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1 1 “LA SCENA DRAMMATICA: DERIVA DELLA SCENA FRA FANTASMA E REALTA’. COMPONENTI DELLA STRUTTURA SCENICA” DR. MARIO J. BUCHBINDER INDICE Abstract A - Propositi B - Condizioni della scena B 1 - Azione B 2 - Amore B 3 - Creazione B 4 - Spazio B 5 - Ontologia B 7 - Poetica B 8 - Etica C - Scena e quadri psicopatologici D - Elementi costitutivi della scena e sua ricomposizione E - Microscene E 1 - Relazione con la protoscena F - Scena, fantasia e realtà G - La scena nel gruppo terapeutico G 1 - Poetica della transizionalità H - Esperienza clinica in un gruppo terapeutico I - Parametri che definiscono la poetica della cura J - Per concludere Bibliografia

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“LA SCENA DRAMMATICA: DERIVA DELLA SCENA FRA FANTASMA E REALTA’. COMPONENTI DELLA STRUTTURA SCENICA” DR. MARIO J. BUCHBINDER INDICE Abstract A - Propositi B - Condizioni della scena B 1 - Azione B 2 - Amore B 3 - Creazione B 4 - Spazio B 5 - Ontologia B 7 - Poetica B 8 - Etica C - Scena e quadri psicopatologici D - Elementi costitutivi della scena e sua ricomposizione E - Microscene E 1 - Relazione con la protoscena F - Scena, fantasia e realtà G - La scena nel gruppo terapeutico G 1 - Poetica della transizionalità H - Esperienza clinica in un gruppo terapeutico I - Parametri che definiscono la poetica della cura J - Per concludere Bibliografia

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Mi destino por el rio es derivar Jaime Davalos (Il mio destino lungo il fiume è derivare) Abstract Il titolo di questo articolo si riferisce alla stretta relazione fra la scena, la fantasia e la realtà; questo lavoro prende in considerazione le loro interrelazioni e il relativo metabolismo. I personaggi, il corpo, la maschera, la parola, il gioco, il testo, il gesto, l’oggetto sono i componenti della scena; l’ambiente socio-culturale, l’arte, il teatro, la clinica sono le determinanti. Questi elementi si danno appuntamento anche nella più semplice delle scene fino a quando rimane illuminato uno spazio vuoto che è lo scenario, che a sua volta è spazio di gestazione e del poetizzare. La scena è creazione. Affinché la scena possa prendere forma, è necessario che si realizzino determinate “Condizioni della scena”. Queste sono: azione, amore, creazione,spazio, ontologia, racconto, poetica, etica. Spiego le bussole che orientano l’azione drammatica. In questo senso descrivo una poetica intesa come stile e creazione anche al mutare della scena in relazione alla contemporaneità e alla società dello spettacolo. Specifico le scene simultanee, le protoscene o prescene, le microscene e la scena classica. Lo psicodrammatista deve aprirsi alle distinte modalità della scena come cammino e come modo di farsi carico di esse. La psicoanalisi, lo psicodramma e il teatro si muovono in tensione fra la trascendenza e l’immanenza della pratica. Mi riferisco, con trascendenza, alla possibilità di raggiungere diverse problematiche e settori della popolazione e della cultura, così come, con immanenza mi riferisco al fatto di rivedere i propri principi, le teorie e le ideologie nella pratica. Questi due versanti devono avere interrelazioni ed aggiustamenti reciproci. Nel derivare della scena, le sponde sono formate dalle diverse pratiche nelle quali essa acquista rilevanza: l’agire umano che è sempre presente sulla scena, lo psicodramma, il teatro, la psicoanalisi, l’estetica, l’arte in generale. Per “la più semplice delle scene” è importante che noi riusciamo a chiarire alcuni di questi elementi in modo da liberare e ampliare i campi per la creazione, così come voleva Moreno. A - Propositi Mi propongo di riflettere sulla scena nel suo carattere generale e particolare. Avere una visione panoramica su di essa può gettare luce sui suoi aspetti particolari e, al contrario, gli aspetti particolari possono illuminare la scena in generale, dato che gli uni impregnano l’altra. Mi riferisco alla scena teatrale, psicodrammatica, la scena della realtà, della fantasia, del sogno, della psicoanalisi, della TV e dei mass media, la scena unica e le scene simultanee, fra le altre. E’ possibile pensare alla scena come uno dei possibili modi di essere, come dire una delle forme in cui appare “l’essere dell’esistenza”. Sviluppo una visione ampliata della scena. In questa visione amplificata, anche se non esaustiva, includo quelle scene che appaiono più frequentemente nella mia pratica: con il protagonista; con tutto il gruppo; dimostrative; diacroniche (fanno riferimento al presente, al passato e/o al futuro); sincroniche (sono quelle scene che ho chiamato scene simultanee, che come dice il loro nome, sono scene che avvengono simultaneamente seguendo una logica particolare); scene di cruda verità (il o i protagonisti fuori dall’azione e dal personaggio riflettono su sé stessi); scena ontologica; microscene; scene teatrali delle/con/ senza maschere; in situazione di gioco e di espressione; protoscene o prescene, ecc. Questi modi diversi in cui si presenta la scena generano e prospettano differenti componenti.

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Nell’accostarmi alla scena includo le maschere, il corpo, il gioco, ciò che è teatrale; ho presentato diversi lavori nei quali mi occupo di questo particolare avvicinamento. In questo lavoro tratteggio per la prima volta teorizzazioni sulle condizioni della scena, sulla microscena e le pongo in relazione con la poetica. B - Condizioni della scena Si riferisce alle condizioni che rendono possibile che la scena abbia luogo e possa dispiegare le sue potenzialità. Aristotele stabilisce correlazioni fra la potenza e l’atto. La scena si sviluppa quando si creano le condizioni e dunque le potenzialità si manifestano e si trasformano in atto. Definisco le seguenti condizioni : Azione, Amore, Creazione, Spazio, Ontologia, Racconto, Poetica, Etica. Lo psicodramma sviluppa queste condizioni quando non rimane impantanato nella psicologia (psicologia dell’io) e nella fenomenologia ( il rapimento dell’io sento e della catarsi). Il teatro quando abbandona l’istrionismo, ponendo al di sopra la creazione della scena. La psicoanalisi quando abbandona l’interpretazionismo e lascia spazio all’emergere della verità della scena. Ognuno di questi dispositivi ha la sua propria verità. Quella dello psicodramma è la verità dell’accadere scenico del soggetto; nel teatro, la verità della messa in scena; nella psicoanalisi, la verità dell’inconscio; queste verità, in ciascuna delle discipline, raggiungono la pienezza quando abbandonano o rompono le suture che ostacolano il pensare, il fare e l’istituente. Ciò si riferisce allo “spogliarsi di” e al permettere l’apertura verso la verità e la creazione come poiesis. Il fondatore della psicodramma ha elaborato molte delle problematiche di cui si tratta in questo testo. Si tratta di renderle attuali e di ricreare, seguendo gli interrogativi che i tempi e la cultura ci presentano. Quanto più mi allontano da Moreno, tanto più mi avvicino. B 1 - Azione El arco armado y tenso une dos puntos del circolo a su centro. El hemisferio del arquero en posicion de tiro es la mitad visibile de la esfera completa que la flecha aun inmovil ya ha engendrado. José Angel Valente (L’arco armato e teso unisce due punti del cerchio al suo centro. L’emisfero dell’arciere in posizione di tiro è la metà visibile della sfera completa che la freccia ancora immobile ha già generato.) José Angel Valente

Opero una differenziazione fra atto e azione. L’atto è “pregno di futuro” e di possibilità di simbolizzazione, legame e sublimazione. L’azione, invece, ha a che fare con l’acting, l’aggressione e la rottura del settino. La scena drammatica genera condizioni per la trasformazione dell’azione, del reale in atto. Ciò è in linea con la differenza che faceva Moreno fra l’azione razionale e l’azione irrazionale. La prima coincide con l’atto. Nell’atto si tratta di facilitare il manifestarsi della verità dell’essere drammatico, al di sopra della nozione (il concetto) che se ne ha. Sembra un paradosso impossibile giacché il dispiegarsi dell’essere nella sua drammaticità dipende anche dalla nozione che si ha di questo sviluppo, però devono esserci le condizioni affinché si sviluppi l’autonomia dell’essere e le sue interrelazioni con la nozione o la concettualizzazione in una relazione di reciprocità. E quindi, come creare condizioni di massimo sviluppo sia nel concetto che nella scena in sé? Situazione clinica: Una donna racconta una lite con la madre. Nel momento in cui sceglie un io ausiliario per drammatizzare la scena, la sua violenza si mitiga nel rallentarsi dell’azione

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drammatica ed ella è in grado di trasformare l’aggressione in dialogo. Quello che poteva trasformarsi in azione, l’aggressività, si trasforma in atto drammatico. Ciò le permette di connettere questa scena con un’altra che, a sua volta, le genera violenza. La nozione o l’idea che lo psicodrammatista aveva di questa scena, facilita il fatto che il reale non si ripeta nello scenario bensì che si trasformi. Via, via che si sviluppano queste condizioni, si raggiungeranno gradi maggiori di libertà. Le condizioni non definiscono delle direttrici bensì delle aperture. Quindi vi è una relazione fra la nozione e l’azione. Che a sua volta è la relazione fra essenza ed esistenza. La nozione o le nozioni hanno a che vedere, in modo particolare, con il fatto di sostenere il “come se” e di consentire che schemi elementari possano dirigere l’azione o possano permettere che essa abbia luogo. Vi è una dinamica di passaggio fra potenza e atto; si tratta di un metabolismo attraverso il quale può avvenire un processo creativo, in questo caso quello della scena. Il ruolo di chi dirige o coordina l’azione scenica deve procedere ripulendo campi e suggerendo immaginari che possano coincidere con quelli di coloro che stanno sviluppando la scena. Accade che l’azione non sia mai indipendente dagli altri, a tal punto che quando l’immaginario del coordinatore o direttore non è un ostacolo, è cassa di risonanza per l’immaginario dell’attore. Ciò è in relazione con l’amore, inteso come riconoscimento dell’altro. Il coordinatore-direttore “annusa” la potenza della scena, percepisce la sua energia e permette che essa si trasformi da mera possibilità a realtà che, per il suo carattere di rappresentazione, è sempre realtà di finzione. In questa trasformazione si realizza ciò che Nietzche chiamava il dionisiaco (che è in relazione con la potenza) e l’apollineo (in relazione con la forma). Tuttavia la scena, a sua volta, può trasformarsi in potenza e forma di un’altra scena. L’azione drammatica implica il linguaggio esplicito e quello implicito. L’interpretazione per ciascuno degli attori è consonante o dissonante (L’io ausiliario può intervenire in linea con quello che suggerisce il protagonista o “dirigersi” verso una scena che è anni luce distante da quella della donna, ossia, egli starebbe giocando un’azione dissonante). E’ consonante quando coincide con la direzione dell’azione drammatica. Quando non coincide, è dissonante. Nella prima vi è un dialogo fra fantasmi, questi scorrono fra l’azione e l’interpretazione. Nella seconda c’è un blocco che impedisce questo fluire. L’azione drammatica si ferma quando uno degli attori è refrattario al dialogo fra fantasmi. Quanto maggiore è l’apertura al dialogo, maggiore è la possibilità della creazione drammatica. Si crea un blocco quando vi è paura-resistenza-impossibilità, chiusura verso il gioco il “come se”dello spazio transizionale. Si crea dialogo drammatico quando lo psicodrammatista accompagna con il suo immaginario la donna del racconto e la aiuta a trasformarlo. L’aggressione distruttiva si trasforma in elaborazione. Il dialogo non è solamente verbale. B 2 - Amore E’ ciò che genera la scena, che permette che essa si svolga, si manifesti, si crei, si colleghi, ciò che trasforma gli avvenimenti. La scena è prodotto e a sua volta è creazione di amore. L’amore è il legame attraverso il quale si crea la scena. Ma insieme con l’amore c’è l’odio, aspetti in equilibrio drammatico, che non sempre emergono nella scena, che tuttavia il direttore deve sempre avere presente come scena complementare o assente. Nella paranoia, l’odio abbastanza spesso è intriso dall’amore e viceversa. E’ la scena tacita o assente ma sempre presente nella cultura. L’amore implica l’altro, la disponibilità di stare con l’altro che è il “tu” di Buber ed è l’Altro di Levinas che implica la terzietà, gli altri e l’Altro della cultura. Sebbene la scena abbia un alto grado di distruttività, vi è qualcosa del legame che si presenta come possibilità di stare con l’interlocutore ed è riferito ai vincoli che ho con l’altro. Questo “qualcosa”

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del legame, anche nella scena più distruttiva, si manifesta quando si conserva il “come se” che è la possibilità di sviluppo dell’amore. Sto cercando di dire che può manifestarsi come scena d’amore, comunque anche se questo non avviene, l’amore e l’odio quali condizioni che permettono la scena, sono sempre presenti. La donna che litiga con la madre, decidendo di mettere in scena il suo racconto, sta già creando legame accettando che nel suo odio possa apparire il suo amore frustrato, ma non solo per questo contenuto bensì anche perché accetta di trasformare il suo racconto alla presenza dell’altro e dell’Altro della cultura dentro la cornice psicodrammatica. B 3 – Creazione Il prefisso della rappresentazione scenica si riferisce a ciò che si ripete ma, nello stesso tempo, la ripetizione che avviene in condizioni diverse da quelle del reale, è creazione, cioè quella minima variazione prodotta nel mettere in atto la scena. Mettere in atto ha a che vedere con il rappresentarla in uno scenario della realtà così come nello scenario della mente. Questa azione minima genera le condizioni per la trasformazione, per la poiesis. E’ poiesis in sé. E’ da lì che Moreno aveva pensato di poter produrre grandi trasformazioni attraverso la scena, per esempio, di poter evitare una guerra. Non è di poca importanza la relazione con le differenti condizioni della scena sviluppate in questo lavoro come, per esempio, la relazione con il tema della spazialità e della plurideterminazione. Molte volte le difficoltà nella creazione si devono ad una determinazione unica, il che significa rimanere prigionieri di un solo racconto. Creazione primigenia e secondaria Si verifica quando il reale si affaccia sotto forma di contenuto grezzo che si “formatta nella scena o sorge già formattato”. Questo emergere e questo trasformarsi è un effetto della psiche e/o del sociale e già è creazione primigenia. A sua volta vi è un’altra trasformazione che è secondaria, che è maggiormente cosciente e predeterminata, che si produce in situazione di gioco, artistica o della realtà sebbene noi sappiamo che la creazione è un continuum. Quando la donna racconta la lite con la madre, già c’è una creazione primigenia non elaborata che si trasforma in secondaria attraverso quella creazione sociale che è la scena drammatizzata. E’ sociale poiché è costruita da tutti i partecipanti: direttore, pubblico, protagonisti, io ausiliari etc. B 4 – Spazio La scena etimologicamente deriva da “skené” che nel teatro greco era lo spazio i cui accadevano gli avvenimenti. Il marchio della scena è specialmente lo spazio. Lo spazio è il referente e l’oscillazione fra il vuoto e il pieno. Spazio reale o immaginario. Res extensa (cosa estesa, che ha estensione nella spazialità) come res cogitans (cosa del pensiero, della mente). La temporalità si gioca nella variazione dello spazio, lo spazio come mezzo, come modalità di espressione del tempo. Il tempo nella scena si limita al tempo dell’avvenimento. Per questo la struttura scenografica non è un elemento superfluo se nonché fa parte dell’essenza del lavoro con la scena, quantunque non ci sia niente sullo scenario. Nella scenografia colloco anche gli oggetti. Si genera una particolare spazialità che comprende: gli attuanti, lo sguardo e l’azione. Negli attuanti1 sono inclusi: gli attori, il pubblico, gli altri partecipanti all’azione come l’autore, gli scenografi, i macchinisti ecc. Lo sguardo sostiene nel desiderio la possibilità della scena. Mi riferisco all’azione nella sezione b 1.

1 Secondo Greimas, l’attuante è colui il quale realizza l’atto, indipendentemente da qualsiasi altra determinazione. Il concetto di attuante è usato nella semiotica letteraria, dove amplia il termine di personaggio, perché non si applica solo a questo tipo di attuanti ma corrisponde anche al concetto di attore, definito come la figura o il luogo vuoto nel quale si traducono le forme sintattiche o le forme semantiche. Applicato all’analisi del racconto, un attuante è un’ampia classe che raggruppa una sola funzione delle diverse parti di uno stesso ruolo attoriale: eroe, contadino, aiutante… Lista di attuanti: Aiutante, Avversario, Soggetto, Oggetto, Assegnatario, Destinatario.

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Lo spazio della scena è plurideterminato e in esso entrano le componenti della scena. Questa plurideterminazione segnala la complessità della scena e la necessità che il direttore la abbia presente dato che ciascuno degli elementi definisce il campo di significazione. Lo scenario ha la cartografia della significazione, da ciò gli oggetti non sono inerti, non sono oggetti morti sulla scena, bensì sono carichi di mondo e di significazione. Portano, anche, il mistero della terra, della natura che può apparire come eccesso e che la tragedia greca definisce come hybris. Lo scenario è il luogo della figurazione e della ri/creazione delle scene. Omologo al foglio di carta o allo schermo del monitor su cui si inscrive un racconto, lo scenario è il mezzo, lo spazio attraverso cui si realizza la scena. Vi sono scene in altri spazi che non costituiscono uno scenario. Si è soliti dire quale è stato lo scenario del conflitto: per esempio, la strada, la relazione fra vicini, il malessere sociale. Questi sono scenari naturali o reali rispetto a quelli della rappresentazione. Questa non è il luogo “originale” del conflitto ma è il luogo della finzione che ha una certa distanza da quello “originale”. Ossia l’effetto di distanziamento si crea subito appena entriamo nel dispositivo della rappresentazione. Ritorno a sottolineare il prefisso “ri” (ri/presentazione – rappresentazione): segnala la ripetizione o reiterazione del fatto. Che sembra essere tale quando è rappresentazione di un fatto reale ma che viene anche denominata rappresentazione quando si tratta di un fatto creato sulla scena. E’ l’illusione di presentare qualcosa che, uguale, ha appoggio nel reale. Ma più che nel reale esso si situa nell’immaginario dello spettatore, del pubblico che lo costruisce in simultanea con l’attore. L’attore e lo spettatore sono specchi che si guardano reciprocamente. La donna, nel portare la sua lite sulla scena, trasforma le condizioni e la scena può cambiare e assumere un nuovo significato. La sedia in cui si siede può diventare luogo di riposo, di costruzione di un’altra temporalità e non di attacco. Ella si vede nello specchio della rappresentazione e trasforma in atto la situazione reale, nella quale agisce più che vedersi. B 5 – Racconto Perché si possa parlare di scena, essa deve includere e/o creare un racconto esplicito o implicito, presente o assente, con gradi diversi di strutturazione logica. Si deve differenziare il racconto in sé dal racconto scenico, il racconto testuale dal racconto spettacolare. Questo ultimo è quello della messa in scena. Un primo momento: è quando qualcuno racconta una scena, l’altro momento è quello in cui la si mette in scena. Fin dall’inizio vi è una scena nel racconto raccontato. Quando la donna racconta la lite, vi è già una scena nel racconto in sé, che viene preso e trasformato nella scena che si drammatizza. B 6 – Ontologia Vi è una relazione fra l’ontico e l’ontologico. L’ontico si riferisce all’esistenza concreta nella sua materialità in cui prende posto e si gioca l’ontologico. L’ontologia è l’essere e il vuoto. L’ontico si riferisce alle cose che sono gli elementi della scena e l’ontologico si riferisce all’essere della scena. Definisco una scena ontologica come quella in cui l’essere si presenta. Questa possibilità nasce, paradossalmente, nella misura in cui si da spazio al nulla, al vuoto. Lo spazio vuoto è il fato della scena, è lo scenario carico dello sguardo dell’altro. E’ un vuoto di pregnanza, di gestazione, di possibilità di creare, l’essere come creazione, come poiesis. E’ un luogo di nascita o di resurrezione. Per questo la morte sulla scena e come scena esercita tanta attrazione. E’ la condizione del vuoto, benché non vi sia riparazione come nella tragedia, ma presentifica la passione del vivere. La negatività preannuncia la nascita. In tutte le scene c’è un vuoto doppio. Uno è quello della gestazione, l’altro è quello del nulla e della morte.

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Superata la lite può rimanere un vuoto, un nulla che apre ad un’altra scena. Il litigio può essere una difesa, occultazione dell’altra scena, che è la scena dell’essere, scena ontologica. B 7 – Poetica La parola poetica ha bisogno di un luogo. Heidegger parla di un chiarore nel bosco, spazio fra la luce e l’oscurità, come “aletheia” ossia spazio di dis-velamento. La parola poetica incrocia e incontra la scena come luogo di “aletheia”, spazio di rivelazione nello sguardo del pubblico in quanto Altro e l’azione dell’attore si carica di significazione in relazione con il pubblico che sostiene. La scena è luogo poetico quando “si apre alla libera ampiezza del territorio”. La poetica analizza la relazione con la creazione, i differenti modi di articolarsi con il teatro, con la letteratura e con l’arte, cosa di cui non mi occuperò in modo esteso in questo lavoro. Mi riferisco solo alla poetica della scena: lo stile e la struttura, la creazione, la relazione con l’etica, i suoi modi di rappresentazione e di risoluzione. La relazione con il linguaggio, il corpo, la realtà e la fantasia (vedere più avanti). La complessità della situazione di gruppo richiede che il coordinatore dia una poetica, uno stile che gli permetta di avere bussole (che funzionino da intermediarie fra le teorie e la pratica), per potersi orientare nei diversi movimenti nel gruppo, specialmente nelle relazioni di strutturazione e destrutturazione e fra la perdita e la creazione di significazione. In sintesi, la poetica si riferisce ai fondamenti, allo stile, alle bussole e alla creazione della scena. La donna ha un tono contratto e il racconto, una retorica che determina una poetica che si presentifica nella drammatizzazione, uno stile di sfida che non smette di essere presente nella drammatizzazione. Nel modo di risoluzione, una poetica che rincorre l’happy end cerca la riconciliazione e l’abbraccio, la forma beckettiana non lo risolve e lascia l’azione indefinita; in una poetica tragica si accentua il conflitto e la contraddizione. Noi psicodrammatisti siamo portati a differenti poetiche a seconda della situazione clinica, del nostro modo di vedere il mondo e la scena, e ciò ha i suoi effetti. La poetica offre delle possibilità di avere bussole che orientino sul momento della drammatizzazione, specialmente sull’oscillazione fra la strutturazione e la destrutturazione. La donna può mobilitarsi eccessivamente e quello che cercava di essere “ri”presentazione/rappresentazione per l’elaborazione, si trasforma in una nuova azione, in un nuovo modo di ripresentarsi del reale. B 8 – Etica Il coordinatore o il direttore deve spogliarsi dei pregiudizi e dei preconcetti sulla scena e permettere che essa derivi e imponga le sue vicissitudini innanzi allo sorpresa di tutti i partecipanti, pubblico incluso. Omologo allo sviluppo di un romanzo che, in precedenza, è sconosciuto al suo autore. Lo stupore è un indice di creazione nell’arte, è un indice di scoperta. Pienezza può significare lo sviluppo della scena in un determinato tempo o nel caso della protoscena il suo stesso presentarsi, per esempio, la pienezza di un solo gesto che risuona come il colpo di tamburo nel silenzio che precede una sinfonia. Il direttore non ha la pretesa di una riconciliazione della donna con sua madre bensì che possa svilupparsi la scena nella sua pienezza, per ciò interviene e rallenta la scena. Nel suo corso la donna verifica che la sua aggressione era determinata da x cause. Come risultato ella diminuisce l’ aggressione verso sua madre, senza che questo sia stato l’obiettivo, il fine cercato dal direttore. Il fine è l’estetica della rappresentazione che implica un’etica. L’etica pone interrogativi circa il bene e il male così come sui valori e i modelli.

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L’etica della scena si condensa nell’azione drammatica nella quale gli avvenimenti si succedono all’interno delle leggi di una poetica. I contenuti della scena e i suoi modi di risoluzione dipendono dalle modalità di rappresentazione. Si tratta di un’etica in equilibrio e solidale con un’estetica. Quando si vuole imporre l’una sopra l’altra (cosa che può avere a che fare con uno o l’altro desiderio dello psicodrammatista e/o del Direttore di scena in generale) la scena non raggiunge la pienezza drammatica che è il suo destino. La scena è creativa e trasformatrice quando sviluppa questa pienezza drammatica. Ha luogo quando incontra la sua autenticità, come dire che si svolge un movimento autonomo senza altri obiettivi oltre quello dello sviluppo drammatico che porta in sé, paradossalmente affinché si compia un qualche obiettivo, però, non come mezzo bensì come fine in sé. Per esempio un fine terapeutico, sociale, teatrale, educativo, ecc. Vi è una dialettica dei mezzi e dei fini. C – Scena e quadri psicopatologici Questo tema verrà sviluppato brevemente. Nella psiconevrosi la costruzione di un immaginario è piena di un fantasma che non può smettere di decodificarsi e che impregna il soggetto. Nella nevrosi attuale, la scena è marcata dal corpo come organismo e non come corpo erogeno, le fantasie non possono arrivare al livello della parola. In questo caso la scena può funzionare da ponte fra il sintomo (frequentemente psicosomatico) e la parola. Abbiamo verificato che la comunicazione è diversa nei pazienti nevrotici, nei borderlines e negli psicotici. Se con pazienti nevrotici la comunicazione può realizzarsi attraverso la parola, con le altre problematiche ciò è difficoltoso. Anche nei gruppi con pazienti nevrotici può primeggiare la pulsione di morte e la difficoltà di dare parola alla fantasia. Da qui l’importanza della scena come mordente, ponte fra il corpo e la parola. Con i pazienti psicotici la scena si deve costruire, con i nevrotici si tratta di decostruire e trasformare. D – Elementi costitutivi della scena e sua ricomposizione La scena ricostituisce i suoi elementi (vedi i componenti della scena). Così il corpo nella scena si compone in gesto, in corpo e organismo, corpo dello sguardo. L’oggetto nello scenario vuoto si trasforma ad opera della poeticità della spazialità e degli avvenimenti che vi hanno luogo. A loro volta gli avvenimenti si trasformano grazie alla significazione degli oggetti. Un tipo di oggetto è la maschera. La scena del testo scritturale si trasforma nella scena dello spettacolo, con caratteristiche diverse a seconda di come è la scena. Mi riferisco alla scena della vita, del teatro, del sogno, dell’immaginario, del cinema, della politica, della guerra, della TV, della mente, poiché ognuna di esse è un genere che a sua volta si differenzia in specie o particolarità. E – Microscene Successione di brevi scene che hanno luogo in forma individuale o di gruppo, costituite da scene ppd o protoscene, di forte strutturazione e condensazione drammatica, possono aver bisogno di chiarificazioni a posteriori in maniera da trovare senso. Nella situazione teatrale la significazione può giocarsi attraverso lo scorrere sintagmatico delle scene o attraverso la costruzione di qualche metafora che attribuisca senso (o più di un senso). Come le epifanie (Barthes), la microscena spiega la cosa come emergenza puntuale. Se nella teologia questa emergenza si da, per esempio, nell’epifania intesa come l’incontro con Dio, nel buddismo (avviene) nel satori, nella filosofia e nell’estetica come l’emergere della verità. Non sempre è unione con il tutto. Ma questa non è neanche la sua pretesa, come invece pretende l’estetica romantica . Il riferimento non è tanto nella realtà esteriore quanto nella sua struttura intrinseca, nella sua sintassi e si avvicina al pensiero della poesia, in particolare all’Haiku. E’ un brusco smascheramento, una “aletheia” sorprendente.

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La successione di microscene rende conto dell’immaginario del gruppo, della molteplicità dei discorsi. Rende attuale la successione dei sintagmi, si annoda in metafore e le ricrea. Le microscene sono componenti delle metafore e, al rovescio, queste si diffrangono in sintagmi. La successione di microscene rivela gli annodamenti dell’immaginario di gruppo e della fantasia. Abita la letteratura (in special modo con sua sorella la “minificcion”), l’arte contemporanea e lo zapping. Abita anche la molteplicità delle scene, il lavoro in luoghi simultanei (TLS) e la moltiplicazione drammatica. E’ un analizzatore della soggettività contemporanea. Il suo essere vertiginosa non è mimetico della distruzione dell’oggetto nella cultura del consumo bensì si adatta alla quiete e al silenzio ma anche all’esplosione di significazione come nell’urlo. E’ analoga alla molteplicità del soggetto. E’ in relazione con i racconti brevi e la “minificcion”, dei quali farò una breve descrizione giacché penso che sono un genere che aiuta la comprensione delle microscene e della scena nella sua contemporaneità. Lauro Zavala descrive le caratteristiche della minifiction: brevità, diversità, complicità, frattalità2 fugacità, virtualità. Lo definisce un genere del terzo millennio. Rispetto alla diversità, lo mette in relazione con la ibridazione attraverso la quale entrano nel genere i poemi in prosa, i racconti corti, gli annunci pubblicitari, l’umorismo ecc., impostando la desacralizzazione della letteratura. Esige la complicità del lettore, nel nostro caso del pubblico; la frattalità si riferisce al dare maggior importanza al frammento, al di la della ricerca dell’unità del tutto. La microscena sfugge alla dittatura del senso, che porterebbe al fatto che la scena trovi significazione nella struttura generale. Conduce a dislocarsi dal luogo della solennità, permette di ampliare il registro della struttura scenica e alle differenti scene e a poter operare con esse, nominarle, accettare che entrino nell’universo simbolico dello scenico. In questo modo lo sguardo su di esse si dilata. E 1 – Relazione con la protoscena Le microscene hanno differenti tipi di struttura. Una parte delle microscene sono quelle che ho denominato protoscene o prescene. Le scene possono avere diverse origini e diversi gradi di strutturazione. Possiamo denominarle: originarie, primarie e secondarie, in relazione con le teorizzazioni di Piera Aulagnier. Possono essere strutturate o destrutturate. Nelle prime è possibile distinguere: conflitto, ruoli, protagonista, testo, sviluppo dell’azione drammatica e scenario. Nelle scene non-strutturate o proto-scene, vi è un corpo parziale o frammentato, le logiche dello sviluppo scenico hanno a che vedere con la logica del processo primario (per esempio, un elemento può essere in un modo e al tempo stesso essere il suo opposto: uomo-donna, vivo-morto, attore-spettatore, ecc.) e si può stabilire una relazione particolare fra la parola, gli oggetti e il corpo. Per essere interpretate, a causa del loro grado di condensazione richiedono l’esplicitazione e la ricostruzione, dato che molte di esse non seguono la logica secondaria, la logica della veglia. Nella ricostruzione è indispensabile la partecipazione dei protagonisti della scena, del pubblico e di quelli che hanno la responsabilità della direzione o coordinazione. Così come la letteratura definisce generi come la minifiction che si differenzia, per esempio, dai racconti, dal romanzo e dalla poesia, così anche nella teoria della struttura scenica si deve ridefinire la microscena.

2( Termine inventato nel 75 dal matematico Benoit Mandelbrot: si riferisce ad una qualità inerente ai processi caotici, parte di un ordine non lineare e non prevedibile che non li pone tuttavia automaticamente nella sfera dell’aleatorietà. Frattali: forme non lineari, ogni dettaglio delle quali riproduce l’immagine completa all’interno di un sistema complesso.)

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Qual è la scena assente nella microscena? La microscena non sarà la prefigurazione di un’assenza? Alcune di esse sono una pura presenza e altre sono quasi un’ombra, stelle fugaci nel cielo dello scenario. Qual è la struttura? Le protoscene sono un modo della microscena. Se le poniamo in relazione con la struttura dei processi psichici definiti da Piera Aulagnier, le microscene possono avere la struttura del processo secondario, primario e originario. Vedere lo schema 2. Espliciterò brevemente alcuni aspetti della teorizzazione di Piera Aulagnier circa i processi originari, primari e secondari. L’autrice si riferisce all’attività psichica come processo originario, primario e secondario in quanto modi di metabolizzzazione. Le rappresentazioni prodotte dall’attività di questi processi saranno rispettivamente: la rappresentazione pittografica o pittogramma, la rappresentazione fantastica o fantasia e la rappresentazione ideativa o enunciato. Ella definisce i rispettivi spazi come spazio originario, primario e secondario. In senso temporale questi processi si vanno costituendo nel soggetto psichico. SCHEMA 1

PROCESSO SPAZIO RAPPRESENTAZIONE Originario Originario Pittogramma Primario Primario Fantasia Secondario Secondario Idea o enunciato

SCHEMA 2 Microscene e gradi di strutturazione

Originario Alti gradi di frammentazione Primario Alti gradi di indefinitezza Secondario Struttura chiaramente definita per quanto riguarda il testo, il

conflitto, i personaggi, lo sviluppo, lo scenario F – Scena, fantasia e realtà La scena sta in equilibrio fra la fantasia e la realtà. La scena è la forma della fantasia, è il suo modo di manifestarsi, tuttavia è anche la forma della realtà, del qui ed ora, così come della fantasia evocata del passato e quella del futuro. Il “materiale” della scena è la fantasia che è un prodotto dell’immaginazione. Questa è la capacità della psiche di trasformare la realtà e di crearne una nuova. Sebbene la scena sia una rappresentazione della realtà, è a sua volta una trasformazione di essa. Si deve operare una differenza fra la scena della realtà dalla scena del “come se”. Entrambe hanno una componente di fantasia, prodotta dall’immaginazione. La scena della realtà, a volte, è pura ripetizione e altre volte, ripetizione ed elaborazione; chi va a pulire una tomba, come nel film “Volver” di Almodovar, molte volte si trova nella ripetizione, però questa può anche trasformarsi in elaborazione. La scena considerata in generale implica fra gli altri elementi: attuanti, spettatori, conflitto. La scena drammatica è un modo di presentarsi della scena. Implica uno scenario reale, attori, conflitto, spettatori, direttore, presenza reale.

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Possiamo considerare diversi tipi di scena : quella del teatro, del cinema, della danza, della pittura, della vita reale, del linguaggio, dello sport, del sogno; la scena di un soggetto individuale, di una situazione relazionale; scena soggettiva, intersoggettiva, transoggettiva. Hanno tutte in comune le caratteristiche della scena in generale e hanno, a loro volta, proprie particolarità Non c’è modo di non esercitare un’azione scenica, dato che l’essere umano è sempre in situazione scenica. Può farsene carico con maggiori o minori gradi di coscienza della scena ma si sta sempre collocando nel modo richiesto dalla scena e dai suoi componenti. La scena condensa in sé ed è la facciata della fantasia e della realtà. Fantasia cosciente e inconscia; originaria, primaria e secondaria. Se la realtà è un magma in equilibrio con la mancanza di significato e con l’abisso (Castoriadis), la scena organizza la sua relazione con l’abisso. Lo denega o lo fa presente e genera le condizioni per la sua elaborazione nella costruzione della soggettività. Laplanche e Pontalis indicano: “tre specie di fenomeni (o di realtà nel senso più ampio): la realtà materiale, la realtà dei “pensieri di mediazione” o realtà psicologica, la realtà del desiderio inconscio e della sua “espressione più vera (la fantasia)” pag. 109. Nella scena cosciente, molte volte già nel primo racconto, così come nella facciata del sogno, è presente la fantasia inconscia. Non c’è soluzione di continuità nei contenuti fra la fantasia inconscia e quella cosciente per questo, già nel primo racconto può essere letta o estrapolata la complessità del reale. Il compito di chi lavora con la scena è permettere il suo dispiegamento quando esso è necessario. Nella contemporaneità gran parte del compito dei mezzi di comunicazione consiste nel mascherare questa facciata e nel denegare ciò che invece la scena sta presentando. La scena è una costellazione di fantasia e realtà. Il compito dello psicodrammatista è quello di aprire “questo” condensato, di rimanere allenato a non chiuderlo e di costruire un immaginario scenico che ascolti le scene dell’altro. La tragedia greca, alla quale spesso Moreno si riferisce, era un’istituzione creata nel V secolo avanti Cristo, che permetteva di elaborare la relazione esistenziale dell’essere umano. Lo psicodramma, al crocevia della contemporaneità che sembra essere il regno dell’insignificanza, può essere un elemento di elaborazione e di analisi critica oppure mimetizzarsi con la cultura dell’happy end e del reality show. G – La scena nel gruppo terapeutico Il gruppo terapeutico è popolato di scena, maschera, corpo, immagine, parola. Indipendentemente dalle tecniche utilizzate, il terapeuta del gruppo deve dare conto di esse. Però si deve considerare che l’utilizzazione di questi elementi genera condizioni per la simbolizzazione. Ciò è molto favorevole in un mondo dove le reti di significazione sono pregiudicate e nei pazienti e nei gruppi nei quali, insieme con la parola, sono richieste altre modalità per la creazione e la significazione. La soggettività solo è quando è creazione, dal famoso nuovo atto psichico di Freud nel passaggio dall’autoerotismo al narcisismo, fino alle particolarità che definisce Castoriadis nella “singolarità dell’immaginazione creativa”. Nel movimento psicoanalitico, l’immaginario è passato dall’avere un luogo sussidiario rispetto al simbolico ad una valorizzazione. Le costruzioni immaginarie, che noi abbiamo sempre sostenuto, generano condizioni per l’accesso al simbolico, vengono messe in rilievo da quei dispositivi nei quali hanno campo libero la drammatizzazione, l’esercizio con maschere, la creatività, insieme con la riflessione. La parola acquista rilievo dalla possibilità dell’incontro con l’altro. Il gruppo implica comunicazione simbolica e semiotica, la presenza dell’altro, reti di relazione immaginaria, simbolica e reale, costruzioni personali storiche e di finzione, spostamenti nelle problematiche individuali (metaforiche, paradigmatiche) o nella rete gruppale (metonimica, sintagmatica).

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La psicoanalisi, lo psicodramma, la poetica dello smascheramento e della cura, le teorie del teatro, sono le basi di queste elaborazioni. La psicoterapia si fonda nella relazione fra la creatività e aspetti della soggettività. Vengono spiegate modalità di lavoro che abbiamo sviluppato nell’Istituto della Maschera. Creare non implica denegare la pulsione di morte, i lutti, il malessere, quello che crea rumore nella soggettività, implica il farsi carico della molteplicità consistente e inconsistente. G 1 – Poetica della transizionalità L’essere umano è attraversato da situazioni di intermediazione e queste ricevono diverse denominazioni: oggetti, oggetti transizionali, reti, famiglia, istituzione ecc. Sono presenti in tutta la situazione psicoterapeutica e, in particolare, in quella di gruppo. Il gruppo è in sé un oggetto transizionale. Il corpo, il gruppo, la fantasia, il racconto, le maschere, le immagini sono sempre presenti. Vi sono determinate cause che portano a incorporare questi elementi come risorse tecniche e, a sua volta, si producono alcuni fenomeni ai quali farò riferimento. H – Esperienza clinica in un gruppo terapeutico Due situazioni di gruppo. A partire dal racconto angosciato di una paziente emerge una scena e una drammatizzazione nella quale successivamente vengono introdotte le maschere. Juana racconta nel gruppo terapeutico che passa il tempo spostando i mobili di casa sua e che ciò le produce una certa angoscia. Le chiedo se vuole drammatizzare quello che racconta. Accetta e sceglie altri del gruppo per rappresentare i mobili. Essi eseguono e nei mobili appaiono suoi aspetti personali e della sua storia familiare. La pesantezza dell’armadio è la pesantezza del ricordo di suo padre e più cerca di spostarlo più continua a rimanere nel centro della scena del suo appartamento. Nell’aggiungere le maschere, il padre appare con una smorfia dolorosa che dice cosa sia quello che la lega alla memoria del padre. Alcuni mesi dopo, da poco iniziata la sessione, propongo loro di prendere dei teli, di muoversi con essi e che quindi scelgano altri oggetti e maschere per presentarsi. Juana: fa suoi degli elementi e dice: “viaggio cercando di incontrare la libertà”. Se nel racconto precedente Juana rimane attaccata ai mobili, rappresentanti dei suoi personaggi interni, anche se drammatizzandoli crea condizioni per l’elaborazione, nell’esercizio di costruzione della finzione fa un esercizio, una prova di libertà. Se la prima scena parte dalla storia di Juana, la seconda si colloca nella scena della finzione. Le due scene come stile giocano funzioni di elaborazione. La prima le permette di spazializzare nella sessione di gruppo quello che lei stava effettuando nella sua casa e le permette di connetterlo, a partire dai mobili, a personaggi significativi. La scena della finzione le permette di liberarsi dai vincoli di questi personaggi e di provare “un’altra identità”. I – Parametri che definiscono la poetica della cura Partendo dalle teorizzazioni di Winnicott sullo spazio transizionale esposto nello schema 3, sviluppo elaborazioni a partire dalla poetica della cura nello schema 4. Queste sono utili come mezzo per monitorare lo sviluppo di una sessione e delle problematiche istituzionali. Nello schema 3 si può vedere l’origine del campo transizionale a partire dall’intreccio fra l’oggetto interno e l’oggetto esterno. Si collocano nello spazio transizionale la cultura, l’arte, la religione e la scienza.

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Nello schema 4 nella zona superiore viene inserito il processo secondario e in quella inferiore il processo originario e primario. Inoltre troviamo nella parte superiore il cielo e in quella inferiore, la terra. La terra è in relazione con la natura, l’aspetto biologico e quello materno. Il cielo con l’aspetto simbolico, il linguaggio e le significazioni. Cielo e terra sono concetti tratti dalle teorizzazioni di Heidegger in relazione alla parola poetica. Sulla diagonale, sopra e a destra, è stata inclusa la strutturazione e all’opposto la destrutturazione. Questa ultima ha a che vedere con la non-integrazione e/o disintegrazione di Winnicott. Lo psicodrammatista deve capire da quale parte del campo deriva la sessione. Per esempio nella situazione clinica menzionata, se il movimento dei mobili durante la sessione genera una destrutturazione intensa il coordinatore deve rendersene conto e moderarla, deve poter passare alla strutturazione e alla simbolizzazione. L’eccesso o il difetto in uno qualunque dei campi può avere le sue conseguenze. L’eccesso in quello secondario può portare al Falso Sé e alle razionalizzazioni. L’eccesso sia nel campo originario che in quello primario può portare alla regressione o alla disorganizzazione. Il passaggio, l’oscillazione da uno all’altro degli spazi, con intensità e tempi adeguati sembra essere condizione del gioco. Anche del gioco analitico. Il caos nella sessione di gruppo è in relazione con questi diversi passaggi. Non sono solo personaggi se non che strutture, fantasie. L’interpretazione tende a generare senso laddove sembra che si sia perso totalmente. Il caosmos, come dice Deleuze, genera la condizione per la creatività. E’ un lavoro interno dentro il campo transizionale che porta al passaggio dall’energia libera all’energia legata, al processo secondario, al passaggio dal registro semiotico a quello simbolico. J – Per concludere La problematica della scena deve essere situata nella contemporaneità e questo conduce a cercare di chiarire una serie di questioni che si incontrano nella pratica di chi si occupa della struttura scenica e soprattutto nella pratica dello psicodrammatista. Ciò mi ha portato ad indagare quali sono le condizioni che rendono possibile la scena nelle sue forme e contenuti, nei modi di presentazione e come il tener presente una serie di fattori permette di introdursi nel mondo appassionato della scena individuale, di gruppo, inter e transoggettivo, dalla più specifica fino alla più generale.

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SCHEMA 3 C CULTURA A ARTE R RELIGIONE S SCIENZA

OGGETTO OGGETTO TRANSIZIONALE ESTERNO

OGGETTO INTERNO

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SCHEMA 4

CAMPO TRANSIZIONALE SECONDARIO STRUTTURAZIONE Cielo

DESTRUTTURAZIONE ORIGINARIO PRIMARIO Biologico Terra Natura

MONDO INTERNO

MONDO ESTERNO