica nelle sorti sportive e non di un calciatore che vince trofei. Spesso dietro a un grande campione c’è una donna che gli dona serenità, gioia ma anche forza e convinzione in quello che fa. Il Pibe dei momenti migliori corre a Buenos Aires a sposare Claudia Villafane, la squadra era entrata nella storia con il primo scudetto e, quasi tutta, non mancò all’appuntamento più sfarzoso dell’anno. La storia lega la nascita delle due figlie Dalma e Giannina al periodo migliore del club, che poi inizia il suo percorso in discesa con i guai giudiziari dell’asso argentino. Maradona è il caso che può fare scuola ma poi la storia ci dice che Lavezzi interrompe il feeling con la città quando la sua compagna Yanina subisce una rapina sulla collina di Posillipo e Cavani resta un bel po’ di giornate

a secco di gol quando il matrimonio con Maria Soledad naufraga. Il matador lascia dopo tre anni meravigliosi in maglia azzurra, sua moglie resta a vivere nella nostra città. Ecco che Napoli rappresenta scelte di vita e in qualche caso moniti precisi e puntuali conferme. I giorni nostri: l’ex modella spagnola Yolanda Reina ha voluto tornare a Napoli dopo che il percorso professionale del portiere azzurro sembrava essere lontano. “Non si muove foglia... che donna non voglia”, parafrasando un vecchio proverbio. Il calcio è sì talento ma anche mente e cuore, forza delle donne. Che in questa città sono spesso ago della bilancia del destino sportivo dei campioni del campo. Ma anche testimonial di una metropoli più vivibile. “Vedi Napoli e poi muori”, si dice. “Ma vivi Napoli nella maniera migliore”, sentenziò la signora Mertens, altra lady di ferro e arbitro dei successi del bomber azzurro.

Il Napoli per le donnedi Monica Scozzafava

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Fu la radiocronaca di Enrico Ameri, il 10 gennaio 1960, a tenere a battesimo il Napoli on-air. La prima storica puntata di “Tutto il calcio minuto per minuto”. Bologna-Napoli terminò 4 a 1 per i padroni di casa ma quella domenica restò impressa nella memoria collettiva per un altro motivo: per la prima volta le partite di calcio valicavano i confini del campo di gioco raggiungendo, in diretta, una platea molto più vasta di quella contenuta nello stadio. Una vera e propria rivoluzione nelle abitudini degli italiani, probabilmente il primo mattone nella costruzione dell’”industria calcio”. Lo stadio San Paolo era stato inaugurato da poche settimane, il 6 dicembre 1959 contro la Juventus, vittoria del Napoli per 2 a 1 con i gol di Vitali e Vinicio; Aurelio De Laurentiis aveva 10 anni, certamente non immaginava lontanamente che molti anni dopo,

oltre a diventare presidente del Napoli sarebbe stato anche il primo a tratteggiare i contorni dello “stadio virtuale”, un’intuizione che ha trovato la definizione più chiara e fruibile nel nuovo millennio con l’evoluzione dei mezzi di comunicazione.

Lo sviluppo della televisione, gli investimenti nella tecnologia satellitare e il passaggio dall’analogico al digitale hanno rappresentato una vera e propria rivoluzione in grado di soddisfare le esigenze degli appassionati. Fino agli anni novanta infatti le partite in tv erano solo “in differita”, la messa in onda della sintesi di un tempo della gara in coda a ‘novantesimo minuto’. Per ammirare il talento di Diego Armando Maradona insomma o si andava a Fuorigrotta oppure bisognava accontentarsi dei ‘riflessi filmati’ la domenica pomeriggio. Oggi invece i tifosi hanno a disposizione decine di canali in HD che trasmettono tutte le gare di campionato in contemporanea.

Calcio e tv: antica passione, nuovi orizzontidi Massimo Ugolini

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Lo “stadio virtuale” profetizzato da De Laurentiis prese forma nella gara di Intertoto con il Panionios nell’agosto del 2008, prima partita in pay-per-view della storia azzurra. Una realtà ormai consolidata negli anni che ha ancora grandi margini di espansione pensando allo sviluppo della tecnologia della rete mobile attraverso internet.

L’avvento del digitale, oltre a cambiare l’offerta e la modalità di visione, ha contaminato anche il processo naturale di trasformazione del linguaggio televisivo. “È un mostro!!”(Cavani); “...Non lo fermano più..”(Lavezzi);”...ha segnato con la cresta!...”(Hamsik); le telecronache trasformate, modificate, condizionate anche dalla enorme massa di statistiche e dati a disposizione in tempo reale. Possesso palla, clean sheet, tiri nello specchio, superiorità territoriale, spaziature, densità.

Un altro mondo rispetto alle prime radiocronache, eppure il denominatore comune nonostante il trascorrere del tempo e i cambiamenti è sempre lo stesso: la passione di milioni di tifosi. Immutato è rimasto il fascino della partita vissuta dal vivo, allo stadio, benché il processo di modernizzazione dei nostri impianti non riesca a tenere il passo della crescita dei mezzi di comunicazione. Un aspetto negativo, contrariamente a quanto si possa pensare, anche per i media in quanto non è immaginabile raccontare la partita dentro uno stadio semivuoto, senza il calore dei tifosi. Toglierebbe alla sceneggiatura uno degli attori principali. Come vedere in tv il concerto del primo dell’anno privato della platea che riempie il Musikverein di Vienna oppure la prima della Scala senza il coinvolgimento appassionato del loggione. Come guardare Lorenzo Insigne correre a braccia alzate verso una curva vuota. ”Scusa Ameri, intervengo dal San Paolo: ha segnato il Napoli”.

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C’è un motivo per cui questa è l’unica grande città che ha una squadra sola. C’è una precisa ragione per cui qui non esiste una stracittadina, per cui non ci sono due fazioni contrapposte che hanno colori diversi sullo stesso territorio. C’è un perché se qui la mattina, quando si entra in un bar o in un ufficio, non c’è alcun bisogno di capire prima di esprimersi quale sia il pensiero dominante, quali emozioni siano privilegiate e quali soppresse. In questa città, e solo qui, non c’è da discutere e se si litiga è perché sono tante le maniere di amare; criticando e stigmatizzando o giustificando e proteggendo, come si fa con i figli, come si fa con le sofferenze d’amore. Qui tutti i cuori battono all’unisono, e se le cose vanno bene ci si sorriderà senza apparente ragione incrociandosi negli ascensori o negli androni dei palazzi, alle casse dei supermercati o nella metropolitana; se invece vanno male ci si perdoneranno le scortesie e le eccessive reazioni, perché il malumore altrui si specchierà nel nostro senza differenze.

E non è solo una questione urbana. Se vi metterete in viaggio, in giro per il mondo, ci sarà sempre qualcuno nella massa che vi riconoscerà e che voi riconoscerete, con un consapevole mezzo sorriso, perché il tifo per l’unica squadra della città è una malattia genetica che si contrae al primo respiro e così si trasmette, e la seconda e la terza generazione delle famiglie che sono andate via, che pure non hanno mai visto e forse mai vedranno la montagna a due vette e il golfo davanti, avranno una sola domanda da fare ogni domenica sera e ogni volta che si giocherà, e chiederanno il risultato dell’unica squadra della città.

C’è un motivo per cui c’è una squadra sola, in questa città. Il motivo è che la squadra è azzurra, come la città. E che le assomiglia, nel bene e nel male, nelle vittorie e nelle sconfitte, nelle cadute e nelle risurrezioni. E un’altra squadra a questa città non serve, e non servirà mai.

Azzurro nell’azzurrodi Maurizio de Giovanni

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La storia è ricordo, è memoria, è presenza costante, incancellabile. E’ racconto senza pause, da quando comincia la vita di un club e fino al fischio di chiusura dell’ultima partita. Aspettando che ne cominci una nuova, per rivivere da capo tutte quante le emozioni, indescrivibili e irripetibili. I volti si sovrappongono nell’album dei ricordi, in quella passione sconfinata e conosciuta come “gioco del calcio”, in quel macrocosmo magico chiamato Napoli. Una società sportiva, ma soprattutto una squadra che ha collezionato in quasi 100 anni nomi e storie, poi tramandate di generazione in generazione, attraverso l’eredità cognitiva di chi ha visto, di chi ha letto oppure ha sentito. Indirettamente, ascoltando i particolari da tifosi che hanno avuto la fortuna di esserci quando giocavano quei calciatori che ci rammarichiamo di non aver vissuto come nostri contemporanei. Ma anche direttamente, grazie a racconti diventati epici con le voci gracchianti e familiari di radiocronisti, prima, e telecronisti poi.

Un gol, una parata, un difensore che evita una segnatura: diventa complicato distinguere periodi, azioni e formazioni dagli anni Quaranta ad oggi. Ma che fa, tanto per i tifosi, i calciatori sono come figli, fratelli, parenti stretti e diventa complicato etichettare quelli più bravi diversamente da quelli meno dotati. Nel cuore di chi tifa, ognuno dei beniamini occupa la stessa posizione, anche se qualcuno fa battere il cuore più di altri. E le partite si incrociano, in un gioco della passione che ti catapulta in una gara infinita, con una formazione smisurata, nella quale infilare epoche e calciatori che avrebbero potuto giocare insieme, se solo fossero vissuti nello stesso periodo. Sai che sfizio assistere, magari raccontare, un match con Naim Krieziu e Lorenzo Insigne. Ala destra veloce e potente, l’albanese del Napoli anni Quaranta, correva i 100 metri in 11 secondi netti. E tirava forte con entrambi i piedi, la “freccia di Tirana”,

Mille volti azzurri per un solo racconto: il Napoli di Raffaele Auriemma

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acquistato nel 1947 per 18 milioni di lire. Si sarebbe divertito con il Magnifico, prodotto della cantera di De Laurentiis, che avrebbe buttato l’occhio sul lato destro per quel proverbiale traversone a scavalcare, che avrebbe permesso a Krieziu di segnare come oggi fa Callejon. Un’alternativa per Dries Mertens? Avrebbe fatto comodo Luis Vinicio, visionato e poi preso nell’estate del 1955 dai dirigenti di quel Napoli, durante una tournée in Europa del Botafogo, per affiancarlo ad Amadei, Jeppson e Pesaola. ‘O lione avrebbe ruggito anche adesso, nel 4-3-3 di Sarri, oppure nel “piano B” identificato con il 4-2-3-1. Poteva essere lui l’arma letale per battere la Juventus di Allegri, proprio come fece il 6 dicembre 1959, quando inaugurò il San Paolo con un gol in acrobazia per quel 2-1 sulla Vecchia Signora. Nella narrazione infinita della storia azzurra non sono solo i gol segnati a fare la differenza, ci sono anche le difese arcigne. Dino Panzanato era un baluardo negli anni Sessanta, un veneziano dotato di una ricca dose di “cazzimma” partenopea

e col sangue agli occhi quando spuntavano le maglie bianconere. Oggi sarebbe stato colorito ed appassionato il commento a quella rissa che l’1 dicembre 1968 gli procurò l’espulsione e una squalifica record di 9 giornate. Anche Omar Sivori partecipò a quella zuffa costatagli 6 turni di stop e l’addio definitivo al calcio giocato. “Genio assoluto, esplosione anarchica”, il commento al talento dell’argentino che con il brasiliano Josè Altafini avvicinò il Napoli per la prima volta allo scudetto. Li avesse avuti Luis Vinicio, da allenatore del Napoli a metà anni Settanta, probabilmente il tricolore sarebbe arrivato. La regia di Antonio Juliano si sarebbe illuminata come un riflettore con quei due bomber di razza. Totonno era un “napoletano atipico”, capitano a soli 23 anni e con il pregio di aver alzato la prima Coppa Italia del Club a soli 20 anni. Poi ne vinse un’altra nel 1976 e non avrebbe sfigurato nemmeno in quelle portate a casa nel 2012 e nel 2014. Con quanta maestria avrebbe coordinato i movimenti di Marek Hamsik, un “napoletano” nato per caso in Slovacchia,

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ed Edinson Cavani, titolare della media-gol mai raggiunta in maglia azzurra: 104 reti in tre stagioni. “Campioni d’Italia” avrebbe voluto urlare, felice e sudato Juliano. E ci sarebbe riuscito se nel 1974-75 il Napoli avesse più di una partita in trasferta, a Varese nell’ultima giornata, per quei soli 2 punti di differenza dalla solita Juventus. Una soddisfazione che è riuscito a prendersi Giuseppe Bruscolotti, nel 1987, detentore del record di presenze in maglia azzurra (511 in 16 stagioni) e che aveva in precedenza sfiorato il titolo di campione d’Italia con Rudy Krol al suo fianco in difesa. Era il 1980, era l’alba di una nuova epoca, fatta di qualità ed esperienza internazionale, per condurre un Napoli tecnicamente modesto ad un terzo posto che valeva lo scudetto. Il “tulipano volante” dettò legge fino all’estate del 1984, per poi arrendersi all’usura di quel menisco che lo costrinse a dire basta, e consegnare la “sua” squadra nelle mani di Maradona. Il “re” che avrebbe reso vincente il Napoli di tutte le epoche, quelle passate e quelle ancora da venire. La telecamera si oscura, il microfono si spegne. Aspettando il prossimo fischio di inizio.

Il Napoli e le vittorie di Valter De Maggio

Il gusto della vittoria ha un sapore speciale, alzare trofei regala emozioni stupende, istantanee che rimangono impresse nella memoria. Nell’era targata Aurelio De Laurentiis, il Napoli c’è riuscito tre volte. Due i successi in Coppa Italia ed uno in Supercoppa Italiana. 20 maggio del 2012. La prima volta non si scorda mai, 20 maggio 2012. È il Napoli di Walter Mazzarri, scenario del trionfo lo Stadio Olimpico di Roma. C’è voglia di scrivere la storia. La sinfonia calcistica viene affidata ai tre tenori azzurri, Hamsik, Lavezzi e Cavani. Di fronte la Juventus di Antonio Conte. Un Napoli perfetto, straripante fin dai primi minuti. Finisce 2-0. La decidono Cavani dal dischetto e Marekiaro Hamsik. L’urlo del popolo azzurro è da brividi. La festa può cominciare. Emozioni indescrivibili quando Paolo Cannavaro, napoletano doc, alza la Coppa sulle note di ‘Osurdato ‘nnammorato. Tripudio. E al ritorno a Napoli, la stazione centrale è un oceano colorato d’ azzurro .

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Finisce con il risultato di 1-1 al 90’ si va ai supplementari. Juve ancora avanti con Tevez, ma all’ultimo respiro arriva il pareggio del Pipita. Si va ai rigori. Si vivono emozioni che solo il calcio sa regalare. Sequenza di penalty per cuori forti. Protagonisti i due portieri Buffon e Rafael. L’ultima sequenza ad oltranza. Koulibaly gol. Padoin parato. Rafael è l’eroe di Doha. Ed è ancora festa. La notte di Doha resterà per sempre nei nostri cuori.

Sempre all’Olimpico di Roma, arriva la seconda vittoria. Finale di Coppa Italia. Questa volta l’avversaria è la Fiorentina di Cesare Prandelli. Il Presidente Aurelio De Laurentiis ha scelto Rafa Benitez per il dopo Mazzarri. Vince ancora Napoli, ma perde il calcio. E’ una gioia a metà, e niente festa questa volta. E’ una notte difficile, prima della gara si verificano incidenti all’esterno dello stadio. Nella gara protagonista assoluto è Lorenzo Insigne con una doppietta da urlo, poi i gol di Mertens e Vargas. Finisce 3-1 per il Napoli. Tocca al capitano azzurro Marek Hamsik alzare la coppa. Non c’è due senza tre. La terza vittoria arriva in Qatar, nella notte di Doha. Il Napoli si aggiudica la Supercoppa Italiana. L’ avversaria è ancora una volta la Juventus.È il regalo di Natale di Aurelio De Laurentiis ai tifosi del Napoli. Un Natale dolcissimo per i figli del Vesuvio, 22 dicembre 2014. I grandi protagonisti della sfida sono due argentini, Tevez ed Higuain.

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La mostra Il Napoli nel mito si articola in tre sale al pianterreno del Museo Archeologico Nazionale di Napoli dove sono situate sette stazioni che corrispondono ad altrettanti periodi cronologici, e permette un percorso attraverso i momenti più significativi della storia della squadra e della città. Un vero e proprio viaggio nel tempo che ha inizio nei primi del Novecento, dal «Napoli prima del Napoli» dell’età pionieristica del calcio in città, ad Achille Lauro, dal Napoli Boom degli anni ’60 a Ferlaino, dagli scudetti e le coppe dell’epoca di Maradona negli anni ’80, ai trofei conquistati nell’era De Laurentiis.

La storia di una squadra e di una tifoseria è raccontata attraverso magliette, palloni, giornali, figurine, album, biglietti, cimeli rarissimi, oggetti incredibili e trofei mai esposti, ma anche con filmati introvabili e fotografie d’epoca che consentono di rivivere e ricordare le gesta dei campioni che hanno fatto grande il Napoli, da Attila Sallustro a Marek Hamsik. E il resto della storia è ancora tutto da scrivere!

Il Napoli nel mitoStorie, campioni e trofei mai visti in mostra al MANNdi Serena Venditto

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