La sinistra di Tsipras e quella del futuro

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|24| La sinistra di Tsipras e quella del futuro di Matteo Pucciarelli Giornalista de “La Repubblica” e collaboratore di “Micromega”, autore del libro Tsipras chi? , con Giacomo Russo Spena Il voto dello scorso 25 maggio visto da sinistra – da tutto ciò che con grande difficoltà vive a sinistra del Pd – ha del mira- coloso. Viste le premesse e visto il contesto. Le premesse era- no queste: un cartello elettorale, la solita accozzaglia di sigle, di ego spropositati e di grande generosità della base, messo insieme a pochi mesi dal voto, con un nuovo nome, un nuovo simbolo e un riferimento ad un leader sconosciuto ai più. Una unità forzata e forzosa, con una campagna elettorale svolta in molti casi per compartimenti stagni: Sel in funzione dei can- didati di Sel, il Prc in funzione dei candidati del Prc, i movi- menti con i movimenti. Il contesto, poi: mediaticamente nulli o poco più, oscurati dalla sfida a tre, cioè Matteo Renzi contro Beppe Grillo contro Silvio Berlusconi. Spazio per altre idee, zero. Superare il quorum del 4 per cento era un compito dif- ficilissimo, quindi. Lo si è superato di pochissimo, e dal punto di vista psicologico – abituati ormai a esperienze fallimentari in tema elettoralistico, di consenso – il successo (occorre riba- dirlo) è stato enorme. A maggior ragione se il campo larghis- simo della sinistra-centrosinistra aveva a fianco dell’Altra Eu- ropa con Tsipras un Pd schiacciasassi al 40 e oltre per cento. Il Pd di Walter Veltroni prosciugò l’elettorato della sinistra radi- cale con molto meno, con il 33 per cento. Lo spazio quindi c’è.

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Il contributo di Matteo Pucciarelli nel quinto numero della rivista Firenze Dispari, "Che sinistra?"

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La sinistra di Tsipras e quella del futuro

di Matteo Pucciarelli

Giornalista de “La Repubblica”

e collaboratore di “Micromega”,

autore del libro Tsipras chi?,

con Giacomo Russo Spena

Il voto dello scorso 25 maggio visto da sinistra – da tutto ciò che con grande difficoltà vive a sinistra del Pd – ha del mira-coloso. Viste le premesse e visto il contesto. Le premesse era-no queste: un cartello elettorale, la solita accozzaglia di sigle, di ego spropositati e di grande generosità della base, messo insieme a pochi mesi dal voto, con un nuovo nome, un nuovo simbolo e un riferimento ad un leader sconosciuto ai più. Una unità forzata e forzosa, con una campagna elettorale svolta in molti casi per compartimenti stagni: Sel in funzione dei can-didati di Sel, il Prc in funzione dei candidati del Prc, i movi-menti con i movimenti. Il contesto, poi: mediaticamente nulli o poco più, oscurati dalla sfida a tre, cioè Matteo Renzi contro Beppe Grillo contro Silvio Berlusconi. Spazio per altre idee, zero. Superare il quorum del 4 per cento era un compito dif-ficilissimo, quindi. Lo si è superato di pochissimo, e dal punto di vista psicologico – abituati ormai a esperienze fallimentari in tema elettoralistico, di consenso – il successo (occorre riba-dirlo) è stato enorme. A maggior ragione se il campo larghis-simo della sinistra-centrosinistra aveva a fianco dell’Altra Eu-ropa con Tsipras un Pd schiacciasassi al 40 e oltre per cento. Il Pd di Walter Veltroni prosciugò l’elettorato della sinistra radi-cale con molto meno, con il 33 per cento. Lo spazio quindi c’è.

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La possibilità di occupare stabilmente un’area politica esiste, a patto che quel 4 per cento sia considerato un buon punto di partenza e non il punto di arrivo. Il quorum non per eleggere qualche europarlamentare, ma per dare forza e fiducia a un progetto di aggregazione di sinistra. La questione di fondo, il nodo politico mai chiarito e che adesso però dovrà sbrogliato una volta per tutte, è questo: quale sinistra? Con quali idee? E quali obiettivi? Quali ambizioni? Per onore della cronaca, bisogna aggiungere che il momento di piccola soddisfazione post elettorale, è durato un battito di ali. Il sadomasochismo della sinistra ha prevalso su ogni logica, come ormai pessima tradizione. La virata di Barbara Spinelli (candidata di bandie-ra ma che subito dopo il voto ha cambiato idea e ha deciso di andare a Bruxelles a scapito del candidato di Sel, Marco Fur-faro) ha messo e sta mettendo a forte rischio la già labilissima intesa di massima tra forze diversissime tra loro. Ma è inutile aggiungere veleno e rabbia al dibattito. Piuttosto si può impa-rare una lezione, che poi è quella di sempre e che la sinistra ignora ogni volta: i processi di aggregazione a 3-4 mesi dal voto non funzionano mai né potranno funzionare in futu-ro. Perché davanti alla prova elettorale si deroga sulle regole, sui metodi, si sorvola davanti ai nodi di fondo e non si fanno i conti con la propria coscienza (politica). Come la sbornia per dimenticare, finito l’effetto i problemi restano tutti lì. E inve-ce di risolverli hai perso altro tempo.

La sinistra non è un accrocchio di sigle né un simbolo sul quale mettere una croce, né il salvatore della patria di turno che deve spiegarti come si fa a superare un quorum. Allora, per una volta, smaltita la delusione: la speranza è che soprat-tutto la nuova generazione, che ha tempo ed energie davanti a sé, abbia la forza e il coraggio di concepire e mettere al mondo la sinistra che ha in mente - ambiziosa e coerente, nelle prati-che e nelle idee. L’essersi ispirati ad Alexis Tsipras e alla greca

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Syriza è un ottimo punto di partenza per immaginare un per-corso possibile. Come ha fatto un partito (anzi, una coalizione, la “Coalizione della sinistra radicale”) del 4 per cento a diven-tare il primo partito della Grecia? Tanti fattori diversi tra lo-ro, insieme ovviamente alla gravità degli effetti della crisi che hanno colpito il Paese, piegato dalle misure di austerità impo-ste dalla cosiddetta Troika. Ma sul piano strettamente politico, Syriza si è mossa su un piano di aperta e netta ostilità rispetto ad un centrosinistra (incarnato dal Pasok, il partito socialista) che da almeno quindici anni aveva abbracciato le teorie neo-liberiste in chiave blariana in campo economico, con in più l’aggravante dell’occupazione sistematica del potere con siste-ma clientelari e corruzione. Unità della sinistra, poi: sigle poli-tiche lontane tra loro (dai socialisti di sinistra ai trozkisti, dagli ecologisti ai comunisti) riunite dentro una coalizione. Aper-tura ai movimenti, anche quelli più radicali, alle lotte territo-

L’ambizione di imporre idee

e contenuti di sinistra, offrirli con radicalità

ma con linguaggi e pratiche nuove al popolo

che la sinistra in questi anni ha perso:

nei quartieri popolari, nei posti di lavoro,

tra i disoccupati e gli studenti

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riali, aiuti diretti alla popolazione con apertura di ambulatori sociali e l’organizzazione di mercati popolari. Rinnovamento non solo generazionale ma anche nel linguaggio: Tsipras è l’al-fiere di una nuova sinistra che pesca soprattutto tra l’elettorato giovanile, che si fa carico della salvaguardia non solo dei “ga-rantiti” ma pure dei nuovi poveri, cioè una generazione senza lavoro né futuro. Non all’insegna di un “riformismo al ribas-so” (togliere ai padri per dare ai figli) ma di un capovolgimento del discorso politico e culturale: l’impegno per la costruzione di un altro sistema di valori, di etica, di redistribuzione del-le risorse. Occorre tempo e impegno per creare un soggetto della sinistra che possa crescere e mettere davvero radici nel-la società. Ma il tempo non può non essere è questo. E servo-no determinazione, coerenza, umiltà e soprattutto ambizione. L’ambizione di non essere relegati al minoritarismo né alla te-stimonianza. L’ambizione di imporre idee e contenuti di sini-stra, offrirli con radicalità ma con linguaggi e pratiche nuove al popolo che la sinistra in questi anni ha perso: nei quartie-ri popolari, nei posti di lavoro, tra i disoccupati e gli studen-ti. Una sinistra autonoma al 10-15 per cento non è utopia, ma un obiettivo alla portata: basta vedere le percentuali raggiunte dalla lista nelle grandi città e in quei soli tre mesi di campagna elettorale. C’è un grande mondo fuori dal piccolo recinto delle mille e litigiose sigle della sinistra, ognuna gelosa del proprio orticello. Un mondo che parla e impone lo stesso linguaggio in politica: flessibilità, competizione, prodotto interno lordo, rigore, responsabilità, crescita, privatizzazione, valorizzazio-ne. Chi pensa che contino “prima le persone”, che l’economia sia al servizio della politica e non il contrario, chi non tratta i problemi con i numeri ma guarda alla vita, alle singole vite di ognuno, può e anzi deve trovare uno spazio di confronto co-mune. Dove le differenze e le biografie non siano un macigno al collo ma una ricchezza condivisa.

La sinistra di Tsipras

e quella del futuro