LA SIGNORINA GIULIA (estratto)

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Un dramma naturalistico di J.A. Strindberg. Nuova traduzione con testo svedese a fronte. MiMiSol Edizioni

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Supervisione di Jørgen Stender Clausen, docente di Lingue e Letterature Nordiche.

Traduzione di Massimiliano Barzotti, Petronilla Bonavita, Serena Borsello, Sara Bottosso, Gherardo Giannarelli, Andrea Giuliano, Scila Lupi, Cristina Berti Nardi, Massimiliano Rossi, Alessandra Toschi.

Consulenza linguistica di Cristina Berti Nardi.

Redazione di Scila Lupi.

Coordinamento di Andrea Giuliano e Gherardo Giannarelli.

La traduzione del testo è stata possibile grazie al contributo della Sezione di Lingue e Letterature Nordiche – Dipartimento di Linguistica – Università di Pisa.

La pubblicazione del volume è stata promossa e sostenuta da gruppo8febbraio teatro, Venezia – [email protected]

Progetto grafico-editoriale: Mirko Visentin. In copertina: elaborazione fotografica da bozzetto scenografico di Enrico Fabris.

© 2006 by MiMiSol Edizioni di Mirko Visentin www.mirkovise.net/mimisol

ISBN-10: 88-89981-04-0 ISBN-13: 978-88-89981-04-7

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FRÖKEN JULIELA SIGNORINAGIULIA Un dramma natural is t ico di

Nuova traduzione con testo svedese a frontea cura del Gruppo di traduzione di Lingue e Letterature Nordiche,Sezione di Linguistica, Università di Pisa.

Prefazione di Paolo Puppa.

• gruppo8febbraio teatro

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FRÖKEN JULIE, ANCHE OGGIdi Paolo Puppa

Thomas Mann a un suo ammiratore che gli scriveva, a proposi-to di Tonio Kroger, di invidiarlo per tutte le grandi esperienze at-traversate prima di scrivere quel meraviglioso racconto risponde sobriamente che il romanzo, di fatto ogni opera letteraria, è solo l’autobiografia del possibile. Per Strindberg è l’esatto contrario. Ogni suo testo costituisce in realtà l’autobiografia reale. O meglio, tutta la sua molteplice produzione, persino quella scientifica-alche-mica, tratta di un lungo diario esibito in pubblico, alla ricerca co-stante dello scandalo e della provocazione. Mon coeur mis à nu, si potrebbe dire di lui, parafrasando il poeta. Anzi, la sua intera esistenza subisce l’influsso della scrittura, così che i fantasmi creati dalla sua fantasia finiscono per condizionarlo nei rapporti concreti e privati. Incubi e paranoie circondano la sua vita, levandosi e concretizzandosi dalla pagina. E tra i tanti generi praticati dallo scrittore svedese, il teatro è certo lo strumento più pericoloso, il miraggio più convincente.

Misogino e tre volte sposato, August cova verso l’altro sesso pul-sioni contraddittorie. Per Siri, la prima vittima della sua devastante, onnivora capacità seduttrice, per la angelicante e nobile donna da lui convinta a seguirlo lasciando marito e prole, Strindberg co-struisce quale omaggio paradossale una serie di copioni teatrali, di autodifese deliranti, di romanzi famigliari, di opportunità di pal-coscenico. Perché la signora, di origine finlandese, si sogna attri-ce e vagheggia per sé unioni artistiche e libertà radicali. E il tutto inframmezzato da viaggi all’estero, gravidanze in serie, scontri e riappacificazioni, processi e querele, accuse infamanti e rancori aggressivi, di modo che la creatura finisce per coincidere con al-cuni personaggi teatrali, dalla Bertha di Predatori alla Laura del Padre a questa derelitta Julie. E si pensi, in una simile, bizzarra e stressante osmosi tra scena intima e ribalta, che nel 1889 La signo-rina Julie, concepita l’anno prima, debutta a Copenaghen in una

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recita, a causa della censura, privata, incarnandosi in Siri, che due anni dopo alfine otterrà il divorzio.

La relazione colla prima moglie di questo Barbablù, sadico e masochista tormentatore degli altri, in primis di se stesso, si inscrive sotto il segno della mésalliance e della conquista di classe, che è poi la storia di questa tragedia naturalistica. Il figlio della serva, August, assomiglia a Jean, figlio del bracciante che stipa, chiude nella stalla sette figli e il maiale August. Nel servo, l’autore proietta fantasie di trionfo e le coniuga con quelle di abiezione vissute da Julie-Siri. Il primo confida sogni ad occhi aperti in cui si arrampica nell’albero della cuccagna, per strappare le uova d’oro del nido posto tanto in alto, ovvero la memoria giacobina del 1789, con richiami al Figaro di Beaumarchais, con palinodie da Ruy Blas di Hugo, il servo che si uccideva nel drammone del 1838 dopo aver copulato colla regina. La seconda confessa un sogno complemen-tare, una sorta di chiasmo, la discesa nella materia, la perdita delle ali, la Madonna che si trasforma in puttana, ovvero la perdita delle ali e la desublimazione.

E nelle pagine matrimoniali relative a Siri, di continuo lo scrit-tore descrive con dovizia di dettagli analoghi impulsi, tra l’incesto colla madre e la irritualità blasfema: giacere coll’angelica signora significa per lui compiere un deicidio, una profanazione antireligio-sa. Jean, invece, una volta copulato, sfogato l’istinto erotico, perde ogni interesse verso Julie, a meno di non farne una partner azienda-le, nel progetto piccolo borghese dello Zanni calcolatore (dunque il primo Zanni, dunque Brighella) che vagheggia alberghi sul lago di Como, conti truccati, e magari qualche elegante bordello colla Signora, preda di clienti ricchi prima e tenutaria dopo. Ma in questo incrocio tra due sogni ad occhi aperti, lui che sale, lei che scende, non c’è reciproca amicizia, come avviene di solito nello scambio di segreti. Perché una solitudine reciproca incalza la coppia, e un orizzonte nichilista depressivo, specie dalla parte di lei, si profila a poco a poco. Se lui è ossessionato dall’idea di arrivare, alla fine della carriera, a comprarsi, magari in Romania, un titolo nobiliare, lei che è già nobile dimostra come questa condizione non basti

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assolutamente ad assicurare la felicità. Perché la signora è infelice e sentimentale, vorrebbe essere amata per non provare rimorsi di classe dopo la caduta, mentre il giovanotto non può permettersi il lusso del sentimento. Se lei è la perdente, nel gioco darwiniano dello struggle for life, se lei pertanto è priva di carattere, lui in com-penso non può avere carattere, in quanto deve imparare le lingue, rubare agli altri, a chi sta in alto, non solo vini e pietanze, ma le battute più utili per sopravvivere, per adattarsi, per mimetizzarsi. In una parola, Jean è un attore, uomo totalmente di teatro, colui che simula sempre, uno Zelig inafferrabile e modificabile a seconda del proprio interlocutore. Di autentica, in lui, c’è solo la paura davanti al Signor Conte, al Dio Padre, necessariamente assente per ga-rantirsi carisma terroristico, Dio del Vecchio Testamento che si farà sentire in chiusura del dramma, a far precipitare il plot verso il suo esito luttuoso, quasi i due ‘peccatori’ fossero novelli e inconsapevoli Adamo ed Eva di una Stoccolma puritana e sessuofobica. Basta vedere i guanti del Padrone, o i suoi stivali, perché Jean cominci a tremare. Sedurgli la figlia è una terapia obliqua per ridurre tale panico. Allo stesso tempo, Julie narra una sua infanzia ancor più atroce di quella dickensiana di Jean.

In questo racconto, il Conte appare umano e derelitto, cocu con-senziente di una moglie adultera, corrotta e infelice, di una moglie che ha sperimentato sulla figlia pedagogie femministe con risultati inquietanti per l’equilibrio della ragazza. Mentre lui mentendo e dicendo insieme il vero le propone un’immagine di lei quale prin-cipessa da favola, abitino rosa e calze bianche in mezzo ad un Eden custodito da angeli crudeli, Julie risponde col disincanto atro-ce del suo passato, una famiglia che uccide, una coppia paren-tale infernale che le ha strappato identità e sicurezza ontologica. Intorno, esplode la festa di San Giovanni, variante nordica del no-stro Carnevale, in cui cadono le maschere e gli abiti, e le classi si incontrano nella fisicità. Kristin, la più matura per anagrafe del trio relegato in cucina, funge un po’ da corifea, avanguardia degli stereotipi, del buon senso bonario e della pratica cerretana, della tradizione quaresimale e delle rare trasgressioni autorizzate dal

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calendario. I contadini, nel frattempo, si insinuano nell’intermezzo pantomimico colle loro canzonacce, mentre scorre il vino. Prolessi della presa del Palazzo d’inverno in forma di music hall, enigma gioioso del coro, cornice puntuale della violenza che circola al-trove. Il rasoio con cui Jean la convince a suicidarsi è il doppio analogico dello sverginamento (perché la Miss era probabilmente casta come Diana, prima dell’avventura ancillare, non come la sua cagnetta dall’omen antifrastico), con perdita di sangue oltre a quel-lo mestruale del momento, e declina tra loro amore e morte non in termini romantici ma di conflitto di classe.

C’è una guerra infatti, un’autentica guerra, che circola tra le pie-ghe del copione, ovvero lo scontro tra servi e padroni. Hegel ne La fenomenologia dello spirito ci insegna che lo sguardo del padrone edifica il servo e viceversa. La transazione qui assume clangori e afrori da trincea bellica. E al fronte, si sa, lo stupro sui vinti, sulle donne del nemico, è pratica protocollare. Julie vuole vassallaggi all’inizio, pretende baci sulla scarpa, boys fatti piroettare dal suo frustino da Lou Salomè come una étoile abituata a vedere il mon-do dall’alto. Non sa cosa significhi ricevere ordini, anche se invita Jean a togliersi la livrea, forse per tastargli i muscoli. Ma la guerra è anche grammaticale, una continua oscillazione tra il tu e il lei, perché il servo non riesce nello spazio del nemico a dare del tu alla propria vittima, pure dopo la caduta. E anche se si lancia in filippiche egualitarie, anche se ricorda che dietro ogni casta no-biliare si nasconde la scimmia dell’evoluzione della specie e dei ceti, Jean continua a inibirsi sul piano prossemico, ossia si blocca nella lingua. La caduta di Julie non potrà che essere proporzionale ai colpi, in tutti i sensi, sparati dal nemico. La vediamo così, nel fi-nale grottesco, proporre alla serva un ménage à trois, gite a musei di Monaco, soste o traffici presso alberghetti italiani. La vediamo altresì accettare la decapitazione del lucherino, e poi invocare il supplizio come una santa barocca. Ma qual è la paura di questa sfortunata Julie, emancipazione mancata, controversa mediazione tra madri moderniste e padri assenti, ladra del denaro di casa?

Oggi, la sua angoscia si tinge di passatismo nel tempo del livel-

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lamento mediatico e dell’omologazione dietro i miraggi della high society da piccolo schermo. Lady Diana, del resto, è sopravvissuta ai diari del suo maggiordomo chiacchierone. Ora, Julie si uccide forse anche per liberarsi del padre, punendolo nel suo corpo. Ma si uccide soprattutto per liberarsi dalla confusione interna. È questa confusione uno straordinario squarcio sull’intimità del personaggio. Muore, d’altra parte, fuori scena, la Signorina. Non la vediamo durante il suicidio, secondo i cerimoniali della tragedia greca che vietano gesti brutali en plein air, come ricorda l’Assessore Brack sul cadavere di Hedda Gabler ibseniana, che porta con sé tracce dell’antieroina strindberghiana.

Dobbiamo credere al suo gesto? Di recente, un astuto e abilis-simo commediografo italiano, cresciuto al tepore delle buganvilles e delle limonaie del Lago di Como, Edoardo Erba, la fa tornare in scena nei suo Muratori, commedia farsesca centrata su lavoranti edili coatti dalla parlata romanesca, i quali se la trovano di fronte, mentre smantellano un vecchio teatro per farne il retrobottega di un SuperMarket. Questa volta, la creatura non fa che rimuginare sul suo lucherino, sul suo rasoio, sul fienile. Ma intanto è viva e affa-scina i due grossolani edili, e trionfa sul loro mondo trascinandoli dietro le quinte, risucchiandoli fuori dalla vita quotidiana.

Adesso se il gruppo coraggioso, capitanato da Fabio Pasiani, e diretto in scena da Pierpaolo Comini, tutti miei ex studenti universita-ri, osa affrontare questo testo, e se la bella e brava Alice Marinoni si rimette sulle spalle Julie togliendola alla cucina-Kammerspiele in cui August, incerto tra naturalismo e pre-espressionismo, l’ha rin-chiusa 120 anni fa, qualcosa vorrà pur dire. Insomma, i fantasmi privati di Strindberg non sono poi così soggettivi, non sono poi solo materia clinica, come i suoi detrattori amavano ipotizzare. Possono tornare nostri, materia del teatro dei giovani nel terzo millennio, prepararsi un loro futuro.

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FRÖKEN JULIE

Ett naturalistiskt sorgespel*

Personer:

JULIE, fröken Julie, 25 år.JEAN, betjänt, 30 år.KRISTIN, kokersa, 35 år.

Handlingen i Grevens kök, Midsommarnatten.

* Il testo originale svedese qui riprodotto si rifà alla più attendibile edizione attualmente dispo-nibile, pubblicata a cura di Gunnar Ollén in Fadren. Fröken Julie. Fordringsägare. Samlade Verk, vol. 27, Stoccolma, Almqvist & Wiksell, 1984.

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LA SIGNORINAGIULIAUn dramma naturalistico

Personaggi:

JULIE, la signorina Julie, 25 anni.*JEAN, il servitore, 30 anni.KRISTIN, la cuoca, 35 anni.

Cucina del conte, la Notte di San Giovanni.

* Nonostante il titolo riporti il nome italianizzato della protagonista (in continuità con la scelta effettuata per la messa in scena), la traduzione qui riprodotta mantiene i nomi originali di tutti i personaggi.

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Ett stort kök, vars tak och sidoväggar döljas av draperier och suffiter.

Fondväggen drar sig snett inåt och uppåt scenen från vänster; på

densamma till vänster tvenne hyllor med koppar-, malm-, järn- och

tennkärl; hyllorna garnerade med goffrerat papper; något till höger

tre fjärdedelar av den stora välvda utgången med två glasdörrar,

genom vilka synes en fontän med en amorin, syrenbuskar i blom och

uppstickande pyramidpopplar. Till vänster på scenen hörnet av en stor

kakelspis med ett stycke av kappan. Till höger framskjuter ena ändan af

tjänstefolkets matbord av vit furu med några stolar. Spisen är klädd med

björklövsruskor; golvet strött med enris. På bordsändan en stor japansk

kryddburk med blommande syrener. Ett isskåp, ett diskbord, ett tvättställ.

En stor gammaldags ringklocka ovanför dörren, och ett talrör mynnande

på vänstra sidan om densamma.

Kristin står vid spisen och steker i en stekpanna; hon är klädd i ljus

bomullsklänning och har ett köksförkläde framför sig; Jean kommer in

klädd i livré; bärande ett par stora ridstövlar med sporrar som han ställer

ifrån sig på en synlig plats på golvet.

JEAN I kväll är fröken Julie galen igen; komplett galen!

KRISTIN Så, är han här nu? JEAN Jag följde greven till station, och när jag kom tillbaka förbi

logen, gick jag in och dansade. Och så får jag se fröken anföra dansen med skogvaktaren. Men när hon blir varse mig, rusar hon direkt i mina armar och bjuder opp mig, till damernas vals. Och sen har hon valsat så – att jag aldrig varit med om dylikt. Hon är galen!

KRISTIN Det har hon alltid varit, men aldrig så som de sista fjorton dagarna, sedan förlovningen slogs opp.

JEAN Ja, vad var det med den historien? Det var ju en fin karl, fast han inte var rik. Ack! de har så mycket choser för sig. (Sätter

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Una grande cucina, soffitto e pareti laterali nascoste da drappeggi

e decorazioni. Da sinistra parte obliquo il fondale; su di esso due

mensole con recipienti di rame, bronzo, ferro e stagno; le mensole

sono decorate con carta crespa; a destra si vede per tre quarti la

grande uscita a volta con due porte a vetri, dalle quali si scorgono una

fontana con un cupido, cespugli di lillà in fiore, e in lontananza alcuni

pioppi. A sinistra sulla scena l’angolo di una stufa in maiolica e una

parte della cappa. A destra il tavolo dei domestici in pino bianco con

alcune sedie. La stufa è addobbata con foglie di betulla, il pavimento

è cosparso di rami di ginepro. All’estremità del tavolo un barattolo da

spezie in stile giapponese con dentro dei lillà in fiore.

Una ghiacciaia, un lavatoio per le stoviglie e uno per il bucato.

Sopra la porta un campanello in stile antico, e alla sua sinistra un tubo

portavoce.

Kristin è in piedi e arrostisce qualcosa in padella; veste un abito di

cotone chiaro e un grembiule da cucina. Jean entra, in livrea, portando

un paio di grossi stivali da cavallerizzo con gli speroni che lascia in un

punto ben visibile del pavimento.

JEAN La signorina Julie si è di nuovo scatenata, stasera. È pro-prio pazza!

KRISTIN Ah, sei qui? JEAN Ho accompagnato il conte alla stazione, quando sono

tornato indietro sono passato davanti al fienile e sono entrato a ballare. Così ho visto la signorina che conduce-va il ballo con il guardiacaccia. Ma quando mi ha visto, mi è corsa incontro prendendomi per il braccio e mi ha invitato per il valzer delle dame. E vedessi che ballo! Mai visto niente del genere... È pazza!

KRISTIN Lo è sempre stata, ma mai come in queste due settimane, da quando il fidanzamento si è rotto.

JEAN Sì ma come è andata quella storia? Era un bell’uomo, anche se non ricco. Eh! Hanno così tante cose per la testa

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sig vid bordsändan.) Det är besynnerligt i alla fall, med en fröken, hm, att heldre vilja stanna hemma med folket, va? än följa sin far bort till släktingar! under midsommar!

KRISTIN Hon är väl liksom generad efter den där kalabaliken med fästmannen.

JEAN Troligen! Men det var en karl för sin hatt i alla fall. Vet du, Kristin, hur det gick till? Jag såg det jag, fast jag inte ville låtsas om det.

KRISTIN Nej, såg han det? JEAN Jo, så gjorde jag. – De hölls på stallgårn en afton och

fröken tränerade honom som hon kallade det – vet du hur det gick till? Jo, hon lät honom springa över ridspöet! som en hund man lär hoppa. Han sprang två gånger och fick ett rapp för var gång; men tredje tog han ridspöet ur handen på henne, bröt det i tusen bitar; och så gick han.

KRISTIN Gick det till på det viset! Nej! vad han säger? JEAN Ja, så var det med den saken! – Men vad har du nu för gott

att ge mig Kristin? KRISTIN (Lägger opp ur pannan och sätter för Jean.) Åh, det är en smula

njure bara som jag skar ur kalvsteken! JEAN (Luktar på maten.) Skönt! Det är min stora délice! (Känner på

tallriken.) Men du kunde ha värmt tallriken! KRISTIN Han är då kinkigare än själva greven, när han sätter till.

(Drar honom smeksamt i håret.)

JEAN (Ond.) Nej du får inte lugga mig! Du vet hur ömtålig jag är!

KRISTIN Så så, det var bara kärlek vet han ju!

Jean äter. Kristin drar opp en butelj öl.

JEAN Öl, på midsommarafton; nej tack ska du ha! Då har jag bättre själv! (Öppnar en bordslåda och tar fram en butelj rödvin

med gult lack.) Gula lacket, ser du! – Ge mig nu ett glas! Ett fotglas förstås, när man dricker pur!

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quelli! (Si siede al tavolo.) È strano, in ogni caso, per una signorina come lei, preferire starsene in casa con la servi-tù, no? Invece che accompagnare suo padre dai parenti! Nella Notte di San Giovanni!1

KRISTIN Sarà imbarazzata per quella faccenda col fidanzato...

JEAN Forse! Comunque quello aveva la testa sulle spalle. Sai, Kristin, com’è andata? Io l’ho visto, anche se ho fatto finta di nulla.

KRISTIN Davvero? L’hai visto? JEAN Certo che l’ho visto! Una sera erano alla scuderia e la

signorina lo ‘faceva allenare’, come diceva lei... Ma sai come? Lo faceva saltare a tempo di frustino! Come un cane che si addestra! Ha saltato due volte e due volte si è beccato una scudisciata, ma alla terza le ha tolto il fru-stino di mano, l’ha fatto in mille pezzi e se n’è andato.

KRISTIN No, dici che è andata così? JEAN Proprio così! Ma ora che cos’hai di buono da darmi, Kri-

stin? KRISTIN (Tira fuori qualcosa dalla padella e lo mette davanti a Jean.) È solo

del rognone. JEAN (Annusa il cibo.) Buono! È il mio preferito! (Tasta il piatto.)

Però avresti potuto scaldarlo, il piatto! KRISTIN Quando ti ci metti sei peggio del conte... (Accarezzandogli

la testa gli tira i capelli.)

JEAN (Infastidito.) Non toccarmi i capelli! Lo sai quanto sono de-licato...

KRISTIN Via, era solo un gesto affettuoso!

Jean mangia. Kristin stappa una bottiglia di birra.

JEAN Birra, per la Notte di San Giovanni?! No grazie! Ho io qualcosa di meglio! (Apre un cassetto del tavolo e tira fuori una

bottiglia di vino rosso col sigillo giallo.)2 Guarda, sigillo giallo! E ora dammi un bicchiere! Anzi un calice! Sai, quando si beve del vino buono...

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KRISTIN (Återvänder till spisen och sätter på en liten kastrull.) Gud bevare den som skulle få honom till man! En sån kinkblåsa!

JEAN Åh prat! Du blev nog glad om du fick en sån fin karl som jag; och jag tror inte du haft skada av att man kallar mig din fästman! (Smakar vinet.) Bra! mycket bra! Bara lite för lite tempererat! (Värmer glaset med handen.)

Det här köpte vi i Dijon! Och det stod till fyra francs litern utan glas; och så kommer tullen till! Vad kokar du nu som luktar så infernaliskt?

KRISTIN Åh det är något fanstyg som fröken Julie skall ha åt Diana! JEAN Du ska uttrycka dig vårdat Kristin! Men vad ska du stå och

koka åt hundrackan på helgdagsafton? Är den sjuk, va? KRISTIN Ja, den är sjuk! Hon har smugit sig ut med grindstugans

mops – och nu är det på tok – och se det vill inte fröken veta av!

JEAN Fröken är så högfärdig i somliga fall och för lite stolt i andra, alldeles som grevinnan i livstiden. Hon trivdes bäst i köket och lagårn, men hon ville aldrig åka efter en häst; hon gick med smutsiga manschetter, men skulle ha grevekronan i knapparna. – Fröken, för att nu tala om henne, tar inte vara på sig och sin person. Jag skulle vilja säga att hon inte är fin! Nyss när hon dansa på logen så röck hon skogvaktarn från Annas sida och bjöd opp honom själv! Inte skulle vi göra på det viset; men så är det när herrskap ska göra sig gemena – så bli de gemena! Men ståtlig är hon! Praktfull! Ah! Såna axlar! och – etcetera!

KRISTIN Åh ja, skryt lagom! Jag har hört vad Klara säger jag, som har klätt henne!

JEAN Asch, Klara! Ni är alltid avundsjuka på varann! Jag som har varit ute och ridit med henne... Och så hon dansar sedan!

KRISTIN Hör nu, Jean; vill han inte dansa med mig när jag blir färdig...

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KRISTIN (Torna di nuovo alla stufa e mette su una piccola pentola.) Poveret-ta quella che ti prenderà in casa! Uno schizzinoso come te!

JEAN Chiacchiere! Pagheresti per avere un bell’uomo come me... E non credo che ti dispiacerebbe che mi si chiamas-se ‘il tuo fidanzato’... (Assaggia il vino.) Buono! Ottimo! Soltanto un po’ più caldo... (Scalda il bicchiere tra le mani.)

Questo è stato comprato a Digione! Quattro franchi al litro, il vuoto... E poi c’è anche la dogana! E ora cosa stai cuocendo che puzza di bruciato?

KRISTIN È qualcosa di schifoso che la signorina vuole per Diana. JEAN Dovresti parlare meglio, Kristin! E poi te ne stai a cucina-

re per una cagna la sera della vigilia? È malata? KRISTIN Sì, sta male! È scappata di nascosto col molosso del guar-

diano, e ora è nei guai! La signorina non vuole saperne!

JEAN A volte la signorina è troppo superba e altre volte trop-po poco orgogliosa... Proprio come la contessa ai suoi tempi. Stava volentieri in cucina e nella stalla, ma non le bastava un solo cavallo per la carrozza, voleva almeno due attacchi; andava in giro coi polsini sudici ma voleva vedere la corona del conte su tutti i gemelli. E per quanto riguarda la signorina, sembra non avere cura di sé. Direi che non è per niente signorile! Un attimo fa stava ballan-do nel fienile quando ha tirato via il guardiacaccia dal fianco di Anna e l’ha invitato a ballare! Noi non ci com-porteremmo così, ma così è quando i signori si mischiano al popolo – diventano peggio dei popolani! Ma com’è magnifica! Splendida! Ah! Che spalle! E che...

KRISTIN Eh sì! Basta con le sviolinate! Ho sentito cosa dice Klara, visto che è lei che la veste!

JEAN Ah! Klara... Tra voi siete sempre invidiose! Io sono stato a cavalcare con lei... E poi l’ho vista ballare!

KRISTIN Senti Jean, non vorresti venire a ballare con me quando avrò finito?

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INDICE

Fröken Julie anche oggi di Paolo Puppa 5

Fröken Julie / La signorina Giulia 12

Genesi di una traduzione 103

Note di regia di Pierpaolo Comini 107

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