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Paola Rocchi «La scrittura che pensa»: Pasolini, Zanzotto, Morante e Sciascia alla «prova del saggio» Webinar, 22 aprile 2020

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Paola Rocchi

«La scrittura che pensa»: Pasolini, Zanzotto, Morante e Sciascia alla «prova del saggio»

Webinar, 22 aprile 2020

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Il webinar si propone di affrontare la pra$cabilità dida-ca del «saggio d’autore» nell’insegnamento della le4eratura italiana a scuola. Genere dalla natura ibrida e dai confini costantemente mutevoli, il saggio è una =pologia testuale =pica del Novecento, secolo portato a una scri4ura riflessiva e autocosciente. La sua pervasività è visibile nelle forme del romanzo novecentesco (il « romanzo-saggio »), nella tendenza assai diffusa tra i poe= ad autogius=ficare le proprie scelte e perfino ad autocommentare la propria produzione lirica, ma sopra4u4o nella fioritura del genere in sé, che può arrivare ad assumere una sua specificità e un valore le4erario autonomo.

Poco frequentato nell’insegnamento a scuola, anche se raccomandato in coda alle Indicazioni nazionali per l’Italiano del V anno nei licei, può rivelarsi un campo interessante per esplorare le diverse forme che la scri:ura saggis$ca ha assunto nel corso del XX secolo e per ricostruire il profilo dell’autore, in relazione tanto alla sua «visione del mondo» che al suo rapporto con i grandi temi del diba-to

culturale e sociale contemporaneo.

Per circoscrivere una materia così ampia, si sono scel= qua4ro autori rappresenta=vi del canone del secondo ‘900: Pasolini, Zanzo:o, Morante e Sciascia. Più in par=colare, di Pasolini si prenderanno in esame Scri% corsari e/o Le,ere luterane; di Zanzo4o, gli scriX di Luoghi e paesaggi; di Morante, Pro o contro la bomba atomica; di Sciascia, Cruciverba.

Da queste raccolte saranno seleziona= alcuni esempi di scri4ura saggis=ca, se ne rileveranno i traX dis=n=vi, lo s=le, le finalità e i temi, e se ne discuterà il possibile u=lizzo didaXco tanto in relazione allo studio della le4eratura che come riflessione sulle strategie linguis=co-espressive e argomenta=ve.

Nel corso del webinar saranno inoltre illustrate le cara:eris$che generali del genere saggis=co, si farà cenno alle altre autrici e agli altri autori che lo hanno sperimentato nella le4eratura italiana del ‘900, e sarà fornita una bibliografia di base. Per quanto riguarda l’aspe4o didaXco, oltre al lavoro sui tes= degli autori presi in esame, si definirà una mappa delle competenze di

le:ura e di scri:ura (in par=colare argomenta=va) aXvabili a par=re dai tes= analizza=.

Nel corso del webinar saranno forni= materiali e potranno essere proposte esercitazioni ai partecipan=.

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Obiettivi• Definire =pologia e cara4eri della scri4ura saggis=ca • Cogliere le relazioni tra scri4ura saggis=ca e ruolo dello scri4ore nel secondo

Novecento • Approfondire aspeX e temi della cultura del secondo Novecento • Definire e declinare le competenze di le4ura, comprensione e analisi di un testo

saggis=co e argomenta=vo (anche in relazione alle =pologie A e B dell’Esame di Stato)

• Sperimentare tecniche di scri4ura saggis=co-argomenta=va a par=re dai modelli analizza= (anche in relazione alle =pologie A e B dell’Esame di Stato)

• Analizzare il saggio come occasione per una didaXca pluri- e interdisciplinare (anche in relazione al colloquio dell’Esame di Stato)

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PUNTI DI PARTENZA

Genere pervasivo ma di difficile definizione, sfuggente e mutevole: COS’È il saggio?Origine di complessa identificazione: QUANDO nasce come genere riconoscibile?Rapporto tra saggio e letteratura: QUAL È IL CONFINE che distingue il saggio come GENERE DI DISCORSO e GENERE LETTERARIO?IN QUALE EPOCA il saggio si viene definendo come GENERE LETTERARIO adottato dagli scrittori in relazione, in appoggio o sostituzione dei generi tradizionali?QUALE SPAZIO può avere la scrittura saggistica nello sviluppo delle competenze letterarie a scuola [vd COMPÌTA]?QUALI CONVERGENZE [vd Ceserani] e QUALI INTERCONNESIONI consente su un piano didattico?

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COS’È IL SAGGIO?

Possiamo definire saggistica quel genere letterario in cui la situazione empirica di chi scrive e il fine pratico della scrittura (fine comunicativo, persuasivo, descrittivo, polemico) sono i primi responsabili dell’organizzazione stilistica del testo.

invenzione letteraria

riferimento alla realtà empirica

impegno alla coerenza razionale

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CARATTERISTICHE DI GENERE

• Nel saggio l’invenzione letteraria - per quanto esistente - non interrompe mai la convenzione comunicativa, persuasiva e pratica né può abbandonare l’impegno razionale e il riferimento realistico:

«Anche quando inventa o ipotizza nel modo più libero, il saggista vuole essere preso alla lettera, tiene aperta la comunicazione fra testo e orizzonte pratico, fra testo e contesto» (A. Berardinelli, 1986).• Imprescindibile l’aspetto riflessivo e argomentativo anche a partire da una

dimensione vissuta da chi scrive e dall’orizzonte comunicativo• Codificazione debole libertà tematica e varietà stilistica

(presenza di elementi narrativi, dialogici, ecc.)• Genere camaleontico: «modellato […] più dalla sua funzione attuale che dalla

sua tradizione» (Idem, 1986)

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CARATTERISTICHE DELLA SCRITTURA SAGGISTICA

Occasionalità: lo scrittore è libero di scegliere un argomento e di passare da un argomento all’altro (effetto sulla forma aperta, che accoglie la contraddittorietà e frammentarietà del reale)

Soggettività: assunzione di un punto di vista soggettivo, singolare (valorizzazione del piano esperienziale), minor tasso di astrazione ma anche confronto con il punto di vista altrui

Argomentazione: l’opinione, il giudizio va esposto in modo che i concetti «si reggano a vicenda e che ciascuno riceva la propria precisa articolazione soltanto dalle figurazioni che forma nel rapporto con gli altri» (Adorno, 1979)

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CARATTERISTICHE DELLA SCRITTURA SAGGISTICA

Dialogicità: l’intento persuasivo intrinseco al saggio implica un rivolgersi a qualcuno da convincere (passaggio dalla dimensione singolare a quella plurale e sociale) e una dialettica basata sul confronto

Responsabilità: il carattere individuale della scrittura saggistica esige forme interne di controllo etico, una riflessione onesta che si fonda su autocoscienza e impegno

Interdisciplinarietà: il saggio, genere aperto e duttile, può unire campi di studio lontani, ibridare diversi generi

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UNA PRIMA CONCLUSIONE

«Il saggio è anzitutto il genere letterario del pensiero critico […] crescita storica dell’individuo moderno, ma anche della pubblica discussione e della ragione critica applicata a temi di interesse collettivo» (Berardinelli, 2007)

Obbliga il lettore a:• verificare ogni affermazione• ragionare con la propria testa• operare confronti tra quanto letto e la propria esperienza• controllare e interpretare dati e affermazioni.

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ALLE ORIGINI DEL GENERE SAGGISTICO

• Francis BACON (1561-1626)

• Michel de MONTAIGNE (1533–1592)

• Nel corso del 1700 si mescola con altre forme di scrittura (lettera, resoconto di viaggio, abbozzo filosofico, satira, critica letteraria) accentuando l’aspetto occasionale, divagante, antisistematica

• Friedrich SCHILLER, Sulla poesia ingenua e sentimentale (1795-96)

• Charles Augustin SAINTE-BEUVE (1804-1869)

• Søren Aabye KIERKEGAARD (1813-1855)

• Francesco DE SANCTIS, Giosue CARDUCCI

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IL NOVECENTO: SECOLO DEL SAGGIO?

•Secolo di crisi dei generi letterari tradizionali (lirica e romanzo)

•Secolo di esperimenti: ibridazione dei generi letterari ma anche contestazione e rifiuto dei generi tradizionali

•Nascono forme come il romanzo-saggio (Pirandello, Proust, Musil, Kafka, Gadda)

•Molti poeti sentono il bisogno di sostenere « dall’esterno » la loro produzione con scritti saggistici (Valéry, Eliot, Ungaretti, Montale, ecc.) o con vere e proprie forme di autocommento (Montale stesso e Saba)

•La nascita delle Avanguardie è accompagnata da scritti teorici e di propaganda finalizzati a spiegare e dare forza alle scelte controcorrente

•Proliferazione di scritti giornalistici, scientifico-accademici, filosofici, etico-politici ecc. (es.: R. Serra, E. Cecchi, B. Croce, C. Michelstaedter, G. Salvemini, P. Gobetti, A. Gramsci, G. Debenedetti, A. Savinio, R. Longhi, ecc.)

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LO SCENARIO DEL SECONDO NOVECENTO

Secondo dopoguerra:

• Nuovo senso di responsabilità sociale degli scrittori• Riflessione critica e impegno rispetto al «fare letterario»• Assumere posizione è compito specifico dell’intellettuale militante e del

critico militante• Riviste e periodici si fanno strumenti del dibattito culturale• Il saggio si pone in modo decisivo come il genere della contaminazione e

della mescolanza (sul piano tematico e stilistico) e dell’autocoscienza e dell’impegno (sul piano etico-intellettuale)

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LA LETTERARIETÀ

• Maggiore è la sua diffusione in vari ambiti, più urgente la necessità di definire i confini del «letterario»: quando il saggio da «genere del discorso» si propone come «genere letterario?»

• Un ruolo importante ha la consapevolezza da parte di uno scrittore nell’adottare il saggio come forma linguistica e stilistica specifica

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Tra saggio e letteratura nel secondo ‘900

Difficile la scelta all’interno di un panorama variegato e molto stimolante: quasi tutti i più rappresentativi scrittori del secondo dopoguerra hanno sperimentato con grande libertà e varietà d’approccio la scrittura saggistica.

In molti casi, il saggio si ibrida con altri generi dando luogo ad esiti di scrittura contaminata e mutevole, con sconfinamenti letterari di notevole interesse.

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Cesare Pavese, Il mestiere di vivere (1935-50; pubbl. 1952)

Opera complessa, vero e proprio zibaldone di pensieri, si colloca all’incrocio di vari generi: • riflessioni• descrizioni• escursioni in ambiti vari

(linguistica, filosofia, critica letteraria ecc.)

• spesso in forma aforistica• “work in progress”.

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Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli (pubbl. 1945)

Resoconto, a metà tra reportage autobiografico e saggio, del periodo vissuto al confino in Lucania tra il 1935 e il 1936.

Composto tra il 1943 e il 1944, si colloca all’incrocio tra la prosa d’arte e la saggistica impegnata a livello politico, con aperture verso il saggio etno-antropologico.

Analisi lucida e razionale del rapporto tra la dimensione mitica del mondo contadino e la storia.

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Carlo Emilio Gadda, Eros e Priapo (scritto tra 1944 e 1945; pubbl. nel 1967)

Ancora un testo ibrido, ricco di contaminazioni:saggioarringamemorialenarrazione pamphletLa corrosiva analisi di Gadda mette a nudo la natura più profonda del fascismo e lancia il suo J’accuse

corrosiva analisi di Gaddacorrosiva analisi di Gadda

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Natalia Ginzburg, Le piccole virtù (1953)

Le piccole virtù è una raccolta di abbozzi, riflessioni e riproduzioni di situazioni, ambienti, persone che appartenevano alla dimensione biografica della scrittrice.

Grazie allo stile diretto, comunicativo e acuto,il saggio diventa una pagina d’arte a tutti gli effetti.

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Elio Vittorini, Diario in pubblico (1957)

Riunisce scritti per lo più già apparsi in rivista dal 1929 al 1956Vittorini raccoglie testi e articoli e li riorganizza montandoli in modo inedito.Grazie a questo lavoro un insieme di saggi diventa:"romanzo di idee [...] di un intellettuale italiano in lotta, a dispetto della propria stessa inclinazione al lirismo e alla felicità, per la rifondazione di un rapporto difficile, quasi impossibile, se non addirittura proibito fra letteratura che non cambia e realtà che cambia".

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Anna Maria Ortese, Il mare non bagna Napoli (1967)

Raccolta di prose e racconti che frutterà alla scrittrice una polemica celebrità

La descrizione a metà tra narrazione, reportage-inchiesta e saggio invita politici e intellettuali a rivolgere l'attenzione ancora una volta alla situazione di Napoli, dopo l’unificazione prima e l’ industrializzazione e la speculazione edilizia poi.

La descrizione della realtà sociale e umana del grande edificio dei Granili, antica caserma borbonica occupata da migliaia di sfollati, colpì a tal punto il Presidente della repubblica del tempo, Luigi Einaudi, da spingerlo a ordinarne l’evacuazione immediata.

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Italo Calvino, La giornata d’uno scrutatore (1963); Palomar (1984)

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Umberto Eco, Il nome della rosa, 1980; Postille al Nome della rosa, 1983)

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Page 23: «La scrittura che pensa»: Pasolini, Zanzotto, Morante e ......Per circoscrivere una materia così ampia, si sono scel= qua4ro autori rappresenta=vi del canone del secondo ‘900:

Guido Ceronetti, Un viaggio in Italia, 1983; Albergo Italia, 1985

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Claudio MagrisClaudio Magris

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Pier Vittorio Tondelli,Un weekend postmoderno. Cronache dagli anni ottanta (1990)

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Il saggio come presa di posizione e analisi critica

Franco Fortini, Verifica dei poteri (1965)Eugenio Montale, Auto da fé (1966)Giorgio Manganelli, La letteratura come menzogna (1967)Italo Calvino, La sfida al labirinto (1962); Una pietra sopra (1980); Lezioni americane (1988)Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari (1975); Lettere luterane (1976); Descrizioni di descrizioni (1976)Primo Levi, L’altrui mestiere (1985); I sommersi e i salvati (1986)Elsa Morante, Pro e contro la bomba atomica (1987)Leonardo Sciascia, La corda pazza (1970); Cruciverba (1983); Fatti diversi di storia letteraria e civile (1989); A futura memoria (1989)Umberto Eco, Opera aperta (1962); Diario minimo (1963), Apocalittici e integrati (1964) fino a Lector in fabula (1979)

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Un’applicazione didattica

Pier Paolo Pasolini e il « saggismo poetico »

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Pasolini e la saggistica

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Pasolini e la saggistica

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Pasolini e la saggistica

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Pasolini con dei bambini delle borgate romane, Henri Cartier-Bresson, 1959

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Il pianto della scavatrice (da Le ceneri di Gramsci, 1957)Il pianto della scavatriceIl pianto della scavatrice (da Il pianto della scavatrice (da Il pianto della scavatrice Le ceneri di Gramsci, 1957)Gramsci, 1957)Gramsci

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SUNT LACRIMAE RERUM

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Pasolini e la saggistica

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Nei primi anni Sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna,

a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono

cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo

pochi anni le lucciole non c’erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante,

del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi

giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta.)

Quel “qualcosa” che è accaduto una decina di anni fa lo chiamerò dunque “scomparsa

delle lucciole” […]

Dopo la scomparsa delle lucciole. I “valori”, nazionalizzati e quindi falsificati, del vecchio

universo agricolo e paleocapitalistico, di colpo non contano più. Chiesa, patria, famiglia,

obbedienza, ordine, risparmio, moralità non contano più. E non servono neanche più in

quanto falsi. Essi sopravvivono nel clericofascismo emarginato (anche il Msi in sostanza li

ripudia).

La scomparsa delle lucciole (« Corriere della Sera», 1° febbraio 1975)

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Questa esperienza è stata fatta già da altri Stati. Ma in Italia essa è del tutto particolare, perché si tratta

della prima “unificazione” reale subita dal nostro paese; mentre negli altri paesi essa si sovrappone, con una

certa logica, alla unificazione monarchica e alla ulteriore unificazione della rivoluzione borghese e

industriale. Il trauma italiano del contatto tra l’ “arcaicità” pluralistica e il livellamento industriale ha forse un

solo precedente: la Germania prima di Hitler. Anche qui i valori delle diverse culture particolaristiche sono

stati distrutti dalla violenta omologazione dell’industrializzazione: con la conseguente formazione di

quelle enormi masse, non più antiche (contadine, artigiane) e non ancora moderne (borghesi), che hanno

costituito il selvaggio, aberrante, imponderabile corpo delle truppe naziste. In Italia sta succedendo

qualcosa di simile: e con ancora maggiore violenza, poiché l’industrializzazione degli anni settanta

costituisce una “mutazione” decisiva anche rispetto a quella tedesca di cinquant’anni fa. Non siamo più di

fronte, come tutti ormai sanno, a “tempi nuovi”, ma a una nuova epoca della storia umana: di quella storia

umana le cui scadenze sono millenaristiche. Era impossibile che gli italiani reagissero peggio di così a tale

trauma storico. Essi sono divenuti in pochi anni (specie nel centro-sud) un popolo degenerato, ridicolo,

mostruoso, criminale. […]

Ho visto dunque “coi miei sensi” il comportamento coatto del potere dei consumi ricreare e deformare la

coscienza del popolo italiano, fino a una irreversibile degradazione. Cosa che non era accaduta durante il

fascismo fascista, periodo in cui il comportamento era completamente dissociato dalla coscienza.

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PUNTI CARDINE DEL RAGIONAMENTO

1. Nei primi anni Sessanta, i “valori”, nazionalizzati e quindi falsificati, del vecchio universo

agricolo e paleocapitalistico, di colpo non contano più. Chiesa, patria, famiglia, obbedienza,

ordine, risparmio, moralità non contano più. E non servono neanche più (la scomparsa delle

lucciole).

2. A sostituirli sono i valori di un nuovo tipo di civiltà, totalmente “altra” rispetto alla civiltà

contadina e paleoindustriale: la società dei consumi di massa. in Italia questo processo è stato

particolarmente traumatico in quanto ha visto un contatto improvviso e senza mediazioni tra l’

“arcaicità” pluralistica e il livellamento industriale (cfr. con quanto avvenuto in atri paesi e il

“caso” della Germania nazista).

3. L’avvento della società dei consumi e di massa ha prodotto una violenta omologazione che ha

determinato una profonda mutazione e deformazione della coscienza del popolo italiano.

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ACCULTURAZIONE E ACCULTURAZIONE («Sfida ai dirigenti della televisione », CdS, 9 dicembre 1973)Mol$ lamentano (in questo frangente dell'austerity) i disagi dovu= alla mancanza di una vita sociale e culturale organizzata furi dal Centro "ca-vo" nelle periferie

"buone" (viste come dormitori senza verde, senza servizi, senza autonomia, senza più reali rappor= umani). Lamento retorico. Se infaX ciò di cui nelle periferie si

lamenta la mancanza ci fosse, esso sarebbe comunque organizzato dal Centro. Quello stesso Centro che, in pochi anni, ha distru4o tu4e le culture periferiche dalle quali - appunto fino a pochi anni fa - era assicurata una vita propria sostanzialmente libera, anche alle periferie più povere e addiri4ura miserabili. Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fa4o il centralismo della civiltà dei consumi. Le varie culture par$colari (contadine, so4oproletarie, operaie) con=nuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro an=chi modelli: la repressione si limitava ad o4enere la loro adesione a parole. Oggi al contrario, l'adesione ai modelli impos= dal Centro, è totale e incondizionata. Si può dunque affermare che la "tolleranza" della

ideologia edonis$ca voluta dal nuovo potere è la peggiore delle repressioni della

storia umana.

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Come si è potuta esercitare tale repressione?

A4raverso due rivoluzioni interne all'organizzazione borghese: la rivoluzione delle infrastru:ure e la rivoluzione del sistema di informazione. Le strade, la motorizzazione ecc. hanno ormai stre4amente unito la periferia al Centro, abolendo ogni distanza materiale. Ma la rivoluzione del sistema d'informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato in sé l'intero paese, che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un'opera di omologazione distru:rice di ogni auten=cità e concretezza. Ha imposto cioè - come dicevo - i suoi modelli volu= dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un "uomo che consuma", ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neolaico, ciecamente dimen=co di ogni valore umanis=co e ciecamente estraneo alle scienze umane. L'antecedente ideologia voluta e imposta dal potere era, come si sa, la religione: e il ca4olicesimo, infaX, era formalmente l'unico fenomeno culturale che "omologava" gli italiani. Ora esso è diventato concorrente di quel nuovo fenomeno culturale "omologatore" che è l'edonismo di massa: e, come concorrente, il nuovo potere già da qualche anno ha cominciato a liquidarlo.

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Non c'è infaX niente di religioso nel modello del Giovane Uomo e della Giovane Donna propos= e impos= dalla televisione. Essi sono due Persone che avvalorano la vita solo a:raverso i suoi Beni di

consumo (e, s'intende, vanno ancora a messa la domenica: in macchina) gli italiani hanno acce4ato con entusiasmo questo nuovo modello che la televisione impone loro secondo le norme della Produzione creatrice di benessere (o, meglio, di salvezza dalla miseria). Lo hanno acce:ato: ma

sono davvero in grado di realizzarlo?

No. O lo realizzano materialmente solo in parte, diventandone la caricatura, o non riescono a realizzarlo che in misura così minima da diventarne viXme. Frustrazione o addiri:ura ansia

nevro$ca sono ormai sta$ d'animo colle-vi. Per esempio, i so4oproletari, fino a pochi anni fa rispe4avano la cultura e non si vergognavano della propria ignoranza. Anzi, erano fieri del proprio modello popolare di analfabe= in possesso però del mistero della realtà. Guardavano con un certo disprezzo spavaldo i "figli di papà", i piccoli borghesi, da cui si dissociavano, anche quando erano costreX a servirli. Adesso, al contrario, essi cominciano a vergognarsi della propria ignoranza: hanno abiurato al proprio modello culturale (i giovanissimi non lo ricordano neanche più, l'hanno completamente perduto), e il nuovo modello che cercano di imitare non prevede l'analfabe=smo e la rozzezza. I ragazzi so4oproletari - umilia= - cancellano nella loro carta d'iden=tà il termine del loro mes=ere, per sos=tuirlo con la qualifica di "studente".

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Naturalmente, da quando hanno cominciato a vergognarsi della loro ignoranza, hanno cominciato anche a disprezzare la cultura (cara4eris=ca piccolo borghese, che essi hanno sùbito per mimesi). Nel tempo stesso, il ragazzo piccolo borghese, nell'adeguarsi al modello "televisivo" - che, essendo la sua stessa classe a creare e a volere, gli è sostanzialmente naturale - diviene stranamente rozzo e infelice. Se i so:oproletari si sono imborghesi$, i borghesi si sono so:oproletarizza$. La cultura che essi producono, essendo di cara:ere tecnologico e stre:amente pragma$co, impedisce al vecchio "uomo" che è ancora in loro di svilupparsi. Da ciò deriva una specie di ra4rappimento delle facoltà intelle4uali e morali. La responsabilità della televisione, in tu:o questo, è enorme. Non certo in quanto "mezzo tecnico", ma in quanto strumento del potere e potere essa stessa. Essa non è soltanto un luogo a4raverso cui passano i messaggi, ma è un centro elaboratore di messaggi. E' il luogo dove si fa concreta un mentalità che altrimen= non si saprebbe dove collocare. E' a4raverso lo spirito della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere. Non c'è dubbio (lo si vede dai risulta=) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scri4e sui cascinali di slogans mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l'aratro rispe4o a un tra4ore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l'anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, a4raverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione) non solo l'ha scalfita, ma l'ha lacerata, violata, bru:ata per sempre................

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Sullo stile del Pasolini saggista

• Saggismo poetico (la poesia civile si metamorfizza in saggistica d’opposizione, in « giornalismo di poesia » (A. Belardinelli, 2002)

• Invettiva apocalittica contro la modernità, contro uno sviluppo che non diventa vero progresso

• Terminologia astratta, ripetuta ossessivamente e abilmente variata ha una forza poetica e mitica [Omologazione, Mutazione antropologica, Genocidio culturale, Palazzo]

• Poche idee guida «reinventate, enfatizzate, metaforizzare» armi polemiche dello «scrittore corsaro»

• Lo scrittore entra in gioco come personaggio, attira su di sé l’avversione o la simpatia, si espone anche nella saggistica al pari di quanto avviene negli altri generi affrontati

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Lo stile del documentarista: La forma della città (1974, Rai)

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Sullo stile del Pasolini saggista

• La Rai per la rubrica «Io e…» chiese a esponen= della cultura italiana di raccontare un’opera d’arte.

• Pasolini realizzò un corto di circa 15 minu= sulla ci:à di Orte, che fu trasmesso nel 1974

• Lo sguardo che Pasolini punta sulla ci4à di Orte – deformata dalle case popolari – si collega perfe4amente alle pagine dello scri:ore corsaro

• Torna la vocazione moralis$ca e pedagogica: spiega a Nine4o Davoli le ragioni della sua scelta

• Il documentario traspone in immagini quanto aveva scri:o negli ar$coli per il

Corriere, poi riuni= negli Scri% corsari, in cui si era scagliato contro l’omologazione e la speculazione edilizia.

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Un’applicazione didattica

L’ecologia poetica di Andrea Zanzotto

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Andrea Zanzotto (1921-2011)

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Ades, anca si ’sto canton l’è sparagnàe si qua riva i sèst del tó matío senzha far dan […] no se pól pi cocolarte né pi volerte ben; ne vien l’ingóssa al cór par i fradei qua darente, cari fradei furlani, […] e se à paura de ’ste montagne blu che tant soméja a quele del Furlàn; […] se sa che tu sé furia, pèdo che miér e miér de furie, salvàrega tremenda irata sphynx che no se pól vardar sul muso mostro che no se pól pensar: mare-mostro tu torna a esser, come senpre, inte ’l momento che la verità la sfondra, dia che massa massa ne passa, o pur che – cussita ’l dis al libro de la Ginestra – no tu sa gnént né de ti né de noi, e ’l tó star l’é come ’l tó sgorlarte e ’l tó ’ndar par i miér de miér de ani l’é come un star. Verda tu sé, par senpre […] [...]

Adesso, anche se quest’angolo è risparmiatoe se qui arriva il gesticolare della tua folliasenza far danno [...]non ti si può più coccolare né voler bene;ci assale uno spasimo per i fratelliqui vicini, cari fratelli friulani,[...]e si ha paura di questi monti bluche tanto somigliano a quelli del Friuli;[...]si sa che tu sei furia, peggio che migliaia e migliaia di furie, selvatica tremenda irata sfingeche non si può guardar sul muso mostro,che non si può pensare: madre-mostro tu tornia essere, come sempre, nel momento chela verità sfonda, dea che troppotroppo ci sopravanza; oppureche – così dice il libro della Ginestra –non sai nientené di te né di noi, e il tuo stare è come il tuo scrollartie il tuo andare per migliaia di millenniè come uno stare. Verde sei, per sempre. […]

Filò (IV) https://www.youtube.com/watch?v=7nnjMbhbxSQ da 7:52 a 8:09

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L’à rason quel senpre de la Ginestra: són stati massa qua a sticar tra òmi a cavarse i oci un co l’altro [...] invezhe che catarse, volerse tuti insieme, insenbradi a conbater – co amor – contra de ti mare da maledir e da adorar che non, nisi parendo, vincitur. […] Ma no stón dir cussì, proón a darse cór, a indegnarse mèjo. E anca se sarà una busia de pi, un inbrójo de pi, aver pensà di fàrghela [...] almanco no ’varón barà inte ’l nostro dógo, contra noaltri stessi. [...]

Ha ragione ancora quello della Ginestra: ci siamo troppo perduti a litigare tra uominia cavarci gli occhi l’un l’altro[...]anziché ritrovarci, volerci tutti insieme,amalgamati a combattere – con amore – contro di temadre da maledire e da adorareche è vinta soltanto (alle sue leggi) obbedendo.

[...] Ma non diciamo così, proviamo a farci coraggio,a meglio ingegnarci. E anche se sarà ancora una menzogna, ancora un imbroglio,aver pensato di farcela[...] almeno non avremobarato nel nostro gioco, contro noi stessi. [...]

Filò, IV https://www.youtube.com/watch?v=7nnjMbhbxSQ. da 10:11 a 10:43

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E se i nostri voler insenbradi e par éla e par noi ’ndarà avanti a capirla, a capirse, no la ne falarà, no la ne cascarà via da le man inte i bojón che inciuca-dó e brusa/stusa, la tirarón su tuta dal só mistero,

e si no tuta– che no ’l saràe mai cont che torna just – quel che basta parchéi só oci de bissade basilissaun póch i ne pare de veramama, no de marégna, no de bissa [...]

E se le nostre volontà unitee per lei e per noi avanzeranno nel capirla, nel capirci, non ci sfuggirà, non ci cadrà via di manonei gorghi che inghiottono e bruciano/spengono,la tireremo su intera dal suo mistero, e se non tutta – mai non sarebbe conto che torna giusto – quanto basta perchéi suoi occhi di bisciadi sovranaci appaiano un poco di vera mamma, non di matrigna, non di biscia [...].

Filò, IV https://www.youtube.com/watch?v=7nnjMbhbxSQ. b da 12:22 a 12:55

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« …Il paesaggio, a ben vedere, ovvero quello che noi chiamiamo «paesaggio», irrompe nell’animo umano fin dalla prima infanzia con tu4a la sua forza dirompente; da questo “stupore” iniziale ha origine la serie interminabile dei tenta=vi (taXli, gestuali, visivi, olfaXvi, fonatori…) compiu= dal piccolo d’uomo per giungere ad esperire le cose come si verificano; ma fino a quel momento egli deve illudersi, avvertendo soltanto una specie di “movimento di andata e ritorno”, o di “scambio”, tra l’io in con=nua e perenne autoformazione e il paesaggio come orizzonte perceXvo totale, come “mondo”. Il mondo cos=tuisce il limite entro il quale ci si rende riconoscibili a se stessi, e questo rapporto, che si manifesta specialmente nella cerchia del paesaggio, è quello che definisce anche la cerchia del nostro io. Questo scambio iniziale, che non si può affermare ma nemmeno del tu4o contestare, consisterebbe insomma in un gioco che si svolge all’interno dell’io, all’interno del cervello, che però noi dobbiamo riconoscere a sua volta inserito dentro il paesaggio, orizzonte dentro orizzonte: orizzonte psichico

(stabilito dal paesaggio perceXbile) dentro orizzonte paesis$co […].

Il paesaggio come eros della terra (2006)

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D’altro lato il paesaggio è abitato non da uno soltanto, ma da innumerevoli cervelli ambulan=, da mille specchi diversi ma con=gui che lo creano e che, a loro volta, da esso sono crea= di con=nuo: il paesaggio diviene […] qualcosa di

“biologale”, una certa qual trascendente unità cui puntano miriadi di raggi, di tenta=vi di auto-definizione, di no$ficazioni di presenza. – In altre occasioni, ma toccando i medesimi argomen=, ho so4olineato l’estrema fragilità di questo «esile mito» (bella l’espressione di Vi4orio Sereni) paesis=co, più che mai esposto al

pericolo di una disintegrazione nei momen$ di forte crisi, sia sociale che

individuale: in entrambi i casi, infaX, vengono scosse le stesse colonne portan= dell’io, della possibilità stessa del cos=tuirsi dell’idea di “essere umano” -. Questo paesaggio creato o concreato dall’uomo, che è manifestazione di un rapporto con=nuo di gioia ma anche di fuga, di difficoltà, di spaventoso mancamento, può dare almeno una vaga idea di ciò che può essere il paesaggio come manifestazione di un eros insito nella natura: un eros della natura verso la natura e della natura verso l’uomo, in quanto si è dentro un sistema, ci si sta dentro, insomma. […] (Il paesaggio come eros della terra, in Per un giardino della terra, a cura di A. Pietrogrande, Olschki, Firenze, 2006, pp. 3-7; ora in Luoghi e paesaggi, a cura di M. Giancotti, Bompiani, Milano, 2013, pp. 29-38).

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La natura, con i suoi paesaggi che erano giardini, erano selve, erano tu4o quel che vogliamo, ha impiegato milioni idi anni o addiri4ura miliardi di anni, con

una serie infinita di piccole variazioni, di strade sbagliate e troncate, per

divenire quale noi la conosciamo nel momento in cui la osserviamo. […]

A differenza di quelli umani, i «progeX» della natura non si presentano mai come «progeX», essendo « genesi » anch’essi, poiesis nel senso più arcaico della parola, che è il far essere quello che non si prevedeva potesse esserci. Li si potrebbe allora rappresentare come una serpen=na, un grande albero con i rami pota<, come Holzwege, strade perse o sen$eri nel bosco che si perdono

nel nulla. Eppure è precisamente da questo intricato processo che risulta la

situazione dell’essere umano pensante e indagante […] la situazione in cui si trova. […] (Il paesaggio come eros della terra, in Per un giardino della terra, a cura di A. Pietrogrande, Olschki, Firenze, 2006, pp. 3-7; ora in Luoghi e paesaggi, a cura di M. Giancotti, Bompiani, Milano, 2013, pp. 29-38).

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Tu4avia l’essere umano «proge:a» qualche cosa e, così facendo, si colloca

nella «presunzione», assumendo il =pico a4eggiamento birbonesco e infan=le, anche cialtronesco se vogliamo […]. L’essere umano «proge4a» qualche cosa di raggiungibile al di fuori dell’effe-vo decorso naturale delle cose: al posto di una linea rastremata, estremamente complicata, pone allora una linea re:a, perché il suo è un proge4o ingegnerile, mentre il mondo può anche sembrare la peggior prova in fa4o di ingegneria […] Questa proge4azione, per così dire, «lineare», potrà apparire anche meno complessa, di quanto lo sia il processo naturale, ma potrebbe non necessariamente provocare la creazione di un essere b rispe4o al nostro stato di partenza; voglio dire che, mentre la natura da un a dove siamo colloca=, a4raverso giri e rigiri, potrebbe arrivare ad un punto b, noi arriviamo molto più probabilmente a un a1, senza scostarci dalla situazione cui la natura ci ha des=na=. (Il paesaggio come eros della terra, in Per un giardino della terra, a cura di A. Pietrogrande, Olschki, Firenze, 2006, pp. 3-7; ora in Luoghi e paesaggi, a cura di M. Giancotti, Bompiani, Milano, 2013, pp. 29-38).

***

Resta ferma […] la convinzione che la poesia debb

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È solo un’immagine poe=ca, se lo è, e niente di più, non ho certo la presunzione di inquadrare in astra4o un problema di biogene=ca, ma solo di lanciare dei piccoli allarmi che possono giungere anche da considerazioni tu4o sommato non eccelse, come questa. […]. (Il paesaggio come eros della terra, in Per un giardino della terra, a cura di A. Pietrogrande, Olschki, Firenze, 2006, pp. 3-7; ora in Luoghi e paesaggi, a cura di M. Giancotti, Bompiani, Milano, 2013, pp. 29-38).

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«[…] il problema era quello che la necessità dell’incanto legato al paesaggio rimaneva come necessità, però il passare del tempo smentiva il fatto che il paesaggio fosse sempre all’altezza del poter produrre quell’incanto. Non solo c’era anche tutto il problema dell’assorbimento da

parte del paesaggio di tutto il nuovo, anche maligno che si produceva, e che pian piano si incorporava al paesaggio stesso […] in un certo senso era un presagio di questa

omologazione […] in cui il paesaggio stesso tendeva a partecipare saturandosi, per cui le antenne della televisione che dieci anni prima sarebbero apparse come un elemento di disturbo, diventavano già un elemento intrinsecò, con il quale bisogna confrontarsi […]» (Ritratti, Roma 2007)

Il paesaggire di Zanzotto

«Ho usato questo verbo, che non è poi neanche tanto b e l l o , p e r c h é i n d i c h e r e b b e u n a f o r m a d i strumentalizzazione del paesaggio, cioè tirandolo da tutte le parti per farlo rientrare nel mio discorso che è cambiato

molto nel tempo attraverso il continuo riferimento incrociato chiamiamolo all’idea di paesaggio».

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«L'aspetto più urtante, almeno visualmente, di come è cambiato il Veneto è proprio l'aggressione

al paesaggio. Alla scomparsa del mondo agricolo ha corrisposto una proliferazione edilizia

inconsulta e casuale, che ha dato luogo a una specie di città-giardino (ma sempre meno giardino e

sempre più periferia di città), con un'erosione anche fisica del territorio attraverso diverse forme di

degradazione macroscopica dell'ambiente. Ora, tutta questa bruttezza che sembra quasi calata

dall'esterno sopra un paesaggio particolarmente delicato, "sottile" sia nella sua parte più selvatica

come le Dolomiti, sia in quella più pettinata dall'agricoltura, non può non creare devastazioni

nell'ambito sociologico e psicologico. Vivere in mezzo alla bruttezza non può non intaccare un certo

tipo di sensibilità, ricca e vibrante, che ha caratterizzato la tradizione veneta, alimentando

impensabili fenomeni regressivi al limite del disagio mentale.

da In questo progresso scorsoio. Conversazione con Marzio Breda, Garzanti, Milano 2014]

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[…] È chiaro che c'è anche una planetaria euforia imitativa, all'origine della frenesia attuale. […] E nel

Nordest malato di ricchezza, tutto si è connotato come una "sindrome da perdita dell'innocenza". È

come se fosse stato stipulato un patto faustiano: soldi, e tanti, in cambio dell'anima… Infatti l'antica

laboriosità e ingegnosità (già negli anni Sessanta i veneti venivano chiamati i "giapponesi d'Italia") si

è trasformata in impulsi caotici e violenti, per cui ogni regola è vissuta come un'insopportabile

camicia di forza, da respingere. Anche, e soprattutto, nella fase di violento declino che ora si è

aperta…. La pressione del fondamentalismo globalista, con il suo pensiero unico, ha messo in moto

pure da noi una macchina che schiaccia e annienta ogni cosa. […] Anche l'immaginario. Tutto finisce

per rientrare nell'idea del consumo. La memoria è minacciata non solo dalle spinte globali, per cui si

fanno sparire migliaia di piante e migliaia di lingue minori o dialetti, ma anche dalla falsa difesa delle

radici, dell'identità che è basata sul fraintendimento e dall'ignoranza che generano per

contrapposizione i fondamentalisti localistici. Si sommano a tutto ciò i grandi fenomeni legati al

meccanismo scientifico e tecnologico, con un esito caotico e perverso in cui, nell'instabilità febbrile

e nel circuito di una concorrenza combattuta con il coltello in mano, si produce il crollo di qualsiasi

etica […]».

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In questo progresso scorsoionon so se vengo ingoiato o se ingoio

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