La Rivoluzione Francese (Elisa)

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Nel 1774 salì al trono Luigi XVI, che, nonostante la scarsa autorevolezza personale, era a capo di una monarchia assoluta: il re deteneva, infatti, tutti i poteri, in quanto, avvalendosi di funzionari da lui stesso nominati, faceva le leggi, le faceva eseguire e amministrava la giustizia. La Francia era un paese di circa 20 milioni di abitanti. Le attività economiche fiorivano nel XVIII secolo.

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Sia l'agricoltura che occupava la stragrande maggioranza della popolazione, sia le attività manifatturiere avevano fatto registrare una notevole crescita. In quel secolo, inoltre, la Francia viveva un'atmosfera di grande vivacità culturale fortemente stimolata dalla circolazione delle idee degli illuministi. Nonostante il benessere economico e la crescita culturale della società, la Francia della seconda metà del Settecento soffriva di un grande problema: una gravissima crisi finanziaria dello Stato.

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Il regno, infatti, aveva sostenuto grandi spese per le continue guerre e inoltre si registravano ingenti costi per il mantenimento dei circa quindicimila nobili che affollavano la corte di Versailles. Per far fronte a queste spese, lo Stato si era indebitato. Per evitare che la situazione peggiorasse c'erano due soluzioni: ridurre le spese statali o attuare una riforma del sistema tasse, che garantisse più entrate di denaro nelle casse dello Stato.

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Il re e i suoi ministri erano favorevoli a una riforma molto innovativa per la mentalità dell'ancien régime: eliminare i privilegi di cui godevano i nobili e l'alto clero, che erano esentati dal pagamento delle tasse. Naturalmente i nobili non erano d'accordo e si opposero fermamente al re. Un pessimo raccolto causò una riduzione dei prodotti alimentari: di conseguenza aumentarono i prezzi, a cominciare da quello del pane.

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Gran parte del popolo dovette ridurre i consumi dei prodotti considerati meno essenziali, di conseguenza la crisi si estese anche a molte manifatture tessili che, vendendo di meno, licenziarono i loro dipendenti o chiusero. L'intera popolazione francese era suddivisa nei tre ordini dell'ancien régime: clero, nobiltà e Terzo stato. Come sappiamo, non esisteva in Francia il principio dell'uguaglianza dei cittadini.

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I primi due ordini godevano, infatti, di leggi a essi favorevoli e la loro condizione era privilegiata rispetto a quella della stragrande maggioranza della popolazione (circa il 98%) che formava il Terzo stato e che raccoglieva i ceti produttivi. Di fronte alla sempre più grave crisi finanziaria, nell'agosto 1788, il re fu costretto a convocare per l'anno successivo gli Stati generali, cioè l'assemblea dei tre ordini.

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Sia i ministri del re, sia la nobiltà, sia il Terzo stato avevano le proprie ragioni per desiderare la convocazione degli Stati generali. I ministri del re, come Jacques Necker, volevano far approvare una riduzione delle spese di corte e soprattutto far eliminare i privilegi alla nobiltà. Quest'ultima, al contrario, voleva veder riconfermati i propri vantaggi,anche se una parte di essa era stata raggiunta dalle idee illuministe.

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Le élite del Terzo stato puntavano a ottenere delle riforme che concedessero alla borghesia più libertà di iniziativa e più potere. Nei mesi che precedettero gli Stati generali si tennero quasi 40.000 assemblee per scegliere i rappresentanti del Terzo stato. Furono rivolti al re ben 60.000 cahiers de doleances (“quaderni di lamentele”) per denunciare sofferenze e ingiustizie nei villaggi e nelle città.

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Prima dell'assemblea, il Terzo stato ottenne il raddoppio dei propri rappresentanti. Pertanto, quando il 5 maggio 1789, a Versailles, si riunirono gli Stati generali, che non erano stati più convocati dal 1614, erano presenti 1139 deputati (291 del clero, 270 della nobiltà e 578 del Terzo stato. I rappresentanti di questo ordine erano quasi tutti di estrazione borghese, nonostante la maggioranza degli elettori fossero contadini o artigiani.

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Molti deputati facevano parte del Partito nazionale, di ispirazione illuminista e liberale, al quale avevano aderito anche alcuni nobili e membri del clero. Tradizionalmente, agli Stati generali ogni ordine e grado poteva esprimere un voto: clero e nobiltà insieme avrebbero dunque prevalso sul Terzo stato. I membri di quest'ultimo chiesero però che si votasse per testa; in questo caso i suoi rappresentanti avrebbero potuto prevalere.

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Il re rifiutò questa richiesta. A questo punto i deputati del Terzo stato fecero una scelta rivoluzionaria: si autoproclamarono Assemblea nazionale con l'obiettivo di approvare una costituzione. Il 20 giugno 1789, trovata chiusa l'aula degli Stati generali, l'Assemblea nazionale si riunì nella sala della pallacorda, un gioco simile all'odierno tennis. Vi aderì anche buona parte del clero.

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Il 9 luglio, per ordine del re, anche l'alto clero e la nobiltà si unirono all'assemblea, che divenne Assemblea nazionale costituente. Mentre avvenivano questi cambiamenti, la popolazione di Parigi interpretò la decisione del re di concentrare truppe armate in città come il segnale di una prossima repressione dell'Assemblea nazionale appena formatasi. Il 14 luglio una massa di persone assalì la Bastiglia, l'antica fortezza destinata ai prigionieri politici.

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Nei giorni successivi la rivolta dilagò nelle campagne: furono assaltati molti castelli e bruciati i documenti che sancivano i vincoli feudali. Il 4 agosto, l'Assemblea nazionale votò l'abolizione dei privilegi della nobiltà e dei diritti feudali; il 26 agosto approvò la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino. Luigi XVI non ratificò subito gli importanti documenti approvati in agosto dall'Assemblea nazionale e il suo comportamento si mantenne ostile alla rivoluzione.

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Per questo motivo, il 5 ottobre, un gruppo di donne rivoluzionarie di Parigi, che aveva marciato su Versailles per protestare contro la mancanza di pane, decise, con l'aiuto della Guardia nazionale, di costingere il re a trasferirsi a Parigi nell'antica reggia delle Tuileries. In questo modo, i Parigini ritenevano di poter controllare meglio il comportamento del sovrano, mentre molti aristocratici cominciarono a sentirsi in pericolo e fuggirono all'estero.

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Dal novembre 1789, l'Assemblea nazionale diede un altro colpo decisivo all'ancien régime, affrontando i rapporti con la Chiesa e le questioni religiose. Per risolvere una situazione finanziaria sempre più disperata, l'Assemblea requisì e vendette i beni ecclesiastici, i quali avevano un valore pari a circa i 2/3 del debito pubblico francese. Furono poi aboliti gli ordini monastici, salvo quelli dediti all'assistenza ospedaliera e all'istruzione.

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Furono inoltre abbattute tutte le discriminazioni contro i protestanti e gli ebrei. Avendo confiscato i beni della Chiesa, si poneva il problema di come mantenere gli ecclesiastici: nel luglio 1790 fu dunque approvata la Costituzione civile del clero, un nuovo modo di organizzare la vita della Chiesa; essa prevedeva che i vescovi e i parroci venissero eletti dai cittadini e che lo Stato si assumesse l'impegno di pagare i loro stipendi, a condizione che essi accettassero il giuramento civile, cioè di giurare fedeltà allo stato.

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La maggior parte del clero rifiutò però il giuramento e si schierò su posizioni contrarie alla rivoluzione. Nell'estate 1791, l'Assemblea nazionale costituente completò il testo della costituzione, che venne approvata dal re: la Francia divenne una monarchia costituzionale, sul modello inglese. Al re rimaneva il potere esecutivo. Il potere legislativo era assegnato all'Assemblea legislativa, eletta ogni due anni dai cittadini di sesso maschile che disponevano di un certo reddito.

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Aveva pertanto diritto di voto circa la metà degli uomini maggiorenni. Il potere giudiziario era assegnato a dei giudici, anch'essi eletti dai cittadini.Luigi XVI non aveva perso la speranza di ripristinare la monarchia assoluta e confidava in particolare nell'aiuto dell' Austria, della Prussia e degli aristocratici controrivoluzionari che erano fuggiti all'estero. Nel giugno 1791 anche il re tentò di fuggire all'estero con la sua famiglia, ma, a Varennes, presso il confine, fu riconosciuto e riportato a Parigi.

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Il 30 settembre 1791 l'Assemblea nazionale costituente si sciolse e il giorno dopo si riunì la prima Assemblea nazionale legislativa, i cui principali protagonisti politici erano i foglianti, un gruppo moderato; i costituzionali, cioè coloro che si riconoscevano nella costituzione; i giacobini, che volevano riforme ancora più profonde. Allora facevano parte del gruppo dei giacobini anche i deputati eletti nel dipartimento della Gironda e perciò detti girondini.

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La nuova assemblea dovette affrontare le minacce di guerra delle potenze europee, alleatesi tra loro per ristabilire la monarchia assoluta in Francia: esse infatti temevano che la scintilla rivoluzionaria potesse propagarsi all'Europa. In tutta la Francia si diffuse allora un forte spirito patriottico e si realizzò una grande mobilitazione: emerse, per esempio, la combattività dei marsigliesi, che intonavano una marcia militare, la Marsigliese, destinata a diventare l'inno della rivoluzione e della Francia repubblicana.

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Nell'agosto 1792 , su pressione dei sanculotti parigini, l'Assemblea decise di sospendere il re dalle sue funzioni e indisse nuove elezioni. Il mese di settembre 1792 fu particolarmente ricco di avvenimenti. In primo luogo l'esercito dei volontari francesi sconfisse i prussiani a Valmy. Era la prima volta nella storia dell'Età moderna che un esercito popolare sconfiggeva le truppe di una grande monarchia assoluta.

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Inoltre, ai primi del mese, i sanculotti parigini uccisero migliaia di uomini sospettati di essere “nemici del popolo” e controrivoluzionari legati agli aristocratici e alle potenze straniere: questo bagno di sangue è stato definito “massacri di settembre”. Il 21 settembre la nuova assemblea, detta Convenzione, dichiarò l'abolizione della monarchia e la nascita della repubblica.

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Nella convenzione emerse il forte contrasto tra i girondini, che avevano assunto posizioni sempre più moderate, e i giacobini, detti anche montagnardi, o deputati della Montagna, perché nell'aula dell'assemblea occupavano i posti in alto a sinistra del presidente. Proprio dalle posizioni che i deputati dei due schieramenti occupavano alla Convenzione ebbero origine i termini “destra” e “sinistra”, intesi come due opposti schieramenti politici.

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Di segno reazionario, conservatore o moderato era il primo; su posizioni progressiste, riformatrici o rivoluzionarie si basava il secondo. Uno dei motivi di disaccordo tra girondini e giacobini era la posizione da assumere riguardo al destino del re. Dopo il ritrovamento di documenti segreti che provavano i rapporti tra l'ex sovrano e i nemici esterni della Francia, Luigi XVI fu sottoposto a un processo e condannato a morte. I girondini volevano sottoporre la conferma della pena al giudizio del popolo, mentre i giacobini erano decisi a giustiziare il re.

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Prevalse questa seconda posizione e il re fu dunque decapitato mediante ghigliottina. Nella primavera del 1793 il governo era guidato dai girondini, che esprimevano una politica economica di stampo liberista, mentre i giacobini erano a favore di un maggior intervento dello stato nell'economia. Proprio la cattiva situazione economica e le sconfitte militari che la Francia andava subendo in quel periodo a opera delle monarchie assolute europee, coalizzate insieme, fecero aumentare i consensi verso i giacobini

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Inoltre indussero ad approvare misure eccezionali, come l'arruolamento obbligatorio di 300.000 soldati. Per quanto indispensabile per la salvezza della repubblica, l' arruolamento provocò proteste in varie zone del Paese, soprattutto nella Vandea, una regione tradizionalista, dove quasi tutti gli ecclesiastici erano refrattari, cioè si erano rifiutati di prestare giuramento alla repubblica, ritenuta atea.

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Alcun inobili inquadrarono i Vandeani ribelli in un esercito controrivoluzionario, forte di circa 40.000 uomini: in Francia divampò la guerra civile. In una situazione tanto critica, i giacobini presero il sopravvento nella Convenzione e costituirono un “Comitato di salute pubblica”, una sorta di governo d'emergenza dotato di poteri praticamente didattoriali. Di tale organismo facevano parte i principali capi giacobini, come Maximilien de Robespierre e George-Jacques Danton.

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Fu varata una nuova costituzione (che introduceva il suffragio uiversale maschile) e avviato un programma di riforme democratiche, come la distribuzione ai contadini delle terre confiscate ai nobili. Parallelamente, il nuovo governo attuò una dura repressione contro gli insorti “cattolici e monarchici” della Vandea, che si concluse dopo quasi un anno di aspri combattimenti e una serie di eccessi commessi da ambo le parti.

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Nel settembre 1793 si decise di ricorrere a misure estremamente dure per eliminare tutti gli avversari della rivoluzione: questa fase prese il nome di “Terrore”. Fu istituito un tribunale rivoluzionario, che poteva infliggere un'unica pena: la morte. I capi girondini, ritenuti non abbastanza rivoluzionari, furono arrestati e ghigliottinati. La stessa sorte toccò a Danton, considerato troppo “indulgente”. Uno dei capi giacobini, Jean-Paul Marat, fu invece ucciso da un'aristocratica girondina.

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Tra l'autunno 1793 e l'estate 1794, furono arrestate e uccise oltre 16.000 persone, perlopiù borghesi, artigiani, operai, contadini,: pareva che la rivoluzione volesse divorare i suoi stessi figli. L'esercito intanto si batteva valorosamente: a Fleurs, in Belgio, nel giugno 1794, sconfisse le armate nemiche. Passata la fase della “patria in pericolo”, il 27 luglio (termidoro, secondo il calendario rivoluzionario) le forze moderate, con un colpo di Stato, rovesciarono il governo.

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Robespierre fu arrestato e ghigliottinato. Al colpo di stato del termidoro seguì una fase di violenze (il “Terrore bianco”) contro i giacobini, che furono uccisi o imprigionati in gran numero. Ripresero anche i moti insurrezionali in favore della monarchia; ma ormai la guida politica della Francia era passata nelle mani dell'alta e media borghesia, che con la rivoluzione aveva fatto fortuna, acquistando le terre requisite alla chiesa o ai nobili.

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Essa ora premeva per una nuova costituzione, che garantisse maggiormente le libertà personali, la proprietà privata la libertà economica. Nel 1795 entrò quindi in vigore una terza costituzione. Il governo fu affidato a un Direttorio, un gruppo ristretto di cinque persone. A promulgare le leggi rimaneva invece un'assemblea, divisa in due camere.

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