La prigione

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di Stefano Pastor, horror

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STEFANO PASTOR

LA PRIGIONE

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LA PRIGIONE Copyright © 2011 Zerounoundici Edizioni

Copyright © 2011 Stefano Pastor ISBN: 978-88-6307-347-8

Copertina realizzata da Stefano Pastor Immagine Shutterstock.com

Finito di stampare nel mese di Marzo 2011 da Logo srl

Borgoricco - Padova

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1 Nico gettò appena un’occhiata alla stanza, poi spinse la porta con uno dei borsoni che teneva in mano e si fece strada. Li lasciò cadere tutti a terra, senza alcuna cura, appena raggiunto il centro della stanza. «È uno schifo!» decretò. Katia era entrata dietro di lui e stava chiudendo la porta. Ci stava pro-vando, almeno, perché la serratura non riusciva ad agganciarsi. Alla fi-ne fece scorrere la catenina, ma anche quella pareva traballante e non offriva grande protezione. La stanza era uno schifo, Nico non aveva esagerato, e anche se l’affitto era basso, non era lo stesso giustificato. Un letto matrimoniale che ave-va visto tempi migliori, un armadio, un mobile-bar probabilmente vuo-to. Un micro-televisore e una radio, posati su un mobiletto scalcinato. Una scaffalatura che nell’idea del suo costruttore avrebbe dovuto con-tenere un po’ di tutto. A terra un orribile tappeto frangiato rotondo, co-lor vomito. Alle finestre tendine giallastre che forse in origine erano state bianche. «Non inizierai di nuovo a lamentarti!» sbottò Katia. «Io dove dormo?» Non le lasciò il tempo di rispondere e aggiunse: «Te lo scordi di farmi usare di nuovo la vasca da bagno.» Lei scoppiò a ridere. «Non credo che ci sia neppure, qui dentro. Forse non sanno neanche cosa voglia dire. Accontentati se troverai una doccia.» «Dove dormo?» chiese ancora Nico, perché quella era la sua priorità. «Due stanze, l’hai sentito? Ha detto che nell’appartamento c’erano due stanze.» «Non l’hai visitato?» «Ma che dici? Che importanza ha? Siamo stati in posti peggiori, e poi è solo per qualche giorno.» Nico non aveva nessuna fiducia. Si guardò ancora intorno, perplesso. Andò diritto verso l’unica porta che riusciva a vedere e la spalancò. La stanza da bagno era microscopica e, come previsto, non c’era alcuna vasca. Oltre ai servizi, in condizioni pietose, c’erano solo un lavandino e una doccia squadrata protetta da una tendina. «Qui non c’è niente!» urlò «sei certa che non ti abbiano fregato? Forse

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nelle due stanze hanno inserito anche il bagno.» «È qui, stai tranquillo. C’è, c’è, sei tu che non sai cercare.» Nico tornò nella stanza e dovette ammettere che la madre aveva ragio-ne. Semi-nascosta dalla mole dell’armadio c’era una porticina piccola piccola, dello stesso colore del muro, marroncino cacca. Sporse la testa all’interno, inorridito. «Ma è un ripostiglio!» Katia scoppiò a ridere. «Vuoi dormire nel letto con me?» Nico non ne aveva alcuna intenzione, piuttosto avrebbe preferito la va-sca da bagno, se solo ce ne fosse stata una. Il ripostiglio non era in gra-do di contenere un letto, però c’era un materasso arrotolato, da una par-te, legato con uno spago. Su una sedia erano state posate lenzuola e co-perte, e persino un cuscino. Non c’erano altri mobili, non ce ne sarebbe stato comunque lo spazio, perché il materasso, una volta disteso, avreb-be occupato ogni centimetro disponibile. «Non c’è neppure una finestra!» Lei alzò le spalle. «Puoi lasciare la porta aperta, così non soffochi.» Nico si girò a guardarla e cercò di agganciare i suoi occhi. «Questa è peggio delle altre.» Katia resse il suo sguardo. «Di che ti lamenti? Non abbiamo soldi, te l’ho già detto.» Rialzò una valigia sul letto e fece scorrere le cerniere. «Se riuscirò a racimolare qualcosa, ne prenderemo uno migliore.» «Non doveva essere solo per qualche giorno?» Lei gli rivolse uno sguardo malizioso. «Hai fretta di arrivare da qualche parte?» Nico rimase in silenzio. No, loro non avevano una meta, non l’avevano mai avuta. Katia tirò fuori alcuni vestiti e iniziò a metterli nell’armadio. Ne distese uno sul letto, un top con minigonna cortissima che sarebbe stato adatto a una donna più giovane di lei. Nico aggrottò la fronte. «Vuoi lavorare già stasera?» Lei tagliò corto: «Non abbiamo più un centesimo, te l’ho detto. Ho dovuto versare la cauzione per l’appartamento.» «E io cosa faccio?» Alzò le spalle. «Fai come vuoi. Fossi in te mi terrei fuori dai piedi questa sera. Lo sai che a certi non piace, hanno paura di essere spiati. E tu sei troppo grande.»

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«Non resterei comunque!» sibilò Nico. Katia scoppiò a ridere. «Bravo ragazzo.» Nico rimase incerto a guardare i due borsoni, poi li spinse dentro allo sgabuzzino, rinunciando ad aprirli. Del resto non c’era neppure un mo-bile dove mettere la sua roba. «E dove dovrei andare? Non conosco questa città, non ci siamo mai sta-ti.» «Oh, arrangiati!» borbottò Katia, sfilandosi la camicetta. Non portava reggiseno, non le era mai piaciuto. E poi sapeva di non a-verne bisogno, i suoi seni erano sodi come quelli di una ragazzina. Nico non distolse neppure lo sguardo, perché ormai era abituato alle esibi-zioni di sua madre. «Potresti cercare lavoro come ballerina» azzardò. «Troppo tardi!» sbuffò Katia «non ho più l’età. Smettila di chiederme-lo, quei tempi sono finiti.» Nico lo ricordava come il periodo più bello della sua vita, nonostante tutto. Non che allora Katia fosse stata una vera madre, ma almeno non erano costretti a spostarsi in continuazione e avevano una specie di ca-sa. Lui aveva persino frequentato la scuola, sempre la stessa per due anni di fila, e si era pure fatto qualche amico. «Devi darmi dei soldi.» Katia si stava infilando il microscopico vestito. «Te lo scordi! Siamo al verde, non mi hai sentito?» «Non abbiamo neppure mangiato!» «Be’, io mi arrangerò in qualche modo. Vedi di fare anche tu lo stesso.» «E che dovrei fare?» Katia sorrise maliziosa e gli accarezzò una guancia. «Cerca di essere creativo. Non sei più un bambino e non sei stupido. Qualcosa troverai.» Poi bisbigliò: «Al massimo puoi sempre battere.» «Puttana!» ribatté subito Nico. Lei scoppiò a ridere e ricambiò: «Stronzo!» Poi scappò via, prima che lui potesse afferrarla, come una ragazzina che ha appena fatto un dispetto. Si infilò le scarpe rosse con un tacco spro-positato e afferrò una minuscola borsetta dorata. «Metti in ordine tu, prima di andartene. Potrei portare ospiti, stasera.»

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«Puttana!» sibilò ancora Nico, ma a voce troppo bassa perché lei potes-se sentire. Sulla porta Katia gli rammentò: «Sbrigati, e poi togliti dai piedi.»

* * * Talvolta lo pensava, che la sua vita era uno schifo, ma il più delle volte no. Si accontentava di andare avanti per inerzia, di vivere. Si diceva che il peggio era passato, ora aveva tredici anni e non aveva più bisogno di nessuno, ma non era vero. Gli anni passati avevano lasciato un segno, dentro di lui, e la sicurezza che ostentava era fasulla. Non era mai stato in grado di analizzare i sen-timenti che provava verso sua madre. Anche se la maggior parte delle volte era convinto che prevalesse l’odio, non riusciva a lasciarla. Si ag-grappava a lei nonostante tutto il male che gli aveva fatto, quasi fosse realmente capace di proteggerlo dal mondo intero. Perché Nico era fatto così, aveva paura del mondo, aveva paura di tutto e di tutti, però lo nascondeva, fingeva di essere forte e che nulla potesse toccarlo. Quella era solo una stanza, una delle tante. Un’interminabile sequela di camere d’albergo o piccoli appartamenti scadenti in cui lei l’aveva tra-scinato, fin da quando era nato. Non era peggio di tante altre, ormai a-vrebbe dovuto esserci abituato. E poi era inutile arrabbiarsi con Katia, non portava a niente, lei era fatta così e non sarebbe cambiata mai. Estrasse ancora alcuni vestiti dalla valigia e li mise nell’armadio. Poi prese a manciate la biancheria intima e la buttò dentro a un cassetto. Richiuse la valigia, anche se buona parte della sua roba era ancora lì dentro, e la fece scivolare sotto al letto. Poi corse nello sgabuzzino, che si rifiutava di chiamare camera. Non tentò neppure di distendere il materasso, tanto non gli sarebbe servito. Rimandò il compito al giorno dopo. Aprì invece una tasca nascosta di uno dei borsoni e tirò fuori la sua riserva segreta. Contò le banconote una a una, con cura. Si stava assottigliando, ogni giorno di più. Sperò che sua madre trovasse davvero dei clienti bendisposti, in modo che an-che lei fosse più generosa il giorno dopo. Prese un biglietto da dieci eu-ro, poi cambiò idea e ne prese un altro. Gli piangeva il cuore a toccare quei soldi, aveva giurato di non farlo mai, ma non se la sentiva di vaga-re per una città sconosciuta a tasche vuote. Prima di uscire gettò un’ultima occhiata alla stanza, ma l’impressione iniziale non cambiò: faceva proprio schifo.

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* * * Nico aveva elaborato negli anni un sistema per diventare invisibile. Annullarsi, non essere nessuno. Poteva entrare in un negozio, salire su un autobus affollato, o semplicemente passeggiare per strada, senza che nessuno lo notasse o si accorgesse della sua presenza. Tutto in lui era ordinario, dai vestiti al modo di muoversi. Non c’era niente che potesse destare l’attenzione. In un mondo in cui tutti cerca-vano di emergere lui voleva solo scomparire. Questo sistema l’aveva salvato parecchie volte. Quando invadeva il ter-ritorio di altri ragazzi, per esempio, o quando combinava qualche caz-zata. Non funzionava sempre, purtroppo, lui era un tipo che i guai pare-va attirarli. Fu così che lo conobbe. Era seduto su un muricciolo, a gambe incrociate, guardando la gente che passava, quando una voce lo fece sussultare. «Intendi rapinarlo?» Si paralizzò, perché non era la voce di un ragazzo, ma quella di un uo-mo, e veniva da dietro di lui. Ma non si girò, i suoi occhi si puntarono sul banco dei pegni all’altro lato della strada, quello che stava tenendo d’occhio da quasi un’ora. La voce continuò, vicinissima: «Stai dando nell’occhio. Mi stupisce che qualcuno non abbia già chia-mato la polizia. Hai preso di mira il negozio sbagliato, non ti conviene. L’hanno già derubato tre volte quest’anno, e ora Abdul tiene una pistola sotto il banco. È capace di farti secco se solo ti avvicini.» Iniziò a girarsi, lentamente, ma una mano si posò sulla sua spalla, rag-gelandolo. «Lascia perdere, te lo consiglio.» «Io non… non avevo intenzione di fare proprio niente! Mi ero solo fermato!» «Allora il mio consiglio non dovrebbe disturbarti, no?» Riuscì a girarsi e vide un vecchio. No, non era vecchio. Anche se aveva i capelli bianchi, non dimostrava più di una cinquantina d’anni. Sua madre aveva avuto clienti molto più anziani di lui. «Perché pensa…» L’uomo sorrise. «Ti ho visto. Ti ho tenuto d’occhio. Ho pensato che fosse il caso di av-visarti.» «Perché?» «Io abito qui. Questa è casa mia. Sei seduto sul mio muretto.»

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Nico balzò a terra, sfuggendo alla sua mano, e subito si girò a guardare. C’era una casa, di fronte a lui, una vecchia casa su due piani, schiaccia-ta tra palazzi molto più alti. Benché fosse antica sembrava molto ben tenuta. Era rientrata rispetto alla strada e v’era davanti un giardinetto di un paio di metri, con due alberelli striminziti e niente fiori. L’uomo era accanto al cancello, che gli sorrideva. Non si fa così, Nico non faceva che ripeterselo. Bisogna contrattaccare, aggredire, non mostrarsi remissivi, come se si avesse qualcosa da na-scondere. Ma non ci riusciva, non con quell’uomo che pareva leggere nella sua mente. «Io non…» balbettò di nuovo, maledicendosi. «No, certamente no» lo interruppe l’uomo «mi sono sbagliato di certo.» Ma poi scoppiò a ridere, contraddicendo le sue parole. Doveva scappare, andarsene, rinunciare a quei progetti assurdi. Era ap-pena arrivato in città, non poteva mettersi di nuovo nei guai. «Comunque non troverai nulla da Abdul. Lui vende solo paccottiglia, non ne vale la pena.» Poi il suo sguardo divenne penetrante. «O eri in cerca di soldi?» Nico si irrigidì leggermente. «Be’, non troveresti neppure quelli, non fa abbastanza affari. Gli altri che ci hanno provato prima di te erano tutti drogati, non se ne rendeva-no conto.» Si sforzò di parlare: «Io non sono un ladro!» L’uomo tornò a sorridere. «No, certo, non lo sei. Ma ho impedito che lo diventassi, no?» Nico scosse la testa, deciso. Se era sua intenzione non dare nell’occhio, aveva miseramente fallito. I passanti si giravano a guardarli. Sarebbe dovuto scappare, ma non ci riusciva. Forse sarebbe stato peggio, avreb-bero pensato che aveva qualcosa da nascondere. In che cazzo di guaio si era cacciato? In fondo lui non aveva fatto proprio niente, era solo quell’uomo che… «Preferisci parlare dentro?» A ogni frase che quell’uomo pronunciava, il suo disagio cresceva. Den-tro alla sua casa? Che si credeva, cosa si aspettava da lui? Scosse di nuovo la testa. L’uomo alzò le spalle. «Puoi pure andare, se vuoi. Lo dicevo solo per te, magari avevi voglia di fare due chiacchiere.» Nico non sarebbe mai entrato nella casa di uno sconosciuto, non era co-

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sì stupido. Sapeva bene come andavano le cose. «No, certo, non è il caso» aggiunse l’uomo, senza attendere risposta. «Stavo uscendo, però. Mi reco al solito bar. Potresti accompagnarmi, ti offrirei qualcosa e faremmo quattro chiacchiere.» Gli strizzò l’occhio. «Saremmo in mezzo alla gente, non avresti nulla da temere.» Nico lottò per parlare con voce ferma. «Che cosa vuole?» Aveva conosciuto tanti uomini nella sua vita, tutti i balordi che sua ma-dre si portava a casa per non restare sola. Ce n’erano di tutti i tipi: certi erano violenti, altri pervertiti, alcuni si fingevano benevoli e gentili, ed erano quelli di cui diffidava di più. Lo avevano tradito tutti, uno dopo l’altro, nessuno aveva mantenuto le promesse fatte. «Vado là tutte le sere, dopo cena. Certe volte resto anche un paio d’ore, giusto per stare in compagnia. Detesto la televisione, purtroppo, credo di essere rimasto l’unico.» Poi, con noncuranza, mentre attraversava il cancello chiudendo la porta dietro di sé: «Tu leggi? Io moltissimo, non c’è niente di meglio di un buon libro, prima di addormentarsi.» Se lo trovò accanto, ma l’uomo non accennò a sfiorarlo con un dito. «Sono solo pochi passi. Vieni?» «Io non…» iniziò Nico, ma lui l’interruppe di nuovo. «Ti prego! Mi aspetto qualcosa di più da un novello Arsenio Lupin. I tuoi balbettamenti sono patetici!» Allora si sforzò di restare calmo. «Chi è lei?» «Vedi? Andiamo già meglio. Se ti sforzi sei pure in grado di conversa-re.» «Mi sta prendendo in giro?» «Solo un po’. Lo vedo che sei troppo teso. Non vorrei che potessi fare qualcosa di cui ti pentiresti.» «Cosa?» Alzò le spalle, e iniziò ad avviarsi. «Offro io, naturalmente.» Come sempre fu punto nell’orgoglio. «Non ho bisogno che nessuno mi offra un bel niente. Posso pagare!» «Be’, sono stato io a invitarti, quindi è giusto che sia io a offrire.» Nico fu costretto a seguirlo, per poter continuare la conversazione, poi-ché l’uomo non accennava a fermarsi. «Invece voglio pagare io!»

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Era quasi al suo fianco, quando lo sguardo dell’uomo divenne malizio-so. «Come desideri. Offri tu.» Un’ombra passò sul volto di Nico, e si sentì preso in giro. Non era pro-prio il caso di buttar via in quel modo i pochi soldi che gli restavano, quell’uomo l’aveva truffato. Lui scoppiò di nuovo a ridere, come se ancora una volta gli avesse letto nella mente. «Sta’ tranquillo, le mie consumazioni me le pago io. Tu puoi prendere quello che vuoi.» Poi, sempre con noncuranza: «Hai cenato?» Un panino veloce, camminando, e già aveva di nuovo fame. Ma annuì lo stesso. «Puoi venire, vero? Non c’è nessuno che ti aspetta?» Quella frase lo mise in allarme. «Cosa vuole? Lei è uno di quelli che abbordano i ragazzini per strada?» L’uomo mostrò un’espressione stupita, ma in realtà non lo era affatto. «È così che ti consideri, un ragazzino? Io credevo che pensassi di essere un uomo.» Nico si sentiva deriso, ogni frase di più. Si fermò, impuntandosi. «Non voglio aver niente a che fare, con lei!» Cadde la maschera, in un solo istante. «Hai bisogno di soldi?» Nico indietreggiò leggermente, e ripeté le stesse parole. «Non voglio aver niente a che fare con lei!» «Non è una risposta, questa. Te lo ripeto: hai bisogno di soldi?» «Non farei mai…» Lo bloccò con un cenno. «Smettila, non dirmi cosa non faresti. Dimmi solo quello che sei dispo-sto a fare. Rubare, e poi?» «Lei… lei è pazzo!» «Posso comprare il tuo tempo. Pagarlo!» continuò l’uomo, tranquillo. Nico scosse il capo. Però gli sfuggì una frase infelice: «Per cosa?» Tornò il sorriso malizioso. «Per venire al bar e chiacchierare con me. Cosa ti credevi?» Li attirava da sempre, i guai. Tutti gli svitati, i pervertiti, i bastardi figli di puttana capitavano a lui. Ma in genere era la madre a raccattarli in giro. Questa volta no, l’aveva trovato da solo. «È una pazzia!»

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L’uomo si stava spazientendo. «Be’, vuoi venire o no? Si tratta solo di fare due chiacchiere tra amici. Se vuoi che ti offra da bere, se vuoi che ti paghi, lo farò, basta che tu venga.» «Che cosa vuole? E non mi dica chiacchierare!» «Forse se tu mi stessi ad ascoltare te lo direi! Non sono cose di cui pos-sa parlare per strada!» Poi riprese a camminare, e non si voltò più indietro. Nico rimase immobile, col cuore in gola, vedendolo allontanarsi. Lì, in quel momento, senza un vero perché, prese la decisione che avrebbe cambiato tutta la sua vita. Gli corse dietro.

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2 «È buono? Se ti piace ne puoi prendere un altro.» Era la prima volta che Nico mangiava un gelato in una coppa di cristal-lo, finora era vissuto a cornetti, o a vaschette di plastica. Questo aveva addirittura gli ombrellini, e un lungo cucchiaio che pareva d’argento. «Cosa vuole?» chiese ancora, per quella che a lui sembrava la centesi-ma volta. Erano in quel locale da più di un’ora, e il posto era piacevole. Piccolo e accogliente, con pochi tavoli. Si erano sistemati in fondo al locale, nel punto più deserto e tranquillo. I camerieri non erano invadenti. Dap-prima aveva preso solo un caffè, poi l’uomo aveva proposto un gelato, e dopo un altro ancora. Lui aveva preso solo un bicchiere di brandy, che centellinava a piccolissimi sorsi. Non era avvenuto nulla di quello che aveva immaginato, quell’uomo non aveva cercato di toccarlo né gli a-veva fatto proposte oscene. Nico era più che sicuro che non fosse un pedofilo; aveva notato con quale interesse guardava le forme della ca-meriera, e comunque lui era ormai troppo grande per attirare le atten-zioni di quel genere di pervertiti. Ma quella considerazione, invece di tranquillizzarlo, aveva solo acuito il suo timore. «Questo voglio, solo questo.» «Questo… cosa?» «Che tu sia seduto qui e che parli con me.» Nico tirò un sospiro, e credette di capire. «Non è come pensa.» Alzò appena gli occhi dalla coppa, per spiarlo, ma l’uomo non accen-nava a interromperlo. «Non intendevo fare alcun furto, stavo solo guardando. Non sono un poveraccio, un morto di fame, e neppure un drogato. Ho una famiglia! Ero solo curioso, tutto qui. Non avrei fatto niente.» L’uomo sorrise. «Vedi? È questo che intendevo. Parlare.» Nico scosse il capo. «Non ha capito. Non ho bisogno di nessun aiuto. Io sto bene. Sto bene e non sono un ladro. Lei avrà pensato che… ma non è vero. Ho capito che si preoccupa, che lo fa per il mio bene, ma non è necessario.» L’uomo tirò fuori un sigaro, in barba al divieto di fumare che campeg-giava proprio sopra di lui. Un cameriere se ne accorse ma non disse

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niente. Forse c’erano abituati. Lo passò tra le dita con cura amorevole, quasi si trattasse di un bene prezioso, quindi lo spuntò e se lo accese. «Non ti disturba, vero?» Nico li odiava. L’odore nauseabondo dei sigari era legato ad alcuni dei ricordi peggiori della sua vita. «No» rispose. L’uomo lo fissò per alcuni istanti, poi spense il sigaro sul piatto e tornò a guardarlo. «La pipa?» studiò la sua reazione, e parve compiaciuto «sì, vada per la pipa.» Prese da una tasca il sacchettino col tabacco e una pipa tutta lavorata e iniziò a riempirla con cura. «Mi è stato a sentire? Ha capito quello che ho detto?» L’uomo l’accese, un’operazione lunga e complessa, e un odore aroma-tico invase l’ambiente. Nico non aveva mai sentito nulla del genere, ma non lo trovò sgradevole. «Ho tanto tempo» disse l’uomo «non ho alcuna fretta. Anche per te è così?» «Come?» «Non hai alcuna fretta di tornare a casa, vero?» Nico non guardò neppure l’orologio a muro di fronte al bancone del bar. Aveva un orologio interno che non sbagliava mai: dovevano essere quasi le undici di sera. No, non aveva alcuna fretta, ma un bravo ragaz-zo della sua età, come avrebbe voluto fingere di essere, l’avrebbe dovu-ta avere. «Devo andare a casa» disse. «Dopo. Finisci il gelato.» Lo fece, poi allontanò il piatto, come a intendere che non ne voleva un altro. «Allora, di cosa vuol parlare?» L’uomo inarcò un sopracciglio. «Ha detto di voler parlare, io sono qui, parliamo. Non di me, non ho voglia di parlare di me. Chi è lei?» Nico stesso si stupiva del suo coraggio. Eppure era lì dentro già da pa-recchio, e non era successo proprio niente. «Di cosa vorresti parlare?» chiese l’uomo. «Di lei. Ha detto che vive solo?» L’uomo ridacchiò. «Ti stai informando se ti convenga fare un furto a casa mia?»

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Poi, senza lasciargli il tempo di negare: «Non ci ho mai pensato. Sì, penso di sì. Credo che sarebbe un bel col-po, potresti trovare un po’ di grana. È così che si dice?» «Ha finito di sventolarmi in faccia i suoi soldi? Cosa vuole?» L’uomo alzò le spalle. «Niente. Osservo. Sono un buon osservatore.» Nico aggrottò la fronte. «Osserva… me?» «Osservo il mondo. Gli altri. Anche tu ne fai parte.» «Ed è tutto lì quello che fa, osservare?» Poggiò la pipa per un attimo. «Non ho niente da fare, ho tanto tempo. Osservo solo, sì.» «Quello che ha fatto prima non si chiama osservare.» «Sì, talvolta interferisco pure. Ma si tratta di casi molto rari, te l’assicuro.» Nico scosse la testa incredulo. «Un maledetto angelo custode. È questo che si crede di essere? Si sente fiero di quello che ha fatto? E cosa crede di aver fatto? Scongiurato un furto? Pensa di avermi riportato sulla retta via?» «Diciamo che ti ho tenuto fuori dai guai. Ma solo questa volta, i mira-coli non so ancora farli.» «Lei è uno stronzo!» Non aveva gridato, l’aveva detto con voce pacata, ma lo credeva davve-ro. Nico era stufo, non ne poteva più che tutti gli dicessero cosa doveva fare, che lo riempissero di prediche. Pezzi di merda tutti quanti, con la coscienza nera come il carbone. Anche quella era stata una serata inuti-le. Per un attimo si era lasciato tentare dalla curiosità, aveva sperato che in quell’uomo ci fosse qualcosa di diverso. Di misterioso. Ma si era sbagliato. «Forse siamo partiti col piede sbagliato, ragazzo.» «Nico» precisò, anche se non riusciva a capire perché gli stesse dicendo il suo nome. Forse perché quell’uomo ora non lo spaventava più, aveva perso tutto il suo potere. «Mi chiamo Nico. E non siamo partiti affatto. Non è successo niente, non c’è proprio un bel niente tra noi due.» «Non penso…» Stavolta fu lui a interromperlo, attaccando. «Lei è uno stronzo. Uno stronzo senza nome. Io le ho detto il mio, e se fosse appena una persona decente con un minimo di educazione do-vrebbe fare lo stesso. O non mi reputa alla sua altezza?»

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L’uomo scoppiò a ridere. «E dire che fino a poco fa dovevo lottare per strapparti una parola di bocca!» Ma non gli disse il suo nome, neppure in quella occasione. «Chi è lei? Vuole che glielo chieda ancora una volta?» «Lo vedi chi sono. Sono qui davanti a te e ti parlo. Il mio passato? Vuoi sapere chi sono stato? Che importanza ha il passato, ti ho forse chiesto qualcosa del tuo?» «Perché io? Perché non va a importunare qualche ragazzina? O una del-la sua età, sarebbe anche meglio.» «Ti sto importunando, è questo che pensi?» «Lei fa così, vero? Abborda le persone per strada. Non è la prima volta, questa!» «Uhm… sì, qualche volta mi succede» borbottò l’uomo. «Perché?» Restò in silenzio per qualche istante, espellendo una nuvola di fumo. «Può capitare di incontrare qualcuno di speciale. Qualcuno che mi pia-cerebbe conoscere.» Nico lo guardò scettico. «Io?» «Che c’è di male? Ti ho forse importunato?» «Lei non mi conosce. Non sa niente di me. Non le dirò proprio un bel niente!» «Questo lo credi tu. Mi hai già detto molte cose. Credo di conoscerti bene.» «Cosa le avrei detto? Non ci siamo quasi parlati!» «Eppure mi sembra di conoscerti da sempre. So cosa sei, quello che de-sideri. Conosco quello che ti piace e quello che ti fa paura.» Nico indietreggiò con la sedia e iniziò ad alzarsi. «Lei è matto, e mi creda, ho una lunga esperienza di matti.» «Dove vorresti andare?» «A casa! È ora che torni a casa!» Le parole dell’uomo lo raggelarono. «Non puoi. È troppo presto, non puoi ancora tornare a casa!» Tornò la paura di quello strano uomo, che continuava tranquillo a fu-mare la pipa. Cosa sapeva di lui, della sua vita? Non trovò il coraggio di chiederglielo. «Paga… paga lei?» Non aveva idea di quanto avesse consumato, e non era certo che i suoi soldi potessero bastare. L’uomo restò in silenzio, allora Nico si girò e andò via.

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* * * «Smettila, fermati!» Ma Nico non si fermò. «Vada via.» «Smetti di fingere! Se tu avessi voluto davvero andare via non ti avrei ritrovato qui fuori una volta uscito dal locale. Saresti scappato a gambe levate!» Nico rallentò, e sentì l’uomo avvicinarsi. «Ce l’hai un posto dove andare, questa notte? Puoi venire da me, se vuoi.» «Non metterei piede in casa sua neanche morto!» L’uomo ridacchiò, apparendo al suo fianco. «Non dovresti dire una cosa del genere. Prima o poi ci verrai, ne sono certo.» «Cosa sa di me? Cosa crede di sapere?» «Sono un buon osservatore, te l’ho detto.» «E cosa ha visto?» «Non hai mai guardato l’ora neppure una volta. Non devi tornare a ca-sa, nessuno ti aspetta.» «Io ce l’ho una casa!» «Indubbiamente, ne sono sicuro. Ma non stasera.» «Che ne sa? Posso aver cambiato idea e aver deciso di tornare!» «No, non puoi.» «Perché?» «Non lo so il perché, ma non puoi. O forse dovrei dire non vuoi? No, credo che tu non possa, è diverso.» «Si diverte a fare questi giochini con la gente?» Lui ridacchiò. «A dire il vero sì.» «E che altro si diverte a fare?» «Niente di quello che immagini. In fondo sono un tipo innocuo.» Nico si fermò a guardarlo, come fosse la prima volta. Lo vide chiara-mente, come una persona, e non era un tipo comune. Quei capelli pre-maturamente bianchi gli davano un’aria saggia, matura, il volto sempre sorridente invece lo ringiovaniva. Non riusciva a inquadrarlo, era diver-so da chiunque altro avesse mai conosciuto. «Credi di sapere tutto della vita, vero? E ne sei terrorizzato.» Nico non sopportava più che quell’uomo scavasse dentro di lui in quel modo. Era inquietante. Scosse il capo. Lo sorpassò e accelerò.

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«Non sono tutti così, Nico!» gli gridò dietro l’uomo «non sono tutti come credi!» Nico incassò la testa, cercando di non sentire. Chi era quel pazzo, cosa voleva da lui, perché non lo lasciava in pace? «È possibile, te lo giuro! Quello che vuoi è possibile!» Ma lui non voleva niente, non c’era niente che desiderasse. O se anche c’era non se ne rendeva conto. Voleva solo essere lasciato in pace e ba-sta. Camminò sempre più veloce, e quando svoltò l’angolo si mise a correre. E corse, corse, finché non si sentì stanco. Allora si guardò alle spalle. Era finita, quell’uomo era scomparso. L’incubo era finito. O forse no. Non aveva idea di dove si trovasse, ed era quasi mezzanot-te. E lui quella città non la conosceva, ne aveva paura.

* * * «Ah, sei tu!» Non aveva neppure aperto la porta, solo uno spiraglio, Nico poteva ve-dere la catenella agganciata. «È troppo presto? C’è ancora… qualcuno?» Sua madre rispose con un grugnito, poi chiuse la porta, ma la riaprì quasi subito, spalancandola. «Entra, svelto.» Nico si fiondò dentro. Gettò un’occhiata al letto matrimoniale e tirò un sospiro vedendolo vuoto. Poi subito guardò la porta del bagno, ma era chiusa e non filtrava alcuna luce. «Non c’è nessuno, sta’ tranquillo» disse sua madre richiudendo la por-ta. La sentì rimettere la catena. Nico non aveva voglia di parlare. Soprattutto non gli interessava sapere nulla sul lavoro di sua madre e sui suoi clienti. Infilò la porta dello sga-buzzino e si mise a slegare lo spago che bloccava il materasso. Katia apparve sulla porta, dietro di lui. «Puoi venire di là. Il letto è abbastanza grande per entrambi.» «Mi fa schifo!» sibilò Nico senza voltarsi. Non gli arrivò alcuno schiaffo, a differenza delle altre volte. Ma era ve-ro, ne aveva disgusto. Quei letti odoravano di sperma e di sesso, non sopportava l’idea di giacere dov’erano stati quegli uomini. «Stai tranquillo, è vergine. Quel merdoso letto è ancora vergine!» Sentendo sua madre ridere in quello strano modo, Nico voltò il capo. Rimase a bocca aperta.

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«Che ti è successo?» Katia era stata picchiata. Aveva un occhio nero, e un taglio sulla tem-pia. Aveva pure un brutto livido su un braccio e la vestaglia semi-trasparente che indossava lasciava intravedere contusioni in varie parti del corpo. «È stato uno di loro?» Katia scosse il capo, ritirandosi. Nico le andò dietro. «Chi è stato?» Katia alzò le spalle, come a intendere che non lo sapeva neppure lei. «Sono andata nel posto sbagliato, succede. Ora lo so, non farò più lo stesso errore.» «Che significa?» «Che ho invaso il territorio di qualcuno. Può capitare, quando si arriva in una città nuova. Non è la prima volta.» «Altre… puttane?» Scosse il capo. «Magnaccia?» Allargò le braccia. «Non sono certo venuti a dirmi i loro nomi. Mi hanno avvisata solo di togliermi dai piedi. E piuttosto bruscamente» sospirò. «Mi hanno portato via ogni cosa. Tutto quello che avevo guadagnato» si guardò allo specchio «e adesso come faccio a lavorare, conciata in questo modo?» Nico le andò vicino e allungò quasi la mano, ma non riuscì a toccarla. Era molto che non ci riusciva più. Lei continuò a guardarsi allo spec-chio, controllando i lividi. Poi si girò a guardarlo. «Sarai stanco. Vuoi che ti prepari qualcosa?» Nico scosse il capo. Lei ridacchiò. «Meglio, perché in casa non abbiamo niente. Siamo senza un centesi-mo, e adesso è ancora peggio.» Poi lo passò in rivista. «A te com’è andata? Meglio che a me, spero.» Nico si sentì a disagio e indietreggiò. Corse a rifugiarsi nello sgabuzzi-no. «Puoi restare con me!» gli urlò dietro sua madre, in tono quasi suppli-chevole. «No! Non voglio!» rispose Nico chiudendo la porta.

* * *

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«Mi scusi.» «Che vuoi?» Nico pensò di aver sbagliato a entrare lì. Forse era stata un’idea stupida. Magari quell’uomo si era pure accorto che lui la sera prima aveva spia-to il suo negozio. Abdul era un uomo di mezz’età e, benché vestisse all’europea, aveva fattezze orientali, con una barba e un pizzetto che risaltavano sulla sua pelle scura. Il negozio era stipato fino all’inverosimile di paccottiglia di nessun valore. «Devi vendere qualcosa?» Nico non sapeva come iniziare, Abdul lo metteva in soggezione. Aveva atteso che non ci fossero altri clienti prima di entrare. Scosse il capo. Abdul alzò un sopracciglio, scettico. «Vuoi comprare?» Nico indicò dalla vetrina la casa di fronte. «Quella casa là, lo sa chi ci abita?» Abdul si sporse a guardare, poi spostò lo sguardo su di lui, pensoso. «L’hai conosciuto?» Nico annuì. Abdul tornò dietro al suo banco, pensieroso. Nico attese, perché in fon-do non gli aveva dato nessuna risposta, poi vedendo che l’uomo non accennava a parlare si fece avanti. «Lo conosce anche lei?» «Tutti lo conoscono, in zona. Abita lì da quando è nato. Sicuramente da più tempo di me.» Era restio a parlarne, era evidente. Ma finora non era stato scortese, e Nico aveva troppo bisogno di sapere. «Che tipo è? È… pericoloso?» «Pericoloso…» borbottò Abdul «hai avuto qualche problema con lui?» Nico intuiva di aver sbagliato, di essersi messo nei guai. Improvvisò. «Mi ha offerto un lavoro. Volevo sapere che tipo è, se ci si può fidare.» Il bottegaio parve sorpreso. «Un lavoro, davvero? Non l’avrei mai creduto! Nessuno ha più messo piede in quella casa da quando è morta sua madre, vent’anni fa!» «Che tipo è?» «Mezzo matto, se stai a sentire quello che dicono in giro. Ma con me è sempre stato corretto, un perfetto vicino. È un uomo molto gentile.» «Che cosa fa?» «Niente, non ne ha bisogno. Sua madre gli ha lasciato un mucchio di

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soldi. O almeno questo è quello che dicono in giro.» Non bastava, non spiegava niente. Nico era ancora incerto, confuso. «Ma che tipo è?» «È per un lavoro? Ti ha davvero offerto un lavoro? Che tipo di lavoro?» La mente di Nico galoppava frenetica. Che lavoro? Occuparsi del giar-dino? Quello non era un giardino! Cameriere, fattorino. Banale, non gli avrebbe mai creduto. Non sapeva neppure che facesse quell’uomo, non gli aveva detto niente di sé! O forse sì… «Libri! Devo mettere in ordine la sua collezione di libri!» Abdul scoppiò a ridere, e Nico sentì la tensione allentarsi. «Libri, già, ne ha la casa piena! Non fa altro che comprarne! Gliene ho venduti persino io! No, sta’ tranquillo, non è un tipo pericoloso, nono-stante quello che dicono in giro. È un vero signore. Non hai motivo di preoccuparti.» «Grazie» mormorò Nico, che se l’era cavata per miracolo e non vedeva l’ora di scappare via di lì. «A proposito…» disse Abdul, poi si mise a trafficare su uno scaffale alle sue spalle «sono giusto arrivati questi, che mi aveva ordinato. Se vuoi portarglieli tu…» Erano proprio due libri, e sembravano vecchissimi. Nico li guardò co-me se fossero viscide lumache. «Non ho i soldi per pagare. Non ho ancora…» Abdul scoppiò a ridere. «Sta’ tranquillo, sono già pagati. Devi solo portarglieli.» Nico cercò una scusa plausibile, avrebbe potuto dire che aveva cambia-to idea, che non intendeva accettare quel lavoro. Eppure quei libri capi-tavano a puntino, gli fornivano una scusa per poter bussare a quella por-ta. Una scusa un po’ patetica, sì, però… Annuì, e guardò Abdul impacchettarli con cura. Prese il pacchetto senza una parola, ma una volta fuori si sentì addosso gli occhi dell’uomo. Lo stava spiando, per essere certo che attraversasse davvero la strada. Probabilmente la sua recita non l’aveva convinto del tutto. Di fronte al cancello Nico si chiese che cosa stava facendo, in che guaio si sarebbe cacciato. Quell’uomo era certo che sarebbe entrato nella sua casa, prima o poi. Stava facendo il suo gioco? Ma qual era, cosa voleva da lui? Il cancello si aprì silenzioso appena lo sfiorò, e dopo pochi passi si tro-vò davanti al grande portone della casa. Lì cercò il coraggio di bussare, ma inutilmente. Quando stava per rinunciare, la porta si aprì da sola.

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L’uomo era davanti a lui, sorridente. Nico non ne fu nemmeno stupito, infatti l’aveva ammesso che era quel-la la sua principale attività: osservare. Doveva averlo visto arrivare. L’uomo chinò gli occhi sul pacco che lui teneva in mano e glielo tolse di mano con una mossa repentina. «È per me?» Nico cercò di rispondere con voce ferma. «Me l’ha dato l’uomo del banco dei pegni, qui di fronte. Sono libri, ha detto che li aveva ordinati.» L’uomo alzò un braccio accennando un saluto, e Nico pensò che con tutta probabilità Abdul era rimasto a spiarlo dalla vetrina fino a quel momento. L’uomo spalancò la porta. «Entra, dai.» In fondo era venuto proprio per quello, per entrare nella casa. Non po-teva bloccarsi proprio adesso. E poi non aveva altra scelta. «Di là!» indicò l’uomo, instradandolo. Dall’entrata passò in un salotto pieno di tappeti e mobili antichi. L’uomo lo superò e raggiunse una porta in fondo alla stanza. «Vieni.» Si ritrovò in una stanza enorme, con scaffalature alte fino al soffitto e strapiene di libri. C’era anche una scrivania, con pile di libri da ogni la-to, e una poltrona proprio davanti. «Siediti.» Nico obbedì, col cuore in gola. L’uomo girò intorno alla scrivania e a-prì uno dei suoi cassetti. «Di quanto hai bisogno?» Nico sobbalzò. «Come?» balbettò. «Cinquecento possono bastare? No, è meglio mille. Ti bastano mille? Posso darti di più se ne hai bisogno.» Tutta la tranquillità che aveva simulato era evaporata. Nico trovò all’improvviso quella stanza opprimente e si sentì mancare l’aria. Era già pentito, voleva solo scappare. «Perché? Cosa vuole da me?» «A me sembra proprio l’opposto. Sei tu che vuoi qualcosa da me, non io.» «Io… non le ho chiesto niente!» «Be’, se sei qui non può esserci che una ragione, non credi?» Nico scosse il capo, anche se era la verità.

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«Tu cosa saresti stato disposto a fare?» Nico stesso non lo sapeva. Sapeva solo che erano nei guai, lui e sua madre, e che avevano un disperato bisogno di soldi. Doveva trovarli, in qualche modo, a qualunque prezzo. «Cosa vuole in cambio?» «Ti ho forse chiesto qualcosa?» «È solo un prestito! Glieli restituirò!» Si era tradito, ora non poteva più ostentare indifferenza. Anche quell’affermazione era assurda, sapevano entrambi che non avrebbe po-tuto restituirli. «Mille, allora, o ne vuoi di più?» «Perché?» L’uomo rise. «Sono io l’osservatore. Sono io che leggo nella mente del-la gente, non tu. Non cercare di capire come sono fatto.» «Perché dovrebbe darmi dei soldi? Non mi conosce nemmeno. E non dica che non è vero, lei non sa un bel niente!» Alzò le spalle. «E non mi interessa neppure saperlo. Puoi volere questi soldi perché hai una madre in fin di vita all’ospedale e una sorellina che muore di fame. Oppure ti servono per comprarti un motorino. Oppure hai intenzione di farli fuori alle macchinette mangiasoldi. A me non interessa. Li vuoi o no?» Era un patto col diavolo? Che ne sarebbe stato di lui se avesse accetta-to? Sua madre ne aveva già fatti migliaia di quei patti, non aveva fatto altro che vendersi. «Sì» mormorò. Il sorriso dell’uomo restò immutato. «Mille bastano o ne vuoi di più? Sii sincero.» Quanto potevano andare avanti con mille euro? Finché sua madre fosse stata di nuovo in grado di lavorare? Lui la conosceva bene, se glieli a-vesse dati li avrebbe fatti fuori in un paio di giorni, spendendoli in cose inutili. «Di più?» chiese l’uomo «quanto di più?» Quell’uomo leggeva davvero dentro di lui. «Sono disposto a fare…» «Non mi interessa cosa sei pronto a fare. Quanti di più, ti ho chiesto.» «Lei… quanto può darmi?» Rise di nuovo. «Vuoi sapere che valore dò a te? Quanto ti valuto?» Nico ebbe un brivido, come se davvero stesse per vendere la sua anima.

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O forse qualcosa di peggio. Invece l’uomo continuò a ridere. «Smettila di dire sciocchezze, non ti sto chiedendo un bel niente. Tu vuoi una cosa, io sono disposto a dartela, tutto qui.» Nico si lanciò, prima di cambiare idea. «Cinquemila!» L’uomo non mosse un muscolo, prese solo altre banconote dal cassetto. Poi gliele posò davanti e le contò. Cinquanta biglietti da cento. Nico non ebbe il coraggio di muoversi. Sapeva già che se avesse cercato di prenderli la mano dell’uomo sarebbe scattata, si sarebbe chiusa sulle sue e quello sarebbe stato solo l’inizio. Invece l’uomo girò intorno alla scrivania e gli passò accanto. «Vieni di là, quando hai fatto.» Lo lasciò solo, e soltanto allora Nico ebbe il coraggio di gettarsi sui soldi. Non li contò, li infilò solo nelle tasche, a manciate, e quando ebbe finito il suo sguardo si posò sulla scrivania. Lì c’era il cassetto dal quale erano stati presi, e chissà quanti altri ne conteneva. Si guardò alle spal-le, ma l’uomo era scomparso. Rimase a contemplare la scrivania ancora per qualche attimo, prima di girarsi e raggiungere l’uomo nel salotto. Lui aveva già versato da bere. «Per te un’aranciata, sei ancora troppo giovane» disse, porgendogli il bicchiere. Lui centellinò il suo brandy, sedendosi su una poltrona. «Di sopra c’è una camera per te.» Mancò poco che Nico lasciasse cadere il bicchiere e lo guardò spaven-tato. Si era sbagliato? Era questo che voleva, solo questo? Più che il di-sgusto lo ferì la delusione. L’uomo continuò tranquillo, senza neppure guardarlo. «Voglio che tu lo sappia. Quella camera è tua. Non mi va che passi le notti in giro per la città, sappi che qui ci sarà sempre un letto ad aspet-tarti» poi lo guardò, vide la sua espressione e scoppiò a ridere «non in quel senso!» Nico dovette posare il bicchiere, perché la mano gli tremava e aveva paura di versarlo. Si sedette anche lui. «Cosa vuole realmente? Perché si sta prendendo gioco di me?» «Devi imparare a vincere le tue paure, se vuoi avere una vita normale. Non basta fingere di averle superate. Perché sei così convinto che io voglia qualcosa da te? Finora è stato solo il contrario, non ti pare?» «Tutti vogliono qualcosa.» «È così che ti è stato insegnato?» «È così che è. È la realtà.»

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«Forse. Ma spesso quello che una persona vuole non è poi così terribile. Tu finora hai incontrato solo le persone sbagliate.» «Lei è… diverso?» Gli sorrise attraverso il bicchiere. «Questo non lo so, sei tu che devi decidere.» «Cosa devo fare?» Alzò il bicchiere simulando un brindisi. «Andare a spendere quei soldi, naturalmente! Che altro?»

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3 «E questo che significa?» «Sono cinquecento euro. Ho trovato solo questi.» Katia li maneggiò ancora, rigirandoli e contandoli. «Sono pezzi da cento.» «E allora?» Lei scosse il capo. «Nessuno usa pezzi da cento» lo guardò negli occhi «che hai fatto?» Nico non si aspettava un simile interrogatorio. Non le era mai importato come si procurasse i soldi. «Che te ne frega? Li ho portati, no?» «Non ti sarai davvero venduto?» Nico nascose il disagio, perché in realtà era così che si sentiva. Il fatto di non aver dovuto dare niente in cambio di quei soldi non lo tranquil-lizzava affatto. «Certe cose non le faccio, non sono come te!» gridò «mi fanno schifo, e tu lo sai bene!» Non la convinse. «Non puoi averli rubati. Nessuno va in giro con pezzi da cento. C’erano solo questi?» «Perché ti sei messa a fare tante storie, adesso?» Katia si ritrasse leggermente. «Non mi piace quando fai così.» Nico sentì crescere la rabbia. Si sentiva colpevole, e quella era la rea-zione naturale. «Stronza!» sibilò. Gli arrivò uno schiaffo, stavolta, e questo riportò ogni cosa alla norma-lità. Era qualcosa di tangibile, che lui riusciva a capire. Forse se lo me-ritava pure. «Non mi va che tu ti metta nei guai. Ti farai di nuovo beccare! Non ti è bastato il riformatorio, vuoi tornarci?» «Che te ne frega!» gridò «un fastidio in meno per te, no?» Katia non aveva ancora finito. «Ci sono già io che combino cazzate a ripetizione, non mi va che co-minci anche tu.» Aveva sbagliato, Nico se ne rendeva conto. Doveva cambiare quei soldi

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in tagli più piccoli, a costo di metterci ore. E non doveva darle una cifra del genere tutta insieme. Ma non avrebbe rifatto lo stesso errore. Katia continuava a guardare quei soldi, quasi accarezzandoli, e la pre-occupazione di Nico aumentò. «No, mamma, ti prego.» Lei alzò gli occhi, perché era molto raro che lui la chiamasse in quel modo. «Non ricominciare, ti prego.» E si maledisse per averglieli dati. Quei soldi avrebbero portato solo la loro rovina. Katia si mostrò offesa. «Non penserai…» Ma Nico ne era certo. Con quei soldi si sarebbe potuta comprare la dro-ga, tanta droga, come una volta. Un tempo era più bella, guadagnava bene, ma era così che finivano tutti i suoi guadagni, in droga e uomini. Ora non poteva più permettersele, nessuna delle due cose. «Andiamo a mangiare, invece. Andiamo in un ristorante, un vero risto-rante. Possiamo permettercelo.» Katia sembrò soppesare la proposta e rispose quasi in trance. «Sono un mostro.» Nico sorrise. «Col trucco puoi fare miracoli, sono certo che riuscirai a nascondere quei lividi benissimo. Nessuno si accorgerà di niente.» Lo sguardo di Katia fu attratto dallo specchio, e iniziò a studiare il pro-prio volto. «Tu dici?» Nico comprese di aver vinto e il suo sorriso si allargò.

* * * «Appena avrò racimolato quattro soldi prenderemo di nuovo una mac-china, te lo prometto.» Ma a Nico non importava. Per una volta era felice di essere fuori con lei, camminare al suo fianco. Aveva scelto lui il vestito che indossava, e non era affatto sconveniente. Era stato facile; con i lividi che doveva nascondere, ogni abito scollato le era precluso. Ora sembrava davvero una donna normale, non più giovanissima ma ancora molto bella, una madre con un figlio accanto. Il trucco forse non aveva fatto miracoli, comunque riusciva a nasconde-re abbastanza i suoi lividi. Katia si guardava in giro, perché neppure lei

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sapeva destreggiarsi in quella città sconosciuta. Nico indicò: «Il centro è per di là.» Potevano permetterselo, gliel’aveva ripetuto. Le aveva persino lasciato intendere che avrebbe potuto trovarne altri, proprio dove aveva trovato questi, e i soldi non sarebbero mancati. Katia non gli aveva fatto altre domande. E Nico desiderava spendere, proprio come gli aveva detto quell’uomo, e prima sarebbe finiti meglio sarebbe stato, tante tentazioni in meno per sua madre. D’ora in avanti non gliene avrebbe dati più di cento per vol-ta, tutte banconote di piccolo taglio. I negozi erano più eleganti, dove si stavano dirigendo, e Katia si sof-fermava a guardare i vestiti esposti. Ogni tanto lanciava un gridolino davanti a un abito firmato o un gioiello dal prezzo proibitivo. Nico arri-vò a rilassarsi, perché per una volta tutto era come avrebbe dovuto esse-re. Quando arrivarono nella piazza principale si trovarono di fronte a una mastodontica fontana. Tutto intorno, protetti da arcate, i ristoranti e i locali più lussuosi della città. «Dove vuoi andare?» gli chiese Katia. Nico non voleva esagerare, anche se era un’occasione speciale non vo-leva spendere tutti i soldi in un colpo. «Facciamo un giro» disse, perché aveva intenzione di dare un’occhiata ai listini prezzi. Passeggiarono senza fretta, sbirciando all’interno dei locali. Nico aveva quasi deciso dove fermarsi quando una voce lo raggelò. «Nico!» Sua madre aggrottò la fronte. «Sta chiamando te?» Nico non osava voltarsi, perché aveva riconosciuto la voce. La sentì più vicina. «Che piacevole sorpresa!» «Chi è?» sussurrò Katia. L’uomo era lì, elegante e raffinato, e fece un leggero inchino col capo. «Questa deve essere tua madre, immagino.» Che stava succedendo? Li aveva seguiti? Tanto che cambiava, anche fosse stata una casualità adesso era nei guai. L’uomo porse la mano, per presentarsi. «Massimiliano Foschi.» Finalmente un nome. Nico si costrinse a parlare. «Mia madre… Katia.»

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Niente cognome, non era necessario. Poi aggiunse: «Dobbiamo andare.» Ma lo disse a voce così bassa che non lo sentì nessuno. Katia strinse la mano. «Lei conosce mio figlio?» Nico sprofondò, ma l’uomo restò impassibile. «Una conoscenza superficiale. Ha fatto una commissione per me.» La curiosità di Katia era stata stuzzicata. «Che commissione?» L’uomo aggirò la domanda. «Non avrete ancora pranzato, spero. Sarei felice se foste miei ospiti.» Il ristorante da cui era uscito l’uomo era il più caro e lussuoso di tutti, Nico era scappato via dopo aver visto i prezzi esposti. Si sentì in trap-pola, perché ogni speranza di trascinare via sua madre era sfumata. Gli occhi di Katia brillavano. «Dovrà raccontarmi come ha conosciuto Nico. Sono molto curiosa.» «Ogni cosa» promise l’uomo con un gran sorriso «ma accomodatevi adesso. Parleremo a stomaco pieno.»

* * * Nico recitava. Ci riusciva ancora nonostante la tensione. Fingeva di ri-dere alle battute e rispondeva a monosillabi. Dedicava grande attenzio-ne alle portate che gli venivano servite e quasi non le toccava. Ma nes-suno si accorgeva di niente. L’uomo parlava in continuazione, di ogni cosa, eccetto che di lui. Ave-va un’abilità innata nell’aggirare le domande e nel pilotare la conversa-zione. Era spumeggiante. Katia si sentiva lusingata: quello era proprio il genere di vita per cui era nata, e che sentiva di meritare. Però era an-che imbarazzata di trovarsi lì, timorosa di non dimostrarsi all’altezza, e quindi beveva troppo e rideva troppo forte. A metà pranzo era già brilla, ma non accennava a fermarsi. Il disagio di Nico cresceva sempre più. Dopo l’incontro iniziale, quell’uomo non si era più rivolto a lui, parevano averlo dimenticato entrambi, ma neppure questo lo faceva stare meglio. Si sentiva manovrato, si chiese persino se non fosse tutto programmato, se quell’uomo non si fosse servito di lui per arrivare a sua madre, ma vedendoli insieme riconobbe che era una follia. Certo sua madre era ancora bella, aveva solo trentasei anni, però la vita dissoluta che aveva condotto aveva lasciato un segno su di lei. Non era all’altezza, spesso era volgare, proprio stonava accanto a

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quell’uomo così signorile, elegante e colto. Non c’era niente da dire, Foschi, come si era presentato, mostrava una sicurezza che solo una certa educazione e un certo conto in banca potevano giustificare. Si chiese perché, allora, un uomo così perdesse tempo con loro. Katia era una puttana, anche se lui forse non l’aveva capito. Di certo non era la donna adatta a lui, avrebbe potuto trovare di meglio. Si comportava in modo chiassoso, le sue risate erano stridenti, già altri clienti, ai tavoli vicini, si erano girati a guardarla. Nico cercò di estraniarsi, pregò solo che quella tortura finisse presto. Poi, quando l’uomo raccontò un aneddoto divertente, e sua madre si mise a ridere fin quasi a trovarsi gli occhi umidi di lacrime, lui balzò in piedi, mormorò una scusa e corse a chiudersi in bagno. Cercò di restare lì dentro il più a lungo possibile.

* * * «Ce la faccio da sola! So ancora camminare con le mie gambe!» Ma non era vero. Nico fu costretto a lasciarla andare per chiudere la porta, e lei barcollò fino al letto, crollandoci sopra ridacchiando. «Forte il tuo amico!» biascicò «dove l’hai trovato?» «Ho fatto una commissione per lui, te l’ha detto.» «Che commissione?» «Gli ho… comprato dei libri.» Lei lo guardò incredula. «Libri?» «Erano libri antichi. Molto vecchi, di gran valore.» «E ti ha pagato?» Nico annuì. «Non certo cinquecento euro. Da dove arrivano quei soldi? Li hai rubati a lui?» Nico scosse il capo. Era la verità, in fondo. Forse lo pensò anche Katia, perché la storia era abbastanza assurda per essere vera. Nico non aveva mai avuto una gran fantasia, era quello il suo problema. «È simpatico!» disse lei, mentre cercava di stendersi meglio. Nico non si avvicinò per aiutarla. «Ti sei ubriacata.» «Non sono ubriaca!» gridò con voce lamentosa «hai paura che ti abbia fatto fare brutta figura? A lui piaceva, si è divertito con me!» Poi ridacchiò.

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«Vuole scoparmi! Gliel’ho letto negli occhi!» Continuò a ridere, mentre il suo corpo si rilassava. Nico restò a guardarla, mentre il torpore si impadroniva di lei. Che sta-va succedendo? Anzi, peggio, cosa sarebbe successo adesso?

* * * «Cosa stai facendo?» Katia era seduta davanti allo specchio, e si stava truccando. Sul letto era steso uno dei suoi vestiti più provocanti. Nico lo guardò preoccupato. «Vuoi già lavorare? Avevi detto…» «Niente lavoro. Vado solo a fare un giro.» Nico scosse il capo. Era una follia, Katia non era in condizione di usci-re. Non aveva ancora smaltito del tutto la sbornia, anche se aveva dor-mito come un sasso per tutto il pomeriggio, e i lividi sul suo corpo si erano pure estesi, ora erano tutti neri. «È… pericoloso.» Lei lo guardò maliziosa. «Da quando ti preoccupi per me? Credevo che non ti importasse niente. Non ti ci vedo a piangere sulla mia tomba.» «Dove vorresti andare?» «Fatti miei.» «E io? Che dovrei fare?» «La camera è tutta tua. Fai quello che ti pare. Per la cena arrangiati, tan-to lo so che sei pieno di soldi. Non mi avresti mai dato tutto quello che hai racimolato.» Nico preferì tacere. Katia guardò compiaciuta la sua immagine allo specchio, poi andò a in-dossare il vestito. Il trucco non bastava a nascondere il suo aspetto sciupato, e l’abito troppo volgare la faceva solo sembrare più vecchia. «Dove vai conciata così? Sei in cerca di altri guai?» «Vado a divertirmi! Pensi che io non me lo meriti di divertirmi una vol-ta tanto?» «Con i miei soldi!» mormorò Nico. Lei scoppiò a ridere, con rabbia. «I tuoi soldi! Tu dici i tuoi soldi! Lo dici a me, che ti ho mantenuto per tutta la vita! I tuoi soldi!» Poi afferrò la borsetta e frugò all’interno. Qualcosa avevano già speso, ma non molto. Gettò sul letto quattro pezzi da cento euro. «Ecco, tieniteli! Non mi servono! Non ho bisogno di questi per diver-tirmi, ho chi paga per me!»

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Nico guardò quei soldi gettati sul letto e sentì crescere il suo timore. «Credi che sia solo una puttana? Che sia da buttare via? Credi che nes-suno si interessi più a me?» Nico quasi non osava chiederlo. «Esci… con lui?» Katia sogghignò. «Già, esco con il tuo amico, hai qualcosa in contrario? Mi ha invitata. Ha invitato me, capisci? Gli piaccio. Mi vuole. Andremo a letto, scope-remo!» Il suo sguardo divenne malizioso. «Ti dà fastidio?» Aveva visto tanti uomini passare nel suo letto, ma proprio tanti, eppure aveva creduto che quell’uomo fosse diverso. Si costrinse a scuotere il capo. «Fate quello che volete, non mi interessa!» Lei non ci cascò e scoppiò a ridere più forte. «Gli chiederò anche che affari combinate insieme. Vedrai che lo farò cantare.» «Non so di cosa tu stia parlando!» mormorò Nico a voce molto bassa. Lei gli lanciò un bacio con la mano. «Vedremo!»

* * * Contò ancora i soldi e li nascose. Li divise in tre posti diversi, per esse-re certo che lei non li potesse trovare, non tutti almeno. Mangiò una pizza, che si era fatto portare a domicilio. Adesso che non era necessario, non ci teneva affatto ad avventurarsi in quella città sco-nosciuta. Guardò un po’ di televisione poi attese. Non si avvicinò nep-pure al letto della madre, alla fine andò a coricarsi nel suo sgabuzzino, ma vestito, sempre vigile e pronto a ogni evenienza. Non avrebbe sopportato che lei lo portasse lì, e pregò che non accades-se. Non avrebbe sopportato che facessero l’amore su quel letto, di fron-te a lui. Sarebbe andato via, piuttosto. Qualcosa lo rodeva, ma non sa-peva cosa. Gelosia, forse. Ma di chi era geloso? Di chi dei due? Non si era mai trovato in una situazione simile prima di quel momento. A-vrebbe voluto fare qualcosa, impedire che accadesse, proteggere qual-cuno. Ma chi? Chi dei due aveva bisogno di protezione? Katia arrivò alle due di notte ed era sola. Nico non aveva chiuso occhio neppure un istante. Lei era completamente ubriaca e non si reggeva in

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piedi. Crollò in ginocchio dopo un solo passo, lasciando la porta spa-lancata. Lui fu costretto ad aiutarla e portarla a letto. Lei bofonchiò solo qualche parola incomprensibile e crollò addormentata.

* * * «È un vero signore e gli piaccio.» Colazione a letto per Katia. Molto abbondante, visto che l’ora di pranzo era già passata da parecchio. Nico la servì in silenzio. «Gli piaci? Ieri dicevi che era pazzo di te e voleva scoparti. Non l’avete fatto?» Katia ridacchiò. «No, non credo. Non è che ricordi molto. No, lui è un tipo all’antica e certe cose non le fa. Non al primo appuntamento, almeno. Dio, chi a-vrebbe mai pensato che esistessero ancora tipi del genere! Ma gli piac-cio, eccome, ha intenzioni serie verso di me!» «Lo sa quello che fai?» Lo guardò esterrefatta. «No! Che ti salta in mente?» «Glielo dirai?» «Ma sei matto? Tu non gli hai detto niente, spero!» Nico scosse il capo. «Non gli ho mai parlato di te.» «E continua a non farlo! È la cosa migliore che mi sia capitata finora! Potremmo sistemarci, lo capisci? Saresti anche tu a guadagnarci!» «Lo stai prendendo in giro» disse Nico, anche se era pieno di dubbi. Quell’uomo era un osservatore, non poteva non essersi accorto di che razza di donna fosse sua madre. Ma certe volte il desiderio di sesso ren-de ciechi. «E allora? Non abbiamo forse fatto di peggio? Tutti e due! Potrebbe es-sere la grande occasione che aspettavamo! È ricco, molto ricco! Vedes-si come butta via i soldi, ha sempre il portafogli pieno! Ti stai facendo degli scrupoli? È un tuo amico?» Nico scosse di nuovo il capo. No, non era un suo amico, non sapeva co-sa fosse in realtà. «Lo rivedrai ancora?» Katia ridacchiò. «Stasera mi porta all’Opera. Mi ci vedi in un posto del genere? Io all’Opera? Se me lo avessero detto non ci avrei creduto!» «Dovrai…» iniziò Nico, poi decise di lasciar perdere.

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Ma Katia aveva capito e sorrise. «Ok, concesso. Per una volta il vestito lo scegli tu.»

* * * FINE ANTEPRIMACONTINUA...

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