LA RIfORMA DELLA NEgOZIAZIONE ASSISTITA: IL … · abbiano subito condanne disciplinari definitive...

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LA RIFORMA DELLA NEGOZIAZIONE ASSISTITA: IL COMMENTO OPERATIVO SOMMARIO: a) Premessa; b) Trasferimento alla sede arbitrale di proce- dimenti pendenti dinanzi all’autorità giudizia- ria; c) La negoziazione assistita; c-1) La convenzione di negoziazione assistita; c-2) Come si giunge alla convenzione di negoziazione assistita; c-3) Ambito di applicabilità della negoziazione assistita; c-4) Contenuto ed effetti della convenzione di negozia- zione assistita; c-5) Le trattative; c-6) L’epilogo delle trattative; c-7) L’improcedibilità; c-8) La ne- goziazione assistita nelle controversie in materia di lavoro; c-9) Rapporti tra la negoziazione assistita e la mediazione di cui al D.L.vo 28/2010; d) La negoziazione assistita in materia di separazione e di divorzio; d-1) Convenzione di negoziazione assistita dagli avvocati dei coniugi; d-2) Accordo di separazione consensuale, di scio- glimento o di cessazione degli effetti civili del matri- monio, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio ricevuto dall’ufficiale di stato civile. a) Premessa Il D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modificazioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162, ha introdotto norme rivolte alla degiuri- sdizionalizzazione delle controversie e alla defini- zione dell’arretrato esistente presso gli uffici giu- diziari. Il palese presupposto dal quale l’iniziativa urgente del governo ha tratto motivazione è che l’affidamento del compito di prevenire e risolvere le liti ad organi diversi da quelli giurisdizionali consente soluzioni equivalenti in termini di effi- cacia ma in tempi più rapidi e di minor onere; e consente altresì alla magistratura di concentrarsi sul carico pendente e porvi finalmente rimedio. Il proposito è lodevole e dirà l’esperienza se gli strumenti predisposti risulteranno idonei allo scopo. La lettura del provvedimento induce colui che intenda maturarne la comprensione ad osser- vare come non è sostituendo una procedura con un’altra che si pone termine a disfunzioni annose e incancrenite per tutta una serie di ragioni (la diffusa litigiosità; l’obbligo di motivare ogni mini- ma decisione; l’ampia impugnabilità di qualsiasi provvedimento; la cronica assenza di strutture, di risorse e di personale) che ancora una volta non sono state affrontate. L’accesso alla giustizia è progressivamente divenuto proibitivo per i co- sti che comporta, predisposti per sanzionarlo in una ottica che ha scelto di non facilitarlo ma di scoraggiarlo con la leva dell’onere economico. Mentre da sempre le parti hanno avuto la facoltà di accordarsi, volendolo, evitando la sentenza con transazioni, arbitrati e conciliazioni. Sotto questo profilo, si è affermato che le cause dinanzi al giu- dice altro non sono che accordi falliti e, dunque, negoziazioni rimaste senza effetto. E il suggerire, con il D.L. citato, a soggetti litiganti altre forme di possibile accordo appare scarsamente risolutivo dei problemi esistenti. Mancano, infatti, i benefici premiali per scelte che potevano essere adottate senza formalità anche prima dell’intervento del decreto (eccezion fatta, come si dirà, per le pro- cedure di separazione e di divorzio). b) Trasferimento alla sede arbitrale di procedi- menti pendenti dinanzi all’autorità giudiziaria L’art. 1 del D.L. 132/2014, convertito con modificazioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162, consente alle parti di far trasferire alla sede arbi- trale la controversia pendente dinanzi al giudice al momento della sua entrata in vigore e che non sia stata già assegnata a decisione. In proposito è disposto che debbano essere le parti a farne istan- za congiunta e che il giudice, ricevuta la richiesta, vi dia seguito con il trasmettere il fascicolo pro- cessuale al presidente del Consiglio dell’ordine degli avvocati del circondario, individuato quale organo delegato a sovraintendere alla nomina de- gli arbitri o dell’arbitro unico. I presupposti di ammissibilità sono praticamente gli stessi del- l’arbitrato rituale, ex art. 806 e segg. c.p.c.: la di- sponibilità dei diritti in discussione e la riserva a regole particolari dell’arbitrato in tema di contro- versie di lavoro e previdenza e assistenza sociale. In questa materia, infatti, la negoziazione assisti- ta è consentita soltanto nel limitato caso in cui la causa verta su diritti aventi nel contratto colletti- COM_651_CodiceMediazioneArtbitrato_2015_1.indb 25 9-03-2015 14:16:31

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LA RIfORMA DELLA NEgOZIAZIONE ASSISTITA: IL COMMENTO OPERATIVO

SOMMARIO:a) Premessa;b) Trasferimento alla sede arbitrale di proce-dimenti pendenti dinanzi all’autorità giudizia-ria;c) La negoziazione assistita; c-1) La convenzione di negoziazione assistita; c-2) Come si giunge alla convenzione di negoziazione assistita; c-3) Ambito di applicabilità della negoziazione assistita; c-4) Contenuto ed effetti della convenzione di negozia-zione assistita; c-5) Le trattative; c-6) L’epilogo delle trattative; c-7) L’improcedibilità; c-8) La ne-goziazione assistita nelle controversie in materia di lavoro; c-9) Rapporti tra la negoziazione assistita e la mediazione di cui al D.L.vo 28/2010;d) La negoziazione assistita in materia di separazione e di divorzio; d-1) Convenzione di negoziazione assistita dagli avvocati dei coniugi; d-2) Accordo di separazione consensuale, di scio-glimento o di cessazione degli effetti civili del matri-monio, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio ricevuto dall’ufficiale di stato civile.

a) PremessaIl D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito

con modificazioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162, ha introdotto norme rivolte alla degiuri-sdizionalizzazione delle controversie e alla defini-zione dell’arretrato esistente presso gli uffici giu-diziari. Il palese presupposto dal quale l’iniziativa urgente del governo ha tratto motivazione è che l’affidamento del compito di prevenire e risolvere le liti ad organi diversi da quelli giurisdizionali consente soluzioni equivalenti in termini di effi-cacia ma in tempi più rapidi e di minor onere; e consente altresì alla magistratura di concentrarsi sul carico pendente e porvi finalmente rimedio. Il proposito è lodevole e dirà l’esperienza se gli strumenti predisposti risulteranno idonei allo scopo. La lettura del provvedimento induce colui che intenda maturarne la comprensione ad osser-vare come non è sostituendo una procedura con un’altra che si pone termine a disfunzioni annose e incancrenite per tutta una serie di ragioni (la diffusa litigiosità; l’obbligo di motivare ogni mini-

ma decisione; l’ampia impugnabilità di qualsiasi provvedimento; la cronica assenza di strutture, di risorse e di personale) che ancora una volta non sono state affrontate. L’accesso alla giustizia è progressivamente divenuto proibitivo per i co-sti che comporta, predisposti per sanzionarlo in una ottica che ha scelto di non facilitarlo ma di scoraggiarlo con la leva dell’onere economico. Mentre da sempre le parti hanno avuto la facoltà di accordarsi, volendolo, evitando la sentenza con transazioni, arbitrati e conciliazioni. Sotto questo profilo, si è affermato che le cause dinanzi al giu-dice altro non sono che accordi falliti e, dunque, negoziazioni rimaste senza effetto. E il suggerire, con il D.L. citato, a soggetti litiganti altre forme di possibile accordo appare scarsamente risolutivo dei problemi esistenti. Mancano, infatti, i benefici premiali per scelte che potevano essere adottate senza formalità anche prima dell’intervento del decreto (eccezion fatta, come si dirà, per le pro-cedure di separazione e di divorzio).

b) Trasferimento alla sede arbitrale di procedi-menti pendenti dinanzi all’autorità giudiziaria

L’art. 1 del D.L. 132/2014, convertito con modificazioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162, consente alle parti di far trasferire alla sede arbi-trale la controversia pendente dinanzi al giudice al momento della sua entrata in vigore e che non sia stata già assegnata a decisione. In proposito è disposto che debbano essere le parti a farne istan-za congiunta e che il giudice, ricevuta la richiesta, vi dia seguito con il trasmettere il fascicolo pro-cessuale al presidente del Consiglio dell’ordine degli avvocati del circondario, individuato quale organo delegato a sovraintendere alla nomina de-gli arbitri o dell’arbitro unico. I presupposti di ammissibilità sono praticamente gli stessi del-l’arbitrato rituale, ex art. 806 e segg. c.p.c.: la di-sponibilità dei diritti in discussione e la riserva a regole particolari dell’arbitrato in tema di contro-versie di lavoro e previdenza e assistenza sociale. In questa materia, infatti, la negoziazione assisti-ta è consentita soltanto nel limitato caso in cui la causa verta su diritti aventi nel contratto colletti-

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vo di lavoro la propria fonte esclusiva, sempreché tale contratto abbia previsto e disciplinato la soluzione arbitrale. Un emendamento apportato in sede di conversione ha inteso semplificare gli adempimenti quando una delle parti è una pub-blica amministrazione e si tratti di conoscere di domande di valore non superiore a 50.000 euro, relative alla responsabilità extracontrattuale. In questi casi il consenso della PA al promovimento del procedimento arbitrale si presume prestato; a meno che, entro 30 giorni (deve intendersi, da quando la PA riceve dalla controparte l’istanza), venga espresso un dissenso per iscritto. L’emenda-mento risponde all’evidente intento di evitare che l’inerzia dell’amministrazione paralizzi la tutela del diritto del privato. Sull’istanza, il giudice non può rifiutare la trasmissione del fascicolo della causa, né si vede perché dovrebbe farlo. Per l’uffi-cio il procedimento viene cancellato dal ruolo. Il procedimento non si estingue ma prosegue nella sede arbitrale verso la pronuncia del lodo.

Questo è, in sintesi, il dettato della norma ci-tata, che riposa sulla comune volontà delle parti e sulla funzione professionale dell’avvocatura, nelle cui file devono essere scelti gli arbitri.

La facoltà attribuita alle parti presenta un qualche elemento di utilità che va evidenziato. Già prima dell’intervento legislativo le parti potevano abbandonare la causa in corso e rivolgersi ad arbi-tri, di comune intesa; ma la circostanza richiede-va la stipulazione di un apposito compromesso e comportava l’inizio di un autonomo iter della loro controversia. L’art. 1 del D.L. 132/2014, convertito con modificazioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162, dispone attualmente che il trasferimento alla sede arbitrale dei procedimenti pendenti dinanzi all’autorità giudiziaria avviene per effetto della sola richiesta delle parti, che tiene vece e luogo del compromesso. E, soprattutto, che il detto trasferimento comporta la prosecuzione del giudizio dinanzi agli arbitri, salvi restando gli effetti processuali e sostanziali delle domande già formulate nelle fasi e nei gradi percorsi. In questo modo il mutamento di sede viene effettuato senza ripercussioni negative, in termini di tempo e di conservazione di effetti, su quanto è già maturato. Nei rapporti tra arbitrato e processo la prosecu-zione del giudizio (per applicazione del principio di cui all’art. 50 c.p.c.) era ed è vietata dall’art. 819 ter. Il disposto del ricordato art. 1 viene dunque a superare questo divieto, con il risultato di favorire le parti nel loro intento di seguire vie alternative rispetto a quella giudiziaria. Per verità, la prose-cuzione del processo era già stata affermata dalla giurisprudenza, contro il dettato dell’art. 819 ter,

per il caso di dichiarazione di incompetenza da parte del giudice e di rimessione della causa agli arbitri, essendosi ritenuto in questo caso applica-bile il generale principio posto dall’art. 50 (Cass. 6 dicembre 2012, n. 22002). La pronuncia si con-forma alla vigente disciplina del procedimento arbitrale, trasformato di recente in una vera e propria procedura giurisdizionale di risoluzione delle controversie (in tal senso, Cass. sez. unite 25 ottobre 2013, n. 24153). L’innovazione in esame ha dunque un valore di definitivo chiarimento e di agevolazione per le parti.

Per altri aspetti la detta facoltà attribuita alle parti nel processo pendente si colloca senza ripercussioni nell’ambito di numerosi strumenti deflativi del carico civile presso gli uffici giudi-ziari. Le scelte delle parti possono condurle a raggiungere conciliazioni giudiziali ed extragiu-diziali; a ricorrere alla mediazione nei casi in cui essa è di applicazione facoltativa; a preferire le procedure arbitrali irrituali predisposte da enti pubblici e privati o dai consigli degli ordini pro-fessionali; e infine ad addivenire alla stipulazione della convenzione di negoziazione assistita dagli avvocati. L’opzione verso l’una o l’altra di queste forme di composizione extra giudiziaria dei con-trasti presenta differenze che comportano vantag-gi e svantaggi. Gli accordi amichevoli e irrituali conducono ad intese di natura contrattuale e le pretese creditizie su di essi fondate devono pas-sare, in caso di altrui inadempimento, attraverso il decreto ingiuntivo. Mediazioni, arbitrati rituali e negoziazione assistita consentono di ottenere un titolo esecutivo, immediatamente azionabile per l’espropriazione forzata e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Si aggiunge, poi, all’iniziativa libera delle parti quella del giudice, nelle forme di cui all’art. 185 bis c.p.c. (proposta di concilia-zione alla prima udienza) e all’art. 5 del D.L.vo 28/2010 (esperimento del procedimento di media-zione per ordine del giudice, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale, anche in grado di appello).

Il trasferimento alla sede arbitrale dei proce-dimenti pendenti ha in comune con la negozia-zione assistita la riserva della trattazione agli avvocati. La funzione di arbitri, come quella di assistere le parti nella negoziazione, è riservata agli avvocati ed è richiesto che essi siano iscritti da almeno cinque anni all’albo professionale, non abbiano subito condanne disciplinari definitive negli ultimi cinque anni e abbiano reso una di-chiarazione di disponibilità. Ragioni pratiche indurranno a formare elenchi dei professionisti dichiaratisi pronti ad assumere il relativo impe-

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gno. La regola generale è nel senso che venga nominato un collegio arbitrale e questa regola vale per tutte le controversie di valore superiore ad euro 100.000. Per le cause di valore inferiore può essere nominato un solo arbitro se le parti decidono in tal senso. La funzione di consigliere dell’ordine è incompatibile con l’incarico arbi-trale. Questa disposizione consente al presidente del Consiglio dell’ordine di delegare il compito di scelta degli arbitri ai componenti del Consiglio. Sono previsti emanandi decreti ministeriali in tema di riduzione dei parametri delle competenze dovute agli arbitri, di qualificazioni professionali e di criteri che devono guidare le scelte.

Norme di dettaglio regolano il caso della tra-smissione del fascicolo nel grado di appello e, più in generale, la riassunzione del processo presso gli arbitri. Quanto al giudizio di appello, è stato apprestato un meccanismo processuale rivolto a impedire differimenti nel tempo della conclusione della lite utilizzabili strumentalmen-te e comunque contrari alla ratio dell’innovazione legislativa. Trascorsi 120 giorni dall’accettazione della nomina del collegio arbitrale, il relativo procedimento deve essere concluso; se ciò non avviene, deve essere riassunto il processo dinanzi al giudice del gravame nei 60 giorni successivi alla scadenza, pena l’estinzione del giudizio, con gli effetti di cui all’art. 338 c.p.c. Si è, però, stabi-lito che sull’accordo delle parti gli arbitri possano chiedere una proroga del termine fissato per il de-posito del lodo, di ulteriori 30 giorni. Ciò serve ad evitare i tempi della riassunzione e a costringere gli arbitri a pervenire a una decisione. La proroga, deve ritenersi, incide sul termine assegnato dalla legge perché le parti provvedano alla riassunzio-ne: in pratica, questo termine viene sospeso per la durata della proroga. La riassunzione del proces-so preclude la pronuncia successiva del lodo che, se avviene, è nulla per violazione di una norma di legge e può essere impugnata per radicale, so-pravvenuta, carenza di potere decisorio negli arbi-tri. Anche indipendentemente da questa specifica circostanza, e sempre con riferimento al giudizio trasferito dal grado di appello, la dichiarazione di nullità del lodo pronunciato nei termini per esso previsti (i 120 gg. di cui sopra) o comunque en-tro la scadenza del termine di riassunzione (i 60 gg. di cui sopra) comporta il ritrasferimento dalla sede arbitrale a quella originaria iniziale. Il ritra-sferimento non avviene automaticamente; occor-re la riassunzione ad opera delle parti presso il giudice di appello, la cui mancata effettuazione determina l’estinzione del giudizio secondo la generale regola di cui all’art. 305 c.p.c.

Il trasferimento alla sede arbitrale, così come regolato dalla nuova disposizione, lascia intrave-dere qualche difficoltà pratica. Allorché si procede in base a un compromesso le questioni da sotto-porre agli arbitri risultano da esso determinate. La materia sulla quale pronunciare è esposta nei termini dell’atto che investe gli arbitri del loro po-tere e difficilmente sorgono problemi concernenti i limiti esatti della controversia. Il passaggio dalla sede giudiziaria a quella arbitrale può porre il que-sito dell’esatta determinazione della regiudicanda. Il processo civile è infatti scandito da preclusioni che si verificano per il susseguirsi delle varie fasi e che condizionano la proposizione di eccezioni, nel merito e processuali. É prevedibile l’eventuali-tà che sorga contrasto sulla determinazione della materia da trattare, in funzione delle possibili deduzioni di decadenza o di rilievi fondati sul principio di necessaria contestazione.

c) La negoziazione assistitaIl Capo II del D.L. 132/2014, convertito con

modificazioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162, contiene le norme regolatrici della procedura di negoziazione assistita da (almeno) un avvocato. Queste norme sono riferite, letteralmente, a una “procedura”, la quale non va intesa nel senso di procedimento avente una ristretta e tipica natura processuale ma secondo il significato di una serie di attività funzionalmente collegate al raggiungi-mento di uno scopo. La negoziazione assistita ha, infatti, esclusiva natura sostanziale e di esplica-zione di autonomia privata totalmente libera nelle forme, per la quale sono fissati soltanto i seguenti passaggi: la stipula di una convenzione iniziale che obbliga le parti a cercare tra loro, con l’assistenza necessaria degli avvocati, una soluzione concordata alla loro controversia, po-tenziale o pendente; le trattative assistite; l’even-tuale formalizzazione di un accordo risolutivo dei reciproci contrasti. La negoziazione si inserisce in un sistema giuridico che lascia ampio spazio alle transazioni, alle conciliazioni giudiziali e stra-giudiziali, agli arbitrati e alle mediazioni (in parte previste come obbligatorie). Un sintetico confron-to consente di evidenziare subito le caratteristica differenziale principale dell’istituto. L’accordo che pone termine alla controversia è raggiunto come risultato dell’impegno contrattuale ad evitare la via giudiziaria e a tentare di raggiungere una intesa vincolante attraverso l’opera professionale di assistenza svolta da avvocati. La rilevanza attri-buita dalla legge all’impegno contrattuale assunto e alla funzione svolta dai legali eleva il finale ac-cordo dal semplice piano delle pattuizioni private

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a quello degli atti muniti di efficacia immediata-mente esecutiva (nella separazione e nel divorzio, addirittura a quello della sentenza).

c-1) La convenzione di negoziazione assistitaLa procedura di negoziazione assistita ri-

chiede la stipula di una apposita convenzione, la convenzione di negoziazione assistita. Questa convenzione è definita dall’art. 2, primo comma, del D.L. 132/2014, convertito con modificazioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162, come: “…accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l’as-sistenza di avvocati iscritti all’albo...”. Essa ha forma e contenuto determinati. Va redatta per iscritto, a pena di nullità, e deve contenere le indi-cazioni specificamente elencate nel secondo com-ma del detto art. 2. Tra esse riveste particolare ri-lievo quella concernente il tempo concordato per l’espletamento della procedura, da determinarsi dalle parti ma comunque non inferiore a un mese (per conferirgli serietà) e non differibile oltre un limite di ragionevolezza, fissato in tre mesi (affin-ché non si traduca nella pratica non esercitabilità dei diritti della parte). La stessa convenzione è soggetta ad ulteriori requisiti.

Deve essere conclusa con l’assistenza di al-meno un avvocato, ove le parti non intendano nominarne in numero maggiore, e la circostanza deve risultare dalla certificazione con la quale l’avvocato, o gli avvocati, attestano l’autografia delle sottoscrizioni delle parti. La possibilità di ricorrere alla negoziazione assistita (quando non è condizione di procedibilità della domanda in giudizio) deve essere resa nota al cliente dall’av-vocato al momento in cui ne riceve un incarico professionale su materie di natura disponibile. Il relativo dovere costituisce oggetto di una norma deontologica, presidiata da sanzione disciplinare. Per evitare aggravi di spesa dovuti al conferimen-to dell’incarico ad avvocati esterni, si è disposto l’obbligo per le amministrazioni pubbliche di affi-dare la convenzione di negoziazione alla propria avvocatura, ove esistente.

La convenzione produce gli effetti vinco-lanti del contratto. Il richiamo alla buona fede e alla lealtà, operato dal primo comma dell’art. 2, ribadisce gli obblighi che regolano l’attività pre-contrattuale e soprattutto quella di adempimento delle obbligazioni negozialmente assunte. L’inos-servanza dell’impegno a trattare derivante dalla convenzione comporta l’accollo di una respon-sabilità da inadempimento che ha natura con-trattuale. La stessa natura assume la violazione

dei doveri di buona fede e di lealtà nel corso delle trattative che seguono alla convenzione. Infatti, anche se queste preludono al raggiungimento di un accordo risolutivo della controversia, la cor-rettezza delle trattative costituisce osservanza di un preciso obbligo assunto con l’iniziale conven-zione di negoziazione assistita.

c-2) Come si giunge alla convenzione di negozia-zione assistita

Le parti possono indursi a stipulare la con-venzione di negoziazione assistita per decisione comune, nel corso, ad esempio, dei contatti che in genere intercorrono preliminarmente all’in-staurazione della causa, con i buoni uffici degli av-vocati, loro potenziali difensori. Il D.L. 132/2014, convertito con modificazioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162, disciplina lo specifico caso in cui l’iniziativa di proporre la negoziazione assistita è assunta da una delle parti: e a questa fattispe-cie attribuisce particolari effetti giuridici. Nella normativa questa iniziativa unilaterale è assunta come situazione che corrisponde alla normalità dei casi e come aspetto fisiologico di una proce-dura che con tale comportamento ha un preciso inizio e una sua rilevanza.

L’art. 3 del decreto citato disciplina l’atto della parte con riferimento alle controversie per le quali la negoziazione assistita è condizione di procedi-bilità della domanda giudiziale ma nello stesso modo previsto da questa disciplina può giungersi alla convenzione di negoziazione anche allorché essa è facoltativa. In questo caso, ovviamente, non si applicano le disposizioni che riguardano l’avveramento della condizione e il rilievo del suo mancato avveramento. Per le dette controversie condizionate nella procedibilità dalla negoziazio-ne, colui che intende esercitare l’azione in giudizio sottoposta a siffatta condizione deve comunicare alla parte avversa un invito, per il tramite del pro-prio avvocato, a stipulare la convenzione e a segui-re la procedura di negoziazione assistita. L’opera di assistenza del legale inizia già dal momento di questo invito, che deve necessariamente passare attraverso il professionista e che si inquadra nel-l’ambito del più complesso procedimento gestito dagli avvocati. Per tale ragione non può equivalere all’invito prescritto dalla L. 162/2014 una qualsiasi sollecitazione che provenga dalla parte non debi-tamente assistita, quanto meno nelle ricordate situazioni in cui la negoziazione è condizione di procedibilità della domanda in giudizio.

L’invito a stipulare la convenzione è atto della parte assistita da difensore, senza, tuttavia, che in proposito occorra una vera e propria procura. La

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provenienza dal legale deve risultare dallo stesso invito che, quindi, deve non soltanto spendere il nome del professionista ma deve da lui essere confezionato e fatto comunicare. Esso non è cir-condato di particolari formalità ma per produrre pienamente gli effetti che la legge ad esso ricol-lega deve soddisfare alcuni requisiti e in questo aspetto l’opera del legale si rivela importante e co-struttiva. L’invito, infatti, deve indicare l’oggetto della controversia e contenere gli avvertimenti menzionati nell’art. 4, primo comma, del D.L. 132/2014, convertito con modificazioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162. Non sono previste modalità o schematismi specifici, fatta eccezione per la forma scritta e per la certificazione dell’au-tografia della sottoscrizione della parte da cui l’invito proviene. É necessario unicamente che l’atto sia munito degli elementi necessari a fargli raggiungere il suo scopo: l’indicazione inequivoca della materia controversa e la proposta di intavo-lare trattative, con la consulenza e il consiglio di avvocati, allo scopo di raggiungere un accomoda-mento che eviti la via giudiziaria.

Per gli effetti che la menzionata L. 162/2014 gli attribuisce, l’invito a stipulare la convenzione è equiparato alla domanda giudiziale. Dispone, in-fatti, l’art. 8 che dal momento della comunicazione dell’invito o della sottoscrizione della convenzione (se non preceduta dall’invito) si producono sulla prescrizione gli effetti della domanda in giudizio ed è impedita (per una volta) la decadenza. La dispo-sizione rinvia, per quanto riguarda la prescrizione, al noto effetto della interruzione-sospensione di cui agli artt. 2943 e 2945 codice civile, per i quali la domanda al giudice interrompe il corso della prescrizione, che resta sospeso sino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio: salva la retroattività dell’atto interruttivo (da cui inizia un nuovo periodo di prescrizione), nel caso di estinzione del giudizio. La decadenza, impedita analogamente dalla comunicazione dell’invito o dalla sottoscrizione della convenzione, ricomincia a decorrere dal momento in cui l’invito è rifiutato o non è accettato nel termine.

Una apposita norma disciplina il mancato accoglimento dell’invito. Essa rende palese e san-cisce la rilevanza assegnata all’invito, nel contesto della procedura di negoziazione assistita. Questo invito non consiste in un adempimento vuoto e privo di conseguenze nei rapporti tra le parti. Esso da un lato costituisce osservanza di una condizione di procedibilità della domanda e, dall’altro, obbliga chi lo riceve a fornire una risposta. Ovviamente, l’invito non può costringere il destinatario ad ad-divenire a una pattuizione, che resta affidata alla li-

bera volontà delle parti. Ma, poiché la negoziazione condiziona il processo, il rifiuto e la mancata rispo-sta non rimangono indifferenti nel contesto proces-suale: il giudice può tenerne conto nel provvedere alla ripartizione delle spese del giudizio intrapreso nonostante la possibilità di evitarlo con il proposto accordo e ciò anche sotto il profilo di quanto dispo-sto dagli artt. 96 e 642 c.p.c. Il richiamo all’art. 96 lascia intendere che la sua valutazione può essere effettuata non soltanto per l’accollo delle spese ma anche per disporre il risarcimento del danno cagio-nato per mala fede, colpa grave o difetto di normale prudenza nonché per la condanna della parte soc-combente al pagamento di una somma equitativa-mente determinata. Il rinvio all’art. 642 comporta che l’invito rifiutato o rimasto senza risposta possa costituire un elemento apprezzabile dal giudice per farne conseguire l’esecuzione provvisoria del titolo dal quale risulta il credito vantato, al pari di quanto è disposto per la cambiale, l’assegno bancario e gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato.

Quando l’esperimento della procedura di ne-goziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda in giudizio la condizione si consi-dera avverata se l’invito non è seguito da adesione o è rifiutato entro 30 giorni dalla sua ricezione nonché quando è inutilmente trascorso il termine fissato con la convenzione di negoziazione per la conclusione della procedura. Sono evidenti le finalità pratiche che hanno motivato la disposi-zione, finalizzata a rendere certa la situazione tra le parti in breve volgere di tempo e a spianare la strada all’accesso al giudice.

c-3) Ambito di applicabilità della negoziazione as-sistita

Il D.L. 132/2014, convertito con modificazioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162, non è esplicito sul punto ma si desume dalle sue disposizioni che per la negoziazione assistita esiste uno spazio di facoltatività oltre a quello specificamente regolato in cui la negoziazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Si desume, infatti e ad esempio, dal disposto del settimo comma dell’art. 2 che, se l’avvocato ha l’obbligo di informare il cliente da cui riceve un incarico della possibilità di avvalersi della procedura di negoziazione assistita, quale strumento alternativo alla via giudiziaria, deve esistere un ambito entro il quale la negozia-zione è semplicemente possibile e non costituisce un adempimento che condiziona la stessa proce-dibilità dell’azione da intraprendere. La dispensa per la parte che si trova nelle condizioni per essere ammessa al patrocinio a spese dello Stato dall’ob-

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bligo di remunerare l’avvocato è prevista (art. 3, comma 6) per i soli casi in cui il procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibili-tà della domanda in giudizio: e questa disposizione lascia comprendere che esistono casi ulteriori, nei quali la detta esenzione non opera.

Il fatto che esista uno spazio di facoltatività ha un suo rilievo, in quanto conduce a un risultato interpretativo dell’art. 3 D.L. 132/2014, convertito con modificazioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162, che merita di essere segnalato. L’art. 3 indica alcune fattispecie di azione giudiziaria per le quali la negoziazione assistita costituisce condizione di procedibilità e, rispetto ad esse, indica altresì una serie di casi che vi fanno eccezione. L’eccezione va intesa come riferita alle dette fattispecie di sus-sistenza della condizione di procedibilità e non anche all’applicabilità, in genere, della negoziazio-ne assistita: la quale resta esperibile per le parti, come scelta facoltativa, salva la compatibilità con la specificità del rito di volta in volta previsto. Ad esempio, per i procedimenti per ingiunzione, la negoziazione non è prescritta come condizione di procedibilità ma nulla vieta che prima di proporre l’opposizione al decreto monitorio la parte interes-sata formuli all’altra l’invito alla negoziazione, con interruzione del termine decadenziale di notifica della citazione. Per i procedimenti di consulenza tecnica preventiva al fine della composizione della lite l’art. 696 bis c.p.c. consente espressamente al consulente tecnico d’ufficio di tentare la concilia-zione della lite, quale possibile mezzo per risolve-re nelle fasi preliminari la controversia, e pertanto deve ritenersi che una iniziativa nello stesso senso possa essere assunta da una delle parti con il for-male invito alla negoziazione assistita.

La negoziazione intesa come condizione di procedibilità della domanda giudiziale è riferita alle azioni di risarcimento del danno da cir-colazione di veicoli e di natanti nonché alle azioni per condanna al pagamento, a qualsiasi titolo, di somme non eccedenti 50.000 euro per le quali non debbasi applicare l’art. 5, comma 1 bis del provvedimento sulla mediazione obbliga-toria D.L.vo 4 marzo 2010, n. 28. L’art. 3 del D.L. 132/2014, convertito con modificazioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162, che così dispone, pone evidenti problemi di coordinamento con la nor-mativa esistente, anche perché il suo quinto com-ma lascia per ferme le disposizioni che prevedono speciali procedimenti obbligatori di conciliazione e di mediazione, comunque denominati.

In proposito può notarsi che la disposizione citata reintroduce una condizione di procedibilità per le azioni di risarcimento danni da circolazione

di veicoli o natanti che era prevista, nella diversa forma della mediazione, dal primo comma dell’art. 5 del citato D.L.vo 28/2010, comma che era stato dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale per eccesso di delega. Le disposizioni contenute in tale comma erano state riproposte come comma 1 bis (dal D.L. 69/2013), ma in esso non erano più state menzionate le dette controversie per risarcimento danni, per le quali è stata poi predi-sposta la negoziazione assistita. Le controversie in questione tornano, dunque, ad essere sottoposte a una condizione da cui dipende la loro procedibi-lità in giudizio, sia pure secondo un meccanismo mutato e differenziato rispetto alla mediazione. Per le domande di pagamento somme di valore non eccedente 50.000 euro la negoziazione as-sistita si applica al di fuori dei casi in cui è già prevista la mediazione così detta obbligatoria, con la conseguenza di una integrazione di disciplina per la quale è sempre prevista, nel detto limite di valore, una condizione di procedibilità, costituita o dalla mediazione o dalla negoziazione.

La condizione di procedibilità non sussiste se la parte può stare in giudizio personalmente. Ciò si spiega con il fatto che la presenza personale in giudizio è consentita ai soggetti che rivestono le qualità necessarie per esercitare l’ufficio di difen-sore con procura; e, negli altri casi, l’assistenza obbligatoria di un avvocato per la negoziazione assistita confliggerebbe con l’autorizzazione con-cessa dal giudice a stare in causa di persona.

c-4) Contenuto ed effetti della convenzione di nego-ziazione assistita

Come si è accennato, il contenuto della con-venzione di negoziazione assistita è determinato dal D.L. 132/2014, convertito con modificazioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162, nei suoi ele-menti essenziali. Non sono previste formalità particolari e la convenzione può risolversi in una pattuizione su modelli preparati purché indi-chi chiaramente l’oggetto della controversia e il tempo durante il quale le parti devono restare vincolate. Oggetto e durata temporale sono, unitamente alle sottoscrizioni autenticate da av-vocati, i requisiti minimi essenziali per la vali-dità e l’efficacia della convenzione. L’oggetto della controversia è costituito dalla materia contesa, secondo le opposte tesi delle parti: debenza di una certa somma ed eccezione di controprestazione inadempiuta; affermazione di esistenza di una servitù e sua negazione per asserita inesistenza o per avvenuta estinzione da protratta mancata uti-lizzazione; pretesa di risarcimento del danno per colpa e deduzione dell’esclusiva colpa avversa; e

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simili. Ciò che rileva è che l’indicazione dell’og-getto della controversia copra i punti in contrasto tra le parti, nelle reciproche asserzioni e pretese, in modo che nessuna di esse possa sostenere che una certa questione non era stata ricompresa nel-la negoziazione ed eccepisca l’omesso ricorso alla relativa procedura o si senta libera di rivolgersi al giudice. La precisione nella menzione dell’oggetto della controversia assume importanza rilevante nei risvolti pratici cui dà luogo l’adempimento dell’obbligo di trattativa assunto con la conven-zione. Ed è il primo aspetto sensibile dell’attività da svolgersi dagli avvocati.

La convenzione è certamente un contratto di diritto privato. Il fatto che debba essere conclusa con l’assistenza di avvocati e che costoro abbiano il potere di certificare l’autografia delle sottoscri-zioni delle parti non ne muta la natura privati-stica. É la fattispecie complessa “convenzione di negoziazione assistita e accordo raggiunto” a far attribuire all’accordo finale la particolare efficacia di titolo esecutivo. Ma, di per sé, la convenzione resta atto privato. La certificazione da parte degli avvocati dell’autografia delle sottoscrizioni delle parti non è finalizzata ad attribuire pubblica fede se non a dette sottoscrizioni, così come avviene, ad esempio, per la procura alle liti.

Dalla convenzione sorgono doveri di com-portamento. Le prestazioni sono reciproche e di uguale contenuto. Le parti si obbligano a svolgere una trattativa sotto l’egida di uno o più professio-nisti – gli avvocati – cui spetta il compito di tutelare i loro interessi e di costruire tanto il contratto che è fonte di quegli obblighi quanto l’eventuale accordo che pone fine al contrasto tra di esse. L’assistenza del legale può servire a far contenere pretese esa-gerate o non totalmente fondate, a segnalare agli interessati gli aspetti incerti delle loro posizioni e a far comprendere come determinati ostacoli al successo delle loro istanze derivino direttamente dalla legge e non siano superabili (come avviene in caso di decadenze da facoltà e diritti, di maturate prescrizioni, di omesse denunce tempestive di vizi e difetti in opere e beni…).

c-5) Le trattativePer la negoziazione assistita, a differenza di

quanto disposto per la mediazione obbligatoria, non sono dettate norme regolatrici delle attività che seguono alla stipulazione della convenzione. Le trattative cui si obbligano le parti non costitui-scono un procedimento regolato da disposizioni intese a organizzarne le modalità e il percorso. Esse sono totalmente affidate alle scelte delle parti e dei loro legali, al riguardo in nulla diffe-

renziandosi dai tentativi di accordo che la prassi vede frequentemente precedere e spesso far ter-minare la controversia vera e propria.

Le uniche norme relative alle trattative di nego-ziazione assistita riguardano gli obblighi di buona fede e di lealtà, di tenere riservate le informa-zioni ricevute e di non utilizzare queste infor-mazioni e le dichiarazioni acquisite nel giudizio avente in tutto o in parte il medesimo oggetto. L’ob-bligo di buona fede richiama lo stesso obbligo che è imposto in tema di responsabilità precontrattuale (art. 1337 codice civile) e che concerne comunque tutto l’ambito delle obbligazioni di diritto civile, in genere, e specificamente di quelle derivanti da con-tratto (art. 1375 codice civile). L’obbligo di lealtà va inteso come riferito in particolar modo al com-portamento degli avvocati (in tal senso lo si trova ribadito nel comma 2 dell’art. 9 del D.L. 132/2014, convertito con modificazioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162) e riecheggia palesemente l’obbligo esteso alle parti dall’art. 88 c.p.c. I richiami che così risultano all’interprete rendono utilizzabili le nozioni generali di buona fede, lealtà, probità e correttezza ormai ben note nel diritto privato e nel diritto processuale.

Al concetto di condotta di buona fede e lealtà va ricondotto il divieto di utilizzare strumentalmente le informazioni e le dichiarazioni delle parti libe-ramente rese nel corso delle trattative. L’informale sede dei tentativi di accomodamento può indurre le parti ad affermazioni controproducenti, a vere e proprie ammissioni e persino ad affermazioni di contenuto ingiurioso, di sospetto o di diffamazio-ne. Il calore della discussione e, insieme, la natura riservata di questa si presentano come occasioni per abbassare le difese e trascendere lo scopo del confronto. Il fatto che di quanto appreso e avve-nuto possa essere fatto utilizzo nel giudizio co-stituisce un approfittamento della fiducia riposta nell’opera di assistenza dei legali e una violazione palese dell’etica professionale.

L’ampia libertà affidata alle parti e agli avvocati che le assistono consente di adattare le trattative alle occorrenze che di volta in volta si manifestano. Possono essere, certamente, con il consenso reci-proco, raccolte da terze persone informazioni utili a ricostruire i fatti. E può essere chiesta l’informale collaborazione di esperti per ottenere l’indicazione di costi, la descrizione dello stato di cose o di luo-ghi e una valutazione realistica dell’ammontare di danni.

c-6) L’epilogo delle trattativeLe trattative possono rivelarsi infruttuose e

mancare il risultato di una composizione concor-

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data della controversia. Nei casi in cui la negozia-zione assistita non è prevista come condizione di procedibilità della domanda giudiziale, il manca-to esito favorevole si risolve in un fatto che non produce effetti particolari e non necessita di esse-re documentato. La situazione è in tutto analoga a quella cui dà luogo ogni mancata conciliazione. Falliti i tentativi di accordo stragiudiziale, non re-sta a chi intenda perseguire nella tutela del suo diritto che intraprendere la via giudiziaria.

Quando la negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda in giudizio, il man-cato accordo può essere formalizzato in modo che la circostanza risulti, per quanto occorre a dimo-strare che la condizione è comunque stata soddi-sfatta. Dispone l’art. 4, terzo comma, D.L. 132/2014, convertito con modificazioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162, che la dichiarazione di mancato accordo è certificata dagli avvocati designati. Si desume da questa disposizione che l’esito sfa-vorevole delle trattative può costituire l’oggetto di una espressa dichiarazione sottoscritta dalle parti e con attestazione di autografia di tali sottoscrizio-ni ad opera degli avvocati che avevano assistito le parti (in tal senso deve essere interpretata l’espres-sione “certificata dagli avvocati designati” che si legge nel citato art. 4). La dichiarazione non è, però, necessaria nell’economia complessiva della negoziazione e della controversia. Essa può servire a eliminare ogni possibile contestazione in ordine all’avvenuto esperimento della procedura e, quin-di, dell’avvenuto avveramento della condizione di procedibilità, una volta intrapreso o proseguito il giudizio. Ma l’art. 3, comma 2, del D.L. 132/2014, convertito con modificazioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162, afferma che la condizione si conside-ra avverata quando è trascorso il periodo di tempo fissato dalle parti per la durata della procedura di negoziazione assistita. Risulta pertanto che, anche a prescindere dalla formale dichiarazione di man-cato accordo, questo mancato accordo può essere desunto dall’inutile trascorrere del tempo stabilito, con il conseguente via libera all’azione giudiziaria. Può ritenersi che le parti possano prorogare in modo espresso la durata che avevano stabilito con la convenzione per le loro trattative; la proroga, tuttavia, deve risultare per iscritto, in modo che ne risulti con certezza la prova.

Le trattative possono condurre a un accordo, totale o parziale, della controversia. É interes-se delle parti formalizzarlo con una scrittura, regolatrice dei reciproci rapporti secondo l’intesa raggiunta. Ma non sempre questa formalizzazio-ne si rende indispensabile. Una delle parti può abbandonare la propria pretesa, se si convince

dell’incertezza del suo fondamento o della scarsa probabilità di vederla accolta; oppure può ricono-scere le ragioni dell’altra e dell’inutilità di una resistenza in causa. Gli stessi interessati possono superare nei fatti ogni successiva prosecuzione del loro contrasto, come avviene se la somma ri-chiesta è pagata dietro rilascio della debita rice-vuta o se la compagnia assicuratrice RCA provve-de a tacitare il danneggiato ottenendo quietanza liberatoria.

Alla disciplina dell’accordo è dedicato l’art. 5 della L. 162/2014. Esso, se certificato dagli avvo-cati nell’autografia delle firme delle parti e nella conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico, nonché sottoscritto dagli avvocati stes-si, costituisce titolo esecutivo e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. In quanto tale, esso deve es-sere trascritto nel precetto da notificare nel caso di azione esecutiva intrapresa per l’esecuzione forzata delle prestazioni oggetto degli obblighi con esso assunti e in esso documentati. In tal sen-so si è disposto per effetto di un emendamento in sede di conversione del decreto legge, che ha dato occasione per apportare una modifica anche al D.L.vo 4 marzo 2010, n. 28, sulla mediazione. Il fatto che l’accordo, di mediazione e, attualmen-te, di negoziazione, debba essere trascritto nel precetto era desumibile senza incertezze in via di interpretazione; ma la precisazione legislativa ha colmato una lacuna testuale nel diritto positivo ed eliminato ogni motivo di possibile dubbio.

c-7) L’improcedibilitàLa negoziazione assistita come condizione di

procedibilità della domanda giudiziale è prevista unicamente in relazione alle controversie in ma-teria di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e di natanti e alle domande di condanna al pagamento di somme non eccedenti 50.000 euro. Per le controversie in tema di danno da circolazione l’ambito di applicazione comprende tutte le questioni cui possono dar luogo l’art. 2054 codice civile e la normativa sull’assicurazione ob-bligatoria, relativamente alla pretesa di ottenere un indennizzo cagionato dalla circolazione di veicoli e di natanti. La competenza a conoscerne è ripartita tra il giudice di pace e il tribunale mo-nocratico, in forza di un parametro costituito dal valore della domanda (art. 7 c.p.c.). Le controver-sie per il pagamento di somme sono indicate dal D.L. 132/2014, convertito con modificazioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162, come fondate “su qualsiasi titolo” e anch’esse sono ripartite tra il giudice di pace e il tribunale in ragione del valore della domanda. Sono escluse le controversie tra

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professionisti e consumatori, per le quali si ap-plicano le norme dettate dal codice dei diritti del consumatore D.L.vo 6 settembre 2005, n. 206.

La disciplina dell’operatività della condizione di procedibilità segue criteri ormai acquisiti. Essa opera ex lege e può essere rilevata d’ufficio. Ma l’eccezione di parte e il rilievo del giudice sono sottoposti alla preclusione costituita dall’esaurirsi della prima udienza di trattazione. Il passaggio all’udienza successiva rende non più rilevabile il mancato avveramento della condizione. Il fatto che si sia giunti a una fase significativa di svilup-po del giudizio impedisce, nella valutazione fatta-ne dal legislatore, un ritorno a fasi precedenti o comunque adempimenti ormai superati dai fatti.

L’art. 3, primo comma, del D.L. 132/2014, convertito con modificazioni nella L. 10 novem-bre 2014, n. 162, detta alcune indicazioni per coordinare con la condizione di procedibilità il giudizio intrapreso prima che le parti abbiano interamente soddisfatto la condizione stessa. Se il giudice rileva, alla prima udienza, che la procedu-ra di negoziazione assistita è iniziata ma che non è ancora scaduto il termine fissato per le trattative, rinvia il processo a una udienza successiva a detta scadenza. Allo stesso modo provvede se rileva che la procedura suddetta non è stata iniziata, con as-segnazione alle parti di un termine di 15 giorni per la comunicazione dell’invito alla convenzione di negoziazione. La soluzione adottata dalla normati-va impone una sospensione del processo ma evita che questo debba essere riassunto dalle parti.

c-8) La negoziazione assistita nelle controversie in materia di lavoro

Una disposizione dettata ad altro scopo, nel testo del decreto legge 132/2014 anteriore alla sua conversione, lasciava intendere che la negoziazio-ne assistita era consentita anche in relazione a controversie nella materia del lavoro subordina-to. L’art. 7 del D.L. 132/2014 aggiungeva all’ultimo comma dell’art. 2113 codice civile una disposizio-ne che equiparava l’accordo concluso a seguito della negoziazione assistita alle conciliazioni rag-giunte nelle così dette sedi protette, per quanto poteva concernere la validità e la non impugnabi-lità delle rinunce e delle transazioni del prestatore di lavoro. All’evidenza, dunque, secondo la primi-tiva intenzione del legislatore, le parti avrebbero potuto percorrere la strada della negoziazione as-sistita dagli avvocati anche per risolvere questioni riguardanti diritti e pretese derivanti dai rapporti di lavoro subordinato.

Il proposito sancito nel decreto legge ha susci-tato perplessità nei primi commentatori e critiche

che hanno indotto alla soppressione della disposi-zione. Sono note le divergenze interpretative che riguardano l’esatta portata dell’art. 2113 e la sua discussa riferibilità anche ai diritti indisponibili del prestatore di lavoro, rinunciabili e transigibili soltanto nelle sedi protette. Queste ragioni hanno indotto un prudente legislatore ad abbandonare una iniziativa che poteva avere invece un suo spazio, se deve essere reperita una coerenza nella ratio che ha ispirato la riforma. Se deve aversi fiducia nell’opera assistenziale dei liberi profes-sionisti che esercitano l’avvocatura questa fiducia non può essere negata a seconda della qualità delle vertenze da trattare.

c-9) Rapporti tra la negoziazione assistita e la me-diazione di cui al D.L.vo 28/2010

La disciplina della negoziazione assistita è venuta a inserirsi in una complessa normativa esi-stente che prevede numerosi strumenti di preven-zione o di composizione delle controversie a pre-scindere da una formale decisione del giudice. La ricerca di mezzi di soluzione dei conflitti, alternati-vi al giudizio, ha trovato incentivo nell’esigenza di giungere rapidamente alla definizione dei rapporti contestati, con il minimo dispendio di energie e di esborsi possibile. Basterà ricordare la concilia-zione giudiziale, la conciliazione del consulente tecnico d’ufficio, le varie forme di conciliazione in materia di lavoro, l’arbitrato rituale e irrituale, le conciliazioni in settori specifici dell’ordinamento, quali quelli in tema di assicurazioni, banca e cre-dito nonché la mediazione, facoltativa e obbliga-toria. Tutte, o quasi, hanno in comune lo scopo di giungere a un atto che definisca il contrasto tra le parti e abbia tra esse una efficacia vincolante, se non anche quella del titolo immediatamente ese-guibile nel caso di inadempimento. La negoziazio-ne assistita si aggiunge a questa vasta tipologia di istituti e la circostanza pone il problema di com-prendere quale esattamente sia la differenza, la collocazione e l’utilità dell’innovazione.

Si è accennato al fatto che, là dove la negozia-zione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, essa esclude il ricorso a forme diverse di composizione della lite e la sua proposi-zione impedisce, comunque, le decadenze imposte per l’esercizio dell’azione. L’art. 3 lascia ferme le di-sposizioni che prevedono speciali procedimenti ob-bligatori di conciliazione e mediazione comunque denominati. La concorrenza tra la negoziazione assistita e questi altri procedimenti è risolta nel senso della loro alternatività, senza che l’una forma prevalga sull’altra. Infatti, i termini per la negoziazione assistita (per l’invito e per l’avvera-

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mento della condizione) e per l’instaurazione degli altri procedimenti decorrono simultaneamente. Allorché essa è, invece, semplicemente consentita, si pone in alternativa con le altre procedure con-ciliative e fornisce agli interessati l’opportunità di optare per un sistema agile e privo di ritualismi, qual è quello della trattativa assistita dagli avvo-cati. Il confronto che in questo quadro di principi maggiormente interessa riguarda quello tra la negoziazione assistita e la mediazione detta obbli-gatoria, secondo le norme di cui al D.L.vo 4 marzo 2010, n. 28.

La prima diversità che emerge dal confronto riguarda la stessa struttura della negoziazione assistita. Essa implica un contratto iniziale, la convenzione di negoziazione, che obbliga le parti a cercare una soluzione ai loro contrasti con l’as-sistenza di soggetti terzi scelti esclusivamente tra gli avvocati. I contatti e le trattative che seguono come adempimento di questo obbligo iniziale sono affidati unicamente all’iniziativa degli stessi interessati, con il dovere di comportarsi secondo buona fede e lealtà. Nessuna norma regola questa attività, se non quelle che vietano l’utilizzo succes-sivo nel processo delle informazioni e delle dichia-razioni ricevute nel corso degli incontri informali. Per contro, la mediazione si risolve in un proce-dimento vero e proprio, minutamente disciplinato nel suo svolgimento, che comporta la richiesta di una parte all’organo investito della funzione di mediatore e una serie di adempimenti diretti ad assicurare il contraddittorio, la ritualità delle attività svolte e l’effettuazione di una eventuale istruttoria. Nella negoziazione assistita l’autono-mia delle parti è massima ed è gestita dagli avvo-cati, cui compete monopolisticamente il compito di seguire le parti e guidarne le scelte. Nella me-diazione questa riserva ai legali non esiste e anche se molti organismi di mediazione sono predispo-sti dai Consigli dell’ordine e composti da iscritti all’albo professionale, il procedimento è affidato ad organismi precostituiti ed appositi, istituiti da enti sia pubblici che privati. Nei casi in cui è possibile la scelta, perché né la negoziazione né la mediazione sono previste come condizione di procedibilità, la negoziazione appare lo strumento più semplice tra i due.

Nei risultati, comunque, l’uno e l’altro istituto si equivalgono, quando nella mediazione le parti sono assistite da avvocati. L’accordo raggiunto con la negoziazione e il verbale redatto dal me-diatore sono titolo esecutivo per l’esecuzione forzata e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Se manca l’assistenza legale a una o a tutte le parti, il verbale redatto dal mediatore necessita di una

omologa ad opera del presidente del tribunale e questa circostanza accentua la differenza che nel-la attuazione pratica divide la negoziazione dalla mediazione.

Lo scopo perseguito con i due istituti a con-fronto è il medesimo. Esso consiste nella sot-trazione di una notevole porzione di contenzioso al giudice, nella ricerca di mezzi meno onerosi e più tempestivi del processo per risolvere le con-troversie.

Tanto la negoziazione quanto la mediazione hanno in comune una serie di norme rivolte a vincolare a precisi obblighi di comportamento, anche deontologici, i legali e i mediatori: obblighi di lealtà, di riservatezza, di non utilizzazione stru-mentale di quanto appreso nelle fasi di trattativa o procedimentali nonché obblighi di astensione da iniziative processuali aventi connessione con gli affari trattati. All’imposizione di obblighi corri-spondono altrettante tutele, quali l’esenzione dal dovere di testimonianza, il riparo costituito dal segreto professionale e le garanzie di libertà da ispezioni, sequestri, intercettazioni e perquisizio-ni di cui all’art. 103 codice di procedura penale.

La diversità di struttura che contraddistingue le due forme di composizione delle controversie comporta alcune differenze nella disciplina delle conseguenze per i casi di rifiuto, di mancata ade-sione all’iniziativa della parte o di mancata parte-cipazione nella fase di ricerca di un accordo. Nella negoziazione assistita la procedura inizia con l’in-vito di una parte all’altra a scegliere l’assistenza degli avvocati come mezzo per evitare l’azione giudiziaria o porre termine alla causa pendente. Ed è dunque la riscontrata inutilità dell’invito, ri-masto senza seguito, a poter essere valutata come circostanza che produce i suoi effetti sul processo (la condizione di procedibilità si considera avvera-ta) e a pregiudizio della parte non collaborante (il giudice può tener conto, nel giudizio non evitato con la negoziazione, della condotta ai fini della ripartizione delle spese e dell’applicazione de-gli artt. 96 e 642 codice di procedura civile). La mediazione ha, invece, inizio con la richiesta di chi si rivolge direttamente all’organismo di media-zione e pertanto è la altrui inerzia a partecipare al procedimento così intrapreso a dar luogo a un comportamento apprezzabile in senso sfavorevole per la parte negligente: la condizione di procedi-bilità per la mediazione obbligatoria si considera avverata se già il primo incontro con il mediatore si conclude senza la conclusione dell’accordo e, a maggior ragione, se all’incontro non compare la parte che non ha assunto l’iniziativa. Dalla man-cata partecipazione al procedimento il giudice

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35 IL COMMENTO OPERATIVO

può desumere argomenti di prova nel successivo processo e, all’esito di questo, può condannare la parte che non vi ha partecipato senza giustificato motivo al pagamento a favore dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.

d) La negoziazione assistita in materia di sepa-razione e di divorzio

Come si è accennato, al dichiarato scopo di apprestare strumenti alternativi all’azione in giudizio e comunque deflativi del carico pen-dente presso gli uffici giudiziari, il legislatore ha aggiunto agli esistenti istituti della conciliazione, della mediazione e dell’arbitrato la negoziazione assistita, quale specifico mezzo di risoluzione di controversie senza l’intervento del giudice. La negoziazione è, in linea di principio, consentita entro il limite dei diritti disponibili ma è stata estesa alla materia matrimoniale e, ove sfoci in un accordo, abilita i coniugi a separarsi legalmente, a divorziare o modificare le condizioni stabilite nelle pronunce di separazione o divorzio in fun-zione della mera espressione della loro volontà in tal senso. Inoltre, ove ne esistano specifiche condizioni, i coniugi possono direttamente comparire dinanzi al sindaco, quale ufficiale di stato civile, per chiedergli di trascrivere nei regi-stri la loro volontà di separarsi o divorziare, senza che occorra in proposito il provvedimento di una qualche altra autorità.

d-1) Convenzione di negoziazione assistita dagli avvocati dei coniugi

A1) Per esigenze di chiarezza conviene ri-chiamare brevemente i principi che regolano, in generale, l’istituto della negoziazione assistita da avvocati.

Gli artt. 2 e 3 del D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modificazioni nella L. 10 no-vembre 2014, n. 162, disciplinano la convenzione di negoziazione assistita da un avvocato e la defi-niscono “… accordo mediante il quale le parti con-vengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tra-mite l’assistenza di avvocati iscritti all’albo…”. La convenzione è, in linea di massima, facoltativa per i diritti disponibili; è condizione di procedibilità per le azioni di risarcimento in materia di danni da circolazione di veicoli o di natanti e per le doman-de di pagamento di somme non eccedenti 50.000 euro (salvo, in questo caso, numerose eccezioni). In entrambi i casi essa vincola i sottoscrittori a seguire un iter negoziale, con l’assistenza di avvo-cati, per un tempo che essi stessi determinano. In

questo ambito, regole specifiche sono state dettate (art. 6) per la negoziazione assistita in tema di se-parazione personale, cessazione degli effetti civili o scioglimento del matrimonio, o modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.

Le caratteristiche tipizzanti dell’istituto, così sintetizzate, sono comuni a tutte le situazioni previste come suscettibili di negoziazione. Anche nella materia della separazione coniugale e del divorzio la convenzione di negoziazione consiste in un patto con il quale le parti si impegnano a trattare tra loro per cercare di raggiungere un accordo, entro un tempo prefissato, non inferiore a un mese, e su un oggetto che deve essere esatta-mente precisato. Occorre, dunque, la concorrente e persistente volontà dei coniugi, posto che ne-goziazione significa, in estrema sintesi, intesa per cercare un accordo al di fuori della via giudizia-ria: intesa suscettibile di attribuire una particola-re efficacia all’accordo che venga poi raggiunto. Le parti devono essere assistite da almeno un avvocato ciascuna e la stessa convenzione deve essere conclusa con l’assistenza fattiva di almeno un avvocato per ciascuna. Gli avvocati certificano l’autografia delle sottoscrizioni apposte dalle par-ti alla convenzione, per la quale la forma scritta è richiesta, esplicitamente, a pena di nullità. É norma comune alla fattispecie in materia di ma-trimonio quella dettata, più in generale, dall’ul-timo comma dell’art. 2, e per la quale l’avvocato ha il dovere deontologico di informare il cliente della possibilità di ricorrere alla negoziazione assistita allorché riceve un incarico concernente materie che consentono una siffatta negoziazio-ne. Importanti estensioni della regolamentazione della negoziazione assistita alla peculiare materia matrimoniale sono, inoltre: l’imposizione dell’ob-bligo agli avvocati non solo di certificare l’auto-grafia delle sottoscrizioni della convenzione e del-le sottoscrizioni dell’eventuale accordo raggiunto con essa ma di certificare, altresì, la conformità di questo accordo alle norme imperative e di ordine pubblico; e la configurazione di un illecito deon-tologico per il legale che impugni l’accordo cui egli ha partecipato nella sua veste professionale in sede (deve intendersi) di negoziazione assistita. In questo quadro, le ulteriori regole dettate per la negoziazione assistita nella specifica materia ma-trimoniale assumono un autonomo rilievo.

Per il divorzio, la negoziazione assistita su-scettibile di incidere sul matrimonio senza la pronuncia del giudice è consentita nel solo caso di precedente separazione personale pronunciata con sentenza passata in giudicato o di avvenuta omologazione della separazione consensuale; e

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36LA RIFORMA DELLA NEGOZIAZIONE ASSISTITA

deve essere trascorso il termine di tre anni previ-sto dall’art.3, primo comma, numero 2, lett. b), secondo periodo, della L. 898/1970 (come modi-ficato dal D.L. 132/2014, convertito con modifica-zioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162: il termine decorre attualmente anche dalla data certificata nell’accordo di separazione e dalla data dell’atto di separazione verbalizzato dinanzi all’ufficiale dello stato civile). Nel testo antecedente alla con-versione in legge del decreto 132/2014 era previsto che non potesse ricorrersi alla negoziazione as-sistita se i coniugi avevano figli minori, figli mag-giorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti. La limitazione è poi caduta e attualmente la nego-ziazione è consentita anche in presenza di figli nelle dette condizioni. Poiché la negoziazione in tema matrimoniale tende a rendere superflua la pronuncia del giudice, per non perdere l’efficacia di questa è stabilito che l’accordo raggiunto con la negoziazione tra le parti assistite produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio (nel caso di cui sopra) e di modifica delle condizioni di separazione e di divorzio. Risponde poi a palesi e necessarie esigenze di coordinamento la dispo-sizione che impone all’avvocato che ha assistito la parte di trasmettere, entro 10 gg., all’ufficiale dello stato civile del comune in cui il matrimonio era stato iscritto o trascritto una copia autenticata dell’accordo munita delle certificazioni prescritte: dell’autografia delle sottoscrizioni delle parti, certificata dallo stesso avvocato, o da un pubblico ufficiale autorizzato se con l’accordo raggiunto le parti hanno concluso uno dei contratti o compiu-to uno degli atti soggetti a trascrizione nei registri immobiliari (art. 2643 c.c.); e della conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico (indicazione comprensiva, deve inten-dersi per la delicatezza della materia, anche del buon costume).

Così sommariamente ricostruito l’istituto per quanto riguarda il diritto di famiglia, ne risulta palese l’utilità che, sia pure nei limiti della sua ap-plicabilità, esso può fornire ai coniugi interessati a porre termine al loro rapporto matrimoniale o a modificare le condizioni della loro separazione o del loro divorzio. Sottoscrivendo un impegno a trattare con l’assistenza dei legali, l’accordo suc-cessivamente raggiunto non si esaurisce in una mera transazione privata, sprovvista di effetti in una materia che è sempre stata ritenuta di diritto indisponibile e rigidamente riservata alla giuri-

sdizione ecclesiastica e civile. L’accordo diventa invece un titolo munito dell’efficacia del prov-vedimento del giudice, a tanto elevato per la forza attualmente riconosciuta alla volontà delle parti e per l’alta funzione collaborativa alla giu-stizia che si attribuisce al professionista legale. La negoziazione può essere utilizzata per prevenire la controversia in giudizio come anche per porvi termine, se iniziata, mediante l’abbandono di questa e il percorso di una procedura che è tutta di natura sostanziale e che tuttavia conduce a un titolo suscettibile di esecuzione forzata, di tutela cautelare e di efficacia erga omnes.

A2) L’innovazione ha una notevole importan-za sotto il profilo ideologico e storico. Nel diritto romano la costituzione del rapporto matrimo-niale non richiedeva adempimenti procedurali particolari e il matrimonio stesso era basato, nel suo momento genetico e nella sua persistenza, esclusivamente sulla volontà comune dei coniugi: voluntas facit nuptias. Fu il cristianesimo a inne-stare nell’istituto matrimoniale una visione reli-giosa che lo elevava a vero e proprio sacramento, inteso come legame indissolubile dopo che il sacerdote ne aveva celebrato il rito (Concilio di Trento, 1563). La libertà dei coniugi terminava con la scelta di sposarsi; e per secoli non furono ammesse forme legali di scioglimento del vincolo diverse da quelle fondate sui difetti del titolo di sua formazione. La progressiva laicizzazione dello Stato ha condotto a rivalutare la libera volontà dei coniugi quale elemento, unico, fondante del loro stare insieme. Gli aspetti religiosi riguardano, si afferma, l’intimità delle persone e sotto il profilo del valore giuridico riconosciuto al matrimonio la stessa differenza tra quello civilmente valido e quello irrilevante perchè convivenza di fatto è sta-ta attenuata in modo notevole. L’attribuzione di preminenza alla volontà di avere una vita comune ha condotto a parziali ammissioni di un rilievo giuridico da assegnare alle unioni omosessuali e ad aprire ad esse le porte alle adozioni. Finisce, attualmente, sotto silenzio, una visione secolare della legittimità delle unioni di coppia, sotto la spinta di mutamenti del costume che da un lato hanno imposto di attribuire un nuovo contenuto alla nozione di “famiglia” quale tutelata dalla Co-stituzione e, dall’altro, consentono di assorbire senza sorpresa l’esautorazione del giudice (pur non ancora avvenuta in misura totale) in una materia da sempre considerata tipica della sua giurisdizione.

Per tornare alla descrizione della negoziazione assistita nella specifica materia, va ribadito che

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37 IL COMMENTO OPERATIVO

essa può essere utilizzata sia per prevenire una controversia tra i coniugi che per porre termi-ne ad essa, una volta intrapresa. Il riferimento è rivolto ai procedimenti di cui agli artt. 150 s.s. co-dice civile, 706 e s.s. codice di procedura civile; 4 e s.s. L. 898/1970. La negoziazione assistita consen-te all’autonomia delle parti di superare quello che da sempre ha costituito un naturale impedimento all’arbitrato e alla mediazione: l’indisponibilità del vincolo matrimoniale, che era rimuovibile soltan-to attraverso una pronuncia del giudice. Anche ove è divenuto possibile raggiungere il risultato della separazione e del divorzio senza la pronun-cia giudiziaria rimane comunque uno spazio ri-servato all’autorità giurisdizionale. La limitazione della negoziazione assistita, in tema di divorzio, ai casi fondati sulla protratta separazione dichiarata giudizialmente trova giustificazione nel fatto che è già stata effettuata dal giudice quella verifica sull’impossibilità di prosecuzione della conviven-za che della separazione costituisce la condizione necessaria; l’omologazione della separazione consensuale documenta l’avvenuto controllo giu-diziario in ordine all’assenza di contrasto con altri interessi fondamentali della famiglia, primi tra tutti quelli dei figli. Resta, ovviamente, affidata al giudice la possibilità di ottenerne provvedimenti cautelari e urgenti, quali il sequestro dei beni del coniuge inadempiente, ex art. 8 L. 898/1970. La versione definitiva del D.L. 132/2014, convertito con modificazioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162, ha poi introdotto forme di controllo dell’au-torità giudiziaria (il nulla osta, l’autorizzazione, la trasmissione degli atti al presidente del tribunale, delle quali dovrà dirsi) che in qualche modo ricon-ducono la separazione e il divorzio assistiti dagli avvocati nell’ambito di una tutela giurisdizionale.

A3) L’originario testo del D.L. 132/2014 circo-scriveva la negoziazione assistita in materia di separazione e divorzio al solo caso in cui i coniugi non avessero figli minori, figli maggiorenni inca-paci, non autosufficienti o portatori di handicap grave. Un emendamento apportato in sede di conversione ha condotto ad estendere, nel testo definitivo, la negoziazione assistita anche ai casi di presenza di figli nelle dette condizioni. Un al-tro emendamento ha introdotto un meccanismo di controllo che reintroduce nella negoziazione assistita l’intervento dell’autorità giudiziaria, individuata nelle persone del procuratore della Repubblica e del presidente del tribunale.

Nel riferirsi ai figli in situazione da proteg-gere, il provvedimento di riforma rimanda a no-zioni univoche e ormai sviscerate nell’applicazio-

ne pratica del diritto di famiglia. In particolare, i figli portatori di handicap grave sono da indi-viduare in conformità al disposto degli artt. 337 septies c.c. e 37 bis disp. att., che rinviano all’art. 3, comma 3, della L. 5 febbraio 1992, n. 104, Leg-ge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate (dal quale si desume che sono portatori di handicap grave coloro che versano in situazioni di minorazione che riducono l’autonomia personale, correlata al-l’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione).

Con il primo dei ricordati emendamenti si sono accolte le istanze di quanti lamentavano come ingiustificata l’esclusione dalla negoziazio-ne dei casi in cui i coniugi hanno figli non au-tonomi e suggerivano in proposito di prevedere una qualche forma di verifica giurisdizionale che offrisse ogni garanzia di tutela per i soggetti da proteggere. Reperita questa forma di verifica, l’ac-cordo negoziato è divenuto consentito anche ove coinvolga l’affidamento e il mantenimento di figli nelle sopra dette condizioni, senza distinguere se questi siano figli di entrambi o di uno solo dei coniugi che si separano o divorziano. La seconda modifica all’iniziale D.L. ha inteso salvare un principio, quello della riserva alla giurisdizione della decisione sul vincolo matrimoniale, che avrebbe potuto essere sacrificato senza scosse e che invece è stato conservato attraverso uno stru-mento certamente inadeguato e improprio.

La negoziazione in presenza di figli comporta che l’accordo venga trasmesso al procuratore della Repubblica presso il tribunale competen-te. Ciò significa che l’accordo deve essere deposi-tato a cura dei difensori presso la segreteria della procura, in originale o in copia autentica, e deb-bano essere corrisposti i relativi diritti: ma, prima ancora, che venga individuato il tribunale compe-tente per territorio. In proposito, il D.L. 132/2014, convertito con modificazioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162, si limita ad accennare al tribunale competente, evidentemente con ciò rimandando ad altre norme esistenti che servono a identificar-lo. Deve allora ritenersi che detto tribunale vada determinato sulla base dei criteri che stabiliscono la competenza territoriale per i procedimenti giu-risdizionali di separazione e di divorzio.

Pertanto, per gli accordi sulle separazioni è competente, a norma dell’art. 706, primo comma, c.p.c., il tribunale del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi. La disposizione prevede anche un criterio sussidiario, ove l’applicazione dell’altro non sia possibile, costituito dal luogo in

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cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio. L’attuale testo della legge pone dunque il proble-ma di stabilire se ai fini della verifica da compiersi dal procuratore della Repubblica possa essere considerato competente il tribunale individuato per il tramite del criterio sussidiario. La risposta al quesito pare debba essere necessariamente affermativa, anche se implica uno sforzo inter-pretativo del quale è responsabile in esclusiva il legislatore. É noto che il parametro di competenza fondato sulla residenza o sul domicilio del conve-nuto trova la sua principale ragione nel fatto che si giunge alle separazioni (e soprattutto, ai divor-zi) dopo cessazioni della convivenza risalenti nel tempo, il cui trascorrere ha privato di significato il rilievo da attribuire all’ultima residenza comune, divenuta non più che un ricordo e senza collega-mento geografico con la vita attuale degli interes-sati. Il cessato legame dei coniugi con uno specifi-co territorio comune costituisce un elemento che deve avere rilevanza anche ove essi preferiscano evitare il procedimento giurisdizionale per per-venire comunque a una sistemazione stabile dei loro rapporti giunti alla crisi. L’aspetto problema-tico della questione in argomento è rappresentato dalla possibile mancanza in uno dei coniugi della veste di “convenuto”. Il problema non si pone se la negoziazione assistita viene intrapresa nel corso di un procedimento di separazione o di divorzio contenziosi, dato che in essi uno dei coniugi as-sume l’iniziativa e l’altro ne viene evocato in giu-dizio (anche se, a rigore, quando essi si risolvono ad optare per la negoziazione, abbandonando il giudizio, la veste di convenuto attiene ad una fase ormai dismessa). Esso ha ragione di porsi, invece, in relazione alle procedure consensuali e, specificamente, nei casi in cui la negoziazione non è preceduta dall’attivazione di un procedimento giurisdizionale ma sorge da una iniziativa degli interessati che, di comune intesa, si rivolgono direttamente agli avvocati. Poiché la negoziazio-ne assistita prevede, nello schema ipotizzato dal legislatore, un invito dell’una parte all’altra alle trattative negoziali, in questo invito può essere ravvisato quell’atto di avvio della procedura che può essere equiparato, nello scopo e negli effetti, alla notifica del decreto presidenziale di fissazione dell’udienza di comparizione. Induce ad accoglie-re questa soluzione il fatto che l’invito a negoziare, dovendo essere in qualche modo comunicato al destinatario, non può essergli indirizzato che alla residenza o al domicilio, vale a dire, precisamente nei luoghi di cui al cennato criterio di competenza sussidiario di cui all’art. 706 c.p.c. Manca, ovvia-mente, la possibilità di ricorrere a tale parametro

sussidiario quando la negoziazione assistita non è preceduta da un invito unilaterale. Si veda, però, quanto riferito infra.

Per gli accordi in tema di divorzio, il crite-rio della competenza territoriale è indicato dall’art. 4, primo comma, L. 1 dicembre 1970, n. 898. Esso riprende il testo dell’art. 706 c.p.c., con una significativa aggiunta. L’ultimo periodo afferma infatti che la domanda congiunta può es-sere proposta al tribunale del luogo di residenza o domicilio dell’uno o dell’altro coniuge. É previ-sto come parametro principale quello del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi e, per l’impossibilità di utilizzarlo, quello del luogo di residenza o domicilio del coniuge convenuto. Ma, per le procedure su domanda congiunta, vale il criterio facoltativo del luogo di residenza o di domicilio di uno qualunque dei coniugi. Il che significa, per la negoziazione assistita giunta al-l’accordo di divorzio, che questo accordo può es-sere trasmesso, in quanto conseguente a volontà e istanze congiunte, al procuratore della Repubbli-ca presso il tribunale del luogo in cui ha residenza o domicilio l’uno o l’altro dei coniugi.

Questo criterio può essere utilizzato anche per l’accordo avente ad oggetto la separazione. Sono noti gli argomenti che da tempo sottolinea-no le analogie e le assonanze tra le procedure di separazione e quelle di divorzio, regolate in modo sostanzialmente uniforme e già oggetto di una di-sciplina comune (art. 24 L. 6 marzo 1987, n. 74).

A4) L’accordo negoziato di separazione o di divorzio, in assenza di figli (minori o equipa-rati) è trasmesso al procuratore della Repubblica per ottenerne un nulla osta. La natura di questo atto è certamente amministrativa e rientra in quel novero di attribuzioni che non sarebbero di pertinenza dell’autorità giudiziaria, come tale, ma che le vengono comunque assegnate in una prospettiva di autorevole garanzia di imparzialità e di affidabilità con cui rivestire alcune situazioni non aventi natura contenziosa ma di ordine. Il procuratore della Repubblica, nella sua qualità di pubblico ministero, ha tra le sue funzioni quella di assicurare l’osservanza della legge e, sotto que-sto profilo, una speciale posizione gli è riservata anche nel processo civile (artt. 70 e ss. c.p.c.). Nella procedura di negoziazione assistita, che ha natura di diritto sostanziale, il suo intervento va inteso non già come verifica della volontà dei con-traenti l’accordo, liberi di regolare i loro rapporti come vogliono nell’ambito dell’autonomia priva-ta, ma come controllo del rispetto delle norme imperative e di ordine pubblico, che servono da

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39 IL COMMENTO OPERATIVO

limite a questa autonomia e che impedirebbero le iscrizioni e le annotazioni previste dall’ordina-mento dello stato civile. Il nulla osta va riferito infatti a queste iscrizioni e a queste annotazioni, e attesta che nessun ostacolo sussiste alla loro effettuazione.

La legge 162/2014 riferisce il nulla osta alla verifica di possibili “irregolarità”, come situazioni ad esso preclusive. Questa espressione impegna l’interprete a individuarne il significato e il conte-nuto. Sono cause di irregolarità quelle soltanto formali, quali la mancata attestazione dei legali sulla conformità dell’accordo alle norme impe-rative e di ordine pubblico? La mancanza di una firma? Il difetto della data o di una delle afferma-zioni che i difensori devono effettuare sugli avver-timenti da rendere alle parti? L’ampia locuzione della legge impone una risposta affermativa ma il problema vero concerne il potere del procuratore della Repubblica di scendere all’esame del con-tenuto dell’accordo e di sindacarne le clausole. Può, ad esempio, il procuratore della Repubblica ritenere insufficiente l’assegno mensile stabilito a favore del coniuge che deve riceverlo da quello più abbiente? Può essere esaminato lo stato di bi-sogno di uno dei contraenti o considerato risibile il versamento in unica soluzione dell’assegno di divorzio? Ammettere poteri di questo genere si-gnifica trasformare un nulla osta amministrativo in quel sindacato di merito che sarebbe spettato al giudice ove non si fosse preferito scegliere la strada della contrattazione assistita. Significhe-rebbe svilire la posizione e la funzione degli av-vocati in una procedura della quale sono respon-sabili direttamente e che si è a loro affidata per la fiducia riposta nella loro alta collaborazione al servizio giustizia. Significherebbe, infine, privare di ogni utilità la negoziazione assistita rispetto alle procedure consensuali dinanzi al giudice, per le quali non occorre una durata temporale in misura maggiore di quanto occorre ad ottenere un nulla osta da un indaffarato P.M.; né servono esborsi maggiori.

Il testo legislativo non dice cosa accade se il procuratore della Repubblica nega il nulla osta. Il provvedimento è impugnabile? E davanti a quale autorità? Verosimilmente, nell’intenzione inespressa del legislatore le parti devono neces-sariamente instaurare la procedura giurisdiziona-le: rivolgersi, cioè, al giudice affinché, eventual-mente previa modifica o correzione dell’accordo, questo venga omologato nelle forme ordinarie o recepito in una sentenza. Se, a questo punto, in conseguenza dei rilievi del P.M. venisse a man-care il consenso di uno dei coniugi, non dispo-

sto ad adeguarvisi, non resterebbe che adire la via della separazione o del divorzio nel giudizio contenzioso.

La negoziazione in presenza di figli minori o ad essi equiparati per bisogno di protezione si differenzia sol perché, invece di un nulla osta, il procuratore della Repubblica deve pronunciare una autorizzazione, in mancanza della quale deve essere fatto intervenire il presidente del tribunale. Mentre il nulla osta rimuove un ostacolo di tipo essenzialmente burocratico all’esercizio di un di-ritto o di una facoltà, l’autorizzazione rimuove un condizionamento cui è subordinato l’esercizio di un diritto. Si accenna in proposito ai diritti affie-voliti, condizionati ad un provvedimento permis-sivo dell’autorità che è basato su una valutazione discrezionale circa la sussistenza dei requisiti voluti dalla legge per il loro concreto esercizio. Ciò significa che nell’ottica del legislatore della riforma, se i coniugi hanno figli minori o ad essi equiparati, il loro diritto alla separazione o al divorzio è subordinato ad un apprezzamento che, in funzione di pubblico ministero, il procuratore della Repubblica deve compiere sul modo con il quale i minori vengono tutelati. E significa anche che questo apprezzamento può e deve scendere al merito del contenuto dell’accordo negoziale. In realtà, però, il procuratore della Repubblica non è l’arbitro del vincolo matrimoniale dei coniugi che a lui chiedono l’autorizzazione. Egli può uni-camente rilasciarla, mentre, ove ritenga che non ne ricorrono i presupposti, deve necessariamente far intervenire il giudice: e questo salva, a nostro parere, la legittimità del sistema.

L’autorizzazione è pronunciata se il procurato-re della Repubblica ritiene che l’accordo raggiunto con la negoziazione assistita risponde all’interesse dei figli. La disposizione che tanto prevede attribui-sce al pubblico ufficio un potere di valutazione discrezionale, i cui criteri di esercizio non risulta-no in alcun modo determinati. Quale possa essere, di volta in volta, l’interesse dei figli non sarà facile da apprezzare, sulla base di un accordo che indica la decisione assunta d’intesa tra i coniugi ma non accenna ai problemi che essa ha risolto. L’interesse in questione può certamente non essere soltanto di natura economica, anche se l’aspetto del contri-buto reciproco al mantenimento e all’educazione della prole costituisce il punto di maggior rilievo per l’attenzione di chi deve compiere una verifica. Ma l’interesse può avere caratteristiche diverse ed essere ricercato sotto il profilo dell’influenza dell’ambiente in cui deve venire a trovarsi il mi-nore, l’idoneità del genitore ad essere affidatario o dei parenti a crescere o curare l’avente diritto

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alla protezione, l’istruzione da impartire, i tempi e modi della convivenza e quelli di visita. Un criterio di diritto positivo da tenere presente è fornito dal combinato disposto degli artt. 147 c.c. (che indica i doveri dei genitori verso i figli: obbligo di man-tenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni) e 315 bis stesso codice (che indica, specularmente, i diritti dei figli a fronte dei detti obblighi: a essere mantenuti, educati, istruiti, e assistiti moralmente, nel rispetto delle loro ca-pacità, delle loro inclinazioni naturali e delle loro aspirazioni; inoltre, diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti). Gli interessi dei figli vanno apprezzati in questo va-sto quadro generale di obblighi e di diritti, in una visione che deve trascendere l’episodio meramente occasionale (un viaggio premio per far avvertire meno dolorosa la separazione dei genitori) e deve considerare l’assetto complessivo nel quale i figli vengono a trovarsi in conseguenza della separazio-ne o del divorzio dei loro genitori.

L’accenno ai diritti dei figli induce l’interprete a porsi il quesito concernente il diritto a essere ascoltati in tutte le questioni e le procedure che li riguardano (art. 315 bis, 336 bis c.c.; 38 bis disp. att.). Il procuratore della Repubblica deve ascoltare il minore, prima di pronunciarsi sulla autorizzazione? Le norme che regolano l’ascolto rendono non tanto peregrino l’interrogativo, po-sto che esse riferiscono il diritto a essere ascoltato a “tutte le procedure” e ad “ogni procedimento” in cui debbasi pronunciare un provvedimento riguardante il minore. Va tuttavia osservato che, nel descrivere le modalità dell’ascolto, l’art. 336 bis le descrive come attività rimesse esclusiva-mente al presidente del tribunale o al giudice da lui delegato. L’adempimento è condotto dal giudice e l’art. 38 bis disp. att. lo indica come appannaggio esclusivo del giudice, che decide chi può essere presente e quali strumenti adottare per proteggere l’ascoltato senza negare al P.M., ai consulenti e ai difensori la possibilità di seguire senza essere presenti.

Per il caso in cui il procuratore della Re-pubblica ritenga che l’accordo raggiunto con la negoziazione assistita non risponde all’inte-resse dei minori o dei maggiorenni incapaci, economicamente non autosufficienti o portatori di handicap grave, il D.L. 132/2014, convertito con modificazioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162, fornisce una precisa risposta che impedisce di ritenere che l’atto di negazione sia impugnabile. Entro 5 giorni (ma il termine deve ritenersi ordi-natorio), deve essere informato il presidente del

tribunale competente. Il tribunale è, ovviamente, quello presso il quale si trova la procura della Re-pubblica, da individuarsi come sopra si è accen-nato. Il presidente, entro i successivi trenta giorni (termine anch’esso ordinatorio e che decorre dalla ricezione dell’accordo inviato dal procuratore del-la Repubblica) adotta i provvedimenti necessari a radicare una procedura giurisdizionale.

L’informativa consiste nella trasmissione del-l’accordo. Esigenze di logica vogliono che essa sia accompagnata dalle osservazioni del procuratore, che servono sia a giustificare la negata autorizza-zione e sia a far conoscere agli interessati quali sono gli ostacoli che sono stati ravvisati. I prov-vedimenti da adottarsi dal presidente si risolvono nella fissazione dell’udienza di comparizione, sulla falsariga di quanto è previsto per il giudizio di separazione e di divorzio. La fissazione è ef-fettuata per mezzo di un decreto che è notificato dalla cancelleria. Dinanzi al presidente si svolge una udienza nella quale è tentata la conciliazione dei coniugi e questo tentativo esprime la funzione tipica del presidente anche in questa procedura peculiare. Nella stessa udienza si prende atto della volontà degli interessati di aderire ai rilievi espressi nella negazione dell’autorizzazione o di opporvisi.

Ove i coniugi non rinuncino a separarsi o di-vorziare ma insistano nell’intenzione manifestata con l’accordo negoziale, sul punto deve pronun-ciarsi il collegio, previa fissazione dell’udienza davanti ad esso, per l’omologa della separazione o per la negazione dell’omologa. Se è venuto meno il consenso di una delle parti, non disposta ad ac-cettare le nuove condizioni necessarie a superare i rilievi effettuati dal procuratore della Repubbli-ca, il giudizio prosegue nelle forme contenziose, dinnanzi al giudice istruttore.

Il tribunale non è vincolato alle osserva-zioni svolte dal procuratore della Repubblica nell’atto che nega l’autorizzazione. Esso esercita la giurisdizione nella pienezza dei poteri che la legge gli attribuisce.

A5) Da queste premesse devono essere tratte le osservazioni conclusive ad opera dell’interpre-te, cui spetta di indagare gli aspetti problematici, teorici e pratici di una disciplina che presenta spiccate caratteristiche di novità.

É evidente, come primo approccio, l’avvenuta abrogazione parziale degli artt. 158, primo comma, c.c. e 711, quarto comma, c.p.c., che per l’efficacia della separazione consensuale rendevano indi-spensabile l’omologazione del tribunale. Queste di-sposizioni vanno attualmente intese nel senso che

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41 IL COMMENTO OPERATIVO

l’omologazione è necessaria soltanto ove i coniugi non possano giungere o comunque non giungano alla loro separazione consensuale attraverso la negoziazione assistita. Ciò che appare tuttavia ve-ramente significativa è l’efficacia attribuita all’ac-cordo cui tende la negoziazione assistita. Questa efficacia non è quella tipica del contratto di diritto privato bensì quella che l’ordinamento conferisce alla decisione del giudice. La circostanza, come si è accennato, è frutto di uno sviluppo che ha condotto a ravvisare nella volontà delle parti il vero cemento della loro unione, indispensabile a costituirla agli occhi della legge ma anche suscettibile di porle ter-mine in ogni momento. La volontà delle parti era raccolta e controllata dal giudice, quale supremo tutore dell’ordine costituito; attualmente è certifi-cata dall’avvocato. Ma la certificazione sottintende la partecipazione attiva del professionista, implica che l’accordo sia anche il frutto del suo intervento e comporta l’assunzione di una responsabilità professionale di garanzia di ritualità, nella forma e nella sostanza, di questo accordo. Si è creata una fattispecie complessa nella quale il consenso dei coniugi a separarsi, divorziare o modificare le con-dizioni della loro separazione o divorzio è idoneo a superare la barriera dei diritti indisponibili grazie alla attiva presenza del professionista legale e del-l’affidamento che offre per i terzi l’esercizio della sua professione. Il quale professionista certifica non soltanto le autografie delle sottoscrizioni in calce alla negoziazione e in calce all’accordo suc-cessivo ma, soprattutto, certifica la conformità del contenuto di questo accordo alle norme imperative e di ordine pubblico. É la conseguente assunzione di responsabilità nel soggetto munito della partico-lare veste di utilità pubblica che trasforma un con-tratto di natura privata (e che sarebbe invalido, per l’indisponibilità dei diritti che ne sono oggetto) in un atto dotato addirittura della forza della senten-za, opponibile ai terzi e titolo diretto per l’esecu-zione forzata. L’intervento del procuratore della Repubblica stona con questo quadro evolutivo e in ogni caso completa la fattispecie complessa, sotto forma di una condizione che consente ad essa di esplicare la sua concreta efficacia. L’importanza di questa condizione è ravvisabile dalla disposi-zione che, nel modificare norme dell’ordinamento di stato civile (art. 6, comma 5, del D.L. 132/2014, convertito con modificazioni nella L. 10 novem-bre 2014, n. 162), lascia intendere che all’ufficiale di stato civile deve essere fatta esibizione, per le iscrizioni e le annotazioni di rito, non soltanto del-l’accordo negoziato ma, se i coniugi hanno figli da tutelare, anche dell’autorizzazione del procuratore della Repubblica.

Da tempo è in atto una rivalutazione delle libere professioni come garanti e tutori di in-teressi statuali nei settori più disparati. Notai, commercialisti e medici, soprattutto, devono ve-rificare (ed esserne responsabili) l’osservanza da parte della clientela di norme disparate, da quelle antiriciclaggio a quelle sulle esenzioni fiscali, in adempimento di una serie di compiti che non si saprebbe descrivere come complementari piutto-sto che sostitutivi di quelli spettanti per istituto agli organi pubblici. Agli avvocati erano già state attribuite funzioni di spicco nell’ambito della mediazione obbligatoria, che ha preceduto la negoziazione assistita per gli aspetti riguardanti la certificazione di conformità dell’accordo alle norme del diritto e la natura di titolo esecutivo dell’accordo raggiunto. In questo quadro evoluti-vo, la negoziazione assistita dall’aiuto dei legali è andata oltre la mediazione obbligatoria come soluzione di controversie alternativa al giudice. Essa è giunta a rendere superfluo il giudice an-che oltre il limite della indisponibilità dei diritti di status personale, con l’ottenere il risultato di garantire un titolo in tutto equiparabile alla for-male sentenza. Se, per così dire, il vincolo matri-moniale era nelle esclusive mani del giudice, esso attualmente può essere nelle sole mani delle parti e dei loro avvocati, salvo per quanto concerne la verifica demandata al P.M. E ciò vale anche per quei patti in vista della separazione o del divor-zio che la giurisprudenza ha sempre considerato invalidi per l’indisponibilità dei diritti negoziati. Ne risulta un istituto ibrido, con aspetti di diritto privato, per l’autonomia riconosciuta ai singoli, e con implicazioni pubblicistiche, per gli effetti che produce sul vincolo matrimoniale e per il coinvol-gimento dell’autorità giudiziaria.

A6) Per quanto concerne il contenuto del-l’accordo cui tende la negoziazione, non sono stati posti limiti di sorta. Esso non è riferito esclusivamente a stabilire tra i coniugi la loro se-parazione o sancirne il divorzio, da far formaliz-zare poi con la trascrizione nei registri dello stato civile. Con l’accordo i coniugi possono regolare tutti gli aspetti dei loro rapporti, fatta eccezione per quelli che riguardano i figli minori e i figli ad essi equiparati, come pure modificare le intese già raggiunte. Liberi, dunque, i coniugi di stabilire tra loro la prestazione di garanzie reali o perso-nali (artt. 156, comma 4, c.c. e 8 L. 898/1970); di escludere l’uso da parte della moglie del cognome del marito o di consentirlo (artt. 156 bis c.c. e 5 L. 898/1970); di stabilire la corresponsione di un assegno di mantenimento o di divorzio o di so-

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stituirlo con una corresponsione unica; di stabi-lire, in particolare, l’assegno indipendentemente dall’osservanza dei criteri fissati al giudice dagli artt. 156 c.c. e 5, comma 6, L. 898/1970, sia per la determinazione della spettanza dell’assegno stes-so che per la determinazione del suo quantum. Nella loro autonomia, le parti stabiliscono come vogliono l’ammontare dell’assegno e sono loro a tener conto delle differenze dei loro redditi, dei reciproci bisogni, degli eventuali addebiti di mancata assistenza, comprensione o fedeltà. Nel caso della corresponsione una tantum, però, va osservato come, senza una apposita espressa previsione convenzionale, la strada pattizia scelta non preclude successive domande di contenuto economico. Preclusione che invece opera nel divorzio giudizialmente dichiarato, per effetto del comma ottavo dell’art. 5 L. 898/1970, norma che trova la sua giustificazione nella valutazione di equità fattane dal giudice, nella sede giurisdi-zionale che, per definizione, nella fattispecie della negoziazione manca e non può essere considerata sostituita dall’assistenza dei legali.

Il legislatore non ha voluto che gli accordi privati facessero mancare alle parti aspetti che ha ritenuto essenziali nel momento in cui si tratta di incidere sul vincolo matrimoniale. L’art. 6 del D.L. 132/2014, convertito con modificazioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162, dispone a questo propo-sito che l’accordo dia atto formalmente che gli avvocati hanno tentato di conciliare le parti, per salvare il loro rapporto coniugale; e che gli stessi avvocati hanno informato le parti della possibilità di esperire la mediazione familiare nonché, se i coniugi hanno figli minori, dell’importanza per costoro di trascorrere tempi adeguati con cia-scuno dei genitori.

A7) Per altri aspetti la ricostruzione dell’inter-prete deve procedere distinguendo varie fattispecie.

1. Per l’art. 5, comma 10, L. 898/1970, l’as-segno di divorzio non è più dovuto se il coniuge beneficiario passa a nuove nozze. Sorgono in proposito i seguenti interrogativi: la norma citata è applicabile nel caso di cessazione degli effetti civili o scioglimento del matrimonio concordati con la negoziazione? Vale a dire, la parte tenuta alla corresponsione può obbligarsi a mantenere comunque l’assegno oppure la cessazione della debenza dell’assegno è una conseguenza che ri-posa su un principio di natura inderogabile? La riforma dovuta alla L. n. 74/1987 soppresse gli aspetti di istituto assistenziale che si attribuivano in base alla normativa precedente all’assegno di divorzio. Sembra dunque di poter affermare che

esso è totalmente nella disponibilità delle parti, libere di rinunciare al relativo diritto e di obbli-garvisi nei termini che ritengano di accettare.

2. L’assegnazione della casa familiare può essere stabilita senza necessità di rispettare i crite-ri di cui all’ art. 6 L. 898/1970, dettati per la decisio-ne del giudice ma non limitativi della libertà delle parti. Se trascritta, come dispone l’art. 6, comma 3, D.L. 132/2014, convertito con modificazioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162, essa è opponibile ai terzi (la norma citata richiama l’art. 1599 codice civile), anche se stabilita con l’accordo negoziato.

3. Ai sensi dell’art. 8, terzo comma, L. 898/1970, la sentenza di divorzio consente al coniuge beneficiario dell’assegno di mettere in mora il coniuge inadempiente ai versamenti mediante una raccomandata con avviso di ricevi-mento; e la stessa sentenza può essere notificata al terzo debitore del coniuge inadempiente per ottenere da lui il versamento diretto di quanto da lui dovuto. La disposizione è collocata, nella nor-ma citata, dopo l’altra che indica nella sentenza la natura di titolo esecutivo e di titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Ne emerge una descrizione complessiva del provvedimento che può essere considerata propria anche all’accordo concluso con la negoziazione, che è equiparato negli effetti alla sentenza e che, come questa, è titolo esecutivo e titolo per l’iscrizione dell’ipoteca. Può dunque ritenersi che ai fini della messa in mora e del ver-samento diretto costituisca titolo anche l’accordo conseguito con la negoziazione assistita.

4. L’art. 9, commi 2 e 3, L. 898/1970, attri-buisce al coniuge divorziato, che percepisce l’as-segno, il diritto alla pensione di reversibilità, o a una quota di essa, nel caso di morte di colui che corrispondeva l’assegno. La ricordata equipara-zione dell’accordo raggiunto con la negoziazione assistita al provvedimento del giudice comporta che questo accordo costituisca, anch’esso, titolo in base al quale rivendicare la detta pensione o la quota di spettanza. Pertanto, non dovrebbero sus-sistere ostacoli a ottenere il riconoscimento del diritto anche mediante l’esibizione all’ente previ-denziale dell’accordo negoziato quale atto che ha costituito il titolo per l’avvenuta corresponsione dell’assegno e che si invoca come titolo per otte-nere la pensione o una sua porzione. Come si de-sume dall’ultimo comma della medesima norma, la pensione o la sua quota parte deve essere chie-sta all’ente previdenziale e se è chiesta con una domanda giudiziale, ad essa va allegato un atto notorio dal quale risultino tutti gli aventi diritto. Analoga allegazione deve accompagnare l’esibi-zione dell’accordo negoziato. La richiesta diretta

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all’ente sulla base dell’accordo negoziato incontra un limite pratico, però, ove esistano altri aventi diritto a una quota della pensione, quali il coniuge superstite, i figli o i parenti di cui ai commi terzo e quarto dell’art. 9 L. 898/1970. Ove costoro esi-stano, si rende necessaria una ripartizione delle quote che l’art. 9 riserva al tribunale. Il pregresso accordo negoziato di divorzio varrà come titolo che consente a chi ne usufruisce di inserirsi tra gli altri possibili beneficiari nella ripartizione che della pensione dovrà fare il tribunale, anche con la partecipazione in giudizio dell’ente se il diritto di taluno è contestato.

5. Può attribuirsi efficacia al divorzio negozia-to tra le parti in relazione all’assegno periodico a carico dell’eredità, previsto dall’art. 9 bis L. 898/1970, nonché all’attribuzione di una quota del T.F.R. maturato dal coniuge obbligato all’as-segno. L’efficacia concerne l’essere riconosciuto il coniuge che esibisce l’accordo concluso con la negoziazione come coniuge divorziato a tutti gli effetti, cioè come se il divorzio fosse stato di-chiarato dal giudice: con le conseguenze che ne derivano ex lege in tema di richiesta dell’assegno a carico dell’eredità e di ripartizione del T.F.R. tra gli aventi diritto. Fermi, comunque, i limiti di ap-plicabilità fissati dalla legge sul divorzio: non es-sere il coniuge richiedente passato a nuove nozze ed essere già titolare di assegno.

6. L’art. 10 della L. 898/1970 dispone nel se-condo comma che lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio hanno efficacia, a tutti gli effetti civili, dal giorno dell’annotazione della sentenza sui registri dello stato civile. Gli effetti patrimoniali si producono già con la pub-blicazione della sentenza di primo grado (art. 282 c.p.c.) ma per l’incidenza della pronuncia sulla persistenza del vincolo è richiesto un adem-pimento di natura amministrativa finalizzato a rendere esistente la decisione anche per i terzi. La regola così fissata deve intendersi estesa ai casi di accordo raggiunto con la negoziazione as-sistita, dato che il quinto comma dell’art. 6 D.L. 132/2014, convertito con modificazioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162, modifica la disciplina del-l’ordinamento dello stato civile nel senso di preve-dere annotazioni nell’atto di nascita, iscrizioni e trascrizioni negli archivi e annotazioni nell’atto di matrimonio anche degli accordi conseguiti con la negoziazione, previo nulla osta oppure autorizza-ti dal procuratore della Repubblica, a seconda dei casi. Ovviamente, annotazioni, iscrizioni e trascri-zioni riguardano unicamente lo scioglimento del vincolo, non anche il contenuto delle pattuizioni che lo accompagnano. L’adempimento è rimesso

agli avvocati, nella loro funzione di certificatori e di garanti della ritualità degli accordi negoziati con la loro assistenza. Il relativo obbligo è presi-diato dalla previsione dell’inosservanza come fat-tispecie di violazione di natura amministrativa, sanzionata con una pena pecuniaria. In difetto di indicazioni, deve ritenersi che le procedure di applicazione della sanzione, ad opera dei comuni, siano quelle di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, di depenalizzazione, in forza della diposizio-ne a contenuto generale dettata dal suo art. 12.

7. I provvedimenti del giudice in materia di cessazione degli effetti civili e scioglimento del matrimonio nonché di modifica delle condizio-ni di separazione e divorzio sono impugnabili se-condo le regole processuali ordinarie. Una siffatta impugnabilità è ovviamente da escludere nel caso della negoziazione assistita, che è atto negoziale e non atto del giudice regolato dalle norme proces-sualcivilistiche. Si pone, allora, il problema di come assicurare una tutela alla parte che ritenga di dover reagire avverso un accordo che reputa invalido o non rispondente alla sua reale volontà o lesivo dei suoi interessi. Il fatto che la pattuizione sia stata raggiunta con l’assistenza degli avvocati non può escludere che essa possa in qualche modo essere impugnata perché una siffatta esclusione non sussiste neppure nel caso in cui si tratti di impugnare la sentenza. La natura sostanzialmente contrattuale della negoziazione assistita induce a ritenere che l’interessato non possa che dedurre i vizi del consenso (errore, dolo, violenza) tipici della patologia del negozio nonché l’avvenuta inos-servanza delle norme che specificamente regolano la negoziazione stessa: per, ad esempio, l’invalidità della forma scritta o la mancata certificazione delle sottoscrizioni, e simili.

8. L’art. 12-sexies della legge sul divorzio sanziona con le pene previste dall’art. 570 codice penale (il rinvio è soltanto quoad poenam) il co-niuge che si sottrae all’obbligo di corresponsio-ne dell’assegno. La disposizione è stata in pas-sato ritenuta non estensibile al caso, pur contiguo, dell’omesso versamento dell’assegno di manteni-mento nella separazione personale, fattispecie che si reputava punibile soltanto ove fossero sussistiti gli ulteriori specifici elementi costitutivi del reato rappresentati dalla condotta dolosa cui consegue la mancata prestazione dei mezzi di sussistenza (Cass. pen. 10/2/1988, n. 3582). Una interpretazio-ne fondata sul principio di tassatività degli illeciti penali aveva condotto a questa affermazione, per una situazione (quella della separazione) che pure in nulla si differenzia dall’altra (quella del divorzio) se non per il titolo dal quale deriva l’obbligo tutela-

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to penalmente. L’art. 3 della L. 8 febbraio 2006, n. 54, specificò, poi, che l’art. 12 sexies doveva essere applicato anche nei casi di violazione degli obbli-ghi economici stabiliti nel provvedimento di sepa-razione. La diversità di disciplina venne dunque soppressa in base a una norma di diritto positivo, così confermandosi l’impossibilità di estensioni in via soltanto interpretativa. Per quanto riguarda la negoziazione assistita una analoga norma di di-ritto positivo che consente l’applicabilità dell’art. 12 sexies alle violazioni degli obblighi assunti con l’accordo negoziato va ravvisata nell’art. 6 del D.L. 132/2014, convertito con modificazioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162, il cui terzo comma affer-ma che l’accordo produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono i pro-cedimenti di separazione, di divorzio o di modifi-ca delle condizioni di separazione o divorzio. La parificazione dell’accordo negoziato alla sentenza del giudice consente di ravvisare nell’accordo un titolo idoneo a far sorgere la penale responsabilità per inosservanza degli obblighi in esso stabiliti secondo il disposto della norma citata.

9. La negoziazione assistita non comporta co-sti diversi da quelli di remunerazione dell’opera di assistenza prestata dagli avvocati. Se un ac-cordo è raggiunto in funzione di prevenzione di un giudizio contenzioso, l’unica spesa ulteriore è costituita dalla registrazione dell’accordo ai sensi del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131. L’imposta colpi-sce l’accordo e gli atti a contenuto patrimoniale che esso contiene (ad esempio, il trasferimento di beni dall’uno all’altro coniuge).

10. Le norme sulla negoziazione assistita sono entrate in vigore il giorno successivo alla pubblicazione del D.L. 132/2014 sulla Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 12 settembre 2014.

d-2) Accordo di separazione consensuale, di scio-glimento o di cessazione degli effetti civili del matri-monio, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio ricevuto dall’ufficiale di stato civile

L’art. 12 del D.L. 132/2014, convertito con modificazioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162, consente ai coniugi decisi a separarsi con effetto legale o ad ottenere rapidamente il divorzio di presentarsi dinanzi al sindaco, nella sua fun-zione di ufficiale dello stato civile, del comune presso il quale il loro matrimonio fu iscritto o trascritto per fare espressa dichiarazione della loro intenzione. L’ufficiale dello stato civile deve raccogliere le dichiarazioni di costoro, rese con l’eventuale assistenza, e presenza, di un avvocato e redigere un atto che tiene vece e luogo della sentenza del giudice e dell’accordo negoziato con

l’assistenza degli avvocati. Costituiscono condi-zione essenziale per l’applicazione della norma il comune accordo dei coniugi, ovviamente, e il non avere costoro, al momento, figli minori, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero maggiorenni non autosufficien-ti. Contestualmente, il sindaco deve invitare i coniugi a ripresentarsi dinanzi a lui non prima di trenta giorni, per la conferma dell’accordo e per provvedere alle iscrizioni e alle annotazioni previste dall’ordinamento di stato civile. Questa ripresentazione è stata voluta in sede di conver-sione del decreto legge 132/2014 per supplire in qualche modo alla funzione conciliativa che nel procedimento giurisdizionale sarebbe spettata al giudice: il tempo lasciato alle parti serve ad una loro riflessione e alla maturazione del loro proposito in un senso di possibile ripensamento. La mancata comparizione equivale alla mancata conferma dell’accordo ed impedisce quindi che esso produca un qualsiasi effetto.

Più in particolare, la disposizione ricordata ri-chiede che l’ufficiale di stato civile riceva personal-mente la dichiarazione di volersi separare o di vo-ler divorziare da ciascuno dei coniugi e rediga poi, subito dopo, un documento nel quale si dà atto dell’accordo tra le parti e delle condizioni tra esse concordate. L’istituto si applica anche nel caso in cui i coniugi intendano apportare modifiche alle condizioni che erano state stabilite con i provve-dimenti di separazione e di divorzio ma in questo caso non è prevista la ripresentazione. L’accordo del quale il pubblico ufficiale dà atto non può contenere patti di trasferimento patrimoniale. La funzione attribuita al funzionario è sostan-zialmente notarile ed esclude qualunque com-partecipazione o assunzione di responsabilità per la determinazione del contenuto degli accordi. Il compito svolto è finalizzato alle annotazioni, iscrizioni e trascrizioni nei registri dello stato civile e va adempiuto con aderenza a quanto le parti in-teressate espressamente dichiarano e nei limiti di questa finalità. Se dunque ben si comprende come sia vietato che l’accordo contenga pattuizioni di trasferimento patrimoniale (che non interessano lo status delle persone quale risulta dai pubblici registri), qualche difficoltà sussiste a individuare l’esatto ambito di operatività dell’accordo in tema di modifica dei provvedimenti di separazione e di divorzio. Il fatto che non siano consentiti tra-sferimenti patrimoniali (di cose e di diritti) non impedisce gli atti di rinuncia, ad esempio, all’as-segno di mantenimento in precedenza percepito o al godimento di beni già comuni. Le perplessità riguardano il godimento della casa familiare e,

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soprattutto, i rimborsi e le restituzioni, in genere, che comportano una diminuzione patrimoniale corrispondente all’arricchimento procurato all’al-tro soggetto.

Anche l’accordo formalizzato dinanzi all’uf-ficiale dello stato civile tiene luogo, come l’atto negoziato con la negoziazione assistita, dei prov-vedimenti giudiziali che definiscono i procedi-menti di separazione personale, di divorzio per protratta separazione e di modifica delle condi-zioni di separazione e di divorzio. In questo caso, però, manca completamente l’attività di chi, per l’alta funzione ricoperta, è in grado di trasformare volontà private in decisioni provviste di intrinseca forza autoritativa e di efficacia pubblica. I coniugi possono presentarsi all’ufficio comunale da soli oppure insieme ai loro avvocati o dopo aver rag-giunto intese mediante la loro assistenza. Ma ciò che unicamente rileva ad integrare la peculiare fattispecie in questione è la formulazione delle loro dichiarazioni personali dinanzi all’ufficiale di stato civile, che questi raccoglie formandone, in sostanza, un rogito. L’efficacia della sentenza com-porta che nessuno dei coniugi possa pretendere dall’altro l’osservanza degli obblighi matrimoniali e, in specie, della ripresa della convivenza; che

la concordata separazione, il divorzio o la modi-fica dei risalenti provvedimenti assumono valore vincolante ed esistenza anche per i terzi; e che le pattuizioni menzionate nell’accordo impongono obblighi suscettibili di essere fatti eseguire con l’esecuzione forzata.

Si vedano anche i punti da 1 a 9 di cui al para-grafo che precede, per quanto risulta applicabile alla fattispecie di accordo concluso dinanzi all’uf-ficiale di stato civile.

Al momento della conclusione dell’accor-do nell’ufficio comunale è riscosso un diritto in misura fissa, di natura tributaria, che il comma sesto dell’art. 12 dispone non possa es-sere di ammontare superiore all’imposta fissa di bollo prevista per le pubblicazioni di matrimonio. Separazione e divorzio costano, in pratica, molto poco ai coniugi capaci di risolvere da sé i loro problemi o siano in grado di non averne.

Le norme contenute nell’art. 12 del D.L. 132/2014, convertito con modificazioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162, pubblicata sul Suppl. ord. alla G.U. n. 261 del 10 novembre 2014, en-trano in vigore a decorrere dal trentesimo gior-no successivo all’entrata in vigore della legge di conversione.

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