La sfida della retorica in Paul Ricoeur - PANTAREI...

37
Dei Parlanti 143 Capitolo Cinque La sfida della retorica in Paul Ricoeur 1. Premesse Una ermeneutica che voglia riscattare lo Zwischen nietzscheano, realizzandosi nel luogo dell’incontro tra me- todo e teoria, e che si pone emblematicamente sotto l’egida di Hermes, 93 incontra profondi stimoli di riflessione ed ipotesi di sviluppo nell’opera di Paul Ricoeur. I primi due presupposti si allacciano alla problematica ricoeuriana della dialettica della mediazione tra tutta una serie di dualismi e dicotomie ch’egli ha studiato, criticato e non sempre superato nel corso degli ultimi quarant’anni. Si tratterà di quel “qualcosa” e/o “qualcuno” tra due poli o termini di qualsiasi analisi che sfugge, che lascia residuo, che ritorna come una ossessione, un fantasma, e che in certo modo è cruciale tanto all’esistenza quanto alla sua comprensione. Per Ricoeur questo ha significato, tra l’al- tro, un confronto serrato con le varie metodologie di estra- zione scientifica e comunque a stampo razionalista, e in 93 Come quasi tutti i capitoli di questa seconda parte, il presente inter- vento doveva originalmente costituire un capitolo della parte V, «Inda- gini su retorica ed ermeneutuca» del mio libro Il fantasma di Hermes dove appaiono analoghi interventi su Gadamer e Grassi. Esso fu espunto per ragioni di spazio e pubblicato in versione rimaneggiata su Paradigmi 36, 1994.

Transcript of La sfida della retorica in Paul Ricoeur - PANTAREI...

Dei Parlanti 143

Capitolo Cinque

La sfida della retorica in Paul Ricoeur

1. Premesse

Una ermeneutica che voglia riscattare lo Zwischennietzscheano, realizzandosi nel luogo dell’incontro tra me-todo e teoria, e che si pone emblematicamente sotto l’egidadi Hermes,93 incontra profondi stimoli di riflessione edipotesi di sviluppo nell’opera di Paul Ricoeur. I primi duepresupposti si allacciano alla problematica ricoeurianadella dialettica della mediazione tra tutta una serie didualismi e dicotomie ch’egli ha studiato, criticato e nonsempre superato nel corso degli ultimi quarant’anni. Sitratterà di quel “qualcosa” e/o “qualcuno” tra due poli otermini di qualsiasi analisi che sfugge, che lascia residuo,che ritorna come una ossessione, un fantasma, e che incerto modo è cruciale tanto all’esistenza quanto alla suacomprensione. Per Ricoeur questo ha significato, tra l’al-tro, un confronto serrato con le varie metodologie di estra-zione scientifica e comunque a stampo razionalista, e in

93 Come quasi tutti i capitoli di questa seconda parte, il presente inter-vento doveva originalmente costituire un capitolo della parte V, «Inda-gini su retorica ed ermeneutuca» del mio libro Il fantasma di Hermesdove appaiono analoghi interventi su Gadamer e Grassi. Esso fu espuntoper ragioni di spazio e pubblicato in versione rimaneggiata su Paradigmi36, 1994.

144 Peter Carravetta

seguito tra queste e la legittimazione o coerenza teoreticadel discorso.

La premessa qui è che l’interpretazione si dà␣ all’incrociotra metodo e teoria, cioè tra un sistema di regole che gover-nano, coordinandole e subordinandole, una serie di␣ azionio procedure che chiamiamo conoscitive, insomma una coor-dinata epistemologica, e un insieme di principi fondativi elegittimanti tipicamente assiomatici, atemporali, eter-nizzanti, teologocentrici, che riguardano i valori e che chia-miamo la coordinata ontologica. Entrambi i termini vannopresi nel loro senso più ampio, al di sopra delle specifichevarianti effettivamente riscontrabili nella storia del pensie-ro. Detto altrimenti: si sostiene che non si può applicare unmodello interpretativo rigorosamente “razionale” a un’ope-ra d’arte o ad un avvenimento di cultura, spiegandocelo se-condo metodi “scientifici,” senza al contempo tener di con-to della sottostante, o meglio, sovrastante componenteontologica, cioè dei suoi presupposti teorici, della visioneunificante che istruisce a garantisce la proprietà, correttez-za e infine legittimità della procedura medesima. In breve,l’applicazione di un determinato metodo dimostra in parteche il metodo funziona, e in parte che i risultati erano giàpre-visti dalla teoria — esplicita o implicita che sia — che lasottende. Viceversa, chi parte da una teoria, non può nonfare a meno di determinati metodi per realizzare il progettoinsito nella medesima costruzione teorica. La mia ricercami ha condotto sul terreno della retorica come tertium in cuisia il metodo, sia la teoria, devono per forza incontrarsi. Consi-dero questo il luogo di partenza per poter ripensare lo statu-to e il valore della pratica, o della prassi, interpretativa. Com-pito del presente lavoro è in parte appunto ricercare in chemaniera e in seguito a quali altri problemi connessi Ricoeurrisolve o sviluppa questa premessa. Di certo, la seguenteosservazione promette una conferma quantomeno dellaprima parte della nostra tesi:

Dei Parlanti 145

L’ontologia della comprensione rimane impli-cata nella metodologia dell’interpretazione,secondo l’ineluttabile ‘circolo ermeneutico’che Heidegger stesso ci ha insegnato a trac-ciare... ciascuna ermeneutica scopre ogni vol-ta l’aspetto dell’esistenza che la fonda comemetodo. (1977b:33)

Da qui la necessità di ripercorrere, sia pure per velociaccenni, l’opera del pensatore francese per comprendereil perché e il come egli arrivi a questa posizione. Tuttaviaè la seconda parte, quella riguardante l’aspetto retorico,che secondo me occuperà il Ricoeur degli ultimi tempi,senza che egli la tematizzi in quanto tale e persistendonell’utilizzo di un metalinguaggio di analisi (narratologia,semiotica) che ne ha eviscerato la potenziale funzioneermeneutica. Si scoprirà che esiste nel pensiero ricoeu-riano una problematica ma dinamica prospettiva o possi-bilità del dire e della comunicazione la quale ci riconsegnasì, ciò di cui si parla, ma che questo qualcosa, nell’impos-sibilità di esserci restituito nella sua immanente integritàe datità — in particolare quando si tratta di idee e imma-gini, i.e., di letteratura, di testi scritti, e non di oggettiempirici, o dominii della cosicità — si manifesta in ma-niera indiretta, a volte invisibile, a volte inenarrabile, inogni caso sdoppiata, obliqua, parziale e circostanziale —sarebbe la soglia dell’allegorico. Ma sempre come un fattodi linguaggio, come un parlare o un dire che non puòesimersi dal di/mostrare la propria condizione retorica,cioè interpretativa ed esistentiva.

146 Peter Carravetta

2. Sfondo filosofico

Ricoeur si muove con straordinaria agilità sia tra le pastoiedelle microanalisi sia negli spazi profondi delle macrosintesi,e questo attraverso varie discipline. Nei suoi primi lavori,egli si è occupato della costituzione dell’io e del soggetto inchiave tecnicamente fenomenologica. Tuttavia, mosso an-che dai problematici risultati di questi studi sulla questionedel tempo e la storia, egli era già predisposto a più ampicampi di riflessione e interpretazione, come la colpa, il male,e la volontà. In Husserl egli aveva ravvisato dei precisi “pro-gressi” rispetto ai presupposti kantiani — per esempio, sullaconcezione del tempo come connessa in qualche modo aun mondo o dimensione non solo precategoriale ma anchesociostorico esistenziale (1967:111). Ma nell’analisi dellaQuinta delle Meditazioni Cartesiane, Ricoeur si era anchesoffermato sul problema della storia, che la riduzione eideticadi Husserl sembrava mettere, per così dire, fuori parentesi(1967:146).94 Poiché la esigenza inter-soggettiva del suo pen-siero richiedeva ch’egli si misurasse costantemente con il94 Nel saggio su “Husserl e il senso della storia” (del 1949), Ricoeur ricavaalcune premesse per una interpretazione della storia dai medesimi testihusserliani, elaborando i cambiamenti di registro e di tematiche deglianni trenta, e della Krisis in particolare. Nel sintetizzare gli aspetti utilio interessanti della nozione di ragione che sta a monte della nuova con-cezione husserliana dell’uomo, come per esempio la sua dinamicità, ilsuo essere-diveniente, la congenita capacità progettuale che si unifiche-rà più tardi alla tematica della volontà e dell’etica, Ricoeur mette anchein evidenza alcuni limiti o rischi della ragione (husserliana), e cioè, l’esi-genza di completezza di tutte le intenzioni, il compito di unificare tuttele attività significative, speculative, etiche ed estetiche (cfr 1967:156-60).In questo senso, e in una maniera affatto diversa da quella di Derrida odi Lyotard, egli percepisce il potenziale “negativo” della Teoria e inco-mincia a smontarne la sua architettura “forte” parimenti ai “dogmi”metodologici del pensiero moderno, ponendosi già dagli anni cinquantadavanti a una possibile soglia del postmoderno interpretativo debole eplurivoco, linguistico e locale o in “situazione”.␣ ␣ ␣

Dei Parlanti 147

problema dell’agire, dello scambio reciproco tra soggetti, ecioè quindi delle possibilità appunto dell’intendersi, nonpoteva mancare una riflessione sul linguaggio.

In un saggio del 1957, “Existential Phenomenology,” (orain 1967:202-212) Ricoeur sottolineava come nelle primeopere di Husserl coscienza e parola coincidessero, mentrenegli inediti degli ultimi dieci anni è la percezione che vie-ne fatta diventare l’origine di tutte le operazioni della co-scienza (1967:204). Questo introduce a una possibilità deldiscorso interpretativo di intervenire fattualmente, di agirerealmente, nel mondo95 , e in un certo senso preannuncia lanecessaria presenza, nel circolo della comprensione, nonsolo dell’altro come destinatario o interlocutore privilegiato(e privato), ma degli altri come detentori di significato e dipossibilità (pubbliche) che vanno al di là dell’onnilegitti-mante io fenomenologico-trascendentale.

Oltre alla percezione, e su un piano diametricamente op-posto, Ricoeur aveva anche indagato la struttura e funzionedel sogno nella creazione e interpretazione della cultura. Ilsaggio su Freud, che risale al 1961-62, riguarda innanzituttoil linguaggio, ed è contemporaneo ai lavori sul simbolismodel male e su finitudine e colpa. L’ermeneutica di Ricoeurnasce in seno all’esistenzialismo e ne sviluppa in seguito lecomponenti che danno significazione non solo all’iocartesiano-husserliano, all’autocomprensione del sé, maanche e soprattutto alla comprensione del senso, alladisamina e ricostruzione dei significati che gli esseri di unasocietà si scambiano o si sono scambiati. Nel saggio su Freudegli ci offre una definizione di interpretazione e di simbolosulla base di una osservazione sulla natura del linguaggio comeessenzialmente duplice, doppia, biforcuta: le parole sono sem-pre distorte, nascondono il significato o ne hanno due allo

95 Diversamente dalla distanza e separazione che invece si invocavanonelle Ricerche Logiche e fino a molto tempo dopo le Ideen I.

148 Peter Carravetta

stesso tempo: non c’è da fidarsi. La teoria linguistica che nederiva è elementare, ma efficace e fruttuosa. In sintesi:

a symbol is a double-meaning linguisticexpression that requires an interpretation, andinterpretation is a work of understanding thataims as deciphering symbols. (1970:9)

Il simbolo non è inteso nel senso di Cassirer, per il qualela dimensione di mediazione universale connaturata allafunzione simbolica comprendeva sia la non-immediatezzadella nostra ricezione della realtà, sia la totalità di tutti ifenomeni dotati di significato. Ricoeur osserva che questafilosofia ingrandisce la nozione di simbolo fino a renderloindistinguibile dai concetti di realtà e di cultura. Quello cheinvece bisogna esplorare, e che mette in moto il procedi-mento ermeneutico, è precisamente la distinzione tra espres-sioni univoche ed espressioni plurivoche, su cui torneremopiù avanti. Ricoeur rielabora lo schema cassireriano intro-ducendo la nozione di segno come base o supporto concretodella significazione (che può quindi motivare sia l’espres-sione, sia la designazione di qualcosa: “signs already have aprimary, literal, manifest meaning” (1970a:13)), e si rivolgeal simbolo per poterne cogliere la sua specificità, la quale sitrova consistere innanzitutto nella capacità di dire qualcosain più, tipicamente nascosto ma sempre connesso a unarete di significati. Il simbolo è contrassegnato da un dualismodi fondo —analogo ma sovrastante quello del segno — chegli consente di farsi portatore di diversi significati: esso èinfatti semanticamente plurivoco. E il simbolo fa scattare l’in-terpretazione perché esige di essere interpretato,96 ha biso-96 Alcuni anni dopo, egli reitera: “Simbolo ed interpretazione divengo-no così concetti correlativi; c’è interpretazione là dove c’è senso mol-teplice, ed è nell’interpretazione che la plurità dei sensi è resa manife-sta.” (1977b [ma: 1965]:26, “Esistenza ed ermeneutica”).

Dei Parlanti 149

gno cioè di completare e realizzare la sua pienezza attraver-so la rimessa in moto in un insieme di possibili significatiche rivelano una struttura intenzionale.

Naturalmente, introducendo quest’ultima componente,siamo anche già al Ricoeur più recente (TR II:263-332)97 ,ma questo forse anche a testimonianza della continuità ecoerenza del pensatore francese.98 L’intenzionalità è dicerto una componente altrettanto basilare nell’ermeneu-tica di Ricoeur quanto la particolare nozione di simbolicoch’egli sviluppa e che inerisce alla medesima pratica del-l’interpretare: “to interpret is to understand a doublemeaning” (1970a:8). Come sappiamo, il simbolo ha sem-pre come minimo un doppio senso, uno convenzionale,l’altro alluso o mancante. L’ermeneutica quindi si configuracome disciplina sdoppiata a sua volta, poiché in quantoesegesi, analisi testuale, essa mira a decifrare espressioni equi-voche, in quanto costruzione di un discorso esplicativo e com-prensivo a un tempo indaga e conferisce significato al simbo-lo o simboli di un dato contesto. Perché, alla fin fine, si in-terpreta? si chiede Ricoeur. Per qualcuno, è ovvio, cioèvogliamo scambiare un discorso significativo con altri.Sullo sfondo si intravede già da adesso il connesso proble-ma del referente, del qualche-cosa di cui il discorso parla odel qualche-altro sul quale il discorso poggia per poterandare avanti. Il problema si risolveva in maniera deter-minata con la fenomenologia trascendentale del primoHusserl, dove ancora si poteva sperare di individuaremisurati noemi e stabili essenze, ma con l’attenzione allinguaggio e ai suoi modelli interpretativi, e la conseguente

97 Tutti i riferimenti ai tre volumi di Tempo e racconto verranno in-corporati nel nostro testo tramite l’indicazione TR seguito dal volumee pagina.98 Sulla “unità” del pensiero ricoeuriano dalla fenomenologia fino allibro sulla metafora ha insistito persuasivamente la Cazzullo.

150 Peter Carravetta

svolta verso una ermeneutica razionalista e storica a untempo, le cose si complicano.

3. Pluralità e compiti dell’interpretazione

Spartiacque, in questo panorama, è il volume Il conflittodelle interpretazioni. Qui Ricoeur effettua il passaggio de-finitivo dalla fenomenologia all’ermeneutica, e più precisa-mente incomincia a delineare quell’aspetto ontologico-esi-stenziale che sta a monte e a valle della sua nozione di lin-guaggio dell’intera trilogia Tempo e racconto. L’ermeneuticaattinge per un verso all’ontologia come luogo in cui le diver-se e contrastanti interpretazioni esistenti nella culturacontemporanea possano dispiegarsi, e per un altro versoalle diverse metodologie, l’economia del desiderio,l’esplicitazione di figure religiose. Ma se per mediare e con-ferire un senso ci rivolgiamo all’ermeneutica, cosa fare delproblema del significato di un testo o evento? Ora è qui chescopriamo che un termine che emerge e riemerge manmano che se ne possono dare tratti distintivi è proprio quel-lo di semantica. Ricoeur parlerà di un asse di riferimentoper tutto l’insieme del campo ermeneutico (1977b:25). Illuogo dove si pone la domanda sul significato diventa il ter-reno possibilitante per l’interazione tra segno e simbolo, co-stringendo il pensatore ad attuare una divisione (di campoe di metodo) tra il livello ermeneutico e il livello semantico.(1977b:77-92) A loro volta, questi si sdoppiano ulteriormen-te: il piano dell’ermeneutica si sdoppierà per dar conto siadella spiegazione sia della comprensione, mentre quello dellasemantica si articolerà in semantica lessicale e semanticastrutturale. Schematicamente:

Dei Parlanti 151

Bisogna seguire le due strade separatamente. Intantoperò ricordiamoci di tenere sullo sfondo la parte giocatadal soggetto, in cui si riannodano le varie componenti. Nelsaggio “Heidegger e la questione del soggetto,” (1977b:239-50), Ricoeur dimostra come non ci siano fratture radicalitra lo Heidegger di Sein und Zeit, in cui si dà preminenzaall’analisi dell’Esserci, e quello posteriore alla Kehre e chesi preoccupa del linguaggio come messa in opera dellaverità. Si potrebbe dire che l’analisi si sposta dall’esisten-ziale all’esistentivo, dalle strutture dalla distruzione delCogito come essere che pone se stesso (come principioepistemologico) e che è costretto a ignorare o dimentica-re la questione dell’essere (fondamento ontologico),99 al-l’articolazione di come l’essere venga al linguaggio, cherichiede comunque di fare i conti con un “io sono”: “IlDasein autentico nasce dalla risposta all’essere; rispon-dendo, esso preserva la forza dell’essere per mezzo dellaforza della parola” (1977b:250). Che si intenda come sub-stratum ossia come un raccogliere per farne “un basa-mento”, o come sub-jectum ossia come un io di fronte acui si dispiega l’oggettività degli enti, il soggetto pone ladomanda del chi di questo essere-al-mondo. Ciò dischiude

ERMENEUTICA SpiegazioneComprensione

SEMANTICA LessicoStruttura

99 Si vedano ne Il fantasma di Hermes i capitoli dedicati a Descartes ea Husserl, pag. 129-78 e 194-219 rispettivamente.

Figura 3Sdoppiamenti dell’Interpretare

152 Peter Carravetta

subito la possibilità dell’attribuzione di senso, la configu-razione dell’identità, e la dimensione di un dire che rima-ne precariamente sull’orlo del silenzio o dell’inascoltabile.All’epoca del mondo concepito come immagine (Ricoeurusa “quadro” per Bild), assumere o conferire una posizio-ne al soggetto esige che si dia una proposizione della rap-presentazione, del porre innanzi a sé (vor-stellen). Comesi vedrà in seguito, il chi è anche una funzione del dire, omeglio: del come si dice, del linguaggio che dà (un) sen-so, un orientamento specifico e circostanziato. In ognicaso, anche quando, come nell’ultimo Heidegger, si spo-sta l’asse (si direbbe semantico) dalla domanda all’ascol-to, dalla Urdichtung verso e attraverso la Gelassenheit, sitratta sempre di un dono della vita poetica e riflessiva chetrova il suo principio e fine nel dire, cioè nella messa in lin-guaggio, cioè ancora, la sua retoricità.

Ho fatto riferimento a questo saggio (del 1967-68) nonper vagliare l’interpretazione ricoeuriana di Heidegger,ma per sottolineare la costante preoccupazione, nel pen-satore francese, non solo di fondere fenomenologia edermeneutica, ma di affrontare di petto la messa in evi-denza del problema del linguaggio quando si tematizza ilsoggetto e il suo rapporto con l’interpretazione. Ciò vienefuori con maggiore forza in un altro intervento del mede-simo periodo, “La sfida della semiologia” (ora in 1977b:251-81), nel quale si rileva anche un particolare atteggiamen-to del filosofo che lo contraddistingue dai suoi contempo-ranei, anche all’interno della cosiddetta “ermeneuticametodica”.100 E cioè: non indietreggiare davanti alle pro-poste di una “verità senza soggetto”, né trincerarsi dietrogli assiomi delle proprie convinzioni, ma accettare la “sfi-da” delle molteplici proposte — emergenti in particolarenegli anni sessanta, sia in Francia che altrove — invitan-

100 Si veda su ciò le osservazioni di Jervolino 37-45.

Dei Parlanti 153

do la filosofia riflessiva “non a mantenersi identica a sestessa, respingendo gli assalti dell’avversario, ma ad ap-poggiarsi a lui, ad accoppiarsi con ciò che più la contesta”.(1977b:252)

Queste proposte, che si pongono in generale sotto l’egidadel segno, intendono mettere definitivamente in crisiqualsiasi riflessione sul soggetto, o del soggetto su se stes-so. Non sarebbe esagerato asserire che sin da allora Ricoeursi è cimentato costantemente con praticamente tutte leteorie e le metodologie linguistiche del novecento, in unaserrata indagine che ha poco dell’antagonismo che po-trebbe trapelare dalla frase sopracitata e molto dell’invitoa dialogare attraverso ordini semantici e prospettiveinterpretative non sempre permutabili o compatibili. Ead ogni tappa, osserviamo la riconsiderazione e riconfi-gurazione del proprio pensiero interpretante. Per caren-za di spazio, non ci addentreremo nella contestazione conla scuola psicanalitica,101 preferendo di soffermarci bre-vemente sulle osservazioni che riguardano l’allora dila-gante e a tutt’oggi ancora diffusa prospettiva semiotico-strutturale.

Ricoeur traccia le posizioni di base che caratterizzanola fenomenologia e il motivo per cui diventa il bersagliodella critica strutturalista. Egli osserva come le posizionihusserliane dovranno essere sviluppate in maniera daminimizzare la componente transcendentale, e si soffermain seguito sul contributo di Merleu-Ponty in merito alla

101 La quale non è più una riduzione alla coscienza, scrive Ricoeur, mauna “riduzione della coscienza” a sistemi di segni e di rappresentazio-ni che non hanno niente a che vedere con la coscienza del vissuto edella storia. A differenza dell’ermeneutica, in cui il momentodell’appropriazione è fondamentale, la psicoanalisi è secondo Ricoeurun’attività di costante espropriazione, in maniera che alla fine il sog-getto “vero” è proprio quello svuotato, incosciente, fantasmatico eirrimediabilmente “bugiardo”.

154 Peter Carravetta

costituzione del segno e alla sua componente, diciamocosì, corporale o in ogni caso di rilevanza per il “soggettoparlante” (1977b:262-4). Ma il razionalismo dualistico noncontempla uno spazio per il corpo, né per la nozione disoggetto. Di conseguenza lo strutturalismo linguistico im-pone una “sfida” alla filosofia del soggetto, la quale “con-siste nel fatto che la nozione di significazione è posta inun campo diverso da quello delle mire internazionali d’unsoggetto” (1977b:265, enfasi mia). La “sfida” lanciata dallostrutturalismo alla fenomenologia va raccolta, è chiaro,pena il rinchiudersi in desueti dogmatismi idealistici. Maè questo “campo diverso” che ci interessa.

In un altro suo importante saggio, “La struttura, la pa-rola, l’avvenimento”, (ora in 1977b:93-111, ma originalmen-te 1967),102 Ricoeur enuclea i postulati di base da cuimuove la sfida:

1. la dicotomia langue/parole;2. subordinazione del diacronico al sincronico;3. riduzione degli aspetti sostanziali del lin-guaggio ad aspetti formali; e4. citando Hjelmslev, “è scientificamente le-gittimo descrivere il linguaggio come se fosseessenzialmente una entità autonoma fatta didipendenze interne, in una parola, una strut-tura” (1977b:265).

102 In questo periodo Ricoeur è ancora disposto a salvaguardare laprimarietà della parola rispetto alla frase, ma questo solo nell’accezionein cui la parola, una volta che non è partecipe dell’avvenimento (o del-l’evento) della frase, può essere riutilizzata (1977b:107). Tuttavia, l’obiet-tivo di fondo resta sul “cammino...nel passare dalla chiusura dell’univer-so dei segni all’apertura del discorso” o ancora, “l’essenziale del linguag-gio comincia al di là della chiusura dei segni” (ib. 110), poiché “il ‘dire’ èquanto io chiamo l’apertura, anzi, ‘l’apertura permanente’ del linguag-gio” (ib. 111).

Dei Parlanti 155

Per cui il linguaggio, “non ha più un fuori, ha soltantoun dentro”. Il nocciolo della “sfida” consiste dunque inquesto, e cioè, che per la fenomenologia il linguaggio èmediazione, “consiste nel dire qualcosa su qualcosa; inquesto modo sfugge in direzione di ciò che dice, si superae si stabilisce in un movimento intenzionale di riferimen-to” (1977b:265). Delle tre componenti di base della feno-menologia, ossia la riduzione, il soggetto e la significa-zione, Ricoeur, che aveva in parte ridimensionato la pri-ma (spostando l’asse dall’io penso all’io sono) scopre ades-so che la sfida semiologica riguarda a tutti gli effetti ilrapporto tra la seconda e la terza componente, la neces-saria ma oramai “assente” correlazione tra soggetto esignificazione. Poiché, se la significazione diventa adessoun problema la cui giusta analisi, secondo la semiotica diispirazione fonologico-semiotico, è informata dalle quat-tro caratteristiche sopra elencanta, che ne è del soggetto?come può una ermeneutica realizzare il proprio compitose non si dà conto dell’incidenza del soggetto, della me-diazione, della possibilità dell’altro? A differenza però dellamaggior parte dei critici e filosofi che propendono peruna delle due tradizioni di pensiero ignorando l’altra,Ricoeur cercherà di continuo di sottoporre l’una, per esem-pio la fenomenologia, alle aperture interpretative dell’al-tra, per esempio la semiotica, e viceversa, modificandoed estendendo l’orizzonte di possibilità di entrambe.

Ci sarebbe da fare una disamina a un tempo parallela eintegrativa per ciò che riguarda la nozione di interpreta-zione e di testo ai fini di poter meglio comprendere comeil tortuoso itinerario ricoeuriano arrivi, anzi non può nonimbattersi, dopo la sfida semiologica, a ciò che io chiamola sfida della retorica. D’accordo con quanto abbiamo os-servato circa il suo atteggiamento verso i problemi dellinguaggio sollevati dalle varie scuole di linguistica, i sag-gi dei primi anni settanta offrono ampia evidenza di quanto

156 Peter Carravetta

Ricoeur cerchi diciamo così di “salvare” dalle punte piùimpegnate e radicali della filosofia del linguaggio.103 Que-sti elementi si vedrà saranno cruciali a una nozione diretorica che superi le aporie delle filosofie del linguaggioe si configuri come fondamento (teoria) e propedeutica(metodologia) dell’interpretazione. Nel saggio del 1972sulla “Creatività nel linguaggio”, per esempio, egli sisofferma sulla nozione, che risale a Humboldt, secondola quale il linguaggio è contraddistinto dall’uso infinito dimezzi finiti, per cui è la frase che rappresenta l’unità mi-nima del discorso, non più la parola. In quest’ambito vie-ne sollevata la dinamica della polisemia, inquadrata a metàtra l’ambiguità del linguaggio ordinario, e l’univocità deldiscorso scientifico. 104 Ma nello stesso contesto, sitematizza la metafora, e lo si fa con riferimento alla retori-ca classica. Secondo Ricoeur, il motivo per cui la retoricanon è riuscita a dare una spiegazione plausibile del pro-cesso che genera la metafora è radicato nell’esclusiva en-fasi accordata al nome. Come vedremo, egli scrive,

103 Si veda per esempio 1971b in cui si tiene di conto del contributodella scuola dell’”ordinary language philosophy” come propedeuticadifesa critica contro i linguaggi ideali o idealizzanti e come sfida allafenomonologia linguistica. Quest’ultima dovrà adesso rivolgersi conmaggior cognizione di causa all’uso del linguaggio e come ciò si ribaltisul problema dell’intenzionalità: “Inasmuch as ordinary languagediffers from an ideal language in that it has no fixed expressionsindependent of their contextual use, to understand discourse is tointerpret the actualizations of its polysemic values according to thepermissions and suggestions proposed by the context.” I terminiattualizzarsi, polisemia, contesto depongono a favore di una componen-te schiettamente retorica della comprensione.104 Questa tripartizione era stata già avanzata, sia pure entro un ambitonon ermeneutico, ma sempre come critica revisionistica dello struttu-ralismo, dall’ultimo Della Volpe.

Dei Parlanti 157

il processo metaforico occorre a un altro livel-lo, quello cioè della frase e del discorso in ge-nerale. Ecco perché la retorica poteva soloidentificare gli effetti della parola, l’impattolessicale, per così dire, e classificare la meta-fora alla stregua di altre figure come lametonimia, la sineddoche, l’ironia e via dicen-do. (1978:131)

Queste osservazioni sono centrali sia per comprenderel’obiettivo del libro, chiaramente già in gestazione, sullaMetafora viva, sia per inquadrare, parallelamente, lo svi-luppo della questione del testo e dell’interpretazione, allaquale momentaneamente ritorniamo.

4. Tra testo e azione

In un suo scritto del 1970, “Qu’est-ce qu’un texte”, leg-giamo che un testo, in quanto scrittura, sta alla parolacome la lettura sta all’interpretazione. Il testo non è meratrascrizione di un discorso anteriore, ma l’iscriversi di undiscorso che non è stato detto e che per l’appunto viene asostituirsi all’atto di parola. Non esiste un dialogo con untesto perchè, paradossalmente (ma anche: a rigor di logica)non c’è interlocuzione, e quindi non si può dire che il rappor-to scrittura-lettura sia un caso particolare del rapporto parla-re-rispondere. Il libro separa l’atto dello scrivere dall’attodella lettura, in certo senso vietandone la comunicazio-ne: il lettore è assente dalla messa in scena della scrittu-ra, dello scrivere, mentre lo scrittore è assente dall’espe-rienza della lettura. Il testo dunque è solo in apparenza ilparallelo del discorso parlato, mentre in effetti intersecala parola viva e la rimpiazza, istituendosi come suo dop-pio, o riflesso, o persino come fantasma. In questo senso,

158 Peter Carravetta

il testo contiene le intenzioni di un discorso ma al tempo stes-so è libero dalle costrizioni reali del discorso parlato. Quientra in scena la cruciale componente della referenza. Lafunzione referenziale si espleta come ciò di cui parla. Quiancora una volta Ricoeur sottolinea come sia la frase l’unitàsignificativa di base di qualsiasi discorso. Citando GustaveGuillaume, egli scrive che è attraverso la funzione refe-renziale che il linguaggio rimette di nuovo nel mondo queisegni (e dunque quei significati) che la funzione simbolicaaveva inizialmente separato o meglio strappato dalle cose.Possiamo schematizzare nel modo seguente:

SEMANTICA grammé/phoné MONDO

Funzione Referenziale

In una veloce ripicca all’ideologia del testo assoluto (i.e.:Derrida), Ricoeur sottolinea che il testo non può non ave-re una referenza extra-testuale, anzi, sarà proprio compi-to della lettura qua interpretazione di realizzare questareferenza o di mettere in evidenza i possibili luoghi diriferimento del senso. E se il discorso parlato mostra i suoipunti di riferimento, il testo scritto li dimostra e li ripre-senta (o rappresenta). In più, il testo è dotato di una suaforza o energia che sbocca nella sfera extra-testuale: poi-ché esso è “principally the production of discourse aswork”. (1979:219, enfasi mia) Ed eccoci alle porte del pro-blema dell’interpretazione come dinamica e scambio disegni/senso, diretta verso l’”esterno” e quindi come ine-vitabile mediazione, traduzione, versione.

Ripercorrendo velocemente alcuni capisaldi della sto-ria dell’ermeneutica in cui siamo messi in guardia da al-

Figura 4Connessioni tra Interpretare e Società/Individuo

Dei Parlanti 159

cuni eccessi di zelo quali per esempio il postulato, di stam-po psicologico, che si possa rifare a ritroso il camminodella produzione del testo e stabilire le “vere intenzioni”di un autore, Ricoeur non esita a ribadire che l’interpreta-zione è mediazione tra significati, valori e obiettivi che sifondano sulla dialettica io-altri (o, a un diverso livello, trasé e mondo). Di fronte a un testo, dunque, possiamo sce-gliere due strade: la prima, di ispirazione razionale/strut-turale, esige che si resti come sospesi di fronte al testo elo si tratti come se fosse senza mondo, un oggetto senzacreatore: in questo caso noi spieghiamo il testo in terminidei suoi rapporti interni, delle sue strutture, quali che si-ano i significati tecnici di questi due termini. La secondastrada invece ci consente anche di uscire da questo vuotoartificiale e realizzare il testo come discorso parlato, re-staurandone la sua viva dimensione reale e storica,evidenziandone le sue capacità di comunicazione, conce-dendoci, quindi, di comprenderlo. Infatti, la lettura del te-sto, in quanto interpretazione, esige sia la spiegazione chela comprensione. Ed è quest’ultima a rivendicare (o co-munque ad offrirci le possibilità critico-espositive per ri-portarci) le altre componenti che nella storia dell’erme-neutica sono state mano mano tematizzate come compre-senti al rapporto io-mondo e cioè: l’appropriazione, l’auto-referenzialità del soggetto interpretante, la connessionedialettica tra testo e discorso, l’attivazione di una serie diplausibili analogie tra sistemi formali e modalità esisten-ziali, sintassi e semantica, ripetizione e differenza, even-to e tradizione.105 E su queste ultime che si concentrerà ilfilosofo negli anni ottanta. Ma il punto cruciale, e che amio avviso getta le basi per il suo successivo lavoro, è che

105 Per l’individuazione di queste componenti e il loro complesso svi-luppo storico, si vedano le diverse ricostruzioni della evoluzione del-l’interpretazione di Gadamer, Gusdorf, Ferraris, e Szondi.

160 Peter Carravetta

l’interpretazione implica una costruzione, un agire e quindiun intervenire — modificandolo — nel mondo reale e stori-co in cui siamo calati. Quando, in un suo scritto del 1971(vedi 1971a), Ricoeur ci ricorda che il senso primario dellaparola “ermeneutica” riguarda le regole per la corretta inter-pretazione dei documenti scritti della nostra cultura, egliresta fedele al concetto di interpretazione elaborato daDilthey; infatti, laddove il Verstehen — comprensione, in-tendimento — poggia sulla ricognizione di ciò che un sog-getto estraneo intenda in base a un complesso di segni cheesprimono la vita psichica stessa, l’Auslegung — interpreta-zione, esegesi — implica qualcosa di più specifico, ossia unalimitata categoria di segni fissati dalla scrittura (e per esten-sione anche dai monumenti, in quanto qualcosa di stabile einalterabile). Posta questa distinzione che è terminologicae teoretica insieme, l’ipotesi da sviluppare viene stesa informa di una domanda: esistono dei problemi specifici sol-levati dal fatto che l’interpretazione riguarda testi scritti enon il linguaggio parlato?

Se questi problemi risultano investire l’intero progettodell’ermeneutica, allora le scienze umane (e, per esten-sione, la critica letteraria e l’analisi della cultura) si pos-sono dire ermeneutiche in quanto,

A) il loro “oggetto” esibisce dei tratti costitutividei testi in quanto testi, e,

B) in quanto la loro “metodologia” coinvolgeprocedure identiche a quelle della Auslegung,dell’interpretazione testuale.

In effetti, il problema si ricompone così: in che modo si␣ puòconsiderare la nozione di testo valido paradigma per il prete-so oggetto d’analisi delle scienze sociali, e ancora, fino a chepunto si può adoperare la metodologia dell’interpretazionedei testi per l’interpretazione generale delle scienze␣ umane?

Dei Parlanti 161

È qui che Ricoeur deve affettuare una cruciale mossaontologica: la distinzione preliminare tra linguaggio scrit-to e linguaggio parlato esige ch’egli ritorni ancora unavolta, sviluppandolo ulteriormente, sul concetto o termi-ne intermedio che comprenda entrambi, e cioè il discor-so. Ora la nozione di discorso deve per forza collocarsi aldi fuori di ciò che i linguisti — Ricoeur ricorda Saussure,Hjelmslev, Chomsky — intendono per codice linguisticoin quanto quest’ultimo è retto dal presupposto episte-mologico dualistico (tipo: langue-parole, schema-uso, com-petenza-performance), come abbiamo visto sopra. Ma viè un’altra linguistica, continua Ricoeur, che fa capo al-l’opera di E. Benveniste, la quale si fonda non sull’unitàfonologica o lessicale, ma sulla frase (“sentence”), la qua-le diventa l’elemento portante di una teoria del discorso.Schematicamente, i tratti basilari di questa posizione sonoriducibili a quattro voci:

1. Nel suo attualizzarsi, il discorso avviene in un presenteed è marcato temporalmente (mentre la linguistica delcodice è virtualmente “fuori del tempo”).

2. Laddove nella linguistica della langue non si dà sogget-to (anch’esso segno arbitrario, funzione), in questa no-zione di discorso si fa necessariamente riferimento aun soggetto (parlante, riconoscibile attraverso indica-tori come il pronome, ecc.) Quindi il discorso è autore-ferenziale, riflessivo di sé.

3. Laddove il segno nella lingua si riferisce esclusivamentead altri segni ed è carente di temporalità e di soggetto(o soggettività), il discorso è sempre parlare-di-qualco-sa: esso si riferisce a un mondo che intende descrivere,esprimere o rappresentare, e quindi anche interpreta-re. È‘ nel discorso che si attua la componente simbolicadel linguaggio umano, e in␣ cui si fa leva su ciò che si hain comune.

162 Peter Carravetta

4. Nella lingua si dà il codice segnico per la comunicazione,me è nella realtà del discorso che i messaggi vengonoeffettivamente scambiati: il discorso non presupponesolo un mondo, ma un altro o altri cui è destinato.

Ciò che caratterizza questo schema come predispostoall’ermeneutica di Tempo e racconto è che, presi tuttiinsieme, questi tratti definiscono un orizzonte entro cuicollocare, e giustificare, il senso di ulteriori componenti ecomportamenti i quali di per sé risulterebbero parziali epregiudicanti. Così formulato, l’Interpretare sembra rive-larsi come una ermeneutica a forte incidenza retorica fon-data sulla frase, e che riesce a spiegare diversi fenomenisimultaneamente:

a. l’evento del parlare concreto, materiale, la phonè;b. la sua iscrizione, grammé o il “detto dell’evento

del parlare”;c. la teoria degli enunciati verbali (in quanto appunto

enunciati, ossia locuzioni, che si fondano ancora unavolta sulla frase);

d. il noema del dire;e. la componente del vouloir-dire, sia essa quella occasio-

nale-situazionale implicita nel dialogo; infine,f. il fulcro su cui poggia il rapporto tra retorica e

interpretare: la referenzialità. Infatti il linguaggioè fondamentalmente un rapporto con il mondo, con unprogetto-gettato, con una rete di discorsi altriche parlano di qualcosa e/o per qualcuno.

Non è necessario continuare con l’esposizione dellamessa in pratica di questo modello. Per Ricoeur il faredell’individuo e l’azione sociale possono inquadrarsi allastregua della lettera scritta, come inesorabilmente sepa-rata dal suo agente, e può quindi — metodologicamente

Dei Parlanti 163

parlando — autonomizzarsi. Tuttavia ciò non vuol direche essa diventi neutrale o equiparabile a qualsiasi altroevento in maniera indiscriminata. È in funzione del qua-dro sopra abbozzato — cioè del chi esamina, per chi lo fa,perché lo fa, come si esprime, insomma, possiamo inter-polare, secondo il già esposto nostro presupposto di par-tenza, con riferimento a Individuo-e-Società, — che si devepassare attraverso le strettoie della scelta e del giudizio,della valutazione e dell’attribuzione di significato. PerRicoeur, almeno in questo contesto, la questione richiededi determinare la rilevanza e l’importanza in un ambitocritico in cui l’agire umano è concepito — metaforica-mente! — come “opera aperta”. Da qui il successivo pas-saggio (non in ordine ascendente o discendente, o in basea gerarchie di primarietà e secondarietà) dal comprende-re allo spiegare e, infine, chiudendo il circolo —ch’eglichiama “arco” —, di nuovo dalla spiegazione, alla reinte-grazione sincretica della comprensione.

5. Metafora e discorso

Molto più problematico, e meritevole di uno studio ap-profondito, è il libro La métaphore vive, del 1975, luogoin cui convergono stratificandosi i diversi interessi lin-guistici del filosofo. Per ciò che ci riguarda, qui Ricoeursembra svicolare su un terreno non eccessivamente radi-cale e in cui la tripartizione di fondo, ossia parola, frase, ediscorso, viene fatta corrispondere alle tre diverse bran-che chiamate, rispettivamente, retorica, semiotica-e/o-semantica, e infine ermeneutica. Per Ricoeur la metaforasi iscrive in uno spazio tra finzione e ridescrizione, percui essa in ultima istanza non è riducibile a nessuna delletre branche o aree menzionate, partecipando a tutte e tre,o essendo spiegabile secondo le regole di ognuna di esse.

164 Peter Carravetta

Negli otto studi del libro vengono prese in esame teoriedella metafora provenienti dal gruppo di Liegi, dalla criti-ca formalista, dalle varie branche della filosofia analitica,dalle diverse scuole di linguistica, dalla filosofia ermeneu-tica e dalla grammatologia. Tra i temi affrontati dal filoso-fo pertinenti al nostro discorso abbiamo la distinzionecentrale tra semiotica e semantica, la questione della ras-somiglianza, e il problema della referenza. La metaforatrova la giusta dimora nell’essenza della copula sottesa alverbo essere, e ciò è di grande portata speculativa. Infattila metafora sussume la nozione di schema, di modello, edi conseguenza introduce a una componente epistemo-logica. Ma vediamo da vicino.

Ci si ricorderà che Ricoeur, nella sua attenta lettura dellaPoetica, mette in rilievo come per Aristotele il fulcro sucui poggia la metafora è la lexis, la quale ha diverso svolgi-mento nella Retorica. La lexis rivela una doppia anima,quella di poter trasferire un significato, di poter cambiaregli schemi (skhêmata), per cui come metafora diventa unasua “struttura”; e quella di organizzazione del discorso,delle sue parti (mérê), cioè come “funzione”. Ricoeur os-serva come il testo aristoteliano è malleabile abbastanzaper suggerire nuove prospettive, per esempio, il terminelogos è utilizzato in maniera da sussumere sia la frase(nome + verbo) che la definizione (combinazioni dinomi), per cui la sua vera resa (e dunque senso), sarebbequello di locution. In quanto tale, egli recupera la dinami-ca dell’atto del discorso, la sua locuzionarietà nel senso diAustin, dall’interno di un logos concepito storicamentecome eloquenza. In più, egli nota il fatto che tra le ottoparti della lexis, quella del “verbo” è l’unico nome (onoma)contraddistinto dalla temporalità. Il filosofo si chiede senon sia il caso di attribuire maggior importanza al verboanziché al nome, e contempla la prospettiva di una “criti-ca allo status privilegiato del nome [su cui si fonda la me-

Dei Parlanti 165

tafora]” (1979:16). Ci sono altri spunti diciamo così“revisionistici” nello studio di Ricoeur, come quando os-serva che sebbene tra le caratteristiche della metafora cisia anche quella di essere la “sostituzione” di un nomeper uno allotrio, non per questo l’originale è più appro-priato, valido o veritiero: tutto ciò si spiega benissimo conuno sguardo alla storia (vedi Cap. 2), in cui la Retoricadiventa una tropologia, un allineamento tassonomico difigure tutto sommato ad uso sintattico o stilistico. Oppurequando la nozione di “prestito [lessicale]” coincide con loscreditare, nel pensiero moderno, la metafora in quanto,secondo una versione del passo 1457b7, “la metafora con-siste nell’attribuire un nome a una cosa che appartiene aqualcos’altro”, legittimando una distinzione tra una lexis“propria” o “significato corretto” e una “figurativa” o“incorretta”. Questo doppio registro fa da sfondo alle variesemantiche elaborate negli ultimi due secoli a forte incli-nazione razionale, analitica, positivista, e prevalentementein ambito angloamericano. Qui come altrove fedelissimoal testo originale — il che in parte spiega la sua prolissitàespositiva —, il pensatore vuole portare alla luce aspetti eproblemi passati inosservati o sotto silenzio nel corso del-la storia. Tra questi il problema della temporalità e dellareferenza esterna. Ma ci si arriva faticosamente. Per pri-mo, contro la tradizione tropologica (da Fontanier al Grup-po µ), egli nota che, anziché considerare la metafora comeuna “denominazione deviante”, bisognerebbe parlare diuna “predicazione impertinente”, di una “produzione disenso”, per cui l’asse interpretativo si sposta dal nome alverbo, e dalla struttura alla funzione (semantica oltrechésintattica). Così pure in un capitolo dedicato alla semanticadel discorso, Ricoeur introduce una distinzione, di cui l’in-terpretazione dovrà giovarsi, tra una teoria della tensioneo interazione (appunto semantica), e una teoria della so-stituzione (come nelle semiotiche del codice). In effetti

166 Peter Carravetta

egli sviluppa le letture critiche di Benveniste e di Richardse ridimensiona il contributo critico di Black, Ullman andla scuola di Liegi, per riproporre una teoria del discorso incui è la frase, o meglio, in italiano, il periodo sintattico, l’uni-tà di base sia per una semantica — in quanto si preserva lacomponente cognitiva, informativa, e inventiva dellametafora — che per una ermeneutica — poiché si può par-tire da un luogo linguistico contestualizzato che accogliele istanze temporali, predicative, mediatrici e storiche.

Per attuare l’ultimo passaggio, quello dalla semanticaall’ermeneutica (cf. Cap. 6), Ricoeur ancora una volta deveprendere le distanze da un altro dei grandi linguisti delsecolo, Roman Jakobson, contestandogli l’identificazionetra rassomiglianza e sostituzione. La crucialità di questadistinzione critica non può sottovalutarsi. A rigore dellemedesima logica che la informa, una semiotica struttura-lista considera la metafora uno spostamento sinonimico,una variante, una strategia per mettere in risalto una opiù delle funzioni del linguaggio tra emittente e riceven-te, ma in fondo non dotata di nuova o diversa informazio-ne da quella del messaggio che ricupera, sotto la metafo-ra, la parola appropriata, corretta, o scontata. Ma Ricoeuraveva sin dall’inizio della ricerca posto l’accento sulla di-namica dell’interazione tra campi semantici (determinatidall’onoma) distinti, cioè sulla produzione stessa del nomee del suo inevitabile senso. Ed è il venire alla luce delsenso che interessa. Ebbene, la rassomiglianza rompe conla teoria della sostituzione (che è principalmente radica-ta nella denotazione) perché, in base a una lettura di LeGuern, l’aspetto connotativo del discorso non sempre èisomorfico, addirittura la metafora stessa è contraddistinta,nel suo passaggio semantico, dal cambiamento nellaisotopia dei due termini. In altre parole, a differenza delparagone logico (giocato sull’analogia proporzionale), ilquale per definizione non fuoriesce dall’isotopia del con-

Dei Parlanti 167

testo — solo ciò che è paragonabile si può quantitati-vamente comparare — l’analogia semantica istituisce unrapporto tra un elemento che appartiene all’isotopia delcontesto e un elemento che è al di fuori di questa isotopiae perciò produce una immagine. (1979:186) Oltre a salva-guardare il ruolo formativo dell’immaginazione nella co-struzione di qualsiasi oggetto del sapere, Ricoeur sottoli-nea che con la rassomiglianza implicita nella metafora sievidenziano gli attributi dei predicati, e si (ri)dà nuovapertinenza a significati scontati. Anche quando si pren-dono in esame strategie e “trucchi” discorsivi rappresen-tanti le varie modalità del dire metaforico, come per esem-pio l’ossimoro — la morte vivente, l’oscura chiarezza —, ilsenso e valore dell’espressione non va misurato (o noneslusivamente) come contraddizione logica o controsen-so, ma come enunciato significante o significativo appuntoper aver accostato due termini il cui senso standard èimproponibile. E‘ ben vero che Aristotele (e in seguitoanche i latini) si cimentarono anche nel darci delle listeesemplari di come costruire e utilizzare le “buone meta-fore” (Rhet. 3:1404b3), e di come non abusarne, ma que-sta tendenza venne subito incanalata in quella filosofia oideologia che voleva la retorica come tassonomia di tropied esterna alla dialettica, al metodo, alla ricerca della ve-rità. In effetti, però, secondo Ricoeur il “dare senso,” il“costituire un significato” sono una caratteristica della me-tafora che antestà o è sottintesa alla stessa teoria dellasostituzione, poiché il controsenso, la contraddizione,l’associazione di opposti non sono che il rovescio di quel-la riconciliazione operata dall’atto di comprensione. (ib.195) Come effetto della predicazione, la rassomiglianza sisitua proprio in quello spazio che la contraddizione logi-ca (denotativa, statica, del nome) teneva separato, ma incui non poteva non lasciar trapelare una tensione o forza.All’atto della trasposizione, della trasferenza che associa

168 Peter Carravetta

e unisce idee distanti e aliene, all’epifora, fa seguito ladiafora, cioè la costruzione, l’ordinamento, l’articolarsinello spazio frammezzo, dischiudendo un suo momentoirriducibilmente discorsivo. Nello studio su “metafora ereferente,” Ricoeur dichiara finalmente che la semiotica èuna sottocategoria della semantica in quanto la prima sioccupa di differenze tra segni, mentre la seconda si pre-occupa del riferimento a un dominio extra-linguistico, unambito di cose chiamato il mondo. La sfida della semioticasi conclude così con la “sconfitta” o comunque radicaleripensamento della stessa, e la prospettiva di una nuovasfida, quella cioè della retorica.

Il salto dal regno del segno a quello del referente gliconsente di studiare la metafora sotto altra ottica, innan-zitutto in chiave filosofica, ossia con particolare attenzio-ne allo statuto ontologico della metafora, alle sue possibi-lità di dire il vero, o meglio, i fatti, secondo una accezionewittgensteiniana che implica il correlato di un atto predi-cativo (ib. 235). Il punto cruciale per noi consiste nell’as-sumere come centrale all’intendimento del discorso lapotenza molteplice della rassomiglianza racchiusa nellacopula: è la costituzione tensionale o tensiva del verboessere che riceve la marca grammaticale da “l’essere come”della similitudine referenziale ricavata dalla metafora,mentre la tensione tra uguale e altro è marcata dalla copularelazionale.106 Si può leggere sullo sfondo un tentativo divalorizzare il discorso come dimensione linguistica che ri-guarda profondamente il non-linguistico ossia gli altri aspettidella realtà che vanno tenuti di conto nell’interpretazione. Lametafora è portante in qualsiasi fase dell’enunciato, ma

106 Benché non menzionato in questo specifico contesto, si sente sullosfondo il Benveniste dei Problémes de linguistique générale, in par-ticolare i saggi dedicati al verbo essere, alla soggettività nel linguag-gio, alla nozione di persona e ai tempi grammaticali (nell’edizioneinglese 1971, cf. i capp. 16, 18, 19, e 21).

Dei Parlanti 169

non inficia la determinazione semantica a priori. Non sipuò fare uno sbalzo associativo e omologante tra metafo-ra e metafisica, come in parte fa Derrida (cf. cap. 8), poi-ché la filosofia diventata disciplina o campo formale ma-nifesta una sua autonomia. Qui Ricoeur, nel concludere ilformidabile libro, una vera “Critica della metafora”, tradi-sce il forte retaggio Kantiano e Husserliano, quando insi-ste che laddove l’imaginatio è il regno del simile, l’intellectiolo è dell’identico (ib. 301), innalzando quindi un muro trametafora e concetto in quanto ciascuno partecipe di undifferente livello e ordine di discorso.

E’, quest’ultimo, un limite anche dell’ermeneuticaricoeuriana,107 poiché dopo aver effettuato tutta una se-rie di passaggi integrativi e possibilitanti — come il riva-lutare l’elemento temporale del verbo, esplicitare la dop-pia dinamica della metafora, additare l’esigenza del refe-rente, ed enucleare la necessità dell’asimmetria o comun-que delle connessioni non isotopiche o isomorfe — egliinfine insiste sulla distinzione di fondo tra dimensionedella metafora e regno del concetto. E’ vero che, in quan-to copula, la metafora significa sia A “è come” B che A“non è” B (ib. 7), ma Ricoeur non effettua l’ulteriore pas-saggio, all’ipotesi che “è” coincida con “e”, come in partefa Heidegger. Sarebbe, quest’ultimo, uno sbalzo troppo ra-dicale, e secondo Ricoeur Heidegger non fornisce nessu-no spunto di critica storica o su come “ricondurre [all’]epistemologia delle scienze umane” (1981:68). L’appelload accettare una pluralità di modi di discorsi è seguitodall’affermazione, sorprendente a mio avviso, che “la fi-losofia non procede mai direttamente dalla poesia” e anzi,neanche “indirettamente” (ib.). Non è data spiegazioneper questa posizione. Inoltre, malgrado le letture micro-

107 Si vedano anche le riserve in merito a questa “rottura irriducibile”tra i due piani avanzate da Thomas P. Hohler.

170 Peter Carravetta

scopiche di diversi libri di retorica e l’esplicita intenzionedi rivalutarla come campo d’indagine, se non altro perchiarire come la linguistica e la semiotica moderne l’ave-vano dimezzata e condizionata ancora di più di quantonon lo fosse già in Aristotele, Ricoeur svolge la sua inda-gine sulla metafora passando dal livello della parola aquello della frase e infine a quello del discorso sulla basedi una gerarchia ascendente costituita dalla retorica, dal-la semiotica/semantica e infine dall’ermeneutica. In al-tre parole, l’aver conseguito, alla fine della ricerca, unsuperamento della interpretazione del mondo come sim-bolo verso una visione tripartita in cui interprete e autorestanno da parti diverse del testo, non approfitta fino infondo delle sue medesime constatazioni in merito allanatura del discorso. Poiché se la retorica va vista comelinguaggio vivente (e Ricoeur ha polemizzato contro i ri-cercatori di “metafore morte” già dal titolo del suo libro),ciò che egli chiama discorso mostra tratti essenzialmente“retorici”, come la “logica” sequenziale degli argomenti,la coerenza del referente, l’appoggio sul contesto, la pos-sibilità se non propensità all’invenzione, la motivazionedi persuadere, l’implicita dialettica verso un altro (perso-na). Si potrebbe dire che ai fini di salvaguardare la legitti-mità di “un modo di far filosofia”, egli ripensa la retoricama sul terreno suo “proprio” o della parola, il che vuoldire in pratica grammaticizzarla ancora una volta. Lanozione di retorica viene così fatta “rientrare” dove l’ave-va lasciata Aristotele, scienza delle figure dell’argomenta-zione, e storicamente tassonomia delle funzioni stilistiche.Questa incapacità di congiungere retorica ed ermeneuticaviene fuori nell’elaborazione del rapporto tra discorso etemporalità.

Dei Parlanti 171

6. Temporalità e costruzione della storia

Lo schematismo degli anni settanta,108 si ritrova, mutatismutantis, nel primo volume di Tempo e Racconto, in cuila tripartizione, essenziale alla nostra ricerca, tra PARO-LA, FRASE, DISCORSO, fa da sfondo alla nuovatematizzazione del tempo nel racconto e nella storia. Ri-troviamo qui inoltre ulteriore conferma alla nostra tesi dibase in vari luoghi — per esempio, nella sezione “Tempoe Racconto”, dove leggiamo:

La mia tesi è che la storia, anche la più lonta-na dalla forma narrativa, continua ad esserelegata alla comprensione narrativa medianteun legame di derivazione che si può ricostrui-re gradualmente mediante un metodo adegua-to. Questo metodo non dipende dalla meto-dologia delle scienze storiche109 bensì da unariflessione di secondo grado sulle condizioniultime di intelligibilità di una disciplina che,in forza della sua ambizione scientifica, tendea dimenticare il legame di derivazione checontinua comunque a preservare tacitamen-te la sua specificità come scienza storica.Tale tesi ha una immediata implicazione perciò che riguarda il tempo storico. Sono perfet-tamente convinto che lo storico abbia il privi-legio di costruire dei parametri temporali ade-

108 Mi riferisco in particolare ai sopramenzionati Conflitto, Freud, eMetaphore vive.109 Si pensi ai suoi commenti riguardo l’approccio positivista degli sto-rici francesi. Tuttavia, malgrado le riserve sulle tradizioni di stamposcientifico, l’elemento epistemologico non è mai dimenticato poichéesiste appunto un “sapere storico”.␣ ␣ ␣ ␣

172 Peter Carravetta

guati al suo oggetto e al suo metodo. Mi limitoa sostenere che il significato di tali costruzio-ni è preso a prestito, che deriva indirettamen-te da quello delle configurazioni narrative cheabbiamo descritto sotto il nome di MIMESISII110 e, mediante quest’ultima, si radica nellatemporalità caratteristica del mondo dell’azio-ne. La costruzione del tempo storico sarà unadelle principali poste in gioco del mio lavoro.(TR I:143-44)

Si intravede subito come alcune aporie lasciate in so-speso alla fine del libro sulla metafora sono qui sottopo-ste a un ulteriore sforzo di comprensione. Ma in vistadella ricerca che stiamo svolgendo in queste pagine, nonpossiamo che soffermarci su alcuni punti solamente. Perprima cosa, la retorica. Fedele all’Aristotele della Poetica(e della Retorica e della Fisica), Ricoeur non apre, peresempio, la Topica, né vi si trova, nelle mille a passa pa-gine, alcun riferimento a Erodoto, Cicerone, Orazio,Quintiliano, Valla, Machiavelli, Guicciardini, Hobbes,Humboldt, Ernesto Grassi e Paul de Man, a Vico un riferi-mento sfuggevole in nota, e ancor più sospetto nessunrimando a Derrida quando tratta della traccia (TR III:178-191). Questo elenco non è da intendersi come una gratui-ta critica, ma come campionario per illustrare che il pro-blema della retorica è stato trattato e profondamente dadiversi pensatori in diversi contesti storici, e per fare unaprima veloce ricognizione sulla diversa genealogia quitracciata. In questo ambito, però, ci sarebbe da precisare

110 Vedi Tempo 1:109, dove ritorna la questione della mediazione ne-cessaria, attuata per via del come-se, e l’ operazione di configurazioneche implica “costruzione” e “connessione” in vista di una “sintesi del-l’eterogeneo”.

Dei Parlanti 173

che sto lavorando entro un orizzonte in cui si pone sì ilproblema dell’enunciazione retorica ed esistenziale, edunque quello del tempo, ma non ancora quella della sto-ria in quanto tale.

Il nesso con il recente lavoro di Ricoeur, facilmente in-tuibile, è costituito dalla nozione di racconto, o meglio, ein funzione attiva e, appunto, temporale, del raccontare.É infatti da notare che uno dei pensatori con i quali Ricoeurentra in dialogo è proprio Paul Veyne, per il quale la sto-ria non-événementiel è costituita dagli eventi non ancorariconosciuti come tali: storia dei territori, delle mentali-tà, della pazzia o della ricerca della sicurezza attraverso isecoli.111 Si etichetterà dunque come “non-événementiella storicità di cui non abbiamo coscienza come tale” (cit.in TR I:256). Al di là della questione della cronologia, edella idea stessa di tempo, non più ritenuta essenzialeallo stesso intrigo, ciò rientra, dice il filosofo, nell’arcodella sua nozione di “sintesi dell’eterogeno” (ib. 110). Etuttavia, quando Veyne afferma che la storia “ha una cri-tica e una topica, non un metodo”, Ricoeur sdipana i con-cetti sottesi a questi termini ai fini di mostrare che infondo questa ipotesi non regge, che la necessità dei di-stinguo critici rimanda comunque alla vigilanza kantianasul maneggio dei propri concetti, per cui si può dire che ilnominalismo di Veyne è addirittura acritico, e che almassimo stiamo parlando di tipi ideali à la Weber, di stam-po euristico. Con ciò quando finalmente egli passa alladisamina della nozione di Topica, ne attua una letturariduttiva, come elenco di meri luoghi comuni, espedientiche permettono l’allungamento del questionario, “l’unico

111 Si veda di Paul Veyne Come si scrive la storia, trad. ital. 1973, p.xxv et infra; che si contrappone in parte alle posizioni di E.H. Carr, Seilezioni sulla storia , trad. ital. 1977, e H.-I. Marrou, La conoscenzastorica, trad. ital. 1962.

174 Peter Carravetta

progresso di cui la storia sia capace” (TR I:260), insisten-do su una visione appunto evolutiva e risolutiva dei variprocedimenti concettuali del passato. “Ma la topica”, sidomanda il filosofo, “resta racchiusa nell’euristica senzariversarsi sulla spiegazione?” Apparentemente no, in quan-to per la storia evenementielle, o strutturale, la topicapermette allo storico di distanziarsi dall’ottica delle fontie di concettualizzare gli eventi in modo diverso rispettoagli agenti storici o ai loro contemporanei, “e quindi dirazionalizzare la lettura del passato” (ibid.) Ma perché di-staccarsi tanto? perché questo preponderante esigenza di“razionalizzare”? perché non vedere nel “luogo comune”il luogo del darsi del linguaggio, l’aspetto eristico ancorprima che euristico, l’aspetto rivolto a un reale altro esse-re-nel-mondo? Anche se Veyne tentava di re-introdurrelo specifico umano (p. 258) [caso, causa materiale, liber-tà], per Ricoeur rimane suprema l’esigenza dell’intrigo,ovvero la necessità della costruzione e comprensione diintrighi — che vengono tematizzati nel secondo volumedi Tempo e Racconto — e che in qualche misura sfidanol’inenarrabile. Del primo volume ci torna utile latematizzazione, intesa come MIMESIS II, del come se afondamento dell’operazione di configurazione connaturataa qualsiasi narrazione, e in particolare al racconto di fin-zione. Per Ricoeur, sia il racconto di finzione112 che il rac-conto storiografico fanno perno sulla trasposizione delcome se, ma la referenza è incrociata in quanto la fictionpuò ricostruire eventi anche inesistenti, giocandoseli poinelle stratificazioni dell’intrigo, mentre la storiografia,benché anch’essa partecipe del lavorio di ri-simboliz-zazione e de-simbolizzazione, deve fare ricorso a tracce o

112 Racconto di finzione include tutto ciò che la critica letteraria inten-de come racconto popolare, epopea, tragedia, commedia e romanzo,ma con enfasi sulla “struttura temporale” (cf Tempo II:13 et infra).

Dei Parlanti 175

avvenimenti radicati nell’empiria. Il plenum che contie-ne le due diverse mediazioni è rappresentato dallatemporalità dell’agire umano.

7. Retorica incompiuta o infinita?

La figurazione o meglio, nel linguaggio di Ricoeur, lapratica del raccontare consente all’esperienza dell’agireumano di costituire un terzo tempo, un’immagine poeti-co-discorsiva sostanzialmente altra rispetto al tempo vis-suto della coscienza e al tempo cosmico. Ma questatemporalità è accessibile solo per via indiretta, il che co-stringe il filosofo ad addentrarsi nelle teorie della media-zione simbolica letteraria e nella narratologia. E tuttavia,questa temporalità a suo modo elusiva e potenzialmentefantasmatica, allegorica,113 si pone come anello di con-giunzione tra le aporie speculative e filosofiche del tem-po. Teniamo presente che sullo sfondo si agita il proble-ma di una nozione di ermeneutica fortemente radicatasul modello testuale — come abbiamo visto sopra — el’altrettanto forte esigenza di trovare uno sbocco praticoall’interpretazione dell’uomo, della sua condizione stori-ca e sociale e che concerne l’agire, una dimensione non-linguistica. Per cui diventa cruciale rilevare chi agisce, vistoche storia e racconto condividono in buona parte gli stes-si strumenti linguistici. Nella sintesi di Hohler (cit. 137),l’azione narrativa stabilisce una identità per l’individuo

113 In Carravetta 1991 il come se viene interpretato come il ponte teori-co e metodologico insieme che tipicamente dimentica (platonismodel razionalismo) che gli stessi riferimenti, cioè le stesse modalità lin-guistiche utilizzate per effettuare il passaggio semantico, sono anch’essedelle figure, e quindi implicitamente grumi di senso comprensibilisolo allegoricamente, come finzioni di significati marcati da rischio,tempo, luogo, e valori.

176 Peter Carravetta

all’interno di una data società, differenziando però tra l’ipsedi una identità narrativa e l’idem dell’identità sostantiva. Mal’ipseità, in virtù della sua appartenenza a un diverso domi-nio formale, assume una struttura temporale modellata sul-la dinamica della composizione del narrato stesso, a sua voltafondata sulla mimesi II, che ne garantisce la referenza con-creta. Questa identità non si può dire di appartenere a unacategoria teorica, e ri-configura per noi un agire, un vissuto,una identità concreta. Il “chi” insomma è radicato nella vita,nel pratico, nel dialogico. Si può dire che Ricoeur riannodiquindi i due piani, quello del concetto filosofico e quellodella metaforica poetica, attraverso la mimesi (II) della con-figurazione (I:109), la quale implica sia la “costruzione del-l’intrigo” (e quindi l’ordinamento dell’azione), sia la messain gioco di una “connessione” (rispetto a un sistema). Ilricongiungimento è assicurato anche dal fatto che la stessareferenza è comunque sempre co-referenza, dialogica o dialogale.(I:127-28) Sarebbe utile, ma chiaramente fuori posto in que-sta sede, vedere da vicino come Ricoeur tesse la sua tramaermeneutica attraverso serrate letture e ipotesi operativeche egli utilizza spesso in maniera quasi didattica.Non␣ diversamente che nel libro sulla metafora, anche nellatrilogia di␣ Tempo e racconto egli si misura pazientementecon tutta una␣ serie di scuole e di teorie, solo che qui ci tro-viamo a un␣ livello più alto o più ampio proprio in virtù delfatto che il nodo critico è costituito dal passaggio dalla fraseal discorso tout court. Ricoeur analizza i suoi autori, alcunidei quali abbiamo già visto l’occuparono in passato, comeLevi-Strauss, Propp, Bremond, Greimas, Genette, Weinrich,quasi sempre per trarne spunti operativi (o di metodo) perla sua ermeneutica nel momento stesso in cui ne critica leaporie e forti limiti (di teoria) interpretativi per le scienzeumane.

Ora anche a questo livello abbiamo visto che egli nonabbandona una distinzione di fondo tra il creativo e il cri-

Dei Parlanti 177

tico, tra il dominio dell’immagine e quello del concetto.Quando ritorna all’ambito filosofico e storico, in partico-lare nel terzo volume di Tempo e racconto, egli trovaspazio per un capitolo sulla retorica, ma questo non èmolto di più di una recensione alle opere di Wayne Boothe Michel Charles114 e il loro contributo a una teoria dellettore. Ma non è più il linguaggio in quanto tale che inte-ressa, né la sua scienza o riflessione filosofica (o rettorica),quanto alcuni referenti non-linguistici e la loro rilevanzaper l’interpretazione. Questi sono la responsabilità dellettore (del critico), la sua libertà, il suo esser necessariosia alla costituzione ontologica del testo, sia al processo diri-figurazione che informa l’interpretazione (TR III:241-78). Le osservazioni sulla dialettica della rifigurazione sonoutili e fruttuose (complementano quelle, anch’esse discus-se da Ricoeur, di Jauss e di Iser), ma servono solo a pre-parare all’incrocio chiasmico tra storia e finzione. Il ter-mine di arrivo rimane la questione della coscienza deltempo storico, con cui conclude il volume.

Ricoeur ha sostenuto che la retorica rimane il luogo di␣ in-contro tra finzione e storia, tra metafora e concetto, tra com-prensione e spiegazione, come possiamo leggere per esem-pio in un saggio dedicato espressamente all’argomento:

La scienza stessa, di fatto, è culturalmente ef-ficace solo attraverso la retorica, la qualeattinge alle risorse di comprensione depostenel linguaggio ordinario. E alla medesima fon-te ricorre l’ermeneutica allorché si rivolgeall’atopon del nostro orientamento nel mondoe si propone di portare a buon fine l’appro-priazione della tradizione. (1987:82)

114 The Rhetoric of Fiction (1961) e Rhétorique de la lecture (1977)rispettivamente.

178 Peter Carravetta

E tuttavia, non si ha l’impressione che egli consideri lamedesima disciplina dell’interpretazione una pratica in-trinsecamente retorica, o meglio, non eleva la retorica adisciplina filosofica, come per esempio faranno PaoloValesio ed Ernesto Grassi. Il che tradisce una sorta di ce-cità della visione, per usare la celebre frase-titolo di Paulde Man, in quanto nell’elaborazione della sua idea di di-scorso Ricoeur ha ripristinato, come elementi necessari epossibilitanti all’interpretazione o, secondo il nostro mo-dello, all’Interpretare,

a) l’ordinamento del testo-discorso,b)il contesto socio-storico,c) la consapevolezza delle diverse temporalità che si pos-

sono dare in un dato evento,d)la dialettica dell’azione o dell’agire umano, la quale

comprende sempre:i) la scelta,ii) la mediazione, eiii) la produzione di senso.

Si noti come elemento b e d rievocano Società e Inter-prete, e la componente c l’Opera. Ma bisogna subito direche tutti questi elementi si trovano non solo in Aristotele,ma anche in Cicerone, Quintiliano e nei retori umanisti.Tuttavia, in un’epoca in cui la regina della filosofia e cioèla metafisica sembra tramontare, e si prospetta un pro-fondo ripensamento dell’etica,115 la retorica dovrebbe dun-que ripensarsi come disciplina di base a tutte le branche delsapere e della riflessione in quanto essa riguarda l’altro delpolo dialogico, la società, la con-vivenza, la ri-creazione della

115 Qui ci sarebbe da commentare il volume di Ricoeur, Soi mêmecomme un autre, Parigi, Seuil, 1991, il quale tratta proprio dell’eticae dell’alterità.

Dei Parlanti 179

(propria) storia se non altro a livello di valori, di pretesti econtesti per uno scambio simbolico significativo. In questosenso si muovono anche alcune delle conclusioni delloSwearingen, il quale riscontra nell’opera di Ricoeur unaretorica a un tempo aperta al contesto, alle motivazionidietro un testo, all struttura del testo e a come è statointeso in passato. In più, le retorica, “historically, has beena weak hermeneutic model even though it attempts topredict audience responses to different rhetorical forms”.(Swearingen 269) L’unico limite di questo studio è di na-tura estrinseca, poiché esso fu scritto nel 1983 e non po-teva tener di conto Tempo e racconto; di conseguenza laretorica di Ricoeur è studiata in termini di testualità. Allafine troviamo questa caratterizzazione: “Rhetoric anddiscourse, at the level of theory, are approaching a pointof merger”. (ib.)

Quello che ci interessa rilevare, in conclusione, èl’interpenetrarsi e necessaria co-incidenza, tra teoria genera-le dell’essere (del linguaggio, della storia) e metodo applicato,o se vogliamo, praxis, messa-in-esposizione, realizzazione. Inpiù, abbiamo visto i diversi tentativi di venire a capo diuna nozione di linguaggio ad un tempo integrativa e mol-teplice, che riscatta il ruolo attivo dell’immaginazione neldecorso storico. La linguistica medesima non sarà più,per Ricoeur e molti altri suoi studenti e seguaci, quellabasata sulla parola, l’identità, la metà presente o assentedel segno, ma quella del discours, cioè della frase, del ri-conoscimento della non-totalizzazione dell’enunciato,proponendoci una linguistica debolmente retoricizzata inchiave appunto cognitiva-interpretativa, rispettosa dellaalterità come messa in atto, essere-lì e essere-con, e capaceinoltre di ricuperare e/o ricavare l’esperienza temporale-interpersonale del significato.