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La sfida educativa nella società contemporanea Premessa Il problema messo al centro dell’azione della CEI nei prossimi dieci anni, come sappiamo, è quello dell’educazione. È del tutto evidente che tale impegno non riguarda solo i giovani o i ragazzi, né solo la catechesi. Voglio introdurre questa conversazione a partire dal termine “educazione” il quale contiene dimensioni di apertura alla vita sociale, nel senso classico, oltre ogni sospetto. Educare infatti, simile in latino, deriva da educere, cioè portare fuori, condurre fuori. Il senso è molteplice: Può indicare il portare fuori ciò che c’è dentro, far crescere, allevare quindi. Può anche indicare portare fuori dalla casa, dall’ambito familiare per inserire nella società, nella politeia, nella vita della polis. I due sensi sono presenti anche nel greco. Il termine paideuo indica di più lo stare con il minore, con la funzione di favorirne la crescita. Nella tesi di Socrate, come ci viene riportata, è l’arte della maieutica, cioè della levatrice che fa uscire ciò che c’è dentro; far crescere la capacità, attraverso il dialogo, di conoscere il vero, il buono, il bello, di aprire all’uomo la via della sapienza e del retto agire; il riferimento sembra essere alla legge naturale. Ma nella società del tempo di Omero, scopo dell’educazione, della formazione è di inserire in una comunità, aristocratica e agonistica. Ci sono, in nuce, già le due valenze sopra citate: far crescere attraverso il dialogo e portare fuori di casa, ma all’interno della polis, con capacità di conoscere ciò che è giusto, vero, buono; con capacità di discernimento. Educare indica allora, almeno nella cultura classica greca e latina, portare alla sapienza, alla capacità di discernimento attraverso la conoscenza oggettiva del vero e del bene, cioè dei criteri fondamentali delle relazioni interpersonali e contemporaneamente delle scelte che rendono la vita di ciascun individuo degna di essere vissuta pienamente, in sé buona da vivere. Questo significa una vita umana che attinge da dentro di sé, per ciò che è, le motivazioni, il senso e l’orientamento, il dato positivo dell’esistenza; in una dimensione antropologica non individualista ed egoista, come credevano i moderni, ma intessuta di relazioni sociali come accidens necessario. Questo significa nella costante ricerca di armonia con se stessi, con i propri simili, con la natura che ci circonda, nella prospettiva di un umanesimo integrale e trascendente. (CV nn18-19) Mi pare che, così impostata, l’educazione non abbia a che fare solo con aspetti formali, quali la gentilezza e il savoir faire, ma di contenuto. Per quanto ogni contenuto esiga anche una forma in cui tradursi, che non lo contraddica. Non ho specializzazioni in psicologia o pedagogia e non intendo dare indicazioni al riguardo. Vorrei però ricordare che educare non equivale a imporre codici di comportamento o dettati dottrinali, né però per contrario significa tentare una linea di neutralità e di equidistanza. È, mi pare, più corretto pensare alla educazione come testimonianza e trasmissione di valori secondo i quali persone e gruppi impostano la loro vita e convivenza. (cfr n. 34) Persone e gruppi che contemporaneamente generano e fanno crescere in nuovi soggetti il desiderio della conoscenza e la passione della ricerca della fondatezza di questi valori e di ciò che rende viva la vita, la rende sempre più umana, piena e degna appunto di essere vissuta.

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La sfida educativa nella società contemporanea

Premessa Il problema messo al centro dell’azione della CEI nei prossimi dieci anni, come sappiamo, è quello dell’educazione. È del tutto evidente che tale impegno non riguarda solo i giovani o i ragazzi, né solo la catechesi. Voglio introdurre questa conversazione a partire dal termine “educazione” il quale contiene dimensioni di apertura alla vita sociale, nel senso classico, oltre ogni sospetto. Educare infatti, simile in latino, deriva da educere, cioè portare fuori, condurre fuori. Il senso è molteplice:

• Può indicare il portare fuori ciò che c’è dentro, far crescere, allevare quindi. • Può anche indicare portare fuori dalla casa, dall’ambito familiare per inserire nella

società, nella politeia, nella vita della polis. I due sensi sono presenti anche nel greco. Il termine paideuo indica di più lo stare con il minore, con la funzione di favorirne la crescita. Nella tesi di Socrate, come ci viene riportata, è l’arte della maieutica, cioè della levatrice che fa uscire ciò che c’è dentro; far crescere la capacità, attraverso il dialogo, di conoscere il vero, il buono, il bello, di aprire all’uomo la via della sapienza e del retto agire; il riferimento sembra essere alla legge naturale. Ma nella società del tempo di Omero, scopo dell’educazione, della formazione è di inserire in una comunità, aristocratica e agonistica. Ci sono, in nuce, già le due valenze sopra citate: far crescere attraverso il dialogo e portare fuori di casa, ma all’interno della polis, con capacità di conoscere ciò che è giusto, vero, buono; con capacità di discernimento. Educare indica allora, almeno nella cultura classica greca e latina, portare alla sapienza, alla capacità di discernimento attraverso la conoscenza oggettiva del vero e del bene, cioè dei criteri fondamentali delle relazioni interpersonali e contemporaneamente delle scelte che rendono la vita di ciascun individuo degna di essere vissuta pienamente, in sé buona da vivere. Questo significa una vita umana che attinge da dentro di sé, per ciò che è, le motivazioni, il senso e l’orientamento, il dato positivo dell’esistenza; in una dimensione antropologica non individualista ed egoista, come credevano i moderni, ma intessuta di relazioni sociali come accidens necessario. Questo significa nella costante ricerca di armonia con se stessi, con i propri simili, con la natura che ci circonda, nella prospettiva di un umanesimo integrale e trascendente. (CV nn18-19) Mi pare che, così impostata, l’educazione non abbia a che fare solo con aspetti formali, quali la gentilezza e il savoir faire, ma di contenuto. Per quanto ogni contenuto esiga anche una forma in cui tradursi, che non lo contraddica. Non ho specializzazioni in psicologia o pedagogia e non intendo dare indicazioni al riguardo. Vorrei però ricordare che educare non equivale a imporre codici di comportamento o dettati dottrinali, né però per contrario significa tentare una linea di neutralità e di equidistanza. È, mi pare, più corretto pensare alla educazione come testimonianza e trasmissione di valori secondo i quali persone e gruppi impostano la loro vita e convivenza. (cfr n. 34) Persone e gruppi che contemporaneamente generano e fanno crescere in nuovi soggetti il desiderio della conoscenza e la passione della ricerca della fondatezza di questi valori e di ciò che rende viva la vita, la rende sempre più umana, piena e degna appunto di essere vissuta.

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Educare significa formare alla ricerca del vero, del buono e del bello che in ultima analisi è per noi chiaramente ricerca di Dio nel quale tutto ciò è essenzialmente uno. Se teniamo uniti bello, bene, vero riusciremo ad evitare la ricerca del vuoto estetismo e dell’emozionismo superficiale per un verso, e per l’altro del freddo razionalismo che separa affettività e passioni da ricerca del vero-bello-buono. (cfr n 13) La dimensione contemplativa, che sembra andare in controtendenza rispetto ai nostri ritmi, è forse quella che appare come la più affascinante e la meno votata allo sforzo volontaristico, pur esigendo un preciso impegno. In pratica educare significa aprire al senso della vita attraverso la trasmissione della passione del vero- buono-bello e significa mettersi costantemente in atteggiamento di ricerca senza dare mai nulla per scontato. Ciò detto ne consegue che quando si parla di educazione non si parla solo di ragazzi e giovani. Anzi è soprattutto un fatto che chiama in causa gli adulti, e non solo come educatori, ma come persone in un atteggiamento di formazione, di educazione permanente di se stessi. Solo così possono essere a loro volta educatori. Oggi sono forse più in discussione loro, gli adulti, che i giovani e ragazzi. Infatti, questa società, a cui non manchiamo di fare critiche, è stata realizzata da loro. Forse anche è sfuggita loro di mano; ne hanno comunque una grossa responsabilità. O per meglio dire, vista la mia età e generazione, condivisa più o meno dai presenti, noi ne abbiamo una grossa responsabilità. Non per niente il documento chiama in causa la famiglia e la scuola, affidate a generazioni adulte. (n.5) In questa ottica si situa la proposta del vangelo che “fa emergere in ognuno le domande più urgenti e profonde, permette di comprenderne l’importanza, di dare un ordine ai problemi e di collocarli nell’orizzonte della vita sociale. A noi sta a cuore la proposta esplicita e integrale della fede…. Questa fede vogliamo annunciare, senza alcuna imposizione, testimoniando con gioia la bellezza del dono ricevuto, consapevoli che esso pota frutto solo quando è accolto nella libertà.” (n.4) Questo passo, tratto dalla bozza del documento, evidenzia tutti e due gli aspetti dell’educazione che abbiamo messo in evidenza e cioè sia del trarre fuori le domande profonde a cui dare risposta sia l’inserimento nella vita sociale. A tutte e due il Vangelo da risposta. Infatti, come disse Paolo VI, che il documento cita al n. 15: “La vera formazione consiste nello sviluppo armonioso di tutte le capacità dell’uomo e della sua vocazione personale, in accordo ai principi fondamentali del vangelo e in considerazione del suo fine ultimo, nonché del bene della collettività umana di cui l’uomo è membro e nella quale è chiamato a dare il suo apporto con cristiana responsabilità.”1 Il documento si indirizza a tutti i presbiteri e a quanti condividono la responsabilità educativa; a quanti hanno il compito educativo, a coloro che in questo senso sono “autorità”. Quello che spesso si denuncia è la mancanza di autorevolezza di genitori, insegnanti, formatori in genere. Se torniamo al concetto di autorità non ci sfuggirà che il termine che deriva da augeo, indica la funzione di far crescere. Si situa nella relazione la dimensione educativa, nell’aprirsi all’altro e nell’aprirsi all’alto, all’Altro maiuscolo che apre orizzonti di speranza e di futuro non più umani, trascendenti. In questo senso si comprende quanto dice il Papa: “Senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia.” (CV 78 citato nel documento n. 9)

1 Paolo VI Discorso alla Federazione Europea per l’educazione degli adulti – 03/05/1971 in Insegnamenti IX 1971,

pg 371

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Tutto il cap. II, Gesù maestro, su cui ha parlato lunedì scorso mons. Lambiasi si svolge su questo concetto, tanto che il titolo è: Gesù maestro rivela l’uomo a se stesso. Il capitolo III invece è sulla relazione come Nella relazione matura l’identità personale a cui concorrono, dice il documento, famiglia, scuola, lavoro, comunità ecclesiale ma anche mass media, e attività ricreative del tempo libero. (cfr n 10) I punti salienti del documento della CEI Come è noto non abbiamo ancora il testo definitivo ed è arduo ora già verificare ciò che ci verrà comunicato. Da ciò che sappiamo però alcuni riferimenti possiamo coglierli.

a) Innanzitutto il cambiamento come fatto da considerare strutturale. È ormai dagli anni ’70 che ne parliamo. Il cambiamento sempre più vertiginoso rischia di schiacciarci nel presente, perché non riusciamo a elaborare sufficientemente i nuovi dati in modo tale da proiettarci nel futuro. Ciò implica una diminuzione di prospettiva, di progettualità e di speranza. Proprio al riguardo diventa significativo quanto si diceva prima circa una impostazione contemplativa che rinnova una comprensione del senso del tempo e dell’eterno, che poi è il senso della vita di ciascuno ed è lo spazio della dimensione trascendente e significato ultimo degli avvenimenti. È come un elevarsi ad un livello più alto, un punto più alto di osservazione per comprendere un orizzonte che dal basso non si può comprendere. Il cambiamento non è solo di tipo tecnico, anche se questo ne ha segnato l’inizio; è piuttosto ormai di tipo culturale e sociologico. b) Abbiamo, in questa epoca, cambiamenti da analizzare e vivere con consapevolezza. Dal numero 10 al 14 si parla di multiculturalità. Viviamo ora in una situazione di pluralismo plurale se così si può dire. Siamo consapevoli della fine della cristianità e della forte presenza della secolarizzazione per cui i cattolici sono, o si avviano ad essere, minoranza anche in occidente, non solo per l’immigrazione.

Il pluralismo, mi pare, ha almeno due concause: • La prima è multiculturalismo, multietnia, multireligiosità. In questo senso è un fenomeno frutto di

immigrazione e globalizzazione.

• La seconda è frammentazione dell’occidente nella sua evoluzione culturale, frammentazione della vita delle persone, nella cosiddetta post modernità.

Questa seconda ci pone di fronte ad un numero maggiore di problemi. L’immigrazione La massiccia presenza di extracomunitari che tanto provoca l’occidente, è segno della globalizzazione che viene a casa nostra. In un primo tempo essa è stata descritta come spostamento di investimenti, poi di merci, ora è anche spostamento di popolazioni e di culture. L’occidente si era illuso di poter trasferire i suoi capitali e trarre i suoi profitti ovunque; forse senza pagare conseguenze, presumendo una superiorità culturale e una colonizzazione del resto del globo. Invece ci accorgiamo che è la stessa cultura occidentale a vivere una crisi subdola, perché dall’interno arriva a nichilismo e smarrimento e dall’esterno importa una moltitudine di risposte culturali e religiose. Ma i momenti di crisi sono quelli dei progetti migliori. Forse sta qui un primo elemento positivo. La storia degli uomini e delle culture è caratterizzata dal movimento di popolazioni e da creazione di reti e intrecci tra persone provenienti da contesti geografici diversi.

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I ritmi dei contatti e dei movimenti sono fortemente aumentati negli ultimi decenni. Non si vive più in un ambiente altamente integrato. Incontriamo sempre più culture diverse sia direttamente che attraverso i mezzi di comunicazione sociale. Possono nascere conflitti e discriminazioni, fra cui razzismo, xenofobia e integralismo. Il multiculturalismo è un fenomeno che si crea quando persone di radici diverse coesistono e guardano oltre le diversità di razza, lingua sesso ed età. Lingue, religioni, stili di vita si incontrano e confrontano perfino sui pianerottoli dei condomini. Il pluralismo influisce e condiziona le culture e le coscienze; può favorire il dialogo o lo scontro. Siamo chiamati a creare forme di vita che siano condivise per garantire una convivenza pacifica, il rispetto dei diritti di cittadinanza, una partecipazione attiva alla comunità sulla base dell’uguaglianza, rispettando le differenze.2 Dobbiamo contribuire a formare spiriti aperti, tolleranti, e critico – progettuali allo stesso tempo. Giovanni Paolo II aveva individuato una grande potenzialità delle religioni, le quali hanno contribuito in modo importante alla formazione delle culture, anche in occidente. In un documento per la giornata dei migranti c’è un passaggio di straordinario interesse sul dialogo interculturale, dove l’integrazione non è né assimilazione, né ghettizzazione, né tanto meno tolleranza. Giovanni Paolo II parla di fecondazione reciproca delle culture.(24/11/2004)

Il relativismo e il nichilismo Il vero ostacolo ad un’educazione efficace è l’inconoscibilità del vero e del bene che i moderni pongono alla base del loro relativismo morale. Il relativismo è figlio della perdita di fiducia nella ragione speculativa, nella capacità della ragione di verificare

le sue conoscenze solo con strumenti della logica, della argomentazione serrata. La tesi è che non c’è conoscenza di una realtà oggettiva che non sia esperibile.3 Quando non si sa a cosa educare, non si sa neanche come e perchè educare. Occorre riconoscere che ci sono le difficoltà della conoscenza, ostacolata dai limiti umani e sviata dalle passioni incontrollate; ciò non toglie l’importanza dell’educazione a cercare il vero e il bene, anzi la rafforza. La conoscenza sarà sempre provvisoria, ma fondata sulla realtà oggettiva e non su dimensioni soggettive.4 Se per ipotesi venisse meno ogni riferimento a valori comuni e a una verità oggettiva, allora la vita sociale si

avventura nelle sabbie mobili di un relativismo totale. (Evangelium vitae 20) Tutto è relativo, ogni scelta è considerata lecita perché corrisponda ai progetti e desideri propri ed

eventualmente altrui. Eliminati dunque gli inconoscibili principi morali, compresi i diritti umani e la dignità di ogni uomo, è subentrato l’assoluto dei desideri e degli istinti. La conclusione non è la felicità ma lo smarrimento.

Non si tratta allora solo di assenza di indicazioni etiche. In gioco c’è il valore esistenziale della vita.

2 Cfr A.Nesti (a cura di) Multiculturalismo e pluralismo religioso fra illusione e realtà: un altro mondo è possibile?

University Press Firenze 2006 - Introduzione 3 All’origine di questo pensiero, la posizione che più ritengo sia chiara è quella di Kant il quale vide la scienza

moderna, che si occupa del fenomeno empirico, come il modello di conoscenza certa e non riconobbe invece alcuna capacità di indagine e di conoscenza della verità all’aspetto metafisico, che è nella categoria dei noumeni; creazione della mente, dove è presente tutto ciò che non è dimostrabile empiricamente.

Anzi per lui è un’esigenza del processo intellettuale, un postulato della ragion pura. Egli poi recuperò il mondo metaempirico (Dio, libertà dell’uomo, valori morali) come esigenza incondizionata della ragion pratica da cui derivano gli imperativi categorici universali, categorie appunto della mente.

Egli non è relativista morale, ma al di là della sua volontà ne fonda le ragioni, ponendo le basi di un relativismo cognitivo circa la verità metafisica..

4 Il magistero della Chiesa invece sostiene che esistono valori morali assoluti (cfr Veritatis splendor 84 s).

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Dovremmo approfondire e trasmettere il pensiero che la vita non è una quantità che si possiede, né lo è il corpo; che questo è anzi sede della vita e che è strumento di relazione, e che la vita stessa si nutre di relazioni ed è un fatto comunitario. Il nichilismo frutto del relativismo Secondo alcuni il nichilismo è uno degli elementi caratterizzanti il nostro tempo e soprattutto le giovani

generazioni. Il disagio non è più solo psicologico, ma culturale. I giovani non acquisiscono quei riferimenti che possono aiutare ad elaborare emozioni, sentimenti, pensieri

in una comunicazione interpersonale che aggrega e socializza a partire dalla realtà di se stessi. Essi, si dice, non si interrogano più sul senso della propria od altrui sofferenza, né sul significato stesso

dell’esistenza, che a loro pare insopportabile proprio perché priva di senso. C’è difficoltà perfino a elaborare la domanda di senso.

I valori esistenziali sono erosi, c’è un disincanto del mondo, si è persa da tempo anche la possibilità delle decisioni con la sola ragione, non più credibile.

Il politeismo dei valori (relativismo) genera l’assenza di legge, e il mondo risulta governato dalla scienza e dalla tecnica che tendono a proseguire per logiche interne senza alcun rispetto per i valori umani.

Passaggio fondamentale è il fatto che la mancanza di un futuro come promessa produce tristezza e insicurezza. Qualcuno dice, enfaticamente, che non c’è più il futuro di una volta.

Viene in mente il riferimento a quel prode cavaliere che, montato in sella al suo focoso destriero, prese il galoppo in ogni direzione.

Se manca un fine, un progetto, una linea morale non c’è che smarrimento. Se poniamo la ricerca della propria realizzazione, come fine dell’educazione occorre riconoscere, seppure

parzialmente, ciò è bene e ciò che è male, ciò che mi realizza; e prima ancora la mia identità, il senso del mio essere, della mia vita.

L’educazione consiste in questa ricerca che, per come è l’uomo cioè sociale fin dalla concezione, non può essere pensata e compiuta dall’individuo chiuso in sé come una monade, come l’avevano pensato alcuni moderni, ma lo può all’interno della società stessa.

Da cui il compito di famiglia, gruppi intermedi, parrocchie, scuola, organizzazioni sociali, istituzioni. Per estirpare l’ insicurezza allora –– occorrerebbe costruire legami affettivi e di solidarietà, o legami e

relazioni calde così da uscire dall’isolamento, dagli ideali individualistici sempre maggiormente diffusi.5 Si prospetta così, e proprio quando se ne avverte la necessità per le problematiche di povertà ed esclusione

di questo tempo di crisi, che l’impegno solidale e fraterno nel sociale può essere via per ricercare senso della vita e cammino di speranza. 6

5 Vedi i documenti Annunciare il Vangelo in un mondo c he cambia, e Il volto missionario della parrocchia in un

mondo che cambia testi base della CEI per il decennio scorso. Nel documento della CEI CVMC (36-39)si legge : “Una prima opportunità, che ci pare di poter riconoscere almeno in qualche misura in molte persone, è il desiderio

di autenticità. … Certo il puro desiderio di autenticità non basta: va integrato con il riconoscimento dell’autenticità degli altri, … della storia, del valore di tutto ciò che … è esterno alla nostra coscienza…

(Questa integrazione con la realtà esterna fa sì che ) l’autenticità … non si orienta solo verso la ricerca di emozioni immediate e a basso prezzo,… essa non è di per sé … destinata all’individualismo.” Si avvia infatti un’apertura alla realtà, alla relazione, alla comunità… “Alla spontaneità va aggiunta la capacità di perseverare nelle inevitabili oscurità della vita, all’espressione della libertà non può mancare il riconoscimento della verità…..resta per i credenti la serena certezza di aver già incontrato questa verità nella persona di Gesù…” 6 Galimberti parla di etica del viandante, nella quale è l’andare che salva se stesso, cancellando la meta, inaugurando

una visione del mondo radicalmente diversa. Cfr. L’ospite inquietante, 26 cfr anche 141-148. Più o meno simili considerazioni e conclusioni sono fatte anche da Carmelo Dotolo, Un cristianesimo possibile. Tra postmodernità e ricerca religiosa, Queriniana Brescia 2007. Egli considera il momento attuale una fase di passaggio vissuta in un nomadismo culturale. Molti sociologi descrivono la psotmodernità come necessità di tenere aperte tutte le scelte, tutte le strade. Nessuna scelta deve precludere le altre. Nulla è definitivo.

Il processo che egli individua è semplice: Il pluralismo è frutto dell’irruzione dell’alterità nel nostro mondo, della globalizzazione, e produce una crisi della

visione unitaria della realtà, lasciando così lo spazio al dubbio e al relativismo. La modernità, nella sua fase matura, dopo aver ipertrofizzato il ruolo del soggetto, lo libera da qualsiasi necessità di

un supporto esterno alla ragione stessa, incapace di verità; ciò travolge anche la religione e il principio di autorità ormai non più riconosciuto.

Così il soggetto si trova immerso nel pluralismo che lo induce al nomadismo, appunto. Unica guida dell’esistenza è la logica del desiderio, esasperazione dell’individualismo fino alla sua dissoluzione, e dal quale consegue una frammentazione individuale della società.

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Solidarietà, socialità, ricerca esistenziale della verità in una dimensione trascendente, spirituale, culturale e religiosa, meno rituale e più comunitaria e contemplativa sono dunque indicazioni

possibili ma non sole. Educare alla liberà in riferimento alla verità Perso ogni riferimento alla verità non rimane che l’utilità o il piacere a determinare il desiderio di

realizzazione di sé. La libertà non è più considerata una facoltà interiore da cui scaturisce un principio di libertà anche giuridica e

politica, ma una esclusione sociale e politica, una facoltà esteriore: è più una “libertà da” che una “libertà di”.7

La ragione è una pura ragione strumentale, cioè è impiegata a calcolare l’applicazione economica dei mezzi disponibili a un dato fine, che è il tornaconto personale.

La libertà, invece che esprimersi nella ricerca della verità di sé e del proprio fine ultimo in ordine al quale realizzarsi, diventa libera ricerca del piacere e dell’utile e non può che essere garantita escludendo gli altri dalla propria sfera individuale.

Il nostro sforzo educativo alla vera libertà inizia dalla ricerca della verità e del senso di sé, libertà che si esercita in modo primordiale proprio nella ricerca della verità.

Come uscirne? Il mondo soffre per la mancanza del pensiero Manca il pensiero, come dice la CV 53, citando Paolo VI nella PP 85. C’è addirittura paura del pensiero, del pensiero libero, creativo, divergente, capace di altre visioni rispetto a quella che passa attraverso slogan, attraverso ripetizione ossessiva di affermazioni non fondate a cui si vuole credere per ideologia, per presa di parte, per pigrizia mentale. Un pensiero che si rinnova, che è vitale e non teme confronti perché aperto alle provocazioni, capace di nuove scoperte, stupito di fronte alle nuove idee, un pensiero capace di ispirarsi al bello, al buono, al giusto può trarci fuori da uno stallo di un pensiero quantitativo, calcolante che tutto intende condurre, nel nome del profitto che tutto deve giustificare, o del potere inteso piuttosto che come servizio, induzione dei cittadini o concittadini ad asservirsi a nuovi subdoli padroni. Alcune piste possibili: cultura ambientalista e multiculturalismo etnico Qui un tratto della cultura attuale può portare qualcosa di significativo: mi riferisco alla cosiddetta cultura ambientalista. Forse è meglio, senza forzare troppo ritengo, parlare di attenzione alla natura, di cui per altro ognuno di noi è parte e insieme in qualche modo la trascende. Pensiamo alla dimensione della concezione della vita e del contatto con il mistero della vita e il fascino che sempre ha esercitato sugli uomini. Qui si innesta un’idea di ecologia a partire da quella umana, cioè nel rispetto e nella promozione dell’uomo, dai bisogni primari alla dimensione trascendente che è quella che qualifica ogni uomo. Altra provocazione oggi ci viene dal fenomeno dell’immigrazione e dall’incontro con culture e tradizioni diverse.

Già il desiderio può essere via di ricerca del vero sé, del senso di Sé, e del bisogno di Dio, in una via già percorsa da Agostino. La postmodernità non deve e non vuole in definitiva abbandonare la passione per la verità, pena la banalizzazione del senso e la frantumazione mortale delle grandi domande. Se nel vitalismo esasperato, che spesso contraddistingue queste culture della postmodernità, c’è un lume, questo è il

desiderio vitale; è voler vivere intensamente la vita. Sta già qui un barlume di verità. 7 Confronta al riguardo il saggio di C.B.Macpherson Libertà e proprietà alle origini del pensiero borghese,

Mondatori, Milano 1982, e vedi anche l’opera suggestiva, per quanto discutibile nelle sue conclusioni, di Osvaldo Spengler, autore d’inizio secolo, Il tramonto dell’occidente del 1914, rieditato da Longanesi, Milano,1981 a cura di F.Jesi. Su questa linea anche le note opere Essere o avere, di H Fromm, L’uomo a una dimensione di E.Marcuse, gli studi recenti di F.Ferrarotti...

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È possibile recuperare la disponibilità al dialogo e alla reciproca fecondazione delle culture, come chiedeva Giovanni Paolo II nella giornata Migrantes del 24/11/2004. Forse proprio gli immigrati, non assuefatti alla nostra cultura, possono vederne meglio i limiti e gli ostacoli che pone, e viceversa. Con le loro obiezioni e le loro domande possono provocare un rinnovo di pensiero e di cultura. La globalizzazione che si esprime qui da noi per un verso come dialogo fecondo, per l’altro apre alla difesa dei diritti e doveri di tutti. Così comprendiamo il senso di bene comune universale. Dice la CV n. 7: “ Accanto al bene individuale, c'è un bene legato al vivere sociale delle persone: il bene comune. È il bene di quel “noi-tutti”, formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale .” Il punto strategico è il noi-tutti inteso in senso di comunità coesa e fraterna. Così il concetto di società diventa più ricco e caldo; è un noi-tutti, una società non concepibile come una entità terza a cui possiamo sentirci estranei. Questo è il primo effetto dell’educazione. Amare nella concretezza dei contesti storici implica un impegno personale e sociale che sfocia nell’impegno politico. Un pensiero rigenerato dal confronto con le domande esistenziali Lo stesso rinnovamento della politica, di cui si è avvertita la necessità anche nella recente Settimana Sociale dei Cattolici Italiani a Reggio C., ha bisogno di pensiero rinnovato che si pone le domande circa l’uomo e il senso della sua esistenza per generare una nuova creatività. Un pensiero capace di tornare all’indagine, alla risposta alle domande profonde; un pensiero che non riduce la ragione a razionalità strumentale . La lettera ai cercatori di Dio dice al cap 5 (ed paoline pg 38): “Ci sembra che alla radice di ogni esistenza ci sia una domanda di senso e di speranza, particolarmente drammatica oggi” e più avanti: “Se c’è una differenza da marcare, allora, non sarà forse tanto quella tra credenti e non credenti, ma tra pensanti e non pensanti, tra uomini e donne che hanno il coraggio di cercare incessantemente Dio, e uomini e donne che hanno rinunciato alla lotta, che sembrano accontentati dell’orizzonte penultimo e non sanno più accendersi al pensiero dell’ultima patria.” Noi, educatori da educare, siamo chiamati ad essere cercatori affascinati della verità, non conoscitori e trasmettitori sicuri di essa senza più alcun rischio della ricerca e dell’approfondimento anche della verità già ricevuta come dono; non ci mettiamo più in gioco. La figura dell’educatore si delinea, non come un indottrinatore o un imbonitore, che in modi diversi faccia pressione su coloro che deve accompagnare, ma appunto uno che accompagna le persone alla ricerca della verità, del bene, del bello che egli stesso ancora e sempre cerca. Essere cercatori di verità ci fa capaci di accompagnare chiunque la cerchi, senza perdere ciò che abbiamo conosciuto. È l’atteggiamento di ricerca che ci avvicina ad altri cercatori di verità e ci predispone ad essere loro compagni di viaggio; è l’atteggiamento di coloro che, avendo conosciuto la verità di Dio che è amore, sanno che è proprio questo che esige una dimensione viva e dinamica, una ricerca continua mai data per scontata. Questa è base essenziale per una elevazione dell’uomo fino a homo cogitans et contemplans che superi l’aridità esistenziale dell’ homo faber, oeconomicus et consumens. Partendo dalla verità dell’uomo, o se si preferisce dalla sua realtà, dal suo desiderio di autorelizzazione, di vita vissuta pienamente per ciò che è, nella bontà della vita in sé anche nei suoi drammi e nei suoi limiti, nelle sue aspirazioni trascendenti che ne sono la parte più importante e significativa, si può concepire una formazione ed educazione in cui

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ogni persona può maturare una dimensione personale realizzata. Questa è insieme frutto e condizione per favorire una ordinata convivenza umana, intesa come relazioni fra persone umane e con l’intero universo, secondo “quei valori che rendono la vita umana degna di essere vissuta” cioè “il bisogno di libertà contro l’oppressione, di uguaglianza contro la disuguaglianza, di pace contro la guerra.”8 Voglio intendere questa pace come armonia sempre più ampia, come contemplazione e ricerca della verità, del bello, del buono, del giusto. Una strategia Ciò che abbiamo detto riassume quanto dice il documento l’aspetto educativo rispetto a situazioni oggi sempre più pressanti. Il documento, pur facendo un riferimento alle tre distinzioni dei settori dell’evangelizzazione (funzione profetica -catechesi), sacramenti ( sacerdotale - liturgia) e carità (regale – conduzione del mondo a Dio), come avendone compreso l’interpretazione riduttiva del tutto appunto a catechesi, liturgia, caritas supera il tutto andando ad ambiti che sono più difficili da interpretare come non traversali di tutta l’attività pastorale. Sono gli ambiti del convegno di Verona che ancora oggi non vengono presi sufficientemente in considerazione. Sul piano dell’educazione però si comprendono bene come appunto ambiti d’azione di tutta l’attività educativa: Vita affettiva, lavoro festa, fragilità, tradizione, cittadinanza. Il che significa che ogni persona deve essere educata ad una ricerca della vita affettiva, delle passioni e delle mozioni interiori in una ricerca dell’equilibrio vitale ma non della mortificazione degli affetti familiari, delle Amicizie, degli impegni sociali. Così il lavoro festa che indica il senso del fare e produrre nella dimensione contemplativa non solo di ciò che si costruisce ma del senso di questo rispetto all’orizzonte ultimo. La fragilità indica l’accettazione del limite come sfida filosofica e di fede e non solo la necessità di assistenza ai poveri e sofferenti, che comunque vanno difesi e il cui diritto è tutelato persino da Dio. La tradizione indica la capacità di una comunità cristiana a comunicare la fede, a trasmetterla attraverso la sua vita e la vita delle persone che la compongono. La cittadinanza evidenzia la doppia appartenenza dei cristiani alla città di Dio e a quella terrena senza confusioni e integralismi. Doppia appartenenza che implica doppia responsabilità e presenza con stili coerenti senza semplificazioni. Tutte queste precisazioni che esigono attività educative vengono proposte, in atteggiamento di reciprocità auspicata, con famiglia e società. Così si impone una verifica dell’attività educativa, verifica che la nostra Diocesi si è scelta per questo anno, ma che dovrà svolgersi nei dieci anni del tema prescelto dalla CEI. Tale verifica dovrà analizzare punti di debolezza e sofferenza, o di esperienze positive (nn50-54) per le attività di catechesi, liturgia,carità, iniziazione, e nelle attività di oratorio, nella dimensione della valorizzazione della pietà popolare, come anche nella partecipazione dei nostri fedeli alla vita della società, nella politica. Concludo richiamando la lettera pastorale del nostro vescovo circa lo stile di questa verifica, che verrà ulteriormente puntualizzata dai Consigli Pastorale e Presbiterale diocesani, in cui si legge: “Questa nostra riflessione, che ci impegnerà dal mese di 8 N.Bobbio Giusnaturalismo e positivismo giuridico Milano 1965, 4° edizione 1988 ed Comunità pg 195.

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gennaio al mese di Giugno, non dovrà scivolare nella cronaca – magari impietosa – dio errori, di inadeguatezze nostre o altrui; dovrà invece permetterci di portare alla luce persone, luoghi, percorsi ed esperienze particolarmente significative riguardo al nostro impegno di educare…” Che deve portare alla realizzazione di alcuni obiettivi indicati dal documento (n.55) che lascio alla ricerca della diocesi e di tutti noi:

1) La formazione permanente degli adulti e delle famiglie 2) Rilancio della vocazione educativa degli istituti religiosi, delle associazioni e dei

movimenti ecclesiali, e delle associazioni di volontariato (notevole questo cenno che indica nel volontariato una realtà educativa ala responsabilità personale e sociale)

3) Lo viluppo di un ampio dibattito e un proficuo confronto sulla questione educativa anche nella società civile ( su cui la nostra diocesi si sta attivando con un rilancio di mezzi di comunicazione sociale quali: il giornale settimanale, la libreria con attività culturale ed educativa, e in prospettiva interventi presso le TV locali, un rinnovo dell’uso di internet con un rilancio del Sito diocesano, forse una sala di cinema d’essai… meglio sognare un futuro che accontentarci del presente comunque esso sia, con le sue deficienze, e con le sue positività (ricomincio da tre) …

Buon lavoro fratelli--- Don Franco Appi Coriano 25 Ottobre 2010