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TURISMO Giovedì 29 ottobre 1987 il giornale francese “Le Monde” ha dedicato le pagine del supplemento alla situazione italiana, parlando di “rinascita dell’economia che ha sorpreso gli stessi italiani”. Di fronte a tale favorevole realtà sono stati colti invece segni preoccupanti di declino nel settore del turismo e ne sono state individuate anche al-cune cause specifiche. Non bastano a giustificare il calo soltanto fattori e-sterni, come quelli che hanno spinto inglesi ed americani verso altre località (Spagna e Grecia); bisogna riferirsi anche e soprattutto a carenze interne, considerato che ‘il Bel Paese” non ha saputo ancora passare “dall’ospitalità spontanea alla industria dell’ospitalità”. — “L’offerta turistica italiana, considerata come u-na delle migliori del mondo negli anni ‘70, - si legge nell’articolo di Antonie Froidefond - a poco a poco si è deteriorata. Nel tempo la competitivi-tà è diminuita. Malgrado un eccezionale poten-ziale, l’Italia deve affrontare la severa concorren-za degli altri paesi mediterranei che praticano prezzi più bassi rispetto ad eguali prestazioni. Secondo il Censis, gli alberghi (sistemazione scelta dal 70 per cento dei turisti stranieri) offro-no raramente un servizio rispondente ai prezzi pagati dal cliente, anche quando questi sono su-periori a quelli di concorrenti europei. Altra causa: ci si contenta spesso di una ricerca passiva del cliente: l’Italia spende molto meno della Spagna e della Grecia per la promozione turistica all’estero” -. Sì fa poi riferimento ad infrastrutture antiquate e poco rispondenti ai tempi moderni sul piano sportivo, culturale e dello spettacolo. E’ trascu-rato il turismo congressuale e di affari che ha appunto bisogno di a-deguate e ben attrezzate strutture, “se alcuni grandi centri turistici del Nord sono in grado di fare questa specie di turi-smo, lo stesso non può dirsi del Mezzogiorno, il cui potenziale turistico è del tutto trascurato. Il Sud, ricco di siti eccezionali e di reperti del pas-sato prestigiosi come quelli della Toscana o di Venezia, ha in effetti soltanto il 13 per cento dei turisti stranieri”. Manca, sempre secondo il giornale francese, una giusta politica nazionale del turismo. Lo Stato è poco presente nel settore, avendone trasferito la competenza alle Regioni nel 1962. Queste ultime dedicano al turismo appena l’uno per cento, in

media, del loro bilancio. Ma, se si vuole fare an-cora concorrenza ai paesi con più basso livello di vita, occorre fare un salto di qualità. Come affer-ma il Censis, si tratta di passare da una “ospitali-tà spontanea” all’ “industria dell’ospitalità”.

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Il turismo non è più un fatto spontaneo, emo-zionale, che possa ancora essere impostato esclusivamente su certi fattori naturali o di moda corrente. Innanzitutto perché l’esigenza di mo-vimento e di uscita dal proprio ambiente negli ultimi tempi ha fatto scoprire numerose località ricche di richiami e di attrattive, e quindi il turi-sta si è reso conto che può scegliere, in base ad esperienze dirette o indirette, piuttosto che la-sciarsi convincere da slogan pubblicitari. In se-condo luogo subentra il pensiero di non restare attaccati ai luoghi tradizionali, ma di cambiare e di provare nuove situazioni. Di qui la constatazione che una vera e propria politica del turismo deve tendere a richiamare l’attenzione dei turisti non solo con lo scopo di farveli affluire, ma anche per indurli ad un sog-giorno più prolungato e ad un successivo ritorno. E per questo secondo aspetto molta importanza rivestono il fattore organizzativo e gli altri com-plementari che si devono alla attività umana, spetta alle attrattive derivate o ricettive infatti il compito di con-« solidare la situazione di privi-legio creata dalle attrattive naturali con un com-plesso di elementi di accoglienza congegnato in modo da soddisfare tutte le esigenze dei turisti e dei frequentatori. Sull’isola d’Ischia un discorso del genere è sta-to avviato quando si è riconosciuto che bisogna migliorare l’offerta turistica, l’immagine, la vi-vibilità. Dire che questo nuovo indirizzo abbia trovato molti consensi e posizioni, oltre che una generale accettazione tra gli operatori del setto-re, non è certo possibile, per la persistenza di ve-dute approssimative e per la preferenza sempre accordata a quanto offre il presente piuttosto che a lavorare anche per il futuro. Fare turismo è stato sempre facile, quando era sufficiente affidarsi ad attrattive naturali che l’isola possiede (o possedeva) in gran numero. Oggi la questione diventa più complicata: il tu-rista è più esigente, tante altre località sono state valorizzate sul piano turistico. E’ tempo quindi che si operi maggiormente allo scopo di evitare che molti indirizzino altrove le proprie preferen-ze e le proprie scelte.

Raffaele Castagna

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Il bilancio di previsione rappresenta il momento più qualificante dell’attività degli enti locali, ma spesso si riduce ad un arido elenco di cifre, che di solito la maggioranza approva e la minoranza non appro-va. D’altra parte esso viene discusso ed approvato in consiglio comunale in tempi in cui è ormai fuori luogo parlare di previsione (luglio, agosto ed anche settembre): ed inoltre non si sa mai poi, almeno al di fuori dei palazzi, se certe somme sono state spese ef-fettivamente. Vero è che basta guardarsi attorno per rendersene conto e per capire che i problemi restano insoluti per uri motivo o per l’altro (i soldi non sono

arrivati al momento opportuno, la progettazione non ha soddisfatto, ), ma, nonostante ciò, i politici am-ministrativi continuano a far sfoggio nelle annuali discussioni di milioni per questa o quell’opera. Abbiamo questa volta spulciato i bilanci comuna-li di Barano, di Forio e di Lacco Ameno, traendone un minuzioso elenco di interventi programmati con i relativi importi di spesa. Quanto di tutto questo com-plesso troverà sbocco nella realtà (ed in quali tempi futuri) i lettori potranno constatare direttamente nel corso dei prossimi anni.

LACCO AMENOCompletamento nuova sede municipale L. 50.000.000Costruzione immobili per uffici comunali L. 100.000.000Costruzione locali in Piazza S. Restituta L. 225.000.000Illuminazione strada di collegamento via Palmella Vecchia - via Mezzavia L. 65.0u0.000Lavori sistemazione strade interne — primo stralcio L. 133.000.000Lavori sistemazione strade interne — secondo stralcio L. 8/.0U0.O00Lavori sistemazione strada Mezzavia — S. Aniello L. 160.000.000Costruzione fognatura L. 550.000.000Costruzione collettore fognario litoraneo — primo lotto L. 400.000.000Costruzione collettore fognario litoraneo — secondo lotto L. 1.300 000.000Itinerari turistico-culturali // sistemazione Villa Arbusto ex lege reg.le 51/78 L. 200 000.000,Perizia suppletiva ristrutturazione e adattamento a museo e centro culturale polivalente del complesso immobiliare “Villa Arbusto” L.2.500 000.000Lavori urgenti e indifferibili manutenzione straordinaria e ripristino passeggiata lato marecorso Angelo Rizzoli L. 215.000.000Ampliamento edificio scuola media - Fundera L. 325.000.000Adeguamento strutturale e funzionale edificio scuola media - Fundera L. 1.200.000.000Interventi ed opere di edilizia scolastica L. 96.762.054Lavori costruzione impianti sportivi L. 470.000.000Promozione attività sportive 1987 L.l 000.000.000Interventi recupero immobili e strutture viarie urbane L. 233 000.000Parcheggi: Piazza Girardi - ampliamento L. 100.000.000 San Montano L. 295.000.000 Mezzavia L. 323.000.000Progetto di arredo urbano “Scoglio del Faro” L. 140.000.000Progetto consolidamento e restauro torre costiera aragonese - attuale edificio cimiteriale L. 196.744.000Costruzione mercato pubblico - primo lotto L. 196.000.000Costruzione mercato pubblico - secondo lotto L. 425.000.000Meccanizzazione uffici e servizi comunali L. 100 000.000Interventi conseguenti a danni ex D. L. 26.1 87 n.8 - gennaio 1987 L.2.525.437.500Iniziative culturali promozionali turistiche L. 150.000.000Acquisto immobile ex teleposto A. M. L. 200.000.000Approdo turistico L.l 000.000.000Costruzione impianto idrotermale per il riscaldamento di tutte le abitazioni del paese ed eventuale costruzione azienda municipale impianto relativo L.l.000.000.000Costruzione potenziamento e sistemazione impianto pubblica illuminazione L. 1.000.000.000

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ForioCostruzione impianto fognario Forio/centro ur-banoPiazzale Citara L. 2 800.000.000Completamento del porto - terzo e quarto lotto L. 3.000.000.000Parcheggi pubblici L. 500.000.000Completamento della palestra Scuola Media di Panza-secondo lotto L. 150.000 000Strada di circumvallazione del porto L. 400.000.000 Strada Montecorvo - Pizzo del Merlo L. 500.000.000 Ristrutturazione del vec-chio cimitero L. 50.000.00U Ristrutturazione della scuola elementare diForio capoluogo L. 200.000.000Acquisto di suppellettili per le scuoledel territorio L. 2U0.O00.0OUCostruzione di n. 9 aule prefabbricate di tipopesante per scuola media L. 500.000 000Altri interventi per la sistemazione della strada di circumvallazione del porto, del mercato pubblico, delle strade rurali ed interne, della scuolamaterna in località Scentone, del piazzale del Soccorso L. 1.450.000.000Costruzione struttura sportiva L. 125.000.000

E’ stato presentato ed in parte già realizzato un piano di assistenza e recupero a favore degli an-ziani attraverso l’utilizzo di questi in attività di servizi. Nel campo delle manifestazioni turistico-cultu-rali. l’amministrazione è orientata verso sempre più qualificate manifestazioni per inserire Forio in un circuito internazionale, utilizzando fondi regionali, dell’Azienda Turismo, di sponsor pri-vati ed integrandoli con fondi comunali. E’ previsto il completamento dello Stato civile di Panza. Congrui interventi sono previsti a favore dell’a-gricoltura di Forio e per la realizzazione di un progetto, che prevede un accordo tra Ass. Alber-gatori. Comune e Coltivatori diretti per imbot-tigliare e smerciare il vino prodotto agli stessi albergatori di Forio. Un impegno dovevamo prendere e l’abbiamo preso con i giovani di Forio per combattere il dramma della disoccupazione giovanile ed in-tellettuale e seppure con i limiti di un piccolo co-mune di diecimila abitanti, ci siamo impegnati a creare le premesse di sviluppo e di lavoro nel nostro comune.

BaranoOpere di urbanizzazione nella costituendazona 167 L. 500.000 000Fognature L. 1.300.000 000Lavori edifici scolastici di Baranocentro e di Piedimonte L. I 12.000 000Tutela dell’ambiente L. 10 000.000Manifestazioni culturali L. 50.000.000Completamento e contributiper attività sportive e manutenzioneimpianti L. 60.000.000Agricoltura L. 40.000.000Manutenzione vie e spiagge L. 200.000.000Sistemazione costoni della strada prov.leper i Maronti L. 1.207 000.000Richiesta di finanziamento per — la costruzione della scogliera ai Maronti e per il risanamento dei costoni,

— lo studio e la redazione di un progetto ese-cutivo per Nitrodi, dove, purtroppo, sono venute meno le promesse di alcuni privati che avevano fatto capire di essere interes-sati al problema.

L’Amm.ne sta ultimando le opere già pro-grammate e ne ha impostate di nuove. Sono in fase di ultimazione i lavori della Piazza di Pie-dimonte. Sono in atto quelli di via Chiummano, della piazzetta del Vatoliere, di via Matarace e via Finestra. Sono stati appaltati i lavori di via Cantariello, via Vado Michele. Debbono essere appaltati i lavori dello Schiappone, di Sottoca-iano, Buttavento e quelli relativi alla definitiva sistemazione del piazzale antistante la pineta di Fiaiano. Sono stati approvati i progetti per la costruzio-ne di parcheggi in via Valle, Via Maronti e a Fia-iano, mentre è in fase di elaborazione un proget-to di parcheggio nella frazione di Piedimonte. Il progetto relativo alla costruzione delle piazzette in località Starza e Molara è stato approvato dal CTR e sta, sia pure con una certa lentezza, av-viandosi verso la definitiva approvazione. Sono in atto i lavori del Collettore “C di Fiaiano che comporteranno anche l’allargamento della sede stradale sulla Fiaiano - Porto d’Ischia. Sono stati consegnati da parte del Genio Civile i lavori per la costruzione della briglia nella Cava di Ba-rano all’impresa “Orione” di Pompei che al più presto li inizierà. Detti lavori porranno le basi per la realizzazione del collegamento Barano - Testacelo attraverso la cava di Barano.

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Argomenti Pesca sì Caccia noOvvero

Dialogo tra due amici sui molteplici aspetti di un complesso problema

di Rodrigo Iacono

— Ciao, Vittorio, hai seguito il dibattito televisivo “caccia sì, caccia no”?— Purtroppo sì, Giovanni, ma avrei preferito di no. — E perché? A me sembra che abbia chiarito molto bene le due posizioni e i rappresentanti dei “Verdi” e del-la “LIPU” abbiano dimostrato inconfutabilmente che la caccia è solo una barbarie inutile. — Può darsi. A me invece il loro atteggiamento è appar-so alquanto scorretto.— Non capisco — Innanzitutto mi sembra che non abbiano lasciato ai rappresentanti dei cacciatori spazio per esprimere libera-mente le loro ragioni. — Continuo a non capire; ognuno dei partecipanti al dibattito ha espresso la propria idea, lasciando poi agli spettatori la possibilità di giudicare. — Sì, però non hanno permesso ai rappresentanti dei cacciatori di presentare un confronto tra caccia e pesca. — Ma fammi il piacere, che c’entra la pesca? Lì si parla-va di caccia e bisognava parlare solo della caccia, perciò i cacciatori dovevano attenersi strettamente all’argomen-to. — C’entra la pesca! C’entra, in quanto secondo il pare-re dei cacciatori ed anche a mio avviso esiste una stretta analogia tra caccia e pesca, poiché i danni provocati alla fauna marina da questa attività non sono meno gravi di quelli arrecati alla fauna terrestre dalla caccia. Quindi, se deve essere proibita questa attività, deve essere proibita anche la pesca. — Ma, scusa, hai nettamente torto, di pesci ce ne sono tanti nel mare, mentre gli uccelli sono in netta diminu-zione ed è quindi per essi che bisogna correre ai ripari. — Questo lo dici tu, ma, se prima di rispondermi in que-sto modo, vai in giro ad informarti, vedrai che la situazio-ne non sta proprio così, lo posso dirti che fino a venti anni fa andando a pescare sulle secche, usando esche qualsiasi, era facilissimo da parte di un pescatore dilettante pren-dere cinque o sei kg di pesci del genere perca. Oggi invece, usando le migliori esche, è un colpo di fortuna se in mezza giornata di attesa paziente, se ne prende una sola del peso di neppure 30 g. Questa mi sembra una prova inconfuta-bile che la pesca ne ha fatto di danni alla fauna marina. — Sì, però, i cacciatori sono dei selvaggi, in quanto spes-so sparano a piccoli uccelli come fringuelli, passerotti.... — Può darsi, ma questo lo fanno solo alcuni cacciatori e non fa certo loro onore e comunque sono molto critica-ti dall’opinione pubblica. Ma il fatto che mi sorprende, anzi dà fastidio, enormemente, è che l’opinione pubblica

e gli stessi ambientalisti o pseudo-ambientalisti, gli stessi “verdi” o pseudo-verdi non sembrano altrettanto scanda-lizzati davanti alle cassettine di pesci che sono venduti nei mercati ittici o sui moli di parecchi paesi costieri, pescati “freschi, freschi” con le reti, o peggio con le “reti a stra-scico”. Lo sai che, personalmente, ogni volta che ho visto arrivare le barche da pesca al molo del mio paese, ho vi-sto allineare sul posto per la vendita decine di “cassette” piene di merluzzi non più lunghi di alcuni centimetri e di gamberetti di dimensioni non maggiori e di calamaretti che non superavano i due grammi di peso ciascuno. Non credo che molti di quelli che sarebbero pronti a sostenere un referendum contro la caccia abbiano arric-ciato il naso sdegnati di fronte a simili spettacoli; al mas-simo, e questo mi fa veramente male, si sono leccati i baffi pregustando il sapore di raffinate fritture. — Ma nella pesca si tratta di cibo, cioè di un fatto neces-sario per la sopravvivenza, invece la caccia viene pratica-ta per divertimento e questo è grave ed imperdonabile. — Può darsi che tu abbia ragione, ma guarda che ogni giorno vedo molti dilettanti sulla riva del mare “divertir-si”, armati di canne sofisticate, nella pesca dei cefali ed altri pesci. E non lo fanno certo per cibarsene, perché alla maggior parte di essi i cefali “fanno schifo” (come dicono) e quindi dopo averli catturati o li buttano o li regalano, se hanno qualche amico disposto ad accettarli. — Però uccidere degli uccelli è veramente un atto di bar-barie. Hai mai pensato ad un povero uccello che muore stecchito mentre vola libero nel cielo? — Certo, è un fatto che rattrista. Ma ti devo dire una cosa, lo ho praticato per anni la caccia e la pesca. Ho col-pito gli uccelli e ti posso assicurare che il 99 per cento di essi muore nel momento stesso in cui si preme il grilletto. Ti voglio invece descrivere cosa succede quando durante una battuta di pesca subacquea incontro un polpo. Devi sapere che il polpo cambia colore non solo per mimetiz-zarsi, ma anche a seconda dello “stato d’animo” Appena mi vede, il polpo diventa bianco per la paura e i suoi occhi esprimono chiaramente la sensazione di sentirsi perduto irrimediabilmente. Infilzato poi con la fiocina, si divinco-la e si attorciglia fin quasi a tagliarsi in due pur di ricon-quistare la perduta libertà. Per ucciderlo poi in genere lo “mordo” sulla testa, dopo di che perde subito le forze e muore dopo un’ora. Non parliamo poi dell’uccisione dei polli e dei conigli che, sgozzati, muoiono fra atroci tormenti in pochissimi minuti. E forse non hai mai assistito all’uccisione di un maiale cresciuto in casa. Il povero animale si accorge di cosa lo aspetta già appena viene prelevato dal porcile da quattro energumeni (tanti ce ne vogliono) e trasporta-

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to sul tino su cui la sua testa verrà appoggiata e tenuta ferma dai quattro energumeni per avere la possibilità di immergere nella gola con grande maestria un apposito coltello lungo e ben affilato. E il coltello deve penetrare fino al manico. — Ma i polli, i conigli, i maiali sono allevati apposita-mente ed uccidendoli non si intacca il patrimonio fauni-stico mondiale. — E i pesci? Non sono mica anch’essi allevati apposi-tamen te. — Però i cacciatori usano armi micidiali e tendono trap-pole in modo vile e abominevole. Hai visto la rappresen-tante degli ambientalisti mostrare una rete che era stata usata per catturare uccelli? Una cosa veramente imper-donabile per i cacciatori. — Hai ragione. Chi usa trappole e reti per cacciare non può essere perdonato e anche a mio parere deve essere severamente punito. Ma non mi sembra però che nella pesca usino mezzi molto diversi dalle reti e gli ambienta-listi non mi sembrano altrettanto addolorati e scandaliz-zati. Ti dirò di più. Negli ultimi venti anni professionisti e dilettanti hanno usato delle reti che conosco col nome di reti giapponesi: sono fatte di fili perfettamente invisi-bili nell’acqua ed i pesci non hanno nessuna possibilità di salvezza. Intanto l’opinione pubblica considera il cacciatore quasi un delinquente (non so se è il caso di togliere quel quasi) e il pescatore (che pure usa gli stessi mezzi, le reti per l’appunto) u no sportivo. Dico la verità, non ci capisco niente. — Ma allora perché i cacciatori non si fanno promotori di un referendum contro la pesca’ — Perché i cacciatori ritengono che il referendum sia un mezzo eccezionale per risolvere i problemi e che spetti al parlamento fare delle leggi adeguate alla realtà delle situazioni. — Però, se si dovesse fare un referendum sulla caccia, sono sicuro che la maggioranza voterebbe contro i caccia-tori. E in un paese democratico la maggioranza ha sem-pre ragione. — Non sono d’accordo. La maggioranza del numero o la soverchieria della forza vince sempre (e questo anche in paesi che non conoscono la democrazia), ma non ha sempre ragione. In un paese veramente civile invece non dovrebbe essere impor tante solo la forza del numero, ma dovrebbero contare anche il buon senso e la volontà di risolvere veramente ed intelligentemente i problemi. — Ma allora a tuo dire non bisognerebbe fare nulla per salvare l’ambiente e gli animali che vi vivono? — Al contrario, a mio avviso, molte sono le cose che dovrebbero essere fatte. La mia preoccupazio-ne è proprio il fatto che questo accanirsi nel con-centrare l’attenzione dell’opinione pubblica sull’ar-gomento caccia faccia comodo a tutti coloreo che danneggiano in modo gravissimo l’ambiente. Questi potranno così tranquillamente continuare a distruggere il pianeta terra. Per esprimermi in modo semplice ti dico che, se l’am-biente riceve 100 kg di danno, 95 kg sono procurati da. a) sostanze altamente velenose che le varie industrie riversano nelle acque, nell’aria, nel terreno; b) sostanze altamente velenose che l’agricoltura usa nelle va rie culture;e) l’eccessiva urbanizzazione (vedi seconda e terza casa),

d) sostanze altamente velenose che le centinaia di mi-gliaia di automobili ed altri veicoli riversano nell’aria,e) la pesca.Quindi solo il 5 per cento sarebbe da attribuire alla cac-cia. — Ma le varie associazioni ambientaliste si stanno muo-vendo anche in queste direzioni. — Ma piuttosto timidamente direi e senza concludere un gran che. E comunque senza quel “coraggio” e quella determinazione che stanno mostrando sulla questione della caccia. A tal proposito mi viene in mente un uomo che, avendo ricevuto un torto da una famiglia e deside-rando rifarsi, non potendo picchiare né il padre né lo zio (che erano almeno dall’aspetto molto più forti di lui), se la prese col figlio di 5 anni e lo malmenò con grande fer-mezza. — Ma non farmi ridere. I cacciatori mica sono dei bam-bini. — Guarda che ho fatto solo un esempio. Voglio dire che, essendo solo 1.600.000 circa, i cacciatori rappresentano, in confronto a tutti gli elettori, lo stesso rapporto di forze tra un bambino di 5 anni e un adulto. — Comunque il referendum ci sarà e per i cacciatori il libro sarà chiuso. — lo dico solo questo; ciò che offenderà maggiormente i cacciatori, sarà il vedere che a dare tranquillamente il loro voto contro la caccia saranno coloro che comprano la pelliccia di visone (dimenticando che devono essere uccisi in modo più o meno selvaggio circa 40 poveri ani-maletti, allevati o selvaggi che siano); che a votare contro la caccia saranno gli industriali (dimenticando che con gli scarichi velenosi delle loro industrie hanno fatto morire milioni di pesci ed hanno ridotto ‘iumi e mari come fo-gne, hanno reso imbevibili le acque potabili), che a votare contro la caccia saranno coloro che hanno distrutto interi boschi ed estesi campi ricoprendoli di cemento armato; che a votare contro la caccia saranno i milioni di auto-mobilisti che con l’uso non sempre indispensabile della macchina hanno reso l’aria irrespirabile col pericolo di gravissime e talvolta incurabili malattie. Potranno pure votare contro, ma se lo faranno “tran-quillamente” mi sembrerà un fatto per lo meno strano. — Ma allora in caso di referendum voterai a favore della caccia? — Non lo so. Voglio solo dire che al contrario di molti come te che credono di avere la verità in tasca, io ho molti dubbi e ho bisogno di riflettere a lungo e di approfondire l’argomento.- Comunque non puoi negare il fatto che il cacciatore di danni all’ambiente ne fa.- Non saprei cosa risponderti. Mi viene solo in mente un passo del Vangelo: “chi è senza peccato, scagli la prima pietra”.- Ma perché i rappresentanti dei cacciatori in quella serie del dibattito non hanno detto niente di queste cose?- Te l’ho detto, a me è parso un incontro non troppo le-ale, anche perché ho avuto l’impressione che i cacciatori presenti siano rimasti senza parole, fulminati dalla fol-gorante bellezza che sprigionava la rappresentante delle associazioni ambientaliste: una “rete” in cui i due si sono veramente perduti.

Rodrigo Iacono

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Una proposta scaturita dal convegno su RICERCA E TERRITORIO, organizzato dal sindacato CGIL Ricerca Campania

Istituire sull’isola d’Ischia una Libera Università degli Studi

In un convegno, organizzato ad Ischia dal Sindaca-to CGIL RICERCA - Campania sul tema. Ricerca e Territorio / Idee e proposte a confronto per l’isola di Ischia, è stata proposta la creazione sul territorio di una Libera Università Pithecusana degli Studi con lo scopo di sviluppare in campo nazionale ed internazionale programmi di studi per la valoriz-zazione delle risorse aperti al più vasto pubblico sia italiano che straniero. Ne ha sviluppato l’ipotesi ed i contenuti il consiglie-re nazionale CCIL Ricerca. Raffaele De Maio, il quale ha innanzitutto specificato i compiti del convegno, così individuati.

Proporre all’attenzione dell’opinione pubblica al-cune questioni locali attinenti allo sviluppo di una politica della ricerca per la valorizzazione della te-matica ambientale, che qui sull’isola per ragioni di sviluppo turistico-commerciale assume un signifi-cato particolare rispetto alle altre situazioni terri-toriali. Infatti, come è stato scritto, “Ambiente qui signi-fica, oltre che difesa e valorizzazione delle risorse balneari, termali, collinari, anche qualità comples-siva dell’equipaggiamento strutturale ed infrastrut-turale dell’ isola, su cui è presumibile si giocherà una grande partita per l’utilizzo dei fondi della legge 64/86 prevista nell’ambito dell’intervento straordi-nario per il Mezzogiorno”

Sono stati poi riassunti ed illustrati alcuni progetti delle amministrazioni locali per uno sviluppo qualifi-cato dell’ambiente, e cioè

- Un centro scientifico culturale presso il Ca-stello d’Ischia,- Istituzione di un parco sottomarino,- Sfruttamento su scala scientifico-industria-le delle antiche fonti di Nitrodi ed Olmitello.- Istituzione di un parco ambientale nella zona di Zaro - San Montano - Montevico

In questo quadro di grandi impegni per l’intero ter-ritorio isolano si inserisce il richiamo più squisita-mente scientifico delle tematiche del convegno.Il Sindacato CGIL Ricerca Campania è convinto infatti che l’isola d’Ischia per la sua configurazio-ne strutturale e morfologica presenta già di per se

requisiti di interesse scientifico notevoli, che vanno dall’aspetto geologico a quello ecologico marino e terrestre, dal termalismo all’archeologia e per i quali già in parte esistono sul territorio strutture specializzate in campo nazionale ed internazionale che offrono collaudata garanzia scientifica per una conoscenza più approfondita delle problematiche locali legate al territorio A riguardo bisogna considerare che pochi luoghi in Europa, in rapporto all’estensione territoriale che ha l’isola d’Ischia, presentano il vantaggio di altret-tante strutture di riconosciuta attività scientifica. Ci riferiamo in particolare al laboratorio di ecolo-gia marina del BENTHOS della Stazione Zoologica Napoli e all’OSSER VATORIO GEOFISICO di Casa-micciola per il ruolo potenziale che esprime, i quali già di per se potrebbero costituire, ciascuno per le proprie specifiche competenze, i riferimenti di una rete scientifica d’immediata concretizzazione per il controllo costante del territorio sia a terra che a mare. Peraltro, questo Sindacato, nella sua espressione regionale, ritiene che non si è ancora avviato né sull’isola ne sul restante territorio campano, un pro-ficuo rapporto di collaborazione istituzionale tra le varie amministrazioni locali e le istituzioni scienti-fiche esistenti sul territorio rapporto che sviluppi e valorizzi appieno la funzione di “servizio “ che po-tenzialmente alcuni enti di ricerca possono e devono esprimere.

Il ruolo dell’OSSERVATORIO di Casamicciola

In proposito, per quanto riguarda Ischia, è signi-ficativo il caso dell’osservatorio di Casamicciola, il quale pur essendo presente sul territorio da oltre un secolo non ha ancora trovato un definitivo assetto giuridico-normativo che ne definisca attualmente in termini statutari e regolamentari la natura e le finalità. In termini di sicurezza e prevenzione basterebbe pensare più spesso alla morfologia dell’isola per rendersi conto della superficialità collettiva con la quale si segue il destino di questa struttura, ormai ridottasi ad un involucro vuoto di personale, stru-mentazione e linee gestionali.

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Si deve risalire ad alcuni anni addietro ‘per segna-lare l’ultima presa di coscienza da parte dell’opinio-ne pubblica e delle forze politiche per una “rituale” richiesta di rilancio dell’osservatorio. Da allora è passato molto tempo e non si riesce ancora ad intravedere un qualsiasi schema che dia certezza di futuro scientifico a questa struttura per il controllo e lo studio del territorio. E’ auspicabile che la ventilata convenzione tra il comune di Casa-micciola da una parte e la Provincia e la Regione dall’altra dia finalmente una risposta gestionale al problema. La struttura, convenientemente dotata di risorse finanziarie ed umane, può svolgere anche un ruolo promozionale turistico di rilevante richiamo cultu-rale’, ci riferiamo, in particolare, ad un eventuale museo geologico parallelo all’attività scientifica.

Il Laboratorio di Ecologia del BENTHOS

Diverso si presenta il discorso per il Laboratorio di Ecologia del Benthos sito in Ischia Porto, il quale,pur seguendo le alterne vicende legislative della Stazio-ne Zoologica di Napoli, ultima nel tempo il defini-tivo riconoscimento in ente pubblico da parte dello Stato, ha potuto beneficiare di interventi normativi atti a consolidare la sua posizione scientifico-isti-tuzionale. Attualmente il laboratorio, pur essendo sottodimensionato in termini occupazionali, grazie alla sua specificità scientifica inaugurata già col suo sorgere nel 1968, si pone nel campo della Biologia Marina nazionale ed internazionale come preciso riferimento per alcuni aspetti scientifici di forte im-patto ambientale. Ne sono testimonianza i consolidati rapporti con Istituti ed Università italiani e stranieri che si espli-cano attraverso vari programmi interdisciplinari, ultimo di significativa importanza quello quadrien-nale concordato di recente con la Comunità Euro-pea in collaborazione con l’Università di Marsiglia, Bruxelles e Barcellona. Anche per questa struttura, tuttavia, bisogna dire che la sua presenza sul territorio non sempre vie-ne avvertita in termini di fruizione di servizi, basti pensare al ruolo potenziale che ha nel quadro di tematiche ambientali per l’isola, quali, ad esempio, l’annoso problema dell’inquinamento a mare o della difesa degli a-renili e delle coste.

Raffaele De Maio ha fatto poi riferimento all’a-spetto termalistico ed archeologico del patrimonio i-solano; settori ad alta ed immediata ricaduta econo-mica che per l’intero territorio soffrono di una propa-ganda di utilizzo e valorizzazione distorta; infatti, se necessariamente per economia di mercato se ne pri-vilegiano gli aspetti turistici e commerciali, dall’altro non se ne incrementano abbastanza le potenzialità

di trattazione scientifica che, se sviluppate appieno, potrebbero offrire benefici economici e d’immagine altrettanto remunerativi.

— Nei settori citati manca un raccordo isolano, a carattere scientifico-culturale che possa assicurare continuità di valorizzazione in senso divulgativo delle attività attinenti alle discipline in questione. Infatti, fatta eccezione per tutta una serie di pubbli-cazioni, studi, comunicazioni, opuscoli divulgativi e lavori scientifici sugli argomenti condotti con gran-di sacrifici più da singoli studiosi che promossi ed incentivati dalle istituzioni territoriali preposte, l’i-sola si presenta ancora priva sia di un raccordo nel settore, sia di una adeguata struttura ricettiva a so-stegno di una polìtica di alto contenuto divulgativo.

Una Libera Università Pithecusana degli Studi

Il problema è dunque, a parere del sindacato, di co me armonizzare almeno qui sull’isola al-cuni aspetti scientifici culturali del patrimonio locale in un unico disegno di valorizzazione del-le risorse che superi di slancio difficoltà buro-cratiche e pregiudizi campanilistici. Nel merito la CGIL Ricerca Campania ritie-ne opportuno che nel panorama dei progetti avanzati per l’isola siano sviluppate alcune ipotesi integrative su cui richiamare l’attenzio-ne dell’opinione pubblica e delle varie ammini-strazioni. Ci riferiamo in particolare alla creazione sul territorio di un ORGANISMO isolano che pos-sa fungere da cerniera per le varie discipline scientifiche, umanistiche ed artistiche che l’isola propone. Nello specifico pensiamo alla creazione di una Libera Università degli Studi che possa svi-luppare in campo nazionale ed internazionale programmi di studi per la valorizzazione delle risorse . L’istituzione di una Libera Università isolana, oltre a costituire un aspetto fortemen-te caratterizzante del tessuto strutturale locale, può rappresentare per l’isola un veicolo educa-tivo e di propaganda culturale di significativo valore istituzionale sul piano degli scambi e delle conoscenze. Ciò potrebbe realizzarsi ad esempio attraver-so “stages” che favoriscano la presenza sull’iso-la di studiosi e studenti iscritti ad Associazioni ed Università italiane e straniere con le quali avere interscambi anche per eventuali soggior-ni in Italia o all’estero di studenti isolani. Parallelamente a questo aspetto è da accenna-

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re alla attività didattica che può essere esple-tata attraverso corsi dì formazione e cicli di lezione su discipline ed argomenti di vario in-teresse aperti al più vasto pubblico possibile. Tale attività servirebbe a generare un circuito di libere docenze capaci dì determinare con il mondo della scuola e dell’economia locale favo-revoli condizioni di interscambi per la gestione di conferenze, dibattiti ed aggiornamenti pro-fessionali. Non ultima come attività divulgati-va del centro è da considerare la possibilità di un bollettino che si prefigga lo scopo di illustra-re sotto l’aspetto scientifico culturale eventuali lavori di significativo valore promossi o svolti presso il centro universitario isolano. L accennata articolazione dell’idea di una Libera Università Pithccusana degli Studi è orientativa di una idea-progetto che nasce come impegno della CGIL Ricerca Campania nell’ambito di una politica di sviluppo struttu-rale ed occupazionale dell’attività di ricerca che sia sempre più incisiva sul piano della realtà territoriale.

Forio

IL PARCO NATURALE DI ZARO

Il Parco Naturale di Zaro non può e non deve avere alcuna pretesa esclusivamente conserva-zionistica od estetica, se si vuole far tesoro della maturata evoluzione della filosofia dei parchi che dal 1922 (anno in cui fu istituito il Parco Nazionale del Gran Paradiso) ad oggi si è arricchita, potrei dire umanizzata, superando il concetto di asso-luta tutela per affermare il ruolo dì una politica ambientale legata ai problemi della società. Da qui il concetto di pianificazione del territorio e dei parchi che vanno sempre più intesi come strumen-ti di riconversione di uno sviluppo territoriale, di promozione sociale, economica e culturale di una popolazione. TI Parco Naturale di Zaro è, quindi, anche un progetto economico che passa attraverso una con-servazione attiva e non soltanto difensiva e vinco-listica degli ecosistemi naturali, ma anche per una conoscenza e valorizzazione scientifica dell’am-biente naturale,- è un progetto economico, ricre-ativo e culturale che deve essere considerato come prima fase di un progetto più lontano, ma non im-possibile da raggiungere, che vede il superamento dei confini dell’area boschiva di Zaro per estender-si su tutto il territorio forw.no e quindi isolano. È un progetto che non deve penalizzare nessuno, se si fa eccezione degli speculatori, di chi cioè ha del territorio un concetto egoistico ed affaristico ai danni della collettività, mira invece al coinvolgi-mento di tanti piccoli proprietari, di tanti giovani organizzati in cooperative, di tante aziende turi-stiche ed economiche che guardano al loro svilup-po nella valorizzazione della qualità dell’offerta senza penalizzare l’ambiente, il paesaggio traendo anzi profitto e sostentamento proprio da quella ricchezza paesaggistica, culturale e scientifica clic è in Zaro e che è stata ignorata fino ad ora. Una ricchezza, quella di Zaro (ma il discorso si può spostare su tantissimi altri punti della nostra isola, anche se per caratteristiche diverse), fatta di una rara macchia mediterranea su di una lava trachitica, frutto di un ben preciso equilibrio cli-matologico, che non può rimanere all’attuale stato di abbandono e che una comunità non putì igno-rare, lasciando che il degrado provocato e voluto dall’uomo renda appetibile quella zona a chi saprà , con la forza dei soldi, utilizzarla e trasformarla in una rendita speculativa. 1. ‘unità di oggi tra il mondo della scuola e quello sociale ed istituzionale non potrà non avere uno sbocco positivo per quanto riguarda la riqualifi-cazione di quel pezzo di Forio e la istituzione del Parco Naturale di Zaro.

Nicola Lamonica(Dalla Relazione presentata al convegno su Ricer-ca e Territorio)

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gevoli e terapeuticamente utili, esse sono tutte acque minerali altamente qualificate e secoli di tradizione termale ne documentano la indi-scussa efficacia terapeutica; ciò significa però, e questo va detto altrettanto chiaramente per la serietà scientifica di questa grande stazione termo-climatica, die la qualifica di radioattivi-tà non spetta a tutte le sorgenti, ma solo a quel-le di cui ricerche scientifiche ineccepibili (En-gler, Maria Curie, Signore, Platania, Visintin, Aliverti ed altri) hanno dimostrato e misurato la radioattività. E’ un vero dono di natura che l’isola d’Ischia sia stata dotata di sorgenti di va-ria composizione e con varie caratteristiche. —

L’augurio è che, oltre ai singoli, gli enti pub-blici, comuni, provincia e regione, si rendano conto dei tesori inestimabili che madre natura ci ha donato, e si adoperino affinché i mali della nostra epoca inquinamento, sfascio geologico, escavazioni indiscriminate, non comprometta-no la limpidezza delle sorgenti e che esse pos-sano conservarsi integre per molti anni ancora sì da costituire un toccasana per i mali degli uo-mini.

Eugenio Fusco

VENETO MUSICASAN DONA DI PIAVE

la nuova stagione concertistica

18 dicembre 1987 Concerto di Natale con il Coro BENEDETTO MARCELLO di Mestre - “Petit Messe solennelle” di Giacchino Rossini.

21 gennaio 1988 RON KOOPMAN al clavicembalo

3 febbraio 1988 Orchestra da camera di Padova e del Veneto Dir e violino solista Piero Toso. Musiche di Haendel, Vivaldi, Rossini.

17 febbraio 1988 Orchestra regionale Toscana. Dir Donato Renzetti. Violoncello Mario Brunello. Musi-che di. Cherubini, Saint-Saens, Respighi, Kodaly

1 marzo 1988 Teatro Danza di Caterina Sagna “Le serve’’ di Jean Genet. Coreografie Caterina Sagna. Musiche di Bottesini, Schonberg.

10 marzo 1988 Bruno Canino - Concerto per piano-forte.

6 aprile 1988 Michele Campanella - Concerto per pianoforte.

16 aprile 1988 Orchestra da camera della Gioventù musicale italiana.

LE TERME ISOLANE e la RADIOATTIVITÀ

Le terme costituiscono indubbiamente una occasione ideale per una vacanza piacevole, so-prattutto se esse sono utili per la cura di malat-tie tipiche dell’anziano, quali i reumatismi. Per molti “ passare le acque” o “fare i fanghi” è un’a-bitudine annuale e ciò è molto importante per le nostre località che hanno questi tesori della na-tura che contribuiscono certamente al sempre maggiore sviluppo turistico. In Italia vi sono molte acque minerali e fanghi, ma quelli di Ischia, conosciuti sin dall’antichità, sono considerati i più radioattivi. Ma cosa è la radioattività? Negli anni ‘50 il cav. Angelo Rizzoli fece fare una ricerca dall’allora direttore dell’Osservatorio Vesuviano, il noto fi-sico vulcanologo Giuseppe Imbò.

- La radioattività è una proprietà fisica mol-to diffusa in natura nei terreni e nelle acque del sottosuolo, sia per la presenza di minerali o sali radioattivi (radium, torio, uranio, etc...), sia per la presenza di un gas, il radon, che per-mea il terreno o rimane sciolto nelle acque dalle quali poi si libera disperdendosi nell’atmosfera. Nel caso di Lacco Ameno si tratta appunto di questo secondo caso, le acque minerali, di origi-ne vulcanica profonda, attraversano, per veni-re alla superficie, strati geologici contenenti de-positi di sali radioattivi e si caricano fortemente di emanazioni, esse vengono cosi alla superficie con tre caratteristiche che eccezionalmente si trovano associate, la forte e complessa salinità, l’alta temperatura e la fortissima radioattività. Particolarmente interessante è il comporta-mento della radioattività sull’isola d’Ischia, isola vulcanica, ricca di sorgenti termali e di fumarole, la radioattività è presente in quanti-tà sensibile e terapeuticamente efficiente in una sola e limitata zona dell’isola, corrispondente ad una frattura geologica il cui centro sì trova a Lacco Ameno ai piedi di Montevico dove da secoli erano note le sorgenti “greca”, “S. Resti-tuta” “romana” e ‘Regina Isabella” All’infuori di questa zona la radioattività scende a livelli di scarsissimo rilievo (Sorgente Fornello a Porto d’Ischia, sorgente Gurgitello etc....). Ciò non significa, sia detto chiaramente, che le acque termali dell’isola, all’infuori di quelle di Lacco Ameno, non siano acque minerali pre-

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La memoria / la scritturadi Pierluigi Di Majo

Nasce con questo numero della Rivista una serie d’appunti che non vuole essere un déjà vu, una scim-miottatura d’altre testate. Non proporremo neces-sariamente novità librarie, nostro intento è anzi por-re l’accento su opere rimaste marginali all’interno del mercato librario, sulle quali è invece il caso di sof-fermarsi. Naturalmente sono solo degli appunti, im-pressioni personali, senz’altra intenzione che quella di cercare un interlocutore cui comunicare le proprie sensazioni provate sulla terrazza della propria casa di Forio e poi scambiate con amici sul pontile di Ischia Ponte. Avete mai provato a chiacchierare di libri davanti ad un tavolino con un Cocoa fresco in mano ad Ischia Ponte? Peccato che il locale d’inverno sia chiuso, ma d’estate provate a cercarlo. La cosa che ci ha più pia-cevolmente intricato è la presenza discreta di Massi-mo, il barman, il quale, anziché strimpellare chitarre e mandole, for strangers only, è uno che, quando gli gira e vuole, sa parlare di libri. Peccato sia stato ir-removibile nel non volerci rivelare i segreti dei suoi cocktails.Ma questo naturalmente non interessa a nessuno. I libri, dicevamo. Abbiamo intenzione di proporne di incolpevoli, sui quali è calata la polvere o poco cimanca, o freschi di stampa da assaporare. Bisognerebbe provare il piacere di girare per la li-breria di Vito Matterà, il “capitano”, a Forio, possibil-mente d’autunno o d’inverno, per sfogliare libri, go-dersi le mostre, cercare nei retroscaffali opere fuori catalogo che in altri anni per giovanili problemi eco-nomici non potevate permettervi e, Vito permetten-do, perché per alcuni libri non cede a lusinga alcuna, portarvele a casa. II tutto ascoltando — con molta discrezione, prego! - il padrone che legge la mano a qualche lettrice di passaggio, fascinata, e poi, a rito consumato scam-biare qualche parola con lui, o meglio ascoltare (per-ché è difficile contraddirlo e poi perché?) la calda irruenza di libraro innamorato del suo mestiere che ama divagare dai ricordi del suo passato di uomo di mare a qualsiasi tema che stimoli il suo lucido spes-sore morale.

E i libri? Ma questo è il libro.

Leggere, percepire le sensazioni che il testo offre e trovare qualcuno cui parlarne.

Il primo che mi viene in mente è:

Massobrio-Portoghesi – L’album del Liberty - Laterza 1975, in cui le vibrazioni dell’Art Nouveau, i suoi fregi, il senso della trasparenza vengono accu-

ratamente ricostruiti dagli autori. E magnifiche foto-grafie corredano il testo. H. van de Velde, le proget-tazioni di V. Horte, la ricerca formale di G. Klimt, le illustrazioni di A. Beardsley, le litografie di E. Munch.

Dello stesso P. Portoghesi - Barocco e Liberty - Laterza, 1986.

E così, per naturale accostamento d’atmosfera e tono psicologico, mi viene in mente di G Patroni Griffi - La morte della bellezza - Mondadori, 1987, che colpisce per la naturale vena del narratore che riesce a stemperare l’elegiaca dolcezza crepuscolare del giovane Lilandt, decadente referente d’una socie-tà inconsapevole della crisi, dell’ouverture, alla vio-lenza stilistica del crescendo che non è nei fatti ma nel tessuto narrativo e psicologico.

Un altro libro che vale la pena di leggere è quello di D. Campana - La stanza dello scirocco - Sellerio, 1986, dove il luogo è una metafora della Sicilia e la storia di Rosalia e di Salvatore/Principe di Acquafu-rata è nel gioco perfido di Campana che muove i suoi scacchi fino ad un matto per la protagonista/re. Ma quel che conta finora, per i due romanzi di cui s’è detto non sono i fatti, le situazioni, bensì lo stile, la consistenza narrativa che collocano gli autori al di sopra d’un segmento letterario di livello superiore.

E’, infine, il caso di segnalare. R. Nigro - I fuochi del Basento, Camunia, 1987. Epopea delle fallite jac-queries contadine, iniziate col brigantaggio premu-rattiano in Calabria, Basilicata e Puglia. Delle controrivolte straccione dei realisti, della lotta per la terra e dell’utopistico sogno giacobino, ogget-tivamente impossibilitato a saldarsi con le rivendi-cazioni contadine, e successivamente mazziniano inteso a collegare borghesia ed aristocrazia illumina-ta meridionale con le masse in un più vasto disegno rivoluzionario. Il tutto osservato attraverso la ricostruzione dei fat-ti, condotta sugli archivi di Bari, Potenza, Matera, e la riflessione sulle cronache di G Fortunato e G. Raciop-pi, solo in parte storica delle vicende d’una famiglia, i Nigro, nell’arco di quasi un secolo, e l’immaginazio-ne, la fantasia dell’autore, prepotente e creativa dalle quali escono i briganti disperati, la figura di Padre Raffaele Arcangelo, la rabbia sterile dei braccianti e i giochi di palazzo e di sagrestia. Ma quello che colpi-sce è l’impasto del linguaggio che mescola elementi della cultura contadina e materiale con evidenti rife-rimenti alla poesia e prosa di R. Scotellaro dei “Con-tadini del Sud”, delle ‘Indagini sulle scuole di Basili-cata”, di ‘Uno si distrae al bivio”, rivisitati, però, da u-na evidente tensione civile e dai continui blow ups degli episodi che si collegano tra loro come un mo-saico maiolicato, naif, treccia testimoniale dell’autore alla Basilicata.

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Da leggere, infine :

M. Masucci – M. VanacoreLa cultura popolare nell’isola di Precida Guida, 1987

Yvan GollLes géorgiques parisiennes (testo italiano a fronte) Guanda, 1969

AA. VV.Un tocco di classico Sellerie 1987

A. Antonaros Tornare a Carobel Feltrinelli, 1984

Nawal al Sa’ dawi Firdaus Giunti, 1986

Presentato a Roma il progetto di mostra

I FENICI Martedì 10 novembre 1987 nella sede dell’Ac-cademia Nazionale dei Lincei, Palazzina dell’Au-ditorio, a Roma, il prof. Sabatino Moscati ha presentato ai giornalisti il progetto di mostra “ I FENICI “, che si terrà a Palazzo Grassi, a Vene-zia, dal 6 marzo al 6 novembre 1988.

La mostra, che sarà diretta dal prof. Sabatino Moscati con l’assistenza di un vasto comitato scientifico e per la quale l’Accademia Naziona-le dei Lincei ha già concesso il suo patrocinio scientifico, intende ampiamente illustrare le co-noscenze di una civiltà che negli ultimi venticin-que anni si sono profondamente rinnovate. Le complesse tematiche che saranno affrontate dalla mostra investono la cultura stessa di que-sto popolo scomparso, dalla fondamentale que-stione dell’alfabeto alle credenze e alla vita reli-giosa, dalle navi e dalla navigazione alla scoper-ta del vetro e della porpora, dall’organizzazione politica a quella dell’esercito e della marina fino all’avventura di Annibale. Saranno esposti circa 1200 reperti archeologici provenienti dai musei di Cipro, di Malta, della Spagna, della Tunisia, dell’Italia e cioè essen-zialmente dal bacino del Mediterraneo e inoltre da alcune collezioni di Bruxelles, del Louvre e del British Museum. Gli allestimenti della mostra saranno curati dall’architetto Gae Aulenti. Un film sui luoghi ove si realizzò la presenza fe-nicia appositamente realizzato per l’esposizione, in coproduzione con Folco Quilici e con la sua regia, sarà proiettato durante l’orario di apertu-ra al pubblico.Si tratterà in sostanza di un grande avvenimento

culturale ed anche per questo è stato previsto un periodo insolitamente lungo, 246 giorni di espo-sizione.

“IL BUON GIORNALISTA”

(conferenza - dibattito)

Su iniziativa dell’Associazione della Stampa delle isole di Ischia e Procida, si è tenuta mar-tedì 3 novembre 1987, presso l’Hotel Jolly d’I-schia, una conferenza-dibattito sul tema. Il buon giornalista, con relazione introduttiva di Piero Ottone, già direttore def Corriere della sera ed attualmente presidente dell’Editoriale “La Re-pubblica” Spa, autore di testi fondamentali sul giornalismo moderno. Appunto dall’ultimo li-bro del noto giornalista (Il buon giornale) traeva lo spunto l’incontro isolano.

ECO

DELLA STAMPAServizio ritagli da giornali e riviste

DirettoreIgnazio Frugiuele

Via G.Compagnoni 28 20129 Milano

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Un documento inedito su un’opera di Cesare Calise

Un altro piccolo spiraglio sulla vita dell’artista foriano

di Agostino Di Lustro Il pittore foriano Cesare Calise, del quale possedia-mo notizie tra il 1588 ed il 1636, ha lasciato sulla no-stra Isola un discreto numero di opere, ma nessuna di esse è documentata, mentre la maggior parte reca data e firma. Solo di recente, esaminando le schede dei notai del sec. XVII dell’isola d’Ischia conservate nell’Archivio di Stato di Napoli, ho rintracciato alcuni atti che si riferiscono ad un Cesare Calise. Da essi si ricava che nei primi decenni del secolo XVII vi sono due persone a Forio che portano lo stesso nome e co-gnome, ma non c’è possibilità di equivoco tra i due, perché il notaio li distingue nettamente, chiamando l’uno Cesare Calise di “Petrillo”, dal nome del padre che compare in altri atti notarili, e l’altro Cesare Ca-lise “pittore”. Questo “pittore” lo troviamo in quattro atti rogati dal notar Silvestro Capuano di Forio il 29 ottobre 1615 nei quali viene detto “Cesare Calense pittore predicti Casalis (Forigii) Neapoli commorante”. (1)

Da questi documenti, e da quello che è oggetto di queste brevi note, si ha ulteriore conferma, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che quel Cesare Calen-se che il De Dominici dice nativo “della Provincia di Lecce” (2), si chiamava più esattamente Cesare “Ca-lise” ed era nativo di Forio (3). Inoltre veniamo a sa-pere che in quell’anno già si era trasferito a Napoli e che, forse, periodicamente si recava a Forio. Una polizza del 9 marzo 1620 del Banco dell’An-nunziata, pubblicata dal D’Addosio (4), ci informa che la sua bottega si trovava “all’incontro la Fontana de l’Annunziata alle Case de l’Egitiaca”. La sua presenza nello stesso anno 1620 a Napoli e nello “Stato delle anime” della parrocchia di S. Vito a Forio (5) sta a dimostrarci appunto che egli soggiorna spesso a Forio e che si sente veramente foriano tanto da aggiungere il genitivo “Forigli” alla firma apposta su alcune sue opere: sul perduto S. Onofrio del 1604 di Castello presso Gragnano e sulla Madonna del Ro-sario del 1632 nella chiesa di S. Rocco a Barano. Quando e dove sia morto non lo sappiamo e consi-

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derando che il suo soggiorno napoletano è documen-tato fino agli ultimi anni della sua vita, si può pensare che potrebbe esser morto a Napoli. E’ necessario qui fermare la nostra attenzione su di un altro documento rogato dallo stesso notar Capua-no il 19 ottobre 1632 (6). Si tratta del contratto sti-pulato tra i due governatori della chiesa del Soccorso dei Frati Agostiniani ed i due della cappella di S. An-tonio di Padova, esistente nella stessa chiesa, con il pittore per il quadro di S. Agostino che si trova sull’ altare nella seconda cappella a destra di chi entra. Il quadro è noto ed è stato pubblicato dall’Alparone (7), ma questo contratto ci fornisce notizie di qualche im-portanza su quest’opera.* Il 19 ottobre 1632 in presenza del notaio compaio-no i governatori suddetti e Cesare Calise “pittor de ditto Casali Neapoli commorans” il quale si impegna a dipingere una cona di tavole di pioppo larga palmi sei (m. 1,58 e.) ed alta palmi nove (m. 2,37 e). La cor-nice dev’essere larga mezzo palmo per lato (cm 13 e), “levati li cartocci et l’orecchielle che haveranno da venir in detta cornice, sopra due frontoni uno per banda, quale cimbase haverà d’hessere de altezza palmi tre (m. 0,79 e.) oltre della croce, et dui vasetti per banda conforme si suole fare”. Le figure da dipingere sono Santa Monica, S. Agosti-no al centro, S. Nicola da Tolentino dall’altro lato. “Et sopra li detti Sancti al medesimo quatro” il pittore deve dipingere la Trinità, “et nella cimbase de sopra la pietà con le Marie, et al li frontoni la Santissima Nuntiata et farci la cornice indorata et lo piano di mezzo de detta cornice indorata et sgraffiata d’az-zurro.... et la detta pittura haverà d’esser lavorata in oglio di colori fini et proporzionata a laude d’ex-perti, et debbia tutta detta opera esser conforme lo disegno che sta firmato deppiù mano de me predetto notaro de ordine de dette parti”. Il Calise s’impegna a consegnare l’opera nel mese di gennaio 1633 “in Napoli alla sua poteca”. Il pittore, quindi, ha eseguito l’opera a Napoli ed i committenti debbono ritirarla qui provvedendo, di conseguenza a proprie spese, al trasporto fino a destinazione. Se il pittore esegue quest’opera a Napoli, possiamo immaginare che anche la Madonna del Rosario di Barano, datata e firmata nel 1632, ed il S. Giacinto della chiesa di S. Carlo a Forio, firmato e datato nel 1633, siano state eseguite a Napoli.Il prezzo convenuto per il S. Agostino è di ducati qua-rantadue, dei quali dieci, in moneta d’oro e d’argento, gli vengono consegnati al momento della stipula del contratto, altri ducati venti i committenti s’impegna-no a pagarli due mesi dopo la stipula dell’atto e ducati dodici alla consegna del quadro. Prescindendo da osservazioni di carattere estetico che non entrano nella sfera delle mie competenze, è necessario fare alcune osservazioni su questa ta-vola. Infatti, pur essendo arrivata fino a noi, anche se in u-no stato di conservazione precario per cui è imminente un attento e scrupoloso restauro dobbia-

mo dire che, alla luce del contratto, la tavola nelle sue parti accessorie non corrisponde a quella voluta dai committenti. Mentre le figure dei Santi e le dimen-sioni di questa tavola, firmata e datata, corrispon-dono a quelle volute dai committenti, la cornice non presenta i requisiti e le parti richieste. Oltre ad una orribile ridi-pentura che nelle parti mancanti fa in-travedere qualche traccia dell’antica duratura, essa manca della parte terminale e cioè della “cimbase” con la Pietà e le Marie, e dei “frontoni” con la “Santis-sima Nuntiata”. Le ipotesi che possiamo avanzare sono due. o alcu-ne parti della cornice sono andate perdute nel corso dei secoli, o il pittore non le ha eseguite. La seconda ipotesi, comunque, mi sembra poco probabile, per-ché certamente i committenti avrebbero rifiutato l’opera come non rispondente alle loro richieste e la cosa sarebbe finita certamente in tribunale, come ac-cadeva spesso in simili casi. L’ipotesi più accettabile è che nel corso dei secoli il quadro abbia subito dei danni e, forse, anche dei piccoli restauri nel corso dei quali la cornice è stata ridipinta con l’orribile colore che ancora vediamo e le parti terminali della tavola completamente eliminate e disperse. Queste brevi osservazioni scaturite da questo con-tratto certamente non apportano alcun elemento nuovo per l’approfondimento dell’opera del pittore; tuttavia il documento apre qualche altro piccolo spi-raglio sulla vita dell’artista che rimane ancora, per molti tratti, sconosciuta.

Agostino Di Lustro

Note

1) Archivio di Stato di Napoli, Notai sec. XVII, scheda 39 notar Silvestro Capuano di Forio, protocollo n. 8 del 1615 ff. 209 r – 216 r.2) Bernardo De Dominici, Vite de’ Pittori, Scultori et altri Architetti napoletani non mai date alla luce da Autore alcuno scritte da Bernardo De Dominici na-poletano, Napoli 1742-45, vol. II pag. 153.3)Cfr. Giuseppe Alparone, Caesar Calensis pingebat, in Ricerche contributi e memorie, atti del Centro di Studi su l’Isola d’Ischia, voi. I Napoli 1971, pp. 481-486. -4) D’Addosio G. B., Documenti inediti di artisti na-poletani nei secoli XVI e XVII dalle polize dei Banchi, Napoli 1920 p.275) Cfr nell’archivio parrocchiale di S. Vito a Forio il “Notamento delle anime” del 1620 compilato dal parroco Natale Capuano.6) Archivio di Stato di Napoli, notaio cit. 39/18 bis ff. 167 v -169 v.7) Cfr. G. Alparone op. cit. p. 492.

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18 La Rassegna d’Ischia 8/1987

Attentato culturale in Alto AdigeVittima il prof. Joseph Maurer

di Nino d’Ambra

In Alto Adige, il cittadino che vuole entrare nel-la Pubblica Amministrazione oppure avere dei vantaggi negli scatti di carriera deve conoscere sia la lingua italiana che la tedesca. Per provare ciò non è sufficiente avere studiato le due lingue a scuola ed aver conseguito il relativo titolo, ma bisogna superare l’esame di bilinguismo davanti alla Commissione per raccertameli to della co-noscenza delle lingue italiana e tedesca, che do-vrebbe mirare esclusivamente all’accertamento della conoscenza della lingua in esame. Un caso eclatante invece — riportato da diversi organi di informazione, fra cui il “Corriere della sera” di Milano e “La Stampa” di Torino — ha suscitato profonde preoccupazioni e le più di-sparate ipotesi. Nel luglio scorso la Commissio-ne bocciava all’esame per la conoscenza della lingua italiana il prof. Joseph Maurer di Bolza-no, preside in pensione e noto traduttore. Il prof. Maurer è conosciuto anche nell’isola d’Ischia, non solo per la frequenza estiva e per i suoi scritti, ma soprattutto per aver tenuto due dotte conferenze in perfetto italiano: la prima su Spinoza, nel giugno 1986 ad Ischia Porto presso la sala delle conferenze dell’Hotel Jolly, orga-nizzata dal Circolo culturale Sadoul; la seconda nel settembre 1987 presso il Centro di Ricerche Storiche d’Ambra, a Forio, dal titolo “L’amore platonico in Giuseppe Rensi” In entrambi i casi nessuno si è accorto che il Maurer è di madrelingua tedesca, tanto era per-fetto l’eloquio in italiano. Della prima conferenza già si parlò l’anno scor-so, per cui non è necessario ripetersi; basti dire che il Maurer è membro onorario della Società Spinoziana di Amsterdam. Sulla seconda, inve-ce, poiché l’argomento è quanto mai attuale, ci sembra opportuno riportare una sintesi dell’in-tervista rilasciata dal prof Maurer dopo l’incon-tro culturale:

— Il concetto di Rensi si incentra sull’amo-re platonico, che da lui viene liricizzato o reso

poetico, come nasce spontaneo nell’artista, che crede nel valore imperituro dello spirito umano Per Platone, secondo il Rensi, l’amore è attività fervente, ricca di ideali, un processo spirituale potenziato ad infinitum, inesauribile ed inesau-sto. Rensi affronta Platone nelle espressioni so-lide e robuste dì un linguaggio significatamente materialistico e sensualistico, tanto che la sua interpretazione emozionale sembra scivolare nel più fitto irrazionalismo, in maniera da ro-vesciare completamente gli abituali (finora va-lidi) schemi dell’idealismo conformistico. Quin-di per Rensi affiora la paradossalità che l’amo-re platonico non è più la dimostrazione più alta dello spirito, ma il sommo potenziamento del sentimento, una filosofia della fede incrollabile o di un habitus vivendi intuitivo che rasenta la follia. L’amore è un raptus, un volo trascenden-te per /’sfuggire dalla realtà quotidiana che è solo dolore e male. Partendo dall’illusionismo leopardiano, Rensi scopre ne/I’ amore platoni-co l’unica via di salvezza, in una paro/a. la libe-razione dal peso della vita. L’Eros di Platone si presenta dunque come istinto spirituale vivo e divinatore che tende verso l’indimostrabile e in-contestabile senso ultimo del mondo. Corrobo-rato da filosofemi di Giordano Bruno, Campa-nella, nonché da filosofi greci quali Epicuro e gli Stoici, Rensi trova elementi confortanti la sua tesi anche nei classici della filosofia moderna (Goethe, Nietzsche, Kierkegaard, Heidegger, Jaspers ed altri filosofi esistenzialisti). Così è in grado di dimostrare plausibilmente la sua tesi apparentemente contraddittoria e di fondare una morale irrazionale ed intuitiva sul concetto platonico dell’Eros. E forse paradosso anche questo -. non si al-lontana troppo dall’interpretazione spinoziana dell’amor Dei intellectualis che in uno spirito nato per pensare non è arido intellettualismo, ma intuizione della vita. —

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La Rassegna d’Ischia 8/1987 19

Nato a Bolzano nel 1814, Joseph Maurer si lau-reò in filosofia presso l’Università di Firenze nel 1938. Fu sottotenente di fanteria nell’esercito italiano dal 1940 al 1943. Preside nelle scuole medie italiane di Bolzano, Modena, Cavalese, Merano, dal 1945 al 1976. Nel 1928 cominciò a scrivere poesie in lingua tedesca, pubblicando la prima silloge nel 1942 dal titolo Poesie, di cui, sette anni dopo, pubblicò una seconda edizione ampliata; e poi una terza nel 1978 dal titolo Na-tura e Spirito. Nel 1949 e 1950 apparvero le prime traduzioni in tedesco della Lirica Italiana, dal titolo Versioni Poetiche e Muove Versioni, fu un grande successo che spinse l’autore a de-dicarsi intensamente a tutta la lirica italiana, e difatti nel 1952 diede alle stampe un’antologia bilingue. Poeti Italiani Viventi. Dopo questi positivi approcci seguirono, nel 1978 e nel 1985, le due grandi antologie del-la lirica italiana tradotta in tedesco la prima dal titolo Italienische Lyrik aus Sieben Jahrhunderten (pp. 241 ), e la secon da con titolo uguale, ampliata di un secolo, e cioè da S. Francesco a Pier Paolo Pasolini. E’ un’opera fondamentale che abbraccia otto secoli di poesia italiana, comprende 61 poeti in testo bilingue, con annotazioni critiche e apparato scientifico, di complessive 503 pagine. Questo lavoro co-stituisce l’opera più importante del Maurer un successo in tutta l’Europa. Infatti, per la sua at-tività di traduttore e di diffusore della poesia ita-liana, il Maurer ha avuto diversi premi cultu rali dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Maurer ha scritto altre opere cosiddette mi-nori, di cui segnaliamo le più significative: Afo-rismi ed Epigrammi (1985), Ritratto di Giovan-ni Segantini (in italiano e tedesco) e Le Vergini Estatiche del Tirolo (pure bilingue). Membro di cinque accademie culturali i-taliane, ha te-nuto conferenze presso le Università di Trento, Innsbruck e Salisburgo. Ha curato diverse opere della scrittrice sudtirolese Maria Veronika Ru-batscher ed ha scritto saggi e monografie sul pe-riodo meranese del pittore Luigi Bartolini. Ma una delle opere fra le più autorevoli di Joseph Maurer è la sua immensa biblioteca di Plars di Lagundo, realizzata con amore certosi-no, dove sono raccolti (fra gli altri) i libri di po-esia e di narrativa pubblicati nel Novecento: da ogni scaffale trabocca il fiore della lingua italia-na.

Nino d’Ambra

AD UNA NOTA ARTISTASVIZZERA TICINESESANDRA VON ROHRla targa “Tifeo” 1987

Assieme allo scultore napoletano Paolo May, quest’anno il tradizionale riconoscimento artistico ischita-no è stato assegnato ad una pittrice e scul-trice della Svizzera italiana, la ticinese SANDRA VON ROHR, che opera nell’Isola per molti mesi all’anno, cogliendo con l’estrema sensibilità e vi-vezza del suo impasto cromatico quella “gioia di vivere” che è l’essenza stessa della nostra terra. A parte il merito delle due opere premiate (un incantato giardino foriano su cui si affaccia l’E-pomeo e una viva, smagliante visione della baia di San Montano, “filtrata” attraverso una piscina termale - “bellezza e salute nell’isola d’Ischia”), fa piacere rilevare questo significativo ritorno di ar-tisti stranieri “innamorati” della nostra Isola, in una delle più prestigiose e caratteristiche manife-stazioni artistico-culturali ischitane, che si svolge, come è noto, nell’ambito degli “Incontri Interna-zionali Isola d’Ischia” (tema di quest’anno il Futu-ro dell’uomo. Medicina. Ambiente) promossi dal Centro Internazionale di Cultura di Roma, presie-duto da Maria Vassallo, e dall’Azienda Autonoma di Cura, Soggiorno e Turismo di Ischia e Procida e dal comune di Ischia. Accostamenti internazionali di questo genere, quando, come nel caso in esame, sono guidati dal valore artistico, hanno un significato ed un “respi-ro” di notevole interesse che va sottolineato con piacere. L’arte e la cultura svizzero-italiana ha avuto, po-chi mesi fa, un grandioso riconoscimento a Loca-mo, dove il Comune locale e quello di Roma, con il patronato dei Presidenti delle due Repubbliche amiche, hanno allestito una Mostra di un illustre pittore del ‘600 - Giovanni Serodine “la Pittura oltre Caravaggio” nato e vissuto a Roma (1600-1630). ma di famiglia svizzero-ticinese, di Ascona. Siamo, ovviamente, nel nostro caso, su piani ben diversi, ma il significato più “intimo” di questa ripresa di conoscenza e di legami con la Svizzera I-taliana ha, senza dubbio, per l’isola d’Ischia un valore non certo trascurabile.

M. Mancioli

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20 La Rassegna d’Ischia 8/1987

Una scultura medievale divisa fra Ischia e Forio

di Giuseppe Alparone

Nel Ragguaglio storico topografico dell’i-sola d’Ischia (ms. 439, fondo S. Martino, della Biblioteca Nazionale di Napoli) don Vincenzo Onorato descrisse le ricchezze artistiche un tem-po nella cattedrale del castello, oggi rudere dopo il bombardamento inglese del 1809, ma fino al sec. XVIII degna di stare alla pari, pur nelle ridotte dimensioni, con le più illustri chiese di Napoli. In quel secolo il vescovo Capecelatro vendette le tombe gotiche a dei marmorari che le utiliz-zarono per la pavimentazione della nuova catte-drale e della collegiata dello Spirito Santo. Una parziale conferma alla sua affermazione venne quando, pochi anni or sono, nell’ambito della riforma liturgica, venne impiantato nel presbi-terio del duomo il nuovo altare e durante i lavori alcune lastre marmoree del pavimento rivelaro-no nella faccia opposta figure che le qualificano come appartenenti a modeste sculture tardo cinquecentesche. Non mi pare che tale scoperta abbia costituito una mezza delusione, come par-ve ad altri, ma un invito ad insistere nei saggi, anche con l’aiuto di una sponsorizzazione, giac-ché la scoperta di pezzi interessanti attirerebbe su Ischia attenzione sul piano giornalistico, a cui dovrebbe seguire la collocazione dei reperti in quel museo diocesano sempre desiderato e che era nei pensieri del compianto vescovo Mons. Dino Tomassini. Nel foglio 155 don Vincenzo Onorato fornisce una preziosa indicazione su una figura tardo

medievale (sul piano artistico, non storico, giac-ché l’arte moderna comincerebbe dal concorso bandito nel 1401 a Firenze) nella congrega della Madonna di Costantinopoli ad Ischia Ponte. Ri-cordando la chiesetta della Madonna de Turris, appartenente alla famiglia Assanea (cognome che credo poi sia diventato Assante) menziona un competente tumulo... che... dopo più volte vi-sitato, fu venduto a lavoratori di marmo: e queli-ta tavola marmorea, contenente una Madonna, che sta (sic) sotto l’altare della congregazione dell’incoronata, era uno dei pezzi del cennato tumulo. Competente dovrebbe significare magnifico, o dignitoso, o qualcosa del genere, ed il tondo con la Madonna della Melagrana, oggi paliotto

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d’altare, con ogni probabilità era in una lastra della faccia anteriore del sarcofago, fiancheg-giata da un paio di santi in altrettanti medaglio-ni. Non penso che questi siano andati dispersi, perché mi pare di poterli riconoscere in quelli con i ss. Stefano e Giovanni Battista che a Forio nella chiesa del Soccorso adornano l’edicola che racchiude il veneratissimo crocifisso ligneo che a me pare di arte spagnola del 500. Esiste so-miglianza, soprattutto nei nasi appiattiti, fra la Vergine e S. Stefano, figure entrambe che appa-iono stanca ripetizione di moduli celebri, ma di parecchi decenni addietro. La Madonna è acconciata ed incoronata come quella dell’ Incoronazione che Luisa Becherucci attribuiva a Tino di Camaino, collocato in mezzo alla decorazione tanto più tarda del portale cen-trale del duomo di Napoli. Ne esistono altre co-pie più o meno mediocri, e fra queste una in un frammento marmoreo in S. Gaetano a Napoli, ed un’altra a Mileto in Calabria, alquanto vicina al marmo nostrano perché il Bambino mostra la testa rotondeggiante e i capelli raggruppati in ciocche stilizzate. S. Stefano è replica speculare di un precedente lontano, in un medaglione che decora la tomba di Caterina d’Austria, vedova di Enrico VII di Lussemburgo e di Carlo duca di Calabria, figlio di Roberto d’Angiò, in San Lorenzo Maggiore a Napoli. Questo illustre monumento funerario venne giudicato da Aldo de Rinaldis opera di un ignoto seguace di Giovanni Pisano, mentre per Carli, Valentiner e Morisani sarebbe, inve-ce, la prima opera di Tino di Camaino a Napo-li (A. De Rinaldis: Una Tomba napoletana del MCCCXXIII. “Dedalo” 1927/4; E. Carli: Tino di Camaino scultore. Firenze 1934; W. R. Valenti-

ner: Tino di Camaino. Parigi 1935; O. Morisani: Tino di Camaino a Napoli. Napoli 1945). Una collocazione cronologica molto tarda ri-spetto ai modelli forniti dal celebre artista sene-se viene ai marmi isolani dalla lettura del tondo con S. Giovanni Battista, che ha il suo preceden-te in S. Chiara a Napoli nella tomba di Onofrio Penna, sul cui sarcofago appaiono tre personag-gi barbuti, fra cui un Battista da confrontare con quello a Forio. La tomba di Onofrio Penna reca il nome dell’a-bate Antonio Baboccio da Piperno, che vi si di-chiara autore dei portali del duomo di Napoli, e qualche anno più tardi, firmando il solenne monumento funebre di Ludovico Aldomoresco, ammiraglio di Ladislao di Durazzo, che è in S. Lorenzo Maggiore, ci teneva a far sapere di esse-re pictor et in omnibus lapidibus et metallorum sculptor. Per il motivo dianzi esposto a me pare che il competente tumulo già nella chiesetta della Ma-donna de Turris sul Castello dovesse risalire ai primi decenni del 400, un’epoca alla quale Ore-ste Ferrari dedicò un accurato studio, dal titolo Per la conoscenza della scultura del primo 400 a Napoli, apparso nel 1954 nel Bollettino d’Arte del Ministero della P. I. Le tre modeste figure marmoree divise fra Ischia e Forio testimoniano che nell’ambiente rinnovato dalla personalità vigorosa di Antonio Baboccio continuavano ad operare quelli che non avevano dimenticato, attingendo ad esem-plari tardi, la lezione di Tino di Camaino. E per questo penso che si debba sottolineare la loro esistenza.

Giuseppe Alparone

Sabato 21 novembre 1987 si è svolto al Liceo Scotti di Ischia, un incontro-dibat-tito sulla scuola iso lana, promosso dal 24.ino Distretto scolastico. Sono stati presi in considerazione alcuni momenti particolari della vita della scuola, partendo da una a-nalisi dei dati statistici relativi ai vari indirizzi di istru-zione presenti sull’Isola (scuola statale e non statale). L’attenzione si è poi soffer-mata su questi punti II diritto allo studio e la medicina scolastica — La scuola e «li enti locali.

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22 La Rassegna d’Ischia 8/1987

Lo spirito della sua arte si è nutrito

di una straordinaria sensibilità ai colori,

dell’amore per i temi isolani,

di una instancabile ricerca

della perfezione esecutiva,

di laboriosità e costanza.

di Alina Adamczyk Aiello

Sette mesi dopo la morte ha avuto la prima mo-stra personale delle sue opere. Finché era in vita, non ne voleva sapere; o meglio, da vivo poneva tali e tante condizioni per esporre che i suoi ami-ci ed ammiratori che si offrivano per organizzar-gli una mostra ampia e soddisfacente sia per il pubblico sia per lui, dovevano abbandonare l’i-dea. Vincenzo Funiciello si dibatteva infatti tra la voglia di mostrare la sua produzione artisti-ca e lo sconfinato scetticismo nei riguardi della società ischitana. Avrebbe voluto essere, forse, molto più pregato, ed aiutato più di quello che fosse possibile. Ripeteva spesso: “non capiscono niente di arte, pensano solo a fare i soldi”. L’opinione dell’artista scomparso era offensi-va per il pubblico, ma in grande misura corri-sponde purtroppo alla verità. Pochi —sempre gli stessi — interessati attivamente o passivamente all’arte e alla cultura in generale, saranno d’ac-cordo con questo severo giudizio. Lui stesso non

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era un soggetto per niente facile. Non vogliamo qui assolutamente esprimere giudizi, ma voglia-mo unicamente ricordare la personalità — prorom-pente ed a volte stravagante — che per decenni è stata giustificata come il segno di un particolare tempera-mento artistico. Rompeva gli schemi del comporta-mento sociale con estrema disinvoltura, conquistava e perdeva amicizie nostrane e straniere con sorpren-dente facilità. In proporzione alla sua lunga ed u-na volta movimentata vita, negli ultimi anni della sua volontaria solitudine, ha conservato pochissimi ami-ci veri. Era orgoglioso della sua indipendenza e, no-nostante ciò, soffriva dell’abbandono da parte della società. Funiciello era un miscuglio di contraddizioni e di conflitti con il mondo e con se stesso. Tutto ciò fa sì che ancora oggi il ricordo di Funiciello-uomo possa essere controverso. Ma ci sembra giusto ricor-dare che anche con le stesse persone poteva essere brusco e cordiale, offensivo e disponibile. Ci risulta anche che compiva con signorile discrezione atti di beneficenza. Nella vita è molto difficile, se non impossibile, scin-dere l’immagine dell’uomo dall’immagine dell’arti-

sta. Dopo la morte biologica del protagonista è ob-bligatorio invece limitarsi solo ai riferimenti artistici. Indubbiamente il traguardo artistico che si pone o-gni pittore è quello di riuscire ad essere riconoscibile e distinguibile attraverso le proprie opere. Davanti ai quadri di Funiciello non ci sono esitazioni: “E’ un Fu-niciello’.” a prima vista. Il risultato del lavoro di molti anni, di ricerche, pro-ve, tentativi ed esperimenti ad un certo momento danne questo segno inconfondibile ed individuale che soddisfa e stimola la creatività dell’artista e forni-sce un appagamento visivo allo spettatore.Funiciello ha ottenuto la facile riconoscibilità delle sue opere per aver inventato il collage di stoffa e per averlo perfezionato a modo suo. Tuttavia questa è solo la componente tecnica della sua arte. Lo spirito di quest’arte si è nutrito invece di una straordinaria sensibilità ai colori, dell’amore per i temi isolani, di una instancabile ricerca della perfezione esecutiva, di laboriosità e costanza. Negli anni migliori della sua produttività artistica ha saputo trasmettere ai giova-ni l’interesse e l’entusiasmo per i collages di stoffa. Della piuttosto numerosa schiera dei suoi allievi, al-

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24 La Rassegna d’Ischia 8/1987

meno tre si lasciano notare nella vita artistica della nostra isola: Maria Gloria, Antonio Cigliano, Antonio Cutaneo. Bisogna aggiungere qui anche il nome di Giovangiuseppe Streppone di Campagnano, un gio-vanissimo che promette bene. Dei suoi alunni diceva Funiciello:

“Sono bravi, ma commettono il peccato della gio-ventù, si credono già istruiti. Io ancora oggi ogni gior-no imparo qualcosa di nuovo. Non si finisce mai di imparare, vorrei che i miei discepoli si ricordassero di questo”.

Ascoltiamo Antonio Cutaneo: - Con Funiciello sono stato molto tempo, quasi die-ci anni. Mi ha fatto da testimone al matrimonio e gli sono rimasto sinceramente affezionato. Non lo conoscevo da giovane ovviamente, dicono che era chiassoso ed allegro, si vede che col passar degli anni si è placato. Posso dire che con noi giovani era burbero ma bonario, esigente ma anche tolleran-te e paziente. Certo, momenti di grande euforia si intrecciavano a scenate di sdegno e di collera. For-se perché eravamo tanto giovani ed avevamo una grande voglia di imparare da lui, non ci sembrava né offensivo né violento nei nostri riguardi. Era lui il maestro, - a noi spettava sopportarlo. - Abbiamo fatto una lunga chiacchierata anche con la persona che si è dichiarata “amico fedelissimo di Fu-niciello negli ultimi trent’anni”. E’ il signor Giovanni Mazzella conosciuto come “Giovanni c’a chitarra” - ex barbiere di Ischia Ponte ed ex suonatore di chi-tarra nella Taverna Antonio di Ischia Porto. Ecco il breve riassunto dei suoi ricordi: ~ Il mio salone di barbiere era un covo degli artisti. Quando Vincenzo Funiciello tornò dalla Germania, era la fine degli anni ‘50, si trovò bene fra gli amici a-manti della musica e della pittura. Lui faceva la pittura e si dilettava con il mandolino, io suonavo la chitarra ma amavo la pittura, così legammo subito e per sempre. Non c’era fra noi nessuna competitivi-tà ma solo amicizia. Ero io quello che gli fece fare la prima mostra a Ischia Ponte. Trovava sempre ac-quirenti per le proprie opere, vendeva moltissimo. Era allegro, a-mava la compagnia e la buona tavo-la. E le barche di Sant’Anna. Fu uno dei primi a fare le barche addobbate per questa solenne festa estiva e fu per molti anni titolare delle barche più belle. E’ stato giusto fondare il premio dedicato alla sua me-moria. Poi bisognerebbe dire anche che amava tan-to i giovani e i bambini. Si dice che aveva scelto la solitudine a Campagna-no? Ma neanche per sogno! Aveva scelto qui un posto tranquillo per lavorare; nei primi anni del suo soggiorno in questa contrada lo studio di Funiciello pulsava di vita e di iniziative. Col passar degli anni, ecco, quando cominciò ad avere problemi di salute, i frequentatori dello studio cominciarono a scarseggiare. Io qui ho continuato ad essere il compagno delle sue passeggiate pomeri-

diane, delle partite a scopone. Ci metteva la passione anche nel gioco, come in tutto quello che faceva. — Vediamo nella casa di Giovanni Mazzella tanti qua-dri di Funiciello. Sono interessantissimi perché, oltre ai conosciuti collages, si trovano qui le lontane testi-monianze di come l’artista si cimentava con i vari stili e con le diverse tecniche pittoriche. La sottoscritta desidera rendere partecipe chi legge di un aneddoto sentito dire direttamente dal mae-stro Funiciello, un episodio che illustra molto bene la passione per il proprio lavoro e la determinazione nell’a-gire: — Una volta stavo incollando le pezze per fare la facciata della chiesa di Campagnano. Per rendere bene quel disegno di mattonelle che sembrava fatto in filigrana, avevo bisogno di un certo tipo di stoffa. Non l’avevo, né potevo rimediare. Nella mia mente la vedevo, sicuramente esisteva. Ma dove cercarla? Abbandonai il lavoro incompiuto. Passarono molti giorni e già lavoravo su un altro soggetto. Con le forbici grandi in mano eseguivo un altro quadro. Dalla finestra vidi ad un tratto passare una signora e mi sentii come elettrizzato, quella donna indossa-va un vestito fatto del tessuto che mi occorreva. Mi precipitai in strada per fermare la passante. Non ci volle molto a capire che era una turista tedesca. Era terrorizzata, perché mi vide molto agitato correre verso di lei con le forbici in mano - mi aveva preso per un pazzo furioso, credeva che la volesse aggre-dire. Il drammatico momento fu presto superato, spiegai alla tedesca che volevo solo un pezzettino dell’orlo della sua veste. Me lo diede, se gliel’avessi chiesto, mi avrebbe dato tutto il vestito. — Torniamo alla mostra di ottobre, che è stata pre-sentata con parole amabilissime dal prof. Nunzio Al-banelli. Ricordando con emozione la figura dello scomparso artista e la sua particolare collocazione nel contesto dell’arte isolana, il prof. Albanelli, fra l’altro, ha rilanciato un progetto di interesse generale che da lungo tempo vaga nelle discussioni e nei po-stulati di coloro che hanno interesse per le arti figura-tive, particolarmente la pittura. L’idea non è nuova, ma più che mai attuale, e bisognerebbe finalmente porvi mano: è maturato il tempo di fare a Ischia un museo dell’arte isolana, dove i nostri veri artisti del passato, del presente e del futuro potrebbero essere rappresentati. In riferimento alla mostra di collages allestita a Ca-samicciola, il prof. Albanelli ha espresso rimpianto per non aver potuto ammirare i quadri di Funiciel-lo in quantità maggiore. Noi aggiungiamo che non sarebbe stato male vedere la mostra fatta anche con maggior selettività. La spiegazione di queste riser-ve c’è: la mostra è stata organizzata con il materiale privato che si trova in possesso del sig. Raffaele Fu-niciello, nipote dell’artista. Un’iniziativa privata dun-que, con tutti i pregi del pionierismo e gli inevitabili difetti dell’approssimazione.

Alina Adamczyk Aiello

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La Rassegna d’Ischia 8/1987 25

LA REPUBBLICA PARTENOPEA (Gennaio - Giugno 1799)

Il 23 gennaio 1799 i Francesi occuparono Napoli e proclamarono la Repubblica Partenopea-, il re Ferdinando IV era già riparato a Palermo con la sua famiglia. — Aderì alla repubblica buona parte dell’aristocrazia non retriva, la quale peraltro si trovò in serie difficoltà per il diffuso malcontento che agitava le campagne da una parte e per l’eccessiva ingerenza francese dall’altra — La plebe contadi-na , aizzata dal clero del cardinale Ruffo che dipingeva con le più fosche tinte i signori napoletani al governo, si rivolse contro la città isolata. - - L’8 maggio 1799, richiamati al nord dal cedimento delle loro forze, i Francesi abbandonarono il presidio di Napoli. — Abbandonata a se stessa. la repubblica poté resistere ben poco- nel giugno 1799 ì Borbone tornarono al potere e si ebbe una dura reazione. — Fioccarono le condanne e salirono al patibolo, insieme ad oltre cento condannati, i più bei nomi dell’intellettualità napoletana, dure le pene per altri prigionieri condannati al carcere, molti gli esuli.

di Vincenzo Cuomo

La Rivoluzione è fatta, un monarca in meno, una repubblica in più con tali parole il generale Championnet annunziava al Direttorio la felice conclusione della sua campagna di conquista del regno di Napoli. Mentre la vittoria sulle truppe borboniche era costata ben poco sforzo, l’entrata nella capitale fu dura e sanguinosa, a causa della reazione di un popolino ignorante, prigioniero di ancestra-li tabù, aizzato da nobili e preti, intenzionato a sbarrare il passo a uomini considerati nemici di Dio. del re e della famiglia. 1 Francesi erano arrivati a Napoli in seguito ad alcuni errori commessi da Ferdinando di Borbo-ne. Questi, nel 1798, in vista di una nuova coali-zione, aveva ordinato al suo esercito di marciare su Roma per abbattervi la Repubblica ivi sorta grazie all’appoggio delle truppe francesi. La spe-dizione sulle prime sembrò avere grande succes-so, ma le sorti della guerra fecero presto a capo-volgersi. Championnet, ricevuti i rinforzi, iniziò una felice controffensiva e, nonostante l’esiguità del numero dei suoi uomini in confronto a quelli borbonici, in breve liberò la capitale, lanciando-si poi all’inseguimento dell’esercito che un mi-sero rovescio era bastato a mettere in fuga, fuga che si tramutò in una vera e propria rotta. Pacificata la popolazione di Napoli, un po’ con la forza delle armi ed un po’ con un provviden-ziale miracolo di San Gennaro, che fece dire a molti. .. anebe San Gennaro si è fatto giacobino!, i pochi ferventi repubblicani si riunirono in For-te Sant’Elmo, ove, dopo aver piantato l’albero della Libertà, sancirono la nascita della Repub-blica Partenopea.Il re, intanto, insieme alla famiglia reale, ave-

va già raggiunto su navi inglesi la sicura Sicilia, prendendo alloggio nell’antica capitale norman-no-sveva di Palermo. La Repubblica ebbe subito l’appoggio e la solidarietà della parte colta del Reame. Ad essa aderirono gli intellettuali eredi o protagonisti del ricco movimento culturale che era stato l’Illuminismo napoletano. Il giurista Mario Pagano, allievo dell’illustre Genovesi ed amico di Filangieri, fu incaricato di redigere la Costituzione, mentre la presidenza venne assunta da Carlo Lauberg. Anche persone anelanti ad una società più giusta, che ponesse fine al potere tirannico di una monarchia e di una minoranza di nobili parassiti e fannulloni, diedero la loro adesione nella speranza di veder finalmente sorgere dei nuovi tempi; tempi in cui trionfassero libertà e giustizia sociale. Il popoli-no restò però lontano da questi entusiasmi, non riuscendo a capire lo spirito ed il significato di ciò che era avvenuto. 11 Governo della Repubblica, anche se formato da uomini coraggiosi e devoti, sin dall’inizio si dimostrò incapace dell’arduo compito che si era assunto. La Costituzione si limitò ad imporre anche a Napoli quelle leggi che andavano tanto bene a Parigi, completamente dimentica della profonda differenza esistente tra le due capita-li. Una delle prime leggi fu lo smantellamento del sistema feudale tanto contrario allo spirito della nuova democrazia. L’argomento provocò un vasto risentimento tra coloro che dovevano subirne le conseguenze ed i loro fiancheggiatori, mentre il popolino, che niente fu fatto per ren-dere partecipe, si tenne lontano da questa oscu-ra contesa.Con la riforma agraria l’opposizione divenne ancora più energica, a causa dei troppi interes-si privati che venivano toccati. La Repubblica,

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che si reggeva sulle baionette francesi, avrebbe avuto bisogno di una fascia molto vasta di popo-lazione che l’aiutasse e la sostenesse. Ma, oltre l’appassionata difesa che Eleonora de Fonse-ca Pimentel, donna di grande talento e cultura nonché delicata poetessa, faceva dalle pagine del suo giornale, il “Monitore Napoletano”, il nuovo governo non ricevette alcun aiuto e nes-suna comprensione da parte del popolo. E’ però anche da dire che i governanti, lontani dal mon-do di questa plebe cenciosa e miserabile, non riuscivano a rendersi conto che i loro opuscoli di propaganda non potevano essere letti e capiti da chi era completamente analfabeta, e che per toccare i loro cuori e sollecitare un immediato intervento si sarebbero dovuti accantonare con-cetti come Libertà e Democrazia e parlare dei bi-sogni materiali più elementari da evadere. Il primo duro colpo la così già poco solida Re-pubblica lo ebbe allorquando il generale Cham-pionnet fu destituito dall’incarico. Questi, sin-cero rivoluzionario ed idealista, prese a cuore la vicenda della Repubblica che aveva tenuto a bat-tesimo e, per aiutarla a superare le enormi diffi-coltà economiche in cui si era venuta a trovare a causa del tributo da pagare a Parigi e per le spe-se di mantenimento del corpo d’occupazione, si incaricò di perorare la causa napoletana presso il Direttorio. Ma, invece clic aiuti ottenne il suo arresto per false notizie di tradimento che erano arrivate nella capitale prima di lui e compilate ad arte sia dal commissario Faypoult che temeva di essere punito perle sue ruberie, sia dal gene-rale Macdonald aspirante ad occupare il posto, del generale. Il 2 aprile poi. una (lotta inglese, partita dalla Sicilia, con una veloce e fortunata azione occupava le isole di Ischia e Procida. po-nendo una forte ipoteca sulla libertà della vicina capitale. Lo sbarco fu contrastato da Francesco Caracciolo, il prestigioso ammiraglio che per le sue idee aveva abbandonato i Borboni ed aveva aderito alla rivoluzione. ma ben poco egli potè fare con un esigua flottiglia contro i potenti va-scelli britannici. Approfittando dell’assenza di Bonaparte, reca-tosi a combattere in Egitto, una nuova coalizione si andava formando contro il governo repubbli-cano francese. L’arrivo di Suvarov. al comando di un esercito, indusse il Direttorio ad ordinare il ritiro delle truppe di stanza nel napoletano, vo-lendo evitare l’eventualità che potessero restare tagliate fuori nel caso gli Austro-Russi fossero riusciti ad occupare l’intera Italia settentrionale. La partenza del corpo francese fu una vera scia-

LA FUGA DEL RE La notte del 21 dicembre 1798, la famiglia reale di Napoli al gran completo raggiungeva, attraver-so un passaggio segreto, il porto e prendeva posto nelle scialuppe per raggiungere al largo le navi in-glesi pronte a salpare. La regina Maria Carolina aveva già fatto caricare quanto di più prezioso possedeva; le banche, i mu-sei napoletani, Pompei, il palazzo reale erano stati ripuliti a fondo con l’ausilio di Sir William Hamil-ton che aveva preparato un elenco completo delle opere d’arte di maggior valore, patrimonio dello stato, da portar via. Il mare era agitatissimo e il viaggio si svolse come peggio non si sarebbe potuto immaginare. Pareva che tutte le furie si fossero accordate per scatenar-si contro il convoglio anglo napoletano che proteg-geva la fuga dei Borboni da Napoli. Una tempesta d’estrema violenza costrinse le navi a rifugiarsi sbandando sulle coste della Calabria, della Sarde-gna, della Corsica perfino, in un giro che pareva non dover finire mai. La “Vanguard” comandata da Nelson galleggiava per miracolo con l’albero divelto, le antenne spez-zate, le vele a brandelli, e Ferdinando ginocchio-ni a mani giunte invocava la protezione dei santi. Sir Hamilton brandiva due pistole dichiarando di preferire spararsi anziché morire affogato, il conte Esterhazy, ambasciatore d’Austria, lancia-va in mare sul più bello una preziosa tabacchiera che portava in miniatura il ritratto di una donna nuda, ritenendo poco prudente presentarsi nell’ai di là con una simile reliquia addosso. E come se non bastasse, moriva il principino Carlo Alber-to, di sei anni, fra gli strapazzi della mareggiata. Solo Emma Hamilton e Nelson apparivano sani e tranquilli, riuscendo ad a-marsi in mezzo a quel finimondo. Allo sbarco erano tutti pallidi, sconvolti, la regina in patetiche gramaglie pel recente lutto commos-se {palermitani all’alba del 25 dicembre. Giunti a Palermo, per ricompensarli della loro amicizia, Ferdinando e Maria Carolina colmarono di doni Orazio Nelson ed Emma Hamilton. Ed è imperdo-nabile con quanta leggerezza il re si separasse da quella che rappresentava una reliquia di famiglia: una splendida spada religiosamente trasmessa fra i Borboni di padre in figlio ed appartenuta a Luigi XIV L’arma antichissima, che non era fatta per uc-cidere, aveva l’elsa finemente cesellata di preziose gemme, un gioiello che Filippo V, il primo Borbo-ne di Spagna, aveva ricevuto giovinetto dalle mani del Re Sole al momento di andare a prendere pos-sesso del suo regno.( da I Borboni di Spagna e Napoli - Mondadori ed.)

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gura per i repubblicani napoletani che si videro privati dell’ unica forza valida per contrastare la sempre crescente opposizione armata. La rivol-ta covava nella capitale, ove il popolino restava più che mai filo-borbonico, ma era già esplosa nelle campagne, ove la Repubblica non era mai riuscita ad affermarsi. I capi di questi antirivo-luzionari furono dei briganti, che, in tal modo, pretesero di dare una copertura ideologica alle loro gesta scellerate. Il più famoso fu senz’altro Michele Pezza, nativo di Itri e soprannominato Fra Diavolo, il quale, nonostante la patente di legittimità ricevuta dal re e la nomina a colon-nello, restò sempre un bandito feroce e violento. Ma il vero pericolo, quello che la Repubblica non sarebbe mai stato in grado di contrastare, era rappresentato dalle bande della Santa Fede del cardinale Fabrizio Ruffo, che risalivano la Calabria puntando su Napoli, saccheggiando, incendiando e soprattutto massacrando tutti i repubblicani che incontravano sul loro cammi-no. Queste bande s’ispiravano a ciuci principi che erano stati messi in discussione dal nuovo governi). 11 cardinale Ruffo, appartenente ad una delle più prestigiose e ricche famiglie del Reame, era un porporato di gran nome e fama, reazionario convinto, e credeva ciecamente in quel mondo che la rivoluzione francese aveva cancellato. Non era però sanguinario e violento, né tanto meno feroce e fanatico come i componenti delle sue schiere. Al suo richiamo i regnicoli accorsero a frotte. La reazione, come sempre in una socie-tà arretrata involuta ed ignorante, trovava molti

più sostenitori che non la Civiltà ed il Progresso. Il governo della Repubblica, intanto, dimo-strava sempre più la sua incapacità a gover-nare le leggi emanate non erano rispettate, mentre le adesioni divenivano sempre più rade. Ai primi di giugno era ormai chiaro che la situazione si faceva disperata. I pochi re-parti ancora fedeli compivano prodigi di valo-re contro i Sanfedisti, ma il loro coraggio ed il loro sacrificio non erano sufficienti a fermarli. Nell’entrare in Napoli (13 giugno 1799) a questi predoni si affiancarono anche i “lazzaroni” per la caccia al “giacobino”. Il massacro durò vari gior-ni e furono compiuti orrori degni della più orri-bile barbarie. Ruffo molto s’impegnò per salvare delle vite, concesse un’onorevole capitolazione ai repubblicani asserragliati in Castel Nuovo ed in Castel dell’Ovo, e permise loro di potersi im-barcare per la Francia. Il re e la regina, invece, una volta tanto uniti nel giudizio, furono solerti nello sconfessare questa clausola della resa, au-torizzando l’uccisione o l’arresto di tutte le per-sone compromesse. Fu cosi compiuta la più orrenda strage che un sovrano potesse ordinare contro la parte più evoluta ed intellettualmente valida del suo re-gno Senza contare i giacobini, o sospetti tali, che furono massacrati per le case e le strade, da sanfedisti, lazzaroni e plebaglia, nella sola Na-poli subirono il martirio oltre 120 persone. Tutti seppero morire con dignità e coraggio, dando, agli occhi della Storia, una prova di grande va-lore individuale. Morirono per le loro idee, ma, soprattutto, per il trionfo di una nuova Civiltà

Gettato in mare, il cadavere dell’ammraglio Caracciolo riaffiora (quadro di Cercone)

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che i tempi ancora non erano maturi per acco-gliere. Salirono il patibolo due principi Pignatel-li ed altri prestigiosi esponenti dell’aristocrazia napoletana. Anche due vescovi furono impiccati insieme ad altri ecclesiastici di rango minore. I tre generali comandanti il piccolo esercito, Fe-derici, Massa e Manthoné. furono fucilati. Al coro si unì anche l’ammiraglio Nelson, che volle dare un contributo personale al bagno di sangue con l’impiccagione, dopo una farsa di processo, dell’ammiraglio Caracciolo, il cui cor-po, dopo l’esecuzione, in segno di massimo di-sprezzo, fu buttato in mare. Anche alcune donne furono condannate a mor-te, tra cui Eleonora de Fonseca Pimentel, che tanto lustro aveva conferito alla Repubblica con il suo prestigioso giornale. Fu avviata al patibolo dopo che le era stato negato il diritto di morire di scure, avendo messo in discussione la nobiltà della sua nascita. Fu giustiziata anche la sventu-rata Luisa Sanfelice, che in seguito a circostanze fortuite si era trovata a sventare una congiura contro la Repubblica, venendo, in tal modo, a svolgere un ruolo superiore a quello che la sua personalità e cultura le potessero permettere. La sua figura, per tutto l’Ottocento ispirò letterati

Luisa Sanfelice in carcere (particolare di un dipinyt di G. Toma)

Galleria degli uomini illustri

Vittorio Morgera - Personaggiodi maggior rilievo degli ultimi tempi a Forio

di Franco Maschio

Certamente ogni paese vanta i suoi uomini illustri, coloro cioè che si sono distinti per cultura, per atti-vità, per generosità, per eroismo o per altri svariati meriti. Difficilmente crediamo, però, vi sia un piccolo paese di appena novemila abitanti che, come Forio, possa vantare tanti uomini illustri e di talento. E la filastrocca sarebbe lunga se volessimo elen-carli tutti, da Giovanni Castellaccio a Matteo Ver-de, da Gaetano Capuano a Tommaso Cigliano, da Filippo Di Lustro a Gaetano Morgera, da Era-smo Di Lustro alla gloriosa triade di prelati che, in un solo secolo, Forio ha saputo dare alla Chiesa: Mons. Giovanni Regine, vescovo di Trani e Bar-letta, Mons. Onorato Carcaterra, vescovo di Ipso e Mons. Luigi Lavitrano, arcivescovo di Palermo. Né possiamo tacere dello storico isolano Giuseppe d’A-scia, della medaglia d’oro Luca Balsofiore, del prof. Giacomo Geno-vino e del dott. Vito Amalfitano. Oggi è la volta, in ordine di tempo, dell’ultimo uomo illustre di Forio, della figura di maggior rilievo degli ultimi tempi, improvvisamente venuto a mancare

all’affetto di tutti, in Roma, nelle tristi ore antelucane del dieci dicembre 1984

VITTORIO MORGERA

Nato a Forio il 29 giugno 1919, Vittorio Morgera, assurto al massimo della sua meritata carriera, è scomparso quando ancora ricopriva l’alto incarico di Direttore Generale dell’Istituto Poligrafico dello Sta-to e della Zecca Italiana. Laureato in giurisprudenza, avvocato, revisore uffi-ciale dei conti, da impiegato di terza categoria presso TARAR nel luglio del 1946, fu nominato Procuratore della sede di Napoli nel maggio del 1947 e, nell’anno successivo, all’età di appena 28 anni, fu nominato Di-rigente addetto e poi Direttore.Avviata la liquidazione della gestione dei residuati di guerra, si interessò della importazione, conservazio-ne e gestione delle scorte di Stato di materie prime e prodotti essenziali per fini civili e militari e successi-vamente della gestione MDAP (acquisto all’estero di materiali necessari per l’esecuzione dei programmi della difesa).

ed artisti, tra cui anche Gioacchino Toma, che la rappresentò in prigionia in uno dei suoi quadri più famosi.

Vincenzo Cuomo

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Successivamente ha curato: l’organizzazione e svi-luppo delle operazioni di finanziamento in tutte le località del Mezzogiorno continentale, in Sicilia ed in Sardegna per conto dell’ IMI, ISVEIMER, IRFIS. — per conto dell’Ufficio liquidazione Enti del Mi-nistero del Tesoro ha collaborato alle operazioni di liquidazione ARAR, nonché della gestione raggrup-pamento autocarri (GRA) e dell’Ente Economico dell’Ovicultura; — nel 1960-61 è stato anche consulente dell’ISAP (Istituto per lo Sviluppo delle attività produttive (partecipanti: IRI, Banco di Napoli, Banca Nazionale del Lavoro, Banco di Sicilia, IMI, Mediobanca), — è componente il Collegio dei Revisori dell’Istituto dell’ Enciclopedia Italiana “G. Treccani”; — è componente della Consulta Filatelica del Mini-stero delle Poste e Telecomunicazioni, — è componente la Giunta d’Arte presso il Ministe-ro del Tesoro; — è amministratore delegato delle Cartiere Miliani-Fabriano Spa; — è consigliere di Amministrazione della SIVA (So-cietà dell’Ente Nazionale Cellulosa e Carta), — è presidente della Spa CARGEST (Gestione di cartiere), — nel 1961 è stato dirigente presso l’Ente Autonomo Volturno di Napoli (Azienda Elettrica) perla riorga-nizzazione del personale; — nel 1961 opera presso il Poligrafico dello Stato prima co me direttore della Cartiera di Foggia e dal 1969 quale direttore generale dell’Istituto. Con una attenta ristrutturazione e riorganizzazione dell’Azienda, una adeguata politica del personale (ol-tre 6200 unità di lavoro e circa 600 mezzi d’opera), un’accorta politica di investimenti, mirando all’e-spansione produttiva dei settori grafici a più bassi co-sti, nel settore cartario, alla notevole espansione della produzione delle paste per carte con fibra nazionale, Vittorio Morgera ha fatto conseguire all’Azienda, dal 1970 in poi, un incremento di produzione del 381 per cento, con una contrazione di ore retribuite. Con una accorta riorganizzazione del comparto produttivo (La Zecca) è riuscito ad ottenere la tanto necessaria normalizzazione della circolazione mone-taria metallica. Con la riconversione di alcuni impianti e nuovi inse-diamenti, con una saggia riorganizzazione aziendale, è riuscito a sanare una situazione fallimentare, por-tando l’Azienda al pareggio economico. Nel settore della produzione della carta ha saputo dare una soluzione positiva al salvataggio della Car-tiera Ventura (Como) per cui, su richiesta dell’Au-torità di Governo, ha condotto uno studio tecnico economico per il salvataggio anche della Cellulosa Calabra (del gruppo INSUD). Per anni è stato presidente di Campania Felix, l’as-sociazione dei campani residenti a Roma.Legato al suo paese natio ed alla sua gente da pro-fondo affetto, vi trascorreva tutti i momenti liberi, interessandosi dell’ esigenza di non abbandonare le

tradizionali coltivazioni dell’isola. In qualità di mem-bro della Consulta Filatelica, consapevole dei vantag-gi turistici scaturenti da alcune iniziative filateliche, fece inserire l’isola d’Ischia e Forio in particolare in due prestigiose serie tematiche: il panorama di Forio nella serie Italia turistica; il Castello Aragonese nel-la serie Castelli d’Italia. Come presidente del Centro Foriano per l’assistenza scolastica e per le iniziative culturali e artistiche, era ben lieto di consegnare le annuali borse di studio a giovani studenti foriani. Augurava sempre loro che il riconoscimento potesse favorirli nel proseguimento degli studi e nella succes-siva attività, senza dover allontanarsi dalla propria terra come, invece, lui aveva dovuto fare da giovane. Con estrema riservatezza si è sempre prodigato per aiutare quanti si rivolgevano a lui confidando nella sua generosa disponibilità. Il rigore, lo stile di vita, l’intransigenza nel com-battere tutti i vizi che hanno caratterizzato questo nostro tempo, l’impegno, la capacità, la serietà sono stati i segni della sua personalità. Del comando ha saputo solo cogliere la fierezza, non la superbia. Né va dimenticato di Vittorio Morgera la sua profonda religiosità. Tutti lo hanno potuto vedere, modesto cit-tadino, ascoltare la S. Messa e comunicarsi ogni do-menica, alle 11.30, nella Chiesa di S. Maria di Loreto del suo paese che egli, quasi ogni settimana, raggiun-geva per sentirsi modesto, per ritemprarsi le mem-bra e la mente. Le numerose onorificenze ricevute sono certamente il continuo riconoscimento dei suoi tanti meriti. Cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica Italiana — Commendatore dell’Ordine Equestre di S. Agata della Repubblica di S. Marino — Stella al merito del lavoro — Accademico Tiberino. Decorazioni militari ottenne anche durante la se-conda guerra mondiale, che egli ha combattuto col grado di tenente di Ftr cpl nel 1943, meritandosi l’autorizzazione a fregiarsi del distintivo per il perio-do bellico 1940-43 e la Croce al merito di guerra per partecipazione alle operazioni di guerra 1940-43. Ma, triste ricompensa di tanti meriti, nel 1977 fu vittima di attentato rivendicato dal gruppo eversivo “unità combattenti comuniste” perché “servitore del-lo Stato”, riportando gravi ferite. Certamente questo triste episodio lasciò il suo segno nella mente di Vit-torio Morgera, ma egli, abituato alla lotta e al lavoro, seppe trovare le forze per continuare per la sua via fino all’ultimo giorno della sua vita. Vittorio Morgera, di eminente cultura umanistica, profondo amante del buono e del bello, è stato un uomo integerrimo, rispettoso e rispettato da tutti. Tutti di lui conservano un caro ricordo e lo rim-piangono ancora oggi come in quel triste giorno di dicembre del 1984, quando la triste notizia della sua immatura fine si sparse con la velocità del vento. Con la sua scomparsa si è perduto non solo l’Uomo illustre e autorevole, ma il compagno, l’amico, il pro-tettore. E’ perciò che Forio oggi annovera tra i suoi uomini illustri Vittorio Morgera.

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