La resilienza: come riprendersi dopo i guai che possono ... · schiantarti contro un palo perché i...

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La resilienza Come riprendersi dopo i guai Don Ezio Risatti 1 Associazione di volontariato Chicercatrova onlus Corso Peschiera 192/A - Torino www.chicercatrovaonline.it [email protected] La resilienza: come riprendersi dopo i guai che possono capitare (testo non rivisto dall’autore) Relatore Prof. Don Ezio Risatti Preside di IUSTO Rebaudengo (28 ottobre 2015) Buona sera, Il tema di questa sera è la resilienza. Che cosa vuol dire? L’origine del termine è da un verbo latino “resalio”, risalgo; però fate attenzione che salire, in latino, si dice “ascendere”. D’altra parte conoscete tutti la parola ascensore che viene da “ascendere” e che vuol dire salire, questo è il termine latino. Invece il termine resalio, da cui in italiano cè risalire, è un termine marinaro, che voleva dire risalire sulla barca, risalire sulla nave quando uno era caduto in acqua. Quindi capite subito che il significato della resilienza è un ricuperare dopo un incidente, un disastro, un problema, è un ricupero successivo. È diverso quindi dal coping; noi abbiamo già parlato del coping il 16 gennaio del 2013 (il download audio della conferenza ed il testo scritto sono scaricabili da www.chicercatrovaonline.it). Come tutti vi ricordate nella conferenza di quella sera abbiamo parlato del coping, quindi tutti sapete che cos’è, ok! Ma siccome magari qualcuno non c’era: il coping sono tutte le tecniche per non andare in crisi. Ad esempio, la persona che ha imparato che se si fa mezz’ora, un’ora tutte le settimane di passeggiata tranquilla e serena, sta meglio, resiste meglio a tutto lo stress: ecco quella è una tecnica di coping. La persona che ha imparato che deve dedicare un certo tempo al gioco, al divertimento, allo svago, tutte le settimane (non dico tutti i giorni, ma magari tutte le settimane) quella è una tecnica di coping. La persona sa che così resiste, va avanti mesi, anni, eccetera. Tecnica di coping ricordata proprio dai manuali è quella della preghiera; “pregare un poco tutte le sere” i manuali di psicologia la considerano una tecnica di coping, cioè per non esaurirsi, per non andare in burn out. Burn out vuol dire avere esaurito le energie interiori perché uno le prende da quelle superficiali che sono limitate e quindi a un certo punto le finisce e va fuori di sé. Esaurirsi: la persona che non dorme più,

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La resilienza – Come riprendersi dopo i guai – Don Ezio Risatti 1

Associazione di volontariato

Chicercatrova onlus Corso Peschiera 192/A - Torino www.chicercatrovaonline.it [email protected]

La resilienza: come riprendersi dopo i guai

che possono capitare (testo non rivisto dall’autore)

Relatore

Prof. Don Ezio Risatti Preside di IUSTO Rebaudengo

(28 ottobre 2015)

Buona sera,

Il tema di questa sera è la resilienza. Che cosa vuol dire? L’origine del termine è da un verbo

latino “resalio”, risalgo; però fate attenzione che salire, in latino, si dice “ascendere”. D’altra parte

conoscete tutti la parola ascensore che viene da “ascendere” e che vuol dire “salire”, questo è il

termine latino. Invece il termine “resalio”, da cui in italiano c’è “risalire”, è un termine marinaro,

che voleva dire “risalire sulla barca”, risalire sulla nave quando uno era caduto in acqua. Quindi

capite subito che il significato della resilienza è un ricuperare dopo un incidente, un disastro, un

problema, è un ricupero successivo.

È diverso quindi dal coping; noi abbiamo già parlato del coping il 16 gennaio del 2013 (il

download audio della conferenza ed il testo scritto sono scaricabili da www.chicercatrovaonline.it).

Come tutti vi ricordate nella conferenza di quella sera abbiamo parlato del coping, quindi tutti

sapete che cos’è, ok! Ma siccome magari qualcuno non c’era: il coping sono tutte le tecniche per

non andare in crisi. Ad esempio, la persona che ha imparato che se si fa mezz’ora, un’ora tutte le

settimane di passeggiata tranquilla e serena, sta meglio, resiste meglio a tutto lo stress: ecco quella è

una tecnica di coping. La persona che ha imparato che deve dedicare un certo tempo al gioco, al

divertimento, allo svago, tutte le settimane (non dico tutti i giorni, ma magari tutte le settimane)

quella è una tecnica di coping.

La persona sa che così resiste, va avanti mesi, anni, eccetera. Tecnica di coping ricordata

proprio dai manuali è quella della preghiera; “pregare un poco tutte le sere” i manuali di psicologia

la considerano una tecnica di coping, cioè per non esaurirsi, per non andare in burn out. Burn out

vuol dire avere esaurito le energie interiori perché uno le prende da quelle superficiali che sono

limitate e quindi a un certo punto le finisce e va fuori di sé. Esaurirsi: la persona che non dorme più,

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non mangia più, non è più in grado di lavorare e così via. Ecco per evitare questo ci sono le tecniche

di coping. Invece la resilienza è quando qualcosa è capitato, è già capitato e quindi adesso si tratta

di venir fuori dalla crisi.

Un altro concetto interessante è quello di crisi. Immaginate un aereo che viaggia a

quest’altezza, a un certo punto va in crisi; per l’aereo la cosa può cambiare, ma per le persone

l’esempio funziona. Per la persona, “crisi” vuol dire che di lì in poi non può più essere a

quell’altezza, o va su o va giù: non può più essere a quell’altezza.

Uno vive la sua vita, “tra, tran” normale magari per anni, a un certo punto capita qualcosa.

Purtroppo gli esempi da fare sono quelli di qualcosa di brutto, perché se capita qualcosa di bello, è

più facile che la persona non vada in crisi. Anche se pochi mesi fa si è suicidato uno che aveva

vinto quanti milioni al Superenalotto un po’ di anni fa, aveva vinto 15 – 18 milioni di Euro nel

2007. Si è suicidato pochi mesi fa, da allora era andato in crisi e non aveva più resistito, lì ci

volevano tecniche di resilienza per un fatto così bello. Poi la psicologia insegna anche come fare a

vincere tanti soldi e a goderseli, perché non è facile!

La storia riporta molti casi di persone che hanno vinto grosse somme e vivevano meglio prima,

quindi ci vuole resilienza anche in quei casi. Se vi capita, venite che vi spiego come fare e lo

risolviamo. Invece, purtroppo, è più facile che capitino dei problemi, delle difficoltà, delle fatiche.

Scusate, dobbiamo fare degli esempi brutti: un incidente in macchina e uno perde una gamba, è una

cosa brutta. Una resilienza buona, vuol dire che la persona acquista un senso della propria vita, una

stima di sé, una forza di vivere, non dico pari a prima ma superiore a prima. Nel momento in cui è

capitato l’incidente, la sua vita non sarà più quella di prima, crisi: o va giù o va su.

Guardate che persone che in seguito a una disgrazia sono andate su, ce ne sono parecchie.

Ricordo un caso, riportato da un manuale, di una persona che ha avuto un fatto di mobbing sul

lavoro, ma con tanto di sentenza del tribunale che riconosceva il fatto del mobbing e che l’azienda

non era intervenuta, eccetera, quindi una cosa tutta documentata. Costui non ha potuto chiedere i

danni morali, i danni psicologici alla sua persona, perché hanno potuto dimostrare che lui stava

meglio dopo che non prima. Ha reagito al mobbing, si è tirato su da persona timida, da persona

insicura, eccetera, ha reagito ed è diventato una persona più forte, fino a dire: «Ecco, se non ci fosse

stato questo, io non avrei fatto questo cammino», questo è resilienza, cioè incontrare una situazione

difficile e invece di andare giù, andare su. È una cosa bella. È bella per diversi motivi, è bella

perché uno ci guadagna, ma io vi auguro che non vi capiti niente di brutto e di male!

La resilienza mi dà anche quella serenità davanti alla vita, davanti alle problematiche. Spero

che non vi capiti niente, ma se dovesse capitare qualcosa: «Pazienza, vado avanti lo stesso!», e

questo è di una persona che sta già andando in salita, perché poi nella seconda parte di questo

intervento vedremo come aumentare la propria resilienza perché se sto solo a dirvi che è una cosa

bella, sognatevela e arrivederci. È un po’ poco! No, no, come aumentare questa resilienza!

Intanto vediamo degli esempi. Dunque, qui giovincelli non ce ne sono, tolto qualcuno; so

benissimo cosa dice la psicologia in merito, che dimostrate tutti meno degli anni che avete; quindi

aggiungo un po’ di anni a quelli che dimostrate e vi dico una cosa, che avete già fatto esperienza

nella vostra vita di questo. Cominciamo a parlare di esperienza di altri, poi arriveremo alle vostre.

Magari vi ricordate di Niki Lauda, il pilota di Formula Uno, ebbe un incidente molto brutto, un

incendio; fu sfigurato, ospedali su ospedali, a un certo punto cosa ha fatto? Ha ripreso a correre in

Formula Uno, questa è resilienza. E più la persona fa in fretta e più ci guadagna, vuol dire che ha

resilienza, vuol dire che è resiliente.

Pensate viceversa, e anche questi sono casi da manuale ma magari qualcosa di simile avete

incontrato nella vostra vita: qualcuno che ha avuto un incidente e dopo non vuol più guidare la

macchina per l’incidente che ha avuto. È mancanza di resilienza! Ma certo che devi imparare dal

tuo incidente: se quel giorno eri sbronzo, impari a non guidare dopo che hai bevuto; se sapevi che

avevi i freni che non funzionavano e dicevi: «Ma tanto vanno bene lo stesso!» e poi sei andato a

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schiantarti contro un palo perché i freni non hanno frenato, impari con la resilienza a riprendere,

imparando, crescendo dai propri errori.

Vediamo qualche altro esempio. Chi se lo ricorda Buster Keaton? Un attore ancora del muto,

famoso per le espressioni facciali. Pensate che quando hanno inventato la Pantera Rosa, il cartone

animato, hanno preso le espressioni facciali da Buster Keaton, hanno copiato quelle, la sua

nonchalance, eccetera. Era un attore famoso, guadagnava bene, è finito nell’alcool, finito fuori di

tutto, ricoverato; dopo un po’ di anni si è ripreso ed ha ripreso anche a recitare con dei prodotti

significativi, interessanti. Tenuto conto di tutta l’evoluzione che c’era stata, lui è riuscito ancora a

riproporsi validamente, questa è resilienza.

Questo caso è più recente: Fiorello. Ricordo di aver sentito un’intervista sua che mi aveva colpito

molto, perché parlava proprio della sua esperienza. Diceva: «A un certo punto io mi sentivo un dio,

uno che può permettersi tutto. Uno che non è più soggetto alle leggi che hanno gli altri, che è

superiore, lui è un’altra categoria», si chiama “narcisismo” (questa è una malattia mentale). Diceva:

«Mi sentivo così, ho dato il giro». Ha dovuto essere ricoverato, ha impiegato qualche anno a

riprendersi: resilienza, si è tirato fuori, si è riproposto validamente. Sono casi conosciuti, di persone

che sono state capaci di fare questo passaggio, questa strada.

Di fatto nella vostra vita, meno male se non avete avuto casi così gravi, incidenti d’auto con

l’auto che brucia e voi dentro, se non avete avuto episodi di alcool e di droga, tanto meglio. Ma se

voi guardate un poco la vostra vita, problemi, disgrazie, fatiche, malattie, vostre o di qualcuno

vicino a voi, ne avete avute. Quindi avete anche un’esperienza di resilienza in quanto siete stati

capaci a superare, a riprendervi, a rimettervi sulla barca dopo essere caduti; perché se non siete

caduti, vuol dire che avevate delle tecniche di coping molto forti e molto valide. E va bene così.

Ma questa sera si parla di chi è caduto, oppure mica per colpa sua, oppure come prima vi dicevo:

«Per un incidente gli tagliano una gamba», ma magari in quell’incidente lui non ha proprio nessuna

responsabilità e capita; oppure ti arriva una malattia purtroppo brutta, non hai nessuna

responsabilità, capita! Però, ecco, la capacità della persona di riprendere in mano la sua vita e di

dire: «Ok, io vado avanti lo stesso! Riprendo ad andare avanti». La categoria di persone che è interessante andare a vedere sono le persone che si chiamano

“fortunate”. Veramente sono gli altri che le chiamano fortunate: io ogni tanto leggo Topolino, ci

sono Paperone e Gastone, il cugino fortunato di Paperino e così via. La psicologia, è andata a

curiosare, perché dice: “a tutti piacerebbe essere fortunati, ma che cos’è la fortuna? Influsso astrale,

o è una caratteristica mentale della persona, o addirittura qualcosa che si può imparare?” E la

scoperta è interessante: “le persone fortunate, sono persone che sono capaci a guardarsi attorno,

a cogliere le opportunità, e hanno il coraggio di investire su queste opportunità. Le persone

fortunate sono persone attente e “capaci di…”. Facciamo qualche esempio per capire meglio,

perché credo che a tutti interessi essere fortunati.

Fortunato non vuol dire vincere il primo premio alla lotteria, perché lì serve poco essere attenti

e cogliere, basta cogliere il biglietto giusto, quello che vince, comperate quello e siete a posto.

Facile! Dunque, la persona che arriva a un certo risultato è una persona che ha rischiato. Facciamo

un esempio: sono ormai migliaia le persone che sono arrivate in cima al Monte Everest, ma per

partire e scalare il Monte Everest bisogna avere il coraggio di rischiare. Tutti quelli che sono

arrivati in cima all’Everest sono tutte persone che hanno saputo rischiare. Però, fate attenzione, la

differenza sembra solo di parole ma non lo è: non tutti quelli che hanno rischiato hanno vinto.

Voi sapete che c’è tanta gente morta sul Monte Everest, e da una certa quota in su non li riportano

più alla base cioè da dove comincia la linea dello “zero perenne”, portarli giù sarebbe un problema,

perché poi i corpi si sciolgono, e avanti…, quindi restano sepolti lassù. Quindi chi vince è una

persona che ha rischiato, ma non tutti quelli che rischiano vincono.

Torniamo all’esempio della lotteria: chi vince è uno che ha rischiato, che ha rischiato i soldi

del biglietto; garantito, è uno che ha rischiato. Sapete quella vecchia storiella di un napoletano che

prega san Gennaro per vincere: «Ma io non voglio vincere tanto, 10 -12 mila Euro per sistemare un

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po’ i debiti e mi metto a posto, san Gennaro fammi vincere!», alla Lotteria di Capodanno niente.

Arriva la Lotteria di A***, niente! «San Gennaro fammi vincere, ne ho bisogno! Almeno 10 – 12

mila Euro!», arriva un’altra Lotteria niente, a un certo punto san Gennaro lo guarda e gli fa: «Senti,

ma lo vuoi comprare almeno un biglietto della Lotteria?», lui credeva di vincere senza rischiare

niente! Dunque rischiare è necessario per vincere. Ma ci sono anche altre forme di rischio. Non so,

molti di voi si sono iscritti all’Università e hanno raggiunto una laurea, ma hanno rischiato anni,

fatica, soldi, perché se non arrivavano alla fine, erano sprecati. Sì uno aveva imparato anche delle

cose, ma non aveva il titolo in mano. Quindi non puoi dire: «Guarda che fortunato quello lì che ha

raggiunto la laurea», ha anche rischiato. È vero che magari ha avuto la possibilità, qualcun altro

potrebbe non avere la possibilità. E così la fortuna è questa capacità di cogliere la possibilità e di

rischiare. Si chiede di rischiare in maniera proporzionata, astuta, valida. Ad esempio sul “gioco

d’azzardo", è da sciocchi rischiare, perché è contro la probabilità. Forse sapete che noi abbiamo un

centro di ascolto per chi ha problemi di gioco d’azzardo, sia per la persona che per i parenti; pensate

che nella zona dove siamo noi, Corso Vercelli, Corso Giulio Cesare, Corso Palermo, eccetera, c’è

un esercizio con “slot machine” ogni 50 metri. Abbiamo fatto noi, come Università, l’indagine sulla

zona e abbiamo rilevato, e tutto. Questo meccanismo non è fatto per investire e guadagnare, no! E’

fatto per portar via soldi e basta, perché c’è una serie di regole psicologiche che uno osserva, anche

se non vuole, e sembrano assurde.

Pensate solo questa, ve ne dico una sola: “chi gioca d’azzardo, gioca per perdere, non gioca

per vincere”, ma com’è questa storia? Sì, perché se vince 100 – 200 Euro, 1000 Euro, che cosa fa?

Continua a giocare fino a quando li ha persi. Solo quando ha perso una certa somma, la persona è

tranquilla, mi viene da dire soddisfatta, contento lui! Solo quando ha perso la persona smette. Non

esiste il giocatore d’azzardo che quando vince 200 – 300 Euro bello, se ne va e se li usa per cose

utili. Non esiste! E questo lo sanno bene quelli che gestiscono queste macchinette. Questo solo per

dire che “rischiare” non è il rischiare del gioco d’azzardo, rischiare è il coraggio di rendersi conto

delle opportunità vere, valide della vita, avere il coraggio di investire dove merita. Dunque non è

questione di fortuna, non esistono queste realtà astrali.

La resilienza si può imparare, si può far crescere la propria resilienza. Adesso vediamo una

serie di realtà che possono aiutare a far crescere la resilienza.

La prima cosa è aumentare la stima di sé. Questa è una cosa che tutti gli psicologi dicono.

Andate da uno psicologo e quello vi guarda e dice: «Lei ha bisogno di aumentare la stima di sé».

Non ha neanche bisogno di guardarlo in faccia, lo dice di default perché è una cosa talmente diffusa

questo bisogno di aumentare la stima di sé, che vai tranquillo nel dirlo alle persone.

Adesso non vado a vedere le cause, potremmo fare una conferenza sulla stima di sé, vediamo

solo come aumentare questa stima di sé. Allora nella vostra vita voi avete fatto delle cose belle e

delle cavolate, garantito! C’è chi ha fatto tante cose belle e poche cavolate, c’è chi ha fatto tante

cavolate e poche cose belle; c’è chi ha fatto delle cose grosse e belle, delle cose piccole e belle;

delle cavolate piccole e belle, ma ne avete fatte di tutte e due, garantito! Da dove viene l’aumento di

stima di voi stessi? Dal guardare attentamente le cose belle che avete fatto. Andare a vedere cosa si

è mosso dentro di voi, come vi siete comportati dentro, cosa avete letto dentro di voi, cosa avete

percepito, cosa avete pensato, cosa avete sentito, cosa avete scelto dentro di voi: ecco il

meccanismo delle cose belle che avete fatto.

C’è un principio in psicologia che dice che dentro di voi ci sono tanti libri. Questi libri dicono

tante cose. Potrei anche supporre che ci sia un libro che dica esattamente il contrario di quel che

dice un altro libro, in una libreria capita e magari siccome i due libri sono sullo stesso argomento,

sono pure vicini e dicono esattamente l’opposto l’uno dall’altro. Cosa capita? Che se voi andate in

quella libreria e leggete sempre solo un certo libro, quel libro diventa molto influente sulla vostra

vita, influisce sulla vostra vita. Se leggete solo i libri di un certo autore, solo i libri di quell’autore;

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a un certo punto, quell’autore diventa molto influente sulla vostra vita, vi porta proprio a fare delle

scelte, a vivere in un certo modo, perché di quell’autore, sapendo ormai a memoria i suoi libri, si

traduce poi in vita concreta. Pensate se uno legge il Vangelo… avanti, indietro; avanti, indietro; a

un certo punto qualcosa cambia nella sua vita!

Allora, dentro di voi c’è una libreria dove ci sono le cose belle che avete fatto e quelle che

avete sbagliato, vi siete arrabbiati con voi stessi, vi siete sentiti umiliati di voi stessi, vi siete

vergognati di voi stessi. Ma poi ci sono quegli altri libri, dove uno dice: «Bravo, hai fatto bene, hai

fatto la cosa giusta», notate che magari è costato farla, ma hai fatto la cosa giusta! E quando dite

«Bravo» voi, a voi stessi, questo bravo vale più di tutti gli altri. Il «Bravo!» che vi dicono gli altri,

dura un momento, fa piacere, eh! Se poi mi battete le mani son contento alla fine, poi esco di qua ed

è finita, non è che mi venite dietro e continuate a battermi le mani! Quello che dicono gli altri dura

poco, ma se uno arriva a dire a se stesso «Bravo!», quello gli resta dentro: è un “bravo” profondo.

Dentro di voi i “libri” ci sono, non potete essere arrivati alla vostra età senza aver fatto qualcosa

di veramente bello, non è possibile! Magari non siete mai tornati indietro con la memoria a

ricuperarlo, a pensarlo, a dire: «Ma come ho fatto a scegliere quello, decidere quello? Dove ho

trovato la forza? Dove ho trovato la luce per leggerlo? Dove ho trovato il coraggio? Che movimenti

interiori ho fatto?». Voi rileggete quel libro, e rileggete quel libro che parla delle cose belle che voi

avete fatto: ecco che aumentate la stima di voi stessi. Ma non è che negate le altre cose, negare le

cose sciocche che uno ha fatto è da sciocchi, ma leggerle continuamente e leggere solo quelle è

altrettanto da sciocchi. Facciamo un altro esempio: qui in questo negozio ci sono tante cose. C’è anche questo foglio

dei miei appunti, se io me lo metto così vicino agli occhi, mi guardo e dico: «Qui dentro è tutto

bianco o sporco; tutto bianco o scritto. C’è solo bianco scritto». Ma notate che sono onesto, perché

io vedo soltanto il foglio, mi guardo dappertutto e dico: «E’ tutto così qui dentro», c’è questo! Ma

dov’è che ho sbagliato? Nel prendere coscienza che questo foglio di appunti è grosso così, e il

negozio quanto è grosso. Perché mi sono sbagliato? Perché mi sono avvicinato così tanto questo

elemento da vedere solo più lui. Questo è un altro modo di esprimere il comportamento errato.

Se uno guarda solo i suoi errori e si avvicina così tanto ai suoi errori, vede solo quelli e va

nei guai! Invece avvicinarsi alle cose belle, buone e positive, quello ti aiuta. Non devi ignorare le

altre cose, c’è sempre la possibilità dell’errore, ok, e vai a finire nel narcisismo (a parte che ci sono

più depressi che narcisisti). Quindi l’errore più comune non è quello di credersi chissà chi, ma di

non avere stima, di non aver rispetto di sé. Quindi c’è questa realtà.

Aumentare la stima di voi stessi, andare a leggere nella vostra vita le cose belle che avete

fatto. Com’è che influenza la resilienza? Nel momento in cui, vi auguro non capiti, ma bisogna

tener conto la probabilità, arriva qualcosa di brutto, voi dite: «Oh, ma io sono capace a fare le cose

belle!», ed è vero perché vi riferite a una realtà storica. Quelle cose belle nel vostro passato le avete

fatte realmente. Non state lavorando di fantasia, quando dite: «Io sono stato capace di fare quella

cosa là, bella e buona», ma è una realtà storica, quindi: «Sono stato capace una volta, vuol dire che

sono capace. Ho la possibilità», non sono possibilità che si possono fingere.

Qui c’è un problema di matematica molto difficile: «Io adesso voglio farvi uno scherzo, per

prendervi in giro faccio finta di essere intelligente e risolvo il problema», ma se l’ho risolto vuol

dire che ne sono stato capace; non posso dire: «Ma io l’ho fatto solo per far finta di essere

intelligente, di essere capace». Se lo hai risolto, sei capace!

C’è una pietra, un masso, pesante 50 kg, 100 kg: «Io adesso per farvi uno scherzo vi faccio

credere che sono forte tanto da alzarlo; lo alzo, ma non è vero che son capace a farlo! È solo per

fare lo scherzo, per prendervi in giro». No! Se l’ho alzato, sono capace. Se avete fatto qualcosa di

bello e di buono nella vostra vita - cambio la frase - poiché avete fatto qualcosa di bello e di buono

nella vostra vita “siete capaci”. Non potete dire: «L’ho fatto per prendervi in giro, l’ho fatto per

prendere in giro gli altri», se l’hai fatto sei capace! Quindi il tornare su questo mi permette di dire:

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«Questa è una difficoltà diversa dalle altre. Ma se io parto dal di dentro, ecco che arrivo anche a

superare questa». Un altro elemento è l’ottimismo. Il pensiero positivo normalmente è presentato, è percepito,

come una grossa ingenuità: “Tu pensa positivo e va tutto bene” – “Tu pensa che arrivi alla fermata e

trovi il pullman lì che ti aspetta, e fai che lo trovi”. Cioè il pensiero positivo, bisogna capire che

cosa vuol dire: il pensiero positivo va agganciato a un realismo di valutazione. E’ lì il problema,

essere realisti nella valutazione non vuol dire alterare la valutazione, inventarsi qualcosa che non è

vero, no! “Realismo” vuol dire leggere la cosa veramente come è.

Dove sta il problema della mancanza di ottimismo? Che noi abbiamo un meccanismo strano

che poi si ritorce contro noi stessi. Per non essere delusi, ci diciamo che non è vero: «Perderò il

pullman, perderò il pullman…». Perché? Perché così penso: «Se poi lo perdo, non patisco tanto».

Ora, lì sul pullman possiamo lasciar andare le cose come vanno concretamente, ma in certe scelte

della vita se uno comincia a dire: «Tanto non passo l’esame, tanto non passo l’esame, …». Primo:

«Hai studiato? Perché se non hai studiato, te lo dico io che non passi l’esame. Ma se hai studiato,

hai la possibilità di passare l’esame». Quindi, realismo! «È inutile che vada a fare quel colloquio, tanto non mi prendono…», ma guardate che questo

gioco, del dire male per evitare il dispiacere della delusione, è terribile! Pensate che le persone

tendono a scegliere non in base alla maggior probabilità di riuscita, ma in base al minor rimpianto

dopo. Allora se scelgo questo ed è giusto, se è giusto va tutto bene! Se scelgo questo ed è sbagliato,

rimpiango di aver scelto questo “50”; se scelgo l’altro (devo andare a destra o a sinistra) se scelgo

l’altro ed è sbagliato, lo rimpiango “70”. Allora scelgo quello che dopo, se non si realizza,

rimpiangerò solo “50”, indipendentemente dal fatto se l’altro è più probabile, più facile, più

raggiungibile, però se non lo raggiungo lo rimpiango di più.

Pensate un meccanismo simile di scelta, che cosa comporta: che la persona sceglie delle realtà

meno valide per sé. L’ottimismo è scegli quello che ti dà più soddisfazione, più gioia, più

probabilità. Ma proprio sulla probabilità si gioca perfino: meno rimpianto, no! Maggior probabilità

di successo, maggior gioia, maggior riuscita, ma sempre in proporzione alla possibilità.

Quindi questo ottimismo che ha poi un appoggio più profondo, un appoggio sulla visione di

uomo, un appoggio sulla visione di mondo, di società. Sapete quanta gente vive triste, vive male,

perché dice che questo mondo fa schifo? C’era un discorso di Artuffo, un autore piemontese, a un

certo punto c’era il sindaco che faceva il discorso nell’occasione della festa dei porci del paese (il

paese era famoso per allevare i porci), c’è tutta una serie di battute, alla fine conclude dicendo:

«Qualcuno sostiene che il porco è un animale immondo, e invece io vi dico che è un animale

mondo! È un animale mondo, e vi invito a gridare con me: viva questo porco mondo!». Allora, se uno vede tutto brutto, tutto triste, il mondo fa schifo, la vita fa schifo, guarda la città

come fa schifo… dov’è la sua soddisfazione di vita? Ma guardate che vi porto ottimismo = realtà,

aderire alla realtà, a una parte di realtà reale, vera. Perché ci sono tante cose brutte, faticose,

spiacevoli nel mondo, nella città, nella realtà dell’uomo, ma ce ne sono di belle più grandi ancora. Il

positivo prevale per forza, è una filosofia molto spicciola: poiché il negativo non esiste “non c’è

quello che non c’è”, quello che c’è è positivo; certo che non è completo, certo che non è totale. La

giustizia non è completa, la verità non è completa, l’amore non è completo, sono tutti che gliene

manca, ma quello che c’è, c’è: prevale sulla mancanza!

Ad esempio dovevano costruire una casa di 10 piani, hanno costruito una casa solo di 8 piani,

mancano due piani. Ma ce ne sono otto piani, quindi quello che c’è (gli otto piani) prevale su quello

che non c’è (i due piani mancanti). Ma anche se ne avessero costruiti uno e ne mancassero nove,

quello che c’è prevale, perché uno c’è, il nove non c’è. Allora cosa vuol dire questo tradotto in

pratica? Che per quanto l’uomo sia poveretto, per quanto l’uomo sia debole, per quanto l’uomo sia

“che vorrebbe”, ma poi non è capace, vale ugualmente.

Chi poi avesse mai una scelta cristiana, si ricorda un passo di San Paolo (San Paolo era molto

astuto, molto fine) che dice: “Il Figlio di Dio, ha dato la Sua vita per noi, quando ancora noi

La resilienza – Come riprendersi dopo i guai – Don Ezio Risatti 7

eravamo lontani da Dio”, difatti è col Suo Sacrificio che ci ha aperto la porta verso Dio, con la Sua

fedeltà portata fino alla morte, ci ha aperti a Dio. Ma Lui ha fatto questo gesto quando noi eravamo

lontani da Dio. Cosa vuol dire? Che in un uomo lontano da Dio, ha visto una ricchezza, una

bellezza, un valore tale, da dire: «Merita dare la vita».

San Paolo poi va avanti perché dice: “magari non hanno capito quelli a cui scrivo. È difficile -

dice San Paolo- trovare chi è disposto a dare la vita per una persona giusta, meravigliosa,

stupenda: «Guarda, per lui do la vita!». Ebbene il Figlio di Dio l’ha data per noi, mentre non

eravamo giusti, non eravamo meravigliosi, non eravamo stupendi. Ha visto qualcosa dentro gli

uomini, dentro ogni uomo, che valeva nonostante ogni lontananza da Dio. Nonostante ogni rifiuto

di Dio. Perché ha dato la vita anche per quelli che rifiutano Dio, anche per loro ha visto un valore

tale che meritava dare la vita per loro. Tant’è che hanno la possibilità di tornare verso Dio; tant’è

che chi rifiuta Dio ha la possibilità di tornare verso Dio”.

Questa realtà di pensiero ottimista si basa su una realtà di uomo che uno vede, che uno sente che

merita, di una società, di un mondo. Non è negare l’esistenza di violenza, di terrorismo

internazionale, non è negare l’esistenza di una migrazione che non è un fenomeno transitorio, è un

fenomeno da considerare permanente anche se speriamo non sempre in queste modalità. Dunque,

guardando tutte queste realtà dobbiamo arrivare a cogliere (e questo dipende da noi) l’elemento di

bellezza, di verità, di giustizia, di bontà che c’è all’interno di questo mondo così com’è. Allora

capite che il pensiero ottimista, non è l’ingenuità dello scemotto, è il vedere al di là di quello che

appare a prima vista, avere la capacità di percepire qualcosa che uno sguardo superficiale non

percepisce.

La bellezza della città dell’uomo, guardare la città e sapere cogliere la bellezza. Stasera quando

tornate a casa, la città sotto la pioggia, con tutto l’umido, il freddo, il disagio della pioggia, cogliere

la bellezza della città dell’uomo. Delle luci che si rifrangono sulla pioggia, delle luci colorate dei

semafori che quando arrivate voi diventano rosse. Con tutto quello che c’è, delle persone che

camminano si muovono, delle macchine che viaggiano: percepire la bellezza di queste cose non è

da ingenui, è da persone che sanno vivere bene, che sanno allargarsi il cuore, che sanno gioire,

perché colgono l’elemento di gioia in tutto questo.

Facciamo ancora un esempio perché è importante quest’argomento. Una mamma e un bambino

piccolo, di pochi mesi, poche settimane, che cosa dà questo bambino alla mamma? Fastidio: non la

lascia dormire, la succhia, la succhia proprio in tutti i sensi; puzza, è da cambiare, è da sistemare.

Che cosa dà? Che cosa dà? Eppure la mamma percepisce il valore di quel bambino e fa tutto quello

che deve fare. Se le dicessero: «Dai! Preferiresti che sparisse nel nulla?», beh, qualche madre

patologica potrebbe dirlo, ma si riconosce patologica. Quando una mamma butta via il figlio nel

cassonetto, si dice patologica, ed è vero, esistono anche queste malattie mentali. Ma proprio perché

è fuori! Perché invece la donna tranquilla, serena, normale, paga il prezzo che deve pagare per tirar

su quel bambino, contenta di pagarlo perché percepisce il valore di quello che fa, superiore al

prezzo che paga. Io pago 10 – 20 per tenere questo bambino, ma il valore di quello che faccio è 200

– 300, quindi, mi sento a posto, mi sento sicura, mi sento bene perché lo faccio.

Questo percepire il valore, è quello il pensiero positivo! Non è dire: «Sei obbligato a pensare il

bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto», ma quello è un esempio già che funziona perché è vero che

il bicchiere è mezzo vuoto ma è anche vero che è mezzo pieno! Quindi non è un’illusione: «Devi

imparare a illudere te stessa, devi raccontartela: ma andrà tutto bene…ma andrà tutto bene…, ma

andrà tutto bene…», calma! Ragiona, valuta, comportati opportunamente, dopo sarai soddisfatto di

te, quindi questa realtà di ottimismo.

Un altro elemento che aiuta a crescere la resilienza, è avere delle relazioni sociali. Avere dei

rapporti con tanta gente. Perché? Ma guardate che non sono tanto i rapporti quanto il fatto di essere

capaci di averne, di intraprenderli, di tenere tanti rapporti. Perché? Perché ogni rapporto, vi richiede

una capacità, una capacità di superare mille piccole difficoltà.

La resilienza – Come riprendersi dopo i guai – Don Ezio Risatti 8

Nel lavoro che faccio di psicologo, voi potete immaginare, incontro persone, coppie che hanno

fallito, incontro coppie che hanno superato le difficoltà della vita, e che arrivano dopo 20 – 30 – 40

e più anni tranquillamente a dire: «Le nostre difficoltà le abbiamo avute, ma le abbiamo gestite, le

abbiamo superate». Saper mantenere dei rapporti vuol dire essere già disponibili a queste realtà.

Però è anche vero il contrario, che se io mi alleno imparo a mantenere i rapporti. Allora: «Col

vicino di casa abbiamo discusso tre anni fa, perché il tappeto non era a posto davanti alla porta, e da

tre anni non ci parliamo più». Vedi un po’ se è il caso…, stabilisci dei rapporti, impara a stabilire

dei rapporti, conduciti a ristabilire dei rapporti. «Con il cugino, con il cognato, con il fratello di…,

con l’amico di…, eccetera, basta, ho chiuso». Ma è il caso? Sì, magari è una persona che è sparita

dalla vita… ma magari è una persona che dovrebbe ancora esserci nella tua vita. Siamo sempre lì, nel vedere il positivo del rapporto, il mio guadagno nel rapporto. Abbiamo

fatto qui a settembre una conferenza sui rapporti in generale, ma dobbiamo ancora fare la

conferenza sui rapporti in particolare, su quanto io cresco nei rapporti, nelle relazioni. Nel prossimo

anno andremo a vedere le diverse relazioni perché hanno delle gestioni importanti. Dunque questa

realtà di essere capaci di tenere relazioni che vuol anche dire imparare a ristabilire, imparare a

superare, imparare, imparare, imparare, questo è crescere nella resilienza. Perché poi al momento in

cui purtroppo ti arriva il pasticcio grosso, hai fatto già tutto un allenamento, e sei “capace a…”.

Ma notate che non è da dire: «Tu cresci nella resilienza, ti prepari a una disgrazia; e se poi hai la

disgrazia che non ti arriva la disgrazia? Ho fatto tutta una fatica inutile perché mi son preparato a

una disgrazia, ma purtroppo non è arrivata!». Questo ragionamento l’ho sviluppato molto nella

prevenzione antincendi che abbiamo al Rebaudengo. Non vi dico quanto siamo preparati per gli

incendi che qualche volta mi viene da dire: «Speriamo che scoppi un incendio così vediamo tutto

quello che abbiamo fatto che funziona». Ogni tanto facciamo le simulazioni, e allora funziona

l’allarme, fuori tutti e vai… Dunque, non funziona così da dire: «Se non scoppia un incendio, è

stato tutto inutile. Se scoppiava, meno male che c’era la prevenzione…, ma non è scoppiato, quindi

rimane tutto inutile». No! Non funziona così! Non funziona così, sono cresciuto, sono diventato più

forte, più sicuro, più soddisfatto, una qualità di vita migliore!

Uno può pensare: «Io aumenterei la mia qualità di vita; se avessi uno stipendio doppio di

quello che ho aumenterei la qualità di vita». E’ vero, ma aumenterebbe di poco, magari se io avessi

uno stipendio di dieci volte, diminuirebbe addirittura la qualità della mia vita. Invece, se io cresco

“dentro”, la mia qualità di vita aumenta sicuramente. E notate che avere uno stipendio doppio

potrebbe anche non dipendere da voi, sicuramente non dipende da voi (se no ce l’avreste tutti

doppio) dipende da tante realtà, alcune delle quali è impossibile pensare di cambiarle, quindi quel

tipo di aumento in qualità di vita, è difficile o addirittura impossibile. Invece, un vero aumento di

qualità di vita garantito dipende da voi, dalla vostra crescita interiore, dal vostro fare tutti questi

esercizi, ad esempio di ristabilire un rapporto. Ma sapete che fatica, presentarsi ad una persona,

telefonargli, mandargli una mail, un SMS: «Senti, pensavo d’incontrarti, è tanto tempo che non ci

vediamo…», pensateci! Pensateci!

Intanto noi andiamo avanti e vediamo il problem solving , anche questo è un tema che abbiamo

già visto: sono cinque anni che facciamo conferenze! Ne abbiamo già risolti tanti problemi! Se uno

fosse venuto sempre non avrebbe più nessun problema, ma devo ancora risolvere i miei, quindi!

Problem solving, risolvere i problemi. Qui avevamo detto che ci sono tante tecniche, ad esempio

c’è quella del pensiero laterale. Pensiero laterale vuol dire che tutti guardano quella realtà lì e

dicono: «E’ così!», ma se uno va a vederla di fianco, vede delle cose che gli altri non vedono, e

allora può trovare una soluzione che gli altri non vedono perché guardano tutti di qui e non vedono

di là. Ad esempio un muro: «Come facciamo a salire? Questo muro è impossibile da salire!»; uno si

sposta di fianco e vede che c’è una scala di fianco, e dice: «Si può!», pensiero laterale!

C’è un esempio di pensiero laterale che vi avevo già raccontato, e che ricordate sicuramente,

quello degli americani quando sono andati in orbita attorno alla Terra. Hanno scoperto che le biro

nello spazio non funzionano, perché la biro funziona per la caduta dell’inchiostro, nello spazio non

La resilienza – Come riprendersi dopo i guai – Don Ezio Risatti 9

c’è questa caduta dell’inchiostro, quindi le biro non scrivono. Allora hanno radunato una

commissione di tecnici, finanziata con due milioni di dollari, e questi in un anno hanno tirato fuori

una penna che è in grado di scrivere in assenza di gravità, nello spazio, in tutte le direzioni (mentre

se scrivete con la biro rivolta verso l’alto dopo un po’ non scrive più per questo principio), scrive

non solo sulla carta, ma anche sull’alluminio della capsula: fantastico! Un anno, una commissione,

due milioni di dollari e l’hanno tirata fuori! I russi che non avevano i due milioni di dollari, nello

spazio usavano la matita. Questo è un esempio di pensiero laterale perché se tu ti metti la biro:

«Non funziona, devo farla funzionare!», vai avanti lì. Ma se guardi il problema da un’altra parte:

c’è qualcos’altro che scrive e che invece funziona? Sì c’è la matita! Quindi, il pensiero laterale, è questa capacità di vedere una soluzione che gli altri non vedono, a

un problema e a volte è una soluzione anche facile. Non sempre, eh! Ma ci sono anche questi casi.

Dunque, la capacità di risolvere problemi e anche questo è un atteggiamento mentale che si

impara. Perché se io parto dal principio: “non sono capace”, sono morto. Se io parto dal principio:

sono capace, può darsi che poi non ce la faccia, ma è molto più probabile che io ce la faccia. Ho un

esempio fresco, fresco: all’Università abbiamo cambiato la piattaforma di dialogo con gli allievi.

Prima usavamo una piattaforma che adesso è diventata vecchia, bisogna prenderne una che va

meglio, ha più possibilità, e naturalmente è tutta diversa da quell’altra nell’uso. Allora, tu sapevi

usare quella, io sapevo usare quella, noi sapevamo usare quella, ce ne arriva un’altra dove bisogna

imparare perché i comandi sono diversi; quando te la vendono, dicono: «Tutto molto intuitivo,

facile, ci arrivi da solo… », poi arrivi lì e… Allora, chi ha il principio: “io ce la faccio”, prova,

riprova, sbaglia, traffica, eccetera, e arriva a usarla. Chi dopo due sbagli non ha capito cos’è

capitato, si ferma, non ha questo principio, non impara a usarla, e non è nemmanco da dire uno è

più intelligente e l’altro meno, no! Il principio del problem solving è una decisione dentro di sé. Il computer deve fare quello che

voglio io, punto. Questa è bella, quella signora che va in un negozio e dice: «Io vorrei un computer

che non facesse quello che gli dico di fare ma che facesse quello che voglio che faccia», perché, in

effetti, il computer fa sempre quel che uno gli dice, il problema è he uno vorrebbe dirgli una cosa e

gliene dice un’altra e allora lì nascono i guai.

Dunque, questa capacità di problem solving come atteggiamento mentale, proprio come

capacità di muoversi con tutte le varie tecniche. La capacità del problem solving, che cosa fa? Se io

ho un problema e non riesco a risolverlo, vado a studiarmi le tecniche per risolvere i problemi,

anche questa è una tecnica di problem solving. Pensate a questa tecnica che riterreste banale, e

invece non è così facile “saper farsi aiutare”. C’è un test, semplice, che si fa con i ragazzi così per

scherzare, ma non è proprio uno scherzo: - «Cammini in un bosco, a un certo punto trovi un mazzo di chiavi, dove lo trovi? In mezzo al

sentiero? Da una parte? Nascosto in un cespuglio?» - - «Come è che lo trovi, subito oppure devi vederlo, devi rendertene conto?» -

- «Come sono queste chiavi? Sono chiavi attuali, reali, normali di adesso oppure sono chiavi

di dieci o venti anni fa o magari sono chiavi di cento anni fa? Come sono queste chiavi che

trovi?» -

- «Cosa ne fai? Le appendi lì bene in vista dicendo: “chi le ha perse tornerà indietro, così le

vede subito”. O le prendi, le porti in un negozio, da qualche parte lì vicino? Te le tieni?

Cosa ne fai di queste chiavi che trovi?». Ebbene il gioco delle chiavi riguarda la capacità di

farsi aiutare, il cogliere gli aiuti. In psicologia si fa un altro lavoro: «Hai superato una difficoltà? Quali risorse hai usato?», una

risorsa che le persone normalmente non indicano, è quella “mi son fatto aiutare”: «Ah, va beh, non

son mica io, mi sono fatto aiutare!», no! Tu hai usato la tua risorsa dell’essere capace di chiedere

aiuto e siccome hai risolto il problema vuol dire che hai saputo chiedere aiuto alle persone giuste,

alle persone che ti hanno aiutato veramente.

La resilienza – Come riprendersi dopo i guai – Don Ezio Risatti 10

È una risorsa saper chiedere aiuto alla persona giusta. Penso a una trasmissione televisiva di

qualche giorno fa, dove si parlava del ragionier Filini, quello di Fantozzi, che è quello che ti dà

sempre il consiglio sbagliato nel momento sbagliato. Lì è chiaro che è un personaggio, ecco, andarsi

a far aiutare da quello non conviene! Ma la capacità di farsi aiutare è anche la capacità di

individuare la persona che ti può aiutare, di riconoscere che è giusto quello che ti dice. E’ una

capacità notevole quella di farsi aiutare. Dunque, problem solving, se io so che sono capace a

risolvere i miei problemi, quando capita qualcosa, dico: «Avrei preferito non ci fosse, ma adesso mi

rimbocco le maniche e lo risolvo». La capacità di fantasia, di gioco - fantasia, è sempre sulla linea

del risolvere i problemi, avere fantasia è giocare.

Guardate che l’atteggiamento del gioco è un atteggiamento molto spesso positivo; non sempre,

non tutto è da giocare, ma nel gioco tante volte c’è una soluzione positiva. Ad esempio, proprio con

il computer, se avete un computer che non fa quel che volete voi, dovete impostare un rapporto di

gioco col computer; non di “vediamo chi comanda qui dentro”, il computer vi stronca! È una

macchina, non si arrende mai il computer, se voi gli date 50 – 100 – 1000 volte il comando

sbagliato, lui fa mille volte la cosa sbagliata; non si muove di un minimo il computer.

L’atteggiamento del gioco, vuol dire: “Allora stiamo giocando, tu vuoi fare cosa vuoi tu, io

voglio che tu faccia quello che voglio io”. Ti cambia lo stile, ti cambia l’energia che hai! Si arriva

che ad un certo punto gli fai fare quello che vuoi tu: «Ho vinto io!», magari perché ho telefonato

all’amico e ho chiesto: «Senti, come si fa?», capacità di farsi aiutare. Ma il computer fa quel che

voglio io. Dunque questa realtà: capacità di porsi obiettivi e di realizzarli, questo è il gioco della

volontà.

Nel 1800 fino alla metà del 1900 la volontà era sopravvalutata. Esistevano proverbi come:

“volere è potere” e “volli, sempre volli, fortissimamente volli” (Vittorio Alfieri), e avanti di questo

passo. La psicologia del profondo, ha scoperto che non è vero, che la volontà va a sbattere contro

dei miei problemi e non è in grado di superarli. Oppure la volontà (e questo è ancora peggio) è

capace di mentire. Cosa vuol dire? Vuol dire che mi dice che io voglio quello, in realtà io voglio

un’altra cosa. «Io quest’estate voglio andare in Calabria per quel motivo», e in realtà ci voglio

andare per un altro motivo e non son capace a dirmelo: mento a me stesso, la volontà mi dice quello

è il mio volere invece è un altro. Quando hanno scoperto questo ha detto: «Ah, ma allora è sbagliato

usare la volontà, e l’hanno tolta dall’educazione».

Negli anni ‘50 – ‘60 eccetera. sono nate delle correnti educative che dicevano: “bisogna che il

bambino sia spontaneo, che faccia quello che gli vien voglia di fare, non deve vivere sulla rigidità

del dovere, del si deve, eccetera. ma deve stare sereno in quello che gli pare e piace”. Trent’anni

dopo questi pedagogisti hanno detto: «Scusateci, ci siamo sbagliati». La volontà non ha quel potere

che si diceva una volta, ma ha un potere! Se io vi dico che la vostra macchina non può andare ai

500 l’ora, non illudetevi, non può! Non vi sto dicendo che non dovete usare la macchina, che la

macchina non potete usarla perché non va ai 500 all’ora, no! Usala per le capacità che ha e per le

capacità che ha ti fa un ottimo servizio. Lo stesso la volontà, la volontà va usata per le capacità che

ha, perché se uno non la usa si priva di una risorsa essenziale. La volontà è la capacità di

organizzare le proprie risorse in vista di un risultato. Allora, voglio arrivare a quel risultato? Ecco

che la volontà mi organizza le risorse ed io ci arrivo.

Naturalmente se mi pongo qualcosa di illusorio, non ci arrivo. Non mi sono mai posto di diventare

presidente della Repubblica, meno male, perché se anche me lo fossi posto, non lo sarei diventato lo

stesso. Ma se voglio raggiungere qualcosa di raggiungibile la volontà è necessaria per raggiungerla.

Dunque, la capacità di far sviluppare la propria volontà. La volontà per certi aspetti è come un

muscolo, se lo eserciti diventa più forte, se non lo eserciti si indebolisce; quindi la crescita della

volontà avviene attraverso proporsi dei progetti, dei risultati utili che vi convengono, e poi li

raggiungete!

La resilienza – Come riprendersi dopo i guai – Don Ezio Risatti 11

Tirate fuori la vostra volontà, e li raggiungete! E alla fine, primo: siete contenti perché avete

raggiunto un risultato che è utile per voi. Secondo: avete rinforzato la volontà. E in un domani che

ce ne sia bisogno, avete questa risorsa: la vostra volontà.

La capacità è il volersi bene. Questa sembra la cosa più assurda. (è l’ultimo di questi punti, poi

abbiamo un giochino), volersi bene! Quanti danno per scontato di volersi bene e non è vero che si

vogliono bene. Volersi bene interpretatelo così: “volere il proprio bene”. Ma è questo il significato.

Quando io dico: «Voglio bene a Gigetto», voglio dire che voglio il suo bene; voglio che lui

raggiunga ciò che è bene per lui.

Volere il proprio bene, volersi bene, vuol dire che io voglio portare me a raggiungere il mio

bene. Volersi bene, ma voi sapete qual è il vostro bene? Quanti di voi, (io non leggo nella mente di

nessuno, quindi potete pensare quello che volete) quanti di voi, sanno: «Ecco il mio bene in questo

periodo è realizzare questo, raggiungere questo. Imparare a comportarmi così, a vivere così,

superare questa difficoltà, tirar fuori questa mia capacità. Ecco io so che il mio bene in questo

periodo, è quello». Non parlo del bene sommo, per un cristiano è andare in Paradiso, ottima cosa,

ma è lontano! Comincia a cercare qualcosa di più vicino. Qual è il mio bene verso il quale mi sto

portando in questi giorni, in questo periodo, quest'autunno?

Magari qualcuno non ha neanche presente, non se l’è neanche posto: «Raggiungo il mio bene

quale? Come?», tira a campare e ringrazia se sopravvive. Contento tu… ma potresti vivere meglio,

potresti avere più soddisfazione di vita. Cercare, puntare, raggiungere il tuo bene. questa è una

potenzialità della propria resilienza.

Ho portato un giochino, guardate, è un test da quattro soldi, non consideratelo un test

significativo. Non è mio, non è produzione mia, arriva da una tesi di laurea, da pagina 315 di questa

tesi, mi spiace ma nel foglio che vi ho portato non è rimasta la citazione, mi dispiace!

È un test molto elementare e poi oltretutto l’autocorrezione fa sì che uno sappia qual è la

risposta che gli dà il risultato migliore, ma se volete dire che siete perfetti potete anche non farlo, vi

dichiarate perfetti e bell’e fatto. Non serve nemmanco per dire a se stessi: «Ecco, io proprio non

valgo niente», quello che dicevamo prima: per evitare una delusione dopo mi dico prima che non

valgo niente.

Si fa così, leggete la domanda: Domanda n. 1 (Di solito in un modo o nell’altro riesco a

cavarmela…); e per la risposta fate un cerchietto intorno ad un numero:

1. Fortemente in disaccordo, proprio mai, non è così

2. Non è così

3. Di solito non è così

4. Metà sì, metà no

5. Non è abbastanza così

6. Sì, è così

7. Assolutamente così

Domande:

1) Di solito in un modo o nell’altro riesco a cavarmela. Quindi chi dice: «Sempre riesco a

cavarmela, non c’è mai una volta che non riesco a cavarmela» fa un cerchio sul 7, quindi

siccome qualche volta ve la siete cavata, da 1 a 7 valutate quanto ve la siete cavata.

2) L’aver portato a termine qualcosa nella mia vita mi rende orgoglioso. Qui parliamo di un

orgoglio positivo che mi rende fiero di me stesso, non di quell’orgoglio sciocco che uno può

avere pensando di essere chissà chi; ma quello del dire: «Che bello, che bravo, sono contento di

me. Sono orgoglioso di me in questo senso, perché ho portato a termine qualcosa nella mia vita

che mi rende proprio contento di dire: “questo io l’ho fatto!” ».

Se questo è molto forte valutate 6 - 7, se è molto piccolo, piccolo 1 o 2 sennò 3 - 4 o 5 vedete

La resilienza – Come riprendersi dopo i guai – Don Ezio Risatti 12

voi quanto siete contenti di aver realizzato questo.

3) Normalmente accetto tutto quanto mi riserva il destino. Qui il “destino” non è un ”Fato”,

ma è quello che capita abitualmente: arrivo alla fermata del pullman e il pullman parte a quattro

metri da me, cose di questo genere, spiacevoli; perché se mi riserva qualcosa di piacevole non

ho problemi, se arrivo alla fermata e “trac” il pullman mi apre la porta davanti, salgo, questo

non mi crea problemi!

4) Normalmente accetto questo: non mi rifiuto, non vado in crisi, non mi metto a piangere:

«Ecco io sono sempre così sfortunato, disgraziato, eccetera», no accetto! Valuto 5 – 6; se poi

sono abituato a superare tutto quello che mi capita e accettare tutto, allora 6 – 7; se invece io

sono sempre in crisi quando qualcosa non mi va, allora 2 o 3 o quello che volete.

5) Sono amico di me stesso, questa è bellissima! Noi abbiamo un rapporto dialogico con noi

stessi, come se fossimo in due, in relazione noi con noi stessi. E in questo rapporto io posso

essere mio amico o posso essere mio nemico. Quello che si dice: «Sei sempre il solito scemo,

incapace, sei quello che non riesce mai», quello non è proprio amico di se stesso. Amico di se

steso è quello che si sostiene: «Dai, dai, forza! Ce la puoi fare, fallo!» - «Pazienza, ti sei rotto

una gamba, dai che non muori mica! Adesso dimostra che sei capace a vivere anche con una

gamba ingessata», e questo è essere amici di se stessi. Siamo più capaci a trovare le parole di

incoraggiamento all’altro che a noi stessi. Se uno ti chiedesse: «Che cosa diresti a un amico che

si è rotto una gamba?» - «Che cosa ti sei detto quando ti sei rotto una gamba?» - «Ecco sei

sempre il solito scemo! Potevi fare attenzione, guarda adesso in che stato sei ridotto», questo è

essere amico del giaguaro!

La sapete la storiella dell’amico del giaguaro? Questa è troppo bella, mi piace: uno incontra un

amico vestito da caccia grossa, e gli fa: «Che cosa fai? Dove vai?» E l’altro risponde: «Adesso vado

alla caccia del giaguaro» - «Ma se incontri un giaguaro sai che cosa capita? Quello ti sbrana!» -

«Ho il fucile, sparo e lo ammazzo» - «Sì, va bene, ma se lo sbagli?» - «Il fucile ha 12 colpi» - «Sì

ma se li sbagli tutti e 12?» - «Tiro fuori la pistola e lo ammazzo con la pistola» - «Bravo! E se la

pistola si inceppa?» - «Se la pistola si inceppa ho il coltello, lo affronto con il coltello» - «Tu

affronti il giaguaro con il coltello? Ma sai che unghie ha quello? Prima che tu colpisca lui, lui ti ha

fatto a pezzetti e sei morto, amico mio» - «Se non posso affrontarlo con il coltello, scappo» - «Tu

scappi? Lo sai che il giaguaro fa i 90 all’ora di corsa, tu quanto fai di corsa? Amico mio se

incontri il giaguaro sei bell’e morto, non ce la fai mica!» - «Se non posso correre mi arrampico su

un albero».- «Ma sai a che velocità il giaguaro si arrampica sugli alberi è una delle sue specialità,

amico mio sei morto!» - «Oh, ma tu sei amico mio o sei amico del giaguaro?».

Allora, sono amico di me stesso o sono amico del giaguaro? Sono determinato! Se tu affronti

una difficoltà dicendo: «Beh, se capita, la supero», ma non vai da nessuna parte, devi essere

determinato (per superare una difficoltà) a raggiungere un risultato. E questo è questione di volontà.

Se non sei determinato è mancanza di volontà.

6) Mantengo vivo il mio interesse per quanto mi circonda. Non sono menefreghista di tutto,

indifferente a tutto. No! Mi interessa un po’ tutto quello che capita attorno a me, naturalmente

alcune cose di più altre di meno. Ma non m’interessa soltanto il calcio, non m’interessa soltanto

la moda, mi interessano tante cose attorno a me: questa apertura all’interesse.

7) Credere in me stesso mi aiuta a superare i tempi duri. Allora, è vero che quando ti sei

trovato nei momenti difficili hai preso coscienza che credevi in te stesso e quindi ti sei dato da

fare, e quindi hai superato i tempi duri? È vero? Dittelo tu: «Sì» o «Sempre» o «Mai!» Guardate

che gli estremi sono abbastanza rari, è più facile una valutazione intermedia.

8) La mia vita ha un senso. Perché vivo? Perché esisto? Perché sono al mondo? Qual è il compito

che io ho a questo mondo? Guardate che c’è per tutti, se uno poi ha un po’ di fede nella

religione cristiana, si dice che Dio a ogni persona dà una vocazione, un compito. San Paolo

dice: “siamo come il corpo umano, dove ogni elemento ha il suo compito”. Qual è il senso della

mia vita? Secondo quanto lo conosci metti la valutazione. Anche qui mettere proprio “uno” vuol

La resilienza – Come riprendersi dopo i guai – Don Ezio Risatti 13

dire che uno sta navigando al buio, con la nebbia, e così via; siamo proprio a “zero”. Sapete

cosa passa in una galleria delle Ferrovie dello Stato tra mezzanotte e l’una di notte? Passa

un’ora.

9) Quando sono in una situazione difficile, di solito riesco a trovare una soluzione? Di solito,

perché ci sono situazioni difficili che non riesco a risolvere. Ma di solito mi organizzo, mi do da

fare e arrivo a una soluzione, un modo lo trovo! C’è un mobile che traballa? Trovo il libro

giusto da mettergli sotto, così rimane in piano e non traballa più! Di solito trovo una soluzione.

Se questo vi capita quasi sempre, mettete 5 - 6, se questo vi capita raramente mettete 3 - 4 - 2,

vedete voi..

10) Ho sufficienti energie per fare ciò che devo fare. Ci sono delle cose che sapete che dovete

fare, se volete tirare a campare dovete farle. Vi sentite le energie per farle. Non siete sfiduciati:

«Non riuscirò mai ad arrivare alla pensione, non ci arriverò mai, andrò in burn out, mi esaurirò»,

eccetera. «Non riuscirò mai a vivere in questa casa; non riuscirò mai a…», questo è un

atteggiamento che non funziona.

«Ho sufficienti energie», se vi sentite perfetti 7, ma anche qui fate attenzione a mettere 1 o 2,

perché se siete arrivati alla vostra età le energie le avete.

Allora, adesso mi scoccia dire il risultato perché se qualcuno non se li è segnati, dopo può

tendere a cambiare le valutazioni secondo quanto ha visto. Comunque ve le dico: il massimo su 10

domande con valutazioni da 1 a 7 è 70. Spero che nessuno lo abbia raggiunto perché se lo ha

raggiunto ha barato! Più il numero è alto più vuol dire che avete una capacità si resilienza; più il

numero è basso meno è la vostra capacità di resilienza.

Chi ha realizzato 10 vuol dire che proprio non ci siamo, eh! Ma se qualcuno ha realizzato 10 ha

barato, non ha risposto correttamente come chi ha totalizzato 70. Dunque valutate voi un poco e

ditevi: «Forse è meglio che mi dia da fare qui o là». Dove? È chiaro, nelle domande dove avete

segnato il punteggio più basso è lì che dovete darvi da fare.

Abbiamo ancora cinque minuti per rispondere alle domande, per risolvere tutti i problemi. Io ho

risolto il mio problema di fare la conferenza, adesso se qualcuno di voi ha un problema di

resilienza, lo può dire:

Domanda: sul coltivare rapporti sociali, facendo magri una telefonata; a volte fare il primo passo

è avvilente, a volte non viene capito quel passo. A volte le persone rimangono o risentite di un

torto, a volte li trovi ancor più arroganti: «Allora ho ragione io, lei mi è venuta a cercare, vuol dire

che ha ammesso che ha sbagliato», e mi sono trovata ancora a sopportare questa umiliazione.

Risposta: c’è un principio che dice che se uno agisce in funzione di un risultato che dipende dagli

altri, non è garantito. Il risultato che è sempre garantito “se mi do da fare nel modo giusto” è quello

che dipende da me. Se il risultato che io voglio raggiugere (è l’esempio che ha riportato lei) è: «Io

sono fatta per tenere certe relazioni. Per recuperare certe relazioni, io faccio il passo per.., io ho

stima di me perché ho vissuto secondo come io sento che sono fatta per vivere. Ho fatto il gesto,

resta la sofferenza che l’altro non abbia risposto positivamente», ma la sofferenza è qui (indica un

livello), la soddisfazione di me è qui (molto più alta del livello della sofferenza).

La gestione corretta è facile da dire, non è facile da fare; ma io agisco per me perché io sono

fatto per vivere così…, io sono fatto per fare questo gesto. Se poi l’altro lo interpreta male, non lo

vuole, lo rifiuta, se la prende con me, mi dispiace ma io ho fatto la cosa giusta. Mi sono comportato

nel modo giusto.

Vivere per se stessi (sembra strano), amare per se stessi è la cosa giusta. E guardate che nella

religione cristiana si trova nella Bibbia questa espressione, Dio che dice: “per amore del mio

nome”, “Io lo salvo per amor del mio nome” cosa vuol dire? Io lo salvo perché io, Dio, sono fatto

per comportarmi così, per agire così. Non perché valuto la bontà, la grandezza, eccetera, dell’altro,

La resilienza – Come riprendersi dopo i guai – Don Ezio Risatti 14

ma perché “io sono fatto per…”, per amore del mio nome. Oppure il profeta che dice: «Per amore

del Suo nome». È lo stesso! Dio agisce così perché Lui è fatto per agire così, non perché io mi sono

meritato questo e quello, e questo è un modello per noi.

Quindi non devi valutare se l’altro si è meritato il tuo tentativo, il tuo gesto, magari il perdono

che gli hai offerto, il perdono che gli hai chiesto, ma valuta te stesso per amore del tuo nome! Per il

tuo bene, perché tu sei fatto così! Il risultato è garantito perché tu sei fatto per fare quel gesto e tu

l’hai fatto: hai raggiunto il risultato. C’è gioia se poi l’altro corrisponde, c’è dispiacere se l’altro non

corrisponde, ma in tutti i casi la soddisfazione di sé è più grande di un eventuale dispiacere.

Per me è facile dare risposte…

Domanda: tu telefoni perché gli vuoi bene e magari lui ti sbatte il telefono in faccia

Risposta: dici: «Sì ho voluto bene anche a lui nell’offrirgli la possibilità; se non l’ha colta mi

dispiace, ma mi dispiace per lui».

C’è un’espressione che può essere ambigua: “chi non mi vuole non mi merita” . Può essere

ambigua ma ha un senso corretto (poi ne può avere uno sbagliato) : «Io il gesto l’ho fatto, se lui non

mi vuole…», certo che se io voglio sposarlo e l’altro non mi vuole, magari ha ragione l’altro.

Grazie.