La Russia dopo il Muro

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Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale –70% - DCB Bologna Bimestrale della Fondazione Farefuturo Nuova serie anno III - n. 18 - settembre/ottobre 2009 - Euro 12 Direttore Adolfo Urso LA RUSSIA DOPO IL MURO

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La Russia dopo il Muro

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PosteItalianeS.p.A.–Spedizioneinabbonamentopostale–

70%-D

CBBologna

Nuovaserie

Anno

III-N

umero18-settembre/ottobre2009

LaRu

ssiadove

ilMuro

La Russia tornaa dividere l’Europa

EDITORIALEDI ADOLFO URSO

Il rapporto con la Russia ha sempre diviso l’Europa. Ed’altro canto anche la Russia è sempre stata divisa tral’Europa e l’Asia. Quando Pietro il Grande decise oltretre secoli fa di fondare prima San Pietroburgo per aprirsiall’Europa e subito dopo Ekaterimburg per offrirsi al-l’Asia, sancì che il suo impero avrebbe avuto due animenei due continenti dell’antichità. Oggi la Russia si sentepiù europea ma cresce più in Asia; ha riscoperto la culturaortodossa ma ha la sua forza nel sottosuolo della Siberia:la regione del mondo in cui vi sono i più significativi gia-cimenti di energia e materie prime, ancora in gran partenon utilizzati e a cui guarda da sempre la Cina.L’Europa ha subito la Russia nell’ultimo secolo, si è divisaper essa e da essa è stata divisa. La metà occidentale e l’al-tra orientale; liberale o comunista; la Germania divisa indue, l’Italia in qualche misura anche. Vent’anni dopo lacaduta del Muro di Berlino, che divideva ideologica-mente anche l’Italia, i due paesi ch’erano allora di fron-tiera sono diventati, e non certo per caso, quelli più

propensi a costruire un nuovo rap-porto con la Russia. Germania e Ita-lia sono stati sino all’89 le duefrontiere d’Europa nei confronti delmondo comunista e per questo,anche per questo le più fidate alleate

di Washington, in qualche misura considerate a “sovra-nità limitata”. La terza frontiera era difesa dalla Turchialaica dei generali atlantici, oggi meno laica e un tantinoanche meno atlantica ma anch’essa consapevole che con laRussia occorre trattare, convivere e se possibile costruire.Di qui la politica di Erdogan favorevole anche essa alnuovo corridoio energetico South Stream, pacificatore neiconfronti dell’Armenia, pronto agli accordi commercialicon Mosca.Germania, Italia e Turchia sono anche i partner europeipiù significativi della Russia, primi nella dipendenzaenergetica ma anche primi nell’export di macchine e pro-dotti. Con migliaia di imprese impegnate nella terrad’Oriente, in un’economia che si intreccia ogni giornodi più.Non deve quindi stupire che la Germania come tale (enon solo l’ex cancelliere Schroder) sia favorevole al NorthStream, il gasdotto che aggira Paesi baltici e Polonia(profondamente antirussi) per rifornire il nord d’Europa,

L’Europa ha subito laRussia nell’ultimo secolosi è divisa per essae da essa è stata divisa

Farefuturoèunafondazionediculturapolitica,studieanalisisocialichesiponel’obiet-tivo di promuovere la cultura delle libertà e dei valori dell’Occidente e far emergereunanuova classedirigente adeguata a governare le sfidedellamodernità edella glo-balizzazione. Essa intende accrescere la consapevolezza del patrimonio comune, dicultura,arte,storiaeambiente,conunavisionedinamicadell’identitànazionale,dellosviluppo sostenibile e dei nuovi diritti civili, sociali e ambientali e, in tal senso, svilup-pare la culturadella responsabilità edelmeritoaogni livello.Farefuturosiproponedifornirestrumentieanalisiculturalialleforzedel centrodestraitaliano in una logica bipolare al fine di rafforzare la democrazia dell’alternanza, nelquadro di una visione europea,mediterranea e occidentale. Essa intende operare insinergiacon lealtreanaloghe fondazioni internazionali, per rafforzare lacomune idead’Europa,contribuirealsuoprocessodi integrazione, affermareunanuovaevitalevi-sionedell’Occidente.La Fondazione opera in Roma, Palazzo Serlupi Crescenzi, via del Seminario 113.Èun’organizzazioneapertaalcontributodituttiesiavvaledell’operatecnico-scientificaedell’esperienzasocialeeprofessionaledelComitatopromotoreedelComitatoscien-tifico. Il Comitatodeibenemeriti e l’Albodei sostenitori sonocomposti da colorochene finanziano l’attività condonazioniprivate.

PresidenteGianfranco FINI [email protected]

Segretario generaleAdolfo URSO [email protected]

Segretario amministrativoPierluigi SCIBETTA [email protected]

Consiglio di fondazioneAlessandro CAMPI, Rosario CANCILA, Mario CIAMPI, Emilio CREMONA, Ferruccio FERRANTI, Gianfranco FINI,Giancarlo LANNA, Vittorio MASSONE, Angelo MELLONE, Daniela MEMMO D’AMELIO, Giancarlo ONGIS, PietroPICCINETTI, Pierluigi SCIBETTA, Adolfo URSO

Direttore scientificoAlessandro [email protected]

Direttore editorialeAngelo [email protected]

DirettoreMario [email protected]

Bimestrale della Fondazione FarefuturoNuova serie anno III - n. 18 - settembre/ottobre 2009 - Euro 12

Direttore Adolfo Urso

LA RUSSIADOPO IL MURO

Page 2: La Russia dopo il Muro

La Russia torna a dividere l’EuropaADOLFO URSO - EDITORIALE

Il cuore d’Europa batte ad est - 2PIERLUIGI MENNITTI

L’uomo che ha costruito una Germania di pace - 14WILHELM STAUDACHER

«Io, il Muro e Gorbaciov, l’uomo del cambiamento» - 22INTERVISTA A GIANNI DE MICHELIS di DOMENICO NASO

Reagan, il cow-boy che abbattè il Muro - 32CRISTINA MISSIROLI

Wojtyla, un pontificato oltre i muri - 42FEDERICO EICHBERG

Ma i muri culturali rimangono ancora - 48GENNARO MALGIERI

Quell’insopprimibile voglia di libertà - 56PAOLO QUERCIA

La Russia traccia il suo futuro fra Asia ed Europa - 60GIULIANO FRANCESCO

Le troppe incognite del Cremlino - 70GUIDO LENZI

I vent’anni di una transizione triplice - 80INTERVISTA A VIKTOR ZASLAVSKY di FEDERICO BRUSADELLI

Asia Centrale, sotto controllo con il soft power - 88CARLO JEAN

Cecenia, tra autonomismo e deriva fondamentalista - 98STEFANO MAGNI

La Georgia in mezzo al guado - 107ALESSANDRO MARRONE

La via italiana all’energia - 117ALFREDO MANTICA

Non bisogna più scegliere fra Russia e Europa - 120EMMANUEL GOUT

SOMMARIO

La Russiadopo il Muro

NUOVA SERIE ANNO III - NUMERO 18 - SETTEMBRE/OTTOBRE 2009

Dobbiamo allearci con la Russia per difendercidallo strapotere della Cina - 124INTERVISTA A FRANCESCO FORTE di BARBARA MENNITTI

La Russia muscolare di Vladimir Putin - 130STEFANO GRAZIOLI

Una ripresa economica fondata sull’energia - 138EMANUELA MELCHIORRE

La dolce vita russa sulle sponde del Tamigi - 150SILVIA ANTONIOLI

STRUMENTIViaggio alla ricerca della nuova Europa - 158

APPUNTAMENTIA CURA DI BRUNO TIOZZO

MONACO DI BAVIERA1809 - 2009 Die wechselvollenBeziehungen zwischen Bayern undSüdtirol. Seminario della fondazioneHanns Seidel sui rapporti storici e leprospettive di cooperazione traBaviera e Alto Adige.Giovedì 1 ottobre

MONTREALToward a comprehensive economicpartnership agreement betweenCanada and the European Union.Cena di gala del Fraser Institute. Inter-viene Jean Charest, Primo ministro delQuebec, con un discorso in favore dirapporti commerciali più stretti traCanada e l’Unione europea.Giovedì 1 ottobre

CALGARYThe Really Inconvenient Truth aboutGlobal Warming.Il Fraser Institute ospita Nigel Lawson,già ministro dell’Economia britannico,che fornisce un diverso punto di vistosul surriscaldamento planetario.Martedì 6 ottobre

BERLINO20 Jahre Mauerfall – Europa im um-bruch.La fondazione Konrad Adenauer ap-profondisce le conseguenze dellacaduta del muro di Berlino sull’inte-grazione europea insieme al Presidentedel Parlamento Europeo, Jerzy Buzek.Sabato 10 ottobre

ASOLO

L’immigrazione e le sfidedell’integrazione15-18 ottobre

La fondazione Farefuturo insieme alla fondazioneItalianieuropei organizza un workshop sul tema del-l’immigrazione e sulle soluzioni per una migliore in-tegrazione. Il seminario ha come obiettivo l’analisiapprofondita della questione e degli aspetti che por-tano gli extracounitari a intraprendere i cosìdetti“viaggi della speranza”. Parteciperanno il presidentedella Camera, Gianfranco Fini e il presidente dellafondazione Italianieuropei, Massimo D’Alema.

ROMA

Le riforme possibili.Le riforme necessarie30 settembre

In occasione della presentazione del fascicolo nu-mero 4-2009 di Charta minuta, la fondazione Fare-futuro organizza presso la sua sede alle ore 18 unconfronto sul tema “Le riforme possibili. Le riformenecessarie” con Renato Brunetta, ministro dellaPubblica amministrazione, e Enrico Letta, già mini-stro dell’Industria. Interverrà Adolfo Urso.

DirettoreAdolfo [email protected]

Caporedattore responsabileBarbara [email protected]

Collaboratori di redazione:Roberto Alfatti Appetiti, AlessandroCipolla, Rosalinda Cappello, DilettaCherra, Michele De Feudis, Valeria Falcone,Silvia Grassi, Cecilia Moretti, DomenicoNaso, Giuseppe Proia, Adriano Scianca,Pietro Urso.

Direzione e redazioneVia del Seminario, 113 - 00186 RomaTel. 06/97996400 - Fax 06/97996430E-mail: [email protected]@gmail.com

Segreteria di [email protected]

Progetto graficoElise srlwww.elisegroup.tv

Editrice Charta s.r.l.Abbonamento annuale € 60,sostenitore da €200Versamento su c.c. bancario ,Iban IT57R0101003201000027009725intestato a Editrice Charta s.r.l. -C.c. postale n. 73270258Registrazione Tribunale di Roma N. 419/06

Amministratore unicoGianmaria Sparma

Segreteria amministrativaSilvia Rossi

TipografiaRenografica s.r.l. - Bologna

Ufficio abbonamentiDomenico Sacco

www.chartaminuta.it

BERLINODer Sturz Ceausescus und die rumänis-che Revolution von 1989Seminario della Fondazione KonradAdenauer. Interviene il presidenteromeno Traian Basescu.Lunedì 12 ottobre

WASHINGTONHerbert Croly, The New Republic, andThe Promise of American LifeL’American Enterprise Institute ricordail libro The Promise of American Life,che ebbe una grande influenza sullepolitiche di Theodore Roosevelt, a 100anni dalla sua pubblicazione.Martedì 13 ottobre

ANKARASenioren und Alterspolitik in Deutsch-land und der Türkei.Seminario internazionale organizzatodalla fondazione Konrad Adenauer in-sieme alla turca Geriatri Vakfi per met-tere a confronto le politiche sociali infavore degli anziani in Germania e inTurchia. Interventi di esponenti politicie accademici turchi e tedeschi.Mercoledì 14 – Giovedì 15 ottobre

WASHINGTONFoxbats Over Dimona: The Soviets'Nuclear Gamble in the Six-Day War.La Heritage Foundation presenta unlibro israeliano sul ruolo dell’Urss nellaGuerra dei sei giorni. Si parlerà anchedegli interessi attuali della Russia inMedio Oriente.Martedì 20 ottobre

ROMA

Serve una Biopolitica9 ottobre

La fondazione Farefuturo, in collaborazione con laKonrad Adenauer Stiftung, organizza un workshopdal titolo “Bioetica e biopolitica”. L’incontro si pro-pone di approfondire i temi all’ordine del giorno neldibattito sulla bioetica e come la politica si debbarapportare ad essi.

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La Russia torna a dividere l’EuropaADOLFO URSO - EDITORIALE

Il cuore d’Europa batte ad est - 2PIERLUIGI MENNITTI

L’uomo che ha costruito una Germania di pace - 14WILHELM STAUDACHER

«Io, il Muro e Gorbaciov, l’uomo del cambiamento» - 22INTERVISTA A GIANNI DE MICHELIS di DOMENICO NASO

Reagan, il cow-boy che abbattè il Muro - 32CRISTINA MISSIROLI

Wojtyla, un pontificato oltre i muri - 42FEDERICO EICHBERG

Ma i muri culturali rimangono ancora - 48GENNARO MALGIERI

Quell’insopprimibile voglia di libertà - 56PAOLO QUERCIA

La Russia traccia il suo futuro fra Asia ed Europa - 60GIULIANO FRANCESCO

Le troppe incognite del Cremlino - 70GUIDO LENZI

I vent’anni di una transizione triplice - 80INTERVISTA A VIKTOR ZASLAVSKY di FEDERICO BRUSADELLI

Asia Centrale, sotto controllo con il soft power - 88CARLO JEAN

Cecenia, tra autonomismo e deriva fondamentalista - 98STEFANO MAGNI

La Georgia in mezzo al guado - 107ALESSANDRO MARRONE

La via italiana all’energia - 117ALFREDO MANTICA

Non bisogna più scegliere fra Russia e Europa - 120EMMANUEL GOUT

SOMMARIO

La Russiadopo il Muro

NUOVA SERIE ANNO III - NUMERO 18 - SETTEMBRE/OTTOBRE 2009

Dobbiamo allearci con la Russia per difendercidallo strapotere della Cina - 124INTERVISTA A FRANCESCO FORTE di BARBARA MENNITTI

La Russia muscolare di Vladimir Putin - 130STEFANO GRAZIOLI

Una ripresa economica fondata sull’energia - 138EMANUELA MELCHIORRE

La dolce vita russa sulle sponde del Tamigi - 150SILVIA ANTONIOLI

STRUMENTIViaggio alla ricerca della nuova Europa - 158

APPUNTAMENTIA CURA DI BRUNO TIOZZO

MONACO DI BAVIERA1809 - 2009 Die wechselvollenBeziehungen zwischen Bayern undSüdtirol. Seminario della fondazioneHanns Seidel sui rapporti storici e leprospettive di cooperazione traBaviera e Alto Adige.Giovedì 1 ottobre

MONTREALToward a comprehensive economicpartnership agreement betweenCanada and the European Union.Cena di gala del Fraser Institute. Inter-viene Jean Charest, Primo ministro delQuebec, con un discorso in favore dirapporti commerciali più stretti traCanada e l’Unione europea.Giovedì 1 ottobre

CALGARYThe Really Inconvenient Truth aboutGlobal Warming.Il Fraser Institute ospita Nigel Lawson,già ministro dell’Economia britannico,che fornisce un diverso punto di vistosul surriscaldamento planetario.Martedì 6 ottobre

BERLINO20 Jahre Mauerfall – Europa im um-bruch.La fondazione Konrad Adenauer ap-profondisce le conseguenze dellacaduta del muro di Berlino sull’inte-grazione europea insieme al Presidentedel Parlamento Europeo, Jerzy Buzek.Sabato 10 ottobre

ASOLO

L’immigrazione e le sfidedell’integrazione15-18 ottobre

La fondazione Farefuturo insieme alla fondazioneItalianieuropei organizza un workshop sul tema del-l’immigrazione e sulle soluzioni per una migliore in-tegrazione. Il seminario ha come obiettivo l’analisiapprofondita della questione e degli aspetti che por-tano gli extracounitari a intraprendere i cosìdetti“viaggi della speranza”. Parteciperanno il presidentedella Camera, Gianfranco Fini e il presidente dellafondazione Italianieuropei, Massimo D’Alema.

ROMA

Le riforme possibili.Le riforme necessarie30 settembre

In occasione della presentazione del fascicolo nu-mero 4-2009 di Charta minuta, la fondazione Fare-futuro organizza presso la sua sede alle ore 18 unconfronto sul tema “Le riforme possibili. Le riformenecessarie” con Renato Brunetta, ministro dellaPubblica amministrazione, e Enrico Letta, già mini-stro dell’Industria. Interverrà Adolfo Urso.

DirettoreAdolfo [email protected]

Caporedattore responsabileBarbara [email protected]

Collaboratori di redazione:Roberto Alfatti Appetiti, AlessandroCipolla, Rosalinda Cappello, DilettaCherra, Michele De Feudis, Valeria Falcone,Silvia Grassi, Cecilia Moretti, DomenicoNaso, Giuseppe Proia, Adriano Scianca,Pietro Urso.

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Amministratore unicoGianmaria Sparma

Segreteria amministrativaSilvia Rossi

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Ufficio abbonamentiDomenico Sacco

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BERLINODer Sturz Ceausescus und die rumänis-che Revolution von 1989Seminario della Fondazione KonradAdenauer. Interviene il presidenteromeno Traian Basescu.Lunedì 12 ottobre

WASHINGTONHerbert Croly, The New Republic, andThe Promise of American LifeL’American Enterprise Institute ricordail libro The Promise of American Life,che ebbe una grande influenza sullepolitiche di Theodore Roosevelt, a 100anni dalla sua pubblicazione.Martedì 13 ottobre

ANKARASenioren und Alterspolitik in Deutsch-land und der Türkei.Seminario internazionale organizzatodalla fondazione Konrad Adenauer in-sieme alla turca Geriatri Vakfi per met-tere a confronto le politiche sociali infavore degli anziani in Germania e inTurchia. Interventi di esponenti politicie accademici turchi e tedeschi.Mercoledì 14 – Giovedì 15 ottobre

WASHINGTONFoxbats Over Dimona: The Soviets'Nuclear Gamble in the Six-Day War.La Heritage Foundation presenta unlibro israeliano sul ruolo dell’Urss nellaGuerra dei sei giorni. Si parlerà anchedegli interessi attuali della Russia inMedio Oriente.Martedì 20 ottobre

ROMA

Serve una Biopolitica9 ottobre

La fondazione Farefuturo, in collaborazione con laKonrad Adenauer Stiftung, organizza un workshopdal titolo “Bioetica e biopolitica”. L’incontro si pro-pone di approfondire i temi all’ordine del giorno neldibattito sulla bioetica e come la politica si debbarapportare ad essi.

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Anno

III-N

umero18-settembre/ottobre2009

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La Russia tornaa dividere l’Europa

EDITORIALEDI ADOLFO URSO

Il rapporto con la Russia ha sempre diviso l’Europa. Ed’altro canto anche la Russia è sempre stata divisa tral’Europa e l’Asia. Quando Pietro il Grande decise oltretre secoli fa di fondare prima San Pietroburgo per aprirsiall’Europa e subito dopo Ekaterimburg per offrirsi al-l’Asia, sancì che il suo impero avrebbe avuto due animenei due continenti dell’antichità. Oggi la Russia si sentepiù europea ma cresce più in Asia; ha riscoperto la culturaortodossa ma ha la sua forza nel sottosuolo della Siberia:la regione del mondo in cui vi sono i più significativi gia-cimenti di energia e materie prime, ancora in gran partenon utilizzati e a cui guarda da sempre la Cina.L’Europa ha subito la Russia nell’ultimo secolo, si è divisaper essa e da essa è stata divisa. La metà occidentale e l’al-tra orientale; liberale o comunista; la Germania divisa indue, l’Italia in qualche misura anche. Vent’anni dopo lacaduta del Muro di Berlino, che divideva ideologica-mente anche l’Italia, i due paesi ch’erano allora di fron-tiera sono diventati, e non certo per caso, quelli più

propensi a costruire un nuovo rap-porto con la Russia. Germania e Ita-lia sono stati sino all’89 le duefrontiere d’Europa nei confronti delmondo comunista e per questo,anche per questo le più fidate alleate

di Washington, in qualche misura considerate a “sovra-nità limitata”. La terza frontiera era difesa dalla Turchialaica dei generali atlantici, oggi meno laica e un tantinoanche meno atlantica ma anch’essa consapevole che con laRussia occorre trattare, convivere e se possibile costruire.Di qui la politica di Erdogan favorevole anche essa alnuovo corridoio energetico South Stream, pacificatore neiconfronti dell’Armenia, pronto agli accordi commercialicon Mosca.Germania, Italia e Turchia sono anche i partner europeipiù significativi della Russia, primi nella dipendenzaenergetica ma anche primi nell’export di macchine e pro-dotti. Con migliaia di imprese impegnate nella terrad’Oriente, in un’economia che si intreccia ogni giornodi più.Non deve quindi stupire che la Germania come tale (enon solo l’ex cancelliere Schroder) sia favorevole al NorthStream, il gasdotto che aggira Paesi baltici e Polonia(profondamente antirussi) per rifornire il nord d’Europa,

L’Europa ha subito laRussia nell’ultimo secolosi è divisa per essae da essa è stata divisa

Farefuturoèunafondazionediculturapolitica,studieanalisisocialichesiponel’obiet-tivo di promuovere la cultura delle libertà e dei valori dell’Occidente e far emergereunanuova classedirigente adeguata a governare le sfidedellamodernità edella glo-balizzazione. Essa intende accrescere la consapevolezza del patrimonio comune, dicultura,arte,storiaeambiente,conunavisionedinamicadell’identitànazionale,dellosviluppo sostenibile e dei nuovi diritti civili, sociali e ambientali e, in tal senso, svilup-pare la culturadella responsabilità edelmeritoaogni livello.Farefuturosiproponedifornirestrumentieanalisiculturalialleforzedel centrodestraitaliano in una logica bipolare al fine di rafforzare la democrazia dell’alternanza, nelquadro di una visione europea,mediterranea e occidentale. Essa intende operare insinergiacon lealtreanaloghe fondazioni internazionali, per rafforzare lacomune idead’Europa,contribuirealsuoprocessodi integrazione, affermareunanuovaevitalevi-sionedell’Occidente.La Fondazione opera in Roma, Palazzo Serlupi Crescenzi, via del Seminario 113.Èun’organizzazioneapertaalcontributodituttiesiavvaledell’operatecnico-scientificaedell’esperienzasocialeeprofessionaledelComitatopromotoreedelComitatoscien-tifico. Il Comitatodeibenemeriti e l’Albodei sostenitori sonocomposti da colorochene finanziano l’attività condonazioniprivate.

PresidenteGianfranco FINI [email protected]

Segretario generaleAdolfo URSO [email protected]

Segretario amministrativoPierluigi SCIBETTA [email protected]

Consiglio di fondazioneAlessandro CAMPI, Rosario CANCILA, Mario CIAMPI, Emilio CREMONA, Ferruccio FERRANTI, Gianfranco FINI,Giancarlo LANNA, Vittorio MASSONE, Angelo MELLONE, Daniela MEMMO D’AMELIO, Giancarlo ONGIS, PietroPICCINETTI, Pierluigi SCIBETTA, Adolfo URSO

Direttore scientificoAlessandro [email protected]

Direttore editorialeAngelo [email protected]

DirettoreMario [email protected]

Bimestrale della Fondazione FarefuturoNuova serie anno III - n. 18 - settembre/ottobre 2009 - Euro 12

Direttore Adolfo Urso

LA RUSSIADOPO IL MURO

Page 5: La Russia dopo il Muro

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così come l’Italia con Eni è partecipe del gasdotto me-ridionale (che salterà Georgia e Ucraina, considerateormai anch esse nell’orbita americana). Non si trattaquindi solo di una politica personale di Berlusconi conPutin ma di una scelta geopolitica, che può non esserecondivisa ma certamente fondata su ragioni storiche, cul-

turali ed economiche. La realtà è chel’Europa rischia ancora una volta didividersi tra chi guarda alla Russia echi la osteggia. Come fu nelle duegrandi guerre mondiali e ancor piùnella cosiddetta Guerra Fredda. Oggi

la questione è ancor più seria perché l’Europa ha istitu-zioni comuni e dovrebbe avere una politica estera e didifesa comune. E dato che parliamo di Russia, l’Europadovrebbe avere soprattutto una politica energetica co-mune che, ove ci fosse, sarebbe meglio esprimere diret-tamente con un unico Mister Energia.L’energia ha sostituito l’ideologia e caratterizzerà le po-litiche del nostro secolo. Le politiche degli Stati e delleimprese; come dimostra il riavvicinamento tra gli Usa el’India, proprio sulla cooperazione nucleare, le rinnovatetensioni tra Cina e Australia sul controllo dell’uranio esoprattutto la nuova corsa in Africa, terra contesa tra iBric (Cina, India, Brasile) e Stati Uniti e in cui l’Europasembra perdere ancora posizione.L’Italia ha fatto bene a varare finalmente una legge checi consente di puntare a diversificare le nostre fonti ener-getiche, a ridurre la dipendenza da gas e petrolio e so-prattutto a tornare a produrre energia nucleare. Nelfrattempo, non si fanno i conti senza l’oste, soprattuttose esso dispone dell’energia che ci serve. Ma questo non

ci esime dal chiederci quale debba es-sere e come debba svilupparsi una co-mune politica energetica dell’Europa,l’unica che può darci la forza di trat-tare da posizioni di forza, e come rin-saldare e rinnovare l’alleanza tra le

democrazie occidentali, cioè tra le due Europe: quella delnostro continente e quella cresciuta Oltreatlantico, chehanno un destino comune. Sino a quando Italia e Germa-nia saranno da una parte, Gran Bretagna e Francia dal-l’altra, il nostro continente resterà solo un cliente e nonun partner. E a dividersi ancora una volta per la Russia.

L’Europa dovrebbe avereuna politica energeticacomune espressa conun unico Mister Energia

Se non ci sarà unaposizione comune, l’Ueresterà un cliente e nonun partner per la Russia

Page 6: La Russia dopo il Muro

Il Parlamento europeo ha il suoprimo presidente dell’est, il po-lacco Jerzy Buzek. E Polonia eUcraina ospiteranno assieme icampionati europei di calcio nel2012. Entrambi questi successisono stati conseguiti a scapitodell’Italia, che aveva proposto unsuo uomo alla guida dell’assise diStrasburgo e la propria candida-tura per l’Europeo di calcio. Ma,amor patrio a parte, sono dueeventi che, a distanza di vent’annidalla caduta del Muro di Berlino,testimoniano i passi avanti com-piuti dai paesi che appartenevanoal blocco sovietico. L’est si è mes-so in marcia e adesso chiede al re-sto del continente di giocare lapartita ad armi pari.

Le opinioni pubbliche occidentalirestano sempre un po’ sorpresequando dall’altra parte battono ipugni sul tavolo. Hanno abbrac-ciato i fratelli ritrovati nei mesidelle rivoluzioni più o meno paci-fiche del 1989, hanno brindatocon loro, festeggiato alla ritrovatalibertà, pianto le stesse lacrime dicommozione. Poi, di questi fra-telli, se ne sono dimenticate, ri-trovandoseli di tanto in tanto difianco nelle occasioni solenni chehanno scadenzato le tappe dellacostruzione della nuova Europa.Eppure, la mappa del nostro con-tinente, a vent’anni dalla data chesegna la fine della guerra fredda, ècompletamente cambiata. L’Euro-pa non finisce più a Berlino (o a

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Page 7: La Russia dopo il Muro

IL CUORE D’EUROPABATTE AD EST

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Bonn), ma prosegue per mille epiù chilometri verso Oriente.Berlino, la ex città divisa, ne èsemmai il nuovo baricentro poli-tico. Quello geografico è addirit-tura in Lituania. I confini sonotutti spostati più in là: a Narva,verso nord, a Brest sull’asse cen-trale, a Costanza e Sofia su quellomeridionale. Anche verso sud-estla spinta prosegue, anche se piùlentamente, a causa dell’ereditàdell’ennesima guerra civile balca-nica. L’Italia non è più il bordoorientale: ufficialmente c’è Lu-biana a sorvegliare la frontiera,ma basta farsi un giro in Croaziao addirittura in Montenegro eAlbania per capire l’inarrestabili-tà dei cambiamenti e la necessità

di modificare prospettive e sche-mi mentali.La notte in cui a Berlino cadde ilMuro, portandosi appresso lemacerie di un mondo in ebolli-zione, tutto accadde all’improv-viso. Una conferenza stampa im-bastita con lo scopo di prenderetempo, una domanda probabil-mente suggerita al corrisponden-te dell’Ansa dall’interno del co-mitato centrale della Sed, una ri-sposta pasticciata. Disse GünterSchabowski: “Tutti i punti difrontiera fra Germania federale eGermania democratica sonoaperti, anche quelli tra Berlinoest e Berlino ovest”. “Da quan-do?”. “Per quello che leggo, dasubito”. Ma nulla accadde per ca-

DI PIERLUIGI MENNITTI

SCENARIOPierluigi Mennitti

A vent’annidalla caduta del Murol’Europa riscopreil suo baricentronegli ex paesidel blocco sovietico.

Page 8: La Russia dopo il Muro

so. Pochi minuti dopo, ai passag-gi di frontiera fra le due Berlino,una massa impressionante digente premeva per passare dal-l’altra parte, mentre la poliziache non aveva avuto istruzioninon sapeva che fare. Alla fine ce-dette, come avevano ceduto i po-litici, travolti da un mare chenon si poteva più contenere.Il regime era marcio, corroso dauna crisi economica che ormai daanni si faceva sentire anche suibeni di prima necessità, le file difronte ai negozi di alimentari era-no divenute un panorama classicodella Germania est come dellaPolonia, della Cecoslovacchia co-me dell’Unione Sovietica baltica.Ma senza la spinta di una popola-zione che di colpo aveva dimenti-cato la paura e scoperto il corag-gio, quei simulacri di Stati avreb-bero vissuto ancora a lungo, ag-grappati finché avessero potuto aicrediti con cui i paesi occidentalili stavano, a un tempo, sostenen-do e stringendo al collo. La neces-sità delle riforme partì da Mosca,qualche anno prima. Era l’Unio-ne Sovietica che teneva in piedil’intero blocco, attraverso quelmeccanismo di compensi e sussi-di che era sempre stato il Come-con. Ma, già dagli anni dellagrande stagnazione brezneviana,quel sistema non reggeva più. It’sthe economy, stupid. E Gorbaciov,che stupido non era, aveva prova-to a muovere i tasselli, sperandodi tenere in piedi il palazzo. Fu,invece, un effetto domino. Dietrole nuove parole d’ordine di gla-snost e perestrojka c’era un invitoneppure troppo velato ai paesi sa-

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telliti: ognuno per sé, alla ricercadella salvezza. Non la trovò nes-suno di quei leader. Caddero tut-ti, uno dopo l’altro, chi lasciandodemoralizzato il potere, chi co-stretto da lunghe trattative poli-tiche, chi incappando in un golpefallito, chi in uno invece riuscito.Le immagini della caduta deglidei rossi si sovrappongono nellamemoria alle gesta dei milioni dieroi comuni, spuntati di colpodalle tenebre del totalitarismo. Isettantamila di Lipsia, che scia-mavano lungo il Ring cittadinodurante le Montagsdemonstrationen,le manifestazionidel lunedì organiz-zate dalla chiesaevangelica. I berli-nesi dell’est che,dopo la caduta delMuro, scorazzava-no sulla Kurfür-stendamm accal-candosi davanti alle vetrine delKaDeWe, il grande magazzinod’Occidente, ma poi rientravanodi sera a casa con le proprie Tra-bant per manifestare sull’Alexan-derplatz contro ogni tentativo dicompromesso. I cechi che affolla-vano piazza San Venceslao, lapiazza dove s’immolò vent’anniprima Jan Palach, per applaudireVaclav Havel e Alexander Dub-cek, l’eroe della Primavera. I bal-tici sparpagliati lungo il percor-so delle tre capitali, Vilnius, Ri-ga e Tallin, che si tenevano permano in una catena umana lungaseicento chilometri e due milio-ni di anime. E i rumeni pigiatinella piazza di Timisoara, attac-cati dai minatori che Ceausescu

aveva reclutato dai distretti peri-ferici: ci provò ancora, qualchegiorno dopo a Bucarest per ga-rantire la sicurezza al proprio co-mizio, ma la gente iniziò a fi-schiare e i gattopardi del regimeavevano già preparato il putsch,l’arresto, un tribunale farlocco edue colpi di fucile. Era Natale,non fu un bel regalo.Non si salvò nessuno, neppurel’uomo a cui si deve una parte daco-protagonista nel film della ri-voluzione. Gorbaciov aveva con-cesso tanto nel tentativo di sal-vare almeno l’unità del suo paese

nel socialismo ri-formato, troppope r i c u s t od idell’ortodossia. LaGermania era tor-nata unita, gli expaesi satelliti ave-vano ormai avvia-to la transizione

alla democrazia, solo i baltici,sempre più refrattari, erano an-cora impigliati nella rete del-l’Urss. Correva il 1991 ma i no-stalgici erano ancora dappertut-to, nel Kgb e nell’Armata Rossa,nel governo e nel partito e si or-ganizzarono in un Comitato perl’emergenza. Arrestarono Gorba-ciov e sua moglie nella loro casadi vacanza in Crimea, occuparo-no i punti cardine del poteremoscovita ma intopparono in unomone alto e grosso che si barri-cò nel Parlamento e poi arringòla folla dal tetto di un carro ar-mato. Stava finendo anchel’Unione Sovietica, i soldati di-sertarono, il bagno di sanguenon ci fu, Gorbaciov potè torna-

Il regime comunistaera marcio e crollòsotto la spintadella popolazioneche non aveva più paura

SCENARIOPierluigi Mennitti

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re a Mosca, dove però quell’uo-mo grande e grosso gli puntò undito contro per dirgli che la suaparte era finita. Eltsin non sa-rebbe poi stato un buon presi-dente, ma in quell’attimo seppefare anche lui la storia.Sono passati venti anni, il tempodi una generazione. Le bollicinedi spumante sono evaporate daun pezzo, la transizione è statalunga e difficile, le speranze si so-no misurate con la dura realtà deicambiamenti. C’è chi ce l’ha fat-ta, chi è rimasto indietro e chi s’èfermato in mezzo. Vale per i pae-si e per gli uomi-ni. Per una Polo-nia che conquistaun posto centralenella nuova Euro-pa c’è una Roma-nia che fatica astaccarsi dalle pia-ghe ataviche dellacorruzione e dell’arretratezza e c’èun’Ucraina che ha perduto, fino-ra, tutte le coincidenze possibili.Sono solo esempi all’ingrosso.Perché poi, viaggiando nella stes-sa Polonia, si possono osservare irapidi sviluppi di Varsavia, i me-ravigliosi restauri di Cracovia, gliaffanni post-industriali di Danzi-ca, le scommesse baltiche di Stet-tino e le arretratezze rurali di Sie-dlce. O incrociando le tre Repub-bliche baltiche, ci si confrontacon il dinamismo precario deigiovani, la marginalità della vec-chia etnia russa o la faticosa guer-ra con la vita quotidiana ingag-giata dalla generazione di mezzo.L’est si è moltiplicato. Non è maistato quel blocco monolitico che

eravamo abituati a commentareai tempi dell’impero sovietico.Già all’interno del Comintern,Mosca aveva assegnato a ogni sa-tellite un compito differente: isovietici producevano tecnologiamilitare e petrolio, i bulgarifrutta e vino, i cecoslovacchi vei-coli, i rumeni carbone, i tedeschiorientali macchine utensili. Eogni economia specializzata ge-nerava un tipo di società diversa,industriale, agricola, militare.Da quando si sono aperti i confi-ni, le differenze hanno attraversa-to gli stessi paesi al loro interno.

La Repubblica ce-ca non ha nulla incomune con la Slo-vacchia orientale,la Polonia occi-dentale può asso-migliare alla Ger-man i a quan toquella ad est al-

l’Ucraina, Lituania ed Estoniahanno in comune solo l’aggettivobaltico e poco più: neppure lalingua. Budapest non è mai stataBucarest e neppure Berlino est èsimile a Berlino ovest.Qui, nella capitale che riassumele spinte e gli interessi della nuo-va Europa, è difficile rintracciarei resti di quello che fu il confinepiù duro. Il Muro è stato sbricio-lato dalla voglia di dimenticare eguardare avanti, solo di tanto intanto, e quasi incidentalmente, cisi imbatte in qualche reperto so-pravvissuto alla furia gioiosa de-gli abitanti e all’opera meticolosadelle scavatrici. La città si è me-scolata, nuove e moderne costru-zioni hanno sostituito nel quar-

Le bollicine di spumantesono evaporate,e le speranze si sonomisurate con la durarealtà dei cambiamenti

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tiere centrale gli scatoloni archi-tettonici dell’era socialista, un ca-stello che riproduce quello delKaiser, affidato alla “regia” del-l’italiano Franco Stella, rimpiaz-zerà il vecchio Palazzo della Re-pubblica voluto da Honecker egià smontato pezzo per pezzo.Anche la geografia sociale s’èmossa: a Prenzlauer Berg, nel-l’est, non ci sono più i ribelli al-ternativi che sfidavano il regimema i ricchi rampolli della Bavierae del Baden-Württemberg, ap-prodati a suon di euro nel quar-tiere che è diventato il più chic ditutta Europa. Eppure la divisioneè rimasta, non solo nelle teste maanche nei portafogli. Ogni voltache gli elettori sono chiamati avotare per un referendum che de-cide questioni cittadine, l’est tor-na a fare l’est e l’ovest resta a farel’ovest. E’ accaduto un anno fa,quando si andò a votare per man-tenere in attività l’aeroporto diTempelhof, cui erano legati i ber-linesi occidentali perché tra il1948 e il 1949 fu il terminale delponte aereo, la gigantesca opera-zione americana che salvò la cittàdal blocco di Stalin. Ed è capitatodi nuovo quest’anno, su un argo-mento più attuale, se ripristinarenelle scuole secondarie l’ora facol-tativa di religione. In entrambi icasi gli occidentali hanno votatoa favore, gli orientali si sono aste-nuti e i referendum non hannoraggiunto il quorum. Tempelhofnon appartiene alla memoria con-divisa, vale per chi ha vissuto aovest, non a est, e anche la reli-gione, nel mondo comunista, nonaveva una grande considerazione.

SCENARIOPierluigi Mennitti

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Esperienze che rimangono nelletracce delle vecchie e delle nuovegenerazioni e che consolidanouna divisione durata quarant’annie non superata in venti.Vale anche per l’economia e il la-voro. Quando le agenzie federaliproducono quelle cartine piene dicolori blu e rossi che segnalano illivello del reddito e dell’occupa-zione, il blu del benessere e dellavoro è tutto a Occidente, il ros-so dell’arretratezza e dell’occupa-zione è tutto a Oriente. Che sia laGermania o Berlino, il risultato èlo stesso: la cortina di ferro e ilMuro, cancellati dalla storia edalle ruspe, riappaiono inesorabi-li a separare i due mondi.L’analisi non cambia anche per glialtri paesi dell’est. Negli annipassati è tornato in vigore l’anti-co concetto geografico dell’Euro-pa centrale. Non più est, non piùmiseria, ma centro, terra di mez-zo fra l’Atlantico e gli Urali, co-me vogliono la storia e la geogra-fia. Ma non ancora l’economia. Lafase di ristrutturazione è costatalacrime e sangue, specie nei pri-mi anni. I dettami delle organiz-zazioni internazionali (Bancamondiale, Fondo monetario in-ternazionale) sono stati draconia-ni e forse non sempre benefici.Erano i tempi della fine della sto-ria, dell’ideologia del libero mer-cato che si sovrapponeva a quelladella programmazione quinquen-nale. La seconda aveva ridotto allastrico governi e popolazioni, laprima prometteva magnifichesorti e progressive. Non è andataesattamente così e la cronaca diquesto ventennio non è fatta solo

LA PAROLA

Ostalgie è un neologismo tedesco chesi riferisce alla nostalgia per la vita nel-la vecchia Germania Est. È una crasidelle parole tedesche Ost (est) e No-stalgie (nostalgia). Dopo la caduta delMuro di Berlino, nel 1989, e la riunifi-cazione tedesca dell’anno successivo,molti ricordi del vecchio regime socia-lista vennero spazzati via mentre gli excittadini della Repubblica democraticatedesca si affrettavano a godere dellenuove libertà politiche ed economi-che. Tuttavia, col passare del tempo,molti tedeschi orientali iniziarono asentire la mancanza di alcuni aspettidelle loro vecchie vite. L’Ostalgie si ri-ferisce particolarmente a quella vitaquotidiana della vecchia Ddr chescomparve dopo la riunificazione,sconfitta dal capitalismo e dalla cultu-ra occidentale. Molte imprese, in Ger-mania, si rivolgono a chi soffre diOstalgie. Sono disponibili prodotti ali-mentari di marche obsolete della Ger-mania est, vecchi programmi della Tvstatale in Dvd e le macchine Trabant eWartburg, un tempo diffusissime. Sela vita al tempo della Ddr era una vol-ta considerata alla stregua di un sog-getto tabù, è diventata ora argomentodi numerosi film, come Good Bye Le-nin! di Wolfgang Becker che ha otte-nuto un successo internazionale. Laparola Ostalgie viene utilizzata ancheriguardo alla nostalgia per la vita sottoil sistema socialista in altri paesi del-l’area ex comunista, principalmenteparlando della Polonia. Nel 2008 laparola Ostalgia viene aggiunta al di-zionario Zanichelli ed entra a far partedella lingua italiana.

OSTALGIE, LA VITAAI TEMPI DELLA DDR

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di successi e avanzamenti, ma an-che di durezze e delusioni chehanno segnato l’esperienza diquesti popoli. La perdita del lavo-ro, l’aumento dei prezzi, le diffi-coltà di approvvigionamentoenergetico, l’emigrazione. Nelleultime elezioni polacche, il candi-dato della destra moderata, Do-nald Tusk, ha speso tre giorni del-la sua campagna a Londra e Du-blino, per fare proseliti tra le piùgrandi comunità polacche al-l’estero. La Germania est, diconole statistiche, è una terra semprepiù desolata: nei paesini del Bran-deburgo e del Mec-klenburgo uominigiovani e menogiovani si raduna-no la sera ubriachinelle piazze deipiccoli centri, di-sperati, disoccupa-ti e abbandonati,dalle mogli e dalle fidanzate chesono tutte emigrate a ovest, at-tratte da lavoro, salari più alti e,forse, da un nuovo compagno.Sempre le statistiche (in Germa-nia infallibili) certificano chequesta particolare emigrazioneavviene perché le donne dell’esthanno un’istruzione migliore euna maggiore capacità di intra-prendenza rispetto ai maschi: evi-dentemente la parità fra i sessi eraun traguardo di cui anche la Ddrpoteva andar fiera. I rumeni sonoovunque, tanti anche in Italia,mentre quelli rimasti in patria,quando non fanno parte di qual-che ristretta èlite privilegiata, siarrabattano per pagare affitto eviveri. La Bulgaria corre seri ri-

schi di vedersi tagliati i flussi diaiuti dall’Ue, perché la criminali-tà mafiosa ne ha fatto un nuovocentro di potere. E oggi ci si èmessa pure la crisi globale, che hafiaccato le finanze troppo allegredi paesi che sembravano ormaifuori dall’emergenza: l’Ungheria,la Lettonia, la Repubblica ceca.Per non parlare dell’Ucraina, maquesta è un’altra storia.La disillusione ha favorito il feno-meno dell’Ostalgie, la nostalgiaper la vita ai tempi dell’est, quan-do il lavoro era assicurato, si vive-va con poco ma protetti da una si-

curezza oggi per-duta. Un senti-mento non soloemozionale maanche politico. LaLinke, il partitoerede della Sed diregime, ha saputocatalizzare il mal-

contento cresciuto nei nuovi Län-der della Germania, diventandoin molte regioni il primo partito,sbarcando stabilmente nel pano-rama politico nazionale e metten-do in crisi la stabilità tradizionaledel sistema tedesco: la Grosse Koa-lition, il governo straordinario checomprende due partiti storica-mente rivali come la Cdu e l’Spdè, di fatto, la conseguenza dellaaffermazione della Linke comequinto partito; e assieme ai so-cialdemocratici, regge il governolocale della Berlino riunificata.Ma per tante storie di difficoltà,ce ne sono altrettante di successo.La Slovacchia ha centrato proprioquest’anno l’ingresso nella zonaeuro, sorprendendo tutti gli ana-

La Germania estè una terra semprepiù desolata, giovanie vecchi si radunanonelle piazze ubriachi

SCENARIOPierluigi Mennitti

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listi e facendo morire d’invidia icugini cechi. La Slovenia vi ap-partiene da quasi tre anni, l’Esto-nia ha un livello di informatizza-zione amministrativa da far invi-

dia ai paesi piùsviluppati e,come detto, laPolonia si staconquistando

sul campo il ruolo di pivot del-l’area est-europea. Le infrastrut-ture sono ovunque migliorate, lecittà hanno riacquistato colore, icentri storici sono stati restaurati,i servizi modernizzati, i livelli di

consumo sono cresciuti in quan-tità e qualità. Sempre DonaldTusk ammonisce a valutare conequilibrio la condizione dei nuovipaesi: «Lo ripeto spesso ai mieicolleghi e alla stampa occidenta-le, la crisi economica che stiamovivendo in questi mesi, per noiche abbiamo vissuto il comuni-smo, è nulla rispetto a quello cheabbiamo sopportato, quella erauna vera crisi che sembrava senzavia d’uscita». Oggi la via d’uscitac’è e per molti paesi si chiamaUnione europea. Quello che conun linguaggio inutilmente buro-

Tusk: la crisi economicaattuale è nulla per noiche abbiamo vissutoil comunismo

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cratico è stato chiamato processodi allargamento (e che in realtà èstato più semplicemente il pro-cesso di riunificazione del conti-nente) ha rappresentato il model-lo di transizione politica di mag-gior successo degli ultimi decen-ni. La prospettiva di entrare a farparte di un club che assicuravastabilità politica, sicurezza geo-politica e relativo benessere eco-nomico, ha costituito un faro co-stante lungo la rotta della demo-crazia, superiore anche all’appar-tenenza alla strategica alleanzamilitare atlantica. E alla fine an-

che i famigerati criteri di integra-zione, le regole contenute in de-cine di faldoni e di dossier, unitealla possibilità di accedere ai con-tributi economici per lo svilup-po, hanno permesso di introdurreriforme, adeguare istituzioni,modernizzare strutture e, allostesso tempo, tranquillizzare leopinioni pubbliche.Ora che la prima ondata è stata inqualche modo digerita, la sfida sisposta ancora in avanti. Verso iBalcani, a mezzogiorno, sulla li-nea che conduce da Zagabria aBelgrado, da Skopje a Tirana eIstanbul. E a est, verso il grandenemico di un tempo, quella Rus-sia che ha rischiato di uscire dalnovero delle grandi potenze neicaotici anni di Eltsin e che ha ri-trovato prestigio e stabilità sottoil pugno di ferro di Putin. Anchesu questa direttrice è possibiletracciare una linea di movimento,passando attraverso capitali nonmeno problematiche: Chisinau,Kiev, Minsk, Tbilisi, quindi Mo-sca. Non sarà un secondo allarga-mento: le opzioni di collaborazio-ne sono varie e tutte aperte. Sigiocano questioni di identità(quali sono i confini dell’Euro-pa?) e questionigeopolitiche (sideve riconosce-re uno spaziorusso?) e non èdetto che Mo-sca e Bruxelles abbiano interessea condividere le stesse struttureistituzionali. Ma è ormai eviden-te a tutti che lo spazio orientale èdivenuto strategico per i nuoviequilibri del nostro continente: la

Per l’Ue lo spazioorientale è diventatostrategico per i nuovi

equilibri del continente

SCENARIOPierluigi Mennitti

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Russia è in crescita tumultuosa egli scenari politici aperti dallacoabitazione fra Putin e Medve-dev lasciano intravedere un futu-ro diverso dalla democratura concui finora la Russia ha pensato direcuperare se stessa. C’è la que-stione degli approvvigionamentienergetici e delle pipelines di gasche legheranno ancor più le duearee: un accordo strategico dilungo respiro pare oggi la stradapiù opportuna anche a quei nuovimembri dell’Ue che non hannodimenticato i duri decenni di oc-cupazione. E l’Ucraina, la Bielo-russia e la stessa Georgia si pon-gono come banchi di prova perun confronto che sarà lungo ecomplesso.La memoria dei popoli è diventa-ta corta in tempi accelerati comequelli attuali, vent’anni sono pas-sati in un baleno, ci si è adeguatiai cambiamenti e molti hannosmarrito il ricordo del punto dipartenza. Un professore di lin-guistica, incontrato all’Universi-tà di Kiev due anni fa, trovò peròle parole giuste per farci com-prendere l’essenza di quei cam-biamenti: «Non abbiamo moltisoldi e non abbiamo realizzatotutti i sogni che avevamo, quan-do conquistammo l’indipendenzae quando con la rivoluzione aran-cione speravamo di conquistarcianche il diritto a entrare in Euro-pa. Però oggi mia figlia può viag-giare liberamente, uscire dal-l’Ucraina, andare in Europa e inAmerica, conoscere altre lingue ealtri popoli, fare tutte quelleesperienze che a me sono state ne-gate». La libertà di muoversi, di

andare e tornare. In fondo, quan-do Schabowski la sera del 9 no-vembre 1989, cercando di pren-dere tempo, fu costretto a decre-tare la caduta del Muro di Berli-no, si stava discutendo proprio diquello, della libertà di viaggiareal di fuori della Ddr. Wir wollenraus, gridavano i manifestantisull’Alexanderplatz, vogliamoandar fuori. I muri non reggono,non reggono mai.

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PIERLUIGI MENNITTIGiornalista, si occupa prevalentemente di Ger-mania ed Europa centro-orientale, Scandina-via e Balcani. Su questi temi collabora anchecon i quotidiani Il Giornale, Il Foglio e Il Secolod’Italia. In passato ha diretto la rivista di cul-tura politica Ideazione e il quindicinale di geo-economia Emporion.

L’Autore

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L’uomo che ha costruitouna Germania di pace

Unità e integrazione, da Berlino all’Europa

DI WILHELM STAUDACHER

Helmut Kohl ha saputo guidare il paesein un periodo cruciale e delicato,raggiungendo un obiettivo storico

dopo la caduta del muro:regalare al mondo una Germania pacifica.

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Il 9 di novembre del 2009 si rin-nova per la ventesima volta l’an-niversario della caduta del Murodi Berlino: la Germania è riuni-ficata. Oggi dobbiamo affrontaresfide del tutto nuove e diverse daquelle del periodo della divisio-ne, una divisione che interessònon solo la Germania, ma l’Eu-ropa intera.La distanza nel tempo ci consentedi analizzare se si sono avverate omeno le paure dei nostri vicini,anche di quelli italiani. Ritengoche tutti possano condividerel’asserzione che la Germania oggisvolge un ruolo di prim’ordine inEuropa, senza per questo rivendi-carne un predominio. Il forte pe-

so economico della Germania nonviene sfruttato per affermare inte-ressi nazionali. Al contrario, laGermania ha rinunciato al marcotedesco a favore dell’euro e quin-di, nell’interesse di tutta l’Euro-pa, anche alla propria superioritàfinanziaria ed economica.In tutta la storia dell’Europa laGermania non era mai stata cir-condata da tanti stati con cui vi-ve in pace e in condizioni dibuon vicinato. Helmut Kohl eraun tedesco che nella sua gioventùaveva conosciuto il regime nazi-sta di Hitler e, quindi, anche idanni morali e materiali provo-cati dalle dittature.Raccontava spesso come da ragaz-zo, insieme ad altri compagni, ri-muoveva i pali di confine al vali-co tra Palatinato e Alsazia per po-ter stringere personalmenteamicizia con dei francesi. HelmutKohl non è stato solo un abile po-litico, ma era anche guidato daun grande sapere storico. Egli sa-peva come sarebbe stato possibilerendere la Germania accettabileper tutte le nazioni limitrofe.Oggi Helmut Kohl è definito co-me il “cancelliere dell’unità tede-sca“. E con questo epiteto rimarràsempre presente nella storia. E ilsuo ruolo non sarà sminuito se siaggiunge che era anche un euro-peo con il cervello e con il cuore.Per lui l’unità europea era altret-tanto importante di quella tede-sca. Al pari di Konrad Adenauer,egli sapeva che l’unità europea equella tedesca sono i due lati diuna stessa medaglia. HelmutKohl possedeva la forza visionariadello statista. Riconobbe l’oppor-

HELMUT KOHLWilhelm Staudacher

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tunità che la riunificazione tedescarappresentava per tutta l’Europa.Helmut Kohl non era il solo adavere a cuore la riunificazione.Attraverso la concessione di cre-diti alla Rdt, Franz-Josef Straußera riuscito a obbligarne il gover-no ad allentare la propria politicadi delimitazione. Strauß era unfervente sostenitore della riunifi-cazione della Germania, ma nonpoté assistere alla realizzazionedella propria visione. Questa for-tuna toccò invece a Willy Brandt.Anche egli si era reso benemeritodella riunificazione. La sua nuovaOstpolitik suscitòla speranza dellalibertà soprattuttonell’Europa orien-tale. Mentre talu-ni della Spd rima-sero indifferentiall’avvenuta riuni-ficazione, auspi-cando a lungo la finzione di unacooperazione particolare tra dueStati indipendenti, durante tuttoil processo di riunificazione Wil-ly Brandt era inequivocabilmentea favore del ripristino dell’unitàdella Germania: «Ora sta riunen-dosi ciò che deve stare insieme».Con questa citazione WillyBrandt divenne un partner dellapolitica interna di Helmut Kohle della Cdu, superando qualsiasiconfine tra i partiti.Tra gli statisti europei, alcuni nu-trivano sentimenti misti a propo-sito della riunificazione, tra cui ilpresidente del Consiglio dei mi-nistri italiano Giulio Andreotti,nonché il capo di Stato franceseFrançois Mitterand. Decisamente

contraria alla riunificazione fuanche Margaret Thatcher. In Ger-mania, invece, non si dimenti-cherà mai che l’ex presidenteamericano George Bush appog-giava senza riserve i piani di riu-nificazione di Kohl.Nella Repubblica tedesca nessunoaveva previsto questo evento néaveva preparato un “piano regola-tore” per la riunificazione. Anzi,secondo l’opinione predominante,soprattutto nei mezzi di comuni-cazione di massa, la Rdt sarebbestata una delle maggiori potenzeeconomiche del mondo. Solo do-

po la riunificazionesi poté constatarequanto era “mar-cia” la realtà diquesto paese. Fusufficiente un certonumero di cittadi-ni decisi per farecrollare l’intero si-

stema. Ora fa specie il fatto che,come è dato leggere negli atti or-mai resi accessibili, la Stasi era alcorrente del cattivo stato dell’eco-nomia e che più volte ne avvertì ilvertice del partito unico. La dire-zione del partito, invece, rimasemuta di fronte a tali avvertimenti,evidentemente perché era diven-tata essa stessa una vittima dellapropria propaganda.Anche Helmut Kohl inizialmentesi dimostrò abbastanza scettico alriguardo della possibilità di at-tuare una riunificazione nella pacee nella libertà. Tuttavia, quandoper le strade e le piazze della Rdtosservava come la rivendicazionedegli uomini “Noi siamo il popo-lo“ si trasformò nella professione

Nella Rft non siprevedeva un taleevento e nessunoaveva preparatoun “piano regolatore”

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della riunificazione “Noi siamoun popolo”, per Kohl la divisioneera divenuta inaccettabile.Quindi, per noi tedeschi la cadu-ta del Muro fu una vera sorpresa:per taluni una “riunificazione ra-pida” era inconcepibile, mentrealtri avevano da tempo abbando-nato questa meta, adattandosi al-la binazionalità. Questa sorpresaè resa ancora più evidente dal fat-to che il cancelliere federale almomento della caduta del Muro

non si trovava nemmeno in Ger-mania, ma si era recato in Poloniaper una visita di Stato. Quella vi-sita per Kohl aveva un elevato pe-so politico, per cui egli non eranemmeno disposto a lasciare laPolonia immediatamente. Inol-tre, allora nessuno pareva esserein grado di valutare correttamen-te gli sviluppi della faccenda. AlCancelliere non era possibile vo-lare direttamente da Varsavia aBerlino, poiché era ancora valido

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HELMUT KOHLWilhelm Staudacher

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l’accordo tra le quattro potenzeche controllavano Berlino. Kohlraggiunse, quindi, la futura capi-tale passando per Amburgo.In seguito, oggi lo sappiamo, lariunificazione divenne un proces-

so inarrestabile.Con il suo pro-g r amma pe rl’unità tedescain dieci punti,dettato di notte

alla moglie Hannelore che lo tra-scrisse a macchina, per Kohl ilcorso della riunificazione era giàtracciato. Horst Teltschik, il piùstretto collaboratore di Kohl,commentò al riguardo: «Ebbeun’importanza decisiva l’atteg-giamento dell’Unione Sovieticanei confronti del processo di riu-nificazione». Per Gorbaciov siprospettava una decisione strate-gica. Da un lato sapeva che unamodernizzazione dell’Unione So-vietica sarebbe stata possibile so-lo con l’appoggio dell’Occidente.Dall’altro, l’Unione Sovietica do-veva rinunciare alla “preda” chele era toccata nella Seconda guer-ra mondiale. Il prezzo era alto.Helmut Kohl, nel corso del me-morabile incontro nel Caucasodel luglio 1990, riuscì tuttavia aconvincere Gorbaciov. Si eranoincontrati due statisti. Grazie alloro coraggio l’Europa cambiò.Horst Teltschik scrisse nel suodiario politico: «Kohl caratteriz-za l’incontro di due giornate conGorbaciov come un nuovo acmenella storia delle relazioni tede-sco-sovietiche [...]. Kohl parla diprogressi di grande portata non-ché di una svolta, resa possibile

dal fatto che ambedue le parti so-no consapevoli della responsabili-tà che deriva dai cambiamentistorici. Gorbaciov e Kohl sareb-bero disposti ad affrontare questasfida storica risolvendola con-giuntamente. Adesso avrebberola grande e forse unica opportuni-tà di plasmare il futuro del conti-nente in modo duraturo nella pa-ce, sicurezza e libertà. Le relazio-ni tedesco-sovietiche avrebberoun’importanza centrale per il fu-turo di ambedue i popoli e per ildestino dell’Europa».Il 12 settembre del 1990 i mini-stri degli Esteri delle quattro po-tenze (Usa, Urss, Francia e GranBretagna), nonché i ministri de-gli esteri della Repubblica fede-rale tedesca e della Rdt, riuniti aMosca, firmarono un Trattatosulla regolamentazione conclusi-

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In una notteKohl tracciò in diecipunti il percorsodella riunificazione

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va riguardante la Germania, uffi-ciosamente denominato “trattatodue-più-quattro”. Questo accor-do disciplinava gli aspetti este-riori della riunificazione. Tra lealtre cose, si convenne che il riti-ro delle truppe sovietiche dovesseavvenire nel 1994. Si trattava diuno dei maggiori spostamenti ditruppe in tempi di pace di tuttala storia militare.Boris Eltsin era succeduto a Gor-baciov e proseguì lungo il cammi-no tracciato dal suo predecessore.Il ritiro delle truppe equivalevacontemporaneamente alla fine delPatto di Varsavia e al ritiro dellaRussia dall’Europa centrale. Hel-mut Kohl sapeva che occorrevanon umiliare la Russia in questoprocesso. Versailles ne fu e ne èancora una testimonianza pre-gnante. È interessante tenere a

mente ciò che Helmut Kohl ebbea dire in occasione dell’evento so-lenne del 31 agosto 1994 del con-gedo delle truppe di occupazionesovietiche dalla Germania: «Aquasi cinquanta anni da quandol’esercito sovietico raggiunse ilterritorio dell’allora Impero tede-sco, i soldati russi oggi lasciano ilnostro paese. Non se ne vanno co-me occupanti, ma come partner, sene vanno daamici».Helmut Kohlnon creò solo ipresupposti perla riunificazio-ne in politica estera, ma indisseanche le prime elezioni libere del-la Camera popolare della Rdt il18 marzo 1990, oltre a quelle te-desche interne. Quasi tutti aveva-no previsto una vittoria della Spd,

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Il 18 marzo 1990si svolsero le primeelezioni libere in Rdt

con la vittoria della Cdu

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per il fatto che nei territori dellaGermania centrale, con una quotaelevata di lavoratori, in preceden-za si era votato “rosso”. Invece laserata si concluse con la sorpresadel successo della “Alleanza per laGermania” (un’alleanza del Movi-mento per i diritti civili e dei De-mocratici cristiani della Rdt). So-lo Helmut Kohl non aveva maidubitato della vittoria: infatti,aveva ricevuto applausi scroscian-ti durante tutta la sua campagnaelettorale. Si erano succedute ma-nifestazioni con ben oltre cento-mila partecipanti. In HelmutKohl si vedeva ilgarante della liber-tà, della democra-zia e del successoeconomico.Nella Camera po-polare e nel primogoverno eletti li-beramente Kohlebbe i partner di cui necessitavaper rendere possibile la conver-genza di due sistemi politici e didue culture politiche completa-mente diversi. L’entità del com-pito non induca in errore. La po-polazione della Rdt non si era la-sciata alle spalle solo una dittatu-ra socialista, ma anche una ditta-tura nazionalsocialista. Nella Rdtsoltanto pochi cittadini in etàavanzata avevano vissuto l’espe-rienza della democrazia.La dinamica scaturita dalla vo-lontà e dal desiderio di riunifica-zione dei tedeschi dell’est si risol-se in una tale forza prorompenteche nulla poteva arrestarla. La po-litica faceva fatica a manteneregli sviluppi entro canali pacifici.

A questo scopo si avviarono ac-cordi con gli Stati limitrofi e siprocedette alla formazione di unavolontà unitaria con gli ex alleati.In quanto testimone del tempo,posso confermare che eravamopiù che altro “trascinati” dal pro-cesso in atto e non tanto i suoi“trascinatori”. Nessuno aveva cer-tezze definite. In cinquant’anni cieravamo abituati al fatto chel’unità dell’Europa doveva preva-lere sull’unità tedesca. Ora, inve-ce, le cose si stavano invertendo.E non tutti riuscivano a cambiareil proprio modo di pensare.

In quei dialoghi ein quelle trattativesi venne afferman-do una proprietàdel carattere diHelmut Kohl, sen-za la quale la riuni-ficazione non si sa-rebbe attuata in

modo pacifico: la sua capacità dicreare fiducia e di mantenere laparola data. Era una fiducia che ilcancelliere si era costruito neglianni, e senza questo talento –quello, cioè, di costruire un’ami-cizia con George Bush e FrançoisMitterand e di dare inizio a undestino comune con Michail Gor-baciov – la riunificazione si sa-rebbe risolta in un fallimento.Sarebbe un errore affermare che lariunificazione è stata il risultatodi una politica mirata. Piuttostopuò considerarsi come il risultatodi una conduzione della politica,che andava da Konrad Adenauerfino a Helmut Kohl, e che facevadi tutto per tenere aperta la que-stione tedesca, consentendo così

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Senza l’abilità di Kohldi creare fiducia,la riunificazione tedescanon sarebbe avvenutain maniera pacifica

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l’attuazione della riunificazione.Occorre anche non sottacere ilfatto che la riunificazione è anchedebitrice di un movimento di li-berazione che ebbe inizio in Polo-nia per poi abbracciare tutta l’Eu-ropa centro-orientale. Non dob-biamo dimenticare che noi tede-schi siamo debitori della nostrariunificazione ai polacchi che nelcorso della storia hanno soffertosotto la Germania. In ultima ana-lisi, fu il Papa polacco a rendereirresistibile questa idea di libertàcon il suo atteggiamento persona-le e il suo impegno. «Quante di-visioni ha il Papa?», chiese unavolta sprezzante Josip Stalin.Nessuna. Ma aveva una forza su-periore a tutte le divisioni delmondo: la volontà divina.Volendo valutare oggi l’operato diHelmut Kohl a favore della riuni-ficazione della Germania, natural-mente si pone Kohl accanto adAdenauer. Taluni storici lo pon-gono anche sullo stesso piano delprimo cancelliere dell’Impero,Otto von Bismarck. Infatti, comequest’ultimo, Kohl non lasciòdietro di sé solo una Germaniaunita, ma rese anche possibile unnuovo ordine politico europeo. Aprescindere dalla risposta data aquesta domanda, per noi tedeschirimane decisivo il fatto che abbia-mo ottenuto la riunificazione rea-lizzando nel contempo anche lariunificazione dell’Europa.Se valuto l’operato di HelmutKohl in modo ancora più impor-tante di quello di Bismarck, i mo-tivi sono i seguenti: la Germaniadi Bismarck si fondava su unaguerra; la riunificazione di Kohl

fu pacifica. Inoltre, secondo Bi-smarck la Germania era orientatain senso nazionale, tendendo al-l’alterigia nonché a mire egemo-niche, ed era attorniata da viciniche non a torto erano preoccupatidi fronte a una grande Germania.La Germania di Kohl è la Germa-nia più pacifica che sia mai esisti-ta. Non minaccia nessuno ed è in-tegrata nell’Unione europea e nel-la Nato. Su questa base, la Ger-mania ha l’opportunità di mante-nersi in vita a lungo. Invece laGermania di Bismarck si disgregòben presto dopo che il capitanoaveva abbandonato la nave.La riunificazione tedesca non è ilmerito di un singolo, vi collabo-rarono molte forze. Bismarck dis-se una volta: «Se lo statista ode ilmanto di Dio frusciare attraversogli eventi, l’unica cosa che può fa-re, è di saltare in avanti e di affer-rare il lembo del suo vestito».Questa capacità Helmut Kohll’aveva e grazie a essa fu uno sta-tista e il cancelliere dell’unità.

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HELMUT KOHLWilhelm Staudacher

WILHELM STAUDACHERPresidente della Rappresentanza della Fon-dazione Konrad Adenauer a Roma. E’ statoSegretario generale della Kas. Dal 1994 al1999 è stato Segretario generale della Presi-denza della repubblica e prima di allora se-gretario di Stato del Meclemburgo-PomeraniaAnteriore.

L’Autore

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Ci sono uomini che, a causa di cir-costanze imprevedibili, si trovanoad assistere ad avvenimenti epoca-li, al mutamento del corso dellastoria. Uno di questi è senza dub-bio Gianni De Michelis. Era lui,infatti, il ministro degli Esteri ita-liano che si trovò a gestire la deli-catissima fase che va dal 1989 al1991, vale a dire il crollo del murodi Berlino prima, e l’effetto domi-no che portò al crollo dell’UnioneSovietica poi. Nessuno meglio di

INTERVISTA A GIANNI DE MICHELISDI DOMENICO NASO

Unatelefonatadel ministrodegli Esteri

della Germania oveste tutte le prospettivestoriche e politichecambiarono di colpo.Così GianniDe Michelis, alloraalla Farnesina ricordala sera del 9 novembre1989, quando il murodi Berlino crollòe trascinò con se ciòche restava del sistemasovietico. Tra il ruolodi Gorbaciov,le posizioni dell’Italiae lo slancio europeistache nacque da queglieventi, un pezzodi storia raccontatada chi l’ha vissutada protagonista.

«IO, IL MURO E GORBACIOV,

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lui, forse, può raccontare il puntodi vista italiano di quei mesi frene-tici che portarono alla fine dellaGuerra Fredda e allo sgretolamen-to del blocco orientale.Uno dei protagonisti indiscussidi quella fase fu senza dubbio Mi-khail Gorbaciov, segretario delPcus e presidente dell’Urss, ispi-ratore della perestrojka e del gra-duale avvicinamento tra Mosca eWashington. «Gorbaciov era unapersona “calda” – racconta De

Michelis – che credeva davvero inquello che diceva. Non aveval’aspetto tipico del burocrate co-munista freddo e incartapecorito.Dava l’impressione di uno chequando ti parlava voleva trasmet-tere capacità di convincimento.Questa era la cosa che maggior-mente colpiva». Tra aperture ina-spettate e incapacità di gestire uncambiamento di tale portata, ec-co il ricordo di De Michelis sullafigura di Gorbaciov e su quel pe-riodo così denso di cambiamenti.

Il 9 novembre 1989, mentre i berlinesiabbattevano il Muro, lei era ministro de-gli Esteri. Come ricorda quel giorno? Co-sa ha pensato nel momento in cui ha sa-puto cosa stava accadendo in Germania?Quella sera ero a Budapest inmissione ufficiale perché il gior-no dopo avremmo firmato (conUngheria, Austria e Jugoslavia)l’intesa che diede vita alla Qua-drangolare (che poi si sviluppò fi-no a prendere la forma definitivadi Iniziativa centroeuropea, anco-ra oggi esistente). Questo per direche noi in qualche modo ci aspet-tavamo una situazione che si sa-rebbe evoluta rapidamente e percerti versi proprio il governo ita-liano fu quello che si mosse piùrapidamente. Pensavamo che bi-sognava attrezzarsi per affrontarela situazione in mutamento e ilfatto che stavamo in Ungheriaproprio in quei giorni dimostrache già da mesi ci stavamo muo-

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L’UOMO DEL CAMBIAMENTO»

MIKHAIL GORBACIOVGianni De Michelis

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Gorbaciov, il voltopop dell’Urss

Mikhail Gorbaciov nasce il 2 marzo 1931 da unafamiglia di agricoltori nel villaggio di Privolnoyenel sud della Repubblica russa. Nel 1950 si diplo-ma ottenendo una medaglia di argento e vieneammesso all’Università Statale di Mosca dovefrequenta la facoltà di legge, laureandosi nel1955. Successivamente segue dei corsi per corri-spondenza presso la Facoltà di Agraria dell’Uni-versità di Stavropol e nel 1967 aggiunge alla sualaurea in Legge una laurea in Economia agraria.Da studente universitario Mikhail Gorbaciov siiscrive al Partito comunista dell’Unione Sovietica.Negli stessi anni incontra Raisa Titarenko, chesposerà poco dopo in una semplice cerimonia. Daquel momento Raissa sarà la persona più cara evicina a Mikhail Gorbaciov, rimanendogli a fianconel corso di tutta la sua carriera politica fino allasua morte, avvenuta il 20 settembre 1999 che hacommosso tutto il mondo. Poco dopo il suo ritor-no a Stavropol gli viene offerto un incarico nellalocale associazione giovanile Komsomol che se-gna l’avvio della sua carriera politica. Nel 1970viene eletto Primo segretario del Comitato delpartito nel territorio di Stavropol, l’incarico dimassima responsabilità della zona. Nello stessoanno diviene membro del Comitato centrale delPcus (Partito comunista dell’Unione Sovietica).Nel 1978 diventa uno dei Segretari e si trasferiscea Mosca. Due anni più tardi entra a far parte del

IL PERSONAGGIO

Politburo del Comitato centrale del Pcus, la massi-ma autorità del partito e della nazione. Nel marzodel 1985 viene eletto Segretario generale del Co-mitato centrale del Partito, l’incarico più alto nellagerarchia di partito e nel paese. È Gorbaciov adavviare il processo di cambiamento dell’UnioneSovietica che più avanti sarà definito perestroika,una radicale trasformazione della società e delpaese, che genera un sostanziale mutamento nelloscenario internazionale. Il nuovo sistema di pen-siero, che viene associato al nome di Mikhail Gor-baciov, gioca un ruolo fondamentale nel porre finealla Guerra Fredda, arrestando la corsa agli arma-menti ed eliminando il rischio di un conflitto nu-cleare. Il 15 marzo 1990 il Congresso dei rappre-sentanti del popolo dell’Urss - il primo parlamen-to costituito sulla base di libere, e contestate, ele-zioni nella storia dell’Unione Sovietica - eleggeGorbaciov presidente dell’Unione Sovietica.Il 15 ottobre dello stesso anno gli viene assegnatoil Premio Nobel per la pace, a riconoscimento delsuo fondamentale ruolo di riformatore e leaderpolitico mondiale, e del fatto di avere contribuito acambiare in meglio la natura stessa del processomondiale di sviluppo. Il 25 dicembre 1991 Gorba-ciov rassegna le sue dimissioni da capo dello Sta-to. Dal gennaio del 1992 è presidente della Fonda-zione internazionale non-governativa per gli Studisocio-economici e politici (la Fondazione Gorba-ciov). Dal marzo 1993 è presidente della CroceVerde Internazionale, organizzazione ambientali-sta indipendente, presente in più di venti paesi.Ricopre anche l’incarico di presidente del Partitosocial democratico unito della Russia, fondato nelmarzo del 2000.Mikhail Gorbaciov ha ottenuto l’Ordine dellaBandiera rossa del lavoro, tre Ordini di Lenin in-sieme a molte altre onorificenze e riconoscimen-ti sovietici e internazionali, e a numerose laureehonoris causa da università di tutto il mondo. Èautore di numerosi scritti pubblicati in raccolte diarticoli e riviste e di vari saggi, tra i quali: A Timefor Peace (1985); The Coming Century of Peace(1986); Peace Has no Alternative (1986); Mora-torium (1986); Selected Speeches and Writings(1986-1990); Perestroika: New Thinking for OurCountry and theWorld (1987); The August Coup:Its Cause and Results (1991); December 91. MyStand (1992); The Years of Hard Decisions(1993); Life and Reforms (1995); Moral Lessonsof the XX Century (2000); On My Country andthe World (1998).

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vendo nella direzione di un’aper-tura maggiore verso est.Detto questo non potevo certoprevedere che il muro di Berlinosarebbe caduto proprio quel gior-no. Io ebbi la notizia dal ministrodegli Esteri tedesco Hans-Die-trich Genscher. Naturalmente lacosa emozionò tutti, anche noi.L’effetto simbolico e le immaginidella folla che scavalcava il murodavano il segno visivo del cambia-mento. Si trattava, in realtà, di unprocesso che era già in moto da al-cuni mesi, soprattutto in Germa-nia est. Nell’estate 1989 i tedeschiorientali avevano “votato con ipiedi”. Molti di loro, in vacanza inUngheria, non tornarono in Ger-mania orientale ma sconfinaronoin Germania ovest, approfittandoall’inizio dei controlli blandi dellapolizia ungherese e poi di una de-cisione ufficiale del governo diBudapest. A ottobre ero stato a unincontro tra Kohl e Andreotti incui avevamo discusso dell’evolu-zione politica della Germania del-l’est. In qualche maniera si sapevacosa stava per accadere. In ottobrec’era stato un momento in cui perun attimo si temette una reazionedel tipo di Tienamen con la re-pressione violenta delle proteste.Fu merito di Gorbaciov evitaretutto ciò, dicendo con chiarezzache non avrebbe tollerato una rea-zione con la forza del governo te-desco-orientale.

La strada che ha portato al crollo delMuro di Berlino, però, inizia qualche an-no prima. Secondo lei la perestrojka diGorbaciov mirava davvero a democra-tizzare l’Urss o piuttosto al presidente

sovietico è semplicemente sfuggita dimano la situazione?Le cose in Urss gli sono sicura-mente scappate di mano. Ma ne-anche per un attimo Gorbaciovpensò di usare la forza. Noi avem-mo l’occasione di incontrarlo subi-to dopo, in concomitanza con ilsummit a Malta con George Bushsenior. E proprio al Campidogliopronunciò il famoso discorso sullaCasa comune europea. Si creavanoi presupposti, dunque, per un su-peramento pacifico degli equilibriprecedenti e la creazione di una si-tuazione per cui l’Europa potessevivere sulla base di valori comuni.

Gorbaciov era molto diverso dai leadersovietici che lo avevano preceduto.Possiamo dire che fosse un personag-gio pop?Gorbaciov era una persona “cal-da” che credeva davvero in quelloche diceva. Non aveva l’aspettotipico del burocrate comunistafreddo come Gromyko oppuredel dirigente del Pcus incartape-corito alla Breznev. Dava l’im-pressione di uno che quando tiparlava voleva trasmettere capaci-tà di convincimento. Questa erala cosa che maggiormente colpi-va. La storia ha dimostrato suc-cessivamente che non sarebbe sta-to in grado di gestire da solo latransizione. Per metà appartene-va al vecchio mondo sovietico eproprio questa metà lo portò a es-sere vittima del sistema. In fondoanche lui fu scelto dal Kgb e daAndropov, e non espresso da unmoto di base. Chi guidò il tenta-tivo disperato di salvare il siste-ma fu il servizio segreto sovietico.

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Semplicemente perché, comel’Ibm in America, il Kgb era laparte più avanzata del sistema so-vietico, più avvertita anche deicambiamenti tecnologici che av-venivano nel mondo. E questo inun sistema così chiuso e arretrato,poco aperto all’innovazione, face-va del Kgb uno strumento ancorapiù importante dell’Ibm. Ciòspiega perché, quando poi alla fi-ne il sistema non regge più, è ilKgb che tenta, da un lato, dimettere in campo una possibiletransizione e, dall’altro, di fornirei quadri per guidare il sistemaper tutto il periodo successivo.Andropov sceglie Gorbaciov ri-spetto ad altri per tentare di ge-stire la situazione. È la sua gestio-ne del potere tra il 1989 e il 1991che rivela pienamente questa suadoppia natura. Usa moltissimo ilcontrollo del Comitato centrale,tenta di governare dall’alto. Enon a caso questo tentativo di go-vernare dall’alto fallisce quandoEltsin e le nomenklature delle va-rie repubbliche cominciano adagire dal basso, coinvolgendo lapopolazione. Palesando questadoppia natura, Gorbaciov com-mette l’errore maggiore che èquello di dimostrare un’imposta-zione a tavolino che non regge ilconfronto con la realtà. I due ter-mini glasnost e perestrojka e il loroaffermarsi contemporaneamente,dimostrano una gestione che nonpoteva che portare al fallimento.Che poi è la cosa che il Partito co-munista cinese rimproverava aMosca. Secondo Pechino si dove-va procedere con la perestrojka, ac-cantonando la glasnost.

Che è poi quello che hanno fatto in Cina.Esatto. E tutto sommato anchecon successo.

Diceva del fallimento di Gorbaciov.Il fallimento nasce proprio dalcontrasto tra la sua adesione since-ra al sistema democratico e l’ideaastratta di Andropov secondo cuisi poteva guidare dall’alto unatransizione democratica. Questonon funzionò. Una parte delle re-sponsabilità è dell’Occidente chenon permise una transizione gui-data ma preferì appoggiare l’im-plosione del sistema. L’elementodecisivo fu la riunione del G7 di

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Londra del luglio 1991, quandoUsa e Gran Bretagna ebbero lameglio sulla posizione di Francia eItalia, favorevoli a erogare consi-stenti aiuti economici a Gorba-ciov, con i quali avrebbe potutoprevalere nella lotta interna di ge-stione di quella trasformazione co-stituzionale che avrebbe trasfor-mato l’Urss in una federazione direpubbliche democratiche. Gorba-ciov aveva una riunione a Moscaper approvare la nuova costituzio-ne il 19 luglio. Dopo il niet del G7fu costretto a rimandarla al 19agosto e proprio un giorno primaci fu il tentato golpe.

In Occidente la figura di Gorbaciov godeancora oggi di una popolarità sorpren-dente. Moltomeno in Russia. Comemai?Per la semplice ragione che chi haraccolto i frutti della spinta delpopolo russo a liberarsi fu Eltsin,quindi gli avversari di Gorbaciov.Sul golpe se ne sono dette tante.Vero, falso, persino possibilecomplicità di Gorbaciov con igolpisti. Io non credo a questeversioni ma sicuramente in quelmomento Gorbaciov apparve in-capace di controllare gli avveni-menti. Chi montò sul carro arma-to e bloccò il golpe fu Eltsin.Mettiamola così: successe in Rus-

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sia in misura meno drammaticaquello che successe in Jugoslavia.Ciò che decise il destino di Bel-grado fu l’incapacità del gruppodirigente di allora di riuscire a farprevalere l’evoluzione democrati-ca a livello politico e su un pianofederale, limitando le iniziativedelle singole repubbliche. Slove-nia e Croazia indirono elezioni lo-cali e inevitabilmente la Jugosla-via si disintegrò. La stessa cosaavvenne in Russia. Gorbaciovtentò, con un referendum, di ave-re una specie di risposta democra-tica da tutta la federazione, ma inrealtà prevalse la spinta all’affran-camento delle singole repubbli-che. E infatti questo improvvisocambio di marcia fece sì che daagosto a dicembre il sistema so-vietico crollasse del tutto.

Però Mikhail Gorbaciov è anche l’uomoche mandò i carri armati a Vilnius perconvincere i lituani a rinunciare all’indi-pendenza.In quel caso ci furono errori daambo le parti.

Forse la Lituania non riuscì a essere pa-ziente?Sì, nel senso che tutto questo hafatto precipitare in una direzionenon positiva gli avvenimenti. Maormai era inevitabile.

Il suo omologo dell’epoca era EduardShevardnadze…In realtà durante il mio incaricoalla Farnesina ho avuto modo diconoscere tre ministri degli Este-ri dell’Urss. Eduard Shevardnad-ze, Aleksandr Bessmertnykh eBoris Pankin

Shevardnadze, però, può essere consi-derato uno dei leader più progressistidell’Urss?Sicuramente si dimise, nel 1991,proprio perché riteneva che Gor-baciov stesse sbagliando consen-tendo la permanenza all’internodel sistema di potere sovietico diposizioni contraddittorie e trop-po conservatrici. Infatti i golpistidel 19 agosto erano tutti partedel sistema di Gorbaciov. Shevar-dnadze, nel 1990, fu il principaleprotagonista di due scelte fonda-mentali per l’Unione Sovietica:approvare l’unificazione tedesca econsentire la guerra del Golfocon l’appoggio dell’Onu. Perquest’ultima posizione aveva su-bito molte critiche all’internodell’apparato militare, che eramarcatamente schierato su posi-zioni pro Saddam. L’Iraq era con-siderato una specie di protettora-to sovietico, ancora più della Si-ria. Shevardnadze cercò di otte-nere una copertura netta da partedi Gorbaciov. Non la ottenne e sidimise. Poi diventò presidentedella Georgia ma egli stesso fuesautorato dalla generazione suc-cessiva, proprio perché apparte-neva comunque al vecchio siste-ma sovietico. Il più “riformista”,invece, era un certo Jakoblev chetentò di elaborare una strategiapiù compiuta per governare latransizione. Ma le incertezze diGorbaciov e il condizionamentodel Kgb sconfissero quest’ala più“in marcia”.

Crolla il Muro e la Germania si riunifica.Andreotti non era a favore della riunifi-cazione tedesca. Come mai?

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È vero. Durante un dibattito auna Festa dell’Unità di qualcheanno prima, aveva detto pubbli-camente e con chiarezza che incaso di crollo del sistema orienta-le sarebbe stato meglio mantene-re la Germania divisa. Era unasua idea, peraltro molto diffusa inEuropa occidentale.È vero anche, però, che durante ilvertice dell’Eliseo organizzato infretta e furia dopo il crollo delmuro per prendere atto del cam-biamento epocale, fu l’Italia (equindi Andreotti, allora presi-dente del Consiglio) a tirar fuorida quella riunione tesa e confusa,la proposta di compromesso chepermise di chiudere l’incontrocon un segnale da parte dell’Eu-ropa di non essere contro l’unifi-cazione ma che anzi la auspicava.Poi le cose andarono in manieramolto più veloce di come si pote-va prevedere. L’unificazione av-venne in meno di un anno: il 9novembre1989 crolla il muro, ilprimo ottobre 1990 viene sancitaufficialmente la riunificazionedella Germania

E la sua posizione personale?Non ero favorevole o contrario.Era semplicemente un processoinevitabile. Così come l’allarga-mento a est dell’Ue.

A proposito, come giudica il processo diallargamento dell’Europa a est?Avevo chiarissimo già allora chegli storici cambiamenti dell’epocarendevano inevitabile l’allarga-mento. Il problema non era se far-lo o no, ma a quali condizioni.Naturalmente il primo passo ver-

so l’allargamento era la riunifica-zione tedesca. Ogni resistenzaverso il ricongiungimento delledue Germanie era una resistenzacontro la riunificazione del’Euro-pa, con possibili ricadute soprat-tutto nell’Europa occidentale.Durante un’audizione davanti allecommissioni esteri di Camera eSenato, nel settembre 1989 equindi prima della caduta delMuro, io avevo spiegato questoconcetto così: il periodo sarà basa-to sulla nostra capacità di esporta-re integrazione a est. E se non sa-remo capaci di farlo rapidamente,sarà l’est a esportare “disintegra-zione” a ovest. La Jugoslavia è sta-to un tragico esempio di questotipo di impostazione. Per questaragione lavorammo (noi, ma an-che Delors e Mitterand) per defi-nire le condizioni entro cui collo-care l’inevitabile e rapida tenden-za all’allargamento. E quindi tut-to il lavoro di rafforzamento isti-tuzionale dell’Europa.

E ce l’abbiamo fatta?No. Ma lì venne elaborato unconcetto secondo cui “allarga-mento e approfondimento dove-vano andare di pari passo”. Inte-grazione economica e politica,dunque. Che in fondo fu lo spiri-to di Maastricht.Non avremmo mai avuto l’eurose non avessimo concesso una ra-pida unificazione tedesca. E senzal’euro non ci sarebbe stata l’unifi-cazione politica dell’Europa. Lamoneta unica era il punto termi-nale del processo di integrazioneeconomica e quello iniziale del-l’integrazione politica.

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Quindi sbaglia chi accusa l’Europa diaver pensato prima all’integrazione eco-nomica e solo dopo a quella politica?La gente (e soprattutto la nostraclasse politica) non capisce questopunto fondamentale. Era inevita-bile, nel sistema di allora, pensareprima all’economia. Con la finedella Guerra Fredda, i problemisono rimasti gli stessi ma il modocon cui affrontarli è cambiato in-sieme al contesto. Nel processo diunificazione europea prima delcrollo del Muro non occorreval’integrazione politica, anche acausa della presenza di un’orga-nizzazione forte come la Nato.All’inizio del cammino europei-sta fu esplorata la possibilità difare prima un lavoro politicopiuttosto che economico. Ma sicapì che non c’era spazio. Bastipensare alla bocciatura della Ced(Comunità europea di difesa) daparte del Parlamento francese. Èevidente che quando Delors lan-cia l’idea dell’unificazione mone-taria, negli anni Ottanta, lo fa al-l’interno della logica della GuerraFredda. Dopodiché, e questo nes-suno lo ha voluto capire, neglianni che vanno dal 1989 al 1991cambia per sempre questa logica.Durante il vertice europeo del di-cembre 1989 si parlava ancora diunificazione monetaria. Quellapolitica viene introdotta solo du-rante il vertice di Dublino del-l’aprile 1990, cioè quando si po-neva il problema della riunifica-zione tedesca. Per puro caso l’Ita-lia si trovò ad avere la presidenzaeuropea nella seconda metà del1990 e ci toccò gestire l’unifica-zione tedesca, la guerra del Golfo,

il processo di unificazione mone-taria e anche, a quel punto, quel-la politica. E in quell’occasionevincemmo anche le feroci resi-stenze di Margaret Thatcher, chetatticamente non aveva compresoil nuovo quadro che si era creato el’inevitabilità di certe scelte di al-lora. E infatti dopo qualche mesedovette dimettersi.

Dopo più di vent’anni dall’avvento diGorbaciov, la Russia di oggi è ancorasotto esame, più volte criticata per lagestione del potere da parte di VladimirPutin. L’Orso di un tempo cosa è diven-tato? Sta davvero ridiventando una su-perpotenza economica e strategica?Non bisogna sottovalutare laRussia. Innanzitutto per ragionimilitari, visto che Mosca rimaneancora oggi l’altra vera potenzanucleare del pianeta. Ma anche, esoprattutto, per un suo punto diforza troppo spesso sottovalutato:il suo sistema educativo. È l’uni-co campo, forse, in cui il comuni-smo sovietico non ha fallito. LaRussia ha un capitale umano (so-prattutto in campo tecnologico escientifico) di primissimo ordine,superiore a Cina e India e inferio-re, forse, solo a Europa e Usa. Na-turalmente il sistema comunistaaveva ridotto la possibilità di uti-lizzare pienamente queste capaci-tà. Però questo vantaggio resta e,in un quadro come quello odier-no, per cui il mondo sta per usci-re dalla crisi e si avvia verso unperiodo di fortissimo sviluppo, laquestione del capitale umano for-mato e della capacità di dominarescienza e tecnologia diventerà de-cisiva.

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E se a questo si aggiunge l’enor-me territorio e di conseguenzauna disponibilità pressoché illi-mitata di risorse naturali ed ener-getiche, la Russia diventa un pae-se dalle enormi potenzialità. Na-turalmente vale per la Russiaquello che vale anche per Cina eIndia: nel medio e lungo periodosono avvantaggiati i sistemi eco-nomici e sociali che si basano sul-la democrazia, forma miglioreper sfruttare le potenzialità delsistema di mercato. È vero ancheche la democrazia deve essere co-niugata con la stabilità. Se unatroppo improvvida gestione dellademocrazia comporta prezzi trop-po alti sul fronte della stabilità, irisultati non potranno mai esserei migliori possibili.Putin, ad esempio, ha rappresen-tato e rappresenta un’evoluzionepositiva rispetto a Eltsin, la cuifase, tra crisi economica e corru-zione, aveva portato la Russia sul-l’orlo del baratro.

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MIKHAIL GORBACIOVGianni De Michelis

GIANNI DE MICHELIS

Ministro degli Esteri italiano a cavallo fra dueepoche: ha assunto il dicastero il 22 luglio1989 nel sesto governo Andreotti, quando ilMuro di Berlino era ancora in piedi, e lo ha la-sciato il 12 aprile 1991, a Muro di Berlino ab-battuto e alla vigilia della dissoluzionedell’Unione Sovietica. De Michelis era giàstato ministro delle Partecipazioni statali, delLavoro e vicepresidente del Consiglio, mal’esperienza agli Affari esteri ha profonda-mente caratterizzato i suoi impegni successivi.Oggi è presidente dell’Ipalmo, l’Istituto perl’America latina e il Medio Oriente, membrodel comitato esecutivo dell’Aspen InstituteItalia e membro europeo dell’Asem, forum peril dialogo fra Europa e Asia che è organismodell’Unione europea.

L’Intervistato

DOMENICO NASOGiornalista, si occupa di politica internazionalee cultura pop. Ha lavorato per la rivista Idea-zione. Collabora con Ffwebmagazine, Il Se-colo d’Italia, L’Opinione delle Libertà eGazzetta del Sud.

L’Autore

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Let us be sure that those who come af-ter will say of us in our time, that inour time we did everything that couldbe done. We finished the race; we keptthem free; we kept the faith.

Ronald Reagan

In Pennsylvania Avenue, tra laCasa Bianca e il Campidoglio, sistaglia il più grande palazzo diWashington Dc. È il Ronald Rea-gan Building, intitolato al qua-rantesimo presidente Usa, dedica-to al commercio internazionale,sede di uffici governativi e teatrodi eventi. Nell’atrio, sin dal gior-no dell’inaugurazione, fa bellamostra di sé un pezzo di parete

grigia, ornata da graffiti. È unaparte del Muro di Berlino, donodei berlinesi e degli impiegatidella Daimler Benz, come omag-gio in riconoscimento del ruolodel presidente Reagan nella riu-nificazione della Germania.L’accoppiata Reagan - Muro diBerlino è così scontata che pezziautentici di quel che resta dellagrigia muraglia che divideva indue la capitale della Germania e,simbolicamente, l’Europa intera,si trovano in moltissimi luoghidedicati al presidente. Un pezzonotevolmente grande – ad esem-pio – è nel fienile del Rancho delCielo, in California, per anni resi-

DI CRISTINA MISSIROLI

Unapresidenza “muscolare”,uno scontro con Mosca ben prestotrasformatosi in dialogo, un discorso

storico davanti alla Porta di Brandeburgo,venticinque anni dopo Kennedy.Così l’attore di Hollywood diventatopresidente degli Stati Unitiha sconfitto “l’Impero del male”.

Reagan, il cow-boyche abbattè il Muro

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RONALD REAGANCristina Missiroli

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denza di relax e vacanza di Ro-nald e sua moglie Nancy: un col-locazione che l’ex presidente Usatrovava particolarmente spiritosa.Persino i marinai della nave por-taerei Uss Ronald Reagan (Cvn76) non possono dimenticare illegame tra il presidente a cui èdedicata la loro nave e la storiatedesca. Loro, il Muro, se lo por-tano dietro in battaglia. Ognivolta che salgono a bordo, si tro-vano di fronte l’opera dello scul-tore Chas Fagan: un ritratto inbronzo di Reagan saldato ad unvero pezzo del Muro di Berlino.Esempi come que-s t i pot r ebberocontinuare a lun-go. Eppure quan-do nel 1988 Ro-nald Reagan lasciòla Casa Bianca altermine del suosecondo mandatoalla presidenza degli Stati Uniti,il Muro di Berlino era ancora alsuo posto, cupo e angosciante.Il presidente vide la prima voltail Muro di Berlino nel 1978.Quel giorno – narrano gli storici– disse al suo assistente PeterHannaford: «Dobbiamo trovareil modo per buttare giù questaroba». L’impegno rimase una co-stante di tutto il suo mandato.Una volta diventato presidente,Reagan tornò a Berlino, ai piedidel Muro, due volte. Nel 1982fece infuriare i sovietici muoven-do un paio di passi cerimonialiattraversando la striscia dipinta aterra che simboleggiava il confinetra l’est e l’ovest. Nel 1987, con-tro il consiglio di diplomatici e

scontrandosi con i papaveri delsuo stesso dipartimento di Stato,pronunciò il famoso appello aGorbaciov che rimane ancora nel-l’immaginario collettivo una del-le immagini più famose di tuttala presidenza Reagan.Una generazione intera era passa-ta tra il noto «Ich bin ein Berli-ner» del presidente John F. Ken-nedy del 1963 e l’altrettanto fa-moso: «Mr. Gorbaciov, abbattiquesto Muro» di Reagan del 12giugno 1987. Il celebre invito sa-rebbe rimasto inascoltato per unanno e mezzo ancora. La “marea

della storia”, comeamava chiamarlaReagan nei suoi di-scorsi, si sarebbeabbattuta sul Mu-ro, cancellandoloper sempre, solo il9 novembre del1989. Quando alla

Casa Bianca già abitava, da quasiun anno, George Bush padre. Ep-pure il discorso di Reagan difronte alla porta di Brandeburgorimane il simbolo della vittoriadell’Occidente.Ma quel discorso, al di là del suolato simbolico, fu davvero cosìdeterminante? Può davvero essereconsiderato il punto di non ritor-no della Guerra Fredda? Nelle di-spute storiche su Reagan e la suapresidenza, il discorso del Murodi Berlino ha un ruolo chiave. Se-condo alcuni quelle parole furonol’evento che portò alla fine dellaGuerra Fredda. Secondo altri sitrattò invece di un piccolo show,senza sostanza, messo in scena dalpresidente-attore ad uso e consu-

Reagan vide il Muroper la prima voltanel 1978 e iniziòa cercare il modo dibuttare giù quella roba

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mo dei media occidentali e deisuoi fans.Probabilmente hanno ragione etorto entrambe le scuole di pen-siero. Per molti conservatoriamericani quel discorso ebbe unsignificato simbolico. Fu la sfidafinale lanciata contro l’UnioneSovietica. A quella sfida, Gorba-ciov non fu in grado di risponde-re con la forza sufficiente e nonpoté opporsi, quando, due annipiù tardi, all’improvviso, i tede-schi buttarono giù il Muro. Per ipiù devoti tra gli ammiratori del

presidente americano, Reaganparlò, i sovietici tremarono, ilMuro cadde. E perciò la storia deldiscorso sotto la porta di Brande-burgo si trasformò in mito.Secondo alcune ricostruzioni sto-riche, il giorno dopo quell’appel-lo, Gorbaciov avrebbe confidatoai collaboratori la sua netta sensa-zione: Reagan non avrebbe cedu-to sulla questione di Berlino. Ilragionamento del leader delCremlino era semplice. Se il pre-sidente americano aveva deciso dimettere in ballo con tanta violen-

RONALD REAGANCristina Missiroli

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za la questione di Berlino –avrebbe detto Gorbaciov ai suoi –l’unica via per proseguire sullastrada del dialogo con l’Occiden-te sarebbe stata quella di trovareil modo per abbattere il Murosenza perdere la faccia. Un puntoera chiaro: il Muro aveva i giornicontati. E per i sovietici si tratta-va di uscirne con le ossa il menorotte possibile.Questa ricostruzione delle preoc-cupazioni e del pensiero del leader

sovietico non ha ancora trovatoconferme in atti ufficiali ed è ba-sata soprattutto sulle testimo-nianze dei collaboratori della Ca-sa Bianca all’epoca dei fatti. Mal-grado ciò, si tratta a tutt’oggidella ricostruzione di maggiorsuccesso. L’Occidente aveva fattola voce grossa e i sovietici eranocapitolati.Eppure quelli non erano più glianni della contrapposizione fron-tale e dell’Impero del Male. Erano

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già gli anni del dialogo e dei col-loqui tra Reagan e Gorbaciov.Erano gli anni dei primi accordisul controllo degli armamenti edel disarmo bilanciato. Forse pro-prio per questo esiste un’altra in-terpretazione del discorso del Mu-ro. E anche in questo caso di trat-ta di un’interpretazione non solodei molti storici democratici e disinistra, ma anche di alcuni tra icollaboratori dell’amministrazio-ne di George H. W. Bush.In un libro sulla fine della Guer-ra Fredda del 1995, due ex fun-zionari della prima amministra-zione Bush, Con-doleeza Rice ePhilip Zelikow,minimizzano il si-gnificato del di-scorso del Muro diBerlino e il ruoloche ebbe neglieventi che portaro-no alla fine delle Guerra Fredda.Si fa notare, infatti, che all’indo-mani del discorso non ci fu in re-altà alcuna seria reazione, né al-cun seguito immediato. Nessu-no cominciò concretamente a co-struire una strategia o ad averecome obiettivo specifico l’abbat-timento del Muro di Berlino. Idiplomatici americani, sempli-cemente, non consideravanoquesta questione parte di unarealistica agenda politica. Rice eZelikow non sono isolati in que-sta analisi. La pensa così adesempio Brent Scowcroft, consi-gliere nazionale per la sicurezzadi George H. W. Bush. Ma an-che alcuni dei consiglieri diplo-matici dello stesso Reagan.

Eppure chi archivia il discorso delMuro come insignificante, sba-glia. Perché non ne coglie almenoun punto fondamentale: quellodel rapporto di Reagan con lapubblica opinione del suo paese edel supporto che gli fece ottenerein patria nei confronti di una poli-tica estera altrimenti dura da di-gerire. Un sostegno fondamentaleper portare avanti il progetto delladistensione.Per capire il significato politicodel discorso della porta di Bran-deburgo, occorre capire in checontesto fu preparato. Durante la

p r imave r a de l1987, i conserva-tori americani co-minciavano a du-bitare della fer-mezza di Reagan.Temevano il nuo-vo approccio con-ciliatorio nei con-

fronti di Mikhail Gorbaciov e ilmalumore serpeggiava tra gliopinionisti del Gop. In questoclima, gli speech writers della CasaBianca cominciavano a lavoraread un discorso che il presidenteavrebbe dovuto pronunciare Ol-treoceano. Quel giugno Reagansarebbe andato a Venezia per lariunione del G7. Da lì il pro-gramma prevedeva una breve so-sta a Berlino, in occasione dellecelebrazioni per i 750 anni dallafondazione della città. Il punto sucui s’interrogavano i consiglieriera: che cosa avrebbe dovuto direil presidente?Nei mesi precedenti, Reagan erastato costantemente sotto attacconegli Stati Uniti per il suo atteg-

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Durante la primaveradel 1987 i conservatoriamericani diffidavanodel nuovo approccioconciliatorio di Reagan

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giamento troppo condiscendentenei confronti di Gorbaciov. I con-servatori erano particolarmentefuriosi. Non solo per i continuicolloqui amichevoli con Gorba-ciov (a Reykjavik il presidenteamericano si era spinto fino a par-lare dell’abolizione delle armi nu-cleari), ma anche perché il ventosembrava cambiato: come se ilpresidente stesse per la primavolta abbassando la guardia neiconfronti dell’Impero del Male.Di segnali – sempre secondo i piùaccreditati opinionisti conserva-tori – ce n’erano a bizzeffe. Unoper tutti: nel set-tembre del 1986il Kgb sequestròNicholas Daniloff,giornalista di UsNews & WorldReport come ri-torsione per l’arre-sto di un agentesegreto sovietico in America.Reagan scelse di non seguire la li-nea dura, anzi si adoperò per ne-goziare uno scambio. Gettando isuoi ammiratori più coriacei nelpiù cupo sconforto.Era chiaro che questi eventi eranodestinati ad essere solo il prologodella nuova politica reaganiana.Agli americani e ai conservatoriin particolare sembrava evidenteormai che Reagan avesse tuttal’intenzione di condurre con i so-vietici ben altri “affari”. Come senon bastasse, proprio in quel pe-riodo, il dialogo con Gorbaciovaveva ottenuto persino la benedi-zione del premier britannico Mar-garet Thatcher, solitamente mol-to dura e guardinga.

Nella primavera del 1987, Rea-gan era nel bel mezzo del delicatonegoziato che avrebbe portato adue nuovi summit con il leader so-vietico a Washington e a Mosca.La sua amministrazione lavoravafreneticamente all’accordo per ilcontrollo degli armamenti, untrattato sulle armi nucleari a me-dio raggio che avrebbe dovuto es-sere poi ratificato dal Senato. Eche a Washington cominciava araccogliere attorno a sé un bel po’di oppositori.In questo difficile clima fu scrittoil discorso del Muro. Incaricato di

stendere la primabozza fu Peter Ro-binson uno deigiovani speech wri-ters del presidente.L’appuntamento diReagan a Berlinoera per giugno. Adaprile Robinson fu

spedito in Germania, insieme adaltri collaboratori della CasaBianca, per preparare la visitapresidenziale. Obbiettivo delviaggio confrontarsi con i diplo-matici e decidere l’impostazionedell’intervento. Diversi anni piùtardi, in un libro di memorie,Robinson racconterà di aver otte-nuto per lo più indicazione di co-sa il presidente “non” avrebbe do-vuto dire. Sul questo punto tuttisembravano avere le idee piutto-sto chiare: il discorso “non”avrebbe dovuto sfidare i sovietici,“non” avrebbe dovuto scaldare icuori dei berlinesi, “non” avrebbedovuto contenere affermazionitroppo pesanti sul Muro di Berli-no. Abbandonati i diplomatici e i

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Il dialogo tra CasaBianca e Cremlinoaveva ottenuto anchela benedizionedi Margareth Thatcher

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funzionari, dopo un paio di gior-ni passati in mezzo ai berlinesi,Robinson si fece un’idea diversa.Oggi racconta di una discussionecon una ragazza particolarmentearrabbiata che gli disse: «Se que-sto Gorbaciov fa sul serio quandoparla di glasnost e perestroika, haun modo per provarlo: elimini ilnostro Muro!».Quella ragazza arrabbiata fu allafine migliore fonte di ispirazionedi tutte le lezioni diplomatiche.Robinson buttò giù la traccia delfamoso discorso. Molti cercaronodi mitigarlo, ma a Reagan piac-que e perciò fu pronunciato esat-tamente come da copione.Quel che i papaveri della diplo-mazia non capivano e che Reaganaveva perfettamente intuito erache il discorso del Muro di Berli-no era un’occasione politica unicaper lanciare un messaggio ai pro-pri sostenitori in patria, per riba-dire la filosofia dell’intera presi-denza Reagan e ricompattare ilconsenso attorno alla Casa Bianca.In termini squisitamente politici,quel consenso era il prerequisitoessenziale per i futuri negoziaticon i sovietici. Mentre quei nego-ziati servirono, dall’altra parte, acreare un clima molto più rilassa-to nel quale i sovietici poteronoaccettare con meno strappi la ca-duta della cortina di ferro.Chi minimizza il discorso delMuro sbaglia anche per un altromotivo. Ignora l’importanza delmessaggio che mandò a Gorba-ciov. E cioè che gli Stati Unitierano pronti a trovare una solu-zione insieme all’Urss, ma non acosto di accettare la divisione per-

manente di Berlino e di conse-guenza dell’Europa.In superficie il discorso di Rea-gan poteva apparire semplice-mente il seguito naturale di unaltro storico discorso reaganiano.Quello pronunciato a Westmin-ster nel 1982 in cui il presidenteaveva predetto che il diffondersidella libertà avrebbe consegnatoil marxismo-leninismo alle ceneridella storia.Andando più a fondo, invece, ildiscorso del Muro rifletteva unimportante cambiamento nelpensiero del presidente. Reaganera ormai convinto che qualcosasi stesse davvero muovendonell’Unione Sovietica e che, vo-lente o nolente, Gorbaciov rap-presentava quella sottile speranzadi cambiamento a Mosca. Perciòmentre ai piedi del Muro ripetevai capisaldi dell’anticomunismosui quali aveva impostato tutta lapropria carriera politica, Reaganallo stesso tempo riconosceva lapossibilità che qualcosa nel siste-ma sovietico stesse davvero acca-dendo. «Mosca parla di riforme eapertura», disse Reagan ai piedidel Muro. «Queste parole rappre-sentano davvero l’inizio di pro-fondi cambiamenti nello Statosovietico?». Alla domanda Rea-gan non cercò nemmeno di ri-spondere. Quel che fece, invece,fu di stabilire un nuovo test perla valutazione delle politichenuove annunciate da Gorbaciov:«Esiste un segnale che i sovieticipossono dare, che non potrebbeessere frainteso e che farebbeavanzare incredibilmente la causadella libertà e della pace. Segreta-

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rio generale Gorbaciov, se cerchila pace, se cerchi la prosperità perl’Unione Sovietica e l’Europa del-l’Est, se cerchi la libertà: vieni aquesto cancello! Mr. Gorbaciov,apri questo cancello! Mr. Gorba-ciov, abbatti questo Muro!».Dal punto di vista della strettadottrina di politica estera, il di-scorso di Reagan non diceva asso-lutamente nulla di nuovo. Dopotutto, che il Muro dovesse essereabbattuto era uno dei capisaldidella posizione americana sin dalgiorno in cui fu costruito. Lostesso Reagan l’aveva detto e ri-petuto in innumerevoli occasioni.Nel 1982, durante la visita a Ber-lino ovest («Che ci fa qui questoMuro? »); nel 1986, per il venti-cinquesimo anniversario della suacostruzione («Vorrei vedere que-sto Muro cadere giù oggi, e miappello ai responsabili perché losmantellino»). L’elemento nuovodel 1987 non era l’idea che ilMuro dovesse essere abbattuto,ma l’appello diretto a Gorbaciovperché lo abbattesse.Quando il discorso di Reagan fuscritto, i massimi consiglieri e di-rigenti del dipartimento di Statoe del National security councilprovarono ripetutamente a can-cellare quell’appello. Credevanoche parole così dure avrebberocompromesso lo sviluppo delledelicate relazioni tra Stati Uniti eUnione Sovietica.Proprio come alcuni degli inter-preti storici dei giorni nostri, que-gli ambasciatori e quei funzionarinon capirono il gesto di equilibrioche Reagan stava compiendo. Nonstava cercando di mettere ko, con

un unico discorso da bullo, il regi-me sovietico e nemmeno stavasemplicemente recitando un pezzodi teatro politico. Stava facendoqualcos’altro, quel giorno, a Berli-no. Stava cercando di incastrare unaltro tassello della politica cheavrebbe consentito all’Occidentedi vincere la Guerra Fredda. Comeavrebbe detto anni più tardi Mar-garet Thatcher, “senza nemmenosparare un colpo”.

Peace is not the absence of conflict, itis the ability to handle conflict bypeaceful means.

Ronald Reagan

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CRISTINA MISSIROLICapo dell’ufficio stampa del ministero dellaGioventù, guidato da Giorgia Meloni. È statainviato parlamentare e caporedattore a L’Opi-nione e a Mediaset. Ha collaborato con Idea-zione e Il Giornale. Si occupa di politicainterna e cultura americana.

L’Autore

RONALD REAGANCristina Missiroli

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WOJTYLA,UN PONTIFICATOOLTRE I MURI

WOJTYLA,UN PONTIFICATOOLTRE I MURI

Il ruolo di Giovanni Paolo II

DI FEDERICO EICHBERG

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Da poco più di dieci anni il sacrotestimone del “vincastro pontifi-cio” era passato dalle mani timo-rose di Papa Luciani alle ruvide edespressive mani di un lottatorepolacco. Era il 1989 e si compivauna grande missione che Wojtylaaveva perseguito fin dai primimes i d i pont i f i c a to . F indall’«aprite, anzi spalancate leporte a Cristo! Alla sua salvatricepotestà aprite i confini degli Stati,i sistemi economici come quellipolitici, i vasti campi di cultura,di civiltà, di sviluppo. Non ab-biate paura!». Si trattava di uninvito a quei regi-mi ed a quei paesiche avevano ac-compagnato, scan-dendola talvoltadrammaticamente,la sua attività diCardinale arcive-scovo di Cracovia.In quel 1978 Wojtyla trovòun’Europa divisa in due blocchi,dove si ergeva un muro imponen-te a lacerare il Vecchio Continen-te e un muro invisibile dividevale famiglie, i parlamenti. In Eu-ropa, fra scontri di piazza e pole-miche nelle assemblee, si punta-vano missili su nazioni vicine: daun lato i missili Pershing e Crui-se e dall’altra gli SS20. Un’Euro-pa lacerata cui lanciare un mes-saggio di libertà ed identità. Conla Slavorum Apostoli, GiovanniPaolo II apre un dialogo con l’al-tra Europa oppressa dall’ideolo-gia comunista e con una Ostpolitikfatta di preghiere e di missioninei paesi sotto il giogo comunistaridà speranza e fiducia ai popoli

slavi. Dopo quasi 27 anni di pon-tificato un’Europa allora allo stre-mo ricominciò a “respirare condue polmoni” come ebbe a dire lostesso Giovanni Paolo II. Dalladisintegrazione all’integrazione,con l’ingresso dei paesi oppressinell’Unione Europea completato-si proprio nel 2004, pochi mesiprima del “ritorno alla casa delPadre” di Giovanni Paolo II.C’era qualcosa di insolito nel ba-cio del Papa al suolo che lo acco-glieva, il 2 giugno 1979. KarolWojtyla è appena arrivato all’ae-roporto di Varsavia, prima tappa

di un viaggio sto-rico, pieno di osta-coli e sotto “sorve-glianza speciale”in un paese d’ ol-trecortina, nellasua Polonia.Ancor più colpi-sce, nel rialzarsi

dal bacio, lo sguardo determinatoe il movimento delle mani delPapa. Sembra il movimento dichi, appena sceso nell’arena, siprepari allo scontro. È chiaro atutti: Wojtila accetta la sfida.Quel viaggio segna il trionfo diWojtyla, accolto in tutte le occa-sioni pubbliche da un calore in-tenso, forse per questo ancor piùstridente col gelo delle autoritàpolitiche comuniste. Ma la Polo-nia prende coraggio. Passano po-chi mesi e vede la genesi il primosindacato libero dell’EuropaOrientale, Solidarnosc, anima del-la calda estate di Danzica dell’an-no successivo, il 1980. In queimesi torridi l’opinione pubblicamondiale fa la conoscenza di que-

KAROL WOJTYLAFederico Eichberg

Dopo la visita del 1978del Papa nella sua terrala Polonia prendecoraggio, è l’inizio delcrollo del comunismo

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sti operai cheinneggiano allaMadonna d iChestochova edurante i comi-zi organizzano

un angolo per le confessioni conil sacerdote in regolari paramen-ti. Solidarnosc è ormai la parolad’ordine, in Polonia e in tutti gliangoli d’Oltrecortina, è il sinoni-mo di libertà e di diritti persona-

li, familiari e di popolo.Ma lungi dall’aprire gli occhidinnanzi ad una situazione para-dossale in cui un sindacato mani-festa contro i sedicenti promotoridella dittatura del proletariato, ladirigenza comunista decide diuscire dall’impasse con la rispostapiù dura: dopo un’estate di arrestie persecuzioni, il 13 dicembre1981, il governo Jaruzelski operaun vero e proprio colpo di Stato.

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Il governo polaccorispose con arrestie persecuzionia Solidarnosc

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L’opera di Karol Wojtyla, però,continua, lenta e inesorabile, inperfetta armonia con chi “vive nelmondo essendo cittadino del Cie-lo” (cfr. lettera a Diogneto) e aduna risposta diplomatica, affidataalla paziente azione del cardinaleGlemp, fa seguito un atto incom-prensibile agli occhi umani madall’alto significato spirituale. IlPapa decide di adempiere ad unadelle specifiche richieste della

Madonna, dettata a Fatima nelmaggio del ’17. Allora la Verginechiese che il Papa consacrasse, al-la presenza di tutti i cardinali, laRussia (in quei mesi sconvoltadai primi vagiti della Rivoluzio-ne, che da “li-berale” sarebbedivenuta “so-cialdemocrati-ca” ed infine“comunista”) alSuo Cuore Immacolato. Alla ri-chiesta, per una serie di difficoltàed ostacoli si era, negli anni,adempiuto in maniera solo par-ziale. Papa Wojtyla capisce chesenza l’aiuto della Mediatrice diogni grazia la battaglia intrapre-sa, e bruscamente interrotta dallaviolenza comunista, di matrice,non a caso, russa, non può andarea buon fine. Il 25 marzo 1984 aFatima si svolge la Consacrazio-ne, un evento passato sotto silen-zio dalla stampa internazionale,ma dalle conseguenze, nella logi-ca della fede, sconvolgenti. Passa-no pochi mesi e si spegne alCremlino l’ultimo grande ditta-tore sovietico, Andropov, cui suc-cede Michail Gorbaciov.Il nuovo presidente non solo ope-ra una vera e propria svolta (pere-strojka) all’insegna della traspa-renza (glasnost) ma intraprendeuna fitta rete di rapporti con laSanta Sede, impensabili fino aqualche anno prima, culminaticon la storica visita del Segretariodi Stato, il cardinale AgostinoCasaroli, a Mosca nel giugno1988, in occasione dei festeggia-menti del millennario della evan-gelizzazione della Russia.

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Nel 1984 GiovanniPaolo II consacròla Russia al Cuore

Immacolato di Maria

KAROL WOJTYLAFederico Eichberg

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Simultaneamente il Papa andavapercorrendo un altro sentiero nel-la ricostruzione spirituale del-l’est. È del 2 giugno 1985 l’enci-clica Slavorum Apostoli in cui, nelcelebrare la figura dei Santi Ciril-lo e Metodio, evangelizzatori delmondo slavo, Wojtyla additavanello studio delle radici e dellastoria, la via per la liberazione dalgiogo comunista. Il Papa propo-neva una vera e propria “incultu-razione”1 per riscoprire le originidi quel mondo oggi sotto il giogocomunista: dal battesimo delprincipe boemo Bozyvoj Premy-slidi all’evangeliz-zazione, grazie aMetodio ,del leterre attigue: dallaMoravia, alla Slo-vacchia, alla Pan-nonia, alla Polo-nia. E a sud laCroazia, l’intera“Balcania”, dove fu, in gran par-te, adottato l’alfabeto cirillico(elaborato da uno dei due fratel-li), la Romania e, infine, con ilbattesimo di Vladimiro il Gran-de, principe di Kiev, l’intera Rus’.L’est, dunque, è cristiano ed euro-peo. Non si fonda sul materiali-smo e sul conflitto di classe, masu basi spirituali e solidaristiche2.Questa “inculturazione” si è veri-ficata, lentamente e parallela-mente al fenomeno politico di ri-forma ed ha fondato una “societàcivile” pronta e cosciente nel ge-stire il trapasso.Passano pochi mesi dalla visita diCasaroli a Mosca che alle primeelezioni libere in Polonia, forte-mente volute dall’opinione pub-

blica interna ed internazionale,trionfa Solidarnosc. In un tripudiodi bandiere riceve il mandato diformare il nuovo governo TadeuszMazowiecky, intellettuale cattoli-co, braccio destro di Walesa e, so-prattutto, amico intimo del Papa.L’esempio polacco è subito segui-to dall’Ungheria, dove il nuovocorso si apre con la celebrazionesolenne dei funerali di Imre Nagye delle altre vittime del ‘56.Di lì a poche settimane HelmutKohl si reca in visita in Poloniadove su invito dei monaci Paoliniva in pellegrinaggio al santuario

di Chestochova. Lostatista tedesco, ametà fra curiosità edevozione, si rivol-ge alla “MadonnaNera” ivi veneratachiedendole unmiracolo vero eproprio: che cessi

l’insopportabile divisione del po-polo tedesco e la contrapposizio-ne ideologica. La notte del 9 no-vembre, a pochi giorni dalla visi-ta di Khol in Polonia, fra l’incre-dulità generale, crolla il Muro diBerlino.L’est che si è aperto grazie all’ope-ra di Wojtyla è oggi terra di dia-logo ecumenico teso al riavvici-namento fra Cattolicesimo ed Or-todossia, divisi da quasi mille an-ni (1054) su questioni dottrinariee di obbedienza.Il disgelo, iniziato oltre cento an-ni fa da Papa Leone XIII con leencicliche Grande Munus e Orien-talium Dignitas, ha avuto un’acce-lerazione in occasione del Conci-lio Vaticano II con il ritiro delle

Grazie a Karol Wojtylal’est è oggi terradi dialogo ecumenicofra Cattolicesimoe Ortodossia

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reciproche scomuniche (7 dicem-bre 1965) e i successivi scambi divisite con i Patriarchi ortodossi3.Papa Wojtyla, Papa slavo, haavuto enormemente a cuore la“questione ortodossa” cui ha de-dicato lettere apostoliche (Euntesin Mundum, Orientale Lumen),messaggi (Magnum Baptismi do-num) ed encicliche (Ut unum sint).Anche nella Tertio Millennio adve-niente Wojtyla nel sottolinearel’importanza del perdono recipro-co ha lanciato un invito ai fratelliseparati per riprendere il dialogo,che tante difficoltà, tuttora, co-nosce, soprattutto con i Patriar-chi di Mosca e Belgrado4.La prospettiva post-giubilare diun terzo Millennio dell’unità,che segue il secondo Millennioche fu della divisione, è stata ri-presa da Benedetto XVI. I mes-saggi inviati dai rappresentantidei cristiani d’Oriente, che han-no espresso soddisfazione per lasua nomina a Pontefice, ha aper-to un periodo di intensi scambidi visite e di proficui incontridottrinali, in particolare con ilPatriarcato di Mosca, che ormaiha superato le questioni stretta-mente storiche (con un sostanzia-le riconoscimento della fondatez-za di numerose affermazioni dot-trinali dell’Ortodossia in tema diFilioque). Vanno in questa dire-zione le dichiarazioni del vescovoHilarion Alfeyev, rappresentantedella Chiesa ortodossa russa pres-so le istituzioni europee, il qualeha formalmente dichiarato la fi-ducia di Alessio II circa il fattoche Benedetto XVI possa essereil Papa dell’unità. «Forse sarà

Benedetto XVI a realizzare lastorica missione di riconciliarecattolici ed ortodossi per la difesadella cristianità contro la sfidadel secolarismo militante». Sicu-ramente da questo nuovo climatrarrà giovamento il negoziatoper i beni della Chiesa Uniate ela questione del proselitismo.Nel nome di Giovanni Paolo II,Apostolo degli slavi.

1 cfr. Epistola Enciclica Slavorum Apo-stoli Cap.VI Il Vangelo e la CulturaPar. II2 cfr. Epistola Enciclica Slavorum

Apostoli Cap.VII Significato e irra-diazione del Millennio Cristiano nelmondo slavo Par. 273 È importante ricordare che in senoalla Chiesa Ortodossa non vi è uncapo supremo ma diversi patriarchidelle Chiese nazionali “Autocefale”4 In particolar modo sono rimastisenza risposta gli inviti rivolti daWojtila al Patriarca Aleksei per unincontro da tenersi a Graz ed uno aBudapest.

Note

FEDERICO EICHBERGDottore di ricerca presso l’Università di Bolo-gna, direttore Relazioni internazionali dellafondazione Farefuturo, è autore di numerosistudi e pubblicazioni sull’Unione europea.

L’Autore

KAROL WOJTYLAFederico Eichberg

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Ma i muriculturalirimangonoancora

L’eredità del comunismo

DI GENNARO MALGIERI

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Nella notte tra il 9 ed il 10 no-vembre 1989 Berlino si riempì digrida, rumori, canti. La folla di-ventava con il passare dei minutiimmensa e si riversava nella stra-de della città con una frenesiaquasi disumana. Su tutte una pa-rola d’ordine che non tardò a con-tagiare chiunque: «Die Mauer istweg», il Muro è caduto. Tedeschidell’ovest si riversarono all’est etedeschi dell’est si ritrovarono al-l’ovest. La frontiera più crudeledella storia dell’umanità non esi-steva più. Nel mondo fino ad al-lora cosiddetto libero dominaval’incredulità. Nes-suno poteva im-maginare che un-dici mesi più tardici sarebbe statauna sola Germa-nia. Il segnale del-l’evento epocale,incredibile a dirsi,venne dal portavoce del Partitocomunista della Ddr, GünterSchabowski, il quale, interpre-tando il pensiero e lo stato d’ani-mo dell’ufficio politico di quelliche erano stato i più servili edatroci pretoriani di Mosca nel-l’universo concentrazionario so-vietizzato, alla domanda di ungiornalista italiano se le frontieresarebbero state aperte entro unrelativamente breve lasso di tem-po, rispose seccamente di sì. In-calzato sui tempi, non si fece pre-gare e disse: «Subito!». Fu quelloil segnale che i berlinesi attende-vano. Anche coloro che avevanoperso la speranza videro un sognoavverarsi; un sogno coltivato dal13 agosto 1961, quando il Muro

venne eretto a separare il settoresovietico dai settori occidentalidella città.«Di tutta la sua vita, la sua mortefu la sua opera più bella», hascritto lo storico britannico Ti-mothy Garton Ash riferendosi alMuro, ma soprattutto alla cadutadell’Impero Sovietico. La sua finefu lenta, progressiva, inesorabile.Nessuno può dire quando comin-ciò, ma tutti videro i segni dellosgretolamento nell’implosioneeconomica e sociale dell’Urss,nella fine della guerra in Afgha-nistan che i sovietici abbandona-

rono con la codatra le gambe, nelmessaggio di liber-tà e di speranza chelanciò ai popolioppressi dell’est ilPontefice Giovan-ni Paolo II, neldissenso disperato

fino alla follia in alcuni casi di So-lidarnosc. Ma soprattutto nella di-chiarazione di Gorbaciov che suo-nò quasi come un segnale di resa,poco prima dello straordinarioevento: «Noi non ci opporremo aquanto accadrà». Una svolta. Dipiù: il segno della ripresa delcammino della storia per popolinelle cui anime si era fermata.L’ordine di Mosca non sarebbestato ristabilito a Varsavia, a Pra-ga, a Budapest, a Bucarest. L’or-dine di Yalta, insomma, sarebbestato fatto a pezzi dagli eredi dicoloro che lo stabilirono schiaviz-zando milioni di esseri umani.Quando la mattina dell’11 no-vembre, alcuni berlinesi, ancoraeuforici per ciò che soltanto due

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“Die Mauer ist weg”gridavano i tedeschi .La frontiera più crudeledell’umanitànon esisteva più

L’ANALISIGennaro Malgieri

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«Ab sofort». La nottein cui crollò il Muro

IL DOCUMENTO

Il 9 novembre 1989, il portavoce della Sed,Günter Schabowski, inizia a Berlino est unaconferenza stampa internazionale assieme aHelga Labs, Gerhard Beil e Manfred Bana-schak, membri del Comitato centrale del par-tito. Da questa conferenza, il cui corsoprobabilmente sfugge alle intenzioni degli or-ganizzatori, emergerà la notizia dell’aperturadelle frontiere tra la Germania est e il mondo.Di fatto è il crollo del Muro di Berlino. Ripor-tiamo di seguito i passaggi decisivi.

Ore 18.53DDoommaannddaa: «Mi chiamo Riccardo Ehrman, rap-presento l’agenzia di stampa italiana Ansa. Si-gnor Schabowski, lei ha parlato di errori. Leinon crede che sia un grande errore la propostadi legge di viaggio, non se l’aspettava qualchegiorno fa?»SScchhaabboowwsskkii: «No, non credo. Noi sappiamodella tendenza della popolazione, per i bisognidel popolo, di viaggiare o di lasciare la Ddr. Enoi abbiamo l’intenzione (…) di realizzare uncomplesso rinnovamento della società e di rag-giungere tramite diversi elementi l’obiettivoche la gente non si senta più costretta a risol-vere i problemi personali in questo modo.Questi sono, diciamo così, tanti passi che nonsi possono realizzare tutti allo stesso tempo.Si tratta di una sequenza di passi e di unachance attraverso l’allargamento delle possi-bilità di viaggio; la chance, dunque, attraversola legalizzazione e la semplificazione del viag-gio all’estero, di liberare la gente da una situa-zione di pressione psicologica (…). Tuttaviaoggi, per quanto ne so (guarda verso Labs eBanaschak cercando la conferma) è statapresa una decisione. È stata accolta la racco-mandazione del Politburo di togliere uncomma della proposta di legge sui viaggi, cheregola il viaggio permanente all’estero – dun-que l’abbandono della Repubblica – e farlaentrare in vigore. Perché noi riteniamo una si-tuazione impossibile che questo movimento(la fuga dei cittadini della Ddr attraverso le am-

basciate della Repubblica federale in Cecoslo-vacchia, Polonia e Ungheria, ndr) avvenga tra-mite Stati amici, il che non è neppure tantofacile per questi Stati amici. Per questo ab-biamo preso la decisione di stabilire un rego-lamento che rende possibile a ogni cittadinodella Ddr di viaggiare all’estero attraversandoi punti di controllo della Repubblica democra-tica tedesca».DDoommaannddaa (brusio di voci): «Questo vale…?Senza passaporto? No, no! Da quando vale…?Da quando entra in vigore?»SScchhaabboowwsskkii: «Come?»DDoommaannddaa: «Da subito? Da…»SScchhaabboowwsskkii (grattandosi la testa): «Allora,compagni, mi è stato riferito qui (si infila gli oc-chiali per leggere meglio i fogli di carta) cheoggi è stato diffuso un certo comunicato. Voidovreste esserne in possesso. Dunque (leggevelocemente dal foglio): “Viaggi privati al-l’estero possono essere richiesti senza la pre-senza di presupposti, motivi di viaggio orelazioni di parentela. L’autorizzazione vienedata in tempo breve. L’ufficio passaporti dellaPolizia del popolo (Volkspolizeikreisaemter)della Ddr ha avuto la direttiva di dare i visti peril viaggio all’estero permanente senza indugio,senza i presupposti ancora vigenti».DDoommaannddaa: «Senza passaporto?»SScchhaabboowwsskkii: «Viaggi permanenti all’esteropossono avvenire attraverso tutti i posti dicontrollo dalla Repubblica democratica allaRepubblica federale. Così decade il conferi-mento temporaneo dei permessi nelle rappre-

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giorni prima li aveva proiettatiin un’altra dimensione, videroapprossimarsi al muro, un signo-re attempato, munito di un vio-loncello, non credettero ai loroocchi. Sedutosi davanti alle ma-cerie di quella costruzione ormaicadente, su una sedia malfermaimprestatagli da un abitante delquartiere, l’uomo, intorno alquale nel frattempo s’era raduna-ta una piccola folla silenziosa,prese a suonare una suite diBach, di carattere gioioso; poiun’altra più solenne, “in memo-ria di coloro che hanno lasciatoqui le loro vite”. Così MstislavRostropovitch, sotto uno sbrec-ciato muro segnato da incom-prensibili graffiti, celebrò la sualiberazione e quella del suo mon-do prigioniero di una vendettaconsumata contro l’Europa.Un mese dopo Vaclav Havel,l’eroe della primavera di Praga,pronunciò davanti al Parlamentodi Varsavia un discorso tra i piùvibranti della storia della libertàriconquistata e disse tra l’altro:

«Ab sofort». La notte in cui crollò il Muro

sentanze all’estero della Ddr, cioè il viaggioall’estero permanente con la carta d’identitàdella Ddr attraverso paesi terzi. (Guarda inalto). Non posso rispondere adesso alla que-stione del passaporto (guarda in direzione diLabs e Banaschak). Questa è anche una que-stione tecnica. Non so, ma i passaporti de-vono… dunque, così perché ognuno sia inpossesso di un passaporto bisogna che primaessi siano dati (…)».Domanda: «Quando entra in vigore?»Schabowski: (sfoglia nelle sue carte) «Aquanto ne so subito, immediatamente (sfo-glia di nuovo nelle sue carte)».Labs (legge): «Subito».Beil (legge): «Questo deve deciderlo il Consi-glio dei ministri».Domanda (brusio di voci): «Lei ha parlato sol-tanto di Repubblica federale, ma vale ancheper Berlino ovest?»Schabowski (legge velocemente): «Come l’uf-ficio stampa del ministero… il Consiglio deiministri ha deciso che fino all’entrata in vigoredi un’apposita legge della Camera del popoloresta valido questo regolamento di transito».Domanda: «Questo vale anche per Berlinoovest? Lei ha parlato soltanto di Repubblicafederale».Schabowki (alza le spalle, fa una smorfia,guarda nelle sue carte): «Allora… sì, sì (legge)il viaggio permanente all’estero può avvenireattraverso tutti i posti di controllo della Ddralla Brd e dunque a Berlino ovest».

Da Ideazione, numero 5-1999

L’ANALISIGennaro Malgieri

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«Al momento l’Europa è divisa.Ed è divisa anche la Germania.Sono due facce della stessa meda-glia: è difficile immaginareun’Europa che non sia divisa inuna Germania divisa, ma è anchedifficile immaginare la Germaniariunificata in un’Europa divisa. Idue processi di unificazione do-vranno svilupparsi parallelamen-te, e anche subito se possibile [...]I tedeschi hanno fatto molto pernoi tutti: essi hanno cominciatoda soli a demolire il muro che cisepara dal nostro ideale: un’Euro-pa senza muri, senza sbarre di fer-ro, senza filo spina-to». Ecco. Vent’an-ni dopo, sono ri-maste le grida digioia nelle nostreorecchie di occi-dentali un po’ di-stratti, ma l’Euro-pa di Havel e deiberlinesi non è ancora sostanzial-mente unita. Andare oltre il co-munismo non è stato facile, co-struire in un sistema di libertàuna patria comune è certamenteancora difficile. Perché i postumidi quelle ferite sanguinanti dallafine della seconda guerra mondia-le agli inzi degli anni Novantadello scorso secolo, si avvertonoancora. Al punto che StephanCourtois, ideatore e curatore delLibro nero del comunismo, così hasintetizzato gli effetti della cadu-ta del Muro: «Rimane un’im-mensa tragedia che continua apesare sulla vita di centinaia dimilioni di uomini e che caratte-rizza l’entrata nel terzo Millen-nio». Come gli si può dare torto?

L’“immensa tragedia” è ancora vi-va, per quanti sforzi si facciano alfine di rimuoverla. Il più orribilee devastante totalitarismo che lastoria abbia conosciuto, produssecento milioni di morti. Si puòcredere davvero che l’Ottantano-ve, data “fatale” per l’umanità especialmente per l’Europa, possaessere messo tra parentesi e so-stanzialmente relegato nel retro-bottega degli orrori che l’ideolo-gia ha provocato?Ce lo chiediamo perché da un po’di tempo sembra di assistere aduna soffice minimizzazione di

quegli eventi chevent’anni fa scon-volsero la geografiamondiale, mentresi ha l’impressioneche si tenda a ricor-dare soltanto la li-berazione di popo-lazioni che per de-

cenni (oltre settant’anni quellarussa) hanno subito il giogo delsovietismo con la complicità delmondo politico ed intellettualedi buona parte del Globo, a co-minciare da quei “buoni europei”che tanto a lungo hanno tolleratogli assassinii, le deportazioni, lecarestie programmate, la miseria,l’intolleranza leninista, i gulagstaliniani e post-staliniani. Tra i“buoni europei”, naturalmente,non bisogna dimenticare scrittoricelebri, gente dello spettacolo,intellettuali che a vario titolohanno edificato i loro monumentisull’apologia del terrore. Nessunoha speso finora una parola permettere le cose a posto e dire achiare lettere che la cultura euro-

Il comunismo è morto,ma la sua eredità persiste nella prassi di chi si è formato nel suo ambito politico

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pea è stata per buona parte com-plice nell’edificazione di tutti imuri, materiali e psicologici, chesono stati edificati dal 1917 inpoi. I conti, dunque, debbono an-cora essere completati. E quandoci si scandalizza di fronte alle tesidi Ernst Nolte sui contrappostitotalitarismi del Ventesimo seco-lo, nel tentativo di assolvere quel-lo stalinista, si ha la sensazioneche il Muro di Berlino non sia an-cora stato abbattuto.Sono soprattutto gli eredi (a variotitolo, intellettuali e politici) diquei partiti comunisti occidentaliche profusero grandi passioni nel-l’esibire la loro sudditanza neiconfronti non soltanto dell’Unio-ne Sovietica, ma del comunismoin genere variamente declinato amostrarsi ancora reticenti nell’af-

frontare il tema del post comuni-smo alla luce dei danni provocatidall’ideologia che ha insanguina-to buona parte del mondo. E c’èancora chi si rifugia, quasi pergiustificarsi, in una visione delmarxismo come strumento diprogresso e di emancipazione deipopoli. Un modo come un altroper vanificare quel grido dei ber-linesi che festeggiavano piangen-do e ridendo la riconquistata li-bertà.Le macerie raccolte sono ancorasotto i nostri occhi. Mentre la va-lutazione storica e morale non èstata ancora definitivamentecompiuta, se è vero come è veroche il sovietismo come pratica dipotere non è morto, ma agisce peraltre vie restando sostanzialmentelo stesso a riprova che se il comu-

L’ANALISIGennaro Malgieri

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nismo come ideologia è sepoltonella tomba della storia, la suaeredità politica persiste nellaprassi di coloro che nel suo ambi-to si sono formati.Una riflessione su tutto questo esulle mutazioni del marxismo nelmondo andrebbe fatta dopo duedecenni nel corso dei quali si ècreduto che tutto fosse cambiato,mentre in realtà, in alcuni paesi èmutata soltanto la forma del po-tere anche se nessuno si azzardapiù per decenza a citare Lenin,Stalin o i classici del comunismoa supporto di politiche che sicombinano maldestramente conl’apologia di un ben singolare“mercato” come nella Cina popo-lare, paese che sta facendo stramedei diritti dei popoli dal Tibet al-lo Xinjiang dove gli uiguri ven-gono sistematicamente massacra-ti nell’indifferenza di quello stes-so mondo libero che plaudì allacaduta del Muro.Ha sorpreso, tra l’altro, che dopogli eventi successivi all’Ottanta-nove, la sinistra italiana non ab-bia mai effettuato un’adeguataanalisi di ciò che il totalitarismocomunista aveva prodotto nonsoltanto dove si era affermato po-liticamente, ma anche e soprat-tutto nell’ispirazione fornita allacultura occidentale. Non sonostate pronunciate, insomma, pa-role chiare e definitive sul comu-nismo da parte di chi in esso si èriconosciuto e non certo quandonon aveva l’età per intendere. Laspiegazione, forse, risiede nelpregiudizio nutrito dall’ultimagenerazione di comunisti italia-ni, vale a dire la certezza che

l’ideologia che li ispirava potevaessere riformata; cioè che bastas-se una correzione di rotta nel-l’orizzonte aperto da Marx e dallaRivoluzione d’Ottobre per ren-dere accettabile il comunismo.Così trascorsero gli anni Ottanta,gli anni del disgelo post-brezne-viano nell’attesa messianica diqualcosa che non sarebbe potutomai accadere. Da qui la difficoltàdi un’analisi tempestiva e credi-bile che certo ha ritardato, alme-no in Italia, ma pure in altri pae-si europei come la Francia adesempio, la presa di distanza dal-l’orrore del sovietismo.L’ultimo Muro che ancora deveaccade, dunque, è quello cultura-le. Rimuovere non serve a niente:i fantasmi possono sempre ripre-sentarsi sotto forme inimmagina-bili. Bisogna riconoscere e ricor-dare. E nello stesso tempo sotto-porre ad un rigoroso vaglio criti-co ciò che ha generato il comuni-smo stesso, attraverso un’opera didemistificazione dei miti che lohanno preceduto. A cominciaredall’Illuminismo. È troppo?

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GENNARO MALGIERI

Giornalista, ha diretto il Secolo d’Italia e L’In-dipendente. Consigliere d’amministrazionedella Rai dal 2005 al 2009, attualmente è de-putato del Popolo della libertà e membro dellacommissione Affari esteri della Camera.

L’Autore

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Quell’insopprimibilevoglia di libertà

I fuggiaschi del Muro di Berlino

DI PAOLO QUERCIA

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Vent’anni fa veniva giù uno deisimboli più odiosi e ripugnantidell’esperienza del comunismo eu-ropeo. Non che la costruzione delMuro di Berlino rappresenti lapeggiore delle nefandezze che ilcomunismo abbia prodotto nel-l’Europa dell’est. I 155 chilome-tri di cemento che a Berlinohanno diviso per quasi trent’anni

quartieri, strade, piazze e fami-glie, non potrebbero mai compe-tere con la grande varietà discientifica oppressione politica,sociale, economica che il comuni-smo ha prodotto nei gulag, nellefabbriche, nelle caserme dellaStasi, nel controllo oppressivo diogni forma di espressione di li-bertà e di pensiero. Ma la partico-

LA STORIAPaolo Quercia

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lare ripugnanza di quel muro ri-siede nel fatto che esso divennepresto la plastica metafora diquello che ogni regime comunistafiniva inevitabilmente a rappre-sentare per la propria popolazione,ossia una forma di regime carcera-rio a cielo aperto. Il muro, dun-que, non come strumento diprotezione, ma come vallo per ar-ginare la fuga in massa della po-polazione dal regime fantocciodell’est in mano ai sovietici versoquella magica striscia di libertà,quella Berlino ovest assediata maporta d’ingresso dell’Occidente li-bero. Nel 1961, almomento in cui siiniziò la costru-zione del muro,milioni di tedeschidell’est avevano si-lenziosamente giàtrovato la stradaper passare illegal-mente la frontiera, mettendo inseria crisi il regime e soprattuttodimostrando che, quand’ancheogni forma di espressione e di par-tecipazione politica viene abolita,i popoli oppressi possono ancora“votare con i piedi”, abbando-nando alla prima occasione, edanche a costo della vita, i propriaguzzini. Quest’esodo di enormiproporzioni dalla Germania co-munista alla Germania libera everso l’Occidente non creava soloproblemi materiali al regime dellaDdr ma rappresentava anche unaforma dannosissima per la propa-ganda del comunismo. Come èpossibile che in milioni sfidano lamorte per abbandonare quello cheviene propagandato come il para-

diso dei lavoratori e il regno dellagiustizia sociale e del progressoeconomico? La fuga andava arre-stata per poter mantenere in piedila credibilità residuale della pro-paganda. I due mondi andavanoseparati di netto, con due muri euna striscia della morte in mezzosorvegliata notte e giorno da cec-chini armati con licenza di ucci-dere. E la costruzione del muropagò, almeno dal punto di vistadella logica del terrore e della pro-paganda ideologica. Con il Muro,fuggire da Berlino est era dive-nuta un’operazione da arditi che

solo pochi temerario disperati pote-vano tentare. Dallacostruzione delMuro fino al suocrollo almeno cin-quemila personeriuscirono a fuggirementre circa cin-

quecento trovarono la morte sottoil piombo dei Vopos. Ad essi siuniscono quelli che riuscirono asuperare il Muro in altro modo,come merce di scambio di unturpe commercio che il governodella Ddr aveva messo su conquello di Bonn con la vendita dei“prigionieri politici” ossia quelliincarcerati per reati d’opinione.Non prima di aver scontato treanni di lavori forzati, trattative se-grete consentivano alla Germaniaovest di comprare propri conna-zionali ad un prezzo oscillante trai 40mila e i 120mila marchi.Oltre 15mila ostaggi furono ri-scattati alla libertà con questo tri-ste mercanteggio. Ma il fenomeno più entusia-

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L’immagine più bellaritrae un soldato della DDR che corre esalta la triste barriera di filo spinato

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smante della triste storia del Murodi Berlino, quello che ci ricordadell’insopprimibile anelito per lalibertà che è presente in ogniuomo, è quello del numero di sol-dati della Ddr che decisero di ap-profittare del proprio ruolo diguardiani del regime per abban-donarlo saltando dall’altra partedel confine. Furono 568 quelli chescavalcarono il muro che avreb-bero dovuto sorvegliare e diversemigliaia quelli che attraversaronoil confine in altri punti tra il 13agosto 1961 e il novembre 1989.Oggi, in un mondo inflazionatoda icone ed immagini spesso insi-gnificanti o banali, è difficile pen-sare ad una foto che possa almeglio rendere visivamente ilsenso del concetto di “libertà”.Eppure ce ne è una che viene daBerlino incredibilmente bella e si-gnificativa, che supera forse quelladel ragazzo cinese davanti alla co-lonna di carri armati a Piazza Tia-nanmen. È la foto di un ignotosoldato della Ddr che, messo lì asorvegliare la costruzione delmuro, decide di prendere la rin-corsa e saltare il filo spinato primache la costruzione del muro locondanni per sempre ad un de-stino al tempo stesso di vittima edi aguzzino. È una foto incredi-bile, in bianco e nero, stranamentepoco diffusa e conosciuta ma cheandrebbe in questo anniversarioripensata come il vero motivo delperché è stato giusto combatterela divisione dell’Europa e aiutarei popoli dell’Est a vincere la per-versione ideologica del comuni-smo. Al tempo stesso, è oggi in uncerto modo malinconico pensare

che nei vent’anni che hanno se-guito la caduta del muro è diffi-cile trovare un’altra foto che possavisivamente rendere la gioia e l’or-goglio di avere visto crollare ilmuro di Berlino con tutto il suocarico di ingiustizie e di inegua-glianze.

LA STORIAPaolo Quercia

PPAAOOLLOO QQUUEERRCCIIAAAnalista di relazioni internazionali ed espertodi questioni e di sicurezza. Consulente delCentro alti studi di difesa, è responsabile degliAffari internazionali della Fondazione Farefu-turo.

L’Autore

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La Russia traccia il suo futuro fra Asia ed EuropaDI GIULIANO FRANCESCO

Mosca cerca una nuova collocazione geopolitica

Dopo essere riuscita a sfuggire ai piani

di ridimensionamentomessi a punto dagli Usae dall’Occidente, la Russia di oggi tenta di ricrearsi un nuovo spazio geopolitico sullo scacchiere globale, usando le fonti energetiche e riallacciando vecchi rapporti strategici ingiro per il mondo.

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La politica estera russa rifletteuna visione consolidata degli in-teressi nazionali della Federazio-ne più che gli umori della sua at-tuale dirigenza. Al suo centro, sitrova l’ambizione di arrestare ildeclino geopolitico iniziato nellefasi finali della Guerra Fredda,preservare al paese lo status digrande potenza e nei limiti delpossibile modificare a vantaggiodi Mosca le frontiere della sferad’influenza in cui la Russia è sta-ta incapsulata dopo la dissoluzio-ne dell’Unione Sovietica.

Il progetto revisionista che si vadipanando è il risultato di unlungo processo di ripensamentodell’identità russa nel corso delquale, dopo un’iniziale prevalen-za dei fautori della modernizza-zione attraverso l’occidentalizza-zione, hanno preso il sopravventoi sostenitori delle teorie eurasiste,secondo i quali Mosca dovrebbeprima di tutto difendere la speci-ficità della propria civilizzazione,sviluppando una politica esteramultivettoriale, cioè aperta allacostruzione di rapporti cooperati-vi con tutti gli interlocutori più omeno prossimi alle proprie fron-tiere e priva di un vero asse privi-legiato. Può essere interessante aquesto proposito notare le note-voli somiglianze esistenti tra leconcezioni oggi prevalenti del-l’eurasismo russo e la teoria hun-tingtoniana dello scontro di civil-tà, all’interno della quale già tre-dici anni fa la Russia veniva de-scritta come leader in pectore diuna irriducibile civilizzazione“ortodossa”, differente ed antago-nista rispetto a quella occidentaledi matrice cattolico-protestante. L’eurasismo implica, a secondadelle varianti in cui si è finoramaterializzato, incluse quelle ela-borate dal segretario dei comuni-sti russi Ghennady Zyuganov edall’intellettuale tradizionalistaAlexandr Dugin, anche dosi piùo meno accentuate di autoritari-smo interno, giustificate facendoriferimento alla necessità di assi-curare attraverso uno Stato forteil mantenimento dell’ordine poli-tico in uno spazio vasto, relativa-mente poco popolato e costante-

GEOPOLITICAGiuliano Francesco

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mente esposto al rischio dellaframmentazione e della disgrega-zione. Come ha lucidamente dimostratoin un suo brillante saggio recenteil portavoce della Farnesina,Maurizio Massari, l’elemento pe-culiare del putinismo è statoquello di aver fatto discendere larestaurazione del prestigio inter-nazionale della Federazione dallaricostruzione dell’autorità delloStato, in particolare attraverso ilripristino della cosiddetta “verti-cale del potere”, il cui tracollo adun certo punto aveva minacciatodi suscitare anche dentro la Rus-sia un’ondata di “rivoluzioni co-lorate” e, verosimilmente, di ri-vendicazioni indipendentiste. Èuna circostanza sintomatica diquesto stato di cose il fatto chel’avocazione al Cremlino del po-tere di nominare i governatorielettivi delle entità federate si siaaccompagnata al varo di una legi-slazione estremamente restrittivanei confronti delle attività delleorganizzazioni non governativestraniere sul suolo russo. In qual-che modo, la Russia si è sentitaprima declassare dall’Occidente epoi apertamente minacciata nelle

sue possibilitàdi sopravviven-za. Putin altronon avrebbe fat-to che prender-ne atto e confe-

zionare una strategia di risposta,che lo sfruttamento a fini politicidelle forniture energetiche ha re-so straordinariamente efficace.Eppure il dopo Guerra Fredda siera aperto in modo assai promet-

tente e, più recentemente, all’in-domani degli attacchi alle TorriGemelle, era sembrato che fossenuovamente possibile dar vita aduna grande alleanza organica rus-so-americana sotto l’egida dellalotta al terrorismo internazionale.Così invece non è stato. Al con-trario, si sono progressivamenteradicate nelle élite russe percezio-ni decisamente ostili all’Occiden-te, da cui ha tratto forza il pro-getto revisionista perseguito oggida Putin e prima ancora da Ev-genji Primakov, il premier che nel1999 ordinò al pilota dell’aereo

Dopo la caduta in Russia si sono radicate delle éliteostili all’Occidente

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che lo stava portando a Washin-gton di tornare indietro in segnodi protesta per l’avvio della cam-pagna aerea della Nato contro laFederazione Jugoslava. Né in America né nell’Europadell’Unione si è probabilmentecompreso per tempo che peso ladirigenza e l’opinione pubblicarusse attribuissero alla preserva-zione dello status internazionaledel paese. Da un lato, si è semplicementecercato di stravincere. Dall’altro,si è seriamente quanto ingenua-mente creduto di trasformare ra-

pidamente una grande potenzamilitare in una civilian power mo-dellata sull’esempio tedesco,quando sarebbe stato forse il casodi considerare per la Russia ilprecedente alternativo offertodalla trasforma-zione di ruologeopolitico ac-cettata dallaGran Bretagnadopo la dissolu-zione del suo impero. L’equivoco tra Russia ed Occi-dente persiste tuttora ed aleggiain particolare sulle grottesche di-scussioni diplomatiche in materiadi disarmo nucleare e di dispiega-mento nel nostro continente delledifese antimissilistiche statuni-tensi, che sembrano ignorare lacircostanza che proprio le “bom-be” sono l’elemento che permettealla Federazione russa di trattareformalmente ancora da pari a paricon Washington. Dei negoziatibilaterali hanno recentementecondotto all’adozione di nuovitetti quantitativi per gli arsenalicontrollati dalla Casa Bianca e dalCremlino: un segnale certamentepositivo di distensione dovuto inmisura non trascurabile all’esi-genza di Mosca di mantenere lapropria “quasi parità” con l’Ame-rica ad un costo più basso. Ma èchiaro che nessuno in Russia po-trà a cuor leggero accettare lacancellazione completa del deter-rente strategico nazionale, cheesalterebbe la straordinaria supre-mazia occidentale nel campo del-le tecnologie militari convenzio-nali. Eppure, nell’enunciare aPraga la sua visione neo-reagania-

Usa ed Europa hannocercato di trasformarela grande potenza russa in una civilian power

GEOPOLITICA Giuliano Francesco

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na di un mondo completamentelibero dalle armi nucleari appenadopo aver visitato la Russia, lostesso presidente Barack Obamaha contribuito a confondere le ac-que circa le reali intenzioni degliStati Uniti. L’attuale capo della Casa Biancanon è stato certamente il primo adinviare messaggi contraddittori.Segnali in contrasto con la dichia-rata volontà di non imporre a Mo-

sca una pace dei vincitori simile aquella decretata nei confronti del-la Germania a Versailles erano sta-ti mandati anche negli anni No-vanta. L’ex consigliere per la Sicu-rezza nazionale del presidenteJimmy Carter, Zbignew Brzezin-ski, aveva ad esempio a suo temporaccomandato all’amministrazionedemocratica guidata da Bill Clin-ton di perseguire nei confrontidella Federazione russa una strate-

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gia di roll back, letteralmente “ri-sospingimento”, auspicandone al-tresì la ristrutturazione in una la-sca Confederazione di Stati qualepreludio alla sua definitiva cancel-lazione dalla storia. Rimase ina-scoltato. Ma non c’è da stupirsiche da queste posizioni abbianotratto forza gli elementi più con-servatori della società e del mondopolitico russo per arrestare l’espe-rimento liberale ed occidentalistae riportare la Russia su sentieri piùtradizionali.

Un eurasismo moderatoL’indebolimentodell’occidentali-smo ed il parallelograduale riorienta-mento della politi-ca estera di Moscain senso eurasista sono stati quin-di una risposta logica alla necessi-tà di sfuggire ad un abbracciopercepito come mortale. La Federazione non coltiva peral-tro alcuna seria ambizione di re-staurazione dell’ordine bipolare,ma pare piuttosto mirare a farparte del direttorio internazionaleche gestirà il mondo multipolaree post-americano attualmente ingestazione. Non è più rinunciata-ria, ma apprezza realisticamentel’effettiva correlazione di forze de-terminatasi tra la Russia, le gran-di potenze occidentali ed i gigan-ti emergenti dell’Oriente asiatico. Mosca ha altresì dimostrato di es-ser pronta a cogliere le occasioniche si presentano per modificare aproprio vantaggio i confini dellesfere d’influenza ereditati dagli

ultimi anni del secolo scorso, ri-stabilendo la propria supremazianel cosiddetto “estero vicino”. Losi è visto nell’estate del 2008 inGeorgia ed ancor prima sulla sce-na politica ucraina, di cui la Rus-sia orchestra le vicende da almenoquattro anni con i suoi referentilocali e con le pressioni energeti-che in modo tale da allontanareKiev dal traguardo dell’integra-zione euro-atlantica. La strategia russa è stata finoraprudentemente indiretta. Il suo

obiettivo è quellodi evitare il coaliz-zarsi di un estesofronte di potenzeostili e di sfruttarele divisioni emersenel mondo del do-po Guerra Freddaper ricavarsi nuovi

margini di manovra, creare fatticompiuti e realizzare progressi do-ve possibile, senza tuttavia mai ta-gliarsi completamente i ponti alleproprie spalle. È questo approccioad aver condotto al conflitto con laGeorgia dell’agosto dello scorsoanno, ma anche agli accordi con iquali i russi hanno più tardi con-cesso all’Alleanza atlantica di uti-lizzare il loro territorio per riforni-re le truppe della Nato rischieratesul fronte afghano. In più, si esplorano direttricinuove e si riesumano alcuni assiabbandonati dai lontani anni Ot-tanta. Nella Shanghai Coopera-tion Organization, ad esempio,Mosca collabora con Pechino sianella battaglia contro il jihadi-smo che nel contenimento dellapenetrazione occidentale in Asia

Mosca non ha interessea restaurare l’ordinemondiale bipolareestistente durantela Guerra Fredda

GEOPOLITICAGiuliano Francesco

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Centrale, al contempo control-landone l’espansione nell’esterovicino, specialmente in Kaza-khstan e Turkmenistan. Anche inAfrica la Repubblica popolare èpiù un competitore che un partnerdella Russia, che si sta affaccian-do sia diplomaticamente che mi-litarmente in molti paesi delContinente nero. Oggetto di nuova elaborazione èinvece la politica artica della Fe-derazione, un tempo strettamen-te legata al controllo delle rottebattute dai sotto-marini e dello spa-zio aereo nel qualesi sarebbe svoltal’ipotetica battagliatra le flotte aero-missilistiche delledue superpotenze,ed oggi invece con-dizionata dagli imperativi dellapolitica energetica, cui il disgelodei ghiacci polari ha dischiusonuove prospettive. Quanto ai vecchi amici trascuratida tempo, il Cremlino è tornato acoltivare il regime siriano degliAssad, malgrado i tentativi fattidal nuovo ministro degli Esteriisraeliano, Avigdor Lieberman,un ebreo nato in Unione Sovieti-ca, di pervenire allo stabilimentodi relazioni bilaterali migliori traMosca e Tel Aviv. Nei Caraibi,infine, non c’è ancora stato unvero rilancio dei rapporti conCuba, ma tanto la diplomaziaquanto le Forze armate russehanno fatto capolino nel Golfodel Messico, dando vita anche adesercitazioni aeronavali con laDifesa venezuelana.

I vincoli gravanti sulle ambizioni russeIl programma di restaurazionedella potenza nazionale russa si ècomunque già scontrato con al-meno due vincoli che rischiano amedio e lungo termine di vanifi-care gli sforzi intrapresi per la suarealizzazione.Il primo è quello di natura econo-mica. Grazie agli alti prezzi delpetrolio e del gas nel periodo2004-2008, la Federazione hapotuto saldare in anticipo il suo

ingente debitoestero, avviare unsignificativo pia-no di riarmo eporre mano allaricostruzione dialcuni elementicentrali della fun-zione pubblica.

La crisi finanziaria internazionaleesplosa lo scorso anno ha però di-mostrato tutte le vulnerabilità diuna rinascita essenzialmente trai-nata dall’esportazione di materieprime. La destinazione di partedel surplus energetico ad un fondosovrano di stabilizzazione è riu-scita finora a garantire la sosteni-bilità degli obiettivi prescelti daivertici politici russi, ma la reces-sione ha impedito alla Russia difare significativi progressi nellosviluppo di un apparato produtti-vo competitivo sui mercati mon-diali. Esistono certamente dellenicchie di eccellenza, specialmen-te nel campo aerospaziale e deimateriali d’armamento, ma nelcomplesso la Federazione è tutto-ra un paese che esporta risorseminerarie ed importa manufatti,

Grazie agli alti prezzi del petrolio, la Russiaè riuscita a saldarein anticipo l’ingentedebito estero

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esattamente come le petromonar-chie arabe, che però non nutronole medesime ambizioni interna-zionali del Cremlino. Il secondo limite che condizionale prospettive geopolitiche dellaRussia è rappresentato dal declinodemografico che ha colpito la suapopolazione sin dagli anni dellastagnazione brezneviana. L’attualepremier Vladimir Putin lo conside-ra la maggiore emergenza nazio-nale, in quanto suscettibile di pri-vare la Federazione di uno deglielementi basilari della potenzapolitica, e proprio per questo havarato un’articolata politica di in-centivi alla natalità. Entro tren-t’anni, in effetti, in termini pura-mente numerici i russi potrebbero

essere sorpassati tanto dai turchiquanto dagli iraniani, complican-do significativamente il manteni-mento agli attuali livelli dell’in-fluenza di Mosca nel Caucaso. Adaggravare la circostanza, inoltre,concorrono altri due fattori: il de-clino demografico in atto sta col-pendo soprattutto la componenteslava della popolazione ed è avver-tito molto più ad est che ad ovestdegli Urali. L’effetto combinato è quello diuna progressiva attenuazione delcarattere russo della popolazionedella Federazione che si associaallo spopolamento della Siberiaorientale e della Jakuzia, ponen-do a rischio nel lungo periodo lasostenibilità di qualsiasi politica

GEOPOLITICAGiuliano Francesco

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eurasista di alto profilo. Occorreinfatti tener conto della circo-stanza che alle sue frontiereorientali, la Russia confina conuna Repubblica popolare cineseche potrebbe con il tempo essereindotta dall’esuberanza delle pro-prie risorse demografiche a consi-derare un obiettivo realistica-mente perseguibile la revisionedei cosiddetti “trattati ineguali”con i quali il Celeste Impero ven-ne privato di parte cospicua deipropri possedimenti nell’Asianord-orientale. Già adesso, la Fe-derazione subisce una specie diinvasione soft, ad opera di decinedi migliaia di giovani cinesi cheemigrano ogni anno più o menolegalmente verso nord.L’analisi di questi trend di lungotermine è certamente parte delcalcolo politico che precede siadefinizione degli obiettivi chel’elaborazione delle strategie ne-cessarie al loro perseguimento daparte della leadership russa. L’im-pressione che si ricava dalle mos-se più recenti del Cremlino èquella di un paese che sta cercan-do di trarre il massimo profittopossibile da una correlazione del-le forze meno sfavorevole di qual-che anno fa, prima che dispieghi-no pienamente i loro effetti alcu-ni processi destinati ad eroderenuovamente i fattori di potenzasui quali la Federazione russa puòattualmente contare. In parolepovere, Mosca usa oggi la forzamilitare e la capacità di intimida-zione politica di cui dispone perdeterminare un nuovo e migliorestatus quo che sia difendibile neiprossimi due o tre decenni. Te-

mere un ritorno di fiamma del-l’imperialismo russo non haquindi molto significato, anchese occorre identificare quale tipodi relazione convenga all’Occi-dente, ammesso che esista ancoracome entità geopolitica unitaria,di instaurare con la Russia.

Un mix di cooperazione e competizioneIl problema, in un certo senso, ècome comportarsi con la Federa-zione nei prossimi dieci-quindicianni, se possibile evitando di ri-petere alcuni degli errori chehanno caratterizzato le relazionicon Mosca all’indomani della ca-duta del Muro di Berlino. Defini-re un atteggiamento comune,tuttavia, non è più agevole comeai tempi della Guerra Fredda. Lapercezione della Russia non è piùomogenea e suscita particolaridubbi la posizione degli StatiUniti nei confronti di Mosca. Talvolta, Washington da infattil’impressione di ricercare una re-lazione strategica privilegiata conPechino che non marginalizze-rebbe soltanto la Federazione rus-sa, ma anche l’Europa, dando for-za a coloro che all’interno del-l’Unione vorrebbero giocare piùspregiudicatamente la strada diun’intesa neo-continentalista, al-la Mackinder, tra Mosca, Bruxel-les, Berlino, Parigi e Roma. Mariesce difficile, almeno per ora,immaginare un’Amministrazioneamericana disponibile a rinuncia-re all’architettura degli equilibripolitico-strategici instaurata inEuropa, costringendo alcuni fra isuoi più tradizionali alleati ad

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esplorare l’incognita geopoliticadi un asse con la Russia.Molto più probabile sembra inve-ce un futuro in cui, nell’Europacontinentale, l’influenza relativadi Stati Uniti e Russia fluttui aseconda dei dossier trattati. In ma-teria di energia, ad esempio, dif-ficilmente Washington potràcontrastare la progressiva inte-grazione tra i fornitori russi ed iconsumatori europei, che potreb-be anzi divenire con il tempo ed acerte condizioni uno straordina-rio elemento di vantaggio com-petitivo per l’Unione. Sul pianodel mantenimento dell’ordine edella sicurezza internazionale,dove maggiormente conta la su-premazia militare statunitense,pare invece impossibile che ilCremlino possa sperare di sosti-tuirsi alle garanzie che Casa Bian-ca e Pentagono offrono: tropporassicurante la leadership di Wa-shington in questo campo, etroppo forti i timori nutriti dauna buona metà degli Stati mem-bri dell’Ue nei riguardi dellaRussia perché ciò possa verificar-si. Dopo tutto, non è certamenteun caso che, con la notevole ecce-zione della Grecia, a venti annidalla fine della Guerra FreddaMosca non sia riuscita neanche apenetrare il mercato europeo deimateriali d’armamento. Un simile scenario, del resto, ècoerente con la progressiva ri-strutturazione del pianeta politi-co in una più fluida costellazionemultipolare. Nel “concerto mon-diale” che verrà, infatti, con ogniprobabilità le alleanze tra gli Sta-ti saranno più simili ad instabili

flirt che ai duraturi matrimonidel recente passato. Assisteremoquasi certamente a molti giri divalzer ed aumenteranno sensibil-mente anche gli accordi a geome-tria variabile. Per gli europei, l’elaborazione diuna relazione equilibrata e van-taggiosa con la Russia sarà inquesto senso soprattutto un testdella capacità degli Stati del Vec-chio Continente di adattarsi aquesta condizione di influenzeconcorrenti. Nei paesi che si sonomaggiormente esposti nei con-fronti della Federazione, come laGermania e l’Italia, i rischi e leopportunità di questa situazionesono già in parte affiorati ed han-no condotto all’adozione di unastrategia basata sul concetto delleconcessioni reciproche e bilancia-te, che ha oltretutto il pregio diaccrescere la rilevanza di chi lapratica nel calcolo geopoliticodelle potenze interlocutrici. È anche per godere di una mag-gior libertà di manovra nei con-fronti della Russia che un signifi-cativo numero di soldati italiani etedeschi è oggi impiegato conpochissime limitazioni in Afgha-nistan. Non c’è ragione di ritene-re che questo modello non possaessere applicato con successo an-che dagli altri paesi dell’Unione.

GEOPOLITICA Giuliano Francesco

GIULIANO FRANCESCOCultore di studi strategici all’Università Luiss-Guido Carli di Roma.

L’Autore

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Le troppe incognitedel Cremlino

Molti ancora i nodi politici ed economici

DI GUIDO LENZI

Nonostante faccia partedi tutti

i gruppi ristretti ai quali è affidato il compito di gestirel’attuale transizione,la Russia rimane diffidente e fredda.Lo scopo di Mosca è quello di riottenerelo status di potenzaglobale perso vent’anni fa. Senzarendersi conto, però,che nell’attualemondo piatto, Washington non puòassegnare quarti dinobiltà a nessuno.

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Fra le peregrinazioni sinora com-piute per presentarsi ad un mon-do tuttora in attesa di iniziativeda Washington, Mosca si è rivela-to il luogo nel quale il presidenteObama è stato accolto con minorpubblico interesse (senza alcunadiretta televisiva!) e reciprocoevidente impaccio. Con buonapace dello sbandierato reset. Lagenerica registrazione di non me-

glio specificati interessi comuni,con la promessa di analizzarne ul-teriormente la consistenza, è statacorredata da scarne indicazionisulle auspicabili convergenti in-tenzioni. L’esatta entità del co-mune disarmo strategico e dellarispondenza all’atteggiamento diIran e Corea del Nord dovrà an-cora attendere. Bisogna lasciaretempo al tempo. Ma quel chemaggiormente sorprende è che laRussia continua ad ostentare lapropria estraneità ad eventi inter-nazionali in radicale transizione,nell’ambito dei quali pretende diprimeggiare senza partecipare,lamentandosi poi di essere messadi fronte a fatti compiuti.Eppure, la Russia è inclusa intutti i gruppi ristretti ai quali èaffidato il compito di gestire l’at-tuale transizione, e nel fungereda motore di avviamento peradeguare l’ordinamento interna-zionale alle sopravvenute esigen-ze di una collettività internazio-nale allargatasi a dismisura. NelConsiglio di Sicurezza dell’Onu,nel G8, nel G20, nel Quartettoper il Medio Oriente, nel Grup-po di Contatto per i Balcani, nel5+1 per l’Iran, nel Consiglio Na-to-Russia, Mosca è sempre statacoinvolta nelle riflessioni altrui,potendovi far valere le proprieragioni. Il suo comportamento èforse appesantito dalla circostan-za che da duecento anni, dopo ilCongresso di Vienna e l’instaura-zione post-napoleonica del “con-certo di potenze” europee, è ri-masta estranea alle ricorrenti si-stemazioni continentali. Nell’ul-timo secolo, non era a Versailles

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L’ANALISIGuido Lenzi

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nel 1919 per l’auto-emarginazio-ne della rivoluzione di ottobre;non a Parigi nel 1945 per laspaccatura continentale operatada Stalin; e neppure, in realtà, adHelsinki nel 1975, quando fu in-

staurato un si-stema pan-eu-r opeo d e l l aCsce, che Mo-sca ha subito e

cui oggi imputa la disgregazionedell’Urss e l’intromissione neipropri affari interni.La principale ambizione di Mo-sca rimane quella di essere rein-tegrata fra i grandi di questa ter-ra. Uno status preteso, all’antica,dall’unica attuale superpotenzache ritiene in grado di conferir-gliela, dopo aver con essa condi-viso per mezzo secolo il governodel mondo. Incurante della circo-stanza che, nell’attuale mondo“piatto”, Washington non puòattribuire quarti di nobiltà inter-nazionale a nessuno, bensì sem-mai - come sta facendo il nuovopresidente - tendere la mano achi intenda compiere il medesi-mo cammino per il comune ri-scatto dagli errori del passato.Nel momento storico in cui sisono dissipate le rendite di posi-zione tipiche dell’era bipolare,mentre Obama tenta di esplorarela strada per uscire dal labirinto,la Russia di Medvedev e Putin (agiudicare anche dai nuovi testi distoria patria) sembra procedere aritroso. Invece di presentarsi co-me partner per la ricomposizionedi un’Europa “unita e libera”, co-me Gorbaciov e Eltsin avevanodichiarato di voler fare, Mosca

torna ad atteggiarsi ad antagoni-sta persino nei confronti di unaancor balbuziente Europa unita1.Se ne dovrebbe concludere che,contrariamente alle tante aspet-tative suscitate dalla perestroika diGorbaciov, nonostante l’adesionealla Carta di Parigi adottata nel2000, la Russia non intenda (nonsia in grado di?) proporsi comeinterlocutore internazionale, aparità di condizioni.Dmitri Trenin, della CarnegieFoundation di Mosca, affermasenza mezzi termini che «laRussia (di Putin) ha voltato lespalle al campo occidentale nel

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La principale ambizioneè quella di esserereintegrata fra i grandidi questa terra

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tentativo di recuperare la sua in-fluenza nell’ex spazio sovietico».Il fatto è che la caduta del Murodi Berlino e la dissoluzionedell’Unione Sovietica, avvenutein modo spontaneo e sostanzial-mente incruento, hanno esentatola dirigenza e la stessa opinionepubblica dall’introspezione ca-tartica necessaria per rimetterela Russia post-comunista in car-reggiata. La perdita del glacisconquistato sul campo di batta-glia in Europa orientale e soprat-tutto il distacco dei territori in-corporati dai tempi di Caterinala Grande vengono pertanto av-

vertiti e presentati (ed imputatiall’Occidente) come una feritaaperta che soltanto la restaura-zione di un’“area di influenzaprivilegiata” può rimarginare.Lo stesso con-tratto socialeinterno rimaneimpostato e ge-stito verticisti-camente, conscarse concessioni ai criteri demo-cratici e alle specificità locali,nell’applicazione del maldefinitoneologismo di “democrazia sovra-na”. La massima preoccupazionedel Cremlino è di scongiurare le

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La Russia ha voltato le spalle all’occidenteper recuperare la suainfluenza nell’ex Urss

L’ANALISIGuido Lenzi

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derive anarchiche che percorronoda sempre il corpo sociale russo, edi combattere il crimine organiz-zato, i traffici illeciti, l’immigra-zione clandestina. Facendo anchein tal caso ricorso all’atavica evo-cazione di uno stato d’assedio,che alimenta anche l’atteggia-mento visceralmente antiameri-cano dei mezzi di informazione.A farne le spese sono gli stessi in-vestimenti privati dall’estero,dissuasi da una amministrazionee giurisdizione penalizzanti (per-sino l’Ikea ha chiuso i battenti!).Mentre gli idrocarburi, rimasti“monocoltura” pre-dominante nelleesportazioni, vengo-no utilizzati comearma contundenteinvece che comemoneta di scambio estrumento di colla-borazione interna-zionale. Ne consegue, fra l’altro,l’indisponibilità di Mosca ad ade-rire all’Organizzazione mondialedel commercio, così come allaCarta europea dell’energia.Eppure le attuali faglie di graveinstabilità, dal Medio Oriente al-l’Iran all’Afghanistan e Pakistan,lambiscono il ventre molle dellaRussia, in quella serie di Repub-bliche autonome fra il Mar Neroe il Mar Caspio (Circassia, Ka-bardino-Balkaria, Ossezia, Ingu-shezia, Cecenia, Daghestan) dallecroniche fragilità etnico-costitu-zionali, contigue ai paesi del-l’Asia Centrale di recente indi-pendenza, gonfi di petrolio e gas,in bilico fra Russia, Cina ed Oc-cidente. Ancora da dimostrare è

fin dove si estenda la solidarietàdi alcuni degli ex Urss: nessunodi loro ha ad esempio riconosciu-to l’indipendenza dell’Abkhaziae dell’Ossezia del Sud. Proble-matica è pertanto per Mosca lapretesa di disporre di una propriaarea di influenza riservata in unassetto globale multipolare. Ag-gravata dal persistente dilemmasulla propria collocazione geopo-litica, che dai tempi di Pietro ilGrande oppone gli slavofili ai fi-loccidentali2. In un mondo deideologizzato, laRussia non può d’altronde più

atteggiarsi a di-fensore dei “dan-nati della terra”e solidarizzarecon Stati quali laCorea del Nord,l’Iran, il Vene-zuela, dichiara-tamente ribelli

all’ordinamento internazionale.Nè può rimanere immobile,ideale “terza Roma” fra Europa eAsia, incapace di scegliere fra ilsuo passato e il suo futuro, inuna psicosi di accerchiamentoche, alimentata ad arte, è diven-tata instrumentum regni. Inducen-dola (dopo la defezione dei paesibaltici) a trattenere in ostaggiogli Stati emersi dalla disgrega-zione dell’Urss, con le conse-guenti ricorrenti pressioni pe-trolifere e gli interventi anchemilitari come quello dell’estatedel 2008 in Georgia. Particolarmente rivelatrici di talestato di cose sono infatti le perdu-ranti crisi, eufemisticamente eti-chettate come “congelate”, lungo

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Mosca pretendeuna propria area di influenza riservatain un assetto globale“multipolare”

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l’intera fascia di comune conti-guità che divide ancora l’Europaa vent’anni dalla caduta del Mu-ro, dalla Bielorussia, all’Ucraina,alla Moldova, ai tre Stati del Cau-caso. Una situazione che contrad-dice la visione di un’Europa riu-nificata che Gorbaciov e Eltsinavevano condiviso, e che Putin eMedvedev ora apertamente rinne-gano. Fino ad imputare all’Occi-dente gli allargamenti istituzio-nali dell’Ue e della Nato, dettatidall’evoluzione delle circostanze,tutt’altro che deliberatamente of-fensivi, e che hanno semmai se-riamente appesan-tito il processo diintegrazione euro-pea. La reazionenegativa del mini-stro degli EsteriLavrov al recenteavvio del “partena-riato orientale”dell’Ue, rivolto ai paesi dell’Eu-ropa dell’est privi di prospettivedi adesione, è l’ennesima indica-zione dello stato d’animo impe-rante al Cremlino.Mosca si avvale ovviamente delfatto che, nonostante il ridimen-sionamento del suo ambito territo-riale e della sua influenza politica,la sua situazione di membro per-manente del Consiglio di Sicurezzae di detentrice dell’arma estremane preserva la posizione di interlo-cutore indispensabile in qualun-que equazione geostrategica. Manon può continuare a contare sol-tanto sulla sua capacità di interdi-zione, giacché la tutela dei suoi in-teressi di lungo periodo richiedeormai l’assunzione delle conse-

guenti responsabilità di ordineglobale. Ben diversamente si com-porta la Cina, che si rivolge a StatiUniti ed Unione europea dichia-rando di riconoscere gli interessicomuni, talvolta forse ipocrita-mente ma preoccupandosi di nonledere il consenso internazionale3. La rispondenza internazionaleall’atteggiamento assertivo dellaRussia è ancora alquanto diversi-ficata e contraddittoria, forse per-ché l’opinione generale è inter-detta e pertanto ancora circospet-ta. Gli Stati Uniti si dichiaranoora disposti a stabilire un più

esplicito rapportobilaterale privile-giato, da pari a pa-ri: Obama invoca«una Russia forte,pacifica e prosperache occupi il postodi superpotenzache le spetta, ab-

bandonando anacronistiche aspi-razioni». L’Europa a Ventisetteappare divisa fra un Regno Unitointransigente sui principi, i“nuovi Stati” visceralmente diffi-denti in quanto ex membri delblocco sovietico, ed altri, comel’Italia, la Germania e la Francia,convinti dell’utilità di perennimediazioni. La Cina rimane sullesue, anche nell’ambito di quel-l’ibrido che è il “gruppo di Shan-ghai”. Lo stesso Terzo Mondo, in-fine, è palesemente in attesa dipiù concrete indicazioni di ordineeconomico e politico.L’Europa non può far a meno del-la Russia, così come la Russia,per affermarsi, ha bisogno del-l’Europa. Per l’Unione europea è

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Anche per gli Usa è utile una Russia forte, pacifica e prosperache occupi il postodi superpotenza

L’ANALISIGuido Lenzi

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Per un’architettura del potereIl Cremlino (russo kreml’, “fortezza”), è un recinto fortificato di forma triangolare situa-to nel centro di Mosca. Fu edificato nel XII secolo. Imponenti mura fortificate risalential XV secolo e lunghe complessivamente 2,5 km circa cingono importanti edifici gover-nativi, palazzi e cattedrali. Fra i più importanti edifici secolari all’interno del Cremlino visono il Palazzo delle Armi, del XIX secolo, che ospita uno dei più antichi e ricchi museistorici russi e l'imponente Grande Palazzo del Cremlino, sede un tempo del Soviet su-premo e oggi del governo russo. Fra i numerosi edifici religiosi domina la grandiosa cattedrale dell’Assunzione, dalla cu-pola a cipolla, scenario dell'incoronazione degli zar nonché luogo di sepoltura per i pa-triarchi e i metropoliti della Chiesa ortodossa russa. La Piazza Rossa, ampio spazio aperto di 7300 metri quadrati, ai piedi delle mura orien-tali del Cremlino, e risalente al XV secolo, ha giocato un ruolo centrale nella vita politi-ca di Mosca e dell’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche. Fu infatti il luogo dinumerose agitazioni e dimostrazioni popolari; fu anche lo scenario scelto dal governosovietico per le parate militari della festa dei lavoratori e in occasione delle celebrazio-ni per l’anniversario della Rivoluzione d’ottobre. Inoltre, vi è conservato il corpo imbal-samato di Lenin, esposto al pubblico in un mausoleo progettato da A.V. Šcusev e ter-minato nel 1930. Il Grande Palazzo del Cremlino, completato nel 1849, fu costruito du-rante il regno di Nicola I.

FOCUS

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evidente che, anche dopo l’auspi-cata approvazione del Trattato diLisbona, il ristabilimento di unrapporto costruttivo con Moscarimarrà la condizione prioritariaperché la sua politica estera, di si-curezza e difesa (Pesc e Pesd) pos-sa articolarsi e svilupparsi, e laformula dell’integrazione euro-pea proporsi come modello perl’auspicata ricomposizione del si-stema internazionale. Particolar-mente rilevante a tal fine sarebbela ripresa del negoziato per ilnuovo accordo di partenariatostrategico fra Russia e Ue, datempo bloccato soprattutto per lariluttanza russa ad accettare dicogestire con i ventisette le pre-dette residue situazioni di crisinel continente.Una riluttanza che mal si conci-lia con la pretesa di Medvedev dielaborare una ancor mal chiarita“nuova architettura di sicurezzaeuropea”. In proposito, Moscalascia intendere di perseguire unnuovo patto continentale (in so-stituzione di Ue, Nato e Osce?)rivolto prevalentemente agliaspetti militari e alla tutela dirispettive zone di influenza, apotenziale scapito della “dimen-sione umana”, che comportal’istituzione di strutture demo-cratiche. Una questione, quelladella “sicurezza complessiva”,sorta nell’ambito Osce, i cuiprincipi e impegni paneuropei laRussia di Putin considera oggiinaccettabilmente intrusivi, madai quali non può apertamentedissociarsi senza rinnegaretrent’anni di storia condivisa alivello continentale.

In assenza di una più articolataesposizione delle intenzioni rus-se, si deve presumere che Moscavoglia procedere in modo sequen-ziale. E cioè, ristabilire in primoluogo il suo rapporto strategicobilaterale con Washington, sullequestioni di disarmo e non-proli-ferazione di loro prioritaria com-petenza e su questioni di poten-ziale loro maggior influenza,quali l’auspicato nuovo assetto disicurezza europeo (nella riedizio-ne di un loro droit de regard bipo-lare); soltanto subordinatamentesulle crisi regionali (MedioOriente, Iran, Afghanistan e Pa-kistan, ma anche i Balcani), prin-cipalmente in termini di riper-cussioni transnazionali come ilterrorismo, i traffici illeciti; daultimo, l’eventuale assunzione diimpegni multilaterali in materiedi rilevanza globale quali il com-mercio, l’energia o il clima (argo-mento, quest’ultimo, che coin-volge significativamente la Rus-sia meno della Cina e dell’India).Soltanto accessoriamente, si devepresumere, Mosca preciserebbe ilsuo atteggiamento in materia diriforma dei contesti multilaterali,nell’ambito dei quali i paesiemergenti avanzano le loro prete-se di compartecipazione al gover-no mondiale. Una tale sequenza,per quanto astrattamente logica,non corrisponde alla sopravvenu-ta necessità di affrontare simulta-neamente una serie di urgenze in-ternazionali.L’invocato “reset” dei rapporti fraRussia e Stati Uniti rimane es-senziale e prioritario. Esso impli-ca il ristabilimento di una visione

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1 Vedasi anche Maurizio Massari, Rus-sia: democrazia europea o potenza globale?,Guerrini ed., Milano 2009; e Alessan-dro Vitale e Giuseppe Romeo La Russiapostimperiale, Rubbettino ed., 2009.

2 Vedasi in proposito l’articolo di DavidKerr sull’ultimo numero della rivistaInternational Spectator dell’Iai.

3 Prima di abbandonare precipitosa-mente il G8 dell’Aquila a causa dellesommosse nello Xinjang, il PresidenteHu Jintao, ha ad esempio affermato che“la Cina sostiene il processo di integra-zione europeo e accoglie con soddisfa-zione il suo ruolo sempre più utile erilevante negli affari internazionali”.

4 Sull’International Herald Tribune del 6luglio scorso.

Note

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strategica condivisa, con la defi-nizione dei principi ispiratori el’assenza di preclusioni sull’agen-da da trattare. Il che presupponela fissazione di scopi comuni piùambiziosi della gestione di speci-fiche situazioni di crisi. Il dialogobilaterale non deve comunqueesaurire l’agenda internazionale,né può restaurare ormai impropo-nibili logiche bipolari, dovendopiuttosto fungere da stimolo perla ricomposizione dell’intero si-stema internazionale. In primis alivello paneuropeo, con l’auspica-bile instaurazione di un rapportoequilatero fra Stati Uniti, Russiae Ue, l’unico adatto a consolidarela situazione continentale. Ma ciòdipenderà anche dall’esito del“tormentone” di Lisbona.Gramscianamente, il russo Vladi-mir Erofeyev4 riconosce che laRussia «necessita di essere guida-ta attraverso questa fase interme-dia, in cui il comunismo è statodismesso ma nuovi valori non sisono ancora formati». Sarebbepertanto opportuno che, nel lorostesso interesse, anche Cina, Indiae Brasile (il vagheggiato Bric èaltrimenti privo della sua R), imaggiori paesi arabi, e in genera-le quanti pretendono di sederenel G20 o di disporre di un seg-gio permanente in un Consigliodi Sicurezza riformato, esortinoMosca ad allungare lo sguardo econvergere, sia pure secondo unproprio itinerario, verso la colla-borazione e la compartecipazioneinternazionale. Assumendosi leresponsabilità inerenti alla suapretesa di disporre di “azioni pri-vilegiate” nel capitale della nuova

società internazionale in forma-zione. Aderendo finalmente aquell’impostazione collaborativa,a somma positiva, che pare averdefinitivamente scalzato quello, asomma zero, dell’ormai consuntoequilibrio delle forze.

GUIDO LENZIAmbasciatore, già direttore dell’Istituto euro-peo di Studi di sicurezza a Parigi e rappre-sentante permanente all’Osce a Vienna.

L’Autore

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pubblicitàTodini

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Caduto il Muro che la separavadal resto del mondo, la Russia si ètrovata a dover percorrere, travol-ta dalla storia, una lunga transi-zione. Una transizione triplice,secondo la definizione di ViktorZaslavsky, nato a San Pietrobur-go, laureato in storia e oggi pro-fessore di sociologia presso l’Uni-versità Luiss di Roma, perchécomprende il passaggio dalla dit-tatura alla democrazia, dallo sta-talismo al liberismo, dall’econo-mia industriale a quella dei servi-zi. Un percorso tortuoso il cui ap-prodo, ancora oggi, non è chiaro.Una strada segnata dalle scelte ditre personaggi – Gorbaciov, El-tsin e Putin – che, tra poche luci emolte ombre, hanno segnato que-sti due decenni di storia russa. Ela crisi globale, sostiene Zaslav-sky, potrebbe dare a questa “lungamarcia” una svolta inaspettata…

Vent’anni fa il crollo del Muro di Berlino.Che ricordo rimane di quell’evento nellaRussia di oggi?Quando si parla del crollo del Mu-ro e dello smantellamento del si-stema sovietico, non si può nonpartire dalla figura di MikhailGorbaciov: uno dei peggiori rifor-matori della storia, ma senza dub-bio uno dei più grandi statisti del

INTERVISTA A VIKTOR ZASLAVSKYDI FEDERICO BRUSADELLI

Docente universitario e storico,

Viktor Zaslavsky è uno dei più profondi conoscitoridella realtà russa. Da Gorbaciov a Putin,passando per Eltsin,un processo storicoancora in divenire,raccontato e analizzato a partiredai successi economici e dalle troppe incognite sul pianodemocraticoe istituzionale.Con l’energia ancorauna volta al centro dello scacchiere.

I VENT’ANNI DI UNA

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Ventesimo secolo. Il suo fu unruolo decisivo, in quegli eventi.Nel novembre del 1989, ammonìil presidente della Ddr Honecker– che davanti alle oceaniche mani-festazioni di Dresda e di Lipsianon avrebbe esitato a scatenareuna Tienanmen nel cuore d’Euro-pa, prolungando l’agonia del bloc-co sovietico – ricordandogli che“la vita punisce i ritardatari”: glinegò, insomma, l’appoggio delletruppe sovietiche (c’erano 350mi-la militari nella piccola Germaniaorientale), che non sarebbero in-tervenute a differenza di quantoera avvenuto nel 1953. Così, pri-vato della forza repressiva, Honec-ker cadde nel giro di qualche gior-no. Ne seguì l’immediata distru-zione del Muro e la fine della divi-sione tedesca. Ecco, Gorbaciov di-mostrò allora grande coraggio, sfi-dando anche le certezze di tantigrandi politici dell’Europa occi-dentale, convinti sostenitori dellostatus quo fondato sugli accordi diYalta e sulla divisione del conti-nente. Non dimentichiamoci delleparole di Andreotti, che volevamantenere l’esistenza di due Ger-manie, o di quelle del comunistaBoffa, per il quale la scelta di Gor-baciov era una “manifestazione didebolezza”.

E di quelle scelte che giudizio viene da-to oggi dai cittadini della nuova Russia?Una parte di popolazione ancoraoggi concorderebbe con il mare-

sciallo Jazov, allora ministro dellaDifesa, che disse testuali parole:«Abbiamo perso la terza guerramondiale, senza aver neanchesparato un colpo di fucile». Ma ingenerale i russi evitano di con-centrare la loro memoria storicasu questo avvenimento. Valgonole parole di Vladimir Putin, cheha detto che «il crollo dell’Urss èstata la più grande catastrofe geo-politica del Ventesimo secolo»,aggiungendo però, in un’altra oc-casione, che «chi non rimpiangeil crollo dell’Urss non ha cuore,ma chi vorrebbe tornare all’Unio-ne sovietica non ha cervello». Ec-co, direi che in sintesi questo è ilragionamento che domina difronte al crollo del Muro, nellaRussia di oggi.

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L’INTERVISTAViktor Zaslavsky

TRANSIZIONE TRIPLICE

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Sugli anni di Eltsin, invece, quale opi-nione prevale, oggi?Il discorso è complesso. Intanto,quando parliamo di opinione pub-blica dobbiamo ricordarci che nonc’è n’è una sola, ma c’è l’opinionedella maggioranza e c’è quella del-la minoranza. Gli anni di Eltsin sidividono, sostanzialmente, in dueperiodi. All’inizio, c’è una fasemolto importante, direi cruciale,per il rafforzamento della demo-cratizzazione della Russia. Sonogli anni in cui Eltsin ha difeso ilpassaggio alla democrazia, si èscontrato con il Parlamento alloradominato dal rifondato partito co-munista che ostacolava il cambia-mento, ha sostituito i componentidel governo scegliendo democrati-ci e riformisti. Tutto questo nonva trascurato. Ma poi è arrivata laseconda fase, in cui il presidenteha percepito che stava perdendo ilsostegno popolare.

Perché i russi iniziarono ad abbandona-re Eltsin?La transizione democratica post-comunista molto spesso non vie-ne capita. Il passaggio dall’Urss aun sistema basato sull’economiadi mercato e sul pluralismo poli-tico è tra i più difficili al mondo.In vent’anni di esperienza, con-fermati dalle esperienze paralleledei paesi dell’Europa orientale,possiamo dire che questa transi-zione prevede due fasi molto benidentificabili: all’inizio, c’è il calodella produzione dei beni, la ri-duzione del potere d’acquisto, lacrescita della disoccupazione, ilcrollo del Pil e degli investimen-ti, l’aumento vertiginoso dei

prezzi. Questo primo stadio “di-scendente” della transizione inRussia è durato dal 1989 al 1998,che sono proprio gli anni di El-tsin. E dunque, mentre i paesidell’Europa orientale si sono uni-ti alle loro leadership, interpre-tando anche giustamente questifenomeni come risultati dell’oc-cupazione di un regime “alieno”,quello sovietico, e superando gra-zie all’entusiasmo della liberazio-ne questo primo periodo “discen-dente”, in Russia le cose sono an-date diversamente. Perché non sipoteva sostenere che il crollo eco-

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nomico era il risultato di un’oc-cupazione straniera: i russi pote-vano prendersela solo con se stes-si. Dunque la valutazione di El-tsin va inquadrata tenendo pre-sente la difficoltà della transizio-ne russa, di cui Eltsin non avevatutte le colpe.

In cosa consiste, più precisamente, que-sta transizione da un sistema sovietico auno liberal-democratico?Si tratta di una transizione tripli-ce. Intanto, è una transizione de-mocratica, da un regime mono-partitico al pluralismo. Poi, c’è il

passaggio da un’economia a pia-nificazione centrale, completa-mente statalizzata, a un’economiadi libero mercato. Infine c’è laterza transizione, di cui si parlamolto poco, ovvero il passaggioda una società industriale tradi-zionale, fondata sulla preminenzadella produzione manifatturiera,a una società basata sui servizi,sulla finanza e sull’informazione(una transizione molto difficile,quest’ultima, che in Occidenteha richiesto non meno di tren-t’anni per essere portata a conclu-sione). E tutto questo si riflette

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sulla fortuna dei leader. Tornandoa Eltsin, vediamo chiaramenteche si tratta di una figura che,pur avendo innegabili meriti, re-sta associato nella memoria russaal peggior momento – dal puntodi vista dello standard di vita –della loro storia recente.

E come sta procedendo, adesso, questatriplice transizione russa?Il passaggio che procede meglio èil secondo, quello dall’economiastatalizzata al libero mercato.Oggi il 60-70% dell’economiarussa è privatizzata: un grandesuccesso, nonostante i tentativi dirinazionalizzare alcune industriedi primaria importanza (produ-zione di gas o petrolio, per esem-pio). La transizione democratica èpiù complessa, perché dobbiamotener presente la differenza trademocrazia procedurale e demo-crazia sostanziale. Quest’ultimanecessita di una società civile svi-luppata, mentre quella procedu-rale si basa sulle elezioni più omeno giuste e senza frode, conconseguenze concrete e non pre-determinate. Da questo punto divista, possiamo dire che la demo-crazia procedurale ha messo radi-ci in Russia, anche se Putin nel-l’ultimo periodo ha messo in pie-di una democrazia “guidata” incui il governo ha sotto il suo con-trollo quasi tutti i mezzi di co-municazione: non c’è un ritornoall’Urss, però. È crollata l’incon-vertibilità della valuta, e questo èun vantaggio perché dà anche lapossibilità di uscire dalla Russia edi viaggiare. Sono risultati chenon vanno sottovalutati.

Ma la Russia di oggi si sente partedell’Occidente o si sente “altro”?Non si può rispondere a questadomanda in maniera univoca. LaRussia è una parte dell’Occiden-te, la cultura russa, senza dubbio,è parte della cultura occidentale.Ma il governo di Putin, proprioper rafforzare la propria legitti-mità, ha ritirato fuori alcuni vec-chi stereotipi della propagandasovietica. Invece, dopo il crollodell’Urss e durante la perestrojkac’era stato un riavvicinamento al-l’Occidente, proseguito negli an-ni di Eltsin con la smobilitazionedella presenza militare sovietica.C’erano grandi aspettative, sisperava che la società russa potes-se rapidamente integrarsi con ipaesi europei avviando così unacrescita dell’economia e del teno-re di vita. Nei primi anni Novan-ta una gran parte della popolazio-ne russa non si sarebbe neancheopposta a un eventuale ingressodi Mosca nella Nato o almeno alrafforzamento dei rapporti congli Usa. Ma la situazione iniziò amutare già dagli ultimi anni diEltsin: apparve chiaro che le ri-forme economiche necessarie inquel periodo erano estremamentedifficili – e le riforme serie sonosempre impopolari, altrimentisarebbero state introdotte già daun bel po’… – e toccavano gliinteressi di grandi strati della po-polazione. La diffidenza nellaclasse dirigente crebbe, e Eltsincercò un appoggio presso altreforze, non riformiste, includendonell’esecutivo personaggi prove-nienti dal mondo militare o daiservizi di sicurezza, cercando in-

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somma di costruire un nuovofondamento ideologico alla suapresidenza. E questo lo riportò auna politica di confronto conl’Occidente. Si tornò a dichiarareche un obiettivo importante eracontrastare l’espansione occiden-tale verso Oriente, e si diede av-vio alla disastrosa guerra in Cece-nia. Putin, in seguito, iniziò a co-struire il sistema della propria le-gittimazione contrapponendo lastabilità degli anni 2000 al perio-do eltsiniano, visto come mo-mento di decadenza e come ten-tativo di introdurre sistemi di“provenienza estranea”, come dis-se più volte, spiegando il crolloeconomico come una congiuracontro la Russia orchestratadall’Occidente e dai traditori del-la patria. Un ritornello che oggiil governo di Putin ripete neiconfronti dei suoi oppositori,“venduti” all’Occidente. E negliultimi tempi si sta riattivandoanche la retorica dell’antiameri-canismo.

In questa contrapposizione gioca unruolo di primo piano l’energia …Sì, e la questione energetica spie-ga anche perché la transizione po-litica ha rallentato nel periodo diPutin. Per la congiuntura moltofavorevole ai mercati energetici.Perché la Russia arriva al 75-80% degli introiti statali propriograzie alla vendita di idrocarburi,metalli, materie prime. E così laRussia può tenere in pugno certipaesi vicini, come l’Ucraina, maanche alcuni paesi dell’Ue, comela Bulgaria (verso cui Putin hafrenato l’afflusso di gas lo scorso

inverno). Ma molti osservatorianche in Russia pensano che ilcrollo dei prezzi del petrolio e delgas potrebbe portare notevoli be-nefici politici. Di recente, destainteresse lo scontro tra il mono-polio energetico russo e il nuovogasdotto Nabucco.

Ovvero?A metà luglio Medvedev ha effet-tuato una visita – organizzatanella più completa segretezza –nella capitale della repubblica se-cessionista dell’Ossezia del Sud.La spiegazione ufficiale era la ne-cessità di collaborare economica-mente, ma la stampa georgiana equella russa ne hanno dato un’al-tra spiegazione: il giorno prece-dente ad Ankara i primi ministridi paesi come Turchia, Austria,Romania e Bulgaria avevano fir-mato l’accordo sul gasdotto Na-bucco, grazie al quale circa 35miliardi di metri cubi di gas ver-ranno trasportati dal Caspio edall’Asia centrale verso l’Europa,aggirando la Russia. Per l’Ue èuno strumento di diversificazioneenergetica e, soprattutto, un mo-do per diminuire la propria di-pendenza da Mosca. Ed è impor-tante in questo contesto la firmadella Bulgaria, perché se all’ini-zio del 2009 Mosca e Sofia aveva-no firmato un accordo sul gasdot-to “South Stream”, il nuovo pre-mer bulgaro Borisov ha deciso, alcontrario, di puntare su Nabucco.E Mosca sta già prendendo le suecontromisure, comprando tutto ilgas dell’area (ad esempio dal Tur-kmenistan e dall’Azerbaijan) perlasciare a secco il gasdotto rivale.

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Ma a causa della crisi la Russianon riesce a pagare regolarmenteil governo del Turkmenistan…Ecco, direi che per Mosca sarebbemeglio avvicinarsi ancora di piùall’Occidente, rinunciando all’os-sessione di difendere la sua “sferad’influenza” e puntando, piutto-sto, ad aumentare il benessere deisuoi cittadini.

E la crisi finanziaria che conseguenzeavrà, in Russia?Non è ancora chiaro a cosa porte-rà questa crisi. La produzione ècaduta del 15%, la disoccupazio-ne e l’inflazione stanno aumen-tando. Se non ci sarà una ripresadei prezzi degli idrocarburi, sirenderanno necessarie riformemolto serie, e la stabilità del tan-dem Medvedev-Putin, che sem-bra ora inossidabile, cominceràforse a vacillare.

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VIKTOR ZASLAVSKY

Storico e professore russo naturalizzato canade-se, specializzato nello studio dei rapporti tra Ita-lia e Unione Sovietica dal 1945 ad oggi. Laurea-to in storia presso l’Università Statale di San Pie-troburgo, è professore ordinario di sociologia po-litica presso la facoltà di scienze politiche del-l’Università Luiss “Guido Carli” di Roma. Colla-bora con Il Messaggero e L’Occidentale. Ha collaborato come consulente della Commis-sione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo esulle stragi in Italia. Ha scritto Dopo l'Unione So-vietica. La perestroika e il problema delle nazio-nalità (Il Mulino), La Russia senza soviet (Idea-zione editrice), Il massacro di Katyn (Ideazioneeditrice), Storia del sistema sovietico (Carocci),Lo stalinismo e la sinistra italiana (Mondadori),Togliatti e Stalin. Il Pci e la politica estera stali-niana negli archivi di Mosca (Il Mulino), La Rus-sia postcomunista. Da Gorbaciov a Putin (Luiss).

L’Intervistato

FEDERICO BRUSADELLIScrive per Ffwebmagazine e collabora con ilSecolo d’Italia. Laureato in Lingue e civiltàorientale, ha seguito il master “Tutela interna-zionale dei diritti umani” presso l’Università LaSapienza di Roma.

L’Autore

L’INTERVISTAViktor Zaslavsky

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Alla ricerca di unaritrovata area di influenza, Mosca

punta verso le repubblichecentroasiatiche, importantiper le ricchezze naturali,energetiche e minerarie. E per far capire a StatiUniti ed Europa di nonaver ancora persola propria autorità in quellafondamentale area del pianeta.DI CARLO JEAN

Asia centrale,sotto controllocon il soft power

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Mosca sta riprendendo il control-lo dell’Asia Centrale, contrastan-do le presenze americana, euro-pee, turca e, in modo più indiret-to e cauto, l’espansione di quellacinese. Il processo è parallelo alregresso della democrazia in Rus-sia e al tentativo di Putin e Med-vedev di far riguadagnare al paeseil rango di grande potenza se nonglobale, almeno regionale, conuna propria zona esclusiva di con-trollo e d’influenza, coincidentetendenzialmente con lo spazio ex-sovietico (ed ex-zarista). Tale po-litica è codificata nella cosiddetta“dottrina Medvedev”, formulatadopo la “guerra dei cinque gior-ni” in Georgia nell’agosto 2008.Nell’immaginario collettivo rus-so e nelle preoccupazioni geopoli-tiche del Cremlino, l’Asia Cen-trale – pur considerata essenzialeperché la Federazione russa possatornare ad essere grande potenza,ponte fra l’Europa e l’Asia – hacomunque un’importanza infe-riore a quella delle repubblicheex-sovietiche europee ed anche diquelle caucasiche. L’Asia Centraleè importante per Mosca per le suericchezze naturali, energetiche eminerarie, e come zona cuscinet-to per la protezione dei lunghiconfini meridionali della Russiadalla contaminazione islamista edal traffico di droga. È importan-te anche come simbolo e baluardocontro gli schieramenti di forzedi Stati potenzialmente ostili aMosca. Contribuisce a tale perce-zione di irrilevanza il fatto chel’opinione pubblica russa denun-cia una crescente xenofobia anchenei riguardi dei circa due milioni

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Asia centrale,sotto controllocon il soft power

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di immigrati centro-asiatici chelavorano in Russia. Essa è stataalimentata dalla guerra di Cece-nia e dagli attentati terroristicinel territorio della Federazione. Ilegami culturali con l’Asia Cen-trale sono poi molto deboli. L’in-tera regione viene percepita comearea di islamismo, terrorismo,mafia e traffico di droga.L’impegno maggiore del Cremlinoriguarda la difesa della diasporarussa, presente soprattutto nel Ka-zakistan settentrionale. Essa è inrapida diminuzione nelle altre re-pubbliche centro-asiatiche, ancheper l’ostilità delleloro popolazioniverso gli ex con-quistatori slavi. Mosca tende poi amantenere un’in-fluenza ed un con-trollo esclusivisulle risorse mine-rarie ed energetiche della regione.Ne è facilitata dall’isolamentogeografico dell’Asia Centrale edal fatto che le sue linee di comu-nicazione – costruite durantel’Impero – la raccordano allaRussia. Il riconoscimento russodell’indipendenza delle due pro-vince secessioniste della Georgia– l’Ossezia del Sud e l’Abkazia –ha sollevato notevoli timori intutti gli Stati dell’Asia Centrale.Essi temono di essere ricolonizza-ti da Mosca e non possono difen-dersi da soli né ricevere aiutiesterni. Realisticamente, i diri-genti centro-asiatici ne hannopreso atto. La loro politica – pri-ma molto aperta all’Occidente ealla Cina – ha denunciato un ra-

pido riavvicinamento a Mosca. IlCremlino sta approfittando del-l’impegno degli Usa e della Natoin Afghanistan e della loro esi-genza di disporre di vie di riforni-mento alternative a quella paki-stana, sempre più vulnerabileagli attacchi terroristici, per ri-durre l’influenza occidentale nel-la regione. Più cauto è il contra-sto all’influenza cinese, soprat-tutto in Kazakistan ed in Uzbe-kistan. La Russia non può compe-tere con la Cina nella fornitura diprodotti manifatturieri a bassoprezzo, richiestissimi dalle popo-

lazioni dell’AsiaCentrale. Vieneconsiderata da essel’unica alternativapossibile alla Rus-sia, anche perchéPechino – comeperaltro Mosca –non pone al com-

mercio ed agli investimenti icondizionamenti in tema di de-mocrazia e di rispetto dei dirittiumani pretesi da Washington e –con minore convinzione – anchedall’Ue. Gli Usa si sono fattiespellere dall’Uzbekistan dallabase aerea di Karshi-Khanabad,che utilizzavano dall’inizio del-l’attacco in Afghanistan. Fu lareazione del presidente Karimovalle critiche Usa per il massacroeffettuato nel 2005 ad Andijan,nella vallata del Fergana. Solouna politica più realistica e cinicapotrà ristabilire una certa loro in-fluenza nella regione. Essa incon-trerà però la resistenza di unaRussia, ritornata più forte.Un motivo della cautela di Mosca

L’Asia Centrale viene percepita comearea di terrorismo,fondamentalismo e traffico di droga

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verso Pechino consiste nel fattoche la collaborazione finanziariacinese è molto importante per laRussia, duramente colpita dallacrisi economica mondiale e dalcrollo del prezzo delle materieprime. Lo dimostrano le gravosecondizioni del prestito di 25 mi-liardi di dollari, concesso dallaBanca Centrale cinese a Rosneft eTransneft. Va tenuto conto chel’economia russa è quella di un“petro-Stato”. Vale per essa, comeper gli Stati del Golfo, la cossi-detta “maledizione del petrolio”.Quanto più uno Stato dipendedall’ esportazione delle risorse na-

turali, tanto più il suo regime èautoritario. Non deve infatti im-porre tasse, del cui impiego devepoi rispondere ai contribuenti. InRussia, le riforme per la diversifi-cazione dell’economia hanno perora dato risultati modesti.Medvedev e Putin intendonomantenere il controllo del gas edel petrolio, nonché dei mineralinon ferrosi, di cui è ricca l’AsiaCentrale. Sono facilitati dal fattoche le reti di comunicazione e deigasdotti ed oleodotti sono diretteverso il territorio russo. In granparte, le grandi società petroliferee minerarie russe le esportano poi

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in Europa. Mosca considera stra-tegico mantenerne il controllo,non solo per incassare le relativericche royalties, ma anche per nonvedere spuntata l’arma della di-pendenza energetica dell’Europa.Essa offre al Cremlino interessan-ti potenzialità politiche nei rap-porti con l’intero Occidente, par-ticolarmente nei riguardi dellaGermania e dell’Italia. D’altron-de, senza il gas centroasiatico,Gazprom non potrebbe onorare isuoi impegni verso l’Europa.Mosca ha concluso con gli Staticentro-asiatici una serie di accordisia politici (Collective securitytreaty organization – Csto, eShanghai cooperation organiza-tion – Sco) che economici (Eura-sian economic community - Eec).Mantiene infine presidi e basi mi-litari in Kirghizistan, Tagikistane Turkmenistan e continua ad uti-lizzare il cosmodromo kazako. Ta-li accordi multilaterali rafforzanoil controllo bilaterale di Mosca sututti gli Stati della regione. Dell’importanza dell’influenzarussa in Asia Centrale si è accortoil generale Petraeus, quando – al-l’inizio dell’anno – ha cercato diconcludere accordi con i vari Statidella regione, sempre per ottenereuna via alternativa per rifornire leforze schierate in Afghanistan.Tutti hanno subordinato al con-senso di Mosca l’accettazione del-le richieste statunitensi. DalCremlino è dipeso anche il pro-lungamento del contratto di affit-to agli Usa dell’indispensabile ba-se aerea di Manas in Kirghizistan,che Bishkek voleva revocare. Esiste un dibattito sui reali obiet-

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IL KAZAKISTAN

TRA PERSONALISMOE RICCHEZZAIl Kazakistan è stata l’ultima delle repubblichedell’ex Urss a proclamare la sua indipendenzanel dicembre 1991. La sua forma di governo è larepubblica presidenziale. Secondo la Costitu-zione, adottata con referendum il 30 agosto1995, capo dello Stato e dell’esecutivo del Ka-zakistan è il presidente, che viene eletto a suf-fragio universale per una carica, rinnovabile, disette anni. Il Parlamento è a sistema bicameraleed è costituito dal Senato e dal Mazhilis. In real-tà, però, il Kazakistan ha una democrazia per-sonalistica guidata dal presidente Nursan Na-zarbayev che esercita poteri esecutivi, legislati-vi e giudiziari diretti ed è a capo delle forze ar-mate. Nel 1994 si svolsero nuove elezioni legi-slative che videro vincitore il Partito d’unità na-zionale del presidente in carica. Le contestazio-ni dell’opposizione provocarono l’invalidazionedelle elezioni da parte della Corte Costituziona-le e la conseguente reazione del presidente Na-zarbayev che sciolse il parlamento attribuendo-si, per decreto, il potere legislativo. È stato rie-letto nel 1999 e successivamente nel 2005. Nel2007 sono stati approvati alcuni emendamentialla Costituzione del 1995 che permettono al-l’attuale presidente di ricandidarsi per un nu-mero illimitato di mandati. La modifica di legge,però, riguarda Nazarbayev personalmente enon sarà perciò applicabile ai suoi successori,che potranno ricoprire la carica per due volte almassimo. Dopo la proclamazione dell’indipen-denza, il Kazakistan ha intrapreso una difficiletrasformazione dal modello economico chiusoe statalistico che lo aveva caratterizzato nel pe-riodo sovietico a uno basato sul libero mercato,sull’iniziativa privata e sull’integrazione nel-l’economia globale. La rapida crescita del Kaza-kistan degli ultimi anni riflette il basso “punto dipartenza” dettato dal suo status di ex paese co-munista utilizzato dall’Urss principalmente co-me fornitore di materie prime. Il Kazakistan è,dopo la Russia, il secondo paese produttore digreggio e, potenzialmente, tra i maggiori a livel-lo mondiale. Il suo sottosuolo è ricchissimo dipetrolio, ed è per questo di forte interesse perle grandi compagnie petrolifere: importanti ac-

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IL KAZAKISTAN

cordi di joint-ventures sono stati siglati per losfruttamento dei giacimenti. Il paese è ricco an-che di gas naturale. Uno dei maggiori ostacoliche hanno impedito al Kazakistan di sfruttare inpassato le proprie risorse di idrocarburi è stata lamancanza di un proprio sistema di oleodotti egasdotti verso i mercati occidentali. Accanto alsettore degli idrocarburi, il Kazakistan è dotatodi un sottosuolo ricco di carbone, metalli prezio-si, metalli ferrosi e non ferrosi. L’agricoltura e ilpatrimonio zootecnico sono un altro importantepilastro dell’economia kazaka, poiché circa il40% della popolazione kazaka vive in aree rurali.Il boom delle materie prime e degli idrocarburinegli ultimi anni ha contribuito decisamente al-l’aumento del tasso di crescita del Pil. Rimango-no tuttavia evidenti fattori critici che limitano an-che lo sviluppo della domanda interna per con-sumi e per investimenti, quali: la carenza di infra-strutture, dovuta anche alla vastità del paese ealla scarsa densità di popolazione, l’alta disegua-glianza nella distribuzione dei redditi e l’elevatacorruzione. Il Kazakistan ha buone relazioni con ipaesi vicini. È membro delle Nazioni Unite,dell’Organizzazione per la sicurezza e la coopera-zione in Europa (nel 2010 sarà il primo paese exUrss a presiedere l’Osce) e del Consiglio di coo-perazione del nord atlantico. È nel settore energi-co che si gioca la maggior parte delle alleanze po-litiche kazakhe sul piano internazionale; in parti-colare la costruzione di oleodotti e gasdotti assu-me un ruolo di primaria importanza soprattuttoper l’Unione europea e la Russia. Il Kazakistansvolge una politica estera basata sulla cautela e ilpragmatismo: se da un lato punta sulle relazionidi buon vicinato con la Russia, dall’altro realizzacollaborazioni sostanziali con altre potenze comegli Stati Uniti e la Cina. Anche dal punto di vistamilitare, questo paese ha sottoscritto accordi siacon la Russia che con gli Stati Uniti. Gli Usa sono

stati i primi a riconoscere ufficialmente il Kazaki-stan e nel corso degli anni i due paesi hanno svi-luppato una buona relazione bilaterale. Il puntocentrale di questa rapporto è da sempre la coo-perazione nella sicurezza e nella non-prolifera-zione. Nazarbayev ha buoni rapporti con la nuovaamministrazione Usa, di cui appoggia le posizionisulle questioni di sicurezza. Inoltre si è impegnatoa fornire petrolio all’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan fortemente sponsorizzato dagli america-ni. Comunque, il suo principale partner interna-zionale è la Russia. Infatti il Kazakistan partecipaa tutte le organizzazioni regionali che fanno capoa Mosca, come la comunità degli Stati Indipen-denti, l’Organizzazione per la Cooperazione diShangai e l’Organizzazione per il Trattato di Sicu-rezza Collettiva. Anche in questo caso le partner-ship più strette tra Russia e Kazakistan sono nelsettore energetico e uno dei principali progetticomuni è il rafforzamento dell’oleodotto Cpc(Caspian Pipeline Consortium).Una delle prioritàdella politica estera del Kazakistan è mantenerebuone relazioni con l’Unione europea che rap-presenta il suo principale mercato di sbocco.Inoltre Astana potrebbe diventare un fornitore digas per il gasdotto Baku-Tbilisi-Erzurum che infuturo dovrebbe connettersi alla rete “Nabucco”,destinata a portare il metano del Caspio in Euro-pa senza passare per il sistema dei gasdotti russo.Il Kazakistan, ha creato una Comunità economicaeurasiatica, nel 2000, assieme a Russia, Bielorus-sia, Kirghizistan e Tagikistan per rinforzare l’ar-monizzazione delle tariffe del commercio e lacreazione di una zona libera e un’unione dogana-le. È membro fondatore della Conference for in-teraction and Confidence in asia, ed è impegnatonel dialogo sulla sicurezza regionale con l’Asean.Non è ancora membro del Wto (è soltanto un“paese osservatore”), ma potrebbe a breve entra-re nell’Organizzazione.

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94tivi di Mosca in Asia Centrale. Seintenda cioè ricostituire l’impero,assumendo il controllo diretto al-meno della regione settentrionaledel Kazakistan, oppure se si ac-contenti di esercitare un’influen-za intrusiva. Generalmente, sipropende per la seconda soluzio-ne. Al Cremlino sono al potere inazionalisti, non gli imperialistiné gli eurasisti. Inoltre, un au-mento della popolazione islamicaè considerato un pericolo per

l’identità e lastabilità dellaRus s i a da l l aChiesa Orto-dossa. La suainfluenza poli-

tica non va trascurata, poiché èl’ispiratrice principale del sensodi eccezionalità (“Terza Roma”) edel nazionalismo russi. Infine,l’attuale situazione – che vedeuna considerevole diminuzione

dell’influenza occidentale e dellaTurchia – presenta molti vantag-gi per Mosca. Consente di eserci-tare un’influenza pressoché esclu-siva, senza dovere però sosteneregli oneri di un controllo direttosulla regione. La Turchia ha normalizzato i rap-porti con Mosca e sta perseguendouna politica di equilibrio fra Wa-shington e Mosca. La “turcofonia”non è più una forza trainante del-la volontà di autonomia da Moscadelle popolazioni centroasiatiche.Inoltre, la recente repressione ci-nese degli Uiguri del Sinkiangl’ha trasformata in un fattore fa-vorevole a Mosca, utilizzabile percontrastare la presenza cinese. Laferma condanna della Turchia, cheha definito la strage di Urumci“un genocidio”, ha suscitato sen-timenti anticinesi in tutta la re-gione. Ciò non ha sicuramentefatto un dispiacere al Cremlino.

La “turcofonia” non è più una forza trainantedella volontà di autonomia da Mosca

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95Dal punto di vista politico-stra-tegico, Mosca attribuisce unacrescente importanza alla Csto –di cui fanno parte Russia, Bielo-russia, Armenia e quattro dellecinque repubbliche centroasiati-che. Non ne è membro il Tur-kmenistan, che si è dichiaratoneutrale. Di fatto, però, esso di-pende dalla protezione di Mosca– che vi mantiene un contingen-te militare – per fronteggiare iltemuto pericolo di un attaccodell’Uzbekistan, desideroso diconquistare un accesso al Caspio.La Csto, dal 2002, dispone di unSegretariato generale e di unaForza d’intervento rapido di 10battaglioni, per un totale diquattromila uomini. L’ambizionedel Cremlino è di trasformarla inuna specie di Nato dell’Eurasia,per acquisire il diritto di inge-renza e di controllo su tutte le at-tività militari delle repubbliche

centroasiatiche. La rilevanza del-la Csto è stata accresciuta dallacrisi del Cis (Commonwealth ofindependent states). La Shanghai cooperation organiza-tion (Sco) – co-presieduta da Rus-sia e Cina – haconsentito didefinire tratticontroversi del-le lunghe fron-tiere e di coor-dinare le politiche di contrasto alterrorismo islamico, che costitui-sce un pericolo per tutti i suoi Sta-ti membri. Per Mosca e Pechino, èpoi funzionale alla riduzione del-l’influenza degli Usa in Asia Cen-trale. La Sco ha moltiplicato le sueattività ed invitato a parteciparealle sue riunioni l’India, il Paki-stan e l’Iran. Per i suoi sostenitoripiù entusiasti, dovrebbe dar vitaad un’alleanza dell’Eurasia, con-trappeso all’unipolarismo ed uni-lateralismo americani. La Sco pre-senta però forti limitazioni, sia perla diffidenza reciproca fra Mosca ePechino, sia per i legami esistentifra la Cina e gli Usa. Per la cooperazione economica,l’istituzione fondamentale dellaregione è rappresentata dall’Eura-sian economicc ommun i t y.Ne l l ’ o t t ob r e2000, ha sosti-tuito la preesi-stente unionedoganale fra la Russia e gli Statidell’Asia Centrale. Essa è affian-cata all’Organizzazione della coo-perazione centroasiatica (Ocac),costituita nel 1994 dalle sole re-pubbliche della regione. Mosca

Il Cremlino vuolevuole trasformare

la Csto in una speciedi Nato dell’Eurasia

Il ritorno politico dellaRussia è stato facilitato

dalle rivalità tra gli Stati della regione

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tende a fondere le due organizza-zioni ed a collegarle con lo spazioeconomico unificato di Russia eBielorussia. In sostanza, il controllo russo del-l’Asia centrale è sempre più basa-to su una forma peculiare di softpower, sia politico che economico.Esso si estende dal sostegno alleautocrazie centroasiatiche al con-trollo delle produzioni minerarieed energetiche della regione. Vada sé che tale ripristino soft dellospazio ex sovietico presenta gran-di vantaggi per Mosca: le consen-te i benefici di un impero senzadoverne assumere gli oneri delpresidio. Essi finirebbero per as-sorbire un’aliquota consistentedelle scarse risorse russe. AnatolyChubais parla di un “impero libe-rale”, affermazione particolar-mente interessante, dato che egliè uno degli principali esponentidel partito europeista e liberale.Anch’esso, evidentemente, con-divide la politica del Cremlinoper la ripresa del controllo del-l’Asia Centrale.Il ritorno geopolitico della Rus-sia è stato facilitato dalle rivalitàesistenti fra i vari Stati centroa-siatici, anche in relazione all’an-damento delle loro frontiere, so-prattutto di quelle dell’Uzbeki-stan, tortuosissime e prive diogni logica geografica. Esse fu-rono tracciate da Stalin nel 1924proprio allo scopo di creare con-trasti territoriali fra le cinque re-pubbliche in cui era stato divisoil Turkestan zarista, che si era ri-bellato ai sovietici con l’aiuo diufficiali turchi. Lo Stato più po-tente della regione è l’Uzbeki-

stan, anche per la presenza diconsistenti diaspore in tutte lealtre repubbliche e che disponedi una popolazione numerosa edi un’economia diversificata. Es-so ha sempre teso a divenire ege-mone ed a riunificare il Turke-stan. Ciò evidentemente era con-siderato con preoccupazione daMosca. Quest’ultima dopo l’im-plosione dell’Urss aveva cercatodi appoggiarsi soprattutto alKazakistan. Dopo i contrasti fraTaskent e Washington, le rela-zioni della Russia con l’Uzbeki-stan sono migliorate. Ma Moscasi sente ormai sufficientementeforte per non aver bisogno di al-leanze privilegiate. Quindi, at-tribuisce priorità ai rapporti bi-laterali con i singoli Stati. Dopoil conflitto georgiano, tutti sonotornati sotto il controllo di Mo-sca o, quanto meno, si dimostra-no disposti ad accettarne l’in-fluenza, mentre sono molto piùcauti nello stringere accordi conl’Occidente e con la Cina.

L’Autore

CARLO JEANEsperto di strategia militare e di geopolitica.Ha scritto numerosi articoli e pubblicazioni sugeopolitica e geoeconomia che ne fanno unodei più autorevoli esperti a livello italiano e in-ternazionale. Attualmente insegna Studi stra-tegici alla Facoltà di Scienze politiche del-l’Università Luiss ed alla Link Campus di Ro-ma. È membro del Consiglio scientifico dellaTreccani, del Comitato scientifico di Confindu-stria e del Comitato scientifico della Fonda-zione Italia-Usa. Collabora alla rivista di geo-politica italiana Limes, di cui è anche consi-gliere scientifico.

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Cecenia, tra autonomismoe deriva fondamentalista

DI STEFANO MAGNI

Dal 1994 ad oggi nella guerra tra Mosca e Groznysono subentrati nuovi elementi. Alle rivendicazionisecessioniste si è aggiunto l’integralismo islamico.

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Dieci anni di guerra. Dalle primeincursioni della guerriglia cecenain Daghestan, il 2 agosto 1999,alla proclamazione della fine del-l’operazione russa antiterrorismoil 16 aprile 2009, sono morti3643 soldati russi, 1722 agentidel ministero degli Interni, 1045poliziotti ceceni fedeli a Mosca,circa 14mila ribelli ceceni, circa25mila civili ceceni (secondoAmnesty International), e si con-tano cinquemila scomparsi,200mila profughi. Più di millecivili sono stati uccisi da azioniterroristiche cecene in Russia. Ilgiornalista italianoAntonio Russo, legiornaliste russeAnna Politkovska-ja e Anastasia Ba-burova, l’attivistaper i diritti umaniNatalia Estemiro-va sono morti neltentativo di documentare la guer-ra in Cecenia. Queste decine dimigliaia di caduti hanno profon-damente trasformato il volto, nonsolo del Caucaso, ma dell’interaFederazione russa.La guerra nel Caucaso settentrio-nale è vista come una diretta con-tinuazione del conflitto fra la Fe-derazione russa e la Repubblicasecessionista cecena combattutafra il 1994 e il 1996. Ma i dueconfronti armati hanno caratteri-stiche e cause ideologiche moltodifferenti. La prima guerra cecenafu una guerra post-sovietica,combattuta da ex uomini di regi-me (tra cui l’ufficiale dell’aviazio-ne sovietica Djokar Dudaev, pri-mo presidente indipendentista

ceceno) e alimentata dalla dram-matica memoria storica del tota-litarismo. Nel 1944 Stalin scate-nò contro il piccolo paese caucasi-co una dura repressione, con unadeportazione massiccia della po-polazione. La Cecenia, che erastata occupata dai tedeschi perdue anni, dal 1942 al 1944, fudichiarata “nazione collaborazio-nista”. Il torto subito non fu maicancellato e l ’occasione diun’Urss in fase di rapida decom-posizione spinse la Cecenia a di-chiarare prima la sua sovranitànel settembre del 1991 e poi l’in-

dipendenza nel1993. Nel dicem-bre del 1994 ilpaese respinse aGrozny il primoassalto russo. Nel1996, con l’accor-do di Kasav Yurt,dopo due anni di

guerra che costarono ai russi circaseimila morti, la Cecenia ottenneun’indipendenza di fatto, anchese non formalizzata.La seconda guerra cecena, invece,fu solo in parte il diretto seguitodella prima. Il detonatore non ful’indipendenza (per altro già otte-nuta sul campo), ma l’Islam radi-cale. Le nuove generazioni cecenestavano abbandonando semprepiù numerose la vecchia e pacificatradizione musulmana sufi, at-tratte dall’autorità dell’islami-smo radicale wahabita, presentenella regione fin dalla fine deglianni Ottanta e sostenuto finan-ziariamente dall’Arabia Saudita.Nel 1997, l’integralista ShamilBasaev, già distintosi per sangui-

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Il detonatore della seconda guerracecena non fu l’indipendenza mal’Islam radicale

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nosi atti di terrorismo durante laprecedente guerra cecena (fra cuiil sequestro di un intero ospedalecivile a Budennovsk) divenne ilprimo ministro della Cecenia.Contrariamente al presidente ce-ceno Aslan Maskhadov, un mode-rato, Basaev premette da subitoper l’interruzione delle relazionicon Mosca. Nel 1998 i ceceni in-tensificarono il pompaggio e laraffinazione abusiva di petroliorubato agli oleodotti russi, susci-tando le ire di Mosca. Basaev eMaskhadov entrarono ben prestoin conflitto. Il presidente ebbe lameglio e il primo ministro rasse-gnò le dimissioni. Non fu la fine,ma l’inizio dell’escalation: lungidall’emarginare definitivamentel’ex primo ministro integralista,il presidente ceceno lo nominòcomandante in capo delle forzearmate cecene, un piccolo eserci-to (forte di circa settemila uomi-ni), costituito da volontari locali,ma anche da mercenari sauditi,bosniaci, afgani e turchi. Fontirusse affermano che lo stesso Osa-ma Bin Laden contribuì alla for-mazione del nuovo esercito indi-pendentista ceceno, con un finan-ziamento di circa 30 milioni didollari. L’assenza di forze russe el’anarchia che si era creata nellaregione, facilitarono il successodel radicalismo islamico. Kara-makhi, in Daghestan, fu islamiz-zata nel 1998. Le autorità islami-che locali imposero il burqa alledonne, come da tradizione waha-bita, proibirono l’uso di radio etelevisioni e sequestrarono tutti imezzi per prendere immagini. Leautorità russe non reagirono.

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Bande armate di integralisti (cir-ca cinquecento uomini), facendobase in territorio ceceno, inco-minciarono a compiere incursioninel Daghestan. Conquistati i pri-mi villaggi di confine, il 10 ago-sto 1999 il consiglio delle autori-tà religiose daghestane, dichiaròunilateralmente l’indipendenzadel Daghestan e invitò i musul-mani a unirsi per combattere lajihad contro i russi “fino alla cac-ciata degli infedeli dalla terraislamica”. Questa volta il presi-dente Boris Eltsin e il premierVladimir Putin raccolsero la sfi-da. La guerra avevacoinvolto la Russiafin nel suo cuore. Il9 settembre uncondominio mo-scovita fu fatto sal-tare in aria. Il 13settembre fu lavolta di un secondocondominio. Nelle due esplosionivi furono, complessivamente,260 morti. Il 16 settembre saltòin aria un terzo condominio nellacittà di Volgodonsk, causando lamorte di 17 persone e il ferimen-to di altre 150. La Russia era sot-to shock: si compattò come un soluomo contro la Cecenia.Il 22 settembre il ministro delladifesa Zubov annunciò l’invio dirinforzi al distretto militare delCaucaso. Gli aerei russi compiro-no 17mila missioni dal 22 set-tembre al primo ottobre. Il 5 ot-tobre le prime divisioni russe en-trarono in Cecenia. La secondabattaglia di Grozny fu condottacon metodi più spietati rispettoal 1994: questa volta i russi spia-

narono la città con l’artiglieria el’aviazione prima di entrarvi. Lacapitale cecena fu dichiaratadall’Onu “la città più devastatadel mondo”.La presa di Grozny, all’inizio del2000, segnò l’inizio dell’era Pu-tin, erede designato alla presi-denza russa dopo la fine delmandato di Boris Eltsin. Putinsi presentò da subito come unpresidente di guerra, pronto a«inseguire i terroristi fin dentroi loro cessi», come ebbe lui stes-so a dichiarare all’inizio del con-flitto. Dopo la presa di Grozny,

nell’inverno del2000, la guerradivenne guerri-glia, per stroncarela quale i russiadottarono meto-di durissimi an-che contro la po-polazione civile.

Alla catena di attentati a perso-nalità politiche filo-russe, letruppe e le unità di Fsb e Gru (iservizi segreti) risposero conmassicci rastrellamenti. In ognirastrellamento, i russi bloccava-no ogni via di uscita, facevanoevacuare e radevano al suolo in-teri edifici presi a caso, spedendogli abitanti nei campi profughi.Queste operazioni costrinsero al-l’esodo 150mila ceceni, stipatinei campi profughi dell’Ingusce-zia. Almeno altri 50mila civiliceceni erano profughi pur senzaessere riconosciuti tali, costrettia vagare al di fuori delle struttu-re di accoglienza.Il terrorismo ceceno alzò il tiro apartire dal 2002. Nel sequestro

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Putin si presentò subitocome un presidentedi guerra, pronto a “inseguire i terroristifin dentro i loro cessi”

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del teatro Dubrovka, a Mosca, il23 ottobre 2002, i terroristi pre-sero in ostaggio 850 spettatori,minacciando di ucciderli tutti sei russi non si fossero ritirati dallaCecenia. 129 morirono il 26 otto-bre, quasi tutti a causa dei gasusati dall’Unità Alfa nel raidscattato per la loro liberazione. Iterroristi suicidi ceceni entraronodi nuovo in azione nel dicembre2003: il 5 di quel mese uno di lo-ro si fece esplodere in un treno aStavropol Krai, uccidendo 46persone e ferendone altre 170. Il6 febbraio 2004, il terrore arrivòalla metropolitanadi Mosca: 40 mor-ti e 120 feriti. Il24 agosto 2004,due aerei di lineaper voli interni fu-rono fatti esplode-re, quasi in simul-tanea, dopo il lorodecollo dall’aeroporto Domode-dovo di Mosca: 90 morti. E ilpeggio doveva ancora arrivare: ilprimo settembre 2004, un com-mando ceceno prese in ostaggio1100 persone (fra cui 777 bambi-ni) nella scuola elementare di Be-slan, nella vicina Ossezia delNord. Le foto dei bambini con lemani alzate, minacciati dai mitradei terroristi di Basaev, furonoparagonate alla celebre immaginedel bambino arresosi ai tedeschinel ghetto di Varsavia. La Russiae il mondo intero si strinsero at-torno alle 334 vittime (188 bam-bini) dell’attacco e della successi-va liberazione della scuola. L’ondata di attentati del 2004 esoprattutto il massacro di Beslan

diedero al presidente VladimirPutin l’occasione per portare atermine il suo progetto di accen-tramento del potere. Già primadi Beslan, il ministro delle Fi-nanze Alexei Kudrin premeva peruna razionalizzazione del sistemarusso, diviso com’era in 89 unitàamministrative, ciascuna con lapropria economia, protetta daleggi locali e dettata da interessiforti del posto. I presidenti deglioblast (regioni) e delle repubbli-che nazionali che costituiscono laFederazione, fino al 2004, eranoeletti dalle assemblee regionali.

Putin cambiò tut-to: con la sua rifor-ma, presentata nelnovembre de l2004 e approvataall’inizio dell’annosuccessivo, i presi-denti regional ivengono nominati

dal Cremlino e devono essere ap-provati dall’assemblea locale. Sequest’ultima boccia i candidatiproposti per due volte di fila, puòessere sciolta. Se il presidente lo-cale non svolge bene il suo lavoro,può essere rimosso per ordine delCremlino.La riforma elettorale sollevò unvasto dibattito nel paese, nono-stante il trauma di Beslan. Leresistenze furono piuttosto con-sistenti in alcune regioni: i par-lamenti della Chuvashia e diKazan si opposero alla legge, ilTatarstan e il Bashkortostan lacontestarono, Kaliningrad eAstrakhan cercarono di bloccar-la, poi cedettero sotto la pressio-ne di Mosca. Alcuni aspetti del-

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Il primo settembre2004, terroristi ceceni presero in ostaggio1100 persone nella scuola di Beslan

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Antonio Russo,una morte senza colpevoliAntonio Russo fu trovato morto il 17 ot-tobre 2000, sul ciglio di una strada dimontagna a 40 km a nord-est da Tblisi,Georgia. Sul suo corpo non vi era alcunsegno di violenza e solo l’autopsia ha ri-velato che sulla cassa toracica era statafatta una pressione così forte da romper-gli lo sterno e quattro costole che gli han-no perforato un polmone, causandogliun’emorragia interna mortale. “La forte pressione potrebbe essere stataesercitata da un oggetto contundente op-pure da mani esperte”, dice il referto del-l’autopsia. Diversi colleghi di Antonio, co-noscitori dell’area, non hanno tardatomolto ad addossare proprio ai russi lacolpa di questo omicidio. Contempora-neamente qualcuno si introduceva nel-l’appartamento di Antonio e ne sottraevatutta l’attrezzatura e il materiale che ave-va raccolto durante la sua permanenza inGeorgia, ponte per la Cecenia, riguardan-te appunto i crimini che i russi stavanocompiendo nel Caucaso. Il 25-26 settem-bre aveva partecipato ad un convegno,tenutosi in Georgia, sui danni ambientaliche l’attività bellica stava causando nellaregione, pronunciando uno dei discorsipiù duri nel quale adombrò la possibilitàche i russi stessero usando anche armicontenenti uranio impoverito e che stes-sero avvelenando le falde acquifere del-l’area gettandovi cadaveri e carcasse dianimali “contaminati”. D’altronde doveva aver raccolto altre im-portanti informazioni da esporre all’opi-nione pubblica internazionale, infatti te-

lefonò alla madre, annunciandole che sa-rebbe tornato il giorno 18, accennò cheaveva raccolto del materiale tanto impor-tante quanto sconvolgente. Di che mate-riale si trattasse davvero, non si è mai sa-puto, anche se sono state fatte moltesupposizioni. Il caso è ancora più interes-sante se si pensa che all’epoca soltanto inpochi si erano accorti di che cosa stessesuccedendo in Cecenia e dintorni.Le cose in Cecenia dal 2000 ad oggi sonosolo peggiorate. Antonio Russo era unesperto di zone di guerra. Aveva fatto l’in-viato dall’Algeria alla Bosnia sempre co-me freelance per Radio Radicale. In Kosovo nel 1999 aveva conosciuto glionori della celebrità quando durante ilbombardamento della Nato su Pristinanon rientrò, e fu dato per disperso perdue giorni fino a quando non riapparve,miracolosamente, in mezzo ad una colon-na di rifugiati kossovari.

IL PERSONAGGIO

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la legge (come lo scioglimentodelle assemblee locali recalci-tranti) vennero smussati, ma ipoteri legislativi regionali, tut-tora, non hanno la forza reale diopporsi alla nomina di un candi-dato di Mosca.La seconda conseguenza giuridicadi Beslan fu la nuova legislazioneanti-terrorismo, una delle piùdure del mondo. La legge confe-risce all’autorità la possibilità diimporre uno “stato di emergenzaterroristica” di 60 giorni, in qua-lunque parte del paese, non appe-na vi siano indizi di un imminen-te attentato. Lemisure emergen-ziali includono: ildivieto di manife-stazioni pubbli-che, il controllodelle conversazio-ni telefoniche, ilblocco del trafficoautomobilistico. Anche la stampa(esclusa fin da subito dal teatro diguerra ceceno) ha subito limita-zioni ulteriori: vietato riprodurreimmagini giudicate violente, vie-tato descrivere le scene degli at-tacchi, accesso alle informazionida parte dei giornalisti limitatoai soli responsabili delle indaginiantiterrorismo.Se la riforma elettorale ha postofine al sistema federale russo, leleggi antiterrorismo, secondo icritici del Cremlino, hanno ucci-so la libertà di assemblea e diespressione.Se la guerra ha prodotto una sortadi virus antidemocratico all’in-terno della società e delle istitu-zioni russe, nel Caucaso ha pro-

dotto la nascita di un vero e pro-prio feudo: la nuova Cecenia go-vernata in modo assolutista daRamzan Kadyrov.Il 2005 è conosciuto come l’annodella “cecenizzazione” del conflit-to nel Caucaso: non più trupperusse contro ribelli ceceni, matruppe cecene, che rispondono aun governo locale filorusso, con-tro ribelli ceceni. Più che una“cecenizzazione” del conflitto, ilfenomeno che si sta manifestandonegli ultimi quattro anni di guer-ra è una ulteriore islamizzazione.Sia la resistenza antirussa che il

governo pro Crem-lino si stanno “tin-gendo di verde”. Ilpresidente depostoAslan Maskhadov,punto di riferi-mento della resi-stenza cecena laica,è stato ucciso in un

raid l’8 marzo del 2005 a TolstojYurt. La sua morte ha acceleratoil processo di islamizzazione dellaresistenza. Il suo successore, Ab-dul Karim Sadulaev, era giudicedi una corte islamica. Nel suobreve periodo di presidenza (finoalla sua uccisione in un raid il 17giugno 2006) si incominciò aparlare anche ufficialmente dellanascita di uno Stato teocratico. Ilprogetto di emirato si è rafforzatoulteriormente nella resistenzasotto il comando di Dokka Uma-rov, l’attuale leader indipendenti-sta. Nemmeno l’uccisione delleader terrorista Shamil Basaev, il9 luglio 2006, ha frenato il pro-cesso di estremizzazione religiosadei ribelli che, oggi come oggi,

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Dopo Beslan le leggiantiterrorismosono state inasprite,limitando anche la libertà di stampa

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mirano alla creazione di un emi-rato islamico comprendente nonsolo la Cecenia, ma anche il Da-ghestan, l’Inguscezia, Stavropol eKrasnodar, l’Ossezia del Nord, laKabardinio Balcaria e la Circas-sia. In questi ultimi tre anni, letruppe regolari cecene e i russi sitrovano a combattere contro unmovimento transnazionale, chemira decisamente non all’indi-pendenza di una repubblica, maalla creazione di un Caucaso set-tentrionale islamico.Ai musulmani, i russi contrap-pongono altri musulmani, noncerto moderati: il presidente delgoverno pro Cremlino inizial-mente fu l’imam Akhmad Kady-rov, lo stesso che nel 1996 avevaproclamato la jihad contro i rus-si. Nella seconda guerra cecenapassò dalla parte dei russi sin daiprimi giorni, e fu ucciso il 9maggio 2004. Suo figlio Ramzangli è subentrato dopo 3 anni diinterregno del presidente Alkha-nov. Tre anni durante i qualiRamzan Kadyrov, leader delgruppo paramilitare dei Kadi-rovtsij (responsabile, secondol’Associazione per i popoli mi-nacciati, del 75% dei crimini diguerra in Cecenia) ha fatto unacarriera fulminante, da vicepre-mier a premier e poi presidentenominato da Putin il 15 febbraio2007. Kadyrov è sospettato diaver fatto eliminare fisicamentetutti i suoi nemici politici, fracui il comandante del battaglio-ne Vostock (unità speciale delservizio segreto militare russo, ilGru) Sulim Yamadaev, ucciso aDubai il 28 marzo scorso. Ma sta

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conquistando la fiducia del po-polo ceceno attraverso l’islamiz-zazione della società: in qualitàdi premier, nel 2006, ha chiestoche le copie delle pubblicazionicon le vignette di Maometto ve-nissero bruciate, ha “vivamenteconsigliato” alle donne di indos-sare il velo, ha reintrodotto glistudi coranici nelle scuole, haminacciato di punire i media chenon danno sufficiente spazio allapredicazione dell’Islam e alla di-vulgazione della cultura cecena.Nella ricostruzione di Grozny, hadato la priorità alla costruzionedella più grande moschea delCaucaso. Al wahabismo dei ri-belli contrappone il sufismo, mal’imposizione delle tradizioniislamiche sulla società lo fa appa-rire molto simile ai suoi nemici.Paradossalmente, una guerra ini-ziata per combattere l’islamizza-zione del Caucaso si sta conclu-dendo con la nascita di un vero eproprio emirato islamico, unmondo a parte in cui la sharia stagradualmente sostituendo la leg-ge russa. Ciò che distingue Ka-dyrov dai suoi nemici è soprat-tutto la sua fedeltà assoluta a Pu-tin. «Non sono un uomo di Mo-sca, né del Cremlino, né dell’Fsb,sono un uomo di Putin», ha di-chiarato esplicitamente. Non èaffatto detto che sia altrettantofedele all’attuale presidenteDmitri Medvedev. Come in tantealtre dittature mediorientali,l’immagine di Ramzan Kadyrovinizia ad apparire dappertutto, intelevisione e nelle strade. «In unpiccolo territorio d’Europa si vaconsolidando una dittatura, –

scriveva Natalia Estemirova pri-ma di morire, in un articolo pub-blicato postumo sul quotidianobritannico The Independent – «Ipolitici dell’Unione europea edelle Nazioni Unite paragonanola situazione a quella del 2000 esi concentrano sugli innegabilimiglioramenti. Ma qual è stata laragione che ha indotto a distrug-gere città e villaggi, ad ucciderecentinaia di migliaia di civili ead introdurre il terrore di Statoper “combattere contro il terrori-smo”? Non si è voluto forseschiacciare la società civile ed in-durla ad una scelta artificiale trademocrazia e stabilità? Il Crem-lino è soddisfatto della repressio-ne e dell’impossibilità della Ce-cenia di agire e di pensare in ma-niera autonoma». Alcuni mesidopo aver scritto queste parole,l’autrice di questo articolo è statarapita e assassinata a Grozny, di-venendo un’altra vittima dellaguerra cecena.

STEFANO MAGNILaureato in Scienze Politiche con una tesisulla storia dell’imperialismo sovietico nel Me-dio Oriente. Ha collaborato con Equilibri.net,Galatea, Ideazione e Ragionpolitica. Dal2003 è redattore del quotidiano L’Opinione.Ha curato e tradotto l’antologia di studi di Ru-dolph Rummel, Lo Stato, il democidio e laguerra (Leonardo Facco 2003). E il classicodella scienza politica Death by Government(Stati assassini, Rubbettino 2005).

L’Autore

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Poco più di un anno fa l’Europaha dovuto fare i conti con la guer-ra tra Russia e Georgia, ultimodrammatico atto del risiko cauca-sico e del ritorno geopolitico diMosca al ruolo di grande potenza.Un conflitto breve ma dalle radi-ci profonde e dagli effetti impor-tanti, che va analizzato nel conte-sto delle dinamiche innescate

venti anni fa nell’area post-sovie-tica dal crollo del comunismo.La guerra del 2008 è frutto in pri-mo luogo dell’instabilità creatadalla caduta dell’Urss. Già nel1990, quando la Georgia dichiarala sua indipendenza dalla Russia,l’Ossezia del sud la dichiara dallostato georgiano. Ne è seguita unaguerra costata alcune migliaia di

CAUCASOAlessandro Marrone

DI ALESSANDRO MARRONE

Una guerra geopolitica

LA GEORGIAin mezzo al guado

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morti e sospesa da un cessate ilfuoco e dal dispiegamento di forzedi peace-keeping composte da trup-pe russe, georgiane e ossete, sottoil monitoraggio dell’Osce. Èl’ini-zio del frozen conflict, il “conflittocongelato” tra il governo georgia-no di Tbilisi e le repubbliche se-paratiste di Ossezia del Sud e Ab-khazia. Nel 2004 il neo-elettopresidente filo-occidentale Saaka-svili tenta di rafforzare la presenzamilitare georgiana nell’Osseziadel sud, ma di fronte all’afflussodi truppe russe a sostegno degliindipendentisti osseti fa marciaindietro. Lo stalloviene cristallizzatoda due referendumsvoltisi parallela-mente nel 2006nella provincia ri-belle: in uno i se-paratisti votanoplebiscitariamentel’indipendenza dell’Ossezia, nel-l’altro i lealisti altrettanto plebi-scitariamente ribadiscono la lorofedeltà a Tbilisi. In una situazioneevidentemente esplosiva, due go-verni reclamano autorità sullostesso territorio: uno sostenuto daMosca, intenta anche a dispensarepassaporti russi ai “compatrioti”osseti, e l’altro da Tbilisi e quindida Washington. La polveriera èpronta, in attesa solo della miccia. La miccia è stata preparata, nel-l’estate 2008, da una serie di sca-ramucce militari in Ossezia tra leforze separatiste e quelle lealiste.Il fuoco per accendere la miccia èstato prontamente provvisto dalCremlino, che “casualmente” di-spiega la 58° Armata al gran com-

pleto a ridosso del confine geor-giano per una esercitazione milita-re. Saakasvili infine ha accostato ilfuoco alla miccia e fatto esploderela polveriera ordinando, il 7 ago-sto, l’invasione dell’Ossezia delsud per ristabilirvi la sovranità ge-orgiana. Mosca non aspettava al-tro. Con un blitzkrieg degno delmiglior Kaiser, la Russia in 5 gior-ni ha: bombardato e distrutto leprincipali infrastrutture militari ecivili georgiane; imposto con laflotta del Mar Nero il blocco nava-le al porto georgiano di Poti; inva-so l’Ossezia del sud e le province

confinanti arrivan-do fino alla città diGori, poche decinedi kilometri daTbilisi; occupatol’Abkhazia caccian-do le forze georgia-ne dall’ultimo ba-stione anti-russo

nella valle di Kodori.Una volta raggiunti tutti gliobiettivi tattici prefissati, il 12agosto il Cremlino ha accettato ilpiano di cessate il fuoco negoziatodall’Ue guidata dal presidenteSarkozy che prevedeva il divietodell’uso della forza militare, lacessazione definitiva delle ostilità,il libero accesso degli aiuti uma-nitari, il ritorno delle forze armaterusse e georgiane alle postazioniprecedenti il conflitto, una confe-renza internazionale sullo status diSud Ossezia e Abkhazia. A segui-to del cessate il fuoco, le forze rus-se sono rimaste altri due mesi inGeorgia a distruggere quanto piùpossibile delle infrastrutture mili-tari e civili georgiane, completan-

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Con uns guerra lampo di cinque giorni la Russia è riuscita a raggiungeretutti gli obiettivi tattici prefissati

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do il ritiro il 9 ottobre del 2008.A quel punto l’Ue ha dispiegatouna missione di 200 osservatori,mentre Mosca riconosceva l’indi-pendenza delle due repubblicheseparatiste e stipulava con i ri-spettivi governi un trattato diamicizia, cooperazione e mutuaassistenza.Fin qui il riassunto dei fatti, maqual è la loro analisi? Un punto dipartenza potrebbe essere chiedersidi chi sia la responsabilità dellaguerra. Un bel rapporto di Cha-tham House, il noto centro studilondinese, con la tipica aria pro-fessorale britannica distribuisce lecolpe un po’ tra tutte la parti incausa. Saakasvili avrebbe peccatodi ambizione prendendo un ri-schio troppo grande, e compien-do un drammatico errore di sotto-valutazione delle forze russe e disopravvalutazione delle proprie (edel sostegno americano). Gli StatiUniti sarebbero stati negligentinel sottostimare l’instabilità dellaregione e la reazione russa al loroincondizionato sostegno a Saaka-svili. Osce e Nazioni Unite si so-no dimostrate incapaci di reagirealla crisi perché bloccate dal vetorusso. Ovviamente, la parte delleone nella suddivisione delle re-sponsabilità la fa la Russia, che haevidentemente pianificato l’inter-vento e usato il massimo della for-za militare convenzionale a suadisposizione, e non può quindipassare né per vittima dell’aggres-sione georgiana né per fautrice diun fantomatico intervento uma-nitario a difesa degli osseti.Se è evidente che la chiave per in-terpretare la guerra si trova a Mo-

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Nell’agosto 2008, la guerra tra la Russia ela Georgia proietta al centro dell’attualitàmondiale Mikheil Saaka�vili, quarantu-nenne presidente georgiano. In questo li-bro, colui che è diventato per la Russia ilnemico pubblico numero uno rispondeallo scrittore francese Raphaël Gluck-smann, e così racconta della propria vita,dei sogni e dei progetti per l’avvenire del-la Georgia. Perché Saaka�vili ha scelto ilconfronto con la superpotenza russa at-taccando l’Ossezia del sud? È caduto inuna trappola oppure ha semplicementefermato l’invasione in corso? È un agentedell’Occidente, come afferma il Cremli-no? Che cosa vuole realmente per il benedel suo popolo? Si considera un rivolu-zionario sempre? E chi è davvero Vladi-mir Putin? A tutte queste domande, emolte altre, Mikheil Saaka�vili rispondesenza tergiversare: fa rivelazioni sullosvolgimento della guerra d’agosto; dàchiarimenti sui legami con Israele, conGeorge W. Bush, con George Soros e conla Cia; ripercorre i primi attriti con il Kgbquando era studente a Kiev e a Tbilisi; in-forma sulla Rivoluzione delle rose; fasentire l’emozione e la sorpresa dei suoiprimi anni in Francia e negli Stati Uniti.Parla un uomo intriso dei valori e delletradizioni occidentali, con una libertà benrara in un capo di Stato in carica.

Io vi parlodi libertà

CAUCASOAlessandro Marrone

IL LIBRO

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sca piuttosto che a Tbilisi e a Wa-shington, occorre allora chiedersiqual è stata la ratio russa nel deci-dere l’intervento militare. In fon-do, Clausewitz ha sempre ragionenell’affermare che la guerra è lacontinuazione della politica conl’aggiunta di altri mezzi, e ilCremlino sin dai tempi di Stalinè un maestro nell’usare lo stru-mento militare al servizio delproprio disegno geopolitico. Una spiegazione di natura “reali-sta”, che utilizza come variabilifondamentali la forza – militareed economica – dei singoli Stati ela struttura del si-stema internazio-nale, rimanda ine-vitabilmente airapporti di forzacreatisi nella re-gione Euroasiaticadopo la caduta delMuro di Berlino.Basta confrontare una cartina del1989 con una del 2008 per notarecome sia mutato il quadro ai dan-ni della sfera di influenza russa.Nato e Unione europea hannoesteso, infatti, i loro confini dallaex cortina di ferro Danzica-Triestealla linea immaginaria che collegala capitale estone Tallin a quellabulgara Sofia, accogliendo al lorointerno non solo tutti i membrieuropei del disciolto Patto di Var-savia ma anche repubbliche chefacevano parte dell’Urss come itre Paesi baltici. Tale espansione,avvenuta nel quindicennio segui-to alla caduta del Muro di Berli-no, è stata strettamente legata aun sistema internazionale domi-nato dagli Stati Uniti, definiti di

volta in volta “superpotenza”,“unipolari”, “egemoni”, o addirit-tura “impero”. Questo assetto geopolitico è en-trato però in transizione negli an-ni 2000. Tra i tanti fattori chehanno segnato e segnano questatransizione, due riguardano inparticolare l’area euroasiatica. Inprimo luogo, il rafforzamentoeconomico, politico e militaredella Russia dopo la crisi deglianni ’90. Grazie al costante e so-stenuto aumento del costo dellerisorse energetiche esportate daMosca, in primis petrolio e gas, e

al ristabilimentodel controllo stata-le sulla società rus-sa (compresa la for-zosa nazionalizza-zione delle indu-strie energetiche),il Cremlino ha vi-sto accrescere il

proprio potere economico e mili-tare. Il ritrovato potere ha per-messo una politica di “bilancia-mento” dell’unipolarismo ameri-cano e dell’influenza occidentalein quello che Mosca considera ilsuo “vicino estero”. Come benspiegato da Neil MacFarlane neisuoi articoli su Foreign Affairs, laRussia non ha la forza per contra-stare gli Stati Uniti su questionivitali per l’agenda americana a li-vello mondiale, ma ne ha a suffi-cienza per farlo nella regione eu-rasiatica. Tale regione è vitale perMosca ma tutto sommato perife-rica per Washington che ha le suepriorità di sicurezza nazionale inMedio Oriente e Afghanistan, equi il Cremlino può proiettare ef-

Nato ed Europa hannoesteso i loro confinidall’ex cortina di ferroalla linea immaginariache collega Tallin a Sofia

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ficacemente la sua forza militare.In altre parole, la Russia va consi-derata una potenza regionale ingrado di esercitare sui paesi viciniun potere maggiore di quello del-la potenza mondiale impegnataprioritariamente su altri fronti, alfine di perseguire i propri inte-ressi nazionali.In secondo luogo, nel 2008 laspinta propulsiva dell’allarga-mento dell’influenza occidentalenello spazio ex sovietico era sem-brata esaurita. L’Ue ha messo be-ne in chiaro che ulteriori allarga-menti a est non sono in agenda, eha concentrato le(scarse) risorse del-la Politica europeadi sicurezza e dife-sa (Pesd) nella pa-cificazione dei Bal-cani. La Nato, nelvertice tenutosi aBucarest nella pri-mavera del 2008, ha deciso dinon decidere sull’adesione di Ge-orgia e Ucraina, rinviando il varodel Membership action plan(Map) verso Tbilisi e Kiev a dopole elezioni presidenziali america-ne. Hanno pesato in quell’occa-sione il timore di Berlino e Parigidi irritare Mosca con un ulterioreallargamento dell’Alleanza atlan-tica nel “vicino estero” russo, e ladebolezza dell’AmministrazioneBush ormai in scadenza di man-dato. Gli sviluppi di Ue e Natosembravano confermare la transi-zione del sistema internazionaleverso un indebolimento dell’uni-polarismo americano e una cre-scente regionalizzazione. Regio-nalizzazione da intendere come

maggiore peso delle potenze re-gionali emergenti – Russia, Cina,India, Brasile – nelle rispettiveregioni e minore capacità dellapotenza mondiale e dei suoi allea-ti europei di ingerire in teatrilontani dalla madrepatria. Allavigilia della guerra in Georgia,sembravano cioè non più pratica-bili sia le guerre “umanitarie” in-traprese dalla Nato negli anniNovanta sia quelle “preventive”combattute dagli Stati Uniti do-po l’11 settembre. I rapporti diforza e la struttura del sistema in-ternazionale permettevano, dun-

que, a una potenzaregionale con unforte, sebbene li-mitato e parzial-mente obsoleto,dispositivo milita-re convenzionaledi riaffermare ma-nu militari la pro-

pria sfera di influenza su un vici-no piccolo e ribelle, senza che lapotenza mondiale intervenisse.Se il paradigma realista si dimo-stra utile nello spiegare i rapportidi forza che rendono possibile omeno un intervento militare, nonè tuttavia sufficiente per analizza-re la decisione politica di muove-re guerra. In altre parole, il puntodi vista realista spiega perché laRussia poteva invadere la Georgia,ma non perché il Cremlino volevafarlo. Per fare ciò occorre entraredentro la “scatola nera” delle di-namiche politiche interne allaRussia, anch’esse fortemente se-gnate dalla transizione iniziatanel 1989 e dall’eredità del siste-ma sovietico.

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La Russia va consideratauna potenza regionalein grado di esercitaremaggiore pressionerispetto agli altri Stati

CAUCASOAlessandro Marrone

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Una prima chiave di lettura, caraagli analisti “liberali”, è quellaeconomica. Il passaggio dall’eco-nomia comunista a quella capita-lista e l’integrazione nell’econo-mia mondiale in teoria avrebbero

dovuto trasfor-mare la Russiain un partnerdell’Occidente,i n t e r e s s a t oprioritariamen-

te al pacifico sfruttamento delcommercio internazionale per in-crementare la ricchezza naziona-le. In pratica, purtroppo, questatransizione ha subito un primoduro colpo con la crisi finanziariaed economica del 1998, che hadecimato la nascente borghesiarussa legata all’economia di mer-cato. Un colpo mortale alla tran-sizione verso il libero mercato èvenuto poi dalla progressiva na-zionalizzazione delle industrieenergetiche russe attuata da Pu-tin nei primi anni Duemila, cheha concentrato nelle mani diGazprom, a sua volta controllatadirettamente dal Cremlino, il vo-lano dell’economia russa costitui-to dalle esportazioni di gas e pe-trolio. Il combinato di questi due

sviluppi ha fat-to sì che il prin-cipale potereeconomico rus-so, l’industriaenergetica, ve-

desse di buon occhio un’aggressi-va politica estera del Cremlinovolta a ristabilire il monopoliorusso tanto sui giacimenti di gasdell’Asia centrale quanto sul lorotrasporto verso il mercato euro-

peo. La Georgia ospita l’unica pi-peline che sfugge al controllo diGazprom, il gasdotto Baku-Tbi-lisi-Ceylon che porta il gas dalMar Caspio al Mediterraneo senzapassare per il territorio russo. Era,ed è, perciò, interesse dell’indu-stria energetica russa punire e de-stabilizzare la il governo filo-oc-cidentale al potere a Tbilisi, emandare così un chiaro monitoagli stati dell’Asia centrale a nonvendere le proprie risorse a con-sorzi occidentali né ospitare pipe-lines non controllate da Mosca. Un secondo elemento da conside-rare è l’enorme peso delle forzearmate e delle forze di sicurezza,nonché della collegata industriabellica, nel sistema politico russo,

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La Georgia ospital’unica pipelineche sfugge al controllodi Gazprom

Dopo il crollo del Muroè mancata in Russiauna borghesia legataal mercato capitalistico

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anch’esso eredità dell’iper-milita-rizzato regime sovietico. L’esta-blishment militare e i siloviki –agenti ed ex agenti delle forze disicurezza russe inseriti nel gover-no russo – hanno tutto l’interessea mantenere una situazione diconfronto con l’Occidente, com-prendente anche un interventomilitare facilmente vittorioso: ciòinfatti permette loro di aumenta-re i fondi destinati alle forze ar-mate, nonché di accrescere il pro-prio peso politico e status socialein quanto manifesti difensori del-la sicurezza e degli interessi russi.Le imponenti dimensioni delleforze armate russe, che a differen-za di quelle occidentali sono an-cora basate sulla coscrizione ob-

bligatoria, e la relativa forza afronte di un sistema politicosgretolatosi nel 1989 e mai salda-mente ricostruito, ne fanno difatto un attore decisivo nel pano-rama moscovita. Infine, un pun-to di vista foca-lizzato sul ruo-lo del leader e lec o n v i n z i o n idelle élite con-tribuisce ulteriormente a chiarirela ratio dell’intervento russo. Co-me sostenuto anche dall’attualeconsigliere di Obama sulla Rus-sia, Michael McFaul, la leadershipdi Putin ha deliberatamente co-struito, passo dopo passo, un re-gime sempre più autoritario e na-zionalista. Il crescente controllosugli organi di informazione el’annichilimento dell’opposizionepolitica, unito all’uso intimidato-rio delle forze di sicurezza (non-ché alla “casuale” catena di “sui-cidi” di giornalisti scomodi) haassicurato al Cremlino un margi-ne di manovra in politica esteradi gran lunga superiore di quellogoduto dai governi nelle demo-crazie occidentali. Inoltre, il con-senso guadagnato con la crescitaeconomica e ilristabilimentodell’ordine so-ciale è statoconsolidato conil massiccio usodel nazionalismo russo. Fallita ediscreditata l’ideologia comuni-sta, il continuo richiamo alla San-ta Madre Russia è utilizzato dalCremlino tanto per svilire le cri-tiche della comunità internazio-

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Il controllo dei mediaha permesso

un margine di manovrain politica estera

Putin ha deliberamentecostruito uno Stato

sempre più autoritarioe nazionalista

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nale sulla violazione dei diritti ci-vili, quanto per sostenere le poli-tiche governative e magnificarnei successi. In questa ottica, l’in-tervento militare in Georgia erapienamente in linea con la con-vinzione, dominante nell’opinio-ne pubblica, che la Russia era sta-ta sfruttata e umiliata dall’Occi-dente, e aveva quindi tutto il di-ritto di ristabilire manu militari lapropria influenza sulle repubbli-che che facevano parte dell’Urss.Alla luce del contesto geopoliticoe delle motivazioni interne allabase della guerra, è possibile trac-ciare un quadrodegli effetti delconflitto nella re-gione Euroasiatica. In un’ottica reali-sta, la guerra è ser-vita a Mosca perottenere due im-portanti risultatipolitici che influiscono sull’equi-librio regionale. In primo luogo,l’invito alla Georgia ad aderire al-la Nato che era in agenda fino al-l’estate del 2008 è ora rinviato si-ne die, e sono scarsissime le possi-bilità che tale opzione diventi dinuovo praticabile. Infatti, qualepaese alleato si sentirebbe di ga-rantire la difesa collettiva di unoStato che ha una irrisolta disputaterritoriale con Mosca e due re-gioni occupate dai russi? L’ultimavolta che Mosca ha stanziato“temporaneamente” le sue truppea Berlino, Praga o Varsavia ci so-no rimaste per 44 anni, e c’è vo-luta la partizione della Germaniaper permettere alla RepubblicaFederale Tedesca di aderire alla

Nato. Di fatto, chi si opponevaall’ingresso della Georgia nellaNato nella speranza di ammorbi-dire la posizione del Cremlino èstato ripagato con l’avanzata deicarri armati russi verso Tbilisi.Un discorso simile vale perl’Ucraina, che con una numerosaminoranza russofona e un forte le-game socio-economico con laRussia non è nelle condizioni diuscire dalla sfera di influenza diun Cremlino deciso a mantenerlasotto la sua orbita. Se il fine dellaguerra in Georgia era arrestarel’ampliamento della sfera di in-

fluenza occidentalenello spazio postsovietico, l’obietti-vo è stato brillante-mente raggiunto. In secondo luogo, imuscoli flessi daMosca nel Caucasohanno influito sul-

la revisione della politica esteraamericana messa in atto da Oba-ma, che ha raffreddato il propriosostegno alle forze filo-occidenta-li di Kiev e Tbilisi e si è mostratodisponibile a negoziare anche sulsistema di difesa anti-missile pro-gettato in Polonia e RepubblicaCeca cui Mosca si oppone forte-mente. Di fatto, l’amministrazio-ne Obama attribuisce maggioreimportanza al sostegno russo suidossier afgano e iraniano che alposizionamento geopolitico dellaGeorgia, e dopo la guerra del2008 sa che non può evitare un dout des con il Cremlino. Se la Rus-sia voleva essere presa maggior-mente in considerazione dallacontroparte americana, il messag-

La guerra in Georgia è riuscita ad arrestarel’influenza occidentale in alcuni paesi dell’ex Unione Sovietica

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gio mandato dai tank russi nellecittà georgiane è arrivato anche aWashington. Tuttavia, se la guerra in Georgianon è stata certo una vittoria diPirro, non è stata neanche decisi-va nel ristabilire il controllo russosul proprio vicino estero. Le si-gnificative esercitazioni militaricongiunte tra la Georgia e la Na-to svoltesi nel maggio 2009 di-mostrano che l’Alleanza è ancoraimpegnata nella cooperazionemilitare e politica con il governofilo-occidentale di Tbilisi. Al

tempo stesso gli aiuti economiciamericani confermano il perdura-re del sostegno di Washington al-l’alleato georgiano, il progetto discudo anti-missile è ancora sul ta-volo, e la robusta missione Pesddispiegata dall’Ue testimonial’interesse strategico europeo nelCaucaso. Infine, nonostante l’esi-to disastroso della guerra e il cre-scente malcontento interno, Saa-kasvili è ancora al governo diTbilisi e non sembra disponibilea cedere a Mosca. Nel quadro delle dinamiche in-

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CAUCASOAlessandro Marrone

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ALESSANDRO MARRONEMaster in Relazioni internazionali presso laLondon school of economics and politicalscience. È stato asssistente alla ricerca peri Rapporti transatlantici e sicurezza e difesapresso l’Istituto affari internazionali di Roma,per il quale ha redatto alcune pubblicazioni.Ha collaborato con le riviste Ideazione eL’Occidentale.

L’Autore

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terne russe, la guerra in Georgiaha avuto egualmente successo sualmeno due fronti. Nell’ambitodella corsa alle risorse energetichedell’Asia centrale, la punizioneinflitta ai georgiani ha contribui-to a spingere Azerbaigian e Uz-bekistan a firmare contratti conGazprom nei termini dettati dairussi. Sul fronte interno, il suc-cesso bellico ha aumentato il con-senso nei confronti della leader-ship Putin-Medvedev, e margina-lizzato ulteriormente i dissidentiinterni accusati di essere al prezzodi potenze straniere ostili. Tutta-via, entrambi i risultati si sono ri-velati di corto respiro. La partitaenergetica tra Europa e Russia èinfatti lunga e complessa, e l’im-pegno dell’Ue sul progetto Na-bucco, una nuova pipeline al difuori del controllo russo, dimo-stra che non è ancora chiusa. Cosìcome l’ambizioso Partenariatoorientale, lanciato recentementedall’Unione con Georgia, Ucrai-na, Armenia, Azerbaigian, Mol-dova e Bielorussa potrebbe rive-larsi nel lungo periodo un modoper rafforzare la cooperazione traquesti sei paesi e l’Europa, equindi incrementare l’influenzaeuropea nell’area ai danni diquella russa. Al tempo stesso, ilconsenso interno guadagnato conla guerra è andato in gran parteperduto con la crisi economica, eora dipende più dalla capacità delCremlino di far marciare l’econo-mia nazionale che da quella di farmarciare le truppe.In conclusione, la guerra del2008 tra Russia e Georgia ha di-mostrato l’instabilità dell’area

post sovietica a quasi vent’annidalla caduta del Muro di Berlino.Da un lato, il contrasto tra la sfe-ra di influenza russa e quella eu-ro-americana rende geopolitica-mente instabile la regione situatatra i confini dell’Unione europeae il Mar Caspio. Dall’altro lato,le peculiarità del sistema econo-mico e politico russo legate allamai conclusa transizione demo-cratica incoraggiano una politicaestera aggressiva, che non disde-gna l’uso unilaterale, aperto o co-perto, della forza militare. En-trambi gli ordini di fattori, ester-no e interno, che hanno provoca-to la guerra in Georgia non sonostati risolti dalla stessa. InfattiTbilisi è ancora in bilico tra Mo-sca e Washington, e l’autoritari-smo nazionalista in salsa energe-tica rimane la variabile determi-nante, e pericolosa, dell’equazio-ne politica russa. Grande è laconfusione sotto il cielo, tutto(non) va bene.pubb

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«Il comunismo è il potere dei so-viet più l’elettrificazione di tuttoil paese». Era il 1917 quandoquesto motto leninista campeg-giava sull’imponente centraleelettrica nel cuore di Mosca. Dueguerre mondiali ed una “fredda”prima, ma soprattutto la cadutadell’Unione Sovietica poi, impe-dirono la trasformazione dell’in-tento in realtà. Dopo un periodo di assestamentodurato circa un decennio, la Rus-sia ha saputo scrollarsi di dosso lapolvere delle macerie sovietiche,tornando nuovamente a giocareun ruolo di primo piano all’inter-no dello scacchiere geopoliticointernazionale. E lo sta facendoproprio in quel vecchio settore,l’energia, che da sempre l’ha vistagiocare un ruolo da protagonista.Il grande sogno della Federazionerussa passa attraverso la ricercadella continuità col passato e, do-po la frantumazione dell’Urss, ha

ENERGIAAlfredo Mantica

La sfida delle pipelines

La via italiana all’energiaAttraverso la costruzione dei gasdotti South Streame Itg, l’Italia cerca una via autonoma all’approvvigionamento energetico. Senza entrarein contrasto con l’Ue, ma aspirando ad un ruolo di mediazione fra questa e la Russia, riproponendo lo spirito di Pratica di Mare.

DI ALFREDO MANTICA

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intuito che potrebbe realizzarlosoltanto usando l’energia comestrumento di partenza. A questasi aggiunga poi l’ancor attualenostalgia imperiale che si manife-sta con l’uso dell’esercito a finipolitici. Basti pensare al caso Ce-cenia o alla crisi del Nagorno Ka-rabakh, anche se in quest’ultimocaso il vero ago della bilancia è laTurchia, con la quale i russi sonoquasi costretti a trattare ed accor-darsi per garantirsi uno sbocco“amico” sul Mediterraneo. Inquesto modo si intuisce comesulla scacchiera asiatica non siapoi così lontana la Grande Russiaottocentesca. È insomma una ve-ra e propria locomotiva concor-renziale all’Occidente che passadal recupero di San Pietroburgocome porta d’ingresso verso l’Eu-ropa (non dimentichiamo che Pu-tin è originario proprio di questacittà), ma anche dall’alternativaortodossa alla Chiesa cattolica.D’altronde la Russia è l’unicopaese al mondo che, pur abbrac-ciando due continenti, non haconfini naturali che stabiliscanodove comincia l’Europa e dovel’Asia. La funzione dei cosiddettiStati satellite, o cuscinetto, era

proprio quelladi sopperire alivello ammini-strativo alle ca-renze della na-tu r a . F inché

l’Unione Sovietica è rimasta inpiedi la loro funzione è stata pale-se: attutire ed avere il tempo direazione ad un ipotetico attaccodell’Occidente. Il discorso sicomplica con la caduta del Muro:

Anche nelle difficoltàdopo la Guerra FreddaMosca non ha smessodi sentirsi un Impero

cessata la Guerra Fredda ed allar-gati gli organismi multilateralioccidentali anche ai paesi dell’exUrss, per la Russia è iniziataun’epoca di riassestamento. Sullosfondo, però, c’è sempre stata laconvinzione di essere un grandeImpero, una forza internazionalein grado non soltanto di autoso-stenersi ma soprattutto di coagu-lare attorno a sé gli Stati confi-nanti. Il problema principale del-la Russia è stato quello di doverinfatti gestire una lunga e diffici-le stagione di declino evidenzia-tasi già nell’ultimo decennio divita dell’Urss e continuata neglianni della transizione postcomu-nista, senza però voler rinunciareallo status di grande potenza, for-

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miche. La Russia, al contrario, stasempre più rafforzando una suaidentità politico-valoriale al difuori del sistema europeo occi-dentale. Questo non significaporsi necessariamente “contro”l’Europa, e nep-pure “in alter-nativa”. Signi-fica semplice-mente conside-rarsi “altro”.Il grande evento che negli ultimianni è intervenuto, però, a scon-volgere ancor più lo scenario del-le relazioni internazionali, e haportato alle attuali competizioniin atto nel mondo per la ridefini-zioni degli equilibri di potenza,regionali e globali, è stato l’attac-co alle Torri Gemelle dell’11 set-tembre 2001. In particolare, seprima di allora gli Stati Uniti sierano inseriti nel vuoto di poterelasciato dalla caduta dell’Urss,grazie alla penetrazione commer-ciale e all’appoggio portato alleopposizioni interne dei nuoviStati indipendenti, dominati perlo più ancora da oligarchie di ma-trice sovietica, il peso americanoè poi cresciuto enormemente, tra-sformandosi da influenza esternain presenza diretta con l’invasio-ne dell’Afghanistan e l’installa-zione di basi militari nei paesiconfinanti (Kirghizstan ed Uzbe-kistan). Oltre all’appoggio deglialtri paesi dell’area nel nome del-la comune lotta al terrorismo in-ternazionale. Gli Usa, insomma,si sono inseriti direttamente nellapartita per partecipare al control-lo indi re t to de l Caucaso . Ma anche l’Asia Centrale oggi è

Sulla scacchieraeurasiatica si muovonoda un lato Usa e Cinadall’altro Russia e Ue

se l’unica vera eredità del passato.Conclusa la Guerra Fredda, inmolti pensavano che la Russiapotesse entrare, seppur a piccolipassi, all’interno della galassiaideologica occidentale, sul mo-dello della democrazia liberale edel capitalismo europeo. L’idea diuna grande Russia parte inte-grante del Vecchio Continentenel quadro di una casa comuneeuropea sembrava un’ipotesi rea-lizzabile. Ma dopo pochi anni ilquadro è andato disegnandosi di-versamente. La Russia di oggiproclama la sua indipendenza esovranità, non identificandosicon lo spazio geopolitico paneu-ropeo, se non in minimi terminio per agevolare transazioni econo-

ENERGIAAlfredo Mantica

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Non bisogna più scegliere fra Russia e EuropaVenti anni fa crollava il Muro di Berlino. Forseperché all’inizio degli anni Ottanta lavoravo inun’azienda di Berlino ovest, direttamente in-stallata sotto le torrette d’osservazione, que-ste immagini rimangono impresse nella miamemoria. Ciò che avrei scoperto anni doponei paesi d’Europa centrale, dell’est e in Rus-sia mi fece prendere atto dei danni che que-st’ideologia comunista aveva potuto provoca-re sui popoli sottoposti alla sua egemonia. Venti anni sono passati e tuttora si riscontranodifficoltà a superare questa devastante eredi-tà. L’integrazione europea si è completata,cancellando la triste consegna dei nostri cuginieuropei all’Impero sovietico e, da parte sua, laRussia rinata nel 1991 con Eltsin ha intrapresoun cammino complesso, alla ricerca di nuovirapporti con il mondo occidentale. Difficilespiegare la tragicità incontornabile degli anniNovanta, senza ricorsi alla memoria dell’eredi-tà comunista fino all’ultimo uomo sovieticus.Sorvolando su quegli anni e i due tentativi ditornare in dietro nel 1991 e nel 1993, la Russiaè riuscita, sostenuta dall’aumento del prezzodelle materie prime, a costruire una nuovaidentità dalla fine del secolo scorso, anchegrazie ad una leadership rinnovata e finora inperfetta sintonia con il paese. Ma tuttora vec-chi riflessi non sono superati e i rapporti ap-paiono sempre reciprocamente diffidenti traEuropa e Russia.Certo ciò che viene in mente sono le famose eripetute battaglie invernali del gas, anche sequest’anno sembra invece preannunciarsitranquillo. L’orso russo nell’immaginario col-lettivo sarebbe nuovamente minaccioso,pronto ad attaccare l’Ucraina, l’Europa e peraltri motivi la Georgia. Facile cadere in questatrappola, facile perché i russi non sempre sifanno capire o si spiegano; facile perché forseci era comodo il derby mondiale per la suasemplicità, facile anche volere pensare che lafine dell’Urss possa essere la fine tout court diun paese che per secoli fu un impero, ma an-che spesso un alleato di molti paesi europei.Ma il rinascimento della Russia non ha nientea che fare con un rinnovamento del bipolari-

smo. Le ragioni di queste guerre energetichesi trovano più nelle semplici applicazioni delleregole del mercato che in implicazioni di ca-rattere geopolitico, ma in ogni caso suscitanolegittimamente alcune domande e richiedonodi superare una visione del mondo che appar-tiene al passato.In molte occasioni, per esempio con la Cina el’Inghilterra, De Gaulle ha dimostrato di esse-re lungimirante sulle evoluzione del mondo.La Russia era ai suoi occhi un partner, unaparte di noi. Le nazioni dovevano trovare unmodus vivendi. La costruzione europea com-pletata nelle sue frontiere deve ormai potersimuovere sulla definizione di rapporti bilatera-li forti. In questa situazione la Russia rimaneancora timida nei confronti di Bruxelles esembra avvantaggiare rapporti con i membridell’Ue. Uno sforzo bilaterale è necessario. Se ci riferiamo al settore energetico occorreprima considerare due esempi. Il mondo Gaz-prom sembra “evitare” Bruxelles e da partesua Bruxelles non perde occasione di condan-nare il gigante industriale, sebbene le originidelle crisi, come dimostrato palesemente nel-le crisi 2008/2009 in Ucraina, sono da impu-tare alle guerre interne ucraine, che a loro vol-ta mettono a rischio il nostro approvvigiona-mento. Su un altro versante ugualmente stra-tegico, Rosatom, il nucleare russo, non solo ècostantemente in rapporto con le autorità diBruxelles ma sta stringendo alleanze salde inEuropa. Basta ricordare Alstom in Francia e inmodo certamente più indicativo e strategicoSiemens in Germania.Ma anche in Italia, paese economicamentetradizionalmente legato alla Russia – non nefacciamo un discorso d’amicizia – le alleanzenon mancano e, tornando ai due esempienergetici, basta vedere la collaborazione diEnel e Rosatom in Slovacchia o di Eni e Gaz-prom anche sul progetto South Stream ingrado di ampliare le vie d’approvvigionamen-to verso l’Europa del gas per le nostre econo-mie. Tra l’altro ciò rappresenta un altro ele-mento di complementarità tra Europe e Rus-sia. La Russia sta spingendo il progetto North

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EMMANUEL GOUT*

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Non bisogna più scegliere fra Russia e Europa

EMMANUEL GOUT*

Stream, già in corso di realizzazione, e il pro-getto South Stream, ed entrambi associanooperatori europei. Che l’Ue avesse voglia diaggiungere il progetto Nabucco non dovreb-be essere vissuto come concorrenza ma co-me uno sviluppo complementare, premessoche le condizioni economiche di un altro pro-getto fossero compatibili con le nostre situa-zioni economiche. L’errore sarebbe di giusti-ficare una spesa colossale basata esclusiva-mente su ragionamenti antagonisti per nondire conflittuali.L’esercizio fondamentale è quindi superare daambedue i lati le caricature e cercare di deco-dificare, decifrare meglio dei popoli così di-versi ma con radici comuni. L’importante è

smettere di pensare di dovere scegliere traRussia o Europa, come i media regolarmentesostengono (l’ultima volta nel caso della Mol-davia). La Russia è più che mai tornata sullascacchiera mondiale, può essere un rivale , uncompetitor, ma non è più il nemico e se la de-finizione del nemico, come ricorda Schmitt, èopportuna per la nostra civiltà, bisogna cer-carlo altrove e non in Russia.Venti anni fa cadeva il Muro, più che mai biso-gna ricordarlo in questo momento di crisi delcapitalismo. La tentazione comunista potreb-be rinascere, è importante che i testimoni nontacciano. La Russia è con l’Europa in questabattaglia.

Presidente di Stratinvest

ENERGIAAlfredo Mantica

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in realtà al centro di mire e appe-titi assai ambiti. Turkmenistan eUzbekistan possiedono alcune trale maggiori riserve mondiali digas e petrolio: esse però non sonopiù necessariamente trasportateattraverso oleodotti e gasdotti in-terni al territorio russo: con l’in-tervento economico e ingegneri-stico di Usa ed Europa potrannoattraversare il continente per untragitto meridionale, esterno alterritorio russo, per giungere aiporti mediterranei della Turchiae quindi nel Vec-chio Continente. Sesi aggiunge che ilKirghizistan ha for-se la più grande ri-serva mondiale diuranio, che il Kaza-kistan ha ereditatodall’Urss struttureavanzate di ricerca e produzionedi materiale fissile, si comprendecome questa zona rivesta un inte-resse cruciale nel perenne grandegioco delle potenze e della lorosicurezza, ieri giocata tra Inghil-terra e Russia, oggi tra Usa e Ci-na da un lato e tra Europa e Rus-sia dall’altro. Il tema della sicurezza energetica,considerato il livello di interscam-bio in atto tra Russia e Europa, aduna lettura superficiale potrebbeessere inteso come un elemento diunione. Eppure sino ad oggi è sta-to governato da reciproche diffi-denze e differenze strategiche etattiche. Quando nel 2006 scop-piò la crisi del gas tra Russia eUcraina, l’Europa si convinse chesi rendeva necessaria una drasticariduzione degli approvigiona-

menti russi, cercando invece dirafforzare la diversificazione e tro-vando fornitori alternativi. LaRussia, per contro, minacciò diinterrompere le forniture europeeper rivolgersi al mercato asiatico.Il punto centrale è che il settoreenergetico ha una valenza politicaper la Russia diversa da quella cheha per l’Europa, dove la sua im-portanza, al di là del business, siriduce in fondo a un problema disicurezza degli approvvigiona-menti. Per la Russia l’energia è la

leva fondamenta-le per la ricostru-zione dell’econo-mia e dello Stato,e quindi per ilconsolidamentodella sua potenzae sovranità. Non acaso la Russia non

ha ratificato, nonostante le insi-stenze comunitarie, la Carta euro-pea per l’energia, incluso il Proto-collo di transito, che avrebbe im-plicato la libertà di transito lungole sue pipelines e reti di distribu-zione, ponendo fine al monopoliodi Gazprom.Il grande vantaggio strategicodella Russia risiede, come si è giàdetto, nell’enorme potenziale dirisorse idrocarburanti – è il pri-mo esportatore di gas ed il secon-do produttore petrolifero al mon-do – che le ha consentito di allac-ciare importanti e strategiche al-leanze di carattere politico-eco-nomico. Anche per questo moti-vo, negli ultimi anni l’azione delgoverno moscovita è stata rivoltaessenzialmente a trovare nuovestrade, nuove reti di distribuzio-

Per la Russia l’energiaè la leva fondamentaleper consolidare la sua potenza ela sua sovranità

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ne, diversificando i territori so-vrani da attraversare. La determi-nazione russa ad individuare rottealternative e possibilmente diret-te, si è rafforzata ancor di più inseguito alla grave crisi di fornitu-re di gas ai mercati europei,quando, tra il 7 ed il 20 gennaio2008, furono interrotte a causadella disputa con l’Ucraina sulprezzo del metano e sulle tariffedi transito. E anche se, al terminedi una travagliata tornata nego-ziale, la russa Gazprom e l’ucrai-na Naftogas hannoconcluso un accor-do potenzialmentein grado di accre-scere la trasparen-za nei loro rappor-ti energetici (gra-zie anche all’appli-cazione di formuleeuropee di mercato ed all’estro-missione di eventuali intermedia-ri), la crisi ha evidenziato i peri-coli per la sicurezza energeticaeuropea connessi all’instabilitàdelle relazioni russo-ucraine. Èproprio in quest’ottica che sonodunque da considerare i grandiprogetti dei gasdotti North eSouth Stream e dei nuovi oleo-dotti volti, da un lato, a sfociarenel mar Baltico e, dall’altro, acreare un collegamento preferen-ziale con la Cina.L’accordo di Shangai del 2001,che ha anticipato il vertice bilate-rale sino-russo del 2007, ha ridi-segnato la mappa degli equilibrigeopolitici soprattutto nel ver-sante orientale del mondo, crean-do sinergie e “patti di buon vici-nato” con l’intento di controbi-

lanciare l’asse euroatlantico. L’ac-cordo di Shangai, infatti, è il pri-mo esempio di organizzazionemultilaterale in Asia in cui nonsono coinvolti gli Stati Uniti. At-torno a Russia e Cina siedono an-che quattro ex repubbliche sovie-tiche del Caucaso (Kazakistan,Kyrghizistan, Tajikistan, Uzbe-kistan); ultimamente anche In-dia, Mongolia, Pakistan ed Iransono stati invitati in qualità diosservatori. Nel sottosuolo dellequattro repubbliche caucasiche si

trova il 30 per cen-to del fabbisognomondiale di petro-lio e gas, con unapo s s ib i l i t à d isfruttamento supe-riore a quelle delMar del Nord. Ec-co che dunque una

partnership energetica, in grado difar blocco unitario, proietterebbela Russia, di concerto con la Cina,in posizione dominante su mol-tissimi tavoli di trattativa con eu-ropei e statunitensi.Per arginare quella che è ritenutauna pericolosa – almeno in chiaveeconomica – posizione di mono-polio, proprio nello scorso mesedi luglio l’Unione europea ha da-to il via libera esecutivo ad unambizioso progetto: la costruzio-ne del gasdotto Nabucco. Lungooltre 3300 chilometri, potrà tra-sportare circa 30 miliardi di me-tri cubi di gas dalla regione delCaspio e dall’Asia Centrale, attra-verso l’Azerbaijan, la Georgia, laTurchia, la Bulgaria, l’Ungheria,la Romania e l’Austria, fino alcuore dell’Europa. Un percorso

L’Ue ha dato il via liberaal progetto Nabuccoche dovrebbe arginareil dominio energeticodella Russia

ENERGIAAlfredo Mantica

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INTERVISTA A FRANCESCO FORTE di Barbara Mennitti*

L’Europa non può dipendere dall’asse tra Ci-na e Stati Uniti e deve puntare a creare unnuovo motore di sviluppo, alleandosi con laRussia, così come stanno facendo Italia eGermania. Lo sostiene Francesco Forte, pro-fessore di Economia, editorialista e già mini-stro delle Finanze, delle Politiche comunitariee sottosegretario agli Affari Esteri. Quest’in-tesa economica, secondo Forte, può dare vitae una nuova alleanza industriale chiamataGerica, fra Germania, Russia, Italia e Caspio,fondata su un comune interesse per le risorsenaturali, che rappresenti un’area geoecono-mica contrapposta a quella sino-statuniten-se. E che, oltretutto, potrebbe aiutare la Rus-sia a portare a compimento il suo processo didemocratizzazione interna.

Lei sostiene che per contrastare il crescentepotere economico della Cina, i cui destini fi-nanziari sono sempre più strettamente in-trecciati con quelli degli Stati Uniti, l’Europadeve trovare nuovi motori economici e nuovealleanze industriali. Per esempio l’asse che siva profilando sempre più nitidamente fra Ita-lia, Germania e Russia?In effetti questo asse esiste già con una stra-tegia convergente di Italia, Germania e natu-ralmente Russia, ma anche di alcuni paesidell’area del Caspio. Ho chiamato quest’enti-tà nuova Gerica, (Germania, Russia, Italia,Caspio), un’area molto ampia che ha un inte-resse petrolifero e minerario, in genere di ri-sorse naturali che si contrappone a quellodella Cina, che sta facendo shopping petroli-fero in Africa, in Asia, Australia, attuando alcontempo politiche protezionistiche peresempio per quei minerali che servono per gliacciai speciali che essa produce e non vuoleesportare, detenendo di fatto un monopolio.Attualmente ci troviamo di fronte all’alleanzafinanziaria forzata fra Stati Uniti e Cina. Sitratta di un sodalizio che crea qualche preoc-cupazioni, perché gli Usa sono enormementeindebitati con la Cina e i cinesi posseggono

miliardi di dollari del tesoro americano, equindi gli americani tendono ad essere inqualche modo condiscendenti alle operazioniprotezionistiche o anche di saccheggio delpianeta da parte della Cina. Quindi è neces-sario avere una area geoeconomica contrap-posta, che per noi fra l’altro coincide con unospazio naturale di espansione verso est dal-l’epoca della repubblica veneta in poi, cosìcome per la Germania che storicamente lodefiniva Drang nach Osten. Questo interessenaturale si è recentemente cementato convari episodi tra i quali la realizzazione delnuovo gasdotto che passa per la Turchia, l’al-leanza preferenziale della Germania per il ca-so Opel con i russi e proprio qualche giornofa con la cessione addirittura di un cantierenavale tedesco all’industriale russo Yusufov.La svolta del cancelliere Merkel, che viene dauno Stato ex comunista, dimostra che questanuova alleanza è in atto dal punto di vistaeconomico ed ha un favore politico.

Gerica, questa nuova alleanza industriale,potrebbe anche avere in futuro degli sviluppipolitici?Dal punto di vista politico l’auspicio finale èche si arrivi ad una zona di libero scambio frai paesi dell’Unione europea e la Russia, conun regime analogo a quello applicato adessoai paesi del Mediterraneo, naturalmenteaspettando un’evoluzione politica della Rus-sia, dove ci sono innegabili problemi di de-mocrazia. Ma a chi si interroga sull’idoneitàdella Russia a fare alleanze con i paesi demo-cratici (come qualche giornale americano), sipuò facilmente rispondere che la Cina è unpaese dichiaratamente collettivista e di certonon democratico. La Russia, invece, ha undeficit di democrazia dal punto di vista con-creto e questo ravvicinamento con i paesi eu-ropei potrebbe aiuterla nel percorso di de-mocratizzazione. Bisogna riconoscereun’area di influenza russa e una di influenzanostra, perché non si può certo pretendere,

Dobbiamo allearci con la Russia per difenderci dallo strapotere della Cina

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INTERVISTA A FRANCESCO FORTE di Barbara Mennitti*

come fanno gli americani, che la Russia nonabbia una zona di influenza nell’area circo-stante, relegandola al ruolo di potenza mino-re. E’ necessario, piuttosto, creare degli equi-libri, anche perché la tesi di una Russi deboleè assurda e non serve neanche a noi. Non di-mentichiamo che la Grande Muraglia guardaalla Russia.

Dunque Italia e Germania si alleano con laRussia. Questo potrebbe creare qualchespaccatura all’interno dell’Ue? E cosa fannogli altri paesi europei?In alcuni paesi dell’est europeo ci sono ancoradei risentimenti anti russi, ma dal punto di vi-sta realistico vi sono evidenti collegamenti.Forse l’incognita principale è la Francia, chepuò sentirsi un po’ diminuita nel suo ruolo diprotagonista internazionale, ma data la suaamicizia con la Germania, questa alleanza puòrientrare nel discorso francotedesco. In realtàconviene a tutti avere a disposizione il petro-lio e il gas della Russia e del Caspio. L’argo-mento fondamentale, però, rimane la neces-sità di garantire un’autonomia energetica emineraria dell’Europa. Inoltre le risorse e imercati che si dischiudono in quell’area sonomolto vaste e allettanti.

Quindi la nostra dipendenza energetica dallaRussia non è un pericolo, come sostengonoalcuni?Questa è un’affermazione che nasce dal fat-to che ormai abbiamo una sinistra asservitaal cartello internazionale del petrolio. Il no-stro vero problema è il rischio di essere di-pendenti dal Medio Oriente. Anche perchél’esistenza di un gasdotto crea una dipen-denza reciproca: i russi hanno bisogno dimetterci il gas, non possono certo tenerlosottoterra. E poi la Russia ha bisogno di noi

per realizzare le connessioni tecnologicheperché non ha un know how adeguato e hainteresse a vendere perché ha bisogno di ri-sorse finanziarie. Ma l’argomento vero è ladiversificazione: noi intanto abbiamo diver-sificato i gasdotti. Il nuovo gasdotto passaper la Turchia e quindi crea un’alternativa alprecedente, quello che passa per l’Ucraina.Inoltre noi abbiamo un’alleanza con la Libia,che crea un’ulteriore diversificazione, e po-tremmo utilizzare anche le risorse dell’Iraq,uno dei più grandi giacimenti del mondo. Fral’altro per ora questo gasdotto trasporteràgas russo ma presto trasporterà anche gasdel Caspio, dove stiamo operando.

Ritiene davvero che il governo italiano sia ca-duto in disgrazia presso l’amministrazioneamericana proprio per i suoi stretti rapporticon la Russia?Il punto è che l’Italia, pur essendo un tradizio-nale alleata degli Stati Uniti, ha un suo spazioeconomico e prima o poi gli Usa riconosce-ranno che è utile che l’Europa abbia una suaalternativa in Russia, altrimenti la Cina stran-golerà tutti. Mi sembra che in fondo sia anchenell’interesse degli americani.

Non crede che converrebbe anche agli StatiUniti muoversi su più fronti, invece di puntaresu un G2 con la Cina?Certo che converrebbe ma hanno un proble-ma di ordine finanziario. Gli Usa ora dovreb-bero puntare su una strategia globale: i buonirapporti con l’Europa sono fondamentali e quii paesi con cui ha migliori rapporti sono laGran Bretagna e l’Italia per ragioni tradizionali.

*Caporedattore responsabile di Charta Minuta

ENERGIAAlfredo Mantica

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che è stato studiato con il precisointento di tagliar fuori intera-mente la Russia. I paesi dell’Uecontano sul nuovo gasdotto pro-prio come uno strumento di di-versificazione delle forniture delgas per diminuire la dipendenzadalla Russia, la cui reputazionecome fornitore energetico è statafortemente compromessa in se-guito alle già citate “guerre ener-getiche” con l’Ucraina. Al Nabucco, però, la Russia haparzialmente risposto con due ga-sdotti concorrenti,definiti North eSouth Stream. Ilprimo è frutto diun’intesa bilateralecon la Germania.L’investimento paria 5 miliardi di euroavrà una capacità ditrasporto di 27,5 milioni di metricubi l’anno che partiranno dallaSiberia per raggiungere, attraver-so una tratta di circa 1200 chilo-metri, il territorio tedesco. Il ga-sdotto attraverserà il mar Balticopartendo dal porto russo di Vy-borg per arrivare al terminale po-sizionato a Greifwald. Il progettoha soprattutto una natura geopo-litica in quanto elimina dal per-corso l’Ucraina (già causa deimenzionati “incidenti”), ma an-che la Lituania, la Lettonia e laPolonia. In pratica è un rapportodiretto tra Mosca e Bonn: non acaso i detrattori del progetto e ipaesi estromessi dalla fornitura,Polonia su tutti, non senza pole-mica, rievocando antiche allean-ze, lo defiscono sarcasticamente“gasdotto Ribbentrop-Molotov”.

D’altronde tra Russia e Germanianegli ultimi anni è nato un vero eproprio rapporto preferenziale (adir la verità più con l’ex cancel-liere Schröder, amico personale diPutin, che con l’attuale Merkel,che appare, almeno a prima vista,un po’ più fredda). La Germania èil primo esportatore verso la Rus-sia (16 miliardi di euro, pari al 33per cento del totale Ue), nonchéil più grande importatore (sem-pre 16miliardi di euro che peròquesta volta valgono il 20 per

cento del totalecomunitario). Ilsecondo progettociplopico è i lSouth Stream,frutto di un’ideacomune tra laGazprom e l’Enie che dovrebbe

esser funzionante entro il 2013. Iltracciato dovrebbe scorrere sottoil mar Nero, snodandosi dallaRussia alla Bulgaria per poi en-trare in Italia attraverso la Greciae in Austria attraverso i Balcani el’Ungheria. Terminata la faseprogettuale, ora tutti i governisono impegnati nel mettere nerosu bianco gli accordi. Secondo lastampa russa il gasdotto Nabuccocorrerebbe il rischio di rimanere asecco perché le riserve di gas del-la regione non saranno sufficientia garantirne il pieno utilizzo. Ilgoverno russo, infatti, si è dettopronto a comprare il gas dal-l’Azerbaijan (fornitore principaledel Nabucco) anche ad un prezzopiù alto di quello a cui il paesepotrebbe venderlo all’Europa. Aquesto si aggiunga l’accordo tra

Al Nabucco la Russia ha risposto con duegasdotti concorrenti,definiti North Streame South Stream

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Mosca e Turkmenistan secondocui i russi hanno la priorità d’ac-quisto sui due terzi dell’interaproduzione di gas turkmeno. Conquesta mossa si impedirebbe diriempire la quota di gas necessa-ria ad uno stabile funzionamentodel Nabucco. In realtà, poco tem-po dopo, a causa anche della sem-pre più grave crisi economica, ilpresidente del Turkmenistan hadichiarato che il suo paese saràcomunque pronto a fornire al Na-bucco il necessario volume di gas. Mosca, inoltre, èimpegnata anchenel promuovere ilgasdotto Burgas-Alexandropoulische prende il no-me dalle città diBulgaria e Grecia,altamente strate-giche per portare il gas nei dueStati evitando i Dardanelli. La co-struzione del Burgas-Alexan-droupolis comincerà nel 2010,anziché quest’anno com’era inve-ce stato precedentemente annun-ciato, a causa delle conseguenzedella crisi economica internazio-nale. L’oleodotto avrà una lun-ghezza complessiva di 280 chilo-metri, 166 dei quali correrannoin territorio bulgaro; avrà una ca-pacità iniziale di 35 milioni ditonnellate l’anno che potranno inseguito arrivare a 50 milioni. Ilcosto stimato del progetto è di900 milioni di dollari.Riassumendo, quindi, la Russiaha rapporti energetici in atto eprivilegiati con Germania, Italia,Paesi Bassi, Grecia, Bulgaria,Austria, Ungheria e Slovenia, ai

quali si può anche aggiungere laFrancia che, pur essendole menolegata economicamente (solo il16% del gas è di origine russa), èuna forte sostenitrice del proget-to South Stream. L’elenco sarebbeincompleto se non si aggiunges-sero ancora molti paesi ex satelli-ti dell’Urss: le tre repubblicheBaltiche, la Slovacchia e la Fin-landia ricevono il 100% del lorofabbisogno energetico diretta-mente da Mosca, la RepubblicaCeca circa il 70%, mentre ne ri-

cevono poco piùdel 50% Slovenia ePolonia. Nono-stante la forza diqueste percentuali,anche a Mosca co-mincia a serpreg-giare la preoccupa-zione per l’avanza-

re della crisi economica globale.Lo provano le cifre riportatedall’ente statistico nazionale: laproduzione di servizi e prodottiessenziali è calata di oltre diecipunti percentuali negli ultimi tremesi, mentre i proventi delleesportazioni – il cui grosso è co-stituito dalle esportazioni di gas epetrolio – hanno registrato uncrollo del 40 per cento in un an-no; a questo bisogna aggiungerela previsione della Banca mondia-le (contrazione del 4,5% dell’eco-nomia nell’anno in corso). La crisidella Russia è collegata a filodoppio con la drastica riduzionedei proventi derivanti dalleesportazioni di gas e petrolio. Ec-co perché ora la Russia è impe-gnata a guardare anche oltre ipropri confini, soprattutto in di-

ENERGIAAlfredo Mantica

La Russia è più propensa a stringereaccordi bilaterali,trascurando i tavoli multilaterali

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rezione dell’Asia Centrale. Gaz-prom, infatti, oltre ad acquistarecirca 50 miliardi di metri cubidi gas dal Turkmenistan, 15 dalKazakistan e 7 dall’Uzbekistan,partecipa a diversi progetti dicostruzione di gasdotti direttitra Asia Centrale e territorio rus-so. Anche la Russia, dunque, ac-quista gas da paesi concorrenti.Ma la strategia è evidente: laRussia non acquista per necessi-tà ma per indebolire (economi-camente e contrattualmente) ilsuo maggior anta-gonista attuale ,p r op r i o qu e l -l’Unione europeache in questo modoè costretta ad alzarei termini del prezzod’acquisto, ritro-vandosi così in po-sizione di debolezza.Tutto quanto accennato sinoradeve far riflettere e non poco i go-verni nazionali europei. La Russiaè (ri)entrata prepotentementeall’interno dello scacchiere strate-gico internazionale e dunque de-ve essere considerata un interlo-cutore di primissimo piano e nonun nemico da cui diferndersi. Ciònon significa inglobarla entro iconfini dell’Unione europea, manon esclude neppure (anzi, sareb-be auspicabile) confrontarsi, ca-pirsi e dialogare. I gasdotti, in talsenso, rappresentano il cordoneombelicale che non può in alcunmodo esser tagliato, pena provo-care irreparabili danni. Laddove,insomma, una volta si muoveva-no divisioni corazzate, oggi simuovono tubi e permessi di tran-

sito. L’Unione europea dipenderàsempre più dal gas russo e avver-tirà altrettanto il bisogno di unaricerca di autonomia nelle forni-ture e nelle linee di approvigio-namento. Ma considerare il Na-bucco lo strumento di autonomiae il mezzo di confronto con laRussia può rivelarsi un errore.Nabucco è assolutamente com-plementare a South Stream, a It-gi, e Blue Stream è uno dei mezzidi approvigionamento. Lo hannocapito la Germania, l’Italia e an-

che la Francia. Ilnostro governo èentrato diretta-mente nel giococon la compre-senza ad Ankaradi Berlusconi allafirma tra Russia eTurchia per il

South Stream. Ribadendo che lasicurezza energetica europea habisogno di un dialogo con la Rus-sia nel rispetto del suo Stato, delsuo status e del suo spazio interno(o Csi che si voglia chiamare),credo che appoggiare il SouthStream non significhi andare con-tro il Nabucco, che oltretuttonon può essere considerato l’uni-co strumento di sicurezza energe-tica in ambito europeo. L’azionedell’Italia nel medio termine saràdunque di porsi in posizione me-diana tra Unione europea e Rus-sia; posizione, tra l’altro, già rico-nosciutaci dalla comunità inter-nazionale e che va a riproporre lospirito di Pratica di Mare.Un’impresa non facile, certo, mache posiziona l’Italia come sog-getto strategico, leader del Medi-

L’Italia deve porsi in posizione mediana fra Russia e Ue, costruendo un ruolo dileader nel Mediterraneo

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terraneo e degli interessi conse-guenti: la Russia non può che es-sere un paese “amico” dell’Europacon cui occorre dialogare, magariun po’ più incisivamente in ter-mini di diritti civili e di libertàindividuali, seppur alle frontieree nella sua specificità eurasiaticala Russia è da considerare un par-tner totalmente affidabile. Insom-ma, per dirla con le parole del-l’ambasciatore Sergio Romano:«Sarebbe sbagliato escludere laRussia dall’Europa; sarebbe al-trettanto sbagliato garantirle, nelmercato europeo del gas, un ruolodominante». Concetto che riassu-me egregiamente l’atteggiamen-to dell’attuale governo italiano,anche perché la Russia è certa-mente un interlocutore impor-tante ma non l’unico. Con Libia,Nigeria, Brasile e nel Maghrebsono in atto diversi accordi tesialla diversificazione della fornitu-ra che nel medio periodo garanti-ranno all’Italia, oltre la certezza

dell’approvigionamento, anche lagaranzia di superare con facilitàqualsiasi periodo di crisi. L’atteg-giamento italiano evidentementecrea dissapori e qualche preoccu-pazione, sia in ambito Ue cheUsa, non più abituati a vederciindipendenti e autonomi nelledecisioni strategiche e politiche.In realtà non si tratta di azionisolitarie ed improvvisate ma diuna sana mediazione tra quantodeciso collettivamente a livelloeuropeo e quanto è invece fruttodelle nostre singole capacità, eco-nomiche e diplomatiche.

ALFREDO MANTICAÈ sottosegretario di Stato per gli Affari esteri,carica che ha ricoperto anche nella XIV legi-slatura. È senatore della Repubblica italianadal 1987, eletto nel collegio della Lombardia.

L’Autore

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ENERGIAAlfredo Mantica

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Il crollo del Muro di Berlino, nel1989, è il simbolo della fine del-la Guerra Fredda, della mortedell’ideologia comunista e delladissoluzione dell’Impero sovieti-co. Anche se quest’ultima è arri-vata in realtà due anni più tardi,nel 1991. La glasnost e la perestroj-ka di Mikhail Gorbaciov hannoportato non solo alla riunificazio-ne della Germania e liberato par-te d’Europa dalla longa manus diMosca, ma – dalla prospettivarussa fatto ancor più grave esconvolgente – hanno dato il viaal celere e doloroso processo didecadimento alla fine del qualequella che era una superpotenzasi è trovata di fatto lacerata e ri-dotta al ruolo di povera Ceneren-

tola sulla scena mondiale, co-stretta persino in casa propria asopravvivere d’elemosina. LaRussia degli anni Novanta –quella di Boris Eltsin e dei dueputsch (1991 e 1993), quella delledue guerre in Cecenia (1994 e1999) e del default economico(1998), quella delle privatizza-zioni selvagge e degli oligarchiingordi, quella dell’anarchiascambiata irresponsabilmenteper democrazia – ha rischiato dicollassare un paio di volte su sestessa, politicamente ed econo-micamente, senza che nessuno inOccidente battesse ciglio. Poi lecose sono cambiate, quando ilvecchio Corvo Bianco ha cedutolo scettro a Vladimir Putin, il 31

La Russia muscolaredi Vladimir Putin

Dopo l’instabilità seguita al crollo dell’Urss e i difficili anni di Eltsin,la nuova Russia putiniana sembra

aver riconquistato uno spazio importantesullo scacchiere mondiale. Meritodi una politica vigorosa nei confrontidell’Occidente ma apertaalla cooperazine e agli scambi.

DI STEFANO GRAZIOLI

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dicembre 1999. E nel giro didieci anni la Russia è tornata.Il trauma dello smembramentodell’Urss – che Putin ha definito“la maggiore catastrofe geopoliti-ca del XX secolo” (attenzione alsecondo aggettivo, per non cade-re nella pretestuosa contestazio-ne) – e il burrascoso decennio el-tsiniano sono i punti di partenzaper comprendere come mai laRussia di oggi è risorta dal comaprofondo ed è più sveglia chemai. L’Unione Sovietica quandoha cessato di esistere ha persoqualche pezzo: la Bielorussia,l’Ucraina, la Moldavia, il Caucaso

meridionale (Armenia, Georgia,Azerbaijan), le Repubbliche bal-tiche (Estonia, Lettonia, Lituania)e quelle centroasiatiche (Kazaki-stan, Kirghizistan, Tagikistan,Turkmenistan, Uzbekistan). Ilpaese allo sbando è stato guidatoda un presidente con qualcheproblema di alcool e da un mani-polo di robber barons che alle suespalle si sono occupati più dei lo-ro affari che di quelli dello Stato,l’industria è stata svenduta aprezzi irrisori e si è scambiato – aMosca come altrove – il peggiorturbocapitalismo con l’arrivo del-l’economia di mercato, e milioni

L’ANALISIStefano Grazioli

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di persone sono sprofondate nellapovertà. Criminalità organizzatae corruzione hanno preso il so-pravvento e lo spaventoso calodemografico è divenuto la cartinadi tornasole di un paese avviatoall’autodistruzione, o quasi. Conil tracollo economico del 1998 siera arrivati praticamente allabancarotta.Solo tenendo presente questo sce-nario si capisce la volontà di rina-scita e di ritorno allo status di po-tenza in un mondo, quello odier-no, multipolare: dopo Eltsin, Pu-tin e la sua squadra hanno datouno scossone al paese – tra luci eombre – con l’obbiettivo di can-cellare il passato e imboccare unanuova via. A dire il vero non bi-sogna sorprendersi ora dei cam-biamenti di rotta e della resurre-zione russa e andando a guardarequal è stato l’avvio di VladimirVladimirovic al Cremlino si in-tuisce l’errore di chi non ha datocredito o nemmeno ascoltato leparole del successore di Boris Ni-kolaevic. Nel decreto presiden-ziale del 10 gennaio 2000, primaancora dunque di insediarsi uffi-cialmente, Putin ha descritto conestrema precisione la strada daimboccare per definire e difende-re gli interessi nazionali russi,che «nel settore internazionaleconsistono nell’assicurazione del-la sovranità, del consolidamentodella posizione della Russia comegrande potenza e come uno deicentri più influenti del mondomultipolare, nello sviluppo dirapporti proficui reciproci contutti i paesi, specialmente con gliStati che appartengono alla Csi e

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con i tradizionali partner dellaRussia. Nel campo militare con-sistono nella protezione dellapropria indipendenza, della so-vranità, dell’integrità territorialee statale, nel cercare di evitareun’aggressione militare contro laRussia e i suoi alleati, nell’assicu-razione delle garanzie per unosviluppo pacifico e democraticodello Stato. Le più grandi minac-ce nel campo internazionale sonocaratterizzate da questi fattori:l’aspirazione di singoli Stati ounioni di Stati a ridurre il ruolodegli attuali meccanismi per lagaranzia della sicu-rezza internaziona-l e , s op ra t tu t tol’Onu e l’Osce; ilpericolo dell’inde-bolimento dell’in-f lusso pol it ico,economico e mili-tare della Russianel mondo; il consolidamento diblocchi e unioni militari e politi-che, soprattutto l’allargamentodella Nato verso est; la possibilitàdi basi militari e grandi contin-genti di truppe straniere nelle vi-cinanze dei confini russi».Come si vede, dieci anni fa – eben prima dell’11 settembre,della guerra in Afganistan, diquella in Iraq, delle rivoluzionicolorate e simili – Putin ha defi-nito la linea di rinascita del paesee i possibili ostacoli. È scrittotutto: la normalizzazione in Ce-cenia, gli altri focolai nel Cauca-so e in Asia centrale, i regimechanges ai confini del vecchio Im-pero, l’estensione della Nato conlo stazionamento di truppe ame-

ricane in zone considerate offli-mits, l’ambizione degli Usa di vo-ler risolvere i problemi in manie-ra unilaterale, la brutale rispostaalla Georgia nel 2008. In realtàin meno di un decennio è acca-duto quello che secondo la pro-spettiva del Cremlino poteva, manon doveva succedere.Mosca, che all’inizio – e soprat-tutto dopo le Twin Towers – hateso la mano all’Occidente, si èsentita tradita, accerchiata, in pe-ricolo nel processo di stabilizza-zione. Il 25 settembre 2001 Vla-dimir Putin, considerato sempre

dagli hardliners delCremlino troppooccidentale, hapronunciato a lParlamento tede-sco un discorso percerti versi storico,gettando un ponteverso l’Europa: «Il

Muro di Berlino non esiste più. Èstato distrutto. Sarebbe opportu-no ricordare come si è giunti aquesto. Sono sicuro che i grandicambiamenti in Europa, nellavecchia Unione Sovietica e nelmondo non sarebbero potuti ac-cadere senza la presenza di deter-minate condizioni. Penso in que-sto caso a ciò che è successo diecianni fa in Russia. Questi avveni-menti sono fondamentali per ca-pire cosa è capitato e cosa ci sipuò aspettare dalla Russia nelprossimo futuro. La Russia è unpaese amico dell’Europa. Per ilnostro paese, che ha passato unsecolo di catastrofi militari, l’ob-biettivo fondamentale è la pacesul continente».

Mosca, che all’inizio ha teso la mano all’Occidente, si è sentita tradita, accerchiata, in pericolo

L’ANALISIStefano Grazioli

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Quello che è seguito è facile da ri-costruire: nel dicembre 2001Bush è uscito dall’Abm (Anti-bal-listic missile treaty), nel 2002 conla rivoluzione delle rose gli Usahanno appoggiato Mikhail Saaka-shvili a Tbilisi, nel marzo 2003 ècominciata la campagna in Iraq,in maggio le Repubbliche balti-che sono entrate nella Nato, nel2004 a Kiev Viktor Yushchenkoha mandato a casa Leonid Ku-chma e Hamid Karzai è diventatopresidente in Afghanistan, nel2005 in Kirghizistan il capo di

Stato Askar Akayev è stato co-stretto a fuggire dal palazzo presi-denziale arrotolato in un tappetotrovando asilo a Mosca e l’Uzbeki-stan ha tolto agli Usa i diritti perl’uso della base di Karshi Kana-bad, nel 2008 si sono concretizzatii piani di cooperazione tra Usa,Polonia e Repubblica Ceca per in-stallare radar e missili americaniin Europa centrale, si è aperto ilconflitto nel Caucaso – innescatodal principale alleato di Washin-gton nella regione – e sono rima-ste le opzioni per un possibile at-

134descrive come soffocata da un governoche, dietro la facciata di una democrazia infieri, rivela ancora l’eredità sovietica. Manon si tratta di una fredda analisi politica:«Il mio è un libro di appunti appassionati amargine della vita come la si vive oggi inRussia», scrive la Politkovskaja. E tantomeno si pensi a una biografia del presi-dente: Putin resta infatti sullo sfondo, an-zi dietro le quinte, per essere chiamato sulproscenio soltanto nel tagliente capitolofinale, dove viene ritratto come un ex uffi-ciale del Kgb divorato da ambizioni impe-riali. In primo piano ci incalzano invecesquarci di vita quotidiana, grottescaquando non tragica: la guerra in Ceceniacon i suoi cadaveri "dimenticati"; le dege-nerazioni in atto nell'ex Armata Rossa; ilcrack economico che nel '98 ha travolto laneonata media borghesia, supporto perun'autentica evoluzione democratica delpaese; la nuova mafia di Stato, radicata inun sistema di corruzione senza preceden-ti; l'eccidio nel teatro Dubrovka di Mosca;la strage dei bambini a Beslan, in Ossezia.

IL LIBRO

LA RUSSIA DELLA POLITKOVSKAJAIn questo libro Anna Politkovskaja, la gior-nalista moscovita morta in circostanze an-cora non chiarite e nota per i suoi corag-giosi reportage sulle violazioni dei dirittiumani in Russia, in pagine ben documen-tate e drammatiche, ci racconta la suaRussia. In pagine scritte con maestria eaudacia, l'autrice racconta le storie (pub-bliche e private) della Russia di oggi, che

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tacco in Iran anche dopo le presi-denziali del 2009 che hanno ri-confermato Ahmadinejad. La Rus-sia ha reagito ripiegando su sestessa, minacciata al proprio inter-no (Dubrovka, Beslan) e ai propriconfini (Tskhivali), accusata diaver abbandonato la via delle rifor-me democratiche per una nuovavolontà imperialista. Come se laRussia di Eltsin fosse stata la culladella democrazia e della libertà distampa, la famiglia e gli oligarchiun cenacolo di benefattori, Gaz-prom una filiale della Caritas.La Russia di Putin (e quella delladiarchia con Med-vedev oggi) dopoessere stata costret-ta ad arretrare lapropria area di in-fluenza, ha smessodi essere Ceneren-tola, trasformando-si non certo in puraed esile principessa, ma in musco-losa donna in carriera. Partendodal presupposto che la GuerraFredda è davvero finita e nessunovuole vestirsi di rosso e tornare alcomunismo, il Cremlino ha sceltoconsapevolmente di perseguire lavisione di un nuovo ordine mon-diale in cui la Russia ha una collo-cazione paritaria accanto agli altrimaggiori attori, dagli Usa alla Ci-na, ma non solo. In questa ottica sidevono leggere le prese di posizio-ne sullo scacchiere internazionalee gli stretti rapporti con quelli chesino a due decenni fa erano nemi-ci, Oltreoceano come in Europa.Se si pensa alla costellazione dellaGuerra Fredda, parlare oggi diCold War Reloaded appare stru-

mentale: in un recente rapportodel Nixon Center di Washington(non certo un think tank stalini-sta) vengono delineati i suggeri-menti per indicare la “giusta di-rezione” delle relazioni tra Usa –e quindi l’Occidente – e la Rus-sia, tra i quali ci sono la prioritàdi rendere Mosca un partner nellaquestione iraniana, la stretta coo-perazione contro la proliferazionedelle armi nucleari, contro il ter-rorismo e per la stabilizzazionedell’Afghanistan, una revisionedel piano di difesa missilistica inPolonia e Repubblica Ceca e

un’offerta per unaseria cooperazione,l’accettazione chené Ucraina né Ge-orgia sono pronteper la Nato e la ri-cerca con gli allea-ti di altre opzioni,il lancio di un dia-

logo sul controllo e la riduzionedegli armamenti, l’aiuto allaRussia nell’ingresso nel Wto.Immaginabile una simile visioneprima del 9 novembre 1989? Èquesta la base da cui ripartire esulla quale hanno già iniziato alavorare Dmitry Medvedev e Ba-rack Obama. Il resto sono scara-mucce per nostalgici.Il nuovo quadro è dunque questo:la Russia, dopo la pausa eltsinia-na, è di nuovo protagonista, manon è un nemico dell’Occidente.È un competitor in alcuni campi eun alleato in altri. È un player chenel nuovo grande gioco fa i pro-pri interessi, esattamente cometutti gli altri. Che non si lasciapiù scavalcare e che nel Caucaso

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L’ANALISIStefano Grazioli

La Russia di Putin ha smesso di essere Cenerentola e si è trasformata in una donna in carriera

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ha tirato una vigorosa linea rossa,mandando un segnale chiaro a chipensava di aver a che fare ancoracon la carretta degli anni Novan-ta. La guerra di un anno fa in Ge-orgia e il riconoscimento di Ab-khazia e Ossezia del Sud (facilita-to dal precedente del Kosovo o daquello di Cipro, dove de facto unpaese appartenente addirittura al-la Nato, la Turchia, occupa mili-tarmente da trentacinque anni unpezzo d’Europa) sono stati il se-gnale che la collaborazione è ne-cessaria e inevitabile per non tor-nare alle fratture del passato. Ec-co quindi che han-no sorriso – anchese a denti stretti –Dmitry Medvedevquando il presi-dente k i rgh i soKurmanbek Ba-kiev ha deciso dicontinuare a con-cedere la base di Manas agli Usa oBarack Obama quando Gazprome Socar hanno firmato un’intesaper far arrivare gas azero in Rus-sia: buon viso a cattivo gioco,consapevoli che la dura contrap-posizione non giova a nessuno edè meglio stare della stessa partequando le minacce del Ventune-simo secolo non arrivano più dal-le divisioni fra est e ovest. Gli in-cubi dell’Occidente non nasconopiù dal comunismo, che non esi-ste quasi più nemmeno in Cina,ma dalla guerriglia terroristicache colpisce l’Europa, gli StatiUniti e la Russia, dall’espansionedel fondamentalismo in Asia eAfrica, dallo spettro di un califfa-to nel Golfo che metta sotto scac-

co i produttori di petrolio, dal-l’instabilità cronica delle regionidell’Hindukush.Mosca è risorta puntellando i rap-porti con le sue ex repubblichedell’Asia centrale, nel Caucaso, inEuropa. Non tanto sull’onda digenetiche velleità espansionisti-che, bensì sulle esigenze recipro-che. Basti pensare alla questionedel gas, regolarmente strumenta-lizzata e distorta: è il tema delladipendenza simmetrica, ignoratada tutti quelli che hanno pauradell’orso russo che si sveglia unamattina e lascia mezzo continente

al gelo e al buio.Cosa mai successa,nemmeno ai tem-pi della vera Guer-ra Fredda. La sicu-rezza energeticainteressa tutti gliattori sul palcosce-nico: la Russia ha

bisogno dell’Europa come l’Euro-pa della Russia. In Occidente ab-biamo sete e a Mosca il petrolionon possono certo berselo. Nes-suna delle due parti avrebbe l’in-teresse oltre che la possibilità –contratti sul gas si fanno sul lun-go periodo – di cambiare partnerdall’oggi a domani. La stessaGazprom, dipinta a tinte foschedalla stampa occidentale come ilvero braccio armato del Cremli-no, non avrebbe certo vantaggibloccando a singhiozzo il transitoe rischiando di provocare bruscheaccelerazioni nel mercato energe-tico (sostituzione del gas per laproduzione di energia elettricacon carbone, biometano o nuclea-re) mettendo in crisi se stessa e

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Gazprom non avrebbevantaggi a bloccare a singhiozzo il transitodel gas naturale dallaRussia all’Occidente

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l’intera economia russa. Improba-bile la realizzazione in tempi bre-vi di un cartello del gas sul mo-dello Opec, che andrebbe controgli interessi dei paesi produttoricon l’abbandono dell’attuale si-stema dei contratti decennali.Esagerato mediaticamente ancheil duello tra Southstream e Na-bucco, progetti che possono coe-sistere a patto che di gas ce ne siadavvero per tutti e non si facciadella necessaria diversificazioneuna questione morale, dato checon il secondo alla Russia si sosti-tuiscono Turkmenistan e Iran,sulla cui democraticità e affidabi-lità il discorso sarebbe moltocomplesso.La Russia del “sistema Putin”,dopo che quella di Eltsin è stataimpegnata a sopravvivere, ha ri-preso a esercitare influenza traCaucaso e Pamir partendo dalsemplice fatto geografico e dai le-gami indissolubili (non solo eco-nomici) che nel corso della storiahanno caratterizzato i rapporti –non sempre facili – tra centro eperiferia dell’Eurasia. Le regole dibuon vicinato sono indispensabilie prioritarie rispetto ad alleanzeidealistiche: è il caso di Ucraina eGeorgia, che nonostante i procla-mi populisti dei loro presidentidevono fare i conti con la realtà.Mosca è per Kiev e Tbilisi nonuna spada di Damocle, ma un’op-zione irrinunciabile che non deveescludere la ricerca di un equili-brio finora accantonato da miopiélite. Il Cremlino ha trovato inEuropa un approccio pragmaticocondiviso: l’ex cancelliere Ger-hard Schröder è stato cooptato

nel board di Northstream su invi-to di Putin, ma non bisogna scor-darsi che il progetto è una jointventure paritetica in cui i tedeschidi Eon e Basf hanno i medesimiinteressi di Gazprom. E lo stessodicasi, sempre rimanendo nelcampo, per tutti coloro che con ilcolosso russo sono in affari: soloin Europa ci sono anche Winter-shall, Verbundnetz Gas e Sie-mens (ancora Germania), i fran-cesi attraverso Gaz de France eTotal, i turchi con Botas, i finlan-desi di Fortum, l’Olanda con Ga-sunie, la Danimarca con Dong, laNorvegia con HydroStatoil, gliaustriaci di Omv, gli ungheresi diMol, i polacchi di PGNiG e ov-viamente gli italiani dell’Eni.Non è però solo gas ed energia.La Germania è presente in Russiacon quasi cinquemila aziende, daicolossi dell’auto alle piccole emedie imprese, l’asse Putin-Schröder è venuto dopo quello traKohl e Eltsin e Kohl e Gorbaciov.I pessimisti possono ricordare chequest’anno cade il settantesimoanniversario del patto Molotov-Ribbentrop, ma sarebbe demago-gia. La realtà è che Berlino tira ilcarro europeo verso Mosca e aquesto sono già agganciati moltialtri, con l’Italia in prima fila.

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STEFANO GRAZIOLIGiornalista e scrittore, il suo ultimo libro è Gaz-promNation, il Sistema Putin e il NuovoGrande Gioco in Asia Centrale.

L’Autore

L’ANALISIStefano Grazioli

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Una ripresa economicafondata sull’energia

DI EMANUELA MELCHIORRE

Nonostante la crisi economica in corso e il crollo del prezzo del petrolio, il futuro del sistema russo passa ancora attraverso il comparto energetico.

La scommessa di Putin

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Oltre ad aver tolto la libertà, ilmarxismo ha prodotto la miseria.Merita ricordare che Lenin nelgennaio del 1918 abolì la monetae impose lo scambio obbligato-rio: merce contro merce, prodottocontro prodotto. La malattia e lamorte del leader bolscevico per-misero alla Russia di avviarsi dinuovo sulla strada dell’avanza-mento tanto che nel 1924 ritornòall’economia monetaria con il ru-blo d’oro1. Nel 1928 Stalin ripor-tò violentemente la Russia al re-gime comunista, dal quale è ri-

sorta con la scomparsa del tetroLeonida Brežnev nel novembredel 1982. Il ritorno della Russianell’ambito dei paesi democraticiè stato molto sofferto, a causa an-che delle resistenze degli apparaticomunisti nell’economia e del-l’impossibilità di smantellare inbreve tempo la collettivizzazionedi ogni forma di produzione e discambio. L’Occidente e, in parti-colare, il Fondo monetario inter-nazionale non hanno aiutato mol-to la Russia a tornare nell’ambitodell’economia di mercato, ma in-

ECONOMIAEmanuela Melchiorre

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fine molti progressi sono statifatti nonostante le resistenze aperpetuare l’assistenzialismo del-la Grande madre Russia. Merito del cambiamento va attri-buito più che a Michail Gorba-ciov e a Boris Nikolaevic Eltsin, aVladimir Putin. Forte della tra-sformazione avvenuta in seguitoalle riforme politiche della pere-strojka di Gorbaciov, e dopo El-tsin, il primo presidente dellaRussia post-sovietica, con lo scio-glimento dell’Unione Sovietica edel nuovo assetto federale di cuila Russia si è dotata, VladimirPutin ha impiegato due mandatipresidenziali per porre le basi delsuo piano di ricostruzione econo-mica della Russia. Impossibilita-to dai dettami della nuova Costi-tuzione, approvata il 12 dicem-bre 1993, a candidarsi per la terzavolta alla carica di presidente del-la Federazione, ha elaborato lostratagemma di candidare il suodelfino Dimitri Medvedev al suoposto e da questi farsi nominareprimo ministro, al fine di potercontinuare nell’opera di ricostru-zione intrapresa. Il paese sembre-rebbe essere politicamente stabilegrazie alla salda alleanza tra Med-vedev e Putin2. Tuttavia Putin,con l’aggravamento della crisieconomica e finanziaria interna-zionale, si trova ad affrontaremolti problemi di carattere eco-nomico e sociale (come la dimi-nuzione dei salari reali), che po-trebbero minare l’ampio consensodi cui dispone. Al tempo stesso,in Cecenia si sta assistendo ad unprocesso di pacificazione e di ri-nascita economica imposto con la

CULTURA

Matrioska (in lingua russa) è il terminecon cui si definisce il caratteristico in-sieme di bambole di origine russa che sicompone di pezzi di diverse dimensionirealizzati in legno, ognuno dei quali èinseribile in uno di formato più grande.Ogni pezzo si divide in due parti ed èvuoto al suo interno, salvo il più piccoloche si chiama “seme”. La bambolina piùgrande si chiama invece “madre”. È ilsouvenir russo per eccellenza ed unsimbolo dell’arte popolare di questopaese. La prima matrio�ka di cui si hanotizia risale alla fine del XIX secolo, unperiodo che per la Russia fu, oltre che digrandi mutamenti sul piano sociale,epoca di grande sviluppo economico eculturale. Nell’anno 1900, all’Esposizio-ne mondiale di Parigi, la matrio�ka fupremiata e riconosciuta come simbolodella tradizione russa per la sua popola-rità in tutto il mondo. Da allora ha ri-specchiato nella sua espressione artisti-ca la vita e la storia della Russia.A idearla fu Savva Mamontov, fondato-re del circolo artistico Abramzevskii.Mamontov allestì un laboratorio-nego-zio (“L’educazione infantile”) in cui ve-nivano creati dei giocattoli per bambini,in particolare bambole etnografiche (al-meno come tali verrebbero definite og-gi) ovvero vestite con i costumi tradizio-nali regionali, ognuno diverso a secon-da del villaggio di provenienza.

MATRIOSKA, la bambola che haconquistato il mondo

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141forza dal presidente Kadyrov,mentre le altre regioni del Cauca-so settentrionale (Inguscezia, Da-ghestan e Kabardino Balkaria) at-traversano un periodo di crescen-te instabilità politica, che spessoporta a fenomeni di violenza xe-nofoba3.Il piano di Putin si è articolato,dal 2000 fino a prima dell’attualecrisi economica mondiale, fonda-mentalmente in due fasi. Egli, inprimo luogo, ha inteso porre lebasi per una solida ricostruzionedella crescita economica dellaRussia, puntando in special mo-do sulla produzione e sulla com-mercializzazione di prodottienergetici. Il capitale privato èentrato nelle grandi società primaesclusivamente pubbliche, ma ilprocesso di privatizzazione inRussia assume connotati specifi-ci, poiché la leadership dei piùgrandi colossi energetici russi edelle grandi società è rimasta nel-le mani degli “uomini del presi-

dente”, ossia degli ex colleghi delprimo ministro Putin all’epocadella sua militanza nel Kgb, cheseguono i dettami della volontàpresidenziale.Al contempo Putin ha operatoper ricostruire uno stabile am-biente normativo e legislativo,cosciente del fatto che un am-biente legislativo ostile o inaffi-dabile avrebbe disincentivatol’afflusso di capitali stranieri4.Per quanto riguarda questoaspetto la Sace (Servizi assicurati-vi del commercio estero)5 ritieneche il paese abbia compiuto, ne-gli ultimi anni, progressi nel-l’adozione di un quadro normati-vo coerente, soprattutto per uni-formare la legislazione regionalea quella federale. Il problemaprincipale, sostiene l’agenzia, èlegato all’enforcement di tali prov-vedimenti. D’altro canto, sempresecondo l’osservatorio geopoliticodella società assicurativa, il siste-ma giudiziario risulta essere an-

ECONOMIAEmanuela Melchiorre

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cora fortemente burocratizzato edotato di limitata indipendenzadal potere politico.

Crisi economica e sostegno all’economia di mercatoNegli Stati Uniti e nei paesi eu-ropei il ruolo dello Stato nel-l’economia tende a rafforzarsi do-po lo scoppio delle bolle specula-tive e l’esplosione della crisi eco-nomica. Per quanto riguarda laRussia questa evoluzione è quan-to mai allarmante, per il pericolodi rigurgiti collettivistici. Tutta-via, il governo russo non ha fino-ra proceduto a na-zional izzare dinuovo vasti settoridell’economia. Ilpiù considerevoleintervento delloStato negli affarieconomici, infat-ti, è stato rivoltoall’imprenditoria e al mercato. Siè appreso che gli interventi go-vernativi a sostegno dell’econo-mia russa hanno previsto un pac-chetto di misure a sostegno delsistema industriale e finanziarioper oltre 220 miliardi di dollariUsa, pari al 15% del prodotto in-terno lordo russo. Anche la re-cente decisione di ridurre le im-poste, che all’inizio del 2009 haportato a una forte diminuzionedella tassazione sul reddito diimpresa (dal 24% al 20%), e diquella sulle piccole imprese (dal15% al 5%), va nella direzione difacilitare l’imprenditoria privata.Tuttavia, si legge sulla pubblici-stica specializzata, soltanto po-che imprese possono sperare nel-

l’aiuto dello Stato per evitare ilfallimento sotto il peso dei debi-ti e delle pretese avanzate daicreditori stranieri. Le scelte dipolitica economica del governorusso dovrebbero anche tenereconto delle linee di orientamentoconvenute in ambito G8/G20,che dovrebbero progressivamen-te influenzare la “socializzazione”della normativa russa, richiestaal paese per aderire sia all’Omc(Organizzazione mondiale delcommercio), sia all’Ocse (Orga-nizzazione per la cooperazione elo sviluppo economico). D’altro

canto lo stesso Pu-tin sembrerebbeessere della stessaopinione, conside-rando le dichiara-zioni che ha fattoin occasione delForum economicomondiale di Davos

(28 gennaio - 1 febbraio 2009),quando invitava a non «ritornareall’isolazionismo e a un immode-rato egotismo economico» e, alcontrario, a rafforzare la coopera-zione economica internazionale,evitando un ritorno allo statali-smo e al protezionismo.Per valutare le ricadute della crisifinanziaria sull’economia russa èopportuno osservare il contesto incui il paese si trovava quando ilcrollo dei corsi azionari si è verifi-cato. L’economia russa cresceva aun tasso elevato (l’8% del primosemestre 2008 faceva, infatti, se-guito all’8,1% del 2007). Secon-do l’Ispi (Istituto di politica in-ternazionale), l’economia russapresentava evidenti segnali di

In un periodo di crisicome quello attuale, in Russia è elevato il rischio di rigurgiti collettivistici

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Crescono gli scambitra Russia e ItaliaIn base ai dati Istat relativi all’anno 2008l’interscambio commerciale tra Italia eRussia è passato in valore assoluto da23,9 a 26,5 miliardi di euro. La positivadinamica dei rapporti commerciali bila-terali è testimoniata anche dalla pro-gressiva crescita della quota della Russiasul totale dell’interscambio con i paesiextra Ue che, a fine anno, era pariall’8,8% a fronte del 7,9% a dicembre2007. Nel 2008 le nostre esportazioni inRussia - complessivamente pari a 11 mi-liardi di Euro - hanno segnato un tassodi crescita elevato (9,3%), ma notevol-mente inferiore a quello degli anni pas-sati che in media si attestava al di sopradel 20%: tale dinamica è comunque su-periore a quelle medie dei paesi extra Ue(6,1%) e di quelli Ue (-0,7%). Vale la pe-na pertanto sottolineare l’importanzadel mercato russo che ha continuato a

domandare prodotti made in Italy nono-stante la crisi che, ad esempio, ha com-portato un calo delle nostre esportazioniin paesi come la Francia (-0,1%) o il Re-gno Unito (-7,5%). I settori trainanti delnostro export in Russia si confermanoquello delle macchine ed apparecchimeccanici - che da solo rappresentaquasi un terzo del totale ed ha consegui-to un aumento del 6,3% - quelli dell’ab-bigliamento (8,5%), dei prodotti in cuoio(16,8%) e dei mobili (16,6%). Le importa-zioni dalla Russia, che complessivamen-te si ragguagliano a 16,1 miliardi di euro esono cresciute nel 2008 del 12,1%, sonorappresentate per oltre il 70% da mine-rali energetici: tale componente ha con-seguito una sostenuta crescita nel primosemestre del 2008 (16,4%) per poi se-gnare un rallentamento nella secondaparte dell’anno, ascrivibile prevalente-mente ad un “effetto prezzo”.

Rapporto Maes-Ice II sem. 2008

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COMMERCIO ESTERO

“surriscaldamento”. L’inflazionein Russia aveva superato il 10% aottobre 2007 e aveva acceleratofino al 15,1% a maggio e a giu-gno 2008, mentre a ottobre 2008era lievemente rallentata al14,2%. La disoccupazione era de-clinata dall’8,6% del 2003 al5,3% di luglio 2008. I salari realierano cresciuti vistosamente (del16,2% nel 2007 e ancora del12,8% nei primi nove mesi del2008) e avevano raggiunto livellidi crescita nettamente superioriall’aumento della produttività del

lavoro, che secondo l’Istituto eradel 6% nel 2007 e del 7% nelprimo semestre 20086. È presu-mibile che tali segnali di surri-scaldamento fossero dovuti inbuona parte all’accresciuta spesapubblica in preparazione delleelezioni parlamentari e presiden-ziali del dicembre 2007 e delmarzo 2008. Uno sguardo più ampio porta avalutare l’economia russa nell’ar-co dell’ultimo decennio (grafico1). È evidente che i tassi di cre-scita che il paese ha sperimentato

ECONOMIAEmanuela Melchiorre

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negli anni 2000 siano divenutisolamente un ricordo. Tuttavia,il Fondo monetario internaziona-le sembra essere piuttosto otti-mista e prevede una ripresa dellacrescita economica nel 2010. Se-condo i dati della Banca mondia-le, a fronte di una contrazione in

tutti i settorie c o n o m i c i ,quelli che piùdegli altri han-no accusato va-lor i negat iv i

più alti negli indici di crescitasono stati il manifatturiero e lecostruzioni (tabella 1). Si trattadi due settori economici ad altovalore del moltiplicatore keyne-siano del reddito. Ciò significa

che una contrazione della crescitadella produzione in questi duesettori si traduce in una più am-pia riduzione della crescita intutto il loro indotto e nei settoria essi collaterali.

Il mercato finanziario e monetarioLa borsa russa ha mostrato il peg-giore risultato tra i mercati emer-genti (-71% da inizio 2008 a finenovembre 2008) e si è ridotto ilpeso economico di alcuni oligar-chi. Secondo Forbes, il giornaleamericano che pubblica periodi-camente la lista degli uomini piùricchi al mondo, il numero deimiliardari in Russia è passato da87 all’inizio del 2008 a 32, ossiasi è ridotto di circa due terzi. A

Nel 2008 la borsarussa ha registrato il peggiore risultato tra i mercati emergenti

Tabella 1 – Crescita del valore aggiunto dal 2006 al 2008 ripartito tra idiversi settori economici.

Grafico 1 – Crescita reale del Prodotto internolordo (in percentuale rispetto all’anno precedente)in Russia e nei paesi di nuova indipendenza (CIS).

FONTE: International Monetary Fund, World EconomicOutlook, Crisis and Recovery (aprile 2009)

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luglio 2008, ossia prima chescoppiasse la bolla speculativaimmobiliare e si innescasse la cri-si economica a livello planetario,in una dichiarazione Putin attac-cò pubblicamente la società Me-chel, una grande azienda siderur-gica, criticandone la politica deiprezzi e accusandola di evasionefiscale. Ne è seguito il tracollodelle sue quotazioni sulla borsa diNew York (-38% in un solo gior-no). Gli investitori fuggirono daltitolo per il timore che si stesseripetendo il caso della società Yu-kos, ossia un attacco da parte delgoverno contro una grande azien-da7. La vicenda allarmò i cosid-detti oligarchi, che hanno temutoche il governo tornasse a colpire

direttamente aziende e patrimonipersonali. Per reazione vi è statala fuga di capitali che si è peròfermata negli anni più recenti.Nel 2007, al contrario, ampi ca-pitali russi detenuti all’estero era-no stati addirit-tura rimpatriatimentre a set-tembre 2008gli Ide (Investi-menti direttiall’estero) che si erano diretti ver-so l’economia russa avevano rag-giunto la cifra di 52 miliardi didollari (cresciuti del 10% rispet-to allo stesso periodo dell’annoprecedente)8. Ora però con la cri-si il deflusso di capitali russi dalpaese sembra si sia amplificato. Comunque, il mercato azionarionon è una delle principali fonti difinanziamento per l’economiarussa e, conseguentemente, lefluttuazioni hanno avuto un im-patto relativo sulle imprese9. Ilsistema finanziario è estrema-mente concentrato. I cinqueprincipali istituti, infatti, con-trollano il 43% delle attività to-tali, mentre le 24 banche statalidetengono circa un terzo delle at-tività bancarie totali e il 60% deidepositi. Le banche in possesso diistituti stranieri10 sono 85 e rico-prono un ruolo marginale nel si-stema bancario russo. Nel corso del 2008, si legge sulrapporto Sace, si è avviato un len-to processo di consolidamento afavore degli istituti bancari me-dio-grandi, mediante numerosefusioni e acquisizioni di piccolebanche regionali. L’acuirsi dellacrisi, secondo gli esperti, potreb-

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Le fluttuazioniazionarie hanno avutoun impatto relativo

sulle imprese

ECONOMIAEmanuela Melchiorre

Tabella 1 – Crescita del valore aggiunto dal 2006 al 2008 ripartito tra idiversi settori economici.

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be accelerare questo processo a fa-vore, però, delle banche statali. Aseguito della crisi dei mutui, ilsistema ha subito una riduzionedella liquidità e la Banca centralerussa (Veb Vnesheconombank) hafornito liquidità alle tre principa-li banche statali e ad altre 25banche commerciali. Risultanoessere invece maggiormente a ri-schio le banche private medio-piccole, poichè non godono delsostegno statale e dispongono diminori possibilità di rifinanzia-mento.L’esportazione di idrocarburi èstato il motoreprincipale dellarinascita economi-ca della Russia.Tuttavia la ridu-zione dei prezzidegli idrocarburi,con la contrazionedei consumi e deiprestiti, ha contribuito a portarel’economia russa in recessione.Per il 2010 si prevede che il Piltorni a crescere anche se ad untasso decisamente più contenutorispetto al passato. Fino al 2008 iconti del paese hanno registratoampi avanzi di bilancio. Per ilbiennio 2009-10, si prevede cheil saldo diventi negativo a causadella riduzione delle entrate le-gate all’esportazione del petrolio.Il prezzo del petrolio è tornato acrescere anche se a livelli sensi-bilmente inferiori rispetto all’an-damento speculativo della bolladel 2008, che aveva portato il li-vello del prezzo a 147 dollaril’11 luglio 2008.Nel biennio 2009-10, l’inflazio-

ne dovrebbe registrare una legge-ra contrazione rispetto al 2008,rimanendo comunque al di sopradel 10%11. L’inflazione comportauna erosione degli stipendi dellaclasse media, che conserva il suocarattere prevalentemente buro-cratico (circa il 70% svolge lapropria attività nel settore pub-blico). Nel contesto di un dete-rioramento delle condizioni di vi-ta, caratterizzato dal ritorno diuna forte crescita del tasso di di-soccupazione, salito oggi al 9,5% della popolazione economica-mente attiva, si fa strada un feno-

meno di xenofobia.La questione del-l’immigrazione sirivela complessadal momento chele stime parlano diun afflusso di oltre25 milioni di im-migrati. La distri-

buzione di lavoratori sul territo-rio dovrà essere bilanciata in mo-do da evitare che si amplifichi ul-teriormente il divario fra il centroe le regioni periferiche. Secondo l’Organizzazione inter-nazionale del lavoro, dai 3,5 ai 5milioni di migranti sono attual-mente impiegati sul mercato dellavoro informale, in particolarenel settore agricolo e delle co-struzioni. Questi migranti pro-vengono in gran parte dalla Co-munità di Stati Indipendenti edal sudest asiatico.Per quanto riguarda il commer-cio internazionale, la bilanciacommerciale russa presenta unsaldo positivo e crescente dal2001 a oggi. Le esportazioni rus-

L’esportazione di idrocarburi è stato ilmotore principale dellarinascita economica della Russia di Putin

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se rappresentano il 2,7% del to-tale delle esportazioni mondialie consistono prevalentemente inprodotti energetici, con il 50%delle esportazioni totali russe.Seguono le esportazioni di ma-nufatti per circa il 20%, minera-li e metalli per circa l’8%, mate-rie prime agricole e prodotti ali-mentari per la restante parte. Lemerci e i prodotti russi si indi-rizzano prevalentemente verso ipaesi Csi, la Germania, l’Italia ei Paesi Bassi e gli Stati Uniti. InAsia le esportazioni sono rivoltesoprattutto verso la Cina.La Russia è attual-mente il maggiorepaese produttoredi petrolio e di gasnaturale, rispetti-vamente pari a12,4% e al 21,5%della produzionemondiale. La Rus-sia si colloca anche tra i primiposti per le esportazioni di que-sti due beni. È seconda dopol’Arabia Saudita nelle esporta-zioni di petrolio (11,26% delleesportazioni mondiali) ed è ilprimo paese esportatore di gasnaturale (21,3% delle esporta-zioni mondiali)Sono stati proprio i prodotti ener-getici e il loro crescente prezzosul mercato mondiale per effettodel gioco della speculazione adaver comportato ampie disponi-bilità finanziarie che sono stateinvestite in Russia prevalente-mente nei settori energetici a di-scapito però degli altri settoriproduttivi (industriali e delle co-struzioni) che avrebbero invece

permesso all’economia russa diaffrancarsi dalla dipendenza dalleesportazioni. Il calo della doman-da mondiale conseguente all’at-tuale crisi economica, quindi, hacomportato un impatto sull’eco-nomia russa (recessione e disoccu-pazione) che dovrà essere conside-rato nella giusta proporzione eche dovrà portare il governo amodificare il modello di crescitafino ad ora seguito. Le scelte dipolitica economica di contrastoalla crisi dovranno essere di piùampio respiro e volte al rafforza-mento dell’economia nei suoi set-

tor i pr inc ipa l i(agricoltura, indu-stria e costruzio-ni), e al sostegnodella domanda in-terna. Si tratta diun obbiettivo nonfacile da raggiun-gere – consideran-

do che la popolazione russa è di145 milioni di abitanti, pari allasomma di quella della Francia edella Germania, e ha una superfi-cie di 17 milioni di kmq, pari aldoppio di quella degli Stati Uniti– e comunque non in tempi bre-vi. Prima che il reddito pro capi-te russo possa raggiungere il li-vello del reddito pro capite ame-ricano, infatti, utilizzando unanota formula di matematica fi-nanziaria, occorrerà attendere,posto che l’economia russa crescadel 5% l’anno e quella statuni-tense del 3%, almeno un centina-io di anni.

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Il calo della domandamondiale dovuto allacrisi ha comportato unimpatto considerevolesull’economia russa

ECONOMIAEmanuela Melchiorre

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EMANUELA MELCHIORREEconomista e pubblicista, ha collaborato conimportanti istituti di ricerca nazionali, con il di-partimento di economia pubblica dell’Univer-sità La Sapienza di Roma e con l’InvestmentCentre della Fao. Scrive regolarmente di poli-tica economica e di economia internazionalesu giornali e su riviste specializzate.

L’Autore

1 Confrontare Rublo: storia civile e mone-taria della Russia da Ivan a Stalin (1991)di Angiolo Forzoni edizione Valerio Levi(Roma)

2 Il partito presidenziale Russia Unitacontrolla infatti i due terzi dei seggi inparlamento. Oltre a Russia Unita, altritre partiti sono riusciti a superare losbarramento proporzionale del 7%: ilPartito Comunista, il Partito Liberal-Democratico, entrambi in calo rispettole precedenti elezioni, e il nuovo partitoRussia Giusta.

3 Rapporto sul rischio paese dal titoloRussia di Marco Minoretti, a cura del-l’Ufficio Studi Economici Sace, aggior-nato all’11 marzo 2009

4 Ispi Policy Brief n. 132, maggio 2009dal titolo The Great Transformation: Howthe Putin Plan Altered Russian Society diNicolai N. Petro

5 Rapporto Sace citato

6 Ispi Policy Brief n. 112, dicembre2008 dal titolo La crisi finanziaria e leprospettive dell’economia russa diFranco Zallio

7 Ispi Policy breaf n.112 citata

8 Il volume degli investimenti italianiera ancora modesto: secondo i dati ICe-Istat, dal 1991 al primo semestre del2008 gli investimenti totali dall’Italiasono stati pari a 1,1 miliardi di dollaridi cui: 863 milioni di investimenti di-

retti esteri, 0,1 milioni di investimentidi portafoglio e 256 milioni di altri in-vestimenti. La principale destinazionedegli investimenti italiani rimane tut-t’ora il settore energetico dove, oltre altradizionale ruolo dell’Eni, si è affiancataanche l’attività dell’Enel. Si legge sulrapporto Sace citato che la presenza ita-liana si sta rafforzando nei settori ad altocontenuto tecnologico, (con Alenia Ae-ronautica, del Gruppo Finmeccanica) nelsettore delle telecomunicazioni (con Ar-tetra, Alenia ed Aermacchi) e nei com-parti automobilistico, (Fiat e Iveco),elettrodomestici (Indesit, Candy e Mer-loni), agroalimentare (Parmalat, Perfetti,Ferrero e Cremonini) e nel settore ban-cario (Gruppo Intesa SanPaolo e GruppoUnicredit).

9Rapporto Sace citato

10 Come detto in nota 8 le banche ita-liane che operano nel settore sono: BancaIntesa Sanpaolo (Zao Banca Intesa,Kmb- Bank) e Gruppo Unicredit (In-ternational Moscow Bank)

11 Rapporto Sace citato

Note

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È una storia di sfarzo e opulenza,miseria estrema, intrighi politici,dimore sontuose, morti contro-verse, lusso, giochi di potere, con-trabbando, mercati finanziari,scandali e corruzioni. Tutto que-sto ed altro ancora non basterebbea definire con chiarezza i confinidi quella che chiamano London-grad, lo spicchio rosso della capi-tale inglese.Sono oltre 300mila, secondo sti-me ufficiose, i cittadini russi resi-denti a Londra. I piu ricchi tra lo-ro popolano le vie di Chelsea eSouth Kensington, i locali diMayfair e Knightsbridge e fannoshopping da Harrods. Circa cento,tra di loro, sono i blue chips dellacomunità russa in Inghilterra. Ba-sta un loro gesto per trasferire mi-lioni di dollari in pochi secondi einfluenzare l’economia mondiale;un loro cenno per attivare pressio-

ni politiche e spostare consensipreziosi da un lato a quello oppo-sto. Li chiamano i business oli-garchs, gli oligarchi del business,una lista corta, di pochi eletti, chehanno conquistato in pochi annila capitale finanziaria europea eche con questa hanno intrecciatole loro sorti e le loro finanze percreare una unione che appare ora,difficilmente dissolubile.«Chiunque sia qualcuno a Mosca,è qui», ha dichiarato la direttricerussa di una compagnia di pub-bliche relazioni ed organizzazioneeventi con base a Londra. Ma chisono esattamente? Come hannoconquistato il loro potere? Comesono arrivati a Londra? E che tipodi influenza hanno nella capitale enell’intero paese?Il potere della maggior parte deicosiddetti oligarchi russi ebbeorigine alla fine degli anni Ottan-

La dolce vita russasulle sponde del Tamigi

DI SILVIA ANTONIOLI

Da Abramovich a Khodorkovsky e Berezovsky,i russi che contano hanno messo radicinella capitale inglese, occupando posti di poteree quartieri alla moda. Tra sfarzo ostentato,tensioni con il Cremlino e crisi economica,ecco chi sono (e cosa fanno) i magnati russialla corte della Regina d’Inghilterra.

Oligarchi a Londra

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FOCUSSilvia Antonioli

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ta, durante l’apertura riformisticadi Gorbaciov. L’allora presidenterusso, nonché ultimo segretariogenerale del Partito comunistasovietico, iniziò a portare avantimoderate liberalizzazioni di mer-cato nell’ambito di una stravol-gente ristrutturazione del sistema(la cosidetta perestroika). Ma le an-cora importanti restrizioni com-merciali operanti diedero originead un fenomeno inaspettato: ilcontrabbando di beni di consumoprovenienti dall’estero e poi ven-duti, con grossi margini di gua-dagno, dai nuovi, spesso improv-visati imprendito-ri russi.Ma il concentra-mento di ricchezzenelle mani di po-chi ebbe una deci-siva accelerazionesotto il governoEltsin, che portòavanti il processo di liberalizza-zione iniziato dal suo predecesso-re. Un gruppo di pochi, influentie ben connessi uomini di affaririuscì ad impadronirsi a basso co-sto delle immense ricchezze pre-cedentemente controllate dalleautorita russe.Si trattava, per lo più, di uoministrettamenti legati al governo oin alcuni casi, membri dello stes-so. Nel 1992 Eltsin lanciò unaprivatizzazione di massa che in-cludeva l’elargizione di vouchers efrazioni di proprietà delle impre-se precedentemente possedutedallo Stato, ai lavoratori. Molti diquesti però, poco familiari conconcetti quali privatizzazione ocapitalismo moderno, non si rese-

ro bene conto di quello che stavasuccedendo o del valore di queivouchers, e si fecero convincere avendere le loro azioni in cambiodi pochi contanti, vitali in unodei piu duri periodi economiciche la popolazione russa si stavatrovando ad affontare.In quella delicata situazione, furelativamente facile per gli oli-garchi riunire in loro possessoazioni delle compagnie appena li-beralizzate. L’intero settore indu-striale russo fu valutato, con il si-stema dei vouchers, a soli 12 mi-liardi di dollari; una cifra irrisoria

considerando l’ef-fettivo valore diuno sei settori in-dustriali piu rile-vant i a l i ve l lomondiale.Nel 1995, con ilgoverno sull’orlodella bancarotta,

Eltsin dovette rivolgersi agli oli-garchi per prestiti, e quando ilgoverno raggiunse lo stato di in-solvenza gli oligarchi trovaronoancora una volta il vento soffiarea loro favore e colsero l’occasionedi appropriarsi a costi irrisori diparte delle immense risorse russe:dal petrolio al gas, dai mineraliall’energia.Quando pochi anni dopo le mate-rie prime raggiunsero prezzi finoad allora inimmaginabili, i patri-moni degli oligarchi russi, cosìcome il loro potere, si moltiplica-rono a dismisura.Sotto l’era Putin, però, l’armoniatra uomini d’affari e l’autorità siincrinò fortemente ed ebbero ini-zio investigazioni governative per

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Nel 1995, sull’orlo della bancarotta, Eltsin si rivolse agli oligarchirussi per ottenere ingenti prestiti

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presunte attività illecite (princi-palmente evasione fiscale).La Russia degli anni Novanta eradiventato un posto poco conforte-vole per pochi, estremamente be-nestanti uomini d’affari non ama-ti dalla stragrande maggioranzadella popolazione che lottava perun pezzo di pane e per condizionidi vita quanto meno dignitose. Letasse da pagare erano diventateasfissianti per i “super-ricchi” e iltimore di attacchi violenti o as-sassinio ai danni loro o delle pro-prie famiglie, troppo pressanti.Fu a questo punto che molti, tra imagnati russi sotto accusa, prefe-rirono espatriare in modo dasfuggire a turbolenti processi edeventuali condanne. Londra fu lameta scelta da molti tra loro e permotivazioni tutt’altro che futili.Alcuni dichiarano che l’Inghil-terra rappresentava il sogno anti-co dei cittadini russi di quella ge-nerazione, cresciuti durante laGuerra Fredda e dunque spessonel disprezzo degli Stati Uniti.L’Inghilterra, con la sua culturaraffinata, la sua internazionalità ela relativa vicinanza alla madrepatria era una alternativa decisa-mente piu attraente. Eppure, i motivi della scelta rise-dettero per lo piu in considera-zioni meno romantiche e più le-gate a motivi economici. Al di làdi un economia stabile, ben strut-turata e fiorente, l’Inghilterraaveva da offrire una politica tri-butaria estremamente convenien-te: i cittadini domiciliati all’este-ro, seppure residenti nel paese daanni e con passaporto inglese, so-no infatti tutt’ora esentati dal pa-

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Fino al 2003, il Chelsea Football Club,squadra di calcio di uno dei quartieripiù chic di Londra, vivacchiava stanca-mente tra piazzamenti onorevoli, vitto-rie di prestigio ma sporadiche, com-plesso di inferiorità nei confronti di Li-verpool, Manchester United e Arsenal.Ma quando Roman Abramovich, capo-fila dei rampanti russi pieni di petroru-bli, decise di rilveare il club dal proprie-tario precedente, qualcosa cambiò ra-dicalmente. Nonostante qualche com-mentatore sportivo snob avesse irriso ilnuovo corso russo della squadra, ilcambiamento di rotta era comunquestato evidente fin dal primo momento.Basti pensare che negli ultimi sei cam-pionati di Premier League, il Chelsea havinto due volte e per tre volte è arrivatosecondo. Risultati impensabili fino aqualche anno fa, anche nel comunquefelice periodo di Ranieri-Gullit-Vialli. La rivoluzione russa di Abramovich hatrovato un alleato vincente come JoséMourinho e i risultati sono puntual-mente arrivati. L’ultimo cruccio del pa-tron russo è la Champions League, per-sa in finale dal Chelsea nel 2008, guar-da caso proprio nello stadio di Mosca.Per vincere l’unico trofeo mancante,dunque, è approdato alla corte anglo-russa di Stamford Bridge un altro alle-natore vincente: Carlo Ancelotti. Nellafinale del prossimo maggio a Madrid,dunque, Abramovich potrebbe final-mente completare il piccolo capolavororealizzato con i blues e dimostrare, unavolta di più, i benefici effetti dei petro-rubli che stanno conquistando Londra.

Il Chelsea parla russo

IL CASO

FOCUSSilvia Antonioli

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gare le tasse sui i redditi conse-guiti all’estero. Per di più in In-ghilterra i capitalisti russi avreb-bero potuto godere di una libertàdi movimento più ampia e di ungoverno meno interessato a “met-tere il naso” nei loro affari, rispet-to all’esecutivo interventista dellamadrepatria.Alcuni dei nuovi ricchi deglianni Novanta rimasti in patria,infatti, scivolarono in situazionipoco piacevoli. Mikhail Kho-dorkovsky per esempio, il qualeaveva goduto dello stretto lega-me con i presidenti Gorbaciov eEltsin, cadde in disgrazia sottoil governo Putin. Fu spogliatodi gran parte delle proprie for-tune e condannato ad otto annidi prigionia. Per via di esempi del genere, on-date di businessmen russi si ritrova-rono a spostare la loro residenzaaltrove, in cerca di una certa pro-tezione. Nonostante l’attuale pre-sidente Medvedev abbia insistitosull’idea che il governo russo nondebba intimorire e spingere allafuga gli imprenditori locali, mol-ti tra questi continuano ad inve-stire le loro ricchezze altrove senon addirittura ad espatriare.

Per alcuni diloro la parten-za dalla Russiafu un vero eproprio ostra-cismo politico:

Boris Berezovsky, Akhmed Zaka-yev, Alex Goldfarb e AlexanderLitvinenko chiesero asilo politicoin Inghilterra per sfuggire a situa-zioni ad alta tensione sviluppatesiin Russia.

Il caso dell’ex membro del Kgb,Alexander Litvinenko, residentea Londra ed assassinato con polo-nio radioattivo fece il giro delmondo, per via della sinistra so-miglianza con la trama di unthriller ambientato ai tempi dellaGuerra Fredda. Ed invece Litvi-nenko è stato assassinato in tempiben più recenti nel 2006. A Lon-dra Litvinenko godeva di asilopolitico per sé e per la sua fami-glia e lavorava come giornalista escrittore non risparmiando fortiaccuse al governo russo. La suatragica morte apparve a molti co-me inevitabilmente collegata aicontrasti con esso. Akhmed Kha-lidovich Zakayev è un altro dissi-dente russo rifugiatosi a Londrachiedendo protezione politica. Èl’attuale Primo ministro dellanon riconosciuta repubblica cece-na di Ichkeria.Accusato dal governo russo, sindal 2002 di terrorismo, si rifugiòin Inghilterra, il cui governo neha rifiuto l’estradizione per man-canza di prove e per l’alto rischioche Khalidovich venisse sottopo-

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Il caso di Litvinenko, ex del Kgb ucciso con il polonio, ha fatto il giro del mondo

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sto a torture se costretto al ritor-no in Russia. In inghilterra strin-se amicizia con Alexander Livti-nenko, della cui morte accusò ilpresidente Putin.Il micro-biologo Alexander Gol-dfarb strinse amicizia con Litivi-nenko mentre portava avanti stu-di sulla tubercolosi nelle carcerirusse. Fu il portavoce di Livtinen-ko nelle sue ultime settimane divita e dopo la sua morte scrisse illibro: Morte di un dissidente: l’avve-lenamento di Alexander Livtinenko eil ritorno del Kgb.A confermare che trattare con ilgoverno o gli oligarchi russi è unaffare bollente lo dimostra un’al-tra morte eclatante; quella diStephen Curtis, l’avvocato di al-cuni tra i più potenti uominid’affare russi in Inghilterra in-clusi Boris Berezovsky e MikhailKhodorkovsky, proprietario dellatravagliata compagnia petroliferaYukos. Curtis era entrato negliultimi mesi prima della sua mor-te in uno stato di intenso stressed aveva più volte esternato ti-mori per la sua incolumità e

quella della sua famiglia per viadi informazioni scottanti legateai suoi illustri clienti. Nel marzo2004 il suo elicottero precipitòed esplose in un incidente quan-tomeno misterioso.La grande influenza della comu-nità russa a Londra non derivaesclusivamente da coloro chehanno scelto di spostarvi la pro-pria residenza; oligarchi russi re-sidenti in Russia o altrove spessoscelgono comunque Londra comemeta preferenziale per i loro inve-stimenti, per via del tessuto com-merciale ben radicato, l’influenzadella borsa inglese a livello inter-nazionale e le sicurezze legali che,date per scontate nel mercato bri-tannico, sono invece spesso a ri-schio in patria. Tra il 1998 ed il2004 oltre 100 miliardi di dolla-ri sono fuoriusciti dalla Russia efluiti in terra straniera, secondo larivista americana Forbes. Granparte di questi fondi sono giuntiproprio in Inghilterra, spesi trale boutique lussuose di Chelseae nel mercato immobiliare chestava crescendo incessantementein quegli anni.Se da un lato il boom delle materieprime ha moltiplicato le risorsedi molti tra i millionari russi, èanche vero chequesti hannoiniziato ampia-mente a diver-sificare i loroinvestimenti e molte liquidità so-no state investite nel settore fi-nanziario che è un tassello essen-ziale della struttura economicalondinese.L’influenza russa sullo Stock ex-

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Tra il 1998 e il 2004 oltre cento miliardi didollari sono fuoriusciti

dalla Russia

FOCUSSilvia Antonioli

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change di Londra è notevole, siaper l’alto numero di compagnierusse presenti sul mercato sia perle ingenti quantità di denaro chegli oligarchi russi investono nelmercato inglese.Se la Russia di fine anni Ottanta-primi Novanta, in piena fase ditrasformazione, era guardata conqualche ostilità e dubbio dalmondo occidentale, negli ultimidieci anni la situazione si è capo-volta, con business inglesi ed euro-pei che notano l’impatto dellapresenza di risorse russe all’inter-no dei propri confini e accolgonocon gratitudinel’infusione di li-quidità che arrivain notevoli quan-tità da territori exsovietici.L’immagina dellaGrande MadreRussia, duramen-te colpita, intaccata e piegata ne-gli ultimi decenni, è improvvisa-mente tornata a brillare.Circa cento compagnie, prove-nienti dall’ex territorio sovieticosono attualmente quotate allaborsa di Londra tre fanno partedelle top 100 quotate nell’indiceFtse. Molte ancora puntano a rag-giungere questo ambito gradino.Il miliardario russo Deripaskanon ha mai fatto segreto del fattoche uno dei suoi obiettivi è di farentrare la sua compagnia, Rusal,tra i blue chips del Ftse.Un altro dei settori economici in-glesi fortemente influenzato dallerisorse russe è il settore immobi-liare. Negli anni della bolla im-mobiliare 2003-2008, gli acqui-

renti russi ebbero un peso note-vole. Sembrava non ci fosse dimo-ra troppo sontuosa o prezzo trop-po per questi milionari che inve-stirono pesantemente nel mercatoimmobiliare inglese e londinese. I milionari russi hanno anche la-sciato il segno su altri settori dellascena londonese quali l’arte. Abra-movich si è fatto promotore dellamostra Fotografie dell’Uzbekistandel fotografo Max Penson ed haacquistato opere di Francis Bacone Lucian Freud a prezzi record.Usmanov sembra esser stato at-tratto dal mondo dell’arte a sua

volta: la casa d’astelondinese Sotheby’sfu spinta nel 2007ad annullare l’astadedicata alle operedel musicista russoMstislav Rostropo-v ich dopo cheUsmanov entrò a

visionare la collezione, esposta allaSomerset House di Londra e decisedi acquistarla interamente per po-co piu di 20 milioni di sterline,con l’intenzione di donarla al go-verno russo, a dire di alcuni, o co-me investimento personale secon-do altri.Lo sport britannico ha anche atti-rato le attenzioni e gli investi-menti di alcuni tra gli uominid’affari russi. Abramovich fu ilprimo tra i grandi ad entrare nelmondo del calcio inglese, conl’acquisto del Chelsea nel 2003.Questa mossa fece inpennare lasua popolarità in Inghilterra, maper ora sembra che l’investimentoabbia portato piu spese che gua-dagni. Usmanov, dopo aver di-

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Negli anni del boomimmobiliare, sembravache non ci fosse dimoratroppo sontusa o caraper i russi londinesi

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chiarato la sua passione per l’Ar-senal, decise di comprarne unaquota. Aleksandr Gayadamakpossiede invece il Portsmouth.Un businessman russo ha persinodeciso di mettere mano al poten-tissimo settore mediatico inglese,tramite l’acquisto del quotidianoEvening Standard. Alexander Le-bedev, ex-spia del Kgb, possiedeora il 75% del quotidiano britan-nico, finanziariamente indebolitodalla crisi del consumo.Ma proprio quando l’influenza lapopolarità e le ricchezze dei “fuo-riusciti” russi sembrava aver toc-cato il picco, la crisi finanziariapiu devastante degli ultimi de-cenni si è abbattuta con violenzasull’economia mondiale ed hascosso fortemente i mercati inter-nazionali e danneggiato dramma-ticamente i patrimoni dei suoiinvestitori.Gli influenti investitori ed im-prenditori russi non hanno fattoeccezione. Deripaska ha perso cir-ca 24,5 miliardi di dollari secon-do la rivista americana Forbes.Molte delle sue attività, inclusiRusal e il colosso Norilsk, il piugrande produttore al mondo dinichel, di cui Rusal possiede il25%, hanno subito gravissimidanni. Il governo russo nell’otto-bre 2008 è stato costretto ad ap-provare un piano di salvataggioper Rusal offrendo un prestito di4,5 miliardi di dollari per aiutarela compagnia a ripagare i debitistraneri. Deripaska ha anche re-centemente dichiarato che mette-re in vendita il 25% di Norilsk èun ormai una seria possibilità, e ilconnazionale Vladimir Potanin,

che gia possiede 25% di Norilsk,compagnia quotata alla borsa diLondra, sta valutando l’ipotesi dicomprare queste azioni.Il patrimonio di Abramovich si èpiu che dimezzato e cosi anchetanti altri milionari e miliardarirussi hanno fortemente risentitodelle conseguenze della recessione.Questa, infatti, ha da un latoschiacciato i prezzi e spinto altracollo la domanda di materieprime, base dell’economia di pae-si con ricchi giacimenti naturaliquali la Russia; dall’altro lato, lacrisi del credito ha causato pro-blemi persino ai plurimilionariper finanziare le loro attività.Eppure c’è da giurare, che essendoin controllo di settori chiave del-l’economia mondiale, gli oligarchiRussi riusciranno ad alzare la testae rialzarsi probabilmente prima diuomini d’affari con interessi legatia settori meno primari.

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FOCUSSilvia Antonioli

SILVIA ANTONIOLIEsperta di politica e cultura dell’America La-tina, vive attualmente a Londra, dove si oc-cupa di mercati fisici e finanziari di materieprime. Ha lavorato per la casa editrice In-forma con cui continua a collaborare comefree-lance. Lavora attualmente come com-modities’ markets reporter per la casa editriceEuroMoney.

L’Autore

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Suggestioni, ricordi, drammi umani e collettivi, esplosioni di

gioia e ritrovata libertà. Sono alcuni dei sentimenti che sca-

turiscono dalla lettura del lungo reportage a puntate che Pier-

luigi Mennitti ha confezionato per Ffwebmagazine, il giornale

online della Fondazione FareFuturo.

È un viaggio alla ricerca di quella “nuova Europa” nata dai cal-

cinacci del Muro, un autentico e inestimabile patrimonio

umano e culturale che, dopo mezzo secolo di torpore sovi-

etico, è stato riconsegnato al nostro continente, con tutti i suoi

traguardi e le sue inquietudini, i progressi economici e le dif-

ficoltà derivanti dalla crisi mondiale in atto.

gli strumenti di

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STRUMENTI

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Ci sono gesti che a un ventenne di oggicon un po’ di spirito di avventura appaio-no naturali. Come arrivare giù sino a Brin-disi, ripercorrendo strade antiche battutenella storia dagli eserciti romani o dai cro-ciati, o in tempi appena più recenti daicommercianti inglesi della valigia delle In-die. Arrivare in fondo alla Via Appia, dovele colonne romane annunciano l’Adriati-co, e infilarsi in una delle tante agenzie diviaggio che si affacciano sul lungomare. Elì acquistare un passaggio navale per l’Al-bania, nuova meta del turismo alternati-vo. Oppure, tanto per rimanere in Italia,fermarsi un migliaio di chilometri più anord, dalle parti di Gorizia, e attraversare,senza quasi neppure accorgersene, quelloche prima era un confine di sangue e dilutti per prendere alla stazione ferroviariaTransalpina (che nei secoli era passata diqua e di là, ballonzolando tra Austria, Ita-lia, Jugoslavia e Slovenia) uno scalcinatotreno locale verso Rijeka (una volta Fiu-me) e Lubiana. Senza neppure mostrareun documento d’identità, da quando lapiccola nazione rinata resistendo ai carriarmati di Belgrado, ha abbandonato il so-cialismo dal volto titino ed è entrata nellacosiddetta area Schenghen. In vent’anni.Vaglielo a spiegare, al ventenne di oggi,che questi gesti naturali un tempo, e ne-anche un tempo troppo lontano, eranogesti impossibili. La storia si ripete ancora

più a nord, lungo tutta quella fascia cheper oltre quarant’anni ha segnato un con-fine di ferro e di spine, dal Baltico al-l’Adriatico, da Lubecca a Vienna e poi aTrieste e giù fino a Brindisi e al capod’Otranto. Oggi i treni trasportano lavo-ratori giornalieri dalla Polonia alla Germa-nia senza bisogno di dichiarare chi si è ecosa si trasporta. Laddove c’erano garrittee sbarre, avverti solo lo stridere delle ro-taie su un ponte che adesso inneggia allasolidarietà fra due popoli: sbirci dal fine-strino e vedi il fiume Oder, un confine chesembrava invalicabile, un limes da dopo-guerra, tirato su in un ufficio di Moscaquando c’era da punire la Germania, ri-cacciare Varsavia più ad ovest e riprender-si un pezzo di Polonia, come fosse unariedizione postuma del patto Ribentropp-Molotov questa volta a senso unico, e ap-piccicarlo all’Ucraina divenuta una delleRepubbliche dei Soviet. Il Drang nachWesten russo, uguale e contrario a quelloche nel decennio precedente aveva porta-to gli eserciti di Hitler fin sotto le mura diStalingrado. Oggi, sull’Oder, ci passano lecolf polacche, in trasferta giornaliera nellecase e negli stipendi berlinesi: sveglia allecinque, partenza alle sei, arrivo alle nove,quattro ore di ramazza, una manciata dieuro e rientro a casa per la cena.Sarà meno letterario il passaggio dellecolf rispetto a quello degli ufficiali, o delle

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di Pierluigi Mennitti

VIAGGIO ALLA RICERCA DELLA NUOVA EUROPA

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spie di Le Carré negli anni della guerrafredda, o dei clandestini polacchi e ucrainiche subito dopo il disgelo politico cerca-vano di guadare il fiume per raggiungere“Lamerica” su questa sponda di Brande-burgo che era per i tedeschi dell’ovestquello che l’Albania era per i pugliesi dicasa nostra (boat people, profughi e mi-seria), eppure se l’Italia del 1948 fu salva-ta dall’anticomunismo delle vecchie zie,donne pie e di buon senso che di Baffonediffidavano per istinto, la nuova Europa sicostruisce sulle putzfrau, le colf pendolari

che rallegrano di bonomia slava le giorna-te di Berlino.Vaglielo a spiegare al ventenne di Praga,che ha dimenticato il rogo di Jan Palach, laprotesta disperata come sacrificio supre-mo, per testimoniare, per non arrendersi.Il ponte Carlo sotto i cui archi di pietra sci-vola lenta la Moldava, è pieno zeppo di tu-risti low cost, sputati a frotte ogni giornosulle piste dell’aeroporto affittato ai vetto-ri del turismo mordi e fuggi. Agli “ismi” diun tempo, che facevano Praga triste, soli-taria e tragica si sono sovrapposti gli “air”

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STRUMENTI

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di oggi, la desinenza che incarna lo spiritodei tempi: Ryanair, Bizzair, Air Europe, AirBerlin, Carpatair. E forse è meglio così, èmeglio che i nuovi russi, i neoricchi dell’eraputiniana con i portafogli imbottiti di rubli,sbarchino dalle scalette di un low cost cheda quelle di un carro armato, come feceronella primavera di Praga.Voli a basso prezzo e colf, la nuova Euro-pa non ha più nulla di romantico e si pre-

senta a noi vecchi europei un po’ snob,che rimpiangiamo le malinconie dell’Est eil brivido di un visto timbrato, con la spa-valderia di chi questo nuovo Zeitgeist vuolviverlo senza ipocrisie. La vita è qui e nonaltrove.Vaglielo a spiegare al ventenne berlinese,che passeggia proprio lì nell’epicentro ditutto, dove l’altra Europa nacque e morìattorno ad un muro che venne su in una

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notte sola e in un’altra notte, ventotto an-ni dopo, sparì. Le ricordiamo ancora ledanze dei ventenni di allora, equilibristidella libertà sul filo di mattoni, e non c’eraverso di farli venire giù, neppure con i get-ti gelidi degli idranti sparati dai Vopos pri-ma che questi soldatini di piombo capis-sero che ormai non c’era più nulla da fare,un mondo, il loro mondo, era finito e daquel momento cominciava il mondo deidanzatori. No, il ventenne di oggi non losa che lungo la porta di Brandeburgoc’erano mattoni e cartelli, Achtung! Sieverlassen den amerikanischen Sektor, tor-rette e filo spinato, cani da guardia e sen-tinelle che sparavano a vista. Oggi che ilventennio della democrazia ha reso bana-le attraversare la porta, sotto i colonnatirimessi a lucido per l’orgoglio della città ele camere digitali dei turisti, i problemi so-no altri. Quelli di una Berlino che ancoraricuce il proprio passato diviso, che nonha visto esaudite tutte le promesse diquei giorni rivoluzionari, che costruisce afatica, passo dopo passo, anno dopo an-no, il senso comune del proprio futuro.Le vetrine dei negozi commercializzano lanostalgia kitsch del passato regime, og-getti vintage che aiutano a credere chenon era tutto sbagliato quello che erasbagliato: le tazze squadrate della Ddr, lesedie stazzonate della Ddr, le lampade diplastica della Ddr. Poi lo spumante Rotka-eppchen, che grazie ad un’astuta aziendadell’ovest sta vivendo una nuova giovi-nezza nella giungla del mercato libero.Perfino gli appartamenti incassati nei pre-fabbricati, i Plattenbauten, sono oggi pre-si d’assalto dagli studenti di tutta Europa,che ridisegnano attorno ai quartieri orien-

tali la nuova geografia della Berlino delVentunesimo secolo. Il futuro è Pankow,come il passato.Vent’anni dopo, l’Ostalgie è un mistobizzarro di marketing di successo, bana-lizzazione dei tempi che furono e disillu-sione per i tempi che sono. E va bene co-sì, inutile fare moralismi, meglio capire,gettarsi nella letteratura tedesca degli ul-timi tempi. Quella che ha qualcosa da di-re viene tutta da est, sia quando legge gliultimi anni del passato regime come faUwe Tellkamp che ha vinto il DeutscherBuchpreis 2008 con il suo Der Turm, siaquando racconta gli smarrimenti di oggi,come fa Ingo Schulze nel recentissimoAdam und Evelyn (per i tipi di Feltrinelliè appena uscito in Italia il suo lavoro pre-cedente, Bolero berlinese). Lì si troval’altra faccia del mondo comunista, me-no banale di un soprammobile falso re-trò griffato, e dobbiamo raccontarla perquello che era veramente, perché biso-gnerà pure dirsi che da ovest, quel mon-do e quelle vite, il mondo e le vite deglialtri, le abbiamo conosciute attraversouna buona dose di propaganda. E la pro-paganda aiuta a giudicare e a schierarsi,non a capire. Il ventenne che oggi si aggi-ra per l’Europa appare uno smemorato,sia che venga da est, sia che venga daovest. Sia che vada verso ovest, sia chevada verso est. Per questo, nell’anno chechiude il cerchio ventennale della cesuradel 1989, su Ff Magazine ricostruiremo,pezzo dopo pezzo, i tasselli di un Conti-nente che non ha smesso di cercarsi e dicapirsi. Perché nella notte in cui cadde ilMuro, e festeggiammo e ballammo e be-vemmo spumante acido sul cornicione

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sotto la porta di Brandeburgo, l’ovest haperduto l’est ma non ha più ritrovatoneppure se stesso.

13 gennaio 2009

Le fiamme dimenticate Ora che il quarantennale del 1968 è pas-sato, e con esso anche quel po’ di rico-struzione del “Sessantotto degli altri”,cioè il Sessantotto cecoslovacco della Pri-mavera di Praga, a ricordare l’evento piùtragico di quella rivoluzione mancata re-stano in pochi. Eppure per decenni il mito

di Jan Palach, il giovane studente univer-sitario che si diede fuoco nella centrale esimbolica piazza San Venceslao di Praga,influenzò generazioni di studenti, poeti ecantautori in tutta Europa. Oggi che daquel gesto di ribellione alla sopraffazionedel potere sono trascorsi, appunto, qua-rant’anni, Jan Palach sembra scivolatonell’oblio della storia. Anche a casa sua. Igiornali cechi ne parlano poco, le alte cari-che istituzionali sono alle prese con le pri-me settimane di un difficile semestre dipresidenza europeo, gli storici hanno

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svuotato nell’anno appena terminato gliarmadi della memoria e per cercare qual-che commemorazione bisogna battere ilocali underground della capitale boema,come se nel castello di Hradcany ci fosseancora un dittatore nominato nella Moscadei Soviet e non un presidente che si èfatto le ossa leggendo Hayek e Mises, i pa-dri del liberalismo.Le lapidi che lo ricordano, invece sono unpo’ dappertutto. Quei lineamenti che ilfuoco sfigurò mortalmente per sempre lipuoi seguire scolpiti nella pietra o dise-

gnati con un filo di bianco sulla lastra nerache giace proprio ai piedi di Venceslao ilSanto, il patrono di Boemia che si stagliain groppa al cavallo di bronzo in cima allapiazza omonima, cuore di tutte le passio-ni boeme, dalla rivoluzione fallita del1968 a quella riuscita del 1989, dal piom-bo acre dei cannoncini dei carri armati aifiori colorati della rivoluzione di velluto. Ilvolto di Jan Palach riporta gli zigomi pro-nunciati tipici delle popolazioni slave, gliocchi fieri, il ciuffo sbarazzino di ventennesenza paura. Sotto, le date di nascita e di

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morte, l’arco troppo breve di una vitabruciata attorno a una speranza svanita.Era il 16 gennaio del 1969 quando questostudente, stretto in un cappotto di lana, siavvicinò a passi svelti al basamento dellastatua. La piazza San Venceslao è un im-menso spiazzo aperto, quando ci arrivi fa-tichi a immaginartelo come una piazza.Sembra piuttosto un lungo boulevard, diquelli che potresti trovare nei grandi spazidi Parigi. Sale ripido dai viottoli della cittàvecchia, dalle parti dell’Università Carlo,fino all’incrocio di due grandi viali, il Vilso-nova e il Mezibranska. A percorrerlo tutto,passi pure per due fermate della metro-politana, Mustek e Muzeum, tanto è lun-go. Le auto scivolano lente su due carreg-giate, una a salire l’altra a scendere, ai latinegozi di ogni genere, souvenir, librerie,edicole, gioiellerie, antiquari, gli imman-cabili fast food della nuova era, e poi i lus-suosi grandi hotel, nei cui caffè al pianoterra è transitata la moltitudine cosmopo-lita dei letterati che hanno fatto di Pragauno dei centri più vitali della cultura euro-pea. Tra le due carreggiate un ampio spa-zio pedonale anche al centro, come sul-l’Unter den Linden di Berlino: mattonelle,aiuole, piante, panchine. È dolce la vita aSan Venceslao, la piazza che sembra unboulevard.Ma quel 16 gennaio di quarant’anni fa ladolcezza se n’era andata con i carri armatisovietici e la primavera di Praga era sfiori-ta in un autunno, e poi in un inverno, cari-co di terrore e rassegnazione. I sovieticiavevano ad agosto forzato la mano e im-boccato la via della restaurazione: la dot-trina brezneviana della sovranità limitataaveva sbarrato la strada al socialismo dal

volto umano, e con esso a qualsiasi ipote-si di riforma del comunismo. In più, la de-molizione del sogno riformista venne affi-data alle stesse mani che l’avevano co-struita: fu l’umiliazione peggiore per unpopolo che aveva mostrato coraggio e in-dipendenza e che aveva provato a sfidareil potere con le armi della gentilezza e del-l’ironia. Il Dubcek che aveva incarnato lascommessa riformista fu costretto a gui-dare la marcia indietro, a smantellare le li-bertà acquisite, a ripristinare il grigiorepassato. Indubbiamente, la dolcezza erasvanita dalle parti di piazza San Vence-slao, quel 16 gennaio.Jan Palach percorse tutta la salita fino albasamento, appoggiò la borsa su una pie-tra, si tolse il cappotto e si cosparse il cor-po di benzina. Quindi accese un cerino ediventò di fuoco. Il primo a soccorrerlo ful’autista di un tram che in quegli istantitransitava sulla piazza. Si precipitò su Pa-lach e gli gettò addosso il proprio cappot-to. Riuscì a strapparlo alla morte ma soloper pochi giorni. Tre, per l’esattezza, tantodurò la sua agonia. Ricoverato nell’ospe-dale della capitale, nei rari momenti di lu-cidità s’informava sulla reazione al suo ge-sto. L’androne dell’ospedale, così come illuogo in cui si è dato fuoco, furono coper-ti di fiori e lumini. La notizia gli strappò gliultimi sorrisi. Morì il 19 gennaio.Fu l’ultimo scossone alla politica di re-staurazione. I suoi funerali radunano qua-si un milione di persone dietro il feretro,lungo il percorso e nella piazza San Ven-ceslao. Il corteo fu aperto dalla banda de-gli ottoni di uno stabilimento industrialedi Praga e dal corpo accademico vestitonelle toghe medievali. Era una giornata di

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pioggia e freddo. Dai palazzi vennero sro-tolati pesanti drappi neri. L’emozione eraforte ma ancora una volta non scoppiò al-cuna violenza. Nei mesi successivi, altrigiovani si immolarono, emulando il sacri-ficio di Jan Palach. La catena era stata an-nunciata dallo stesso Palach, in una lette-ra trovatagli nella tasca del cappotto. Traquesti Jan Zajic, la cui immagine affiancaoggi quella di Palach sulla piazza San Ven-ceslao. Ma non successe nulla. La macchi-na del potere chiudeva inesorabilmentetutti gli spazi liberi rimasti. Ne fu vittimalo stesso Dubcek, depresso e ormai l’om-bra del leader coraggioso e determinatoche fu. Sparì anche lui nelle pieghe dei di-menticatoi dell’est.Ma come arrivò Palach a diventare un sim-bolo di libertà? Egli nacque l’11 agosto1948 a Melnik, una manciata di chilometria nord di Praga proprio nell’anno in cui ilpartito comunista prese il potere in Ceco-slovacchia. Perso il padre a soli tredici an-ni, si maturò nel locale liceo ginnasio nel1966 con la speranza di iscriversi all’uni-versità. Nonostante un ottimo esame in fi-losofia, dovette attendere due anni primadi accedere agli studi universitari per il so-vraffollamento delle iscrizioni. Si iscrisseproprio nel 1968, l’anno della Primavera diPraga. È qui che partecipò ai movimentistudenteschi che, assieme a quelli deglioperai delle fabbriche, rappresentarono ilnerbo della rivolta praghese. Visse la spe-ranza delle riforme e la delusione e la rab-bia per l’intervento dei carri armati delPatto di Varsavia, la notte fra il 20 e il 21agosto. Aveva compiuto vent’anni da pocopiù di una settimana. In autunno, alla ri-presa dei corsi, l’Università Carlo entrò in

sciopero ma nei mesi successivi le vicendepolitiche imboccarono la via della restau-razione. Fu in questo clima di disincantoche Jan Palach maturò, assieme a ungruppo di amici, l’idea di dare una scossaai suoi concittadini e agli studenti, affinchériprendessero a lottare per gli ideali traditi.Le fiamme di Palach e dei suoi amici (sicontarono ancora quattro suicidi) non ri-scaldarono più la primavera del Sessan-totto praghese ma furono le stelle cometeche i cecoslovacchi seguirono fino alla ri-voluzione del 1989. Un peccato davveroche oggi il ricordo affievolisca nel suo stes-so paese, ormai diviso tra Praga e Bratisla-va e forse incapace di alimentare il presen-te con la lezione del passato.Già dieci anni fa, in occasione del trenten-nale della morte, un sondaggio fra gli stu-denti di Praga rivelò che la maggioranza diessi considerava il gesto di Palach il tristesimbolo di un sogno infranto e un gestoavventato e inutile. Dieci anni dopo è for-se il caso di riportare le struggenti paroledello scrittore Hrabal, riprese dal testo “Ilflauto magico”: «Io piangevo in silenziosul fatto che probabilmente è vero che glidei hanno abbandonato questo mondo eche se ne è andato Ercole e se n’è andatoanche Prometeo, che se ne sono andateanche quelle forze sulle quali ruotava ilmondo, e qui come ultimo è rimasto nonun roveto in fiamme, ma un giovane stu-dente in fiamme, che nell’ultimo atto delrogo era quello che era. Io, se fossi statocon lui in quel momento, io lo avrei prega-to in ginocchio, di bruciare, ma in mododiverso, di bruciare con la parola, che po-teva farsi corpo, che poteva aiutare quelliche ancora non bruciavano e semmai bru-

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ciavano con lo spirito e nello spirito. Ma èandata così».

15 gennaio 2009

L'inatteso declino delle tigri balticheIl sabato notte, gelido e invernale, di Rigaè rischiarato dalle vetrine sempre illumi-nate del McDonald’s, all’incrocio più cen-trale della città vecchia, tra la pedonaleKalku iela e il trafficatissimo Basteja bul-varis, dove auto e taxi fanno a gara con itram ma poi inchiodano rispettosamentedavanti alle strisce pedonali più lungheche abbia mai visto. È un po’ il centro del-la movida lettone, tra il pilone illuminatodella pubblicità di una famosa cioccolatalocale dove le ragazze del posto dannoappuntamento ai turisti dell’amore pernon fargli sapere dove abitano, il ponte

pedonale sul canale Pistelas, la statuadella libertà simbolo dell’indipendenza e,appunto, la Kalku iela, la via dello struscioche s’infila nel dedalo di vicoli e piazzettedel centro storico.Per tutta la notte, anche d’inverno, quan-do il gelo e la neve smorzano gli entusia-smi della nuova gioventù lettone, ilMcDonald’s sforna, sottoforma di cheese-burger e fried chips, il mito americanodella trasgressione e della libertà. Fuoric’è sempre una lunga fila e anche all’alba,quando l’ora invoglierebbe più a una pri-ma colazione che al pollo fritto in salsabarbecue, c’è sempre qualche nottambu-lo che s’attarda di fronte al bancone e aiMcMenù fosforescenti. Mentre in altri an-goli della nuova Europa il sogno america-no ha ormai consumato la sua inevitabile

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li del 1990 e del 1991, quando l’onda tellu-rica da Berlino scosse anche il Cremlino ediede il via al processo di disintegrazionedell’Unione sovietica. Fu per prima la Li-tuania a proclamare l’indipendenza nelmarzo 1990. Poi l’Estonia e la Lettonia,nell’agosto del 1991, un giorno dietro l’al-tro. Queste sono le date scolpite sui basa-menti dei monumenti che inneggiano al-l’indipendenza. Potessero marchiare conqueste cifre anche i cheeseburger del-l’amico americano, lo farebbero di sicuro.Da allora sembra passato un secolo. Il re-cupero dell’identità nazionale, avvenutoanche al prezzo di dure emarginazioni ver-so le minoranze interne russe (che poi tal-volta tanto minoranze non sono, come nelcaso della Lettonia) è andato spedito el’urbanistica delle capitali la rispecchia con

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parabola, qui, nel cuore dei Paesi Balticiresiste più forte che mai. Più che l’Europaè l’America l’antitodo alla vicina Russia eaddentare un hamburger è un po’ comeimmunizzarsi dal virus di Mosca.Nel grande calderone del ventennale dellacaduta del Muro, Lettonia, Estonia e Li-tuania vivono il loro anniversario sfasato,marcando una propria specificità rispettoal cammino dell’Europa centro-orientale.Qui il 1989 è in fondo una data come lealtre. Certo, segna l’inizio di un percorso:il consolidamento dei fronti popolari, lemanifestazioni di piazza in cui vennerocantate per la prima volta le canzoni na-zionali proibite dal regime, la catena uma-na che unì questi popoli coraggiosi da Vil-nius a Tallinn, passando per Riga. Ma i nu-meri magici che tutti celebrano sono quel-

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i monumenti restaurati, la vivacità dei caf-fè e dei ristoranti, la presenza massiccia dinegozi di tipo occidentale. E di banche.Già, le banche. La storia vorticosa di que-sto doppio decennio ha fatto in tempo ascaraventare i tre paesi sui binari impazzitidelle montagne russe (ah, russe, che coin-cidenza). Su su, verso una crescita econo-mica che dalla metà degli anni Novanta hafatto gridare al miracolo. E ora giù giù, ver-so l’abisso di una crisi che all’inizio sem-brava girare alla larga e che invece, negliultimi mesi, ha investito queste tre fragilirepubbliche come un tornado.Fuori dagli splendori delle città vecchieoggi si gira un altro film. Arrivi all’aero-porto di Vilnius e sembra di sbarcare inSiberia. Una desolazione. Non si muovenulla. Non c’è un velivolo che parte, nes-sun volo atterra. Vuoto il terminale degliarrivi, desolato quello delle partenze. Iltabellone elettronico annuncia solo unamanciata di voli serali: Amsterdam, Hel-sinki, Riga e una solitaria tratta esoticaverso Bangkok. La compagnia di bandieraè appena fallita e non c’è un Colaninnoqualsiasi che si metta in testa di provare asalvare il salvabile. Né una compagnia piùgrande che abbia in mente di rilevarla.Cerchi un bancomat a Riga e t’imbattinella Parex Banka, l’istituto che il governolettone ha salvato lo scorso novembredalla bancarotta, dopo aver ripetuto persettimane il mantra che la crisi mai e poimai avrebbe lambito il felice regno di Let-tonia. Si può immaginare il brivido chedeve aver percorso la spina dorsale deipolitici di Riga, che non immaginavano intempi così brevi di dover fare un salto nelpassato delle statalizzazioni. E anche Tal-

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linn, da sempre la prima della classe, devevedersela con i tagli che le aziende tecno-logiche finlandesi stanno predisponendoper affrontare il 2009, l’annus horribilis.Quanto questa crisi inciderà sulle freschefortune degli stati Baltici si vedrà neiprossimi mesi. La preoccupazione è che,specie in Lettonia ed Estonia, la crescitasia stata tanto rapida quanto fragile. Oggiche il castello di carta viene giù, si fanno iconti anche con le fortune rapidamenteaccumulate, con i soldi arrivati per vie tra-verse, con gli investimenti senza tetto nélegge, con il denaro portato dai vicini rus-si che tutti dicono in odore di riciclaggio.Quando il livello dell’acqua scende, è lamelma che viene a galla. Quasi vive lasua rivincita la cenerentola lituana, la piùpovera delle tre sorelle, che, compagniaaerea a parte, può aggrapparsi a quelche è rimasto della sua tradizionale in-dustria pesante.È dunque finita la favola baltica? No, è fi-nita semmai l’illusione che questo angolodi nuova Europa sarebbe cresciuto all’in-finito, come fosse un’isola staccata datutto quel che la circonda, e che la magiadella Hansa trasformasse in oro (o in am-bra) ogni ferraglia che toccava. Le conte-stazioni davanti al parlamento di Riga, lefinestre del nobile palazzo ferite dai lancidei preziosi sanpietrini, le cariche dellapolizia lituana contro i manifestanti di Vil-nius, i governi che si dimettono e le ele-zioni anticipate sono il segno di una delu-sione montante verso i politici e verso gliex nuovi ricchi. Come Valery Kargin e Vik-tor Krasovitsky, i due uomini più ricchidella Lettonia, fondatori della Parex Ban-ka, ai quali giornali sempre sensibili agli

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umori mutevoli della piazza rinfacciano ilussi perduti: quelle stesse auto vistose,quei jet privati su cui si muovevano e que-gli stessi smoking che solo qualche annoprima riempivano le fortunate paginemondane. Ma questo è un film già visto, atutte le latitudini.Certo è un peccato che l’anno del venten-nale della caduta del Muro venga celebra-to a suon di lacrimogeni. E forse non èneppure giusto. Oltre agli anni della cre-scita economica a due cifre, le tre Repub-bliche sempre troppo banalmente acco-munate, in realtà assai diverse fra di loro,hanno ricostruito con grande successo in-dipendenza e identità. Hanno visto nasce-re più velocemente che in altre regioniuna nuova borghesia intraprendente e vi-vace. Si sono avvicinate all’agognato occi-dente aggrappandosi all’Europa e so-gnando l’America. Il volto delle tre capita-li ha ripreso le sembianze tipiche del pas-sato: Vilnius ha recuperato la sua atmo-sfera centro-europea, Riga si è rimodella-ta sulla memoria anseatica e Tallinn si è ri-costruita sul modello scandinavo. Le torriricordano quelle di Lubecca, Straslund eDanzica, i magazzini del porto somiglianoa quelli di Helsinki e Stoccolma. E sul Bal-tico si è stesa una rete fitta di traffici ecommerci, supportata da investimenti nelsettore tecnologico che non trovano pariin altre zone della nuova Europa.Poi ci sono i cittadini comuni. Ivar Lasis hada poco passato i trenta, lavora al ministe-ro degli Esteri di Riga e quando gli chiediquale sia la cosa che più di tutte gli hacambiato la vita in questi vent’anni rispon-de senza esitare: la possibilità di viaggiare.Un refrain che ritrovi ovunque, tra i giova-

ni di questa metà d’Europa: a Varsavia, aKiev, a Odessa, a Bucarest, a Budapest, aTirana e a Praga. Viaggiare. Potersi muo-vere. Vivere la sensazione di libertà, di nonessere più ingabbiati dietro la cortina diferro. Di giovani ne sono partiti tanti, unpo’ per passione, un po’ per sfida, un po’per lavoro, anche da qui, perché il miraco-lo economico non bastava per tutti. Oradicono che ne stiano rientrando molti,espulsi dalla crisi che morde i paesi che piùdi tutti avevano offerto loro opportunità:l’Inghilterra, l’Irlanda. Tornano in quelleche non sono più le tigri baltiche. Ma tro-veranno comunque paesi migliori di quelliche avevano abbandonato.

5 febbraio 2009

Quella "rivoluzione stanca" che cam-biò la PoloniaEra esattamente vent’anni fa. Era il feb-braio del 1989, e in una Varsavia che viag-giava da tempo in anticipo rispetto al ca-lendario gorbacioviano della perestrojka,si apriva la tavola rotonda. Intorno, i nemi-ci di un tempo: gli uomini del governo co-munista in carica, il sindacato fantoccio diregime, gli eroi di Solidarnosc, i gruppi diopposizione sorti clandestinamente dopogli scioperi sedati del 1981 e ora riemersidalla penombra. In tutto cinquantasettepersone. La transizione polacca maturò lì,in quelle stanze anonime e burocratiche,così lontane dai rumorosi cantieri di Dan-zica dove tutto era iniziato nove anni pri-ma. Il capitolo polacco della rivoluzionedel 1989 si distacca dall’epopea che visse-ro tedeschi dell’est e cecoslovacchi, e poirumeni e baltici e albanesi nei mesi e neglianni a seguire. Fu un passaggio politico,

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un lavoro di trattative e accordi, una batta-glia sul filo sottile della retorica e del brac-cio di ferro, giocato però sul tavolo delladiplomazia. Fu la tavola rotonda. Lo storico François Feitö la definì «la rivo-luzione stanca». D’altronde la Polonia lasua rivoluzione l’aveva fatta nel 1980, conLech Walesa aggrappato alle inferriate deicancelli dei cantieri sul Baltico, gli operai insciopero, la nascita di Solidarnosc. E forseancora due anni prima, quando nell’otto-bre del 1978 dal balcone di Piazza SanPietro si affacciò, coperto della sacra tala-re bianca, l’arcivescovo di Cracovia KarolWoytjla, appena eletto Papa GiovanniPaolo II. Da allora la società polacca non fupiù la stessa, nonostante la cappa di silen-zio imposta dalla restaurazione militare diWojciech Jaruzelski, che piegò la rivoltaoperaia senza riuscire a spezzarla. Per i so-vietologi più attenti fu un segno anchequello, l’intervento di una milizia internainvece che dei carri armati sovietici.Da un decennio, dunque, la Polonia era inmovimento, come una zolla sismica che,lentamente ma inesorabilmente, scivolavaverso la libertà, aggrappata al suo sinda-cato libero mezzo clandestino, ai gruppu-scoli del dissenso che corrodono dall’in-terno l’autorità del regime e, soprattutto,al suo Papa. Le immagini scorrono oggi dinuovo vivide, nonostante il colore stem-perato dal tempo. È il 3 maggio 1979, unanno dopo l’elezione al soglio pontificio,un anno prima degli scioperi nei cantieridi Danzica. Il nuovo Papa polacco compiela prima visita ufficiale nella sua terra. È aCzestochowa dove si trova il monastero diJasna Gora, il cuore spirituale del cattoli-cesimo est-europeo, dove i pellegrini ce-

lebravano la loro fede in barba ai divietidel regime. Oggi è tutto curato e rimessoa nuovo: un dedalo di viuzze lastricate disanpietrini lucidi, musei, uffici, alloggi, lasede della radio cattolica, qualche telefo-no pubblico utilizzato anche dalle suore,la basilica e la Cappella del dipinto mira-coloso in cui, posizionata sull’altare mag-giore, è conservata l’icona della Madonnanera. Si fa fatica ad avvicinarsi, perché idevoti si stringono compatti nella piccolastanza e sciamano lentamente, tutti ingi-nocchiati, lungo lo stretto corridoio che siincunea dietro l’immagine sacra. Trent’an-ni fa, nel giorno della visita del Papa, eradifficile muoversi anche negli ampi vialidei giardini sul lato nord. Lì, sul grandepalco mai più smontato da allora, KarolWoytjla parlò a più di un milione di suoiconcittadini accorsi da ogni angolo delpaese per ascoltarlo e lanciò un seme chenon smise mai di germogliare.Oggi la Polonia ha digerito tutto questo,anche se la memoria di Giovanni Paolo II èforse l’unica cosa che unisce tutti, creden-ti e non, destra e sinistra, giovani e anzia-ni. Il resto è divisione e contrasto. Anchela valutazione sulla tavola rotonda. Lamancanza di epos nell’epilogo della Polo-nia comunista ha lasciato spazio alle ac-cuse postume e sul significato di quelcompromesso si è accesa in tempi recentiuna polemica velenosa e infinita, non pri-va di strumentalizzazioni politiche. È ildestino di un paese che ha lasciato molticonti aperti con il proprio passato, sbal-lottato tra due vicini ingombranti, la Ger-mania e la Russia, e che ha dovuto rein-ventarsi storia e confini ogni volta che unaguerra finiva, transitando invariabilmente

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sulle proprie terre.Così accade anche per quello che fu il mo-mento del commiato del regime comuni-sta. Un doppio mito s’intreccia ancor oggi:quello della transizione pacifica di un paeseche aveva maturato molti contrappesi alpotere totalitario e che li seppe miscelarepoliticamente per ottenere l’agognata li-bertà e quello del tradimento di Solidar-nosc, del compromesso con gli aguzzini.«Fin dalla rivoluzione francese c’è questaconvinzione che i grandi sollevamenti dellastoria debbano concludersi con le ghigliot-tine e le esecuzioni, altrimenti non si puòparlare di rivoluzione», racconta sconsola-to il pubblicista polacco Adam Krzeminskialla radio tedesca Deutschlandfunk, «e an-che la Polonia non sfugge a questa convin-zione. Ma si tratta di posizioni minoritarie,che trovano ampio spazio sui media e chesuscitano anche litigi all’interno del vecchiogruppo di Solidarnosc».Già, la politica. Perché nella parabola po-pulista che ha illuminato i volti dei due ge-melli Kaczynski ha trovato spazio anche ilrisentimento e il rancore verso colui che re-sta (dopo Woytjla e la Madonna nera) laterza icona della Polonia: Lech Walesa. Èsulla sua figura che si è accanita la foga re-visionista dei Kaczynski, è sul suo mito, giàsberciato da una non felice esperienza po-litica nella Polonia democratica, che si èscatenata la rabbia dei nuovi potenti. Lavendetta si è rivestita di un nome sinistro,la lustracja, la volontà di passare al setacciole biografie di tanti protagonisti del chiaro-scuro polacco: l’indagine sospettosa e mo-ralista, obiettivamente fuori tempo massi-mo, laddove Solidarnosc aveva preferito lacattolicissima strada del compromesso e di

un indolore passaggio di consegne.Non fu tutto facile e scontato, in quellesettimane di incontri e trattative. Più diqualche volta il filo sottile sembrò spez-zarsi, fra l’intransigenza sindacale di Soli-darnosc e la speranza dei comunisti di ri-tagliarsi comunque degli spazi di potere.Ma la campana era ormai suonata, il cam-biamento squassava anche i più solidi re-gimi vicini e la Polonia mezza guarita dalmorbo “dell’impero del male” preferìstringere la mano al nemico sapendo cheil vento soffiava nelle vele dell’opposizio-ne. Il tempo di andare a votare, a giugno, eil comunismo finì in minoranza.Fermandosi oggi a guardare il tavolo ro-tondo, rimesso nella sua disposizione ori-ginale tra i pilastri nella sala del palazzopresidenziale, dove nel 1955 venne sancitala nascita del Patto di Varsavia e ora al-l’esterno sventolano le bandiere della Po-lonia, dell’Unione europea e della Nato, sipuò essere indulgenti con la scelta di alloradi percorrere la strada della politica. LaPolonia aveva già dato e, in quel febbraioin cui le stelle rosse si stavano per spegne-re in tutto l’oriente europeo, si trattava infondo di raccogliere il frutto di una lungasemina. Non c’era bisogno di spargere al-tro sangue. Nel gioco sempre obliquo dellapolitica, Jaruzelski aveva forse risparmiatoai polacchi nel 1981 il duro ferro dell’Ar-mata rossa e i polacchi risparmiarono, ot-to anni dopo a Jaruzelski, il duro ferro del-la ghigliottina. Peccato che qualche mesefa sia scomparso, in un incidente stradale,un testimone straordinario di quei tempicome Bronislaw Geremek.Poi è sufficiente uscire dal palazzo Radzi-will del presidente, e piegare a sinistra per

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l’elegante Nowy Swiat, la via dei caffè edei negozi, o incamminarsi a destra fian-cheggiando il lusso barocco dell’HotelBristol, mescolarsi agli studenti davantiall’Università e infilarsi nella città vecchia,il gioiello che l’operosità dei restauratoripolacchi ha restituito alla città dopo le de-vastazioni naziste. Li guardi in faccia, que-sti nuovi cittadini dell’Europa unita, epensi che dovrebbero semplicemente farei conti razionalmente con la loro storia.Perché il presente non è poi così male e ilfuturo, stavolta, potrebbe avere i coloripastello dei palazzi del Rynek.

2 marzo 2009

Schabowski, l'uomo che fece crollareil muroGünter Schabowski, si può dire, è l’uomoche aprì il muro. La sera del 9 novembre1989, in una conferenza di fronte allastampa estera, mentre fuori il regime giàvacillava e i cittadini dell’intera Ddr aveva-no ormai occupato le piazze e le stradedel paese, e premevano su quel muro e suquelle frontiere perché cadessero, unavolta per tutte, lui, Günter Schabowski,uno dei triumviri che qualche settimanaprima avevano defenestrato Erich Honec-ker, quel muro lo aprì. Con due parole di-venute leggendarie anche nella loro ver-sione tedesca: “Ab sofort, da subito”. Dasubito i cittadini della Ddr avrebbero po-tuto lasciare il proprio paese: due parolein risposta alle domande dell’ex corri-spondente italiano dell’Ansa, RiccardoEhrmann, giunto in ritardo alla conferen-za e per questo appollaiatosi sulle scalesotto il palco. Sono passati venti anni euna lunga catena di vicende personali ha

portato Schabowski su lidi distanti daquelli che aveva frequentato fino a quellanotte. Oggi come allora, si ritrova in unasala gremita di giornalisti. Ancora una vol-ta, giornalisti stranieri, affiliati all’Asso-ciazione stampa estera tedesca. C’è unventennio da raccontare, gli anni passatiin carcere, la voglia di capire, lo sforzodella riflessione, i libri scritti, l’abbandono

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del comunismo, il viaggio intellettuale inmare aperto chissà dove ma sicuramentelontano dal molo di partenza. Eppure è inevitabile tornare a quei minu-ti, interminabili, che hanno cambiato lasua vita e quella degli altri, di tutti noi. “Absofort”. Vent’anni sono trascorsi sul voltoe nel fisico di questo anziano giornalista ditalento, capitato dalle parti del partito co-

munista quasi per caso, notato da Honec-ker negli anni Settanta e catapultato nellaredazione del giornale di regime, il NeuesDeutschland. E poi per questa via, coop-tato nella stanza dei bottoni della Ddr. Loricordiamo corpulento e burbero sotto leluci fioche della sala stampa del Comitatocentrale della Sed, immortalato per sem-pre nel bianco e nero della televisione diStato: oggi è un anziano signore con i ca-pelli bianchi, che si muove incerto appog-giandosi ad un bastone, affaticato nellavoce e nel volto, corroso da un diabeteche lo costringe a centellinare le appari-zioni, anche in quest’anno di anniversario,quando tutti lo vogliono e tutti lo cercano.Tre mesi fa ha compiuto ottant’anni, lospirito è rimasto vivace come un tempo: labattuta pronta, l’arguzia che gli leggi nellosguardo sempre vispo, curioso, sfrontato.Schabowski ha camminato, per questivent’anni, con il corpo e con la mente, an-che se tutti lo vorrebbero inchiodare an-cora a quella sera del 9 novembre, per ri-vivere in differita il brivido della storia.E lui, che questo mestieraccio del giornali-smo ce lo ha nel sangue, non si tira indie-tro, anzi attacca per primo, meglio togliersisubito il dente. Le leggende di quella serasono tante. Schabowski mandato allo sba-raglio, sbattuto all’ultimo momento in con-ferenza stampa, all’oscuro delle decisionidel Politburo, con appunti scritti da qual-cun altro in fretta e furia e con il compito diintrattenere e divagare, dire ma soprattuttonon dire. Insomma, prendere tempo, per-ché quando non si sa più che pesci prende-re temporeggiare dà l’illusione di poter vi-vere ancora. E invece, dice, l’illusione eraun’altra: “Pensavamo che aprire le frontie-

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re sarebbe stata l’unica possibilità di recu-perare il consenso della gente”. La propo-sta di concedere il diritto all’espatrio bal-lonzolava tra Politburo e governo da quat-tro settimane, impigliata nella rete buro-cratica che aveva da tempo inaridito la pre-sunta spinta propulsiva del comunismo.Ogni giorno 400 cittadini fuggivano dallaDdr, passavano le frontiere verso gli altripaesi socialisti che avevano ormai trancia-to la cortina di ferro, si rifugiavano nelleambasciate della Germania ovest, eranosui telegiornali di tutto il mondo e sgretola-vano il prestigio dello Stato. Bisognavaconcedere qualcosa: prima la testa di Ho-necker, poi il diritto all’espatrio.I nuovi dirigenti del partito, i triumviri cheavevano organizzato il putsch contro ilvecchio leader (Egon Krenz, segretarioper caso, Siegfried Lorenz e, appunto,Günter Schabowski) provavano a rincor-rere la storia e i loro cittadini: “Non ci eraaffatto chiaro che il socialismo era arriva-to alla fine, noi eravamo convinti che,concessa la possibilità di viaggiare libera-mente, la nostra politica riformista sareb-be divenuta credibile e avremmo potutometterci sulla scia del nuovo corso diGorbaciov”. Dunque Schabowski sapeva.Sapeva cosa contenevano quei fogli cheEgon Krenz gli consegnò nel corridoio difronte alla sala delle conferenze. Quelloche non sapeva erano i termini precisi. Esu quelli si impappinò, di fronte alle do-mande divenute sempre insistenti di Ric-cardo Ehrmann. Non crede che la legge diqualche giorno fa sul diritto di viaggio siastata un errore? “No, non credo e co-munque il governo ha deciso di conce-derlo”. In che modo? “Può essere inoltra-

ta la richiesta di viaggi privati all’esteroanche senza particolari motivazioni orapporti di parentela. L’espatrio perma-nente può svolgersi nei punti di transitodella frontiera fra Repubblica democrati-ca e Repubblica federale”. Vale anche perBerlino Ovest? “Beh, sì, sì”. E da quan-do? “Beh, per quel che ne so entra in vi-gore, beh, da subito”. “Ab sofort”. Il muroè caduto così.Schabowski non ci sta, neppure venti annidopo, a passare per uno sprovveduto. Ègià stato il capro espiatorio dei compagnidi un tempo, sconfitti più di lui perché in-capaci di leggere il senso della storia. “So-no stato comunista e marxista fino allanotte del 9 novembre”, dice oggi, “e an-che dopo quella notte ho lavorato perchéil partito potesse salvarsi, ritrovare un suoruolo in una nuova stagione riformista. Einvece l’ho visto perdersi e disgregarsi,annullarsi di fronte agli eventi che incalza-vano”. Vicende umane e personali che siconsumano nel continuo rinfacciarsi tra-dimenti e opportunismi, si salvi chi può eper molti la salvezza era nella Pds, il parti-to post-comunista rinato dalle ceneri del-la Sed. Oggi questo partito è cresciuto, haintaccato la stabilità del sistema politicodella Repubblica di Berlino, è di nuovofortissimo ad est, è tracimato anche adovest grazie all’alleanza con il rancorosoOskar Lafontaine, oscilla tra nostalgia delpassato e socialismo massimalista. Si sta-va meglio quando si stava peggio: le inevi-tabili disillusioni di una difficile riunifica-zione trasformate in voti e seggi, nel par-lamento federale e in quelli dei Länder,dove governano sostituendo alla retoricadell’opposizione un ragionevole pragma-

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tismo di governo.Ma Schabowski non fa più sconti. L’uomoche fu spinto dal popolo ad aprire il muro,per dirla con le sue parole, ha rotto i pon-ti col passato, s’è rimesso a studiare iclassici del marxismo per capire dove eral’errore. A suo dire la catarsi è arrivatacon un libro che gli è costata fatica e ami-cizie: “Troppa burocrazia, troppa irre-sponsabilità, troppa assenza di controllodemocratico, troppa rigidità, troppi privi-legi. I burocrati che definivano i criteri deipiani quinquennali e sceglievano gli im-prenditori tra i più fedeli e poi quandosbagliavano nessuno era responsabile, lacolpa era sempre del nemico di classe. Èstato il fallimento di un’intera società, tut-to quello che i paesi comunisti hannoprovato a fare è stato un fiasco”. È una le-zione che vale anche oggi, quando si sen-te dire che l’alternativa al capitalismo incrisi sarebbe un ritorno al socialismo:“Non abbiamo dimenticato che il sociali-smo ha portato il nostro Stato alla banca-rotta”. Sostiene Schabowski.

2 aprile 2009

Quei confini dove la Storia non ri-margina le sue feriteIl muro in testa èstata una fortunata defi-nizione con cui lo scrittore tedesco PeterSchneider ha rappresentato quel partico-lare stato psicologico attraversato dai te-deschi dopo la caduta del muro: svanita labarriera che divideva l’est dall’ovest edevaporate le bollicine dei festeggiamenti,gli uni e gli altri, i tedeschi dell’est e i tede-schi dell’ovest si sono ritrovati di frontecon i pregiudizi e le diffidenze reciproche,maturate in quarant’anni di divisione. Nel

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frattempo altri muri sono caduti lungo lafrontiera orientale d’Europa, ma il muroin testa, quello mentale che resiste anchequando quello fisico si sgretola, descrivecon efficacia altre storie e altri incontri.Ad esempio, quelli tra tedeschi e polacchi.L’Oder è un confine di dolore, come tutti ilimes artificiali nati a tavolino da rapportidi forza segnati da una guerra. Nei primianni Novanta, quando la Germania orien-tale era stata inglobata a suon di marchinella Bundesrepublik e in Europa, il fiumeha osservato le fughe illegali e disperate dipolacchi e ucraini verso l’Eldorado di Bru-xelles e qualche volta non le ha solo os-servate: le ha inghiottite, come capita oggialle acque profonde del Mediterraneo coni carghi provenienti dal Nord Africa. Spe-ranze e tragedie raccontate in uno splen-dido film tedesco, Lichter, del regista ba-varese Hans-Christian Schmid, premiatodalla critica internazionale della Berlinalenel 2003. Alla fine della guerra, invece, at-traverso questo confine appena creato,sono transitati nella stessa direzione glisfollati tedeschi dalle terre della Slesia edella Prussia orientale: interminabili filedi profughi a cui la colpa tedesca del nazi-smo ha negato per anni qualsiasi ricono-scimento. E pochi anni prima, in sensoovest-est, furono le truppe di Hitler a var-care le barriere, portando morte, occupa-zione e violenze.A voler riavvolgere il film della storia finoai secoli precedenti, ci sarebbero centina-ia di esempi a dimostrare quanto il rap-porto fra Germania e Polonia sia stato dif-ficile, se non drammatico. Ma a riavvol-gerlo per bene, questo e altri film, tutta lastoria dell’Europa è stata segnata da

guerre e conflitti fra le nazioni. Oggi ilproblema è questo: mentre a ovest, cin-quant’anni di democrazia hanno lenitoquelle ferite stemperandole nel mare ma-gno del processo di unificazione europea,ad est questo non è avvenuto. E le nazioniriapparse da un altro mare magno, quellodel totalitarismo di stampo sovietico, sipresentano sulla scena cariche di risenti-menti che pensavamo appartenere a epo-che ormai superate. Di più: a volte pareche la ricostruzione della loro identità na-zionale passi proprio dalla riaffermazionedi contrapposizioni che il resto del Conti-nente non vive più. Per restare al centrodell’Europa, Kohl e Mitterrand hanno daanni consegnato alla storia antiche rivali-tà, tenendosi per mano di fronte ai campidi battaglia di Verdun nel 1987, mentreancor oggi le copertine dei periodici po-polari polacchi si divertono a pubblicarel’immagine di ogni cancelliere tedesco ve-stito con la divisa nazista e truccato con ibaffetti del führer: che sia Schröder o An-gela Merkel, non fa differenza.Polacchi contro lituani, cechi contro slo-vacchi, estoni contro russi, ungheresi con-tro rumeni, rumeni contro bulgari, croaticontro italiani e tutti contro i tedeschi, pernon parlare dei Balcani dove troppo recen-ti sono le ferite della guerra civile. Qualco-sa si muove, magari proprio laddove menoce lo si sarebbe aspettato, per esempio fraZagabria e a Belgrado, però il dato resta,sotto la traccia diplomatica dei buoni rap-porti ufficiali. Ma dove neppure le diplo-mazie riescono ad ammorbidire i contrastiè sull’Oder, lungo il confine più delicatodentro l’Europa, tra Germania e Polonia.Qui le ferite della storia faticano a rimar-

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ginarsi. Basti pensare a quel che accadeogni volta che la Germania tratta la que-stione dei Vertriebenen, i profughi co-stretti ad abbandonare le terre orientalidopo la seconda guerra mondiale. Unastoria che in buona parte ricalca quellaitaliana degli esuli dalmati e giuliani. Fu-rono vicende drammatiche, sulle quali èstata stesa per decenni una congiura delsilenzio che solo oggi, grazie a nuovi e do-cumentati libri o a fiction di successo, tor-nano al centro del dibattito storico. Ma iltempo non sembra essere trascorso a suf-ficienza, come dimostra l’ultima virulentapolemica tra Berlino e Varsavia sull’ipote-si tedesca di nominare Erika Steinbach,responsabile dell’associazione dei Ver-triebenen, in uno dei tre posti nel consi-glio della fondazione che dovrà realizzareun Centro di documentazione sul tema,un progetto che dovrebbe coinvolgere glistorici delle due nazioni. L’accusa: averfatto in passato dichiarazioni revanscistee aver votato come deputata al Bunde-stag contro la ratifica del trattato con laPolonia e contro la sua adesione alla Na-to. Un caso che ha tenuto banco nel re-cente vertice tra i due capi di governo,Merkel e Tusk, e che è stato risolto con larinuncia della stessa Steinbach, il sollievodella cancelliera (che ha dovuto affronta-re una dura polemica interna al suo stessopartito) e la soddisfazione dei politici edell’opinione pubblica di Varsavia.Seduti ai tavolini del Caffè Blikle, un tem-pio della tradizione varsaviana sull’ele-gante Nowy Swiat, Robin Lauterbach,corrispondente della prima rete televisivapubblica tedesca Ard, ammette: “Abbia-mo sbagliato a proiettare sui paesi del-

l’Europa orientale le nostre sensibilità dieuropei occidentali. Dopo la caduta deiregimi comunisti, pensavamo che tuttosarebbe stato semplice e che ci saremmoritrovati in un abbraccio immediato. Manoi, ad ovest, abbiamo impiegato cin-quant’anni per sedimentare i vecchi con-trasti”. Il caso con la Polonia è ancor piùdelicato, visti i trascorsi storici: “Noi tede-schi abbiamo ritenuto di saldare le colpedel passato riconoscendo come definitivi inostri confini orientali e rinunciando persempre a quelle terre che erano tedeschee che oggi sono polacche. È stata un’illu-sione. Penso a quelli della mia generazio-ne, gente nata ben dopo la guerra, che ri-conosce le colpe storiche del nazismo maritiene di essere cambiata a sufficienza edi aver chiuso i conti con il passato. Poi, dicolpo, si aprono i confini, incontriamo ipolacchi e ci accorgiamo che per loro nonè ancora passato nulla”.La storia è materia delicata, che facil-mente si presta alla strumentalizzazionepolitica. Il nuovo museo sulla rivolta diVarsavia, in via Grzybowska, poco fuori ilcentro cittadino, è stato inaugurato nel2004, nel sessantesimo anniversario del-la sollevazione anti-nazista. Lo hannofortemente voluto i gemelli Kaczynski, ipolitici che più di altri hanno premutonegli anni passati il tasto del martirio sto-rico, a supporto di una politica nazionali-sta ed esterofoba. Il museo contiene al-cune cose interessanti, altre meno: sututto, però, prevale un senso di propa-ganda postuma, più il tentativo di co-struire un orgoglio nazionale che quellodi capire vicende ed eroismi del passato. Irapporti tedesco-polacchi non sono, e

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non saranno ancora per molto tempo,improntati alla normalità. E l’impressioneche nell’altra Europa, quella che ha avutola fortuna di trovarsi dalla parte giustadella cortina di ferro, la sensibilità per ildolore polacco non sia presa in conside-razione, non aiuta.Prendete il drammatico film di Wajda sulmassacro di Katyn, che descrive, oltreall’orrore della strage sovietica, il drammadell’occupazione tedesca. In Italia nonriesce a vederlo quasi nessuno e l’ipotesi,ventilata da più parti, di una congiura po-litica che ne limita la distribuzione ali-menta sospetti e polemiche. Eppure sitratta di una vicenda ormai assodata, seb-bene ancora sconosciuta al grande pub-blico, i cui contorni aiutano a comprende-re le paure ataviche dei polacchi, da sem-pre stretti fra vicini ingombranti. Ci vorràtempo per lenire le ferite, a patto peròche ci sia la volontà reciproca di capirsi.

16 aprile 2009

Lo stadio operaio e il miracolo di Kö-penickNello stesso giorno l’ultima mano di ver-nice allo stadio, il taglio del nastro e l’ami-chevole di lusso. Per gli outsider orientalidel calcio berlinese comincia una nuovastoria. Parliamo della seconda squadra diBerlino, l’1. Fc Union Berlin, messa in om-bra nell’ultimo ventennio dall’ascesa deicugini occidentali dell’Hertha, tornati adisputare campionati di buon livello inBundesliga grazie ai potenti investimentidi grandi gruppi industriali tedeschi. Aisupporter dell’Union, invece, bastano lemani e l’orgoglio. Il secondo è servito a te-ner duro negli anni bui, le prime hanno la-vorato duramente per ristrutturare lo sta-dio di casa. Ha un nome romantico, Ander Alten Försterei, letteralmente “allavecchia foresteria”, un nido del footballche sembra uscito dagli almanacchi storicidel calcio inglese, con le tribune a ridossodel terreno di gioco e un tabellone azio-nato a mano, con i numeri dei gol stampa-

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mora dell’odiata Dinamo Berlino, la squa-dra della Stasi, e la domenica si presenta-vano puntualmente all’Alte Försterei conpicconi, trapani e cazzole per rimettere insesto il loro vecchio stadio. Una lista lunga duemila nomi, meglio so-prannomi, comuni come Benni o Mulli oKalle o Schnalle, nomignoli da classe ope-raia, appena usciti dalle case del quartiereKöpenick, estrema periferia orientale diBerlino, dove si trova lo stadio della fore-steria e l’anima profonda di questa squa-dra-famiglia. Tifosi artigiani, carpentieri diprofessione o volontari del cemento cheper 365 giorni hanno regalato il loro tem-po libero per rimettere in ordine uno sta-dio glorioso che se ne veniva giù a pezzi.Avevano atteso i soldi del comune, sem-pre promessi e mai arrivati, e alla finehanno deciso di seguire l’esempio del pre-sidente: rimboccarsi le maniche e far dasoli. E chi non aveva alle spalle una carrie-ra di muratore ha contribuito alla causapreparando cibo e dolci, portarndo birra e

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ti sul cartone che scorrono come su unvecchio calendario ingiallito. Un pezzo originale di Ostalgie rivisitatoperò vent’anni dopo la caduta del muro,tempi in cui anche all’est, se si vuole, èpossibile realizzare i propri sogni. Il riscat-to di questo mito calcistico della Germa-nia orientale corre sul doppio binario diuna società rimessa in sesto dopo i bilanciin rosso degli anni passati da un presiden-te che ha passato la sua giovinezza suigradoni dell’Alte Försterei e di una tifose-ria genuina che ha saputo rinverdire la fa-ma ribelle e alternativa che l’accompagna-va anche negli anni della Ddr. Così nell’an-no calcistico 2008-2009, gli undici incampo hanno riportato la squadra in se-conda Bundesliga, la nostra serie B, vin-cendo con tre giornate d’anticipo il cam-pionato regionale zeppo di vecchie gloriedella Ddr come Carl Zeiss Jena o DinamoDresda. E migliaia di tifosi al sabato riem-pivano lo Jahn-Sportparkstadion delquartiere di Prenzlauerberg, un tempo di-

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wodka per sostenere gli eroi veri, quelliche in un anno hanno buttato giù le vec-chie gradinate e innalzato uno stadio nuo-vo di zecca. Così quando l’Union squadra è salita inseconda serie, i giornali nazionali hannovoltato lo sguardo verso questo angolo diBerlino est e hanno scoperto che il mira-colo era dietro i successi sul campo. Lì, sulrettangolo di gioco dello Jahn-Sportpar-kstadion temporaneamente usurpato ainemici della Stasi, segnavano nomi sco-nosciuti al grande calcio e qualche chilo-metro più in là, all’Alte Försterei, altri no-mi sconosciuti davano di gomito per co-struire quello che la politica aveva pro-messo e mai dato. Così, quando alla fine èarrivato un piccolo contributo dal comu-ne, i tifosi-muratori hanno continuato afar da sé, senza ricorrere ad alcuna dittaspecializzata, se non per l’installazionedella copertura, operazione troppo deli-cata anche per i professionisti. Sembra il lieto fine di un film di Ken Locho di un libro di Nick Hornby, con la squa-dra operaia che va in paradiso e i tifosi-la-voratori che si godono le partite stretti inpiedi sui nuovi gradoni dello stadio. Trafuochi pirotecnici e vecchia passione, lanotte di Köpenick regala emozioni indi-menticabili. Per la partita di inaugurazio-ne è stata invitata proprio l’altra squadradi Berlino, l’Hertha, per rispolverare underby che mancava dal 1990. Gossy è unodei capisquadra che ha guidato la pattu-glia di volontari nei lavori. Strabuzza gliocchi mentre distribuisce pacche sullespalle alle decine di tifosi che vengono afargli gli auguri. Per tutti ha una parola diincitamento, come fosse ancora sul can-

tiere. «Dei giornalisti sono venuti a chie-dermi se ogni volontario ha ricevuto unbiglietto omaggio per questa festa. Gli horisposto: ma ci avete visto in faccia? Noisiamo quelli che hanno costruito lo sta-dio, i biglietti ce li siamo comprati e paga-ti. A noi basta questo monumento qua». Ilmonumento è una stele di ferro su cuicampeggia un grande elmo da operaiorosso fiammante come i colori dell’Union.Sulla stele sono stampigliati, a futura me-moria, tutti i nomi dei tifosi operai chehanno prestato la loro opera all’impresa. «Si è trattato soprattutto dei tifosi dellavecchia generazione», spiega con un po’ dirammarico Jens-Martin, 42 anni, che scel-se l’Union perché era la squadra ribelleche non piaceva al regime. «Le nuove levedel tifo sono di pasta diversa, subiscono ilmito ultras, stanno un po’ cambiando lanatura del nostro pubblico. Noi amiamoancora tifare all’inglese, senza guide pre-stabilite. A uno gli viene in mente un coro,parte e gli altri seguono. Non ci sono ta-belle prestabilite». Più un tifo "per" cheun tifo "contro". Un esempio? «Una voltaavevamo una certa simpatia con l’Her-tha», ricorda Jens-Martin «cantavamoUnion e Herta unite perché loro eranoquelli dell’ovest e la cosa faceva arrabbia-re i capi della Ddr. Poi negli ultimi anni glioccidentali hanno avuto soldi e investi-menti, sono cresciuti e hanno fatto prose-liti anche qui da noi. E questo ha raffred-dato i rapporti». Il tifo all’inglese è un po’ una fissa qui aKöpenick. Lo stadio è bello e spartano, ri-fatto per tre quarti. Resta solo da rinno-vare la tribuna centrale. Il progetto finaleprevede una facciata monumentale, in

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mattoni rossi, con il logo della squadra co-me frontale esterno e dentro una gradina-ta spiovente sul campo da gioco. Si atten-dono nuovi soldi per completare il lavoro:più british di così! Questa stella dell’est hai suoi miti e le sue tradizioni, che non vuolsvendere a nessuno, neppure ai nuovisponsor che oggi accorrono con sonanticontributi e con la promessa di portarel’Union ancora più in alto. Loro sono gliEisern, uomini di ferro, capaci di gridaredal primo all’ultimo minuto e poi ridere (opiù spesso piangere) per i risultati dellapropria squadra. Anche oggi va così, allafine vincerà l’Hertha, 5 a 3, ma la festa ètutta per il nuovo miracolo di Köpenick, lostadio costruito dai tifosi. Tutto serve a rinforzare la fede: le sconfit-te rendono più forti, e più ne arrivano, piùgli Eisern diventano tosti. Ma anche le vit-torie hanno un sapore speciale: il tabello-ne manuale è un cimelio stretto in unatorretta di mattoni rossi tra la gradinata ela curva dei tifosi locali. Oggi che un nuo-vo tabellone elettronico annuncia ancheall’Alte Försterei i tempi del calcio moder-no, quel vecchio reperto del calcio che fuè fissato per sempre su un risultato stori-co: l’8 a 0 rifilato un paio di anni fa nel-l’Oberliga, una serie minore, ai nemici disempre, quella Dinamo Berlino un tempovezzeggiata dalla Stasi e nel cui stadio èstata festeggiata quest’anno la promozio-ne in seconda serie. Quando i giocatori in biancorosso entra-no sul terreno di gioco, i tifosi intonanosciarpe al vento l’inno della squadra. Èuna canzone rock tostissima, scritta ecantata da una fan d’eccezione, anche leiun pezzo di storia della Germania est: Ni-

na Hagen. Fin da quando aveva quattroanni, saltellava il sabato pomeriggio tra leginocchia del padre e le gradinate dell’Al-te Försterei. Perché di ferro si diventa,dell’Union si nasce.

9 luglio 2009

Articoli tratti da Ffwebmagazine(http://www.ffwebmagazine.it)

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