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La scelta del titolo di un libro sottende sempre un messaggio che l’autore de sidera trasmettere. Nei tempi oscuri del Medioevo, la procedura penale, man cando le regole, era dominio delle pras si. La loro divulgazione ed elaborazione era affidata ai pratici.

La mancanza di una codificazione e la presenza di provvedimenti di varia na tura in materia aprivano gli spazi per un’ampia discrezionalità dei giudici, con pregiudizio delle garanzie procedurali, in un contesto già connotato dai carat teri di un processo a decisa impronta inquisitoria.

Certo, molte – moltissime – cose sono cambiate: il mutamento del modello, le garanzie costituzionali e sovranaziona li, l’elaborazione teorico-sistematica, la codificazione.

Tuttavia, entro questa cornice, il diritto processuale penale – così faticosamen te conquistato – sembra spesso scivo lare nuovamente verso la «procedura penale», cioè, verso un recupero casi stico di prassi e di elaborazioni operati ve giustificate solo dalla necessità di as sicurare la «tenuta» del sistema, anche in considerazione dei silenzi e dei ritardi del legislatore.

In particolare, si punta ad una lettu ra delle regole procedurali nell’ottica dell’efficienza e della funzionalità del processo, in vista di una sua durata ra gionevole.

È sembrato opportuno, allo ra, fare una ricognizione del rito penale «letto» in chiave espositiva, con i contrap punti degli orientamenti del c.d. «diritto vivente» delle Sezioni Unite lungo per corsi frequentemente con notati da variabili ancorate a singoli episodi, spesso complessi e legati alle di­sfunzioni del sistema della giustizia penale.

Pratica, quindi, del proces so penale.

Piano dell’opera

Volume I• I procedimenti speciali• Le impugnazioni• Il processo penale minorile• Accertamento della responsabilità degli enti

Volume II• Indagini preliminari• Udienza preliminare• Giudizio• Procedimento dinanzi al tribunale in compo­

sizione monocratica• Procedimento dinanzi al giudice di pace

Volume III• Soggetti• Atti• Prove• Misure cautelari

Consultabile anche on-line

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Volume II••••

Volume III••••

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LA PRATICA DEL

PROCESSO PENALEGiorgio Spangher

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Diritto penale e processo 6/2012 663

Diritto penale e processoSommario

EDITORIALE COLPA E PREVENZIONE DEL RISCHIO NEL CAMPO DELLE MALATTIE PROFESSIONALIdi Giovannangelo De Francesco 665

GIURISPRUDENZA

Osservatori

OSSERVATORIO CORTE COSTITUZIONALEa cura di Giuseppe Di Chiara 671

OSSERVATORIO CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONI UNITEa cura di Alfredo Montagna 674

OSSERVATORIO CORTE DI CASSAZIONE - DIRITTO PENALEa cura di Stefano Corbetta 677

OSSERVATORIO CORTE DI CASSAZIONE - PROCESSO PENALEa cura di Francesco Peroni 683

OSSERVATORIO CONTRASTI GIURISPRUDENZIALIa cura di Guglielmo Leo 689

Giurisprudenza commentata

SEZIONI UNITE E PRESOFFERTO CAUTELARE IN ORDINE ALLA PROSECUZIONE DELLA MISURA CUSTODIALE Cassazione penale, Sez. Un., 22 aprile 2011 (c.c. 31 marzo 2011), n. 16085 693Commento di Giuseppe Tabasco 696

LA SENTENZA SUL “ROGO” DELLA THYSSENKRUPP: TRA RESPONSABILITÀ INDIVIDUALE E CORPORATIVACorte d’Assise di Torino, Sez. II, 14 novembre 2011 (15 aprile 2011), n. 31095 702

IL DOLO EVENTUALE SBARCA ANCHE NELL’ATTIVITÀ D’IMPRESACommento di Roberto Bartoli 703

LA RESPONSABILITÀ DELL’ENTE: SOLUZIONI RAGIONEVOLI DI QUESTIONI COMPLESSECommento di Davide Bianchi 711

VIOLAZIONE DELLA PRIVACY E INUTILIZZABILITÀ DELLE ACQUISIZIONI DOCUMENTALI CORRELATE: PRESUPPOSTI E LIMITI Tribunale di Pinerolo, 4 ottobre 2011 (19 aprile 2011) 723Commento di Pierpaolo Dell’Anno 723

USURA BANCARIA E COMMISSIONE DI MASSIMO SCOPERTO: L’ELEMENTO OGGETTIVO E SOGGETTIVO DEL REATOCassazione penale, Sez. II, 19 dicembre 2011 (ud. 23 novembre 2011), n. 46669 730Commento di Mirko Piloni 736

SULL’APPLICAZIONE RETROATTIVA DI UN’INTERPRETAZIONE GIURISPRUDENZIALE IN FAVORE DEL REOTribunale Torino, ordinanza 30 gennaio 2012 743Commento di Siro De Flammineis 743

OPINIONIINAIL E SINDACATI NEL PROCESSO PENALE: DISORIENTAMENTI LEGISLATIVI E GIURISPRUDENZIALIdi Mauro Gualtieri 753

Intervento e costituzionedi parte civile

Norme penalieuropee

Diritto penaledell’economia

Mezzi di prova

Responsabilitàd’impresa

Misure cautelari

Colpa

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GIUSTIZIA SOVRANAZIONALENUOVI SCENARI NELLA TUTELA PENALE DEI DIRITTI FONDAMENTALI IN EUROPAdi Elena Andolina 764

OSSERVATORIO CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMOa cura di Giulio Garuti 777

OSSERVATORIO CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEEa cura di Silvio Riondato 784

INDICIINDICE AUTORI-CRONOLOGICO-ANALITICO 789

Diritti dell’uomo

Diritto penale e processo 6/2012664

Diritto penale e processoSommario

EDITRICEWolters Kluwer Italia S.r.l. - Strada 1, Palazzo F620090 Milanofiori Assago (MI)

INDIRIZZO INTERNEThttp://www.ipsoa.it/dirittopenaleeprocesso

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COMITATO PER LA VALUTAZIONE

Diritto penale: M. Bertolino; A. Ceretti; G. De Francesco; M. V. Del Tufo; E. Dolcini; M. Donini; G. Fiandaca; A. Fiorella; G. Flora; G. Forti; A. Gargani; G. Grasso; R. Guerrini; G. Insolera; S. Larizza; C. de Maglie; G. Mannozzi; F. Mantovani; G. Marinucci; A. M. Maugeri; E. Mezzetti; V. Militello; A. Pagliaro; C. E. Paliero; M. Papa; M. Pelissero; M. Romano; F. Viganò.

Processo penale: A. Bargi, G. Bellantoni, A. Bernasconi, P. Corso, A. De Caro, G. Dean, P. Dell’Anno, V. Fanchiotti, L. Filippi, A. Gaito, A. Giarda, P. Gualtieri, L. Kalb, S. Lorusso, A. Marandola, M.R. Marchetti, E. Marzaduri, M. Menna, A. Molari, P. Moscarini, G. Pansini, V. Patané, A. Pennisi, G. Pierro, A. Presutti, A. Scaglione, M. Scaparone, A. Scella.

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EditorialeDiritto penale

Colpa e prevenzione del rischionel campo delle malattieprofessionalidi Giovannangelo De Francesco - Professore ordinario nell’Università di Pisa

Il fenomeno delle malattie professionali ha acuito il problema, non soltanto dell’accertamento del nesso dicausalità, ma anche dell’individuazione dei connotati della colpa in relazione all’evento lesivo. Dopo una ri-flessione preliminare sulla natura delle regole cautelari, lo scritto s’interroga circa lo scopo di prevenzione ditali regole - alla stregua del criterio dell’“agente-modello” - di fronte all’emersione di un quadro di cono-scenze ancora in fieri al tempo di svolgimento di determinate attività. Un cenno finale è riservato al pro-gressivo affermarsi del cd. “principio di precauzione”, in ragione dei suoi difficili rapporti proprio con la te-matica della colpa nel settore dei danni alla salute.

Oggettivo e soggettivo negli attualiindirizzi in tema d’imputazione del reato

La perenne tematica dei rapporti tra i profili ogget-tivi e soggettivi dell’illecito penale vede da qualchetempo affacciarsi sul proscenio la delicata questionedella responsabilità per colpa in contesti caratteriz-zati da una situazione di incertezza (o di progressivaevoluzione) delle conoscenze (1) in ordine al colle-gamento, sia sotto il profilo causale, che sotto quel-lo dell’imputazione “personale”, rispetto al fatto lesi-vo concretamente verificatosi.D’altra parte, proprio in siffatti contesti, malgrado laconvinzione che i due profili sopra menzionati nonpossano essere confusi tra loro, non sono pochi i mo-menti di “contatto” e di interferenza tra le due pro-blematiche, ulteriormente accresciuti da una serie difattori predisponenti all’affermarsi di un simile con-nubio. Tra di essi, possono qui ricordarsi: la valuta-zione di prevedibilità dell’evento secondo le scan-sioni affini a quelle utilizzate per la “ridescrizione”del nesso con quest’ultimo, la valorizzazione del giu-dizio “ipotetico” circa la prevenibilità del medesimo(in quanto comune sia all’omissione che alla colpa),il più accentuato “probabilismo” dell’indagine cau-sale, in quanto elemento idoneo ad “allentare” quelcarattere rigorosamente obiettivo postulato dalle“leggi universali” e a fare da battistrada all’emersio-ne del criterio del cd. “aumento” o “mancata ridu-zione” del rischio; infine, ma non ultima per impor-tanza, l’esaltazione del momento “obiettivo” dellacolpa - vieppiù accentuato dalla tendenza imponen-te alla “codificazione” delle regole di diligenza - ri-

servandosi al profilo soggettivo di questa un ruolosovente confinato a situazioni-limite di impossibili-tà di adeguarsi al precetto cautelare. Accanto a si-mili fattori, viene poi a delinearsi, quale chiave dilettura del complesso delle pertinenti valutazioni,quella che viene da molti definita come la “proces-sualizzazione” delle categorie penali sostanziali (2):là dove, in effetti, il tema della prova, una volta ri-portato al canone della “probabilità logica” (nutritadi fondamenti “scientifici”) delle ipotesi di volta involta formulate, sembra permeare senza distinzionil’intero contesto della responsabilità penale, esclu-dendo giudizi differenziati (quali quelli fondati, ades., sulle sole “massime di esperienza”, con particola-re riferimento all’imputazione soggettiva) in ragionedelle singole componenti caratterizzanti la strutturadel reato.

La natura delle regole cautelari e la posizione sistematica della colpa

Non è questa la sede per esprimere delle valutazioniconclusive circa l’adeguatezza e la congruenza con ledinamiche applicative delle tendenze or ora somma-riamente delineate. Né sarebbe, d’altronde, consi-gliabile cedere alla tentazione di prendere partito

Note:

(1) Cfr. D. Pulitanò, Colpa ed evoluzione del sapere scientifico, inquesta Rivista, 2008, 647 ss.

(2) Sul fenomeno, v. le riflessioni di T. Padovani, Lezione intro-duttiva sul metodo nella scienza del diritto penale, in Criminalia,2010, 237 s.

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contro o a favore l’insieme di simili sviluppi nel qua-dro dell’esperienza contemporanea; e ciò, non sol-tanto perché le stesse opinioni in materia presenta-no non di rado significative varianti al loro interno,ma anche perché non è certo in forza di atteggia-menti ispirati ad una rigida posizione di principioche i nodi fondamentali delle questioni - a maggiorragione, se riguardanti il sempre sfuggente requisitodella colpa - potranno essere avviati a soluzione.Per potersi orientare nella complessa e controversamateria, non sembra tuttavia inopportuno muovereda una premessa generale, la quale, per quanto at-tualmente contestata, ci sembra invece particolar-mente significativa ai fini dell’individuazione deipresupposti necessari per una responsabilità a titolodi colpa. Invero, come si è avuto modo di sottolineare in altreoccasioni (3), appare fondato ritenere che le c.d. re-gole cautelari rilevanti per fondare la colpa non pos-sano essere concepite in una dimensione puramenteobiettiva, dovendo esse, viceversa, venire già ab ini-tio ricondotte al piano del rimprovero di colpevolez-za. A differenza del contenuto precettivo insito nelfatto legalmente tipizzato - il quale assume le vesti diun imperativo espresso in forma incondizionata - leregole di diligenza meritano, in altri termini, di esse-re identificate con altrettanti imperativi a carattere“strumentale”, del seguente tenore: se vuoi che nel-l’esercizio dell’attività intrapresa non si verifichinocerti tipi di eventi, dovrai allora tenere determinatecondotte volte allo scopo di scongiurarne la possibi-le verificazione. Da tale angolo visuale, in tanto haun senso postulare delle regole di questo tipo, inquanto si supponga, per logica connessione, l’esi-stenza di una cerchia di soggetti chiamati ad ade-guarvisi ed al contempo capaci di farlo (capaci, be-ninteso, sia a livello tecnico-esecutivo, sia, come di-remo, a livello di cognizioni sufficienti al riguardo):non essendo ammissibile, per vero, ipotizzare deimodelli di condotta a carattere “strumentale”, i qua-li non appaiano suscettibili di essere, per l’appunto,effettivamente adottati ed “utilizzati” dai relativi de-stinatari. La regola cautelare, insomma, non è taleda incidere, ad es., sul precetto che vieta di uccidereo di arrecare delle lesioni personali: precetto che sipone come logicamente preliminare rispetto a qual-siasi ulteriore valutazione circa il comportamentodell’agente; essa dà luogo, invece, ad una valutazio-ne di “secondo grado”, per così dire, la quale, unavolta preso atto del giudizio negativo in ordine al“fatto” in sé e per sé considerato, viene a determina-re le condizioni per imputarlo all’agente, in funzionedi quelle possibilità, sul piano cognitivo ed operati-

vo, di cui egli era in grado di avvalersi per impedirel’offesa. Né parrebbe in alcun modo decisivo, per confutareuna soluzione del genere, obiettare come questa fini-sca con l’avvicinare le regole cautelari alla logicapropria di un “onere” e non di un obbligo vero e pro-prio di tenere la condotta ad esse conforme: nel sen-so che, una volta separate da un simile obbligo, il lo-ro significato si ridurrebbe ad una mera “tecnica pru-denziale” dissociata dal profilo assiologico della tu-tela del medesimo interesse per il quale l’imperativolegale risulta concepito (4). Invero, non interessa qui istituire parallelismi con lafigura “classica” dell’onere (quale risulta elaboratasoprattutto nel settore civile) per dedurne corollaririlevanti anche per la definizione delle categorie deldiritto penale. L’esigenza fondamentale è, invero,esclusivamente quella di evitare di confondere ilpiano impersonale della tipicità con quello collega-to al giudizio di colpevolezza, all’interno del qualesembra invece maggiormente congruo inserire le va-lutazioni concernenti l’imputazione per colpa; e delresto è fin troppo noto che, come dimostra la stessaevoluzione della categoria della colpevolezza, la qua-lificazione in guisa di precetto doveroso delle sotto-stanti valutazioni non ha impedito di sposare l’ideadi una caratterizzazione in chiave essenzialmentepersonalistica dei contenuti afferenti al giudizio dirimproverabilità.

Le malattie professionali e lo scopo di prevenzione delle regole di diligenza

In realtà, come sempre accade in un dialogo tra di-verse opinioni, l’importante è intendersi sui terminireali del problema: in particolare, una volta assuntoa parametro di riferimento il cd. “agente modello”,ci si deve necessariamente domandare se con questos’intenda alludere ad un criterio di tipo obiettivo,ovvero, sia pure con le inevitabili generalizzazioni,ad un paradigma già dotato di contenuti commisura-ti al momento personalistico del rimprovero penale.Prendendo adesso ad esempio il tema della respon-sabilità collegata all’uso dell’amianto (5), sorge, in

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EditorialeDiritto penale

Note:

(3) Cfr., volendo, G.A. De Francesco, Diritto penale. I fondamen-ti, 2ª ed., Torino, 2011, 428.

(4) In proposito v. M. Donini, Teoria del reato. Una introduzione,Padova, 1996, 374 e nota 118.

(5) V., a commento di due recenti ed approfondite sentenze del-la Corte di cassazione, rispettivamente, F. Palazzo, Morti daamianto e colpa penale, in questa Rivista, 2011, 185 ss. e R. Bar-toli, Responsabilità penale da amianto: una sentenza destinata asegnare un punto di svolta?, in Cass. pen., 2011, 1712 ss.

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altri termini, l’interrogativo se il fatto che, alla stre-gua delle cognizioni al tempo disponibili, la poten-zialità cancerogena della sostanza fosse allora confi-nata all’interno di un sapere scientifico estrema-mente circoscritto (o, il che è lo stesso, ad una sferacorrispondente alle cd. “conoscenze superiori” pro-prie del singolo agente (6)) potesse attribuire unruolo preventivo a regole cautelari in linea di prin-cipio “pensate” in relazione alla contrazione di altritipi di malattie (quali l’asbestosi o comunque pato-logie qualitativamente diverse e meno gravi) (7). Il problema ha ragione di porsi, in quanto, una vol-ta constatata la presenza di regole (per di più “codi-ficate”), l’eventuale idoneità di quest’ultime a ridur-re il rischio di tumori polmonari dovrebbe, a volerseguire la prima impostazione, essere pur semprecorrelata al riconoscimento della loro finalità pre-ventiva rispetto a siffatte patologie. Né parrebbe ra-gionevole, sotto questo punto di vista, tracciare unanetta linea di demarcazione tra colpa e causalità:perché è evidente che, ragionando secondo unoschema di valutazione di tipo obiettivo, niente po-trebbe impedire di far giocare la regola anche in unadimensione preventiva rispetto agli eventi più gravidi cui si è detto. Ed invero, una volta definitivamen-te acclarata la configurabilità di un rapporto causa-le, perché mai non affermare, nella logica di un “sa-pere” consolidato, che quella regola puramente“obiettiva” potesse venire ricollegata anche al possi-bile esito di un cancro ai polmoni? Diverse saranno, invece, le conclusioni, una voltavalorizzato un “modello” di agente collegato all’am-bito delle conoscenze allora maggiormente diffuse (etali - come si è opportunamente osservato (8) - danon aver fatto ancora sorgere un ragionevole Anlassa dotarsi di un patrimonio cognitivo a carattere“specialistico”). Invero - ed a prescindere, persino,dal carattere “elastico” o “rigido” del precetto codi-ficato - il fatto stesso che la ratio preventiva propriadi questo fosse allora ricollegabile a danni alla saluteestranei a quelli poi definitivamente conclamati do-vrebbe portare ad escludere la riconduzione di questiultimi allo scopo di protezione della regola violata.Detto in altri termini: anche la regola scritta abbiso-gna, a nostro parere, di essere accompagnata da uncorredo teleologico commisurabile al relativo agen-te-modello; con la conseguenza che, se è vero che leconoscenze superiori eventualmente esistenti pressoun modello più elevato potranno fondare la colpa,questa non potrà essere comunque rinvenuta - pro-prio a causa della mancanza dello scopo di prevenzionedella regola violata - presso coloro che non fossero ingrado di incarnare una pretesa cognitiva tale da su-

perare le parziali ristrettezze del modello corrispon-dente. Così ricostruita la tematica della colpa nel settoredelle malattie professionali, a noi sembra, d’altron-de, che non sia necessario invocare, per definire conla dovuta esattezza i termini della questione, la piùraffinata impostazione secondo la quale il nesso diprevedibilità dell’evento dannoso dovrebbe arric-chirsi di una valutazione fondata sulla “ridescrizio-ne” dello sviluppo lesivo, effettuata mediante il ri-chiamo al cd. “evento intermedio” del carcinomapolmonare (9); in realtà, come in tutti gli altri casiin cui si proceda ad indagare lo scopo di prevenzio-ne della regola violata (si pensi ai noti esempi dellapolmonite contratta da un bambino trasportato inmotocicletta, del gesto suicida di chi superi d’un bal-zo un parapetto poco elevato, delle lesioni dovute adun sasso scagliato da un veicolo circolante contro-mano, etc.), non si vede come l’evento lesivo possafare a meno di una sua elementare “contestualizza-zione” alla stregua del tipo di attività pericolosa divolta in volta esplicata: nel nostro caso, per l’appun-to, lesioni sotto forma di asbestosi o morte da tumo-re polmonare. Piuttosto, maggiormente problematico potrebbe ri-velarsi il quesito in ordine alla rilevanza da attribui-re al giudizio ipotetico di evitabilità dell’evento nelcaso in cui la regola fosse stata osservata. Sennon-ché, è ben chiaro come un simile accertamento, intanto risulterà giustificato, in quanto si possa affer-mare - il che si è qui ritenuto di dover escludere -che lo scopo di prevenzione della regola fosse effet-tivamente ricollegabile alle valutazioni sottese al“modello” di agente ipotizzato (10). Né appare fuori luogo osservare come, anche qualo-

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EditorialeDiritto penale

Note:

(6) Nel senso di una parziale difformità tra i due criteri (la qualenon sembra tuttavia incrinare quanto osservato nel testo) cfr.,peraltro, R. Bartoli, Causalità e colpa nella responsabilità penaleper esposizione dei lavoratori ad amianto, in Riv. it. dir. proc.pen., 2011, 628 ss.

(7) Ne dubitano, tra i molti, D. Castronuovo, L’evoluzione teoricadella colpa penale tra dottrina e giurisprudenza, in Riv. it. dir.proc. pen., 2011, 1639 ss.; C. Piergallini, Attività produttive, de-cisioni in stato di incertezza e diritto penale, in M. Donini - M. Pa-varini (a cura di), Sicurezza e diritto penale, Bologna, 2011, 345ss. Più possibilista C. Ruga Riva, in E. Dolcini - C.E. Paliero (a cu-ra di), Studi in onore di Giorgio Marinucci, II, Teoria della pena,teoria del reato, Milano, 2006, 1768 ss.

(8) G. Marinucci, Innovazioni tecnologiche e scoperte scientifi-che: costi e tempi di adeguamento delle regole di diligenza, inRiv. it. dir. proc. pen., 2005, 21 ss.

(9) Cfr., per tutti, C. Piergallini, Attività produttive, cit., 350 ss.

(10) Sulla distinzione tra i due profili v. G. Forti, Colpa ed eventonel diritto penale, Milano, 1990, 443 ss.

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ra, specialmente per le attività svolte successiva-mente all’acquisizione di più adeguate conoscenze,tale ultimo requisito fosse da ritenersi adempiuto,sembrerebbe meritare adesione la recente tendenzaa non esasperare eccessivamente il rigore valutativodi quell’ulteriore accertamento (11). Più esattamen-te, se è pur vero che un simile rigore dovrà esserepraticato in sede di verifica del nesso causale (scon-tando dunque, sotto questo profilo, la possibilità diesiti assolutori dovuti a residue incertezze scientifi-che o al difetto di “credibilità razionale” del legamecon l’evento), non è men vero che la maggior fon-datezza, a livello comparativo, dell’“attesa” circa unesito favorevole a confronto del possibile insuccessodella condotta ipotizzata, parrebbe già sufficiente alegittimare l’ascrizione colposa dell’evento a coluiche non abbia attivato le misure idonee ad ostaco-larne la realizzazione.

Colpa e “principio di precauzione”

Sull’intera problematica dei rischi per la salute in-dotti da attività produttive grava da tempo anche unulteriore, delicato interrogativo sul piano sistemati-co e politico-criminale. Si vuole alludere al diffon-dersi del ben noto “principio di precauzione” (12), ilquale pone la questione se alla sua stregua possanoessere concepite delle regole cautelari destinate afronteggiare, non più pericoli empiricamente testati,bensì, come si usa oggi dire, dei “rischi da ignoto”. Orbene - e fatti salvi eventuali “reati d’obbligo” vol-ti a colpire in forma “anticipata” un’attività dellaquale non possa escludersi la pericolosità - non sonopochi coloro che sono giunti a contestare l’ingressodel suddetto principio nel territorio della responsa-bilità colposa (13); ed in effetti, proprio la straordi-naria “apertura” verso esiti tuttora incerti e indefini-ti di simili esigenze meramente “precauzionali” par-rebbe, in linea di principio, dissonante rispetto ascelte d’azione congruenti con la “funzione di ri-chiamo” della regola circa lo specifico scenario lesi-vo di volta in volta delineato.Malgrado simili perplessità, si è, tuttavia, autorevol-mente affermato come il principio in questione nonsarebbe incompatibile con la fisionomia della (sola)colpa specifica: nel senso che, ammessa l’esistenza diuna regola ad hoc collegata a certi tipi di eventi - siapure oggetto di una valutazione ancora “ipotetica” -tale regola potrebbe fondare l’imputazione per col-pa, una volta che l’ipotesi formulata “sia divenutacertezza scientifica” (e salvo, naturalmente, il previoaccertamento del rapporto di causalità) (14). Ebbe-ne, una soluzione del genere, si ritenga o meno dicondividerla, sembra arricchire il dibattito di alme-

no due profili di valutazione. In primo luogo, essagetta luce (sia pure in una prospettiva peculiare) sulrapporto dialettico tra regola cautelare e dovere daparte dell’agente di porsi nelle condizioni per ade-guarvisi (15). Tale rapporto sembra suonare, in buo-na sostanza, come una sorta di “metaregola”, cosìconcepita: se non vorrai essere punito per colpa, as-sumi subito come esistenti quelle possibilità di unevento lesivo che un futuro sviluppo delle cono-scenze potrebbe confermare. Pur quando si dovesseammettere (come sarebbe forse più corretto) che lavera e propria regola cautelare verrà (se verrà) a sor-gere soltanto successivamente - una volta, cioè, chele predette conoscenze risultino acquisite - l’agentesarà, in altri termini, imputabile per colpa, qualora,essendo nelle condizioni di conformarsi alla regola,non possa addurre a propria difesa di aver operato inmaniera consentanea al possibile concretizzarsi delsuo significato teleologico. Per altro verso, comenon si è mancato di osservare (16), è abbastanza evi-dente come la formulazione di una cautela, la quale- pur in una condizione d’incertezza - sia in grado diriconnettersi a determinati eventi, non può nonpresupporre l’esistenza di “indizi” già dotati di unacerta consistenza ed idoneità sotto il profilo progno-stico; ed in questa prospettiva, la “distanza”, per co-sì dire, del principio di precauzione rispetto ad unapiù solida ed empiricamente fondata logica della“prevenzione” tenderà a ridimensionarsi sensibil-mente.In ogni caso, la tensione “precauzionale” di quellaregola difficilmente potrà fare a meno di un’esten-sione e consolidamento ulteriore dell’apparato cau-telare una volta che le successive conoscenze scien-tifiche vengano ad illuminare e ad articolare mag-

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EditorialeDiritto penale

Note:

(11) Cfr. i rilievi di R. Bartoli, Il problema della causalità penale.Dai modelli unitari al modello differenziato, Torino, 2010, 105 ss.

(12) Da ultimo, sull’argomento, cfr. D. Castronuovo, Principio diprecauzione e beni legati alla sicurezza, in www.penalecontemporaneo.it, 2011, 3 ss.

(13) Cfr., tra gli altri, F. Giunta, Il diritto penale e le suggestioni delprincipio di precauzione, in Criminalia, 2006, 241 ss. e, più di re-cente, A. Gargani, La “flessibilizzazione” giurisprudenziale dellecategorie classiche del reato di fronte alle esigenze di controllopenale delle nuove fenomenologie di rischio, in Legisl. pen.,2011, 420 s.

(14) Cfr. D. Pulitanò, Colpa, cit., 652 s.

(15) Sul tema, e sia pure in un differente contesto problematico,cfr., volendo, G.A. De Francesco, Diritto penale, cit., 434 s. Inchiave critica, di recente, A. Massaro, La colpa nei reati omissiviimpropri, Roma, 2011, 154 s.

(16) V. C. Pongiluppi, Principio di precauzione e reati alimentari.Riflessioni sul rapporto “a distanza” tra disvalore d’azione e di-svalore d’evento, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2010, 239.

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giormente i modelli di diligenza consoni alle esigen-ze preventive. Né può dimenticarsi, d’altronde, che,come mostra il trend evolutivo della disciplina sullasicurezza del lavoro, l’adeguamento a standards co-gnitivi più progrediti è divenuto oggi un programmache gli stessi “attori economici” (e istituzionali) so-no sollecitati costantemente a perseguire. Grazie an-che ai richiami in tal senso provenienti dalle fontieuropee, sempre più fortemente avvertita è, insom-ma, una “cultura della prevenzione”, la quale prelu-

da ad un efficace coordinamento tra le molteplici“agenzie” deputate ad una scambievole opera di in-formazione e di controllo sui rischi: non già nell’ot-tica, tuttavia - è necessario ribadirlo - di rendere me-no intense e cogenti le “classiche” garanzie costitu-zionali della responsabilità penale, bensì al fine dipromuovere delle strategie d’intervento consapevol-mente indirizzate, anche sotto il profilo “procedura-le”, a sviluppare un’azione più penetrante a favoredel bene fondamentale della salute umana.

Diritto penale e processo 6/2012 669

EditorialeDiritto penale

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L’Opera fornisce il commento articolo per articolo del Codice penale, degli articoli del Codice civile sui reati societari (artt. 2621-2642 c.c.) e di alcuni tra i più importanti provvedimenti complementari (l. 75/1958 - Prostituzione; l. 194/1978 - Interruzione della gravidanza; d.p.r. 309/1990 - T.U. sugli stupefacenti; d.lgs. 274/2000 - Competenza penale del giudice di pace).In questa edizione è commentato per la prima volta il T.U. Immigrazione (d.lgs. 286/1998).Particolare attenzione è dedicata alle Note procedurali, poste in calce agli articoli del Libro II del Codice.Il commento è aggiornato con tutte le ultime modifiche normative: il d.lgs. 24 marzo 2011, n. 50, in tema di precursori di droghe; la l. 26 novembre 2010, n. 199 (c.d. legge “svuota carceri”); la l. 4 novembre 2010, n. 201 (“protezione degli animali da com-pagnia”); la l. 13 agosto 2010, n. 136 (“piano antimafia”); la l. 2 luglio 2010, n. 108 (“lotta contro la tratta di esseri umani”).Da ultimo, si è tenuto conto di una recentissima pronuncia della Corte di Giustizia UE 28 aprile 2011, n. C-61/11PPU, sull'inosser-vanza dell'ordine di espulsione e il contrasto della normativa italiana con la direttiva europea sui rimpatri dei clandestini.Completa l'opera un ricco e dettagliato indice analitico.

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OsservatorioCorte costituzionale

CUSTODIA IN CARCERE E RIGIDI AUTOMATISMI: PROSE-GUE LA SEQUENZA DELLE DECLARATORIE DI INCOSTI-TUZIONALITÁ

Corte costituzionale, sent., 3 maggio 2012 (18 aprile2012), n. 110 - Pres. Quaranta - Est. Lattanzi

È incostituzionale, per violazione degli artt. 3, 13, com-

ma 1, e 27, comma 2, Cost., l’art. 275, comma 3, secondo

periodo, c.p.p., come modificato dall’art. 2, comma 1, d.l.

23 febbraio 2009, n. 11 (“Misure urgenti in materia di si-

curezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale,

nonché in tema di atti persecutori”), convertito, con mo-

dificazioni, dalla l. 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui

- nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di

colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 416 c.p.,

realizzato allo scopo di commettere i delitti previsti da-

gli artt. 473 e 474 c.p., è applicata la custodia cautelare in

carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali ri-

sulti che non sussistono esigenze cautelari - non fa sal-

va, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi speci-

fici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le

esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre

misure.

La questioneIl giudice a quo, evocando quali parametri di scrutinio gli artt.3, 13, comma 1, e 27, comma 2, Cost., aveva dubitato dellalegittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, c.p.p., comemodificato dall’art. 2, comma 1, d.l. 23 febbraio 2009, n. 11(“Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contra-sto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecuto-ri”), convertito, con modificazioni, dalla l. 23 aprile 2009, n.38, «nella parte in cui impone l’applicazione o non consentela sostituzione della misura cautelare della custodia in carce-re con altra differente misura meno afflittiva» in relazione aldelitto di cui all’art. 416 c.p. realizzato allo scopo di commet-tere i reati di cui agli artt. 473 (contraffazione, alterazione ouso di marchio, segni distintivi ovvero di brevetti, modelli odisegni) e 474 (introduzione nello Stato e commercio di pro-dotti con segni falsi) c.p. Nel sollevare la quaestio, il rimettente aveva ritenuto esten-sibile alla fattispecie oggetto della cognizione la ratio deci-dendi sottesa alle declaratorie di incostituzionalità concer-nenti la previsione di una presunzione assoluta di inadegua-tezza di misure diverse dalla custodia in carcere ove si fosseproceduto per taluni delitti in materia di libertà sessuale (Cor-te cost. n. 265 del 2010), per omicidio volontario (Corte cost.

n. 164 del 2011) e per associazione per delinquere finalizzataal traffico di stupefacenti (Corte cost. n. 231 del 2011). Esclusa la praticabilità di un’interpretazione costituzional-mente orientata, in considerazione della specificità e del-l’eterogeneità delle singole fattispecie cui si riferisce l’art.275, comma 3, oggetto di censura, ad avviso del rimettenteè certamente carente, nell’associazione per delinquere rea-lizzata allo scopo di commettere i reati di cui agli artt. 473 e474 c.p., «un forte radicamento in un dato territorio, comepure l’uso di forme di intimidazione e lo stesso legame asso-ciativo è basato su un rapporto di mera convenienza econo-mica e non sul rispetto di codici di onore o patti di similare va-lore»: nella fattispecie in esame farebbero, dunque, difettoproprio le caratteristiche che hanno condotto il giudice delleleggi a ritenere non irragionevole la deroga della disciplinagenerale delle misure cautelari stabilita per i reati di mafia(Corte cost. n. 450 del 1995).

La decisioneNel ritenere fondati i dubbi di costituzionalità, proseguendo,dunque, la sequenza delle declaratorie introdotte dalla sen-tenza n. 265 del 2010, la Corte traccia, anzitutto, un cospicuorilievo preliminare di metodo: le parziali declaratorie di illegit-timità costituzionale dell’art. 275, comma 3, c.p.p., aventi peresclusivo riferimento i reati oggetto delle precedenti pronun-ce costituzionali, non sono estensibili alle altre fattispecie cri-minose ivi disciplinate; di più, il tenore testuale della normaimpugnata, il cui significato non può essere valicato neppureper mezzo dell’interpretazione costituzionalmente conforme(cfr., in questo senso, Corte cost. n. 219 del 2008), non con-sente in via interpretativa di conseguire l’effetto che solo unapronuncia di illegittimità costituzionale può produrre. Ciò posto, la Corte rammenta come l’art. 275, comma 3,c.p.p. sia frutto della stratificazione di una serie di interventilegislativi, che ha visto, più di recente, il legislatore del 2009(art. 2, comma 1, lett. a e a-bis, d.l. 23 febbraio 2009, n. 11,convertito, con modificazioni, dalla l. 23 aprile 2009, n. 38)estendere la disciplina introdotta nel 1995 per i delitti di cuiall’art. 416-bis c.p. o commessi avvalendosi delle condizionipreviste dal predetto art. 416-bis ovvero al fine di agevolarel’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo (art.5, comma 1, l. 8 agosto 1995, n. 332) a numerose altre fatti-specie penali, tra le quali quelle individuate attraverso il ri-chiamo ai delitti di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater,c.p.p.Successivamente, il delitto di associazione per delinquererealizzato allo scopo di commettere i delitti previsti dagli artt.473 e 474 c.p. è stato inserito, nel catalogo di cui all’art. 51,comma 3-bis, c.p.p., dall’art. 15, comma 4, della l. 23 luglio2009, n. 99 (“Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionaliz-zazione delle imprese, nonché in materia di energia”). La Corte ripercorre, dunque, gli itinerari che, muovendo dalla

MISURE CAUTELARI

Osservatorio Corte costituzionalea cura di Giuseppe Di Chiara

Page 12: LA PRATICA PROCESSO PENALE - units.it

sentenza n. 265 del 2010, hanno inciso sulla presunzione as-soluta di inadeguatezza di misure diverse dalla custodia incarcere: la pronuncia del 2010 ha dichiarato l’illegittimità co-stituzionale dell’art. 275, comma 3, secondo periodo, c.p.p.,nella parte in cui configura una presunzione assoluta - anzi-ché relativa - di adeguatezza della sola custodia in carcere asoddisfare le esigenze cautelari nei confronti della personaraggiunta da gravi indizi di colpevolezza per taluni delitti inmateria di libertà sessuale: in particolare, per i reati di indu-zione alla prostituzione minorile o di favoreggiamento o sfrut-tamento della stessa, di violenza sessuale e di atti sessualicon minorenne (artt. 600-bis, comma 1, 609-bis e 609-quaterc.p.). Ad analoga declaratoria di illegittimità costituzionale laCorte è inoltre pervenuta con riguardo alla medesima norma,nella parte in cui assoggetta a presunzione assoluta anche ildelitto di omicidio volontario (Corte cost. n. 164 del 2011) equello di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanzestupefacenti o psicotrope (Corte cost. n. 231 del 2011). Infi-ne, successivamente all’ordinanza di rimessione, il giudicedelle leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.12, comma 4-bis, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (“Testo unicodelle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazionee norme sulla condizione dello straniero”), recante una disci-plina analoga a quella contenuta nell’art. 275, comma 3, se-condo e terzo periodo, c.p.p. (Corte cost. n. 331 del 2011).In tali decisioni si è rilevato come, alla luce dei principi costi-tuzionali di riferimento - segnatamente, il principio di inviola-bilità della libertà personale (art. 13, comma 1, Cost.) e la pre-sunzione di non colpevolezza (art. 27, comma 2, Cost.) - la di-sciplina delle misure cautelari debba essere ispirata al crite-rio del «minore sacrificio necessario»: la compressione dellalibertà personale deve essere, dunque, contenuta entro i li-miti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelaridel caso concreto; ciò impegna il legislatore, da una parte, astrutturare il sistema cautelare secondo il modello della «plu-ralità graduata», predisponendo una gamma di misure alter-native, connotate da differenti gradi di incidenza sulla libertàpersonale, dall’altra, a prefigurare criteri per scelte «indivi-dualizzanti» del trattamento cautelare, parametrate sulle esi-genze configurabili nelle singole fattispecie concrete. A que-sti canoni si conforma la disciplina generale del codice di ritopenale, basata sulla tipizzazione di un ventaglio di misure digravità crescente (artt. 281-285) e sulla correlata enunciazio-ne del principio di adeguatezza (art. 275, comma 1), in appli-cazione del quale il giudice è tenuto a scegliere la misura me-no afflittiva tra quelle astrattamente idonee a soddisfare leesigenze cautelari ravvisabili nel caso concreto e, conse-guentemente, a far ricorso alla misura massima (la custodiacautelare in carcere) solo quando ogni altra misura risulti ina-deguata (art. 275, comma 3, primo periodo).Da tali coordinate - prosegue la Corte - si discosta vistosa-mente la disciplina dettata dal secondo e dal terzo periododel comma 3 dell’art. 275 c.p.p., che, come quella delineatadall’art. 12, comma 4-bis, d.lgs. n. 286 del 1998, stabilisce, ri-spetto ai soggetti raggiunti da gravi indizi di colpevolezza pertaluni delitti, una duplice presunzione: relativa, quanto allasussistenza delle esigenze cautelari, e assoluta, quanto allascelta della misura, reputando il legislatore adeguata, ove lapresunzione relativa non risulti vinta, unicamente la custodiacautelare in carcere, senza alcuna possibile alternativa.È, d’altronde, insegnamento tradizionale della giurisprudenzadel giudice delle leggi che «le presunzioni assolute, speciequando limitano un diritto fondamentale della persona, viola-no il principio di eguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali,cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati,

riassunti nella formula dell’id quod plerumque accidit» e che«l’irragionevolezza della presunzione assoluta si può coglieretutte le volte in cui sia “agevole” formulare ipotesi di accadi-menti reali contrari alla generalizzazione posta a base dellapresunzione stessa» (Corte cost. n. 139 del 2010). Una simile evenienza è stata riscontrata in rapporto alla pre-sunzione assoluta in questione, nella parte in cui era riferitaai delitti a sfondo sessuale prima indicati (Corte cost. n. 265del 2010), all’omicidio volontario (Corte cost. n. 164 del2011), all’associazione finalizzata al narcotraffico (Corte cost.n. 231 del 2011) e alle figure di favoreggiamento delle immi-grazioni illegali richiamate dall’art. 12, comma 4-bis, d.lgs. n.286 del 1998 (Corte cost. n. 331 del 2011). A tali figure delit-tuose non poteva, infatti, estendersi la ratio giustificativa delregime derogatorio già ravvisata per i delitti di mafia (i soliconsiderati dall’art. 275, comma 3, c.p.p. anteriormente allanovella legislativa del 2009: cfr. Corte cost. n. 450 del 1995),considerando che dalla struttura stessa della fattispecie edalle sue connotazioni criminologiche deriva, nella generalitàdei casi e secondo una regola di esperienza sufficientemen-te condivisa, un’esigenza cautelare alla cui soddisfazione sa-rebbe adeguata solo la custodia in carcere, non essendo lemisure “minori” sufficienti a troncare i rapporti tra l’indiziatoe l’ambito delinquenziale di appartenenza, neutralizzandonela pericolosità. Connotazioni analoghe - prosegue ancora la Corte - non era-no ravvisabili rispetto alle figure criminose sopra elencate,che abbracciano fatti marcatamente eterogenei tra loro e su-scettibili di proporre, in un numero non marginale di casi, esi-genze cautelari adeguatamente fronteggiabili con misure di-verse e meno afflittive di quella carceraria. La Corte ha rite-nuto, quindi, che l’art. 275, comma 3, c.p.p. (così come l’art.12, comma 4-bis, d.lgs. n. 286 del 1998) violasse, in partequa, sia l’art. 3 Cost., per l’ingiustificata parificazione ai delit-ti di mafia e per l’irrazionale assoggettamento a un medesi-mo regime cautelare dei diversi fatti riconducibili alle indica-te figure criminose; sia l’art. 13, comma 1, Cost., quale refe-rente fondamentale del regime ordinario delle misure caute-lari privative della libertà personale; sia, infine, l’art. 27, com-ma 2, Cost., per essere attribuiti alla coercizione processua-le tratti funzionali tipici della pena. Ai fini del controllo di costituzionalità qui operato, particolar-mente significativa si è palesata la sentenza n. 231 del 2011,con la quale è stata dichiarata illegittima la presunzione dequa in riferimento a una fattispecie associativa. Con tale pro-nuncia, infatti, la Corte ha avuto modo di porre in evidenzache il delitto di associazione di tipo mafioso è «normativa-mente connotato - di riflesso a un dato empirico-sociologico- come quello in cui il vincolo associativo esprime una forzadi intimidazione e condizioni di assoggettamento e di omer-tà, che da quella derivano, per conseguire determinati fini il-leciti». Caratteristica essenziale - prosegue la Corte - è pro-prio tale specificità del vincolo, che, sul piano concreto, im-plica ed è suscettibile di produrre, da un lato, una solida epermanente adesione tra gli associati, una rigida organizza-zione gerarchica, una rete di collegamenti e un radicamentoterritoriale e, dall’altro, una diffusività dei risultati illeciti, a suavolta produttiva di accrescimento della forza intimidatrice delsodalizio criminoso. Sono tali peculiari connotazioni a fornireuna congrua “base statistica” alla presunzione considerata,rendendo ragionevole la convinzione che, nella generalità deicasi, le esigenze cautelari derivanti dal delitto in questionenon possano venire adeguatamente fronteggiate se non conla misura carceraria, in quanto idonea - per valersi delle paro-le della Corte europea dei diritti dell’uomo - «a tagliare i lega-

Diritto penale e processo 6/2012672

OsservatorioCorte costituzionale

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mi esistenti tra le persone interessate e il loro ambito crimi-nale di origine», minimizzando «il rischio che esse manten-gano contatti personali con le strutture delle organizzazionicriminali e possano commettere nel frattempo delitti» (Cortee.d.u., 6 novembre 2003, Pantano c. Italia). La sentenza n.231 del 2011 ha escluso che altrettanto possa dirsi per il de-litto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanzestupefacenti o psicotrope, che si concreta «in una forma spe-ciale del delitto di associazione per delinquere, qualificataunicamente dalla natura dei reati-fine (i delitti previsti dall’art.73 del d.P.R. n. 309 del 1990)»; si tratta, dunque, di «fatti-specie, per così dire, “aperta”, che, descrivendo in definitivasolo lo scopo dell’associazione e non anche specifiche quali-tà di essa, si presta a qualificare penalmente fatti e situazio-ni in concreto i più diversi ed eterogenei». Questa premessa costituisce la piattaforma per la diagnosi diillegittimità costituzionale della norma qui sottoposta a scru-tinio: anche in ordine al delitto di associazione per delinquererealizzato allo scopo di commettere i reati di cui agli artt. 473e 474 c.p. si pongono problemi analoghi a quelli posti a basedelle precedenti declaratorie di incostituzionalità dell’art.275, comma 3, secondo periodo, c.p.p. Anche, invero, alla fi-gura criminosa individuata dal giudice a quo, incentrata sullanorma incriminatrice “generale” dell’associazione per delin-quere dettata dall’art. 416 c.p., è confacente la definizione difattispecie “aperta”, qualificata solo dalla tipologia dei reati-fine (i delitti di cui agli artt. 473 e 474 c.p.) e non già da spe-cifiche connotazioni dell’associazione stessa. In particolare -prosegue qui la Corte - il paradigma legale della figura crimi-nosa in esame è del tutto svincolato da quelle connotazioninormative (la forza intimidatrice del vincolo associativo e lacondizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva)proprie dell’associazione di tipo mafioso e in grado di fornire,con riguardo ad essa, una congrua “base statistica” alla pre-sunzione in esame. All’associazione per delinquere realizzataallo scopo di commettere i reati di cui agli artt. 473 e 474 c.p.sono, dunque, riconducibili fattispecie concrete diverse, co-me è confermato da alcuni orientamenti della Corte di cassa-zione, che per la configurazione del reato ex art. 416 c.p. haritenuto sufficiente ora l’esistenza di strutture anche rudi-mentali (cfr. Cass., Sez. VI, 15 giugno 2011, n. 25698), ora losvolgimento dell’attività associativa per un breve periodo(cfr. Cass., Sez. V, 5 maggio 2009, n. 31149). Risulta, dun-que, corretta la tesi del rimettente, secondo cui nella fatti-specie in esame fanno difetto le caratteristiche che hannocondotto la Corte a ritenere legittimo il regime cautelare spe-ciale per i reati di mafia.Deve escludersi, peraltro, ad avviso della Corte, che l’inseri-mento dell’associazione per delinquere realizzata allo scopodi commettere i reati di cui agli artt. 473 e 474 c.p. tra i reatiindicati dall’art. 51, comma 3-bis, c.p.p. sia idoneo a offrire le-gittimazione costituzionale alla norma in esame: la Corte ha,infatti, chiarito che la disciplina stabilita dall’art. 51, comma 3-bis, c.p.p. risponde a «una logica distinta ed eccentrica ri-spetto a quella sottesa alla disposizione sottoposta a scruti-nio», trattandosi di una norma «ispirata da ragioni di opportu-nità organizzativa degli uffici del pubblico ministero, anche inrelazione alla tipicità e alla qualità delle tecniche di indagine ri-chieste da taluni reati, ma che non consentono inferenze inmateria di esigenze cautelari, tantomeno al fine di omologa-re quelle relative a tutti procedimenti per i quali quella dero-ga è stabilita» (Corte cost. n. 231 del 2011).Ciò che, d’altronde, vulnera i parametri di cui agli artt. 13,comma 1, e 27, comma 2, Cost. non è la presunzione in sé,ma il suo carattere assoluto, che implica un’indiscriminata e

totale negazione di rilievo al principio del «minore sacrificionecessario»; la previsione, invece, di una presunzione solorelativa di adeguatezza della custodia carceraria - atta a rea-lizzare una semplificazione del procedimento probatorio sug-gerita da aspetti ricorrenti del fenomeno criminoso conside-rato, ma comunque superabile da elementi di segno contra-rio - non eccede i limiti di compatibilità costituzionale, rima-nendo per tale verso non censurabile l’apprezzamento legi-slativo circa l’ordinaria configurabilità di esigenze cautelarinel grado più intenso (Corte cost. n. 331, n. 231 e n. 164 del2011, e n. 265 del 2010).

I precedentiLa decisione costituisce un ulteriore sviluppo della serie dideclaratorie di incostituzionalità dischiusa da Corte cost. n.265 del 2010 (in questa Rivista, 2010, 1150) e proseguita conle sentenze n. 164 del 2011 (ivi, 2011, 673), n. 231 del 2011(ibid., 937) e n. 331 del 2011 (ivi, 2012, 25).

La dottrinaSu Corte cost. n. 265 del 2010 cfr., tra gli altri, P. Tonini, LaConsulta pone limiti alla presunzione di adeguatezza della cu-stodia cautelare in carcere, in questa Rivista, 2010, 949 ss.;su Corte cost. n. 164 del 2011 cfr. P. Balducci, Custodia cau-telare in carcere e omicidio volontario: la Consulta eliminal’obbligatorietà, ivi, 2011, 1218 ss.; su Corte cost. n. 231 del2011 cfr., tra gli altri, G. Tabasco, Illegittima l’obbligatorietàdella custodia carceraria per il traffico illecito di sostanze stu-pefacenti, ivi, 2012, 171 ss.

Diritto penale e processo 6/2012 673

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Diritto penale e processo 6/2012674

OsservatorioCorte di cassazione - Sezioni Unite

SEQUESTRO E CONFISCA DELL’AUTOVETTURA

IN LEASING

Cassazione penale, Sez. Un., 17 aprile 2012 (c.c. 19 gen-naio 2012) n. 14484 - Pres. Lupo - Rel. Galbiati - P.M. Fe-deli (conf.) - Ric. P.M. c Sforza

L’autovettura condotta in stato di ebbrezza dall’indaga-

to, ed utilizzata in virtù di un contratto di leasing, è da ri-

tenersi cosa appartenente a persona estranea al reato,

con conseguente diritto della società di leasing a chiede-

re la restituzione dell’auto sottoposta a sequestro in vi-

sta della confisca.

Il casoCon ordinanza n. 37953 del 27 settembre 2011, la IV sezionepenale aveva ritenuto necessario l’intervento delle sezioniunite onde prevenire un possibile contrasto di giurispruden-za in ordine alla questione se l’autovettura condotta in statodi ebbrezza dall’indagato e da questi utilizzata in forza di uncontratto di leasing, fosse da ritenere cosa appartenente apersona estranea al reato e se, pertanto, la società di leasingconcedente avesse titolo a chiedere la restituzione dell’auto-vettura sottoposta a sequestro in vista della confisca (1).In merito in alcune decisioni di legittimità risultava affermatala possibilità di confiscare in tale caso l’auto utilizzata, sullaconsiderazione che un bene detenuto in forza di un contrattodi leasing appartiene al soggetto al quale è stata attribuita lamateriale disponibilità del bene stesso; in proposito venivaattribuito al concetto di appartenenza un significato non diproprietà di una res, bensì del diritto di goderne e dispornesulla base di un titolo che esclude i terzi. Sempre in questaottica altre decisioni giungevano a conclusioni analoghe, rite-nendo che fosse possibile la confisca della res utilizzata invirtù di contratto di locazione finanziaria, ma non perché al-l’utilizzatore era riconosciuta l’“appartenenza”, ma perché ilconcedente non poteva considerarsi in buona fede e, quindi,non estraneo al reato. Nella giurisprudenza era peraltro presente un altro orienta-mento che tendeva a riconoscere come pieno il diritto di pro-prietà del concedente ed ad escludere di conseguenza unrapporto di appartenenza con la res da parte dell’utilizzatore.

La decisioneLa soluzione della questione è passata attraverso la puntua-lizzazione di una serie di principi. Il primo di questi è consisti-to nella precisazione della natura dell’istituto della confisca inquesta materia. La Corte ha sul punto ricordato la sentenza 4giugno 2010, n. 196 della Corte costituzionale, che ha ritenu-

to la natura essenzialmente sanzionatoria e repressiva dellaconfisca, escludendone il carattere di misura di sicurezza pa-trimoniale; così come la decisione delle Sezioni Unite penalidella Corte di cassazione (sentenza n. 23428 del 25 febbraio2010, Caligo, in questo Osservatorio 2010, 8, 933), per laquale la confisca doveva essere qualificata come sanzionepenale accessoria con la conseguente identificazione del-l’ambito temporale di applicazione ai sensi dell’art. 2, c.p.Arresti che la decisione ha letto alla luce dell’art. 33, l. 29 lu-glio 2010, n. 120, che ha introdotto consistenti modifiche agliartt. 186 e 187 del codice della strada; in base alle quali deveora ritenersi che la confisca abbia natura amministrativa, an-che se con connotazioni parimenti afflittive e repressive, at-teso che il legislatore ha introdotto un mutamento di qualifi-ca giuridica, ma il fatto permane nella sua configurazione co-me reato e muta solo la natura della sanzione accessoria.Altro aspetto puntualizzato dalla decisione in commento èquello relativo ai procedimenti pendenti, ai quali, in mancan-za di norme transitorie, sono applicabili i principi del tempusregit actum e della perpetuatio iurisdictionis, nel senso che leprocedure di sequestro e di confisca dei mezzi eseguite pri-ma dell’entrata in vigore della l. n. 120 del 2010 sono legitti-me ed il relativo iter va esaurito.Il successivo passaggio motivazionale ha riguardato l’indivi-duazione delle caratteristiche del contratto atipico di leasing,che, come è noto, si distingue il “leasing finanziario” (o di go-dimento) con la funzione di finanziamento dell’utilizzatore delbene mediante la messa a disposizione in favore di questo diuna res senza erogazione del prezzo in un’unica soluzione, e“leasing traslativo”, ove il canone si configura come un’anti-cipata corresponsione di una parte del prezzo per l’acquistodella proprietà del bene alla scadenza del contratto. Peraltroin entrambe le tipologie principali del contratto di leasing, iltrasferimento della proprietà del bene dal concedente all’uti-lizzatore ha luogo con il pagamento dell’ultima rata e del re-siduo prezzo di acquisto.La ulteriore puntualizzazione è avvenuta sul rapporto che de-ve intercorrere tra colui che guida in stato di ebbrezza ed ilmezzo da lui usato, preso atto che l’orientamento giurispru-denziale consolidato in sede penale fa riferimento ad una no-zione di appartenenza di più ampia portata rispetto al solo di-ritto di proprietà, ricomprendendo i diritti reali di godimento e

GUIDA IN STATO DI EBBREZZA

Osservatorio Corte di cassazione - Sezioni Unitea cura di Alfredo Montagna

Nota:

(1) Al comma 2, lett. c) dell’art. 186 del codice della strada è pre-visto, per quanto qui interessa, che: «con la sentenza di con-danna ovvero di applicazione della pena a richiesta delle parti,anche se è stata applicata la sospensione condizionale della pe-na, è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è sta-to commesso il reato, ai sensi dell’art. 240, secondo comma delcodice penale, salvo che il veicolo appartenga a persona estra-nea al reato» (corsivo nostro).

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di garanzia che i terzi hanno sul bene. Ovviamente fermo re-stando che condizione per escludere la confiscabilità del be-ne è l’estraneità al reato del soggetto cui appartiene il veico-lo.Ed è alla luce di tali presupposti che la decisione evidenziacome il leasing presenti delle peculiarità in ordine alla riparti-zione dei rischi connessi alla circolazione stradale del veicoloed all’individuazione del soggetto che ha concrete possibilitàdi regolamentare la circolazione stessa, con evidenti ricadutein termini di responsabilità.Anche il piano sopranazionale, si è aggiunto in motivazione,offre ulteriori elementi per la soluzione della questione, inquanto la Corte di Strasburgo ha riconosciuto alla confisca,anche se di natura amministrativa secondo la configurazionedi diritto interno, la qualifica di pena ai sensi dell’art. 7 CEDU.Ed il citato art. 7 CEDU esige, per punire e cioè per l’irroga-zione di una pena e quindi anche della misura della confisca,la ricorrenza di un legame di natura intellettuale (coscienza evolontà) che permetta di rilevare un elemento di responsabi-lità nella condotta del soggetto cui viene applicata una san-zione sostanzialmente penale.Le Sezioni Unite hanno pertanto affermato che dal sopra ri-costruito inquadramento degli istituti in esame, da applicarealla luce della interpretazione della Convenzione provenientedalla Corte di Strasburgo, emerge l’esclusione della legittimi-tà della confisca dell’autovettura condotta da soggetto in sta-to di ebbrezza per uso di alcool se la stessa risulta concessain leasing e quindi di proprietà del concedente nel corso delcontratto stesso, qualora il concedente sia pure estraneo alreato. Principio di diritto che può essere così sintetizzato:«non è confiscabile la vettura condotta in stato di ebbrezzadall’autore del reato, utilizzatore del veicolo in relazione acontratto di leasing, se il concedente, proprietario del mezzo,sia estraneo al reato».

I precedentiCass., Sez. III, 3 febbraio 2011, n. 13118, in Ced Cass.,249928; Cass., Sez. I, 7 luglio 2010, n. 33521, in Giur. it.,2011, 917; Cass., Sez. IV, 11 febbraio 2010, n. 10688, in CedCass., 246505; Cass., Sez. III, 12 dicembre 2007, n. 4746,ivi, 238786; Cass., Sez. I, 21 aprile 2004, n. 21860, ivi,228512.

La dottrinaSerra, voce Leasing, in Il diritto enciclopedia giuridica del so-le 24 ore, 2007, 670; Napolitano, Problemi in tema di confi-sca; la “disponibilità” del bene in leasing e l’accertamentodella “buona fede” nella tutela del “terzo estraneo”, in Giur.it., 2011, 918; Aprea, Confisca di beni in leasing, in Giur. it.,2010, 2630; Natalini, Il diritto a godere del bene in via esclu-siva consente l’applicazione della misura cautelare, in Guidaal diritto, 2010, 16, 90.

MOMENTO DELLA PENDENZA DELL’APPELLO DOPO

UNA SENTENZA DI ASSOLUZIONE

Cassazione penale, Sez. Un., 24 aprile 2012 (p.u. 24 no-vembre 2011), n. 15933 - Pres. Lupo - Rel. Ippolito - P.M.Fedeli (diff.) - Ric. P.G. in proc. Rancan

Ai fini dell’operatività delle disposizioni transitorie della

nuova disciplina della prescrizione, la pronuncia della

sentenza di primo grado, indipendentemente dall’esito

di condanna o di assoluzione, determina la pendenza in

grado d’appello del procedimento, ostativa all’applica-

zione retroattiva delle norme più favorevoli.

Il casoCon ordinanza del 22 febbraio 2011, depositata il 9 marzo2011, n. 9332, la sesta sezione aveva rimesso alle SezioniUnite la questione di quale fosse, ai fini dell’applicazione deltrattamento più favorevole previsto dalle disposizioni transi-torie della legge di modifica dei termini di prescrizione deireati, il momento di inizio della pendenza in grado di appellodel processo nell’ipotesi in cui fosse stata pronunciata in pri-mo grado sentenza di assoluzione. Sul caso specifico eranointervenute, con opposte soluzioni, due decisioni della Su-prema Corte. Nella prima il momento di separazione tra i due gradi di giu-dizio, rilevante ai fini dell’operatività della norma transitoria intema di prescrizione (art. 10, l. 5 dicembre 2005, n. 251, co-me risultante all’esito della sentenza 23 novembre 2006, n.393 della Corte costituzionale) veniva individuato comunquenella pronunzia della sentenza da parte del giudice di primecure, analogamente a quanto stabilito dalle Sezioni UniteD’Amato (Sez. Un., n. 47008 del 29 ottobre 2009, dep. 10 di-cembre 2009) con riferimento alla fattispecie della condannain primo grado.La seconda decisione aveva ritenuto di individuare il mo-mento della pendenza dell’appello con l’emissione del de-creto che ne dispone il giudizio, in quanto primo atto succes-sivo alla conclusione del giudizio di primo grado, ritenendoche nel caso di giudizio concluso con l’assoluzione, la ricercadi un atto idoneo ad interrompere la prescrizione, come di-scriminante ai fini dell’applicazione dell’art. 10, comma 3, l. n.251 del 2005, sarebbe stata imposta dalla lettura della moti-vazione della sentenza n. 393 del 2006 della Corte costitu-zionale, che a tale natura fa riferimento (il decreto di citazio-ne per il giudizio d’appello è annoverato tra gli atti interruttividella prescrizione dall’art. 160 c.p. ed anzi rappresenta il pri-mo atto in sequenza procedimentale che presenta tale carat-tere dopo la sentenza di assoluzione, che tale carattere nonriveste). In conseguenza veniva ipotizzato un assetto a “geo-metria variabile” della nozione di «procedimenti già penden-ti in grado di appello», a seconda che il giudizio di primo gra-do si sia concluso con sentenza di condanna ovvero di asso-luzione; ciò giustificando per il che «si tratta di definire la“pendenza” non in termini assoluti, ma in relazione ad unanorma intertemporale, …, letta ed interpretata alla luce delleindicazioni provenienti dalla giurisprudenza costituzionale».

La decisioneNella propria decisione le Sezioni Unite hanno preliminar-mente ricordato gli arresti delle stesse sezioni unite in temadi definizione dell’ambito dell’effetto modificativo, nell’ordi-namento giuridico, delle pronunce della Corte costituzionale,dichiarative della illegittimità di una norma, ricordando comesia stato in proposito precisato che gli effetti di tali pronuncevanno individuati non soltanto alla stregua del dispositivo, maanche della motivazione. Su tale presupposto la decisione haevidenziato come la Corte costituzionale, in relazione allanorma transitoria posta dall’art. 10, comma 3, l. n. 251 del2005, ha individuato la giustificazione di tale deroga nell’esi-stenza di «interessi di non minore rilevanza» idonei a contro-bilanciare il principio della retroattività della lex mitior; ciò evi-denziando che la generalizzata applicazione retroattiva dei

PRESCRIZIONE

Diritto penale e processo 6/2012 675

OsservatorioCorte di cassazione - Sezioni Unite

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nuovi più brevi termini di prescrizione avrebbe provocatol’estinzione su larga scala di processi relativi anche a gravidelitti. Questa risulta pertanto la ragione di fondo che emer-ge dalla sentenza n. 393 del 2006, come dai successivi inter-venti (Corte cost., nn. 78 del 2008; 236 e 314 del 2011) concui la Corte costituzionale ha ritenuto legittima la ragione po-sta a fondamento della norma transitoria introdotta con l’art.10, comma 3, l. n. 251 del 2005, volta a bilanciare il passag-gio dalla vecchia alla nuova disciplina sui termini di prescri-zione sulla base dello stato di avanzamento del processo pe-nale.In questa ottica la Corte costituzionale non ha riscritto la nor-ma transitoria, ma si è limitata a demolire la parte ritenuta in-costituzionale, con la conseguenza che la norma risultante al-l’esito di tale intervento stabilisce che la disciplina prescrizio-nale più favorevole si applica ai processi in corso, ad esclu-sione dei processi pendenti in grado di appello o davanti allaCorte di cassazione, ovvero non si applica ai processi che almomento dell’entrata in vigore della l. n. 251 del 2005 (8 di-cembre 2005) erano ancora pendenti in primo grado.Una volta definiti tali presupposti la Corte ha affrontato il te-ma più specifico sottoposto al proprio esame, ricordando chel’apertura del dibattimento non costituisce un momento in-defettibile in ogni processo di primo grado e non rappresen-ta il momento significativo in relazione al complesso delle ra-gioni che costituiscono il fondamento dell’istituto della pre-scrizione, mentre individuare quando non è più pendente ilgiudizio di primo grado, non può che significare individuare ilmomento di conclusione, che non può che fissarsi nella sen-tenza di primo grado, quale che ne sia l’esito.La decisione individua così la sentenza conclusiva del pro-cesso di primo grado come spartiacque nell’applicazione del-le due discipline considerate dalla norma transitoria, esclu-dendo che il discrimine possa essere costituito sia dalla pro-

posizione dell’impugnazione sia dall’iscrizione del processonel registro del giudice di secondo grado, giacché nel primocaso ci si affiderebbe al comportamento delle parti, e nel se-condo ad un mero adempimento amministrativo.Peraltro, si evidenzia in motivazione, tali considerazioni van-no estese anche all’ipotesi di sentenza assolutoria di primogrado, in quanto non vi sono ragioni che consentano un’in-terpretazione a “geometria variabile”.In conclusione, le Sezioni Unite hanno affermato il seguenteprincipio di diritto: «ai fini dell’operatività delle disposizionitransitorie della nuova disciplina della prescrizione, la pro-nuncia della sentenza di primo grado, indipendentementedall’esito di condanna o di assoluzione, determina la penden-za in grado d’appello del procedimento, ostativa all’applica-zione retroattiva delle norme più favorevoli».

I precedenti Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2009, dep. 10 dicembre 2009, n.47008, D’Amato; Cass., Sez. III, 6 marzo 2008, dep. 8 mag-gio 2008, n. 18765, Brignoli, in Ced Cass., 239868; Cass.,Sez. VI, del 25 novembre 2008, dep. 18 febbraio 2009, n.7112, Perrone, ivi, 242421.

La dottrinaBeltrani, Prescrizione: retroattività della lex mitior e penden-za del processo in grado d’appello, in questa Rivista, 2010, 6,699; Mazzotta, Intervento risolutivo delle sezioni unite sulla“pendenza del processo in grado d’appello”, in questa Rivi-sta, 2010, 7, 864; Gabrielli, Per le Sezioni Unite il processopende in grado d’appello sin dalla lettura della sentenza dicondanna: un assunto meritevole di ripensamento, in Cass.pen., 2010, 1750; Mazza, Il diritto intertemporale e la disci-plina della prescrizione: solo questioni interpretative?, inCass. pen., 2009, 127.

Diritto penale e processo 6/2012676

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Diritto penale e processo 6/2012 677

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MALTRATTAMENTO DI ANIMALI

Cassazione penale, Sez. III, 26 marzo 2012 (u.p. 6 marzo2012), n. 11606 - Pres. Squassoni - Rel. Ramacci - P.G.Spinaci (conf.) - C.V.

L’art. 19-ter disp. coord. c.p non esclude l’applicabilità

delle disposizioni del Titolo IX-bis del libro secondo c.p.

all’attività circense ed alle altre attività ivi menzionate,

ma esclusivamente a quelle svolte nel rispetto delle nor-

mative speciali che espressamente le disciplinano.

Il casoIl Tribunale di Pistoia, sezione distaccata di MonsummanoTerme, mandava assolto l’imputato, perché il fatto non èprevisto dalla legge come reato, dal delitto di cui all’art. 544-ter c.p., a lui contestato perché, quale gestore e titolare diun’attività circense, senza necessità, ovvero con condotteomissive derivanti da incuria e inosservanza dei principi ri-conducibili alle caratteristiche etologiche delle singole spe-cie animali, aveva cagionato lesioni a quelli detenuti e, inparticolare, per aver provocato agli stessi uno stato di gravesofferenza e decadimento dello stato di salute e, ad alcunivolatili, vere e proprie lesioni dell’integrità psicofisica e peraver detenuto ed adibito a spettacoli detti animali in condi-zioni incompatibili con la loro natura, procurando loro gravisofferenze. Secondo il giudice, l’art. 19-ter disp. coord. c.p.,introdotto dalla l. 20 luglio 2004, n. 189 - a tenore del quale«le disposizioni del titolo IX-bis del libro II del codice penalenon si applicano ai casi previsti dalle leggi speciali in materiadi caccia, di pesca, di allevamento, di trasporto, di macella-zione degli animali, di sperimentazione scientifica sugli stes-si, di attività circense, di giardini zoologici, nonché dalle altreleggi speciali in materia di animali. Le disposizioni del titoloIX-bis del libro II del codice penale non si applicano altresì al-le manifestazioni storiche e culturali autorizzate dalla regio-ne competente» - costituisce una vera e propria immunità,normativamente prevista, per i reati di cui al Titolo IX-bis dellibro secondo del codice penale. Nel ricorrere per cassazio-ne, il p.m. denunciava la violazione di legge con riguardo al-l’art. 19-ter disp. coord. c.p.

La decisioneLa Suprema Corte ha accolto il ricorso. La Cassazione ha evi-denziato che l’eccezione prevista dall’art. 19-ter disp. coord.c.p. «deve ritenersi operante solo nel caso in cui le attività inessa menzionate vengano svolte entro l’ambito di operativitàdelle disposizioni che le disciplinano e che ogni comporta-mento che esuli da tale ambito è suscettibile di essere pe-

nalmente valutato». Invero, la ratio ispiratrice della norma «èquella di escludere l’applicabilità delle norme penali poste atutela degli animali con riferimento ad attività obbiettivamen-te lesive della loro vita o salute a condizione che siano svoltenel rispetto delle normative speciali che le disciplinano per-ché considerate socialmente adeguate al consesso umano».Tra i casi richiamati dall’art. 19-ter disp. coord. c.p. rientra l’at-tività circense, la quale risulta disciplinata, in primo luogo,dalla l. 18 marzo 1968, n. 337 recante “Disposizioni sui circhiequestri e sullo spettacolo viaggiante”, «che riconosce a ta-le attività una funzione sociale, sostenendo il consolidamen-to e lo sviluppo del settore (articolo 1) e fornisce la definizio-ne di “spettacoli viaggianti”, individuando come tali le “atti-vità spettacolari, i trattenimenti e le attrazioni allestiti a mez-zo di attrezzature mobili, all’aperto o al chiuso, ovvero i parchipermanenti, anche se in maniera stabile” ed escludendo gliapparecchi automatici e semi-automatici da trattenimento».La legge, peraltro, non disciplina gli aspetti concernenti la de-tenzione degli animali. Peraltro, l’art. 6, comma 6, l. 7 febbra-io 1992, n. 150, autorizza la detenzione di animali pericolosiai circhi ed alle mostre faunistiche permanenti o viaggianti,dichiarati idonei dalle autorità competenti in materia di salutee incolumità pubblica, sulla base dei criteri generali fissatipreviamente dalla commissione scientifica competente, laquale ha fornito “linee guida per il mantenimento degli ani-mali nei circhi e nelle mostre itineranti”; si tratta di normeche costituiscono un «utile criterio di riferimento per even-tuali valutazioni anche riguardanti il rilievo penale di determi-nate modalità di detenzione». Inoltre, l’art. 5, comma 5-bis,impone ai circhi la tenuta del registro di detenzione delle spe-cie animali. Altre disposizioni cui devono attenersi gli eser-centi l’attività circense svolta mediante utilizzo di animali sirinvengono nel d.lgs. 5 luglio 2007, n. 151, recante “Disposi-zioni sanzionatorie per la violazione delle disposizioni del re-golamento (CE) n. 1/2005 sulla protezione degli animali du-rante il trasporto e le operazioni correlate”, e nel Regola-mento (CE) n. 1739/2005 della Commissione, del 21 ottobre2005, che stabilisce norme sanitarie per la circolazione deglianimali da circo tra gli Stati membri. La Corte ha sottolineatoche i testi normativi poc’anzi indicati, non solo non contem-plano tutte le specie animali eventualmente utilizzate neglispettacoli circensi, ma prendono in considerazione «solo al-cune delle attività correlate all’utilizzo degli animali, come iltrasporto o la mera detenzione, tralasciandone altre certa-mente non secondarie, come nel caso dell’addestramento,in occasione del quale la violazione delle disposizioni penaliposte a tutela degli animali potrebbe comunque verificarsi».In altri termini, il quadro normativo è frammentario e «sicura-mente inidoneo a delineare l’attività circense nel suo com-plesso»; di conseguenza, l’ambito di operatività dell’art. 19-ter disp. coord. c.p., «risulta particolarmente contenuto perquanto riguarda dette attività, lasciando così ampio spazio al-

DELITTI CONTRO IL SENTIMENTO DEGLI ANIMALI

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l’applicazione delle disposizioni penali di cui agli artt. 544-bise ss. c.p.». Questo, in conclusione, il principio di dirittoespresso dalla Cassazione: «l’art. 19-ter disp. coord. c.p nonesclude in ogni caso l’applicabilità delle disposizioni del Tito-lo IX-bis del Libro Secondo del codice penale all’attività cir-cense ed alle altre attività menzionate, ma esclusivamente aquelle svolte nel rispetto delle normative speciali che espres-samente le disciplinano». La sentenza è stata perciò annulla-ta con rinvio.

I precedentiNon risultano precedenti in termini. In relazione alla disciplinadell’attività venatoria, cfr. Cass., Sez. III, 30 ottobre 2009,Russo, in Ced Cass., 245261, la quale ha affermato che lenorme di cui alla l. n. 157 del 1992 non si pongono in rappor-to di specialità con tutte le disposizioni del codice penale, inquanto l’art. 19-ter disp. coord. c.p. richiama solo quelle di cuial Titolo IX-bis del libro secondo, senza alcun riferimento alleipotesi contravvenzionali di cui all’art. 727 c.p. come modifi-cato dalla l. n. 189 del 2004, rispetto al quale la diversa og-gettività giuridica e l’assenza di rapporto di specialità, con-sentono di ritenere il concorso con il reato di cui all’art. 30, l.n. 157 del 1992.

La dottrinaP. Ardia, La nuova legge sul maltrattamento degli animali:sanzioni e ammende per i combattimenti clandestini e perchi abbandona, in questa Rivista, 2004, 1462 ss.; A. Cossed-du, voce Maltrattamento di animali, in Dig. disc. pen., agg.,2000, 442 ss.; G.L. Gatta, Art. 544-bis, in E. Dolcini-G. Mari-nucci, Codice penale commentato, III ed., Milano, 2011,5036 ss.; P. Mazza, I reati contro il sentimento degli animali,in Dir. giur. agr. amb., 2004, 741 ss.; V. Pocar, Una nuova sen-sibilità per la tutela degli animali, in Cass. pen., 2006, 1957ss.; M. Sala, Maltrattamento e sofferenza animale: sul ne-cessario dialogo tra diritto penale ed etologia, in Corr. merito,2011, 727 ss.

LANCIO DI MATERIALE PERICOLOSO IN OCCASIONE

DI MANIFESTAZIONI SPORTIVE

Cassazione penale, Sez. III, 10 aprile 2012 (u.p. 28 febbra-io 2012), n. 13358 - Pres. Mannino - Rel. Lombardi - P.M.Spinaci (conf.) - B.F.

Per la sussistenza del reato di cui all’art. 6-bis, comma 1,

l. n. 401 del 1989 è sufficiente che l’azione sia potenzial-

mente idonea ad arrecare danno a terzi.

Non integra la circostanza attenuante della “folla in tu-

multo” l’aver agito in occasione di manifestazioni di

contrapposte tifoserie calcistiche.

Il casoLa Corte d’appello di Torino confermava la dichiarazione dicolpevolezza dell’imputato in ordine al reato di cui all’art. 6-bis, comma 1, l. 13 dicembre 1989, n. 401, a lui ascritto per-ché, in occasione dell’incontro di calcio valido per il campio-nato di serie A Torino-Juventus, sugli spalti del primo anellocurva nord effettuava un lancio di oggetti contundenti (nellaspecie, un seggiolino) all’indirizzo dei tifosi della Juventus.La Corte territoriale rigettava i motivi di gravame con i quali

l’appellante aveva chiesto di essere assolto dal reato per ca-renza del requisito della pericolosità della condotta posta inessere, sostenendo che l’imputato si era limitato a lanciareverso i vetri divisori un seggiolino, il quale era rimbalzatosenza colpire nessuno. Nel ricorrere per cassazione, la dife-sa denunciava, in primo luogo, l’insussistenza del reato permancanza, in concreto, del pericolo per le persone, non es-sendo possibile stabilire dove fosse atterrato il seggiolino ese vi fossero tifosi nel punto che ha raggiunto; inoltre insi-steva per l’applicazione delle circostanze attenuanti di cui al-l’art. 62, n. 2 - avendo l’imputato reagito al lancio di un seg-giolino dal quale era stato raggiunto, sicché vi era un rap-porto di causalità tra il fatto ingiusto altrui e la reazione postain essere - n. 3, dato che l’imputato aveva agito per sugge-stione della folla in tumulto - e n. 5 c.p., in quanto il reato dicui all’art. 6-bis ha natura plurioffensiva con conseguenteconfigurabilità dell’attenuante del fatto doloso della personaoffesa.

La decisioneLa Cassazione ha rigettato il ricorso. Quanto al motivo relati-vo all’insussistenza del reato per mancanza, in concreto, delpericolo per le persone, la Corte ha rimarcato che, sulla basedella ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito, l’im-putato era stato visto mentre lanciava un seggiolino all’indi-rizzo del settore occupato dalla tifoseria della Juventus, fattoche, ad avviso della Cassazione, «integra il requisito del con-creto pericolo per le persone a nulla rilevando il mancato ac-certamento della presenza di persone nel punto esatto in cuiil seggiolino ha raggiunto il suolo». Invero, «proprio per la na-tura di reato di pericolo è sufficiente che l’azione sia poten-zialmente idonea ad arrecare danni a terzi, così come ritenu-to dai giudici di merito». Quanto all’attenuante della provoca-zione, non solo i relativi presupposti fattuali non avevano for-mato oggetto di accertamento, ma, secondo la Corte territo-riale, l’imputato non aveva reagito verso il presunto offenso-re ma verso terzi. In relazione all’attenuante di cui al n. 3 del-l’art. 62 c.p., la Cassazione ha confermato la sentenza impu-gnata, la quale correttamente aveva escluso che le manife-stazioni di contrapposte tifoserie possano assimilarsi a quel-le di una folla in tumulto. Infine, la Suprema Corte ha ritenta-to corretta la mancata applicazione dell’attenuante di cui al n.5) dell’art. 62 c.p., in quanto il reato in esame «è contro l’or-dine pubblico con la conseguente insussistenza di una per-sona offesa privata».

I precedentiNon constano precedenti in termini. Sul rapporto di speciali-tà del reato di cui all’art. 6-bis l. n. 401 del 1989 rispetto al-l’ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 674 c.p. cfr. Cass., 20giugno 2007, n. 34576, in questa Rivista, 2008, 180.

La dottrinaL.M. Flamini, voce Violenza negli stadi, in Dig. disc. pen.,app., II, Torino, 2005, 1780 ss; M. Laudi, La nuova leggecontro la violenza negli stadi: un timido passo in avanti, inquesta Rivista, 2002, 277 ss.; Ead., Violenza negli stadi: lenuove misure di repressioni, ivi, 2003, 944 ss.; F. Palmero,Nuove norme contro la violenza negli stadi. Novità di dirittopenale sostanziale, ivi, 2006, 412 ss.; F. Pardini, Le modifi-che ai reati di detenzione e di lancio di oggetti contundenti,ivi, 2007, 732 ss.

DELITTI CONTRO L’ORDINE PUBBLICO

Diritto penale e processo 6/2012678

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VIOLAZIONE AGLI OBBLIGHI DI ASSISTENZA FAMILIARE

Cassazione penale, Sez. VI, 26 aprile 2012 (u.p. 28 marzo2012), n. 15952 - Pres. Agrò - Rel. Gramendola - P.G. Scar-daccione (diff.) - Ric. M.A.

Nel caso di figlio nato non in costanza di un matrimonio

legittimo, ma di una convivenza more uxorio, l’obbligo

di mantenimento, che incombe sul padre, presuppone la

rigorosa prova della filiazione, non essendo sufficienti le

sole dichiarazioni della madre.

Il casoCon sentenza confermata, in punto di responsabilità, dallaCorte d’appello di Firenze, l’imputato veniva condannato inrelazione al delitto di violazione degli obblighi di assistenza fa-miliare in danno del figlio minore ex art. 570, commi 1 e 2,c.p. Nel ricorrere per cassazione, tra i motivi la difesa denun-ciava la violazione della legge penale e il vizio di motivazionein riferimento alla valutazione della prova della qualifica sog-gettiva in capo all’imputato di padre naturale del minore, na-to non in costanza di un matrimonio legittimo, ma di una con-vivenza more uxorio, prova che i giudici del merito avevanoerroneamente fondato sulla sola deposizione della madre.

La decisioneLa Corte ha accolto il ricorso. Invero, ha evidenziato la Cas-sazione, la qualità di figlio legittimo o di figlio naturale nonpuò essere provata se non attraverso le forme stabilite dallalegge, mentre erroneamente il giudice del gravame si eraesclusivamente basato sulle dichiarazioni della madre di unpresunto riconoscimento del figlio - nato, come detto, non incostanza di un matrimonio legittimo, ma di una convivenzamore uxorio - da parte del padre. Mentre nell’ipotesi del mi-nore nato in costanza di un matrimonio, l’obbligazione, in ca-po al padre, di non far mancare i mezzi di sussistenza al mi-nore «sussiste in funzione della presunzione di paternità sta-bilita dal codice civile e si protrae fino all’esperimento consuccesso del disconoscimento della paternità, operativo pe-raltro ex nunc e non ex tunc», per contro nell’ipotesi del mi-nore nato non in costanza di matrimonio tale obbligazione, incapo al padre naturale, «presuppone la prova della filiazione,da acquisirsi o mediante l’atto di riconoscimento formale ov-vero mediante altro modo consentito, non esclusa eventual-mente l’applicazione della pregiudiziale di stato ai sensi e pergli effetti dell’art. 3 c.p.p.». Nel caso di specie, pertanto, la te-stimonianza della madre in ordine all’avvenuto riconoscimen-to del minore ad opera del padre naturale, non confortato daatti giudiziali e neppure da riscontri anagrafici, non costituivaelemento sufficiente a sostenere il giudizio di colpevolezzadell’imputato in ordine alla contestata inosservanza dell’ob-bligo di mantenimento. La sentenza è stata perciò annullatacon rinvio per un nuovo giudizio.

I precedentiNel senso che, ai fini dell’integrazione del delitto di vio-lazione degli obblighi di assistenza familiare, il disconosci-mento di paternità, sebbene accertato con sentenza passatain giudicato, opera ex nunc e non ex tunc, atteso che il rap-porto di discendenza cui fa riferimento la fattispecie incrimi-natrice è collegato ad una situazione ex lege, non alla filiazio-ne naturale, con la conseguenza che l’elemento materiale

del reato non può ritenersi cancellato dal successivo accerta-mento dell’inesistenza del rapporto di filiazione, cfr. Cass.,Sez. VI, 14 aprile 2008, R., in Ced Cass., 240557.

La dottrinaS. P. Bracchi, Art. 570 c.p. e decadenza o sospensione dellapotestà genitoriale, in Fam. pers. succ., 2001, 530 ss.; P.Cenci, Dovere di mantenimento dei figli, obbligo degli ali-menti e delitto di omessa prestazione dei mezzi di sussi-stenza, in Dir. famiglia, 1997, 1090 ss.; C. Foladore, Condi-zioni economiche del coniuge e violazione degli obblighi diassistenza familiare, in questa Rivista, 2002, 482 ss.; T. De-logu, Art. 570, in Cian-Oppo-Trabucchi, Commentario al dirit-to penale della famiglia, Padova 1995, 485 ss.; F. Fierro Cen-derelli, voce Violazione degli obblighi di assistenza familiare,in Enc. dir., XLVI, 1993, 767 ss.; S. Larizza, Violazione degliobblighi di assistenza familiare: i limiti della tutela penale, inCass. pen., 1997, 2723 ss.; P. Pittaro, Violazione degli obbli-ghi di assistenza familiare e disconoscimento di paternità, inFam. dir., 2008, 1147 ss.

ABUSIVA FOTOCOPIATURA DI OPERE DELL’INGEGNO

Cassazione penale, Sez. III, 12 aprile 2012 (u.p. 8 marzo2012), n. 13956 - Pres. Petti - Rel. Squassoni - P.M. Volpe(conf.) - Ric. C.M.

La riproduzione di singole opere dell’ingegno effettuata

mediante fotocopie, di cui all’art. 68, l. n. 633 del 1941, è

consentita solo se limitata al quindici per cento di ogni vo-

lume, se sia corrisposto un compenso forfettario a favore

degli aventi diritto e se effettuata per uso personale.

Sussiste il “fine di lucro”, richiesto dall’art. 171-ter, com-

ma 1, l. n. 633 del 1941, nel caso in cui l’abusiva riprodu-

zione avvenga in un esercizio aperto al pubblico, a favo-

re di clienti, per cui lo scopo di un guadagno economico

è insito nell’operazione commerciale.

Il casoIl Tribunale di Lecce mandava assolta l’imputata dal reatoprevisto dall’art. 171-ter, comma 1, lett. a), l. 22 aprile 1941,n. 633 a lei contestato per avere, quale titolare di una copi-steria, duplicato per uso non personale varie opere letterarietratte da cinquantacinque volumi. A sostegno della conclu-sione, il tribunale osservava come fosse carente la prova chele riproduzioni riguardassero una percentuale eccedente ilquindici per cento di ciascun libro. In accoglimento dell’ap-pello promosso dal p.m., la Corte territoriale di Lecce, ritene-va l’imputata responsabile del reato ascrittole, qualificato nel-l’ipotesi di cui all’art. 171-ter, comma 2, lett. b) l. n. 633 del1941; i giudici avevano rilevato come le copie non erano sta-te annotate nell’apposito registro della Siae (per cui non erastato corrisposto il dovuto pagamento agli aventi diritto) e leriproduzioni non fossero per uso personale, in quanto riguar-davano opere delle discipline più diverse (che non si giustifi-cavano con gli interessi culturali, neppure dedotti, dalla im-putata). Di conseguenza, stante l’assenza delle condizionistabilite dall’art. 68 per la liceità della condotta riproduttiva (lecopie non erano destinate ad uso personale e non era statoadempiuto il pagamento di un corrispettivo agli autori ed edi-tori degli scritti), poteva affermarsi che le copie fossero de-

DELITTI CONTRO LA FAMIGLIA

DIRITTO D’AUTORE

Diritto penale e processo 6/2012 679

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stinate a studenti universitari, i quali costituivano la clientelaprimaria dell’esercizio. Nel ricorrere per cassazione la difesadeduceva l’insussistenza del reato, difettando gli estremi og-gettivi e soggettivi.

La decisioneLa Corte ha rigettato il ricorso. Invero, ai sensi dell’art. 68, l. n.633 del 1941 «è consentita la riproduzione per uso personaledi opere dell’ingegno mediante fotocopiatura, o procedimentianaloghi, se limitata al quindici per cento di ogni volume ed ècorrisposto una compenso forfettario a favore degli aventi di-ritto». Pertanto, «la condotta di chi abusivamente riproduceopere letterarie tutelate dal diritto di autore “per uso non per-sonale” e “per trarne lucro” ha rilevanza penale ed è punita asensi dell’art. 171-ter, comma 1, lett. b). l. n. 644 del 1941»,ciò che i giudici avevano correttamente ritenuto sulla basedelle risultanze istruttorie. Quanto all’elemento soggettivo, laCorte ha dato atto della differenza tra “fine di profitto”, con-tenuto nell’originaria versione della norma in esame, e “finedi lucro”, introdotto nel testo con la l. n. 248 del 2000; nondi-meno, essa «non ha incidenza dal momento che la abusiva ri-produzione è avvenuta in un esercizio aperto al pubblico, a fa-vore di clienti, per cui lo scopo di un guadagno economico erainsito nella operazione commerciale».

I precedentiIn senso conforme, da ultimo, cfr. Cass., Sez. III, 11 maggio2010, Garneri, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2010, 979, secondocui l’abusiva riproduzione di opere letterarie tutelate dal dirit-to d’autore integra il reato previsto dall’art. 171-ter, comma1, lett. b), l. n. 633 del 1941, solo nel caso di uso non perso-nale ed in presenza del fine di profitto, configurandosi, in di-fetto, l’illecito amministrativo contemplato dall’art. 68 dellacitata legge (fattispecie in tema di sequestro probatorio ese-guito all’interno di una copisteria di alcune fotocopie di un li-bro che una cliente stava riproducendo per uso personale).

La dottrinaM. Fabiani, Pirateria libraria e tutela dell’industria editoriale,in Dir. aut., 1995, 288 ss.; A. R. Mantini, Brevi note in tema diabusiva riproduzione di opere altrui e ricettazione del rivendi-tore “consapevole”, in Giur. merito, 1997, 1031 ss.; P. Palla-dino, La tutela penale del diritto d’autore dopo la riforma, inquesta Rivista, 2002, 235 ss.; E. Svariati, Illecita riproduzionedi opere a stampa mediante fotocopiatura, in Cass. pen.,1996, 283 ss.

SMALTIMENTO ILLEGALE DI RIFIUTI

Cassazione penale, Sez. III, 12 aprile 2012 (u.p. 15 dicem-bre 2011), n. 13927 - Pres. Mannino - Rel. Rosi - P.G. Iaco-viello (diff.) - E.N.M.

In tema di smaltimento di rifiuti, il dirigente comunale

può essere chiamato a rispondere della costituzione di

un deposito di masse di alghe marine senza la prescritta

autorizzazione solo se tale attività rientra nella propria

competenza, con attribuzione dei relativi poteri.

Il casoIl Tribunale di Lecce condannava l’imputato per il reato di cui

agli artt. 110 e 81 c.p., 256, comma 1, lett. a), d.lgs. 3 aprile2006, n. 152 perché, in qualità di dirigente comunale, in con-corso con il titolare di un’impresa autorizzata alla raccolta edal trasporto di rifiuti e con il direttore di cantiere (assolti, in-vece, con la formula “perché il fatto non costituisce reato”),aveva costituito, senza autorizzazione, un deposito di massedi alghe marine, da qualificarsi come rifiuti organici, su un ter-reno di proprietà del Comune di Lecce. Nel ricorrere per cas-sazione, la difesa denunciava la violazione di legge, nonavendo il tribunale considerato la situazione di estrema ur-genza in cui l’imputato si era trovato ad operare.

La decisioneLa Suprema Corte ha accolto il ricorso. La Cassazione ha di-fatti affermato che «l’amministratore o il legale rappresen-tante di un ente non può essere automaticamente ritenutoresponsabile, a causa della carica ricoperta, di tutte le infra-zioni penali verificatesi nella gestione dell’ente, quando nel-l’ambito dell’ente l’attività funzionale sia stata preventiva-mente suddivisa in settori, rami o servizi, e che a ciascuno diessi siano in concreto preposti soggetti qualificati ed idonei,dotati della necessaria autonomia e dei poteri indispensabiliper la gestione completa degli affari di quel servizio». In par-ticolare, in tema di rifiuti, «anche a seguito dell’entrata in vi-gore dell’ordinamento degli enti locali (d.lgs. n. 267 del 2000,e successive integrazioni), che ha conferito ai dirigenti am-ministrativi autonomi poteri di organizzazione delle risorse,permane in capo al sindaco sia il compito di programmazionedell’attività di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, sia il pote-re di intervento nelle situazioni contingibili e urgenti; sia il do-vere di controllo sul corretto esercizio delle attività autorizza-te». Nel caso in esame, si era appurato che l’ufficio compe-tente a gestire il progetto relativo all’utilizzazione delle alghe(posidonea oceanica) era quello del settore Ambiente ed Uf-ficio Unico dei rifiuti, mentre l’imputato, preposto al settorePatrimonio e Strategie territoriali del Comune di Lecce, ave-va dato esecuzione all’ordinanza del Sindaco emessa nellasussistenza dei presupposti di necessità ed urgenza, con laquale si disponeva la rimozione del materiale che ostruivauna darsena per ripristinare la sicurezza e la navigabilità. Or-bene, se l’ordinanza non consentiva di eludere il rispetto del-la normativa che impone il rilascio di un’apposita autorizza-zione per quanto attiene al deposito di rifiuti, nondimeno taleprovvedimento si era limitato a disporre che l’imputato atti-vasse i poteri rientranti nelle proprie competenze per la ri-mozione dei rifiuti, ma non era chiaro se avesse disposto inordine al deposito ed all’eventuale successiva rimozione e/osmaltimento delle alghe; in ogni caso, l’ordinanza sindacalenon aveva conferito espressamente all’imputato poteri rien-tranti nelle funzioni del dirigente del Settore ambiente. Lasentenza impugnata non aveva fatto piena luce sui profili ine-renti la posizione di garanzia rivestita dall’imputato, chiamatoa rispondere di deposito abusivo di rifiuti per non avere ri-chiesto le autorizzazioni quanto al deposito delle alghe, atte-so che la gestione dei rifiuti, come anche del progetto di uti-lizzare le alghe per contrastare i fenomeni erosivi delle spiag-ge, risultava invece direttamente riferibile alla competenzadel Settore ambientale del Comune e del suo dirigente. LaCassazione ha inoltre censurato il provvedimento impugnatoanche in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo;sebbene il reato in esame sia punibile a titolo di colpa, que-sta era stata desunta dalla mera consapevolezza che l’impu-tato aveva di operare in materia di rifiuti. Per contro, ha sot-tolineato la Corte, «nessun rimprovero può essere posto acarico del dirigente del Settore Patrimonio se allo stesso non

REATI AMBIENTALI

Diritto penale e processo 6/2012680

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siano stati conferiti i compiti specifici relativi alle procedure inmateria di rifiuti». E difatti «i dirigenti comunali possono es-sere titolari di posizioni di garanzia nello svolgimento deicompiti di gestione amministrativa a loro devoluti, residuan-do in capo al Sindaco unicamente poteri di sorveglianza econtrollo». La sentenza è stata annullata con rinvio.

I precedentiIn senso conforme circa la permanenza, in capo al sindaco, dicompiti di programmazione e di controllo dell’attività di smal-timento dei rifiuti solidi urbani, cfr., di recente, Cass., Sez. III,11 marzo 2009, Carboni, in Ced Cass., 243717, la quale, inun caso di avvenuta istituzione di un’isola ecologica per laraccolta di rifiuti non preceduta da alcuna autorizzazione, haritenuto che l’onere di richiedere tale autorizzazione incom-besse sul sindaco.

La dottrinaG. Amendola, Le ordinanze di urgenza nel nuovo decreto suirifiuti: una parola chiara della Cassazione, in Foro it., 1999, II,20 ss.; C. Bernasconi, Art. 256, comma 1, d.lgs. 3 aprile2006, n. 152, in F. Giunta, Codice commentato dei reati e de-gli illeciti ambientali, Padova, 2007, 200 ss:, L. Siracusa, Art.256 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, in A. Gaito-M. Ronco (a curadi), Leggi penali commentate, Torino, 2009, 107 ss.

BANCAROTTA FRAUDOLENTA PER DISTRAZIONE

Cassazione penale, Sez. V, 26 aprile 2012 (u.p.10 febbra-io 2012), n. 16000 - Pres. Scalera - Rel. Sabeone - P.G. Sta-bile (diff.) - Ric. D.P.

Anche a seguito delle modifiche apportate dalla legge n.

80 del 2005, al concordato preventivo si applicano le nor-

me penali in tema di bancarotta.

Per la sussistenza, in capo all’extraneus, del dolo di ban-

carotta fraudolenta per distrazione, occorre appurare la

conoscenza del concreto rischio di insolvenza, anche se

non qualificato da una specifica volontà di cagionare

danno ai creditori dell’imprenditore.

Il casoIl Tribunale di Milano applicava la misura cautelare personaledella detenzione in carcere nei confronti di un soggetto, in-dagato, quale beneficiario economico di operazioni poste inessere da legali rappresentanti della Fondazione, per alcunidelitti di bancarotta fraudolenta per distrazione in danno del-la Fondazione San Raffaele del Monte Tabor, ammessa alconcordato preventivo con decreto 27 ottobre 2011 del Tri-bunale di Milano. Tra i motivi di ricorso per cassazione, la di-fesa deduceva violazione di legge e un vizio di motivazione inordine alla ritenuta applicabilità delle norme penali in tema dibancarotta al concordato preventivo, a seguito della modificadi cui alla novella della l. n. 80 del 2005.

La decisioneIl ricorso è stato ritenuto fondato, nei limiti di seguito indicati.La Corte ha preso le mosse dalle modifiche che, di recente,hanno inciso sul concordato preventivo, istituto che mantieneconnotazioni di stampo sia privatistico, che pubblicistico. A se-guito delle novità introdotte dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, con-

vertito in l. 14 maggio 2005, n. 80, e dal d.lgs. 12 settembre2007, n. 169, in primo luogo il presupposto di accesso alla pro-cedura è ora «individuato nello stato di crisi dell’impresa, la cuinozione non è stata, peraltro, definita dal legislatore se nonper la precisazione contenuta nell’inedito nuovo testo dell’art.160, comma 2, l. fall., introdotto dal d.l. n. 273 del 2005 (con-vertito in l. n. 51 del 2006), secondo il cui ultimo comma “perstato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza”». E lo sta-to d’insolvenza, abbraccia «sia situazioni in cui l’impresa versinell’impossibilità di adempiere le obbligazioni in scadenza, siasituazioni di squilibrio irreversibile, sia situazioni in cui è age-volmente pronosticabile il verificarsi, nell’immediato, di uno ditali inconvenienti». Mentre l’amministrazione controllata ave-va come finalità primaria il risanamento dell’impresa e il ripri-stino della solvibilità in conseguenza del risanamento dell’im-presa, per contro il concordato preventivo «prescinde da qual-siasi idea di necessaria protrazione dell’attività imprenditorialeed è orientata ad assicurare effetti meramente liquidativi deicrediti attraverso qualsiasi forma ma in misura, di norma, fal-cidiata». In secondo luogo, a seguito sia dell’eliminazione, nel-l’articolo 160 l. fall., dei requisiti di meritevolezza per l’ammis-sione alla procedura, sia dell’esclusione di qualsiasi sindacatogiudiziale sul merito della proposta di concordato preventivo,la cui omologazione avviene per decreto sulla base della meraverifica del raggiungimento delle maggioranze prescritte nel-l’adunanza dei creditori e della regolarità formale della proce-dura seguita, ai sensi del nuovo art. 180 l. fall., «al debitore vie-ne concessa una più ampia autonomia nella scelta dei conte-nuti del piano concordatario e la possibilità di suddividere i cre-ditori in classi omogenee (all’interno delle quali devono esse-re raggiunte autonome maggioranze in sede di deliberazionedel concordato) cui proporre anche trattamenti differenziati eviene invece richiesto, dal nuovo testo dell’articolo 161 l. fall.,di asseverare la proposta attraverso la relazione di un profes-sionista che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilitàdel piano concordatario». Da ultimo, dall’art. 180 l. fall. è statoeliminato qualsiasi riferimento all’automatismo della conver-sione del concordato preventivo in fallimento, che ora è affi-data all’iniziativa dei creditori o del p.m., previa verifica dellostato d’insolvenza». Alla luce di siffatte modifiche, la naturadel concordato “riformato” «appare connotata ormai da unaprevalenza di elementi privatistici, che denunciano la volontàdi contrarre l’intervento statuale nella procedura anticipatola,rafforzando invece il ruolo di protagonisti di debitore e credito-ri». L’art. 236, comma 2, n. 1 l. fall. rende applicabili le disposi-zioni sulla bancarotta impropria all’ipotesi di concordato pre-ventivo, «avendo parificato, quanto agli effetti penali, il decre-to di ammissione al concordato preventivo alla sentenza di-chiarativa di fallimento». La Corte ha poi sottolineato che lefattispecie in esame si realizzano indipendentemente dallaeventuale successiva dichiarazione di fallimento; parificando ildecreto di ammissione al concordato preventivo, «non si è vo-luto che gravi comportamenti verificatisi prima, e anche in as-senza, del fallimento restassero impuniti, sicché esso vienead assumere la stessa funzione e a svolgere la stessa effica-cia della sentenza dichiarativa di fallimento nelle ipotesi ordi-narie di bancarotta». Inoltre, ai sensi dell’art. 238, comma 2, l.fall., il p.m. può anticipare l’esercizio dell’azione penale in rela-zione alle ipotesi, tassativamente indicate, di cui agli artt. 216,217, 223 e 224 l. fall. purché concorrano gravi motivi e esistao sia contemporaneamente presentata l’istanza di fallimento.Consentendo l’esercizio della attività repressiva penale primadella dichiarazione di fallimento, la norma rappresenta una de-roga ai principi generali, che trae la propria giustificazione «nel-la esigenza di interrompere comportamenti la cui protrazione,

REATI FALLIMENTARI

Diritto penale e processo 6/2012 681

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alta luce della già maturata insolvenza, renda definitivo o piùdannoso l’esito della condotta delittuosa, atteso quello che siprospetta come inevitabile ed imminente perfezionamentodel momento consumativo». Il legislatore ha quindi dato rilie-vo ai «meri profili di probabile lesione agli interessi dei credi-tori, in seno ad una condotta che è ancora carente del crismagiudiziale dichiarativo dell’insolvenza». Correttamente, pertan-to, il giudice di merito aveva ritenuto pienamente applicabile alconcordato preventivo le norme penali in tema di bancarotta.La Corte ha invece censurato l’ordinanza impugnata, nella par-te concernente la sussistenza del dolo del concorrente extra-neus nell’ambito del reato proprio di bancarotta per distrazio-ne. Poiché il dolo esige la conoscenza, in capo all’agente, del-lo stato di decozione dell’impresa, mentre per l’imprenditore,una prova del genere, è agevole, dato che ragionevolmentecostui ben conosce il proprio patrimonio, per il terzo estraneo,il quale non è in grado di valutare se l’uscita denaro possa cau-sare un «concreto e serio repentaglio agli interessi creditori,tanto più se il versamento sia finalizzato ad un (fondatamente)sperato e perseguito incremento della produttività e di profit-to», il giudice «deve giovarsi di una rigorosa dimostrazione delsufficiente contenuto rappresentativo dell’elemento psicolo-gico, focalizzato sul concreto rischio di insolvenza, anche senon qualificato da una specifica volontà di cagionare danno aicreditori dell’imprenditore». Nella specie, un accertamentodel genere non era stato compiuto, avendo il Tribunale omes-so di motivare in ordine alla consapevolezza, in capo al ricor-rente, dello stato di “grave crisi” della Fondazione da cui ave-va ricevuto le cospicue somme di denaro. L’ordinanza è stataperciò annullata con rinvio per nuovo esame.

I precedentiNel senso che il liquidatore nominato nel concordato preven-tivo con cessione dei beni non è soggetto attivo dei reati dibancarotta fraudolenta o semplice richiamati nell’art. 236,comma 2, n. 1, legge fall., in quanto non si identifica con al-cuno dei soggetti espressamente indicati nella suddetta di-sposizione ed in particolar modo, tra questi, con i “liquidato-ri di società”, cfr. Cass., Sez. Un., 30 settembre 20010, n.43428, in questa Rivista, 2011, 27.Nel senso che, in tema di reati fallimentari, è configurabile ilconcorso nel reato di bancarotta fraudolenta da parte di per-sona estranea al fallimento qualora la condotta realizzata inconcorso col fallito sia stata efficiente per la produzione del-l’evento e il terzo concorrente abbia operato con la consape-volezza e la volontà di aiutare l’imprenditore in dissesto a fru-strare gli adempimenti predisposti dalla legge a tutela deicreditori dell’impresa, cfr., da ultimo, Cass., Sez. V, 26 aprile2011, Rosace, in Ced Cass., 250409.

La dottrinaA. Alessandri, Profili penalistici in tema di soluzioni concor-date delle crisi d’impresa, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 111ss; C. Benussi, Liquidatore del concordato nominato ai sensidell’art. 182 legge fall. e fatti di bancarotta: quali rapporti?, ivi,2011, 333 ss.; L. Lupària, Liquidatore del concordato e ban-carotta societaria: il ripudio di una analogia in malam partem,in Le Società, 2011, 327 ss.; F. Mucciarelli, L’esenzione daireati di bancarotta, in questa Rivista, 2010, 1474 ss.; Ead.Stato di crisi, piano attestato, accordi di ristrutturazione, con-cordato preventivo e fattispecie penali, in Riv. trim. dir. pen.econ., 2009, 825 ss.

Diritto penale e processo 6/2012682

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Diritto penale e processo 6/2012 683

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CONFISCA: CONVERSIONE DEL MEZZO

SE L’INTERESSATO ALLA RESTITUZIONE ADISCE

LA SUPREMA CORTE ANZICHÉ FARE OPPOSIZIONE

Cassazione penale, Sez. I, 29 marzo 2012 (28 febbraio2012), n. 11770 - Pres. Bardovagni - Rel. Cassano - P.m.Cedrangolo (concl. diff.) - Ric. S.F.

In tema di confisca, se il giudice dell’esecuzione, anziché

decidere de plano, a mente dell’art. 667, comma 4, c.p.p.,

procede nelle forme camerali, l’ordinanza è comunque

suscettibile di opposizione e non di ricorso di legittimità.

Ove l’interessato proceda in senso contrario, il ricorso

per cassazione dovrà convertirsi in opposizione, giusta

l’art. 568, comma 5, c.p.p.

Il casoIl giudice per le indagini preliminari, in funzione di giudice del-l’esecuzione, rigettava una richiesta di restituzione di un au-toveicolo confiscato ad una cooperativa.Avverso tale determinazione, l’amministratore unico dell’en-te esperiva ricorso di legittimità, denunciando, sia l’erroneaapplicazione della legge penale, sia un difetto di motivazionenell’ordinanza gravata.

La decisioneIl giudizio della Suprema Corte si è arrestato ad uno stadiopreliminare rispetto alle deduzioni del ricorrente, in quanto ilrimedio esperito, sub specie di ricorso di legittimità, si confi-gurava, a rigore, estraneo alle regole dettate dal codice di rito.Invero, a mente del rinvio compiuto dall’art. 676, comma 1,c.p.p. all’art. 667, comma 4, c.p.p., i provvedimenti in mate-ria di confisca e di restituzione delle cose sequestrate do-vrebbero essere adottati dal giudice dell’esecuzione «senzaformalità con ordinanza» suscettibile di opposizione davantial medesimo giudice che, solo in seconda istanza, è tenuto aprovvedere nelle forme di cui all’art. 666 c.p.p.Nel caso di specie, invece, il giudice aveva fin da subito pro-ceduto nelle forme del rito camerale, emettendo un’ordinan-za sul cui regime impugnatorio si registrano diversità di ve-dute in giurisprudenza. Un primo filone, invero, preso attodell’attuazione (sia pure praeter legem) delle garanzie delcontraddittorio tra le parti, ritiene corretto l’immediato espe-rimento del ricorso di legittimità, secondo le previsioni del-l’art. 666, comma 6, c.p.p. Tesi non condivisa dalla più re-cente giurisprudenza che ritiene comunque praticabile, in os-sequio al principio di tassatività, la sola via dell’opposizioneavanti al giudice a quo.

Nel caso in rassegna, il collegio ha ritenuto di aderire a talesecondo orientamento, poiché, in caso contrario, il ricorrenterisulterebbe privato di una fase di “riesame” nel merito delprovvedimento, «in una materia per cui il legislatore ha pre-visto la fase della opposizione proprio per la sua peculiarità».Ciò detto, la Suprema Corte si è imbattuta in un secondo di-vario interpretativo, trattandosi di verificare se il ricorso di le-gittimità erroneamente esperito «debba essere dichiaratoinammissibile, in quanto rimedio non previsto dalla legge,oppure possa essere convertito in opposizione, a norma del-l’art. 568 comma 5 c.p.p.». Quesito, questo, che ha visto lagiurisprudenza dividersi tra quelle pronunce, di marca restrit-tiva, propense a ritenere che il principio di conversione nonsia applicabile in caso di opposizione, «non avendo questanatura di impugnazione», e quelle, di segno contrario (e nu-mericamente prevalenti), secondo le quali anche in tal casola riqualificazione dell’atto di impugnazione è consentita,«sulla base del principio generale di conservazione degli attigiuridici e del favor impugnationis».La Suprema Corte ha ritenuto di imboccare questa secondavia, «non potendosi fare discendere la inammissibilità dellaimpugnazione, pur se in “senso lato”, solo dalla erronea in-dicazione della stessa, soprattutto in un caso, come quello inesame, in cui la natura ed il tipo delle censure mosse at-ten[evano] prevalentemente al merito, per cui l’erroneo no-men iuris attribuito dalla parte al mezzo di gravame non [po-teva] pregiudicare la possibilità, concessa dall’ordinamentoall’interessato, di avere una seconda pronuncia di merito sul-le sue doglianze».Il ricorso, pertanto, a mente dell’art. 568, comma 5, c.p.p. èstato convertito in opposizione, con conseguente trasmissio-ne degli atti al giudice per le indagini preliminari in funzione digiudice dell’esecuzione.

I precedentiSulla ricorribilità per cassazione dei provvedimenti adottati adesito di rito camerale, celebrato praeter legem, cfr. Cass.,Sez. I, 20 febbraio 2008, G.A., in Ced Cass., 239142; Cass.,Sez. I, 20 settembre 2007, X, ivi, 237897; Cass., Sez. III, 19febbraio 2003, Salamone, in Arch. n. proc. pen., 2003, 644;contra, tuttavia, Cass. Sez. I, 23 dicembre 1996, X, in CedCass., 206349; Cass., Sez. I, 7 aprile 1995, Arrighini, in Cass.pen., 1996, 1478.Sui rapporti tra opposizione e conversione ex art. 568 com-ma 5 c.p.p., v. Cass., Sez. IV, 9 marzo 2007, p.g. in c. S.P., inCed Cass., 237362; Cass., Sez. III, 20 gennaio 2004, A.M., inArch. n. proc. pen., 2005, 510; Cass., Sez. II, 5 dicembre2002, Salamone, ivi, 2003, 644; Cass., Sez. IV, 7 ottobre1997, Cé, in Ced Cass., 210093; contra, tuttavia, Cass., Sez.II, 11 ottobre 2004, Tomasoni ed a., in Arch. n. proc. pen.,2006, 101; Cass., Sez. Un. 25 gennaio 2002, Hawke, in CedCass., 220577.

IMPUGNAZIONI

Osservatorio Corte di cassazione - Processo penalea cura di Francesco Peroni

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La dottrinaS. Lorusso, Aspetti problematici del contraddittorio in execu-tivis, in Giust. pen., 1996, III, 129; A. Marandola, I motivi diimpugnazione. Disposizioni generali e giudizio di appello, Pa-dova, 2008, 33; Ead., Le disposizioni generali, in Trattato diprocedura penale, diretto da G. Spangher, vol. V, a cura di G.Spangher, Torino, 2009, 41; A. Mazzarra, Problemi vecchi enuovi in tema di conversione dei mezzi d’impugnazione, inRiv. giur. umb., 1993, 116; A. Presutti, Procedure in cameradi consiglio e regime del ricorso per cassazione (anche, manon solo, in sede esecutiva), in Cass. pen., 1997, 3476; A.A.Sammarco, Il procedimento di esecuzione, in Trattato di pro-cedura penale, diretto da G. Spangher, vol. IV, a cura di L.Kalb, Torino, 2009, 237; A.M. Siagura, I limiti relativi alla rile-vanza della volontà dell’impugnante nell’ipotesi di erroneaproposizione del mezzo di gravame, in Arch. n. proc. pen.,2005, 411.

AVVISO DI CONCLUSIONE DELLE INDAGINI

E RESTITUZIONE DEGLI ATTI AL P.M.: ESCLUSA

L’IPOTESI DELL’ABNORMITÀ

Cassazione penale, Sez. II, 4 aprile 2012 (24 febbraio2012), n. 12728 - Pres. Casucci - Rel. Manna - P.m. Russo(concl. conf.) - Ric. p.m. in c. R.R.

In tema di regressione del procedimento per motivi ri-

conducibili alla disciplina dell’avviso di conclusione delle

indagini, il provvedimento adottato dal giudice del dibat-

timento, fondato su una errata declaratoria di nullità del

decreto di citazione a giudizio, è illegittimo, ma non è

qualificabile sotto alcun profilo come abnorme, poiché il

contenuto dell’atto non è avulso dal sistema e gli effetti

di esso non sono tali da pregiudicare in concreto lo svi-

luppo successivo del processo (fattispecie in cui la S.C., a

fronte di una presunta mancata notifica ex art. 415-bis

c.p.p. al secondo difensore dell’indagato, che aveva de-

terminato la regressione del procedimento in indagini,

ha dichiarato inammissibile il ricorso per difetto di ricor-

ribilità oggettiva del provvedimento impugnato).

Il casoCon ordinanza, il giudice del dibattimento disponeva la resti-tuzione degli atti al pubblico ministero, affinché provvedessealla rinnovazione delle notifiche in favore della difesa, in par-ticolare avendo cura di coinvolgere il secondo avvocato di fi-ducia dell’indagato, lasciato viceversa ai margini della prece-dente fase conclusiva delle indagini e della successiva voca-tio in iudicium.Avverso tale provvedimento insorgeva il magistrato d’accusache, entrando nel merito della vicenda, spiegava come il pre-sunto secondo difensore di fiducia altro non fosse che unsoggetto presso cui l’indagato aveva eletto domicilio nel cor-so dell’esecuzione di un sequestro, senza formalizzare in al-cun modo tale nomina. Tanto è vero che, successivamente,nel verbale di identificazione, era stato nominato un altro di-fensore fiduciario, presso il quale era stato eletto domicilio.

La decisionePer dirimere la questione, la Suprema Corte ha cambiato vi-

suale prospettica e, anziché interrogarsi sulle ragioni addottedal pubblico ministero in parte qua, ha dichiarato inammissi-bile il ricorso «per difetto di ricorribilità oggettiva del provve-dimento impugnato, noto essendo il principio di tassativitàdelle impugnazioni di cui all’art. 568 c.p.p.».La Cassazione ha, dunque, dato seguito alle direttive imparti-te sul punto da un recente intervento delle Sezioni Unite.Al proposito, gioverà ricordare come, in passato, il florilegiodi fattispecie afferenti al tema della nullità dell’atto d’accusaper motivi riconducibili alla disciplina di cui all’art. 415-bisc.p.p. avesse dato origine a numerosi contrasti di vedute fragiudici e pubblici ministeri. Il nodo nevralgico di questa con-tesa risiedeva nelle ipotesi in cui l’organo giudicante dichia-rasse la nullità dell’atto imputativo, rilevando una violazionedell’art. 415-bis c.p.p. in realtà insussistente. Nella giurispru-denza di legittimità, si era assistito alla formazione di due in-dirizzi contrapposti: l’uno propenso a censurare i provvedi-menti dei giudici di merito in quanto abnormi; l’altro favore-vole all’esclusione della sanzione dell’abnormità, nonostantel’error in procedendo commesso dal giudice di merito.Ne è sortita la devoluzione della quaestio alle Sezioni Unitedella Corte di cassazione, le quali hanno sposato la soluzionepiù rigorosa e restrittiva sul fronte dell’identificazione dellecause dell’abnormità dell’atto processuale. Segnatamente,l’Alto Consesso ha escluso che sia, di per sé, «caratterizzan-te dell’abnormità la regressione del procedimento, nel sensodi ‘ritorno’dalla fase del dibattimento a quella delle indaginipreliminari. L’esercizio legittimo dei poteri del giudice puòcomportare siffatta regressione». Perciò, se si consentisseal pubblico ministero di invocare il sindacato della Cassazio-ne in ogni caso in cui la regressione è disposta dal giudice,«si rende[rebbe] possibile tale sindacato avverso tutti i prov-vedimenti di siffatto tipo, eludendosi così il principio di tassa-tività delle impugnazioni». Per le Sezioni Unite, quindi, «sel’atto del giudice è espressione di un potere riconosciutoglidall’ordinamento, si è in presenza di un regresso ‘consenti-to’, anche se i presupposti che ne legittimano l’emanazionesiano stati ritenuti sussistenti in modo errato. Non importache il potere sia stato male esercitato, giacché in tal caso es-so sfocia in atto illegittimo, ma non in un atto abnorme». Per-tanto, è stata data risposta negativa alla questione demanda-ta al Collegio allargato, «nel senso che il provvedimento adot-tato dal giudice del dibattimento, sia pure fondato su una er-rata declaratoria di nullità del decreto di citazione a giudizio, èillegittimo, ma non è qualificabile sotto alcun profilo di abnor-mità, poiché il contenuto dell’atto non è avulso dal sistema egli effetti di esso non sono tali da pregiudicare in concreto losviluppo successivo del processo».Questo significa che l’eventuale dichiarazione di nullità del-l’atto d’accusa, con conseguente restituzione degli atti alpubblico ministero, per presunte violazioni dell’art. 415-bisc.p.p., in realtà inesistenti, non integra in via di regola un’ipo-tesi di abnormità e non consente, perciò, al magistrato inqui-rente di adire la Suprema Corte.Proprio per questo motivo, a prescindere, dunque, dalle giu-stificazioni addotte dal pubblico ministero nel caso di specie,la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso per viola-zione del principio di tassatività.

I precedentiPer gli indirizzi giurisprudenziali contrapposti, che hanno pre-ceduto l’intervento delle Sezioni Unite, cfr., nel senso del-l’abnormità, Cass., Sez. IV, 23 giugno 2004, p.m. in c. Sesti-to, in Arch. n. proc. pen., 2005, 731; Cass., Sez. VI, 17 mag-gio 2002, p.m. in c. Abowalai, in Giur. it., 2003, 2127; in sen-

INDAGINI PRELIMINARI

Diritto penale e processo 6/2012684

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so opposto, Cass., Sez. I, 4 dicembre 2008, p.m. in c. S.B., inCed Cass., 242223; Cass., Sez. III, 28 maggio 2008, X, ivi,240272; Cass., Sez. II, 23 novembre 2006, p.m. in c. Celona,in Riv. pen., 2007, 1056; Cass., Sez. I, 11 marzo 2004, p.m.in c. Decandia, in Arch. n. proc. pen., 2005, 518; Cass., Sez.II, 4 novembre 2003, Caputo, in Cass. pen., 2005, 1641;Cass., Sez. V, 6 novembre 2000, p.m. in c. Giua, in CedCass., 217446.Quanto all’intervento del Consesso allargato, v. Sez. Un., 26marzo 2009, p.m. in c. Toni ed a., in questa Rivista, 2009,1098.

La dottrinaS. Ciampi, L’informazione dell’indagato nel procedimento pe-nale, Milano, 2010, 608; G. Leo, Indebito annullamento dellacitazione a giudizio e ricorso per abnormità, in questa Rivista,2007, 869.

LA PORTATA DEL DIVIETO DI AVVICINAMENTO

EX ART. 282-TER C.P.P. VERSO LO SCRUTINIO

DELLE SEZIONI UNITE

Cassazione penale, Sez. V, 11 aprile 2012 (16 gennaio2012), n. 13568 - Pres. Oldi - Rel. Zaza - P.m. Stabile(concl. conf.) - Ric. V.V.

Il divieto di avvicinamento, contemplato dall’art. 282-ter

c.p.p., esprime una scelta di priorità nei confronti del-

l’esigenza di consentire alla persona offesa il completo

svolgimento della propria vita sociale in condizioni di si-

curezza da aggressioni alla propria incolumità, anche

laddove la condotta dell’autore del reato assuma conno-

tazioni di persistenza persecutoria, tali da non essere le-

gate a particolari ambiti locali. Ne consegue, in tali com-

provate eventualità, la possibilità di individuare la stes-

sa persona offesa, e non i luoghi da essa frequentati, co-

me riferimento essenziale del divieto di avvicinamento

(fattispecie in cui la S.C. ha disatteso un proprio prece-

dente, giusta il quale l’art. 282-ter c.p.p. esigerebbe l’in-

dicazione specifica e dettagliata dei luoghi oggetto del

divieto di avvicinamento imposto all’indagato).

Il casoNel corso di un procedimento penale avviato per il reato di«atti persecutori», ex art. 612-bis c.p., il tribunale della liber-tà rigettava la richiesta di riesame con cui l’imputato censu-rava l’ordinanza applicativa della misura coercitiva disciplina-ta dall’art. 282-ter c.p.p., nella parte in cui prescriveva, gene-ricamente, di non avvicinarsi a tutti i luoghi frequentati dallapersona offesa e di tenersi a distanza non inferiore a centometri nei casi d’incontro occasionale con la stessa.Avverso l’ordinanza reiettiva del giudice del gravame, l’inte-ressato esperiva ricorso di legittimità, invocando un prece-dente non remoto della Corte regolatrice, secondo cui, «daun lato, l’applicazione della misura di cui all’art. 282-ter c.p.p.esigerebbe l’indicazione specifica e dettagliata dei luoghi og-getto del divieto di avvicinamento imposto all’indagato, lad-dove il generico riferimento identificativo alla frequentazionedi detti luoghi da parte della persona offesa non rispettereb-be la prescrizione normativa, che predica distintamente i luo-ghi in esame degli attributi dell’essere gli stessi “determina-

ti” e “abitualmente frequentati dalla persona offesa”, e si ri-solverebbe nell’inaccettabile imposizione di un obbligo dinon facere di fatto rimesso alla volontà del soggetto passivo;e dall’altro la misura non comprenderebbe la possibilità divietare incontri occasionali e non volutamente cercati dall’in-dagato, altrimenti imponendosi a quest’ultimo un divieto dicontenuto indeterminato e la cui inosservanza può non di-pendere dalla volontà del predetto».

La decisioneMovendo da un’approfondita e accurata disamina della ratiosottesa, prima, all’interpolazione nel codice dell’art. 282-bisc.p.p., poi, dell’art. 282-ter c.p.p., la Cassazione ha compiutouna sensibile inversione di rotta, giungendo a convalidare ledeterminazioni assunte dal giudice del merito nell’applicarela cautela de qua nei summenzionati termini generalizzati.In particolare, la Suprema Corte ha polarizzato l’attenzionesul fatto che l’art. 282-ter c.p.p. - in ciò differenziandosi dal-l’articolo che lo precede - ha testualmente riferito il divieto diavvicinamento «non più solo ai luoghi frequentati dalla per-sona offesa, ma altresì alla persona offesa in quanto tale»,esprimendo in questo modo una precisa scelta normativa,volta a privilegiare la libertà di circolazione del soggetto pas-sivo. «La norma», ha chiosato la Cassazione, «esprime unascelta di priorità dell’esigenza di consentire alla persona offe-sa il completo svolgimento della propria vita sociale in condi-zioni di sicurezza da aggressioni alla propria incolumità ancheladdove la condotta dell’autore del reato assuma connotazio-ni di persistenza persecutoria tale da non essere legata a par-ticolari ambiti locali; con la conseguenza che è rispetto a taleesigenza che deve modellarsi il contenuto concreto di unamisura la quale, non lo si dimentichi, ha comunque naturainevitabilmente coercitiva rispetto a libertà anche fondamen-tali dell’indagato».In questa prospettiva, la Cassazione ha teorizzato una sortadi bipartizione funzionale rinvenibile nella disciplina codicisti-ca in parte qua.Segnatamente, la “tradizionale” indicazione dei luoghi deter-minati frequentati dalla persona offesa mantiene centralità«nel caso in cui le modalità della condotta criminosa non ma-nifestino un campo d’azione che esuli dai luoghi nei quali lavittima trascorra una parte apprezzabile del proprio tempo ocostituiscano punti di riferimento della propria quotidianità divita, quali quelli indicati dall’art. 282-bis c.p.p. nel luogo di la-voro o di domicilio della famiglia di provenienza». Viceversa,laddove, come nel caso di specie, «la condotta oggetto dellatemuta reiterazione abbia i connotati della persistente ed in-vasiva ricerca di contatto con la vittima in qualsiasi luogo incui la stessa si trovi, è prevista la possibilità di individuare lastessa persona offesa, e non i luoghi da essa frequentati, co-me riferimento centrale del divieto di avvicinamento». In talesecondo caso, dunque, diviene irrilevante l’individuazionespecifica dei luoghi di abituale frequentazione della vittima,poiché la dimensione essenziale della misura si risolve nel di-vieto di avvicinamento a quest’ultima nel corso della sua vitaquotidiana, ovunque essa si svolga.Al riguardo, è particolarmente degna di nota l’osservazionesecondo cui, nell’ipotesi in parola, «la predeterminazione deiluoghi [...] risulterebbe [...] chiaramente dissonante con le fi-nalità della misura», in quanto «verrebbe di fatto a porsi co-me un’inammissibile limitazione del libero svolgimento dellavita sociale della persona offesa, che viceversa costituisceprecipuo oggetto di tutela della norma. La vittima si vedreb-be invero costretta a contenere la propria libertà di movi-mento nell’ambito dei luoghi indicati ovvero ad essere espo-

MISURE CAUTELARI

Diritto penale e processo 6/2012 685

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sta, esorbitando dagli stessi, a quella condizione di pericoloper la propria incolumità che si presuppone essere stata ri-conosciuta sussistente anche al di fuori del perimetro della ri-corrente frequentazione della persona offesa».E se, nella precedente occasione, la Suprema Corte avevamanifestato la preoccupazione che, letta in questi termini, lanorma in commento esporrebbe l’indagato a limitazioni del-la propria libertà personale di carattere indefinito, estraneealle proprie intenzioni persecutorie e di fatto dipendenti dal-la volontà della persona offesa, nella sentenza in rassegna laCassazione ha obiettato che «le prescrizioni, anche nel ge-nerico riferimento al divieto di avvicinarsi alla persona offesaed ai luoghi in cui la stessa in concreto si trovi, mantengonoinvero un contenuto coercitivo sufficientemente definitonell’essenziale imposizione di evitare contatti ravvicinati conla vittima, la presenza della quale in un certo luogo è suffi-ciente ad indicare lo stesso come precluso all’accesso del-l’indagato».Da ultimo, la Cassazione non ha, peraltro, mancato di preci-sare che, in caso di particolari esigenze dell’indagato (nel ca-so di specie, trattavasi della frequentazione di un luogo di cul-to buddista prossimo all’abitazione della persona offesa),queste possano essere valutate ai fini della previsione di de-terminate modalità prescrittive e, quindi, possano costituireoggetto di specifiche istanze difensive rivolte al giudice dellacautela.Tutto ciò premesso, la Corte ha rigettato il ricorso.

I precedentiIn senso contrario, cfr. Cass., Sez. VI, 7 aprile 2011, C.F.S., inCed Cass., 250728.

La dottrinaR. Bricchetti-L. Pistorelli, Possibile vietare l’avvicinamentoalla “vittima”, in Guida dir., 2009, n. 10, 72; L. Collini, Il di-vieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona of-fesa tra principio di legalità e discrezionalità giudiziale, in Dir.pen. cont., 2012; A. Marandola, I profili processuali dellenuove norme in materia di sicurezza pubblica, di contrastoalla violenza sessuale e stalking, in questa Rivista, 2009,966; F. Peroni-S. Ciampi, Crisi della famiglia e processo pe-nale, in Trattato della responsabilità civile e penale infamiglia, a cura di P. Cendon, vol. III, Padova, 2004, 2355; C.Valentini, Sub art. 282-ter c.p.p., in Codice di procedura pe-nale commentato, a cura di A. Giarda-G. Spangher, 4a ed.,Milano, 2010, 2998.

PATTEGGIAMENTO E ONERI MOTIVAZIONALI

IN CASO DI CONFISCA

Cassazione penale, Sez. III, 4 aprile 2012 (28 febbraio2012), n. 12773 - Pres. Mannino - Rel. Teresi - P.m. X(concl. conf.) - Ric. V.P.F.

Cassazione penale, Sez. III, 4 aprile 2012 (28 febbraio2012), n. 12783 - Pres. Mannino - Rel. Franco - P.m. X(concl. conf.) - Ric. C.S.C.

In tema di patteggiamento, l’estensione dell’applicabili-

tà della confisca, per effetto della l. 12 giugno 2003, n.

134, a tutte le ipotesi previste dall’art. 240 c.p., e non più

solo a quelle previste come ipotesi di confisca obbliga-

toria, impone al giudice di motivare le ragioni per cui ri-

tiene di dover disporre la confisca di specifici beni sotto-

posti a sequestro, ovvero, in subordine, quelle per cui

non ritiene attendibili le giustificazioni eventualmente

addotte in ordine alla provenienza del denaro o dei beni

confiscati.

Il casoAmbedue le vicende giudiziarie culminate nelle decisioni inepigrafe originano da sentenze di applicazione della pena surichiesta delle parti, con le quali era stata disposta la confiscadi beni in precedenza sequestrati. Sentenze impugnate dagliimputati, secondo cui era dato riscontrare un patente vizio dimotivazione, poiché i giudici di merito non avevano enuncia-to le specifiche ragioni che supportavano i rispettivi provve-dimenti ablativi.

La decisioneLa Cassazione ha accolto i rispettivi ricorsi, ribadendo l’inse-gnamento secondo cui l’estensione ope legis (il riferimentoè alle modifiche apportate in parte qua dalla l. 12 giugno2003, n. 134) dell’applicabilità della confisca a tutte le ipotesipreviste dall’art. 240 c.p. «impone al giudice di motivare le ra-gioni per cui ritiene di dover disporre la confisca di specificibeni sottoposti a sequestro, ovvero, in subordine, quelle percui non ritiene attendibili le giustificazioni eventualmente ad-dotte in ordine alla provenienza del denaro o dei beni confi-scati».Sicché ne è sortito l’annullamento con rinvio ai giudici di pri-me cure per nuovo esame, annullamento peraltro limitato «alsolo capo della sentenza con il quale viene disposta la confi-sca», poiché - ha chiosato la Suprema Corte - «con la cadu-cazione di tale statuizione non viene meno l’intero accordointercorso tra le parti».Per quanto più propriamente concerne la seconda vicendagiudiziaria, merita aggiungersi che la Cassazione ha avutomodo di fornire alcuni chiarimenti in merito alla portata delladisciplina speciale che ivi veniva in gioco.Trattavasi di confisca del veicolo prevista dalla normativaspeciale per la gestione emergenziale dei rifiuti nella Regio-ne Campania, di cui al d.l. 6 novembre 2008, n. 171, conv.con modif. in l. 30 dicembre 2008, n. 210, al qual riguardo laCassazione ha ritenuto di aderire al prevalente orientamentogiurisprudenziale secondo cui «la suddetta confisca conse-gue obbligatoriamente ad una sentenza di condanna e nonanche di patteggiamento, salva l’ipotesi prevista espressa-mente per il reato di realizzazione o gestione di una discaricanon autorizzata». Secondo i giudici di legittimità, in altri ter-mini, la normativa speciale in discorso, nel riferirsi testual-mente alla «sentenza di condanna», non involgerebbe anchela «sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 444 c.p.p.», postoche quest’ultima dicitura compare, in termini espliciti, soltan-to in altre fattispecie normative “confinarie”, tanto da indur-re il Collegio a concludere che, «stante la materia in cui siverte, non può che applicarsi il criterio interpretativo dell’ar-gumentum a contrario e concludere che il legislatore, per laspeciale fattispecie [in esame], ha escluso la confisca obbli-gatoria in caso di sentenza di patteggiamento». Trattandosi,dunque, di confisca facoltativa, sussisteva il summenzionatoobbligo motivazionale, la cui violazione ha decretato l’annul-lamento parziale, con rinvio al giudice del merito.

I precedentiIn senso conforme, Cass., Sez. VI, 16 aprile 2010, T.F., in CedCass., 247085; Cass., Sez. VI, 30 ottobre 2008, Tidli, ivi,

PROCEDIMENTI SPECIALI

Diritto penale e processo 6/2012686

OsservatorioCassazione - Processo penale

Page 27: LA PRATICA PROCESSO PENALE - units.it

241920; Cass., Sez. V, 24 gennaio 2007, Viglianesi, ivi,236623.Quanto alla normativa speciale, v. Cass., Sez. III, 12 gennaio2011, Marchetti, ivi, 250052; Cass., Sez. III, 29 settembre2009, Grimaldi, ivi, 244955.

La dottrinaA.A. Arru, L’applicazione della pena su richiesta delle parti, inTrattato di procedura penale, diretto da G. Spangher, vol. IV,t. I, a cura di L. Filippi, Torino, 2008, 38; B. Giors-P. Spagnolo,L’applicazione della pena su richiesta delle parti, in Riti came-rali e speciali, coord. da S. Nosengo, Torino, 2006, 419; L.Cremonesi, Il patteggiamento nel processo penale, Padova,2005, 340; S. Fabbretti, Patteggiamento e confisca: la Corteestende l’oggetto dell’accordo tra le parti, in Cass. pen.,2011, 2663; M. Gialuz, Applicazione della pena su richiestadelle parti, in Enc. dir., Annali, II.1, Milano, 2008, 33; F. Pero-ni, La sentenza di patteggiamento, Padova, 1999, 112; Id.,Patteggiamento e confisca dei proventi del reato: le SezioniUnite cambiano rotta, in questa Rivista, 2007, 461; F. Rigo,Sub art. 445 c.p.p., in Codice di procedura penale commen-tato, a cura di A. Giarda-G. Spangher, 4a ed., Milano, 2010,5695; D. Vigoni, L’applicazione della pena su richiesta delleparti, in I procedimenti speciali in materia penale, a cura di M.Pisani, 2a ed., Milano, 2003, 223; Ead., L’applicazione dellapena su richiesta delle parti, Milano, 2000, 453.

PROCESSO CUMULATIVO E DERUBRICAZIONE

DI UNA FATTISPECIE DI REATO

Cassazione penale, Sez. IV, 11 aprile 2012 (2 dicembre2011), n. 13559 - Pres. Galbiati - Rel. Izzo - P.m. X (concl.diff.) - Ric. B.A.

In tema di riparazione per ingiusta detenzione, il dolo e

la colpa grave si atteggiano ad elementi potenzialmente

ostativi al riconoscimento del diritto anche nei casi di in-

giustizia formale, ex art. 314, comma 2, c.p.p., sicché il

giudice deve valutarne la sussistenza e l’incidenza se-

condo le peculiarità del caso concreto. Rispetto a questo

giudizio, assumerà, tuttavia, valenza preliminare l’accer-

tamento inteso a stabilire se l’insussistenza ab origine

delle condizioni di applicabilità della misura custodiale si

fondi sui medesimi elementi che aveva a disposizione il

giudice della cautela, ovvero se dipenda da successive

acquisizioni, posto che, nella prima eventualità, il vaglio

circa l’incidenza della condotta dell’istante è da ritenersi

precluso, in quanto superfluo.

Il casoSottoposto a custodia cautelare in carcere per i delitti di cor-ruzione aggravata e concussione, l’imputato esperiva riesa-me, ottenendo l’annullamento dell’ordinanza applicativa perdifetto delle esigenze cautelari. Nella sede meritale, il preve-nuto veniva, poi, assolto dall’imputazione di concussione«perché il fatto non costituisce reato» e prosciolto, per inter-venuta prescrizione, dal reato di corruzione, previamente de-rubricato in finanziamento illecito a partito politico.L’interessato esperiva, dunque, il rimedio inteso ad ottenerela riparazione per ingiusta detenzione, ma la sua domandaveniva respinta su un duplice assunto: da un lato, la corte ter-

ritoriale assumeva che non tutte le imputazioni erano state ri-guardate da un proscioglimento nel merito; dall’altro, affer-mava che, sebbene la riqualificazione giuridica del fatto aves-se comportato la fuoriuscita dell’addebito dalla cerchia diquelli legittimanti l’applicazione di una misura cautelare, nelcaso di specie concorressero profili di colpa grave atti ad ini-bire il diritto al ristoro.Avverso l’ordinanza de qua veniva esperito ricorso per cas-sazione, lamentando, tra l’altro, violazione di legge, relativa-mente al diniego del riconoscimento dell’indennizzo in fun-zione della formula di proscioglimento adottata, e difetto dimotivazione, quanto alla rilevata sussistenza della causaostativa in parola.

La decisioneLa Suprema Corte ha mostrato di condividere la tesi secon-do cui, nell’ipotesi di provvedimento restrittivo della libertàfondato su più contestazioni, il diritto alla riparazione non sor-ge ove una d’esse sia interessata da un’assoluzione non dimerito, «sempre che autonomamente idonea a legittimare lacompressione della libertà». La Cassazione non ha, peraltro,mancato di richiamare il recente insegnamento, giusta il qua-le il diritto alla riparazione è, viceversa, riconosciuto «nel ca-so in cui l’ingiustizia della detenzione venga correlata all’in-tervenuta riqualificazione del fatto in sede di merito, con con-seguente derubricazione del reato contestato nell’incidentecautelare in altro meno grave, i cui limiti edittali di pena nonavrebbero consentito l’applicazione della misura custodiale».Nel caso di specie, perciò, il diritto al ristoro doveva essere,almeno in linea astratta, riconosciuto.Invero, secondo la Corte regolatrice, la domanda ex art. 314c.p.p. «deve ritenersi ammissibile anche nel caso che la “in-giustizia” venga accertata nel processo e non nella procedu-ra incidentale de libertate», essendo «la derubricazione delreato in un diverso titolo che non consente la cautela […] ido-nea a rendere ex post ingiusta la custodia, per violazione del-l’art. 280 c.p.p., con conseguente diritto alla riparazione, aisensi del secondo comma dell’art. 314 c.p.p. (c.d. ingiustizia“formale”)». A quest’ultimo riguardo, si è puntualizzato che,«mentre l’ingiustizia sostanziale presuppone l’affermazionedell’innocenza dell’istante, l’ingiustizia formale prescinde datale accertamento e richiede solamente l’accertamento dellaillegalità del provvedimento restrittivo, assunto in difetto del-le condizioni previste dagli artt. 273 e 280».Ciò premesso, la Cassazione si è soffermata sulla ritenuta -da parte della corte di appello - sussistenza dei profili di colpagrave quale causa ostativa alla riparazione, per rievocare il re-cente approdo con cui le Sezioni Unite hanno risolto affer-mativamente il quesito interpretativo circa la potenziale va-lenza ostativa del dolo o della colpa grave ove si verta in ipo-tesi di misura disposta in difetto delle condizioni di applicabi-lità, previste dagli artt. 273 e 280 c.p.p. Soluzione affermati-va che, tuttavia, non ha impedito alla Corte, in composizioneallargata, di precisare che, «se l’accertamento dell’insussi-stenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misuracustodiale avvenga sulla base degli stessi precisi elementiche aveva a disposizione il giudice del provvedimento dellacautela, è preclusa la possibilità di valutare l’incidenza dellacondotta dolosa o colposa dell’imputato: infatti in tali casi ilgiudice era oggettivamente nelle condizioni di negare o re-vocare la misura e, pertanto, nessuna efficienza causale nel-la sua determinazione può attribuirsi al soggetto passivo».Ciò significa che la sinergia causale del dolo o della colpa gra-ve potrà essere valutata solo se l’accertamento dell’insussi-stenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura

RIPARAZIONE PER INGIUSTA DETENZIONE

Diritto penale e processo 6/2012 687

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Page 28: LA PRATICA PROCESSO PENALE - units.it

custodiale sia avvenuto alla stregua di un materiale probato-rio contrassegnato da diversità rispetto a quello originaria-mente valutato dal giudice della cautela.Sulla base di questi presupposti, la Corte ha annullato l’ordi-nanza impugnata, con rinvio al giudice di merito affinché sta-bilisca, nel rispetto dei principi espressi dalle Sezioni Unite,«se l’accertamento della insussistenza delle condizioni perl’applicazione della misura sia stato effettuato sulla base dielementi a disposizione del giudice fin dall’origine, ovverosulla base di successive acquisizioni (e non mere rivalutazio-ni dell’esistente)».

I precedentiSul diritto al ristoro nel processo cumulativo: Cass., Sez. IV,26 marzo 2009, M., in Cass. pen., 2010, 3949; Cass., Sez. IV,2 marzo 2007, Ferlini, ivi, 2008, 2980; Cass., Sez. IV, 4 di-cembre 2006, Di Grazia, in Ced Cass., 236010; Cass., Sez.IV, 7 ottobre 2003, Campanelli, ivi, 226730; Cass., Sez. IV, 9febbraio 1996, Zaccaria, in Cass. pen., 1997, 3122.Sull’ingiustizia del provvedimento, conseguente alla riqualifi-cazione del fatto: Cass., Sez. IV, 19 aprile 2011, in Ced Cass.,250474; Cass., Sez. IV, 5 giugno 2007, Larosa, ivi, 237317;contra, tuttavia, Cass., Sez. IV, 3 aprile 2007, U., ivi, 236989;Cass., Sez. IV, 13 novembre 2002, A., in Cass. pen., 2004,

598; Cass., Sez. IV, 12 gennaio 1999, Min. Tesoro, in Arch. n.proc. pen., 1999, 277.Con riguardo alla più recente giurisprudenza delle SezioniUnite, v. Cass., Sez. Un., 27 maggio 2010, D., in Cass. pen.,2011, 499.

La dottrinaP. Bartolo, “Purché il reo non si salvi, il giusto pèra e l’inno-cente”: la riparazione per ingiusta detenzione nei procedi-menti complessi e la misura sofferta per un “altro” reato, inCass. pen., 2011, 2454; M.C. Coppetta, Riparazione per l’in-giusta detenzione: una declaratoria di incostituzionalità di-rompente?, in Giur. cost., 2008, 2476; M. Macrì, L’estinzionedel reato per intervenuta prescrizione non è più presuppostoostativo al riconoscimento dell’ingiusta detenzione, in Resp.civ. prev., 2009, 782; M. Maniscalco, La riparazione per in-giusta detenzione, in Trattato dei nuovi danni, diretto da P.Cendon, vol. IV, Padova, 2011, 476; C. Scaccianoce, “Ingiu-stizia formale” della custodia preventiva e “causa sinergica”:le Sezioni Unite contemperano il diritto all’equa riparazionecon la condotta dolosa o gravemente colposa del detenuto,in Cass. pen., 2011, 513; E. Turco, Sub art. 314 c.p.p., in Co-dice di procedura penale commentato, a cura di A. Giarda-G.Spangher, 4a ed., Milano, 2010, 3726.

Diritto penale e processo 6/2012688

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Diritto penale e processo 6/2012 689

OsservatorioContrasti giurisprudenziali

IMPOSSESSAMENTO DI COSE «SMARRITE»

Cassazione penale, Sez. V, 8 novembre 2011 (u.p. 21 set-tembre 2011), n. 40327 - Pres. Marasca - Rel. Marasca -P.M. D’Ambrosio (concl. diff.) - Ric. Tronca

Se l’impossessamento di un apparecchio telefonico mo-

bile, rinvenuto a seguito di smarrimento, integri la corri-

spondente fattispecie di appropriazione indebita (art.

647 c.p.) o piuttosto il delitto di furto.

Con una recente sentenza la Suprema Corte è intervenuta,per la prima volta (stando almeno al novero delle decisionimassimate), sulla qualificazione giuridica del fatto di chi, rin-venuto un telefono cellulare smarrito dal proprietario, se neimpossessi per farne un uso diverso da quello della restitu-zione all’avente diritto. Secondo la Cassazione, in casi del genere non ricorre il delit-to di appropriazione indebita di cosa smarrita (art. 647c.p.), con la conseguenza, tra l’altro, che non è mai richiestala querela della persona offesa. Ricorre infatti, e piuttosto, ildelitto di furto, punibile a querela solo quando non ricorrané la circostanza del danno di rilevante gravità né alcuna del-le fattispecie aggravanti di cui all’art. 625 c.p. (Cass., sez. V,8 novembre 2011, n. 40327, Tronca, in Ced Cass., 251723). Naturalmente, trattandosi della prima decisione che abbiaavuto riferimento agli apparecchi telefonici mobili, nonsussiste sulla questione specifica alcun contrasto di giuri-sprudenza. È però contrastante il quadro delle decisioni cheriguardano, in generale, l’appropriazione di cose che rechinosegni utili all’immediata identificazione del possessore odel proprietario, intervenute fino ad oggi su varie tipologie dioggetti, ed espressamente richiamate dalla sentenza in com-mento. La Corte premette, in particolare, che i telefoni cellulari reca-no nel vano destinato a ricevere la batteria un codice di

identificazione, che contrassegna ciascun apparecchio. Piùche altro, ogni telefono in uso reca all’interno una cd. carta

sim, che necessariamente si collega ad un determinatoutente, e che consente, anche in relazione al citato codice

IMEI, di stabilire chi debba considerarsene il possessore.Dunque, i telefoni cellulari sarebbero certamente riconduci-bili a quella categoria di beni che conservano «chiari segni di

un legittimo possesso altrui».Posta la premessa, la Corte dichiara di condividere l’opinionetradizionale, ed ancor oggi largamente prevalente, che, in so-stanza, nega la qualifica di cosa smarrita ai beni sui quali ilprecedente possessore manterrebbe il controllo proprio gra-zie ai connessi segni di identificazione.Senza troppo risalire all’indietro, può dirsi che l’orientamento

si manifesta in giurisprudenza già da una quarantina d’anni.Può citarsi in proposito una decisione relativa al cd. bollo di

circolazione, rilasciato in occasione del pagamento delletasse automobilistiche e, fino ad epoca relativamente recen-te, destinato alla necessaria esibizione sul parabrezza del vei-colo interessato. La Corte aveva escluso, appunto, che po-tesse considerarsi «smarrita» una cosa recante «chiari edinalterati i segni pubblicistici distintivi dell’altrui legittimo pos-sesso», deducendone che la relativa appropriazione integraun delitto di furto (Cass., sez. II, 28 ottobre 1970, n. 2153,Bozzolan, in Ced Cass., 115533).Come si vede, era stato valorizzato un dato (e cioè l’esisten-za di riferimenti immediati al possessore o proprietario dellacosa rinvenuta) apprezzabile in più d’una direzione: quella del«controllo» asseritamente conservato dal soggetto respon-sabile dello «smarrimento», ma anche quella della immedia-ta percezione, da parte del rinvenitore, dell’appartenenza adaltri della cosa. Che la distinzione tra gli orientamenti contrapposti si basisulla prevalenza assegnata all’una piuttosto che all’altra pro-spettiva si deduce, ad esempio, da una decisione relativa al-la “targa” di un ciclomotore (contrassegno di identificazio-ne). Testualmente: «ai fini della sussistenza del reato di cuiall’art. 647 c.p., cosa smarrita è quella rispetto alla quale ilpossessore non ha di fatto alcun rapporto o potere materialee psicologico; una volta accertato l’avvenuto smarrimento, ri-corre, nell’appropriazione, il predetto reato, e non quello di

furto, indipendentemente dall’atteggiamento psicologicodel “rinvenitore” che può anche essere a conoscenza del-l’altruità della cosa» (Cass., sez. II, 17 marzo 2004, n. 12922,P.m. in c. La Ferrara, ivi, 228629). Come si vede (e si deducedai riferimenti in motivazione alla funzione identificativa tipi-ca dell’oggetto rinvenuto), la Corte sembra aver concentratol’attenzione sulla rappresentazione dell’agente, forse pen-sando - per quanto la cosa possa sembrare inverosimile - allimite «esterno» costituito dall’appropriazione di una res nul-lius ed ai suoi riflessi soggettivi.Il ragionamento non si chiarisce di molto alla luce degli scar-ni precedenti dello stesso segno, puntualmente citati nelprovvedimento. Si tratta, oltretutto, di decisioni concernentil’appropriazione di moduli per assegno bancario, ovel’eventualità dell’abbandono volontario da parte del posses-sore sembrerebbe, ad ogni fine, del tutto implausibile. Eppu-re il rapporto istituito tra mezzi per la sicura e pronta identifi-cazione del precedente possessore e rappresentazione del-l’agente dell’appropriazione risulta chiara: «ai fini della sussi-stenza del reato di cui all’art. 647 c.p., cosa smarrita è quellarispetto alla quale il possessore non ha di fatto alcun rappor-to o potere materiale e psicologico; una volta accertato l’av-venuto smarrimento, ricorre, nell’appropriazione, il predet-to reato, e non quello di furto, indipendentemente dall’at-teggiamento psicologico del “rinvenitore“ che può anche

DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO

OsservatorioContrasti giurisprudenzialia cura di Guglielmo Leo

Page 30: LA PRATICA PROCESSO PENALE - units.it

essere a conoscenza dell’altruità della cosa» (Cass., sez.V, 19 marzo 1999, n. 3646, Mantoan, ivi, 213318).Una soltanto delle decisioni contrarie alla configurabilità delfurto risulta orientata, almeno in parte, verso il profilo «obiet-tivo» della discussa attualità della situazione possessoria an-tecedente: «l’assegno bancario deve considerarsi cosasmarrita a prescindere dai segni esteriori, percepibili dal-

l’agente, di un precedente legittimo - ma oramai non più

esistente - possesso altrui. L’appropriazione di un assegnosmarrito integra perciò il reato di appropriazione di cosesmarrite e non di furto, per la cui configurazione è necessariala sussistenza attuale del possesso altrui al momento dellalesione» (Cass., sez. IV, 17 giugno 1997, n. 5844, D’Ambro-sio, ivi, 208531). Le sentenze schierate sul fronte opposto si caratterizzano,in effetti, per una più decisa affermazione della continuità

del possesso che si determinerebbe, in capo al responsabiledello «smarrimento», per effetto dei segni identificativi pre-senti sulla cosa. Anche tale orientamento è risalente, ed è be-ne evidenziato, ad esempio, con riguardo al rinvenimento diuna patente di guida: «l’impossessamento al fine di trarneprofitto di una patente di guida smarrita dal titolare costituiscefurto e non appropriazione di cosa smarrita, in quanto la pa-tente, mantenendo chiari ed intatti i segni esteriori pubblici-stici del legittimo possesso del titolare (nome, cognome, fo-tografia, data di emissione), rimane sempre nella sfera di atti-vità patrimoniale del predetto e l’impossessamento di essa,in caso di smarrimento, costituisce quell’atto di sottrazione incui si concreta la materialità del delitto di furto» (Cass., sez. II,13 novembre 1982, n. 10761, Grassi, ivi, 156118).Le pronunce successive mettono in luce particolare, talvolta,la maggior facilità con la quale il possessore può riaffermareil proprio dominio materiale sulla cosa grazie ai segni identifi-cativi (così ad esempio, in materia di assegno bancario,Cass., sez. II, 18 dicembre 1989, n. 17393, Femiano, ivi,182839; nello stesso senso, Cass., sez. VI, 5 settembre1996, n. 8328, P.m. in c. Arno, ivi, 206545; Cass., sez. II, 8 lu-glio 2000, n. 8109, Gorini, ivi, 216589; Cass., sez. II, 16 giu-gno 2011, n. 24100, Ensabella, ivi, 250566). In sostanza, viene evocata la «nozione civilistica del pos-

sesso, che (…) non postula necessariamente la continuitàdella relazione materiale con il bene, in quanto la interruzionedella stessa non equivale automaticamente alla perdita delloius possessionis, essendo sufficiente anche il mero atteg-giamento psicologico del possessore, cioè la sua convinzio-ne di non aver dismesso tale relazione con la cosa, ove nonabbia subito lo spossessamento (…) in tema di cosiddettosmarrimento di assegno o di altro titolo e, comunque, di co-sa che mantenga “chiari e intatti i segni esteriori pubblicita-ri di un possesso legittimo altrui” (…) non appare configura-bile il presupposto dello smarrimento obbiettivo vero eproprio, tale che il bene possa ritenersi del tutto uscito dallasfera di disponibilità del possessore, nel senso che egli nonabbia alcuna possibilità di ripristinare il suo potere di fatto sul-lo stesso e debba quindi considerarsi come venuto meno an-che l’elemento psicologico del possesso. In questa prospet-tiva il venir meno della relazione materiale del titolare con lacosa posseduta, al di fuori dei casi in cui il medesimo ne ab-bia volontariamente disposto, postula che il potere di fatto

non sia cessato, in quanto esso è suscettibile di essere ri-pristinato attraverso i segni esteriori della cosa, i quali co-stituiscono l’espressione inequivocabile del possesso altruimai venuto meno nella sua essenza psicologica (…) Né valeosservare in contrario che il comma 2 dell’art. 647 c.p. pre-vede espressamente come aggravante dell’appropriazione

di cose smarrite la ipotesi che il colpevole conosca il proprie-tario del bene di cui si appropria, in quanto il caso in esamenon può essere ricondotto nell’ambito della fattispecie di ap-propriazione della cosa altrui, essendo carente, per quantosopra chiarito, il presupposto dello smarrimento “ogget-

tivo”» (Cass., sez. II, 28 settembre 199, n. 11034, P.m. in c.Occigano, ivi, 214359).Si è giunti, lungo il percorso disegnato, ad una identificazioneschematica delle condizioni in base alle quali l’impossessa-mento di una cosa rinvenuta, fuori del controllo diretto di al-tre persone, potrebbe essere qualificato quale appropria-

zione indebita di cosa smarrita: «la norma contenuta nel-l’art. 647 c.p. può trovare applicazione soltanto allorché sus-sistano tre requisiti fondamentali; 1) la cosa rinvenuta, deveessere uscita dalla sfera di sorveglianza del detentore; 2)deve essere impossibile per il legittimo detentore ricostruiresulla cosa il primitivo potere di fatto per ignoranza del luo-

go ove la stessa si trovi; 3) l’assenza di segni esteriori pub-

blicitari che possano consentire di identificare il legittimopossessore. Nel caso in esame è di tutta evidenza che la tes-

sera “bancomat” conteneva indicazioni, quali l’istituto ban-cario di riferimento ed il numero convenzionale, che consen-tivano facilmente a qualsiasi Banca di risalire al legittimo pro-prietario». Furto, dunque, e non appropriazione indebita(Cass., sez. V, 16 novembre 1998, n. 11860, De Antonis, ivi,211920).

«CONTESTAZIONI A CATENA» E PROCEDURA

DI RIESAME

Cassazione penale, Sez. I, 13 gennaio 2012 (c.c. 20 di-cembre 2011), n. 1006 - Pres. Giordano - Rel. Caprioglio -P.M. Spinaci (concl. diff.) - Ric. Stijepovic

Se siano deducibili mediante il ricorso per riesame,

contro provvedimenti cautelari asseritamente recanti

«contestazioni a catena», questioni fondate sulla

retrodatazione della decorrenza dei termini di durata

massima della misura applicata.

Più che l’attualità di un contrasto, sembrava si trattasse di se-gnalare, questa volta, il recente ma stabile ribaltamento diuna giurisprudenza per lungo tempo schierata, senza ecce-zioni di rilievo, nel senso opposto. Ed invece, come si vedràin chiusura, il contrasto è tanto attuale da aver determinato,al proposito del suo oggetto, una recentissima investituradelle Sezioni Unite della Corte di legittimità.La questione concerne la complessa tematica delle «conte-

stazioni a catena», e del connesso meccanismo di garanziaper l’accusato, che si fonda essenzialmente, com’è noto, sulcriterio della retrodatazione della decorrenza del termine

massimo di durata della misura cautelare applicata «tardiva-mente». Secondo il disposto del comma 3 dell’art. 297c.p.p., il carattere «tardivo» della contestazione cautelarecomporta - quando ne ricorrano le condizioni (desumibili an-che dagli interventi della Consulta e dagli arresti della giuri-sprudenza di legittimità) - che il trattamento si consideri ini-ziato all’epoca di esecuzione di un provvedimento cautela-

re precedente. Il meccanismo, qui evocato in termini gene-rali, può implicare che i termini di durata massima della mi-sura di nuova applicazione siano virtualmente già scaduti nelmomento di esecuzione della relativa ordinanza.

MISURE CAUTELARI

Diritto penale e processo 6/2012690

OsservatorioContrasti giurisprudenziali

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La giurisprudenza deve confrontarsi da lungo tempo con ilproblema delle interferenze tra verifica dei termini di sca-denza della misura sopravvenuta e riesame della misurastessa (a norma, oggi, dell’art. 309 c.p.p.). Il tema era occa-sionalmente discusso, infatti, già prima della introduzione delvigente comma 3 dell’art. 297 c.p.p. (attuata mediante l’art.12, comma 1, della l. 8 agosto 1995, n. 332), con riguardo aquelle fattispecie di matrice giurisprudenziale per le qualila retrodatazione del termine di durata massima si era già af-fermata come strumento di garanzia contro l’indebito frazio-namento delle contestazioni cautelari. E la giurisprudenza siera subito orientata per una distinzione tra presupposti di

legittimità del provvedimento restrittivo, per la cui verifica èammesso il ricorso per riesame, ed efficacia della relativamisura cautelare, riferibile invece alla responsabilità del sologiudice procedente. Secondo tale giurisprudenza, dunque,non sarebbe stata ammissibile, in sede di ricorso al tribunaledistrettuale, una doglianza costruita sull’asserita necessità diretrodatazione del termine di durata massima della misuradi nuova applicazione. L’interessato avrebbe dovuto rivolger-si, piuttosto, al giudice della cautela, prospettando l’ipoteticoeffetto estintivo della retrodatazione, ferma restando l’or-dinaria possibilità di appello contro la relativa decisione,quando sfavorevole (Cass., sez. I, 5 giugno 1991, n. 1785,Falanga, in Giur. it., 1993, II, 49; Cass., sez. I, 26 aprile 1994,n. 1184, Annis, in Giust. pen., 1994, III, 360, con nota di M.Murone, Riflessioni sull’esperibilità della richiesta di riesamein caso di “contestazioni a catena”, ed in Cass. pen., 1995,1577, con nota di M. D. Losapio, In tema di “contestazioni acatena”).La soluzione era del resto ispirata alle affermazioni più gene-rali circa l’irrilevanza, nel procedimento di riesame, di ogniquestione concernente l’eventuale estinzione della misuraimpugnata. Si ricorderà, in particolare, come le Sezioni unitedella Cassazione avessero affermato il principio con riguardoalla pretesa estinzione della misura a causa della mancata ef-fettuazione, entro il termine di legge, di un valido interroga-

torio di garanzia: anche in quel caso - si era detto - sarebbestato necessario avviare una procedura ex art. 306 c.p.p. in-nanzi al giudice della cautela (Cass., Sez. Un., 20 luglio

1995, n. 26, Galletto, in Cass. pen., 1995, 2874; si veda an-che Cass., Sez. Un., 3 luglio 1996, n. 7, Moni, ivi, 1996,3275).Non sorprende, dunque, che la giurisprudenza abbia tenutoun atteggiamento analogo quando, grazie alla riforma del

1995, si è fortemente dilatato l’oggetto della disciplina delle«contestazioni a catena». L’opinione dell’inammissibilità dicensure formulate ex art. 297, comma 3, c.p.p. innanzi al tri-bunale del riesame si è riproposta, e si è progressivamenteconsolidata, lungo il corso degli anni, senza incontrare osta-coli di rilievo (Cass., Sez. I, 24 settembre 1997, n. 4776, Sua-rino, in Ced Cass., 208503; Cass., sez. VI, 15 dicembre 1998,n. 3680, Di Matteo, ivi, 212686; Cass., sez. VI, 26 aprile1999, n. 833, Gozzi, ivi, 213682; Cass., sez. VI, 25 luglio2003, n. 31497, Dzemaili, ivi, 226286; Cass., sez. I, 28 aprile2004, n. 19905, Russo, ivi, 228053; Cass., sez. II, 11 novem-bre 2005, n. 41044, Guttadauro, ivi, 232697; Cass., Sez. I, 19settembre 2007, n. 35113, Chiodo, ivi, 237632; Cass., sez. II,26 settembre 2007, n. 35605, Crisafulli, ivi, 237991; Cass.,sez. VI, 6 marzo 2008, n. 10325, Zecchetti, ivi, 239016;Cass., sez. III, 27 aprile 2010, n. 16386, Vidori, ivi, 246768). Una prima decisione contraria all’orientamento dominanteè intervenuta nel 2010. La Corte ha notato (anche al fine disuperare il problema dell’omessa deduzione del tema in oc-casione della richiesta di riesame) che la ammissibilità o

non del trattamento restrittivo, per effetto della misura dinuova adozione, non è certo questione priva di implicazioninella valutazione delle esigenze cautelari, che certamentespetta al giudice del riesame. Testualmente: «ritiene questaCorte che, anche se esiste giurisprudenza contraria, secondocui la questione dovrebbe essere sottoposta al giudice com-petente (…), sussistesse l’obbligo di pronunziarsi al riguardo,atteso che (…) era stata chiesta la revoca della misura, e seessa fosse estinta per decorrenza dei termini di durata mas-sima (…) ciò prevarrebbe sulla sussistenza o meno delle esi-genze cautelari; ritenendo il contrario e non applicando taleprincipio sussisterebbe in caso di decorrenza di detti terminil’ingiusta carcerazione dell’inquisito» (Cass., sez. III, 11 mar-zo 2010, n. 9946, Chiaravalloti, ivi, 246237). Come si vede, la Corte ha compiuto un enunciato di caratte-re generale che potrebbe trascendere il problema del casoconcreto. Una volta assunto che la decorrenza effettiva del

termine di durata della nuova misura incide sulla consisten-za delle esigenze cautelari, resta da stabilire se rilevi, nelprocedimento di riesame, la sola eventualità di termini già

decorsi al momento di adozione del provvedimento impu-gnato, o se possa tenersi conto, più in generale, della «cu-stodia pregressa», al fine ad esempio di discutere la propor-zionalità di un trattamento disposto a breve tempo dalla suaprossima interruzione.La distinzione è stata posta fin dal primo provvedimentoche ha espresso adesione all’orientamento di rottura manife-statosi con la sentenza poco sopra citata: «occorre però di-stinguere l’ipotesi in cui sia stato dedotto che già al momen-to della misura i termini erano scaduti per l’ipotizzata retro-datazione - ipotesi nella quale la questione della retrodatazio-ne può essere posta in sede di riesame - dall’ipotesi in cui, in-vece, l’ipotizzata retrodatazione si riferisce all’eventualità diuna inefficacia sopravvenuta o sopravveniente del titolo perla impossibilità dell’incipiente o prossimo maturare dei

termini, ipotesi nella quale la questione andava posta in se-de di istanza di revoca, non incidendo sul titolo. Nel caso inesame, pertanto, per ammettere la fondatezza della questio-ne posta in sede di riesame sarebbe occorso che fosse risul-tata fondata la prospettazione che i termini di fase erano or-mai scaduti e che, pertanto, la misura non poteva per que-sto essere emessa». Insomma, il giudice del riesame po-trebbe conoscere solo di misure «nate morte», che per taleragione non avrebbero dovuto essere adottate (Cass., sez. I,21 giugno 2011, n. 24784, Cela, in Cass. pen., 2011, 3775,con nota di G. Santalucia, La deducibilità in sede di riesamedella questione sulla retrodatazione dei termini della misuracautelare nel caso di contestazioni a catena; nello stessosenso, con motivazione di mero rinvio, Cass., sez. I, 1 agosto2011, n. 30480, Xhilaga, in Ced Cass., 251090).La distinzione è divenuta cruciale in un provvedimento ancorpiù recente, secondo cui rileva la «inefficacia originaria»del titolo sopravvenuto, emesso, per effetto della necessariaretrodatazione di decorrenza, dopo la scadenza del termi-

ne di durata massima della misura applicata. In questo caso,infatti, si discute di circostanza che «incide sul titolo deten-

tivo», e solo per tale ragione la questione potrebbe essereposta in sede di riesame (Cass., sez. I, 13 gennaio 2012, n.1006, Stjiepovic, ivi, 251687). Si sarà notato che le pronunce di segno contrario all’orienta-mento tradizionale sono tutte successive alle altre, e che do-po la prima tra esse non si erano registrate decisioni ricon-ducibili all’orientamento opposto, sicché avrebbe potuto ipo-tizzarsi un passaggio indolore, per quanto brusco, a favore diuna soluzione il cui effetto di garanzia, per un più sollecito

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OsservatorioContrasti giurisprudenziali

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controllo sulla legittimità del trattamento cautelare, appare ditutta evidenza.Non è andata così. Come accennato in apertura, la Sezione IIIdella Corte, con un provvedimento deliberato il 7 maggio2012 (e non ancora depositato nel momento in cui si redigo-no queste note), ha rimesso alle Sezioni Unite della Cassa-zione il seguente quesito: «se (…) l’applicazione della regoladella retrodatazione dei termini della misura cautelare in casodi cosiddette contestazioni a catena possa essere valida-mente dedotta davanti al Tribunale in sede di riesame ove siprospetti che, già al momento dell’emissione dell’ordinanza

cautelare, erano scaduti interamente, per effetto della retro-datazione, i termini di custodia». La Corte, com’è chiaro, nonha ritenuto di poter semplicemente aderire all’orientamentodi più recente adozione. Resta da vedere se la Presidenza provvederà effettivamentea disporre la trattazione del ricorso innanzi al massimo Colle-gio. In ogni caso, e come risulta già dalla «notizia di decisio-ne» pubblicata, dovrebbe essere posta sul tappeto la solaquestione della ammissibilità di ricorsi che deducano la com-

pleta decorrenza del termine in fase antecedente all’ado-zione del nuovo provvedimento restrittivo.

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OsservatorioContrasti giurisprudenziali

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GiurisprudenzaProcesso penale

Omissis.

Considerato in diritto

Omissis.2. Nel merito, il quesito sul quale queste Sezioni unite so-no chiamate a pronunciarsi è se il principio di proporzio-nalità di cui all’art. 275 c.p.p., comma 2 imponga la revo-ca della misura della custodia cautelare, a prescinderedalla permanenza di esigenze cautelari, ove la durata del-la custodia già sofferta abbia raggiunto il limite di due ter-zi della pena inflitta con sentenza di condanna.Sul punto, la giurisprudenza assolutamente prevalente siè espressa, in numerosissime occasioni, in senso contrarioalla tesi fatta propria dal Tribunale di Bologna, facendoessenzialmente leva su una lettura coordinata e sistemati-ca del quadro normativo coinvolto e rappresentato, es-senzialmente, dal combinarsi dei principi enucleabili da-gli artt. 275, 299, 303 e 304 c.p.p.Si rileva, anzitutto, come al giudice che procede sia sem-pre imposta una valutazione globale e complessiva dellavicenda cautelare, che si radica su una serie di parametridi apprezzamento, di natura tanto oggettiva che soggetti-

va. Nel novero di tali parametri si iscrive anche il princi-pio di proporzionalità, il quale - secondo la quasi totalitàdelle pronunce che si collocano in tale filone interpreta-tivo - è destinato a spiegare i suoi effetti tanto nella fasegenetica della applicazione della misura, che nel suoaspetto funzionale della relativa protrazione. Procedere,dunque, ad una valutazione rigida del rapporto di propor-zionalità della durata della misura con la entità della pe-na inflitta, evocando a criterio di ragguaglio il limite deidue terzi della pena inflitta, sulla falsariga del limite fina-le della durata della custodia cautelare, sancito dall’art.304 c.p.p., comma 6, equivarrebbe a frustrare la discipli-na dei termini scandita dagli artt. 303 e 304 c.p.p., intro-ducendo arbitrariamente nel sistema un meccanismo diautomatica estinzione della custodia cautelare che fini-rebbe per obliterare totalmente la esigenza, postulata dalcodice di rito, di un apprezzamento non parcellizzato del-l’intero iter cautelare, nel cui ambito non può non ri-comprendersi, anche, l’apprezzamento in concreto dei pe-ricola in libertate che dovessero in ipotesi residuare.La dimensione temporale della misura in rapporto allapena inflitta, non è, quindi, un parametro inconferente aifini della decisione sul mantenimento della misura stessa,

Misure cautelari

Sezioni Unite e presoffertocautelare in ordine alla prosecuzione della misura custodiale

Cassazione penale, Sez. Un., 22 aprile 2011 (c.c. 31 marzo 2011), n. 16085 - Pres. Lupo - Rel.Macchia - P.M. in proc. Khalil

È illegittima la revoca della custodia cautelare motivata esclusivamente in riferimento ad un criterio aritmeti-

co della pena irroganda nel giudizio di merito, senza alcuna valutazione della persistenza e della consistenza

delle esigenze cautelari.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conformi Cass., Sez. I, 3 febbraio 2009 n. 9233, p.g. in proc. Zochiami, inedita; Cass., Sez. V, 12 febbraio 2009n. 21195, Occhipinti, in Ced Cass., 243936; Cass., Sez. VI, 8 ottobre 2008 n. 38511, p.g. in proc.Hassani, inedita; Cass., Sez. V, 17 aprile 2007 n. 34429, p.g. in proc. Escobar, inedita; Cass., Sez. IV,10 luglio 2007 n. 37513, p.g. in proc. Mohamed, in Ced Cass., 237460; Cass., Sez. I, 19 settembre2007 n. 36417, Alvarado Gallegos, in Ced Cass., 237896; Cass., Sez. IV, 16 gennaio 2008, n. 9426, p.g.0in proc. Toumi, inedita; Cass., Sez. IV, 23 gennaio 2008, n. 13157, p.g. in proc. Bram, inedita.

Difformi Cass., Sez. II, 3 luglio 2008 n. 35179, Kanibat, inedita; Cass., Sez. V, 6 luglio 2007 n. 38927, p.g. inproc. Castrilli, inedita; Cass., Sez. V, 11 luglio 2007 n. 36685, Mandakie, inedita; Cass., Sez. VI, 19 set-tembre 2007 n. 35791, p.g. in proc. Hassan, inedita.

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posto che il canone della proporzionalità, di cui all’art.275 c.p.p., comma 2, entra in causa proprio agli effetti ditale scrutinio. Ciò che, invece, tale orientamento decisa-mente respinge, è la possibilità di desumere dal sistemaun principio in forza del quale, al raggiungimento di unarigida e predeterminata proporzione tra durata della cu-stodia e quantum di pena inflitta, la restrizione della li-bertà personale debba comunque cessare, a prescindereda qualsiasi apprezzamento delle esigenze cautelari (tra lenumerosissime pronunce in tal senso v. Sez. 1, n. 9233,del 3/2/2009, dep. 2/3/2009, Zochiami; Sez. 5, n. 21195,del 12/2/2009, dep. 20/5/2009, Occhipinti; Sez. 2, n. 531del 12/12/2008, dep. 9/1/2009, Zaki; Sez. 4, n. 35713 del10/7/2007, dep. 28/9/2007, Mohamed; Sez. 2, n. 35587del 7/6/2007, dep. 26/9/2007, Khelifi).Il diverso orientamento trae invece origine dalla afferma-zione secondo la quale l’art. 275 c.p.p., comma 2, e art.299 c.p.p., comma 2, attuativi della direttiva di cui al-l’art. 2, n. 59, della legge delega sul codice di procedurapenale, fissano un principio, per così dire, autosufficien-te, nella parte in cui stabiliscono che il giudice è chiama-to a valutare la ragionevolezza del permanere della limi-tazione della libertà personale derivante dall’applicazionedella misura cautelare, in relazione al prevedibile risulta-to finale del processo. Al giudice, pertanto, sarebbe in-nanzi tutto richiesto di effettuare una prognosi, ovvia-mente provvisoria e circoscritta negli effetti, in ordine al-la sanzione che potrà essere inflitta in caso di condanna,e, in secondo luogo, di valutare se, tenuto conto dellapresumibile decisione finale e della durata che la misuracautelare ha già avuto, sia proporzionato - e, dunque, ra-gionevole - il protrarsi della stessa. In tale prospettiva, siè affermato, il difetto di proporzione sarà tanto più certo,quanto più la specifica situazione risulterà prossima ai pa-rametri indicati dall’art. 304 c.p.p., comma 4, (nel testoallora vigente: Sez. 6, n. 1227, del 29/3/1995, dep.15.5.1995, Ragaglia).All’interno di tale filone interpretativo si sono poi iscrit-te altre pronunce, nella sostanza non dissonanti dagli ap-prodi ermeneutici cui è pervenuto il provvedimento im-pugnato, anche se, peraltro, in nessuna di esse risulta af-fermato il principio - enunciato dai giudici a quibus - se-condo il quale la custodia cautelare deve cessare quandodal suo inizio sia decorso un periodo pari ad almeno dueterzi della pena in concreto inflitta (v. Sez. 2, n. 35179del 3/7/2008, dep. 11/9/2008, Kanibat; Sez. 5, n. 36685dell’11/7/2007, dep. 5/10/2007, Mandakie; Sez. 5, n.36670 del 26/6/2007, dep. 5/10/2007, Gajdo).3. Il perimetro dei valori costituzionali entro i quali puòtrovare soluzione il quesito sottoposto all’esame di questeSezioni unite e che ovviamente illumina il percorso argo-mentativo da seguire, è stato nitidamente tracciato dallagiurisprudenza della Corte costituzionale, la quale, da ul-timo, si è espressa in termini di univoca chiarezza, ai finiche qui interessano, nella sentenza n. 265 del 2010. Il te-ma dell’an e del quomodo delle misure limitative della li-bertà personale ruota, infatti, tutto attorno a due parame-tri in apparente frizione logica fra loro: da un lato, il prin-cipio di inviolabilità della libertà personale, con i relativi

corollari di tipicità, riserva di legge, giurisdizionalità e li-mitazione temporale che ne assistono le eccezionali dero-ghe, sancito dall’art. 13 Cost., e, dall’altro, il principio dipresunzione di non colpevolezza, previsto dall’art. 27,comma 2, della medesima Carta.L’apparente contraddizione tra una previsione espressache legittima la privazione massima della libertà persona-le attraverso la “carcerazione preventiva”, per sua naturadestinata ad operare prima ed a prescindere dalla con-danna definitiva, e la regola per la quale nessuna antici-pazione di pena può ritenersi costituzionalmente compa-tibile con il principio che presume la persona “non col-pevole” fino alla pronuncia della condanna irrevocabile,si risolve proprio - ha sottolineato la giurisprudenza costi-tuzionale - assegnando a questo secondo principio il valo-re di limite che, in negativo, contrassegna la legittimitàdella limitazione della libertà personale ante iudicium.Dunque, tanto l’applicazione quanto il mantenimento del-le misure cautelari personali non può in nessun caso fon-darsi esclusivamente su una prognosi di colpevolezza, némirare a soddisfare le finalità tipiche della pena - pur nellesue ben note connotazioni di polifunzionalità - né, infine,essere o risultare in itinere priva di un suo specifico e cir-coscritto “scopo”, cronologicamente e funzionalmente cor-relato allo svolgimento del processo. Il necessario raccordoche deve sussistere tra la misura e la funzione cautelare chele è propria, comporta, poi - sul versante del quomodo at-traverso il quale si realizza la compressione della libertàpersonale - che questa abbia luogo secondo un paradigmadi rigorosa gradualità, così da riservare alla più intensa li-mitazione della libertà, attuata mediante le misure di tipocustodiale - “fisicamente” simmetriche rispetto alle penedetentive, e, dunque, da tenere nettamente distinte sulpiano funzionale - il carattere residuale di extrema ratio.“Questo principio - ha d’altra parte sottolineato la stessaCorte costituzionale - è stato affermato in termini netti an-che dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo laquale, in riferimento alla previsione dell’art. 5, paragrafo 3,della Convenzione, la carcerazione preventiva deve appa-rire come la soluzione estrema che si giustifica solamenteallorché tutte le altre opzioni disponibili si rivelino insuffi-cienti (sentenze 2 luglio 2009, Vafiadis contro Grecia, e 8novembre 2007, Lelievre contro Belgio)”.Da qui, la logica che sostiene i principi enunciati nelladirettiva n. 59 della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81,sul nuovo codice di procedura penale, ed il recepimento,all’interno del sistema delle cautele (art. 275 c.p.p., com-ma 2) del duplice e concorrente canone della adeguatez-za, in forza del quale il giudice deve parametrare la speci-fica idoneità della misura a fronteggiare le esigenze caute-lari che si ravvisano nel caso concreto, secondo il para-digma di gradualità di cui si è detto, ed il criterio di pro-porzionalità, per il quale ogni misura deve essere propor-zionata “all’entità del fatto e alla sanzione che sia stata osi ritiene possa essere irrogata”. L’aspetto qualificante checaratterizza il sistema appena delineato e che lo rendeconforme a Costituzione, è dunque quello - ha sottoli-neato ancora la Corte costituzionale - di rifuggire daqualsiasi elemento che introduca al suo interno fattori

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che ne compromettano la flessibilità, attraverso automa-tismi o presunzioni.“Esso esige, invece, che le condizioni e i presupposti perl’applicazione di una misura cautelare restrittiva della li-bertà personale siano apprezzati e motivati dal giudicesulla base della situazione concreta, alla stregua dei ricor-dati principi di adeguatezza, proporzionalità e minor sa-crificio, così da realizzare una piana individualizzazionedella coercizione cautelare” (v. la già citata sentenza n.265 del 2010). Ed è del tutto evidente che i postulati del-la flessibilità e della individualizzazione che caratterizza-no l’intera dinamica delle misure restrittive della libertà,non possono che assumere connotazioni “bidirezionali”,nel senso di precludere tendenzialmente qualsiasi auto-matismo - che inibisca la verifica del caso concreto - nonsoltanto in chiave, per così dire, repressiva, ma anche sulversante “liberatorio.” 4. Dai rilievi dianzi svolti è giàdunque possibile trarre alcuni significativi corollari. Lavicenda cautelare, anzitutto, presuppone una visione uni-taria e diacronica dei presupposti che la legittimano, nelsenso che le condizioni cui l’ordinamento subordina l’ap-plicabilità di una determinata misura devono sussisterenon soltanto all’atto della applicazione del provvedimen-to cautelare, ma anche per tutta la durata della relativaapplicazione. Adeguatezza e proporzionalità devonoquindi assistere la misura - “quella” specifica misura - nonsoltanto nella fase genetica, ma per l’intero arco della sua“vita” nel processo, giacché, ove così non fosse, si assiste-rebbe ad una compressione della libertà personale quali-tativamente o quantitativamente inadeguata alla funzio-ne che essa deve soddisfare: con evidente compromissio-ne del quadro costituzionale di cui si è innanzi detto.Ciò basta, dunque, a sgombrare subito il campo da quel-l’orientamento minoritario, secondo il quale la valutazio-ne sulla proporzionalità della custodia cautelare alla penairrogata o irrogabile andrebbe operata esclusivamente nelmomento applicativo della misura e non anche successi-vamente, nel corso della sua esecuzione, escludendosi,dunque, che la misura stessa possa essere revocata quan-do sia trascorso un termine ritenuto congruo dal giudice(Sez. 6, n. 33859 del 10/7/2008, dep. 25/8/2008, Hicham;nonché, pur se in modo del tutto incidentale, Sez. 3, n.38748 dell’11/7/2003, dep. 14/10/2003, Nako).È ben vero che a favore di tale soluzione, per così diredrastica, è stato evocato, quale argomento testuale in-dubbiamente suggestivo, il disposto dell’art. 299 c.p.p.,comma 2, ove è stabilito che, nella ipotesi in cui vengameno il requisito della proporzionalità tra la misura cau-telare e l’entità del fatto o della sanzione che si ritienepossa essere irrogata, il giudice è facoltizzato ad operare lasostituzione in mitius della misura, mentre non è testual-mente prevista la possibilità della relativa revoca. Ma sitratta di argomento sistematicamente flebile, sia perchécontrastato dal tenore della direttiva 59 della legge-dele-ga (al cui espresso tenore deve, come è noto, conformarsila lettura della disposizione delegata, altrimenti contraconstitutionem) secondo la quale si sancisce la “previsionedella sostituzione o della revoca della misura della custo-dia cautelare in carcere, qualora l’ulteriore protrarsi di

questa risulti non proporzionata alla entità del fatto ed al-la sanzione che si ritiene possa essere irrogata”; sia perchéin contrasto con la logica del “minor sacrificio possibile”per la libertà personale, che informa, come si è accenna-to, non soltanto la “statica” del sistema cautelare, ma an-che la relativa “dinamica”;sia, infine, perché in antitesi con la stessa tradizione delprincipio che viene qui in discorso. Sull’onda, infatti, diuna importante Raccomandazione (R/80-11) adottata il27 giugno 1980 dal Comitato dei ministri del Consigliod’Europa in tema di detention provisoire, nella quale fuespressamente stabilito che la carcerazione preventivanon potesse essere disposta se la privazione della libertàfosse risultata sproporzionata in rapporto alla natura delreato contestato ed alla pena prevista per tale reato, il le-gislatore riformulò l’art. 277-bis del codice abrogato con laL. n. 398 del 1984, art. 9 attraverso una previsione che,nella prospettiva di mitigare i casi di cattura obbligatoriae di divieto di libertà provvisoria, introduceva il principioper il quale il giudice potesse astenersi dall’emettere ilprovvedimento coercitivo e concedere la libertà provviso-ria allorché la ulteriore custodia in carcere fosse risultata“non proporzionata all’entità del fatto e all’entità dellasanzione che si rit(eneva) po(tesse) essere irrogata con lasentenza di condanna, considerata la custodia già soffer-ta”. La proporzionalità, dunque, come canone di commi-surazione della “ragionevolezza” della compressione dellalibertà personale, non soltanto al momento della scelta“se” emettere una misura cautelare e “quale” misura con-cretamente prescegliere, ma anche nel corso della relativaapplicazione, in rapporto alla durata della privazione del-la libertà già subita, ancora una volta da orientare non sol-tanto sul quomodo, ma anche sull’an della coercizione.Risulterebbe, quindi, palesemente regressivo rispetto allastessa storia dell’istituto della proporzionalità un sistemache, in presenza di una misura divenuta appunto “spro-porzionata”, consentisse al giudice soltanto di affievolir-ne l’incidenza sulla libertà (sostituendola con altra menograve o disponendone l’applicazione con modalità menogravose), ma non di rimuoverla in toto. D’altra parte, se èindubitabile che, ove nel corso del procedimento muti insenso sfavorevole all’imputato il giudizio prognostico cir-ca il quantum di pena irrogabile in caso di condanna, siasenz’altro consentita l’applicazione ex novo di una misuracautelare, non v’è ragione alcuna per ritenere preclusal’ipotesi reciproca, ammettendo, dunque, la revocabilitàdi qualsiasi misura, ove lo scrutinio del caso conduca a ri-tenere funzionalmente superfluo il perdurare della caute-la, in rapporto al “tipo” di condanna che si prevede verràpronunciata.Omissis6. Per altro verso, a svelare l’erroneità dell’approdo erme-neutico cui perviene il Tribunale di Bologna, sta la sceltadi “commisurazione” del principio di proporzionalità, laquale, anziché essere raccordata al giudizio “triadico” chefaccia leva sul tipo della misura applicata, sulla relativadurata in rapporto alla pena irrogata ed alla gravità delfatto, e sulle esigenze che - alla luce del bilanciato ap-prezzamento dei diversi parametri coinvolti - appaiono

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concretamente residuare nel caso di specie, finisce perevocare, eccentricamente, il criterio dei due terzi delmassimo della pena temporanea prevista per il reato con-testato o ritenuto in sentenza, di cui all’art. 304 c.p.p.,comma 6. La proporzionalità, come parametro di apprez-zamento, è, infatti, principio tendenziale, che non sop-porta automatismi aritmetici, sia perché, ove così fosse,sarebbe chiamato ad operare soltanto in chiave di duratadella misura (surrogando, contra ius, la disciplina dei ter-mini di cui agli artt. 303 e 304 c.p.p.) e non anche in fa-se di prima applicazione, sia perché, concettualmente, ilsindacato sulla “proporzione” non può non refluire sulleesigenze cautelari e viceversa. Se, per disposto costituzio-nale, al legislatore è fatto obbligo di prevedere dei termi-ni di durata massima dei provvedimenti che limitano lalibertà personale, è del tutto evidente che ove si ravvisi-no (in ipotesi anche al massimo grado) le condizioni e leesigenze che impongono il permanere della misura caute-lare, risulterebbe addirittura contraddittorio rispetto allagaranzia costituzionale circa i limiti massimi di durata, unsistema che consentisse provvedimenti liberatori auto-matici anticipati (e senza “causa” cautelare) rispetto alrelativo spirare.Sotto altro profilo, non è neppure senza significato la cir-costanza che la Corte costituzionale, nel dichiarare lamanifesta infondatezza di una questione di legittimità co-stituzionale dell’art. 304 c.p.p., comma 6, sollevata, in ri-ferimento agli artt. 3 e 13 Cost., nella parte in cui talenorma non prevede che la durata massima della custodiacautelare non possa comunque superare i due terzi dellapena concretamente irrogata, allorché questa risulti nonmodificabile in peius, ha osservato come, nella specie, larichiesta del giudice a quo fosse orientata ad ottenere unasentenza manipolativa che avrebbe mutato “completa-mente il significato del limite finale dei due terzi della pe-

na, trasformandolo in un correttivo verso il basso dei ter-mini di fase complessivi, svincolato da ogni evento ano-malo di sfondamento, e tale da comportare, in concreto,un drastico abbattimento dei termini stessi” (v. la ordi-nanza n. 397 del 2000, citata anche dal ricorrente). Il chesta evidentemente a dimostrare come un analogo risulta-to non possa certamente essere raggiunto semplicementeattraverso una opzione di tipo interpretativo, come alcontrario mostra di reputare il Tribunale di Bologna.7. Tutto ciò non toglie, peraltro, che l’intero sviluppodella vicenda cautelare debba essere sottoposto a costan-te ed attenta verifica circa la effettiva rispondenza deitempi e dei modi di limitazione della libertà personale alquadro delle specifiche esigenze, dinamicamente apprez-zabili, proprio alla stregua dei criteri di adeguatezza e pro-porzionalità, posto che, se, da un lato, l’approssimarsi diun limite temporale di applicazione della misura custo-diale a quello della pena espianda non può risolversi nel-la automatica perenzione della misura stessa, è peraltroelemento da apprezzare con ogni cautela, proprio sul ver-sante della quantità e qualità delle esigenze che residua-no nel caso di specie e sulla correlativa adeguatezza dellamisura in corso di applicazione.Può, dunque, conclusivamente affermarsi che il principiodi proporzionalità, al pari di quello di adeguatezza di cuiall’art. 275 c.p.p., comma 2, opera come parametro dicommisurazione delle misure cautelari alle specifiche esi-genze ravvisabili nel caso concreto, tanto al momentodella scelta e della adozione del provvedimento coerciti-vo, che per tutta la durata dello stesso, imponendo unacostante verifica della perdurante idoneità di quella spe-cifica misura a fronteggiare le esigenze che concretamen-te permangano o residuino, secondo il principio della mi-nor compressione possibile della libertà personale.Omissis.

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Il commentodi Giuseppe Tabasco (*)

In una articolata sentenza le Sezioni Unite della Cassazione risolvono il quesito relativo alla revoca della cu-stodia cautelare coercitiva che abbia raggiunto il limite dei 2/3 della pena inflitta con sentenza di condannanon definitiva ed affermano che il provvedimento di cessazione della misura non può essere disposto in vir-tù di un criterio meramente aritmetico, prescindendo dalla valutazione giudiziale della persistenza o menodelle esigenze cautelari che ne avevano originariamente giustificato l’iniziale applicazione.

I dati del problema interpretativo

Nella giurisprudenza della Corte regolatrice da tem-po - come è noto - era controversa la questione cir-ca la legittimità o meno di utilizzare la pena inflittain concreto, o quella che si riterrà potrebbe presu-mibilmente essere inflitta, quale parametro di riferi-mento per decidere sulla revoca della misura caute-lare custodiale prima della emanazione della senten-za irrevocabile di condanna.

La soluzione al quesito emerge dall’annotata pro-nuncia delle Sezioni Unite (1), che, accogliendo ilricorso proposto dal Procuratore della Repubblica

Note:

(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valu-tazione di un referee.

(1) Cass., Sez. Un., 22 aprile 2011, p.m. in proc. Khalil, in questaRivista, 2011, 677-679.

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presso il Tribunale di Bologna, ha annullato il prov-vedimento del Tribunale del riesame di revoca dellamisura della custodia cautelare in carcere nei con-fronti dell’imputato in base alla sola considerazioneche la durata della detenzione preventiva aveva giàsuperato i 2/3 della pena inflitta in secondo grado.A tal proposito la giurisprudenza di legittimità infattispecie analoghe si era divisa in due filoni inter-pretativi contrapposti.Da un lato veniva affermata la legittimità del prov-vedimento di revoca della misura cautelare sul pre-supposto che l’imputato avesse già trascorso in regi-me custodiale un periodo pari ai 2/3 della pena in-flitta con la sentenza di condanna di primo grado. Fulcro del ragionamento giustificativo era la consta-tazione che il criterio di proporzionalità - che deveorientare il giudice nell’applicazione della misuracautelare più idonea - impone la superfluità dell’ap-prezzamento della persistenza delle esigenze cautelariogniqualvolta l’entità del presofferto abbia già supe-rato l’entità della pena che appare prevedibile sarà ir-rogata con la decisione di condanna definitiva (2).Dall’altro - premesso che la custodia cautelare nonpossa avere una durata maggiore della pena inflittain concreto - si replicava che la corretta applicazio-ne del principio di proporzionalità fissa per il giudi-ce l’obbligo di valutare comunque la persistenza del-le esigenze cautelari ritenute sussistenti al momentodell’adozione della misura, pur quando il periodo dicustodia cautelare presofferto abbia superato deter-minate percentuali della pena irrogata con la sen-tenza impugnata (3).

Le componenti ineludibili per la formulazionedel giudizio prognostico cautelare

Le disposizioni normative che vengono in primariorilievo nella soluzione del quesito sottoposto alle Se-zioni Unite sono costituite dagli artt. 275, comma 2,e 299, commi 1 e 2, c.p.p., le quali, in attuazione del-la direttiva impartita dall’art. 2 n. 59 della legge de-lega n. 81 del 1987, esigono la costante valutazionedi ragionevolezza e legalità sia della iniziale imposi-zione sia della successiva permanenza della limita-zione della libertà personale rispetto al prevedibileepilogo conclusivo del processo. Il giudice è chiamato a formulare un giudizio pro-gnostico in relazione all’alta probabilità della colpe-volezza della persona sottoposta all’accertamentopenale, commisurandolo indissolubilmente ai possi-bili pregiudizi che la ricostruzione processuale puòsubire, ed in stretta e graduale connessione con laprogressione dei mutevoli risultati cognitivi via viaacquisiti.

«La tipicità peculiare del thema decidendum della resiudicanda de libertate» (4) implica, dunque, una valu-tazione globale e complessiva della vicenda cautela-re, imperniata su parametri di apprezzamento di na-tura sia oggettiva che soggettiva: il principio di pro-porzionalità che è destinato a spiegare i suoi effettitanto nella fase genetica dell’applicazione della mi-sura cautelare che in quella funzionale della sua pro-trazione; e il principio di adeguatezza, che consentela puntuale individualizzazione dell’esercizio del po-tere cautelare (5). Orizzonte assiologico obbligato e sovraordinato en-tro il quale va iscritta ogni restrizione de libertate è lapresunzione di non colpevolezza che impone chel’imputato non subisca anticipatamente le stesse co-ercizioni custodiali che si applicano quali sanzioni alcondannato in via definitiva (6).Affinché le misure cautelari siano compatibili con lapresunzione di innocenza è necessario, perciò, cheesse siano nettamente differenziate rispetto alla pe-na, in modo da non costituire una indebita anticipa-zione della sanzione penale che sarà irrogata con lasentenza irrevocabile di condanna (7).La presunzione di non colpevolezza esige, perciò, daun lato, che la limitazione della libertà personale

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Note:

(2) Cass., Sez. II, 3 luglio 2008 n. 35179, Kanibat, inedita; Cass.,Sez. V, 6 luglio 2007, n. 38927, p.g. in proc. Castrilli, inedita;Cass., Sez. V, 11 luglio 2007, n. 36685, Mandakie, inedita; Cass.,Sez. VI, 19 settembre 2007, n. 35791, p.g. in proc. Hassan, ine-dita.

(3) Cass., Sez. I, 3 febbraio 2009, n. 9233, p.g. in proc. Zochiami,inedita; Cass., Sez. V, 12 febbraio 2009, n. 21195, Occhipinti, inCed Cass., 243936; Cass., Sez. VI, 8 ottobre 2008, n. 38511, p.g.in proc. Hassani, inedita; Cass., Sez. V, 17 aprile 2007, n. 34429,p.g. in proc. Escobar, inedita; Cass., Sez. IV, 10 luglio 2007, n.37513, p.g. in proc. Mohamed, in Ced Cass., 237460; Cass.,Sez. I, 19 settembre 2007, n. 36417, Alvarado Gallegos, in CedCass., 237896; Cass., Sez. IV, 16 gennaio 2008, n. 9426, p.g. inproc. Toumi, inedita; Cass., Sez. IV, 23 gennaio 2008, n. 13157,p.g. in proc. Bram, inedita.

(4) Così G. Pierro, Il giudicato cautelare, Torino, 2000, 31.

(5) Su tali principi cfr., di recente, P. Tonini, Manuale di procedu-ra penale, Milano, 2011, 415-416.

(6) Sulla presunzione di non colpevolezza cfr., per tutti, G. Illumi-nati, La presunzione d’innocenza dell’imputato, Bologna, 1979;e, più di recente, P.P. Paulesu, La presunzione di non colpevo-lezza dell’imputato, Torino, 2008, 9-10, il quale parla di polivalen-za funzionale della presunzione di non colpevolezza, che, «intesacome regola di trattamento dell’imputato si sostanzia nel divietodi assimilare l’imputato al colpevole, e quindi nel divieto di puni-re tale soggetto prima della condanna definitiva».

(7) Così Corte cost., 21 luglio 2010, n. 265, in questa Rivista,2011, 949, che ribadisce un risalente e costante insegnamentodel Giudice delle leggi, fin dal vigore del codice di rito penale del1930. Si fa riferimento - come è noto - a Corte cost., 4 maggio1970, n. 64, in Giur. cost., 1970, 574, secondo cui «le misurecautelari, ed in particolare la coercizione preventiva, in nessuncaso possono avere la funzione di anticipare la pena inflitta».

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non sia disposta solamente in forza della prognosi dicolpevolezza, ma anche in presenza di specifiche edautonome esigenze di tutela denominate comune-mente pericula libertatis; dall’altro, che le finalitàcautelari siano sempre strumentali ai fini dell’eserci-zio della funzione giurisdizionale (8).È legittimo, cioè, che la libertà personale dell’impu-tato venga ristretta unicamente al fine di assicurareil buon andamento del processo sotto il profilo pro-batorio, o di garantire l’effettiva esecuzione della pe-na, che prevedibilmente sarà inflitta con la sentenzadefinitiva (9).A tali cautele processuali la legge-delega, peraltro,ne aggiunge un’altra di natura extraprocessuale,protesa a soddisfare le istanze di «tutela della collet-tività» e trasfusa nell’articolata formulazione nor-mativa racchiusa nell’art. 274, comma 1, lett. cc.p.p. (10).Pur senza prendere posizione sulla compatibilità conla nostra Carta fondamentale dei diritti di quest’ul-tima e fortemente discussa finalità, bisogna ricorda-re che è, tuttavia, conclusione unanimemente con-divisa che la fattispecie cautelare personale sia inte-grata se e solo se accanto all’accertata esistenza deigravi indizi di colpevolezza, sussista in concreto al-meno una delle tre esigenze cautelari previste dalcodice di rito penale (11). Il giudice, pertanto, nell’ambito della pluralità dimisure cautelari prefigurate dalla legge processuale eprogressivamente graduate a seconda della crescen-te intensità del sacrificio imposto alla libertà perso-nale, deve individuare quella più idonea a soddisfarele esigenze cautelari nel caso concreto, muovendo -in virtù del criterio del minore sacrificio necessario -dalla misura meno afflittiva per l’imputato (12), ecorrelando la sua scelta sia all’entità del fatto per ilquale si procede, sia alla sanzione che ritiene potràessere irrogata.L’esercizio del potere cautelare risponde, quindi, aduna «regola decisoria» (13), che individua nel ricor-so alla custodia carceraria una vera e propria extremaratio (14), sì da evitare automatismi e presunzioniche, comprimendo o sopprimendo lo spazio valutati-vo del giudice in ordine ai presupposti ed ai criteriche giustificano l’adozione di ogni misura cautelarepersonale, si concreterebbero in una sostanziale assi-milazione dell’imputato al colpevole, in palese con-trasto con l’art. 27, comma 2, della Costituzione.

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Note:

(8) Così, ancora, P.P. Paulesu, Presunzione di non colpevolezza,in Dig. disc. pen., vol. IX, Torino, 1995, 680-681, secondo il qua-le «Qualsiasi finalizzazione di tipo “sostanziale” trasformerebbe

la custodia cautelare in una sorta di sanzione anticipata, inflitta inconseguenza della sola instaurazione del procedimento ed indi-pendentemente dal suo risultato».

(9) Nel vigore del codice di rito penale del 1930, V. Grevi, Libertàpersonale dell’imputato, in Enc. dir., vol. XXIV, 335, riteneva chela carcerazione preventiva fosse idonea ad assumere nel pro-cesso una funzione di cautela strumentale ed una funzione dicautela finale, escludendo che ad essa potesse attribuirsi unafunzione istituzionale di cautela contro il pericolo della commis-sione di nuovi reati da parte dell’imputato. Per L. Ferraioli, Dirit-to e ragione. Teoria del garantismo penale, Bari, 1989, 566, lacarcerazione ante iudicium, «qualunque fine le si voglia attribui-re, contraddice in radice il principio di giurisdizionalità: che nonconsiste nel poter essere arrestati solo per ordine di un giudice,ma nel poterlo essere solo sulla base di un giudizio». In sensocontrario vedi, però, G. Vassalli, Libertà personale dell’imputatoe tutela della collettività, in Giust. pen., 1978, I, c. 1 ss.; e, più re-centemente, A. De Caro, Libertà personale e sistema proces-suale penale, Napoli, 2000, 185 ss., il quale osserva che per «tu-telare il processo da comportamenti che “inquinano” l’attivitàgiurisdizionale» non è necessario individuare una crepa nella re-gola della presunzione di innocenza dell’imputato ma va rimar-cato «il livello del bene “processo”, la necessità di una sua tute-la nell’alveo di una più generale tutela della libertà della personaumana globalmente individuata» e riconosciuta «la assoluta le-gittimità di forme di “coazione” deputate a difendere il bene daattacchi oggettivi purché esse non compromettano mai l’assolu-ta non equiparazione tra imputato e colpevole».

(10) Art. 2, n. 59, cit. Su tale esigenza cautelare, che ha solleva-to accesi dibattiti, la dottrina da sempre ha assunto due contrap-posti orientamenti: il primo, che, nel respingere ogni obiettivoextraprocessuale della custodia cautelare, ritiene insanabile ilconflitto fra le istanze specialpreventive connesse alla pena e lapresunzione processuale di non colpevolezza; il secondo, che,pur rifiutando l’impiego della custodia cautelare per fini squisita-mente sostanziali, propri cioè della sanzione penale, nega chesolamente le finalità endoprocessuali possano giustificare la re-strizione della libertà personale alla luce dell’attuale quadro co-stituzionale. Sulla ricostruzione del dibattito cfr. G. Vassalli, Li-bertà personale, cit., passim e, con ampio, analitico sviluppo, V.Grevi, Libertà personale, cit., 333 ss.

(11) Sul punto cfr. E. Marzaduri, Misure cautelari personali (Prin-cipi generali e disciplina), in Dig. disc. pen., vol. VIII, Torino,1994, 70, il quale osserva che una disciplina delle misure caute-lari che ne consentisse l’applicazione solamente in presenza delfumus commissi delicti «finirebbe con il configurare delle san-zioni penali incidenti sulle libertà della persona giustificate da ungiudizio provvisorio di colpevolezza, dal momento che l’interpre-te non sarebbe assolutamente in grado di assicurare una distin-zione funzionalmente orientata tra l’intervento restrittivo in cor-so di procedimento e l’intervento restrittivo all’esito del medesi-mo», in palese contrasto con la presunzione di non colpevolezzasancita dall’art. 27, comma 2, della Costituzione.

(12) Secondo E. Marzaduri, Misure cautelari personali, cit., 72-73, la scelta operata dal legislatore del 1988 di affidare il regimecautelare al corretto esercizio del potere discrezionale del giudi-ce esalta la centralità del principio di adeguatezza con la conse-guenza che dovrà essere adottata la misura meno gravosa perl’imputato fra quelle idonee a soddisfare le esigenze cautelarinel caso concreto. Cfr. anche V. Grevi, Misure cautelari, in Com-pendio di procedura penale, III ed., Padova, 2006, 383.

(13) L’espressione è di V. Grevi, Misure cautelari e diritto di dife-sa, Milano, 1996, 299.

(14) La custodia cautelare carceraria, cioè, può essere dispostasolo allorquando ogni altra misura risulti inadeguata. Secondo S.Furfaro, Le limitazioni della libertà personale consentite, in Lemisure cautelari personali, a cura di G. Spangher e C. Santoriel-lo, Torino, 2009, 74, la previsione codicistica, almeno nella suaformulazione originaria, rappresenta, perciò, una specificazionedel principio di adeguatezza.

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Alla luce dei principi sin qui sinteticamente ricor-dati la decisione delle Sezioni Unite della Cassazio-ne - che si annota - merita, dunque, condivisione edapprezzamento.In primo luogo va rilevata la impossibilità della for-mulazione di un giudizio cautelare che non tengaconto, nel valutare la necessità o meno della protra-zione di ogni misura cautelare, dei pericula libertatis,atteso che la vicenda cautelare va apprezzata in ma-niera globale e diacronica in relazione ai concatena-ti presupposti che la legittimano. Se si aderisse alla tesi secondo la quale il provvedi-mento di revoca della misura cautelare allorchél’imputato abbia trascorso un periodo pari ai 2/3 del-la pena inflitta con sentenza di condanna di primogrado, si dovrebbe rispondere ad una sorta di dove-roso automatismo ex lege e si dimenticherebbe unadelle scelte più qualificanti della codificazione del1988-1989, che si compendia nella costante perso-nalizzazione dell’accertamento cautelare (15). D’altronde, una puntuale conferma di questa impo-stazione è ravvisabile nella norma di cui all’art. 275,comma 2-ter, c.p.p. la quale prevede che, pur dopo lacondanna in sede di appello, le misure cautelari so-no sempre disposte se e solo se risultino sussistere,dopo la valutazione condotta anche ai sensi delcomma 1-bis, le esigenze cautelari di cui all’art. 274del codice di rito penale (16). Che l’esercizio del potere valutativo del giudice inordine ai presupposti in grado di legittimare la re-strizione della libertà personale dell’imputato perogni singolo caso concreto debba esplicarsi non solonel momento genetico di applicazione della misura,ma per l’intero arco di svolgimento del procedimen-to cautelare, affiora, del resto, con visibile evidenzaanche dalle recenti decisioni di accoglimento pro-nunciate dalla Corte costituzionale sull’art. 275,comma 3, c.p.p., giacché a giudizio dei giudici dellaConsulta la ragionevole sostituzione dell’apprezza-mento giurisdizionale cautelare da parte del legisla-tore con la fissazione di una presunzione iuris et de iu-re di adeguatezza della custodia carceraria non com-porta, neppure per questa eccezionale ed unica ipo-tesi, alcuna deroga in ordine al doveroso, necessarioed individualizzato accertamento giudiziale in ordi-ne alla sussistenza di almeno uno dei tre pericula li-bertatis (17).

Misura cautelare presofferta e riparazione per ingiusta detenzione

L’art. 314 del codice di rito penale prevede che l’im-putato ha il diritto ad ottenere un’equa riparazioneper la custodia cautelare subita ingiustamente.

Si tratta - come è noto - di una novità introdotta dalcodice del 1988 in adempimento di un preciso ob-bligo sancito dall’art. 5, comma 5, della Convenzio-ne europea dei diritti dell’uomo. Presupposto per ottenere l’equa riparazione è la in-giustizia sostanziale o formale della custodia cautela-re subita.La prima ipotesi, contemplata dall’art. 314, comma1, c.p.p., prevede il diritto all’equa riparazione al-l’imputato che sia stato prosciolto con sentenza irre-vocabile per ragioni che escludono pienamente lasua responsabilità.La seconda ipotesi, disciplinata dal comma 2 dellastessa norma, riconosce l’equa riparazione nel casoin cui la custodia cautelare risulti applicata illegitti-mamente, indipendentemente dall’esito del proces-so a carico dell’imputato che potrebbe essere con-dannato.

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Note:

(15) Cfr., sul punto, G. Pierro, Il giudicato cautelare, cit., 26-27, ilquale mette in luce un puntuale raccordo tra il primo e il secon-do comma dell’art. 27 della Costituzione, e conclude che «la per-sonalizzazione dell’accertamento appare, perciò, connotato co-stituzionale delle misure de libertate, alla luce sia del secondoche del primo comma dell’art. 27 della Costituzione; integra cioèun carattere strutturale e coessenziale di decisioni che, essendorese rebus sic stanti bus, sono soggette al naturale mutamentoconnesso al cambiamento dei presupposti concreti che ne giu-stificano la provvisoria emanazione».

(16) Tale norma, secondo parte della dottrina imporrebbe l’appli-cazione obbligatoria della misura cautelare personale in determi-nate situazioni, comprimendo, così, la discrezionalità del giudice.Cfr. A. De Caro, Presupposti e criteri applicativi, in Trattato diprocedura penale, a cura di G. Spangher, vol. II, t. 2, Le misurecautelari, a cura di A. Scalfati, Torino 2009, 83, il quale osservache la «locuzione “sono sempre disposte” non lascia spazio allanaturale libertà giurisdizionale circa l’opportunità di applicare, inpresenza delle esigenze di cui all’art. 274 c.p.p., la misura, pur seresta inalterato il potere di scelta del tipo restrizione». Nello stes-so senso vedi C. Fiorio, Commento alla legge 26 marzo 2001, n.128 (Pacchetto sicurezza), in Codice di procedura penale iperte-stuale, App., Torino, 2001, 3551, il quale parla di «”peso” dellasentenza di condanna tra i criteri di scelta in ordine ai quali il giu-dice ha l’obbligo di motivare a giustificazione della misura caute-lare prescelta». Al contrario, secondo F. Alonzi, L’adozione di mi-sure cautelari all’esito di un provvedimento di condanna: una di-scutibile novella, in AA.VV., Le nuove norme sulla tutela della si-curezza dei cittadini «c.d. pacchetto sicurezza», Milano, 2001,235, l’intervento del legislatore «più che normativo è pedagogi-co: non contiene infatti autentiche prescrizioni idonee a gover-nare ed indirizzare i criteri di scelta della misura cautelare, macontiene un invito al giudice su come debbono essere valutate leesigenze cautelari all’esito di un procedimento di condanna, nonapportando, fondamentalmente nulla di nuovo rispetto a quantogià enucleabile dal sistema o a quanto sinora elaborato in sedegiurisprudenziale». Condivide questa linea interpretativa P. Toni-ni, Manuale, cit., 416, secondo il quale «la norma in oggetto ap-pare rivestire un valore meramente simbolico e non precettivo».

(17) Sulla recente svolta della giurisprudenza della Corte costitu-zionale in tema di art. 275, comma 3, c.p.p., sia permesso il rin-vio a G. Tabasco, Illegittima l’obbligatorietà della custodia carce-raria anche per il traffico illecito di sostanze stupefacenti, in que-sta Rivista, 2012, 167 ss.

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In tale ultimo caso il diritto alla riparazione presup-pone solamente che la misura custodiale sia stataemessa senza che esistessero le condizioni di applica-bilità previste dagli artt. 273 e 280 del codice di ritopenale.Dottrina e giurisprudenza hanno sempre ritenutoche l’elencazione delle formule assolutorie, conte-nuta nel comma 1 dell’art. 314 c.p.p. fosse tassativaed hanno escluso, pertanto, il riconoscimento deldiritto all’equa riparazione nella ipotesi di proscio-glimento con formule diverse da quelle specifica-mente previste dalla disposizione codicistica (18).Siffatto costante orientamento interpretativo è sta-to del tutto disatteso, tuttavia, dalla Corte costitu-zionale (19), che, in accoglimento della questione dilegittimità costituzionale sollevata dalle SezioniUnite della Cassazione (20), ha dichiarato illegitti-mo, per violazione degli artt. 2, 3 e 13 Cost., l’art.314 c.p.p. «nella parte in cui, nell’ipotesi di deten-zione cautelare sofferta, condiziona in ogni caso ildiritto all’equa riparazione al proscioglimento nelmerito dalle imputazioni, secondo quanto precisatoin motivazione» e lo preclude qualora la custodiacautelare patita risulti superiore all’entità della penainflitta. Secondo il giudice delle leggi la scelta del legislato-re di condizionare l’equa riparazione al prosciogli-mento dell’imputato appare manifestamente irragio-nevole e, perciò, lesiva dell’art. 3 della Costituzione,in quanto non è costituzionalmente ammissibile che«l’incidenza che la custodia cautelare ha esercitatosul bene inviolabile della libertà personale dell’indi-viduo, nella fase anteriore alla sentenza definitiva,possa venire apprezzata con esclusivo riferimento al-l’esito del processo penale, e per il solo caso di asso-luzione nel merito dalle imputazioni». Se un sacrificio ingiusto della libertà personale si èverificato a seguito dell’applicazione indebita dellacustodia cautelare, il meccanismo solidaristico dellariparazione non può che attivarsi, infatti, a prescin-dere dall’esito finale del giudizio e, quindi, anchenell’ipotesi in cui sia mancato il proscioglimento nelmerito.Per questo verso, allora, la posizione di chi sia statoprosciolto nel merito non può distinguersi da quelladel condannato alla esecuzione di una pena inferio-re alla custodia carceraria già patita, giacché «in en-trambi i casi, l’imputato ha subito una restrizione delproprio diritto inviolabile. In entrambi i casi, per-tanto, ricorre l’obbligo costituzionale di indennizza-re il pregiudizio».Il ragionamento della Corte costituzionale ridise-gna, così, la ratio della riparazione per ingiusta de-

tenzione, che non trova più il suo unico fondamen-to nella discrasia fra la custodia cautelare patita ed ilriconoscimento dell’innocenza dell’imputato, bensìanche «nella impossibilità di giustificare oggettiva-mente ex post la applicazione o la durata della misu-ra cautelare sulla base del complesso delle statuizio-ni contenute nella sentenza conclusiva del procedi-mento» (21). Anche alla luce della ora ricordata decisione costi-tuzionale, appare, perciò, condivisibile la sentenzacui sono dedicate queste sintetiche riflessioni. Se il diritto risarcitorio per l’ingiustizia della custo-dia cautelare patita trova fondamento non solo nel-la impossibilità di giustificare la restrizione della li-bertà personale sulla base delle statuizioni assoluto-rie contenute nella sentenza che conclude definiti-vamente il procedimento, è evidente che la decisio-ne circa la applicazione e la protrazione della custo-dia cautelare deve fondarsi su una valutazione chetenga conto della vicenda cautelare nella sua globa-lità.Qualora la protrazione della custodia cautelare rima-nesse ancorata ad una verifica di tipo meramentearitmetico tra la durata della misura e l’entità dellapena, la decisione finirebbe per sottrarsi del tutto alsindacato concernente l’esatta applicazione del prin-cipio di proporzionalità. Il provvedimento cautelaresi estinguerebbe, cioè, automaticamente con il rag-giungimento dei 2/3 del massimo della pena tempo-ranea prevista per il reato contestato o ritenuto insentenza, prescindendosi del tutto dall’apprezzamen-to giudiziale di qualsivoglia esigenza cautelare che,nel caso di specie, dovesse concretamente residuare.

Diritto penale e processo 6/2012700

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Note:

(18) Cfr. Cass., Sez. IV, 26 febbraio 2003, Min. Economia e Fi-nanze in proc. Ierna, in Ced Cass., 223822; Cass., Sez. IV, 17 di-cembre 1992, Min. tesoro in proc. Merigo, in Cass. pen., 1993,2906, che hanno escluso il diritto alla riparazione nel caso di pro-scioglimento con la formula «il reato è stato commesso da per-sona non imputabile o non punibile per altra ragione». SecondoP.V. Molinari, Considerazioni in tema di riparazione per l’ingiustadetenzione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1996, 984, il diritto all’equoindennizzo delle conseguenze subite a seguito di detenzionespetta a colui che è stato assolto con sentenza irrevocabile conle formule in facto «perché il fatto non sussiste» e «per non avercommesso il fatto»; e, secondo M.G. Coppetta, La riparazioneper ingiusta detenzione, Padova, 1993, 128, anche con le for-mule in iure «perché il fatto non costituisce reato» e «il fatto nonè previsto dalla legge come reato» giacché «assimilabili alle pri-me quanto ad espressione dell’innocenza del perseguito».

(19) Corte cost., 20 giugno 2008, n. 219, in Foro it., 2008, IV, c.633.

(20) Cass., Sez. Un., 30 maggio 2006, Pellegrino ed altro, inCass. pen., 2007, 2366.

(21) Così A. Balsamo, Riparazione per ingiusta detenzione, inTrattato di procedura penale, a cura di G. Spangher, cit., 650.

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Ne conseguirebbe, pertanto, l’impossibilità di ogniverifica in ordine alla ingiustizia sostanziale della cu-stodia cautelare patita, che non avrebbe, così, alcunmodo di esplicarsi, precludendo il diritto alla ripara-zione riconosciuto dall’art. 314, comma 1 del codicedi rito penale. E ciò in aperto contrasto con il discorso argomenta-tivo elaborato dalla recente decisione di accogli-mento della Corte costituzionale secondo il qualedeve essere apprezzata la peculiare specificità di ognifattispecie concreta alla luce dei principi-guida checonsentono la formulazione di qualsivoglia giudiziocautelare al fine di adeguarvi l’indennizzo commisu-rato alla compromissione del fondamentale valoredella persona umana. Il riconoscimento del diritto alla riparazione per in-

giusta detenzione nell’ipotesi che si realizzi una sfa-satura - priva di proporzionalità - tra la custodia cau-telare sofferta e la pena irrogata con la sentenza de-finitiva dilata le ipotesi di ingiustizia sostanziale,racchiuse nell’art. 314 c.p.p., e contribuisce a realiz-zare in tal modo una effettiva tutela dei diritti invio-labili dell’uomo (22).

Diritto penale e processo 6/2012 701

GiurisprudenzaProcesso penale

Nota:

(22) Cfr., al riguardo, E. Turco, Pluralità di imputazioni e riparabili-tà della custodia cautelare eccedente la misura della pena inflit-ta: la parola alla Consulta, in Cass. pen., 2007, 2373, secondo laquale affinché l’inviolabilità di un diritto, e nel caso di specie del-la libertà personale, non costituisca solamente una vuota procla-mazione contenuta nella Carta fondamentale è necessario ap-prontare «efficaci strumenti di tutela che consentano di preveni-re, e se ciò non sia possibile, di fornire ristoro alla lesione di talediritto».

Page 42: LA PRATICA PROCESSO PENALE - units.it

Diritto penale e processo 6/2012702

GiurisprudenzaDiritto penale

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conformi (1) Cass., Sez. VI, 9 luglio 2009, n. 36083; Trib. Milano, 18 gennaio 2008; Trib. Milano, 19 dicembre2005; Trib. Milano, 10 gennaio 2005; Trib. Milano, 9 marzo 2004, Ilat s.p.a.(2) Trib. Cagliari (G.U.P.), 4 luglio 2011, Saras s.p.a; Trib. Novara (G.U.P.), 1 ottobre 2010; Trib. Pinerolo,23 settembre 2010; Trib. Trani, 26 ottobre 2009, Truck center s.a.s.(3) Trib. Milano (G.I.P.), 20 settembre 2004; Trib. Milano, 20 dicembre 2004.

Difformi (1) Trib. Roma (G.U.P.), 7 febbraio 2012, Magiste International S.A.; Trib. Milano, 20 ottobre 2011,Trewu s.r.l.; Cass., Sez. VI, 18 febbraio 2010, n. 27735, Brill Rover s.r.l.; Cass., Sez. Un. Civ., 30 set-tembre 2009, n. 20937; Trib. Milano, 18 aprile 2008; Cass., Sez. II, 20 dicembre 2005, JollyMediterraneo s.r.l.; Trib. Torino, 11 giugno 2004.

Responsabilità d’impresa

La sentenza sul “rogo” della ThyssenKrupp: tra responsabilità individuale e corporativaCorte d’Assise di Torino, Sez. II, 14 novembre 2011 (15 aprile 2011), n. 31095 - Pres. Iannibelli -Rel. Dezani - Espenhahn et al., ThyssenKrupp AST s.p.a.

@ Il testo integrale della sentenza è disponibile su: www.ipsoa.it\dirittopenaleeprocesso

Poiché la rappresentazione dell’intero fatto tipico come probabile o possibile è presente sia nel dolo eventua-

le che nella colpa cosciente, il criterio distintivo deve essere cercato sul piano della volizione. Mentre, infatti,

nel dolo eventuale occorre che la realizzazione del fatto sia stata “accettata” psicologicamente dal soggetto,

versa in colpa cosciente colui che, nel porre in essere la condotta nonostante la rappresentazione dell’evento,

ne abbia escluso la possibilità di realizzazione, non volendo né accettando il rischio che quel risultato si veri-

fichi, nella convinzione, o nella ragionevole speranza, di poterlo evitare per abilità personale o per intervento

di altri fattori.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conformi Non sono stati pervenuti precedenti conformi.

Difformi Non sono stati pervenuti precedenti difformi.

La volontà del legislatore, come traspare sia dalla legge delega sia dal decreto delegato, è quella di introdurre

una nuova forma di responsabilità, tipica degli enti, di natura amministrativa. Con la conseguenza che non pos-

sono porsi questioni di legittimità costituzionale, in particolare il conflitto con il principio di tassatività-deter-

minatezza e con l’art. 27 della Costituzione (1).

Collegare il requisito dell’interesse della persona fisica, dell’interesse o del vantaggio dell’ente non all’evento

bensì alla condotta penalmente rilevante della persona fisica corrisponde ad una corretta applicazione dell’art.

5 d.lgs. n. 231 del 2001 (similmente per gli artt. 13 lett. a) e 19) ai reati colposi, in particolare a quello di cui

all’art. 589, comma 2, c.p. (2).

Nella valutazione della colpevolezza in organizzazione si può seguire il c.d. “principio di effettività”, superando

quindi in tale prospettiva il dato formale della non avvenuta adozione del “modello” da parte dell’organo com-

petente, in epoca precedente rispetto al verificarsi del reato (3).

La valutazione della rilevanza del profitto ai sensi dell’art. 13 lett. a) deve essere riferita a criteri oggettivi gene-

rali, così da non privilegiare l’ente che abbia maggiori disponibilità economiche, rispetto all’ente dotato di

minori risorse (4).

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Una breve premessa

La sentenza della Corte d’Assise di Torino sul rogodella Thyssenkrupp merita particolare attenzioneperché consente di compiere una serie molto artico-lata di riflessioni: alcune, a carattere generale, con-cernenti le ragioni che stanno alla base della semprepiù consistente valorizzazione giudiziale del doloeventuale; altre, a carattere - per così dire - prelimi-nare, relative alla problematica distinzione tra cono-scenza attuale e conoscibilità potenziale e alla “qua-lità” (concreto, generico, specifico) dell’evento og-getto di rappresentazione; altre ancora, infine, piùspecificamente attinenti alla distinzione tra doloeventuale e colpa cosciente. Due i dati di fondo da cui partire. Anzitutto, si devesegnalare che si tratta della prima sentenza in cui sicondanna per omicidio sorretto da dolo eventualeun soggetto che esercitava un’attività di organizza-zione dell’impresa. In secondo luogo, la sentenza siinserisce all’interno di una linea direttrice semprepiù marcata, volta a ritenere sussistente il dolo even-tuale rispetto ad attività fino a poco tempo fa pacifi-camente ritenute dominate dalla colpa, come dimo-strato dalla più recente giurisprudenza in tema di cir-colazione stradale (1).

Alcune questioni a carattere generale. Dolo eventuale e funzioni della pena

Per quanto riguarda le riflessioni “generali”, comeaccennato, anzitutto mi pare utile indagare le ragio-ni di questa tendenza giudiziale a valorizzare la cate-goria del dolo eventuale. Sul punto si tende ad affermare che tale fenomeno èconnesso soprattutto a ragioni generalpreventivecombinate con istanze retributive a carattere simbo-lico-stigmatizzante (2). E con specifico riferimentoalla sentenza in esame, non si è mancato di osserva-re che «la non eccessiva divaricazione sanzionatoriatra le condanne dell’amministratore delegato e deglialtri imputati da un lato dimostra la prossimità di

dolo eventuale e colpa grave, dall’altro segnala an-cora una volta la portata stigmatizzante della con-danna per dolo e opera conseguentemente come se-gnale politico-criminale, di prevenzione generale,nel settore della sicurezza sul lavoro» (3). Inoltre, al di là delle ipotesi in cui si assiste a una ve-ra e propria inammissibile semplificazione probato-ria, che porta a ritenere sussistente il dolo eventualein virtù della semplice prova di una colpa grave (4),si pone in evidenza come lo stesso elemento sogget-tivo venga snaturato o comunque impoverito dicontenuti psicologici sempre in virtù di considera-zioni generalpreventive (5).A me pare che il discorso sulle istanze che starebbe-ro dietro alla valorizzazione del dolo eventuale deb-ba essere affrontato in termini più articolati, perchése da un lato è indubbio che anche le problematichedell’elemento psicologico risentono della perennetensione tra prevenzione generale ed esigenze di ga-ranzia, dall’altro lato, però, lo spazio sempre maggio-re riconosciuto al dolo eventuale o comunque latendenziale flessibilizzazione/processualizzazione deldolo sembrano essere legate non solo - e non tanto -

Diritto penale e processo 6/2012 703

GiurisprudenzaDiritto penale

Il dolo eventuale sbarca anche nell’attività d’impresadi Roberto Bartoli (*)

Con la sentenza della Corte d’Assise di Torino sul rogo della Thyssenkrupp le problematiche del dolo even-tuale travalicano i confini della circolazione stradale per sbarcare nell’attività d’impresa. Si tratta di uno sce-nario fino a pochi anni fa del tutto impensabile, molto probabilmente ancora una volta frutto delle trasfor-mazioni derivanti dall’incessante fenomeno della modernità o comunque da questa disvelato. Nella consa-pevolezza della peculiarità della sentenza, l’Autore cerca di ripercorrerne i passaggi più significativi nel ten-tativo di trovare un punto di equilibrio tra l’ineluttabile realismo della prassi e la funzione di garanzia delle ca-tegorie tradizionali.

Note:

(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valu-tazione di un referee.

(1) Di recente sul tema v. i contributi di R. Bartoli, M. Caldararo,A. Martini, A. Peccioli e P. Pisa pubblicati in Dolo e colpa negli in-cidenti stradali, in questa Rivista, 2011, Gli Speciali.

(2) G. Fiandaca, Sfrecciare col “rosso” e provocare un incidentestradale: omicidio con dolo eventuale, in Foro. it., 2009, II, 414ss.; Id., Sul dolo eventuale nella giurisprudenza più recente, traapproccio oggettivizzante-probatorio e messaggio generalpre-ventivo, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 2.

(3) G.P. Demuro, Sulla flessibilità concettuale del dolo eventuale,in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 12.

(4) V. per tutti C. Pedrazzi, Tramonto del dolo?, in Riv. it. dir. proc.pen., 2000, 1265 ss.

(5) M. Donini, Dolo e prevenzione generale nei reati economici.Un contributo all’analisi dei rapporti fra errore di diritto e analo-gia nei reati in contesto lecito di base, in Riv. trim. dir. pen.econ., 1999, 26.

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a ragioni di prevenzione generale quanto piuttostoad alcune specificità “fisiologiche” che caratterizza-no la componente psichica.In particolare, per quanto riguarda la valorizzazionedel dolo eventuale, essa mi pare connessa soprattuttoa ragioni retributive o comunque alla necessità ditrovare una “giusta” corrispondenza tra disvalore delfatto ed entità del trattamento sanzionatorio. Percomprendere questo assunto si deve muovere dallostrettissimo legame che intercorre tra le concezionidell’elemento psicologico e le funzioni della pena(6). Ed infatti, cercando di evitare schematismi tan-to rassicuranti, quanto pericolosi, si può osservare co-me nella prospettiva della prevenzione generalel’elemento psicologico non sia guardato nella sua di-mensione psichica, ma piuttosto oggettiva, attri-buendo rilevanza soprattutto alla pericolosità dellacondotta: è l’intenzionalità della condotta orientataal risultato che aumenta le probabilità che quest’ulti-mo si realizzi, rivelandosi così la condotta dolosa par-ticolarmente pericolosa per i beni giuridici tutelati(7). Ma se così stanno le cose, appare evidente comeda un punto di vista della pericolosità della condottail dolo eventuale tenda a non assumere particolare ri-levanza, trattandosi di una condotta priva di signifi-cativa orientazione finalistica. Detto diversamente,rispetto all’elemento psicologico l’istanza general-preventiva tende a realizzare un procedimento di og-gettivazione che porta ad esaltare tutte quelle formedi dolo che hanno una componente volitiva così pre-gnante e significativa da riflettersi sul piano della pe-ricolosità della condotta, con conseguente svaluta-zione del dolo eventuale, che invece è contraddistin-to da una componente volitiva meno intensa e diffi-cilmente oggettivizzabile. Ecco allora che, a ben vedere, è soprattutto nellaprospettiva retributiva (o comunque della propor-zione) che si manifesta la tendenza ad attribuire rile-vanza alle componenti psicologiche e quindi al doloeventuale. Ed infatti, per tale visione il “disvalore”del dolo si incentra soprattutto nella componentepsichica della decisione contraria al bene giuridicotutelato, e siccome anche il dolo eventuale si carat-terizza per una siffatta decisione, la tendenza nonpuò che essere nel senso di distinguere con la mag-giore precisione possibile le ipotesi in cui la decisio-ne sussiste oppure manca, anche là dove tale deci-sione riguarda una condotta oggettivamente menopericolosa perché non finalisticamente orientata.Con riferimento poi al procedimento di progressivosvuotamento psicologico del dolo, non si può fare ameno di osservare che ciò è dovuto non solo - e nontanto - a ragioni generalpreventive, ma ancor prima

alla commistione che rispetto all’elemento psichicointercorre tra dimensione sostanziale e dimensioneprocessuale. Sul punto si deve essere molto chiari,anche al fine di evitare pericolosi fraintendimenti. Ed infatti, su un piano - per così dire - generale, sideve ribadire con forza che dimensione sostanziale edimensione processuale rappresentano due realtàche sono e devono rimanere distinte, sia per ragioniconcettuali e funzionali, ma anche, e in un contestocostituzionale direi soprattutto, per ragioni che at-tengono ai principi di garanzia. Ciò detto, però, si deve avere anche il coraggio di ri-conoscere che le componenti psichiche che struttu-rano gli elementi psicologici sono strettamente lega-te alla dimensione probatoria (8). Ciò significa duecose: anzitutto, a differenza di quanto accade per lecomponenti materiali, la prova è esclusivamente in-diziaria; inoltre, il fenomeno della processualizzazio-ne rispetto alle componenti psichiche tende a farsiancora più significativo e pregnante perché lo stessoconcetto giuridico è in parte concretizzato proprioattraverso quegli indicatori che vengono in gioco almomento della verifica processuale. Detto diversamente, mentre rispetto agli elementioggettivi, tra il fatto noto indiziante e quello ignotoda provare, v’è una sostanziale continuità in ordinealla loro consistenza, con la conseguenza che il con-cetto è nettamente separato dall’indizio; al contra-rio, negli elementi soggettivi, tra il fatto noto indi-ziante e quello ignoto da provare v’è una sorta di ia-to, di rottura in ordine alla consistenza, con la con-seguenza che il concetto finisce per essere stretta-mente connesso all’indizio.

(Segue) Il nesso tra la problematicadistinzione dolo eventuale/colpa coscientee le caratteristiche di alcune attività

Il secondo profilo a carattere generale che vogliomettere in evidenza riguarda lo stretto legame cheintercorre tra le caratteristiche di alcune tipologie di

Diritto penale e processo 6/2012704

GiurisprudenzaDiritto penale

Note:

(6) Su questo complesso argomento cfr. il quadro tracciato di re-cente da G.P. Demuro, Il dolo, vol. II, L’accertamento, Milano,2010, 124 ss.

(7) V. per tutti F. Palazzo, Corso di diritto penale, Torino, 2011,292.

(8) Sul punto si v. S. Fiore, Il dolo, in Aa.Vv., La prova dei fatti psi-chici, a cura di G.A. De Francesco, C. Piemontese ed E. Venafro,Torino, 2010, 53 ss.; F. Marenghi, Contraddittore a Stefano Fio-re, ivi, 64 ss.; M. Pelissero, I limiti del diritto penale sostanzialenella prova dei fatti psichici, ivi, 281 ss.; C. Sotis, Qualche os-servazione sui concetti penalistici, tra legittimità sostanziale efruibilità processuale, ivi, 295 ss., nonché, volendo, R. Bartoli, Laprova delle componenti psichiche: volontà, conoscenza, cono-scibilità, ivi, 217 ss.

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attività e il sorgere del problema della distinzione tradolo eventuale e colpa cosciente.Da un punto di vista meramente fenomenologico,infatti, si deve osservare come la componente psi-chica tenda a divenire problematica soprattutto inpresenza di due caratteri del tutto peculiari, e cioè,da un lato, sul piano oggettivo, in presenza dellacreazione di un rischio illecito particolarmente ele-vato, nel senso che, in buona sostanza, si è in pre-senza di violazioni di regole cautelari molto gravi;dall’altro lato, sul piano soggettivo, il problema ten-de a porsi soprattutto quando la consapevolezza del-l’alta pericolosità della condotta si accompagna auna protrazione più o meno continua della condottaaltamente rischiosa, la quale finisce per avere rifles-si di rafforzamento rispetto alla prima.Orbene, sotto il primo profilo, in netto contrastocon l’idea che sia possibile distinguere già sul pianooggettivo un rischio doloso e uno colposo, il dato fe-nomenologico ci insegna che dolo eventuale e colpacosciente si radicano su una sorta di minimo deno-minatore comune consistente in un rischio illecitoquantitativamente grave. Sotto il secondo profilo, poi, occorre osservare comesia proprio dal contatto di una dimensione oggettivaaltamente pericolosa, che si protrae nel tempo, conuna psiche sempre più consapevole della rischiositàdel comportamento in virtù del protrarsi di quest’ul-timo, che si viene a porre la questione dell’esistenzao meno di una decisione contraria ai beni giuridici.Così, esemplificando, si può osservare come non siaun caso che problemi di dolo si siano inizialmenteposti rispetto a condotte come il lancio di sassi dalcavalcavia oppure la trasmissione del virus hiv me-diante rapporti sessuali non protetti protratti neltempo. In ordine alla circolazione stradale, poi, dal-l’esame della stessa prassi applicativa emerge comevi siano ipotesi in cui l’incidente ha carattere imme-diato e improvviso, rispetto alle quali si tende a rite-nere sussistente la colpa, ed ipotesi in cui invecel’incidente è il frutto di uno sviluppo temporale del-la condotta (come ad esempio il superamento di piùincroci con il semaforo rosso oppure il percorrimen-to di una corsia contromano), dove invece la que-stione dell’elemento soggettivo è molto aperta (9). Vero tutto questo, appare allora evidente come inrealtà, quasi paradossalmente, proprio l’attivitàd’impresa, che strutturalmente si caratterizza peruna sua protrazione nel tempo, possa divenire il ter-reno fertile per l’acuirsi della problematica della di-stinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente, allor-quando ci si trova in presenza di persistenti e graviviolazioni di cautele.

Non solo, ma proprio perché si tratta di un’attivitàorganizzativa basata sull’assunzione a volte addirit-tura formalizzata di decisioni, si deve ritenere che intale attività l’esistenza di indicatori espressivi di unatto decisionale sia riscontrabile con maggiore faci-lità che in altre.

Alcune questioni a carattere preliminare. La distinzione tra conoscenza e conoscibilità

Nell’iniziare ad esaminare la sentenza in commento,occorre muovere da una questione che potremmoconsiderare preliminare, relativa alla distinzione trala componente psichica della conoscenza e quelladella conoscibilità. All’interno della sentenza emer-ge infatti più volte il problema se i soggetti abbianoagito con una conoscenza attuale, capace di fondaresia la colpa cosciente che il dolo eventuale, oppurecon una conoscenza meramente potenziale, che in-vece configurerebbe una colpa incosciente. Proble-ma oltretutto aggravato dal fatto che, come vedre-mo meglio a breve, per la giurisprudenza gli indica-tori, di per sé presi, possono essere espressivi sia diconoscenza che di conoscibilità.La dottrina è solita impostare il problema in terminidiversi, distinguendo tra colpa cosciente e colpa in-cosciente e osservando che mentre la colpa coscien-te necessita della rappresentazione di alcuni caratte-ri concreti del contesto in cui si è sviluppato l’episo-dio criminoso, la colpa incosciente si basa invecesulla mancanza di tale conoscenza (10).D’altra parte, stando a quanto emerge dalla prassiapplicativa, il discorso sembra destinato a divenirepiù complesso, nel momento in cui si esce dallecomponenti psichiche come disciplinate dal legisla-tore (colpa cosciente e colpa incosciente) e si entrainvece in una prospettiva autenticamente psicologi-ca, che valorizza le singole componenti psichiche dicui si compone l’elemento soggettivo oggetto di di-sciplina (conoscenza attuale e conoscenza potenzia-le) (11). In questa diversa prospettiva ci si accorgeinfatti che la colpa incosciente non può essere deltutto priva di legami tra l’atteggiamento psichicodell’autore e le circostanze concrete in cui si realizzail fatto, perché se così fosse, non si sarebbe in pre-senza di una colpa incosciente ma di una vera e pro-

Diritto penale e processo 6/2012 705

GiurisprudenzaDiritto penale

Note:

(9) In argomento sia consentito rinviare a R. Bartoli, Brevi consi-derazioni in tema di prova del dolo eventuale, in questa Rivista,2011, Gli Speciali, 35.

(10) Cfr. A. Pagliaro, La previsione dell’evento nei delitti colposi,in Riv. giur. circ. trasp., 1965, 355 ss.

(11) Per questa prospettiva sia consentito rinviare a R. Bartoli, Laprova delle componenti psichiche, cit., 218 ss.

Page 46: LA PRATICA PROCESSO PENALE - units.it

pria ipotesi di responsabilità oggettiva. Detto diver-samente, parlare di colpa incosciente significa parla-re di uno stato psichico che se da un lato consistenella mancanza di una previsione attuale, dall’altrolato, affinché non ci sia un contrasto con il principiodi personalità della responsabilità penale, deve con-sistere in un qualcosa di psichico, e questo qualcosanon può che essere la mera conoscibilità.Ciò chiarito, la questione diviene allora quella di in-dividuare i caratteri distintivi tra conoscenza e co-noscibilità. E qui il discorso si fa davvero complessoperché torna a porsi il problema del rapporto traconcetti sostanziali e profili processuali. La dottrina, infatti, tende spesso a credere che primasi possa stabilire la consistenza della componentepsichica (conoscenza oppure conoscibilità) e in se-guito compiere l’accertamento fattuale in una pro-spettiva di perfetta strumentalità dell’accertamentofattuale rispetto al concetto giuridico. Con la conse-guenza che la maggioranza della dottrina considerainammissibili quegli orientamenti giurisprudenzialiche, ricostruita la componente psichica in terminidi previsione attuale, nell’impossibilità di accertaredirettamente tale componente, si affidano invece aindici indizianti che se, da un lato, consentono diprovare indirettamente la conoscenza, dall’altro la-to, però, potendo essere espressivi anche di una me-ra prevedibilità, si ritengono inammissibili perchédegradanti la conoscenza attuale a uno stato psichi-co meramente potenziale (12).Tuttavia, a causa dell’impossibilità di una “prova di-retta” del fatto psichico, per la giurisprudenza non sipuò fare a meno dell’impiego di fattori indizianti, econseguentemente, ai fini della realizzazione di uncontrollo di plausibilità delle scelte decisorie, non cisi deve concentrare sul carattere indiziante dei fat-tori oppure domandare se il fattore è indiziante diconoscenza o di conoscibilità, dovendosi piuttostocontrollare la valutazione di tali fattori in termini dimotivata concordanza rispetto a un significato com-plessivamente univoco. In sostanza, la giurispruden-za tende a dare rilevanza ai singoli fattori che inevi-tabilmente di per sé possono essere espressione dimera conoscibilità oppure di effettiva conoscenza aseconda del se e del come siano organicamente e ar-gomentativamente coordinabili.Vero tutto questo, appare evidente come se, da unlato, la giurisprudenza assume una posizione - per co-sì dire - realistica, dall’altro lato però si immette suuna china molto scivolosa sul piano della tenutadelle categorie tradizionali. Ecco allora che per evi-tare percorsi decisionali che rischiano di essere arbi-trari, l’obiettivo deve essere quello di portare allo

scoperto il ragionamento della giurisprudenza e dirazionalizzarlo. E sul punto si potrebbe formulare laseguente proposta (13): ai fini dell’accertamentodella componente della conoscibilità si devonocompiere due passaggi, anzitutto, selezionare, attra-verso un agente modello elaborato in termini - percosì dire - di ragionevolezza, i fattori che se cono-sciuti determinano la possibilità di conoscere; in se-condo luogo, verificare che il soggetto reale fosse aconoscenza di tali fattori.Ebbene, a me pare che anche rispetto alla conoscen-za si possa operare negli stessi termini, e cioè anzi-tutto si devono selezionare i fattori che se conosciu-ti determinano una conoscenza effettiva ed in un se-condo momento si deve verificare se il soggetto eraa conoscenza dei diversi fattori. Con la conseguenza che la differenza tra conoscenzae conoscibilità non sorge tanto dagli indicatori, mapiuttosto dal criterio normativo della loro selezione,dovendo poi gli stessi risultare effettivamente cono-sciuti dal soggetto agente.Ecco allora che è alla luce di queste considerazioniche si deve risolvere la questione che stiamo esami-nando. E in argomento non c’è dubbio che la sen-tenza si sia data carico di dimostrare l’esistenza diuna serie di fattori tutti effettivamente conosciuti daparte degli imputati, capaci di fondare una previsio-ne attuale in ordine agli eventi incendio e morte.In particolare, con riferimento a tutti gli imputati sideve mettere in evidenza come una previsione at-tuale degli eventi incendio-morte si potesse ricavareda tre fattori fondamentali: la conoscenza delle con-dizioni dello stabilimento di Torino, dal punto di vi-sta sia del degrado (presenza di combustibili, sorgen-ti di innesco, flessibili con olio idraulico ad altissimapressione) che delle modalità di lavoro (presenzalungo l’impianto di lavoratori); la conoscenza di epi-sodi analoghi a quello verificatosi e cioè nel 2002 unincendio nello stesso stabilimento di Torino, non-ché nel 2006 un incendio nello stabilimento di Kre-feld, con dinamiche pressoché identiche a quelle og-getto della sentenza; infine, tutti i soggetti avevanosia la cognizione del degrado dello stabilimento diTorino, sia la cognizione delle ottime condizionidella realtà di Terni, e questa dinamica di compara-zione tra conoscenze non può che giocare un ruolodecisamente significativo sul piano della consapevo-lezza.

Diritto penale e processo 6/2012706

GiurisprudenzaDiritto penale

Note:

(12) C. Pedrazzi, Tramonto del dolo?, cit., 1265 ss.

(13) R. Bartoli, “Colpa” in attività illecita: un discorso ancora dasviluppare, in questa Rivista, 2010, 1051.

Page 47: LA PRATICA PROCESSO PENALE - units.it

(Segue) La “qualità” dell’evento oggetto di rappresentazione: tra concretezza, genericità e specificità

La seconda questione a carattere preliminare che sideve affrontare riguarda la “qualità” dell’evento og-getto della rappresentazione, questione che, comevedremo sùbito, si intreccia a quella relativa all’og-getto del dolo e, più precisamente, alla questione seil dolo, o meglio, la sua componente conoscitivadebba coprire anche il nesso di causalità. In particolare, l’oggetto del contendere può esserecosì sintetizzato: posto che i soggetti erano a cono-scenza di un rischio incendio con dinamiche causalidiverse (incendio in assenza del cedimento di flessi-bili) da quelle che poi si sono effettivamente verifi-cate (incendio con cedimento di flessibili), nel mo-mento in cui l’evento morte è stato cagionato daqueste dinamiche diverse, si può affermare che i sog-getti si sono rappresentati l’evento?Ammesso e non concesso che, nonostante l’incen-dio di Krefeld, i soggetti non fossero a conoscenzadelle dinamiche causali che poi si sono effettiva-mente verificate, la sentenza risolve la questione ra-gionando in questi termini: «l’evento che il sogget-to si deve rappresentare, sulla base della sua cono-scenza concretamente possibile e causalmente colle-gata alla sua condotta […] non deve essere “identi-co” a quello che si è poi, di fatto, verificato. Lo det-ta la logica (ma anche, vorremmo dire, il semplicebuon senso): l’evento oggetto di rappresentazionedeve essere simile, analogo a quello successivamen-te accaduto, non esattamente coincidente, perché,banalmente, la rappresentazione corrisponde allaprevedibilità umana e non alla preveggenza» (p. 297e ss.).Al di là di qualche sbavatura espressiva, si tratta diuna soluzione che ci sentiamo di condividere. Ed in-fatti, in ordine alla “qualità” dell’evento si possonodistinguere tre diverse concezioni: quella che defini-rei della concretezza assoluta, ragion per cui devesussistere addirittura una corrispondenza tra il de-corso causale rappresentato e quello storicamenteverificatosi; la concezione dell’evento generico, percui per essere in dolo è sufficiente che il soggetto sisia rappresentato l’evento tipico indipendentemen-te dalle circostanze concrete in cui si colloca il com-portamento criminoso; la concezione dell’eventospecifico, secondo la quale si è in dolo se esiste unacerta corrispondenza causalistica di massima tral’evento rappresentato e quello verificatosi.Ebbene, la concezione che si basa sulla concretezzaassoluta, l’unica che avrebbe potuto portare ad

escludere la rappresentazione (14), non mi pare pos-sa essere accolta, perché il decorso causale storica-mente verificatosi può essere conosciuto solo in unaprospettiva ex post, mentre la psiche umana funzionain una prospettiva ex ante connessa al momento del-la realizzazione della condotta, in un momento cioèin cui non si conoscono (perché impossibile) tuttele circostanze e quindi anche tutti i fattori causaliche porteranno alla produzione dell’evento. Da quanto affermato, allora si potrebbe ritenere cor-retta la soluzione che si basa sull’evento generico equindi non ammette alcun legame tra le conoscenzedel soggetto e le dinamiche causali, visto che se si ri-tiene ammissibile prescindere dalle circostanze suc-cessive alla condotta, alla fin fine si ritiene plausibi-le uno scarto tra il legame causale conosciuto al mo-mento della condotta e quello storicamente realizza-tosi. E accogliendo questa concezione nel caso inesame si dovrebbe concludere nel senso della sussi-stenza del dolo. D’altra parte, a me pare che questaconcezione sia corretta in presenza di un’orientazio-ne finalistica della condotta, in presenza cioè di undolo intenzionale, come del resto è confermato dal-la disciplina dell’aberratio causae e dell’aberratio ictus:là dove si vuole e si persegue finalisticamente un de-terminato obiettivo, la dimensione causale di produ-zione dell’evento finisce per perdere di rilevanza,dovendosi precisare che in presenza di un eventualedecorso anomalo la responsabilità è comunqueesclusa dalla mancanza dello stesso causale, comenel caso in cui la persona gettata in mare dal pontedella nave muoia trafitta dalla fiocina di un som-mozzatore. Diversamente, fuori dalle ipotesi dievento intenzionalmente voluto, si deve ritenereche si debba fare riferimento ad un evento aventecaratteri molto più specifici, in quanto, in assenza diuna volontà significativa, una eccessiva genericitàdell’evento rappresentato rischia di rompere il lega-me che deve intercorre tra la condotta e tale evento. Ma come si misura questa specificità? La sentenzaparla, non a caso, di analogia tra evento rappresen-tato ed evento verificatosi. Ebbene, a me pare chese, da un lato, può suscitare alcune perplessità l’ideadi trasferire automaticamente la problematica dellaconcretizzazione del rischio dalla dimensione colpo-sa a quella dolosa, tuttavia, dall’altro lato, è indub-bio che, in un contesto volitivo particolarmente de-bole, il tema della “qualità” della rappresentazione

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Nota:

(14) V. in tal senso G.A. De Francesco, L’enigma del dolo even-tuale, relazione al Convegno Il mistero del dolo eventuale, Peru-gia, 27 gennaio 2012, p. 3 (del dattiloscritto).

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dell’evento voluto e quello appunto della concretiz-zazione del rischio finiscono per essere strettamenteconnessi. E in questa prospettiva non mi pare deltutto insensato ritenere voluto un evento rispetto alquale esiste una corrispondenza tra l’area di rischioche il soggetto si è rappresentata e la dinamica cau-sale effettivamente verificatasi. Aprendosi poi laquestione di cosa si debba intendere per area di ri-schio, se quella più ristretta delimitata dai possibilidecorsi causali oppure quella più ampia circoscrittada alcuni possibili sotto-eventi connessi all’attivitàche si sta svolgendo (15).Ciò detto, si deve comunque osservare come anchenell’ipotesi in cui si decida di adottare una concre-tizzazione del rischio particolarmente rigorosa basa-ta sulle dinamiche del nesso causale, nel caso in esa-me non si debba parlare di analogia, ma forse addi-rittura di vera e propria identità, e ciò perché il de-corso causale basato sul cedimento dei flessibili esull’effetto flash fire mi pare rientri nell’ambito deipossibili sviluppi causali riconducibili al pericolocreato dalla condotta contraria alla diligenza. Inbuona sostanza, l’area di rischio conosciuta dai sog-getti agenti era definita dalle dinamiche causali del-la combustione, ed è proprio a seguito di un decorsoscatenato da un incendio che è stata cagionata lamorte dei lavoratori.

Nel vivo della sentenza: i profili che sicollocano nel solco della prassi: il “salto” tra formule e indici, il richiamo di una pluralità di formule

Entrando nel vivo della disamina della sentenza, mipare si possano distinguere due gruppi di profili: daun lato, quelli che senza dubbio si collocano sullascia tracciata dalla prassi; dall’altro lato, quelli cheinvece rappresentano delle vere e proprie novità. In particolare, nel solco della prassi si colloca anzi-tutto lo iato che intercorre tra l’enunciazione deicriteri distintivi e la loro effettiva valenza decisoria.Più precisamente, nella giurisprudenza più recente èdivenuta sempre più marcata la distinzione tra il pia-no dell’enunciazione delle formule che dovrebberofornire i criteri distintivi e il piano degli indici o fat-tori che invece consentono di verificare quale ele-mento psicologico sia effettivamente presente nellapersona del caso concreto, nel senso che all’internodell’iter argomentativo di qualsiasi sentenza è possi-bile rintracciare una sorta di vero e proprio salto trail piano per certi aspetti meramente retorico dellaformula e quello “sostanziale” degli indici o fattori,che invece giocano un ruolo decisivo ai fini dellaqualificazione psichica (16).

Ebbene, nella sentenza in esame è rintracciabilequesto “salto” tra formule e indici, tanto è vero che,«per la parte di inquadramento giuridico» (p. 327), igiudici di Torino richiamano addirittura ampi stral-ci della motivazione contenuta nella sentenza n.10411 del 2011, emessa in tema di distinzione tradolo eventuale e colpa cosciente nell’ambito dellacircolazione stradale (v. pp. 324-327), vale a dire inun ambito addirittura del tutto diverso rispetto aquello in esame.In secondo luogo, nel solco della prassi si collocauno specifico profilo attinente al piano dei criteri di-stintivi, e cioè il fatto che vengono richiamate piùformule. Nella stragrande maggioranza delle decisio-ni si tende infatti a fare riferimento a più criteri, inun’ottica felicemente definita di “sincretismo addi-tivo” (17), che costituisce una sorta di riprova dellascarsa influenza di queste formule nella decisione delcaso. Più precisamente, sono soprattutto quattro leformule a cui si fa spesso riferimento, e cioè, il crite-rio dell’accettazione del rischio, quello del bilancia-mento, la c.d. prima formula di Frank ed infine ilcriterio della rappresentazione concreta o astrattadell’evento. A ben vedere, si tratta di formule che se irrilevantisul piano decisorio, tuttavia tendono a giocare uncerto ruolo sotto altri profili. Ed infatti, il criteriodell’accettazione del rischio, richiamato pressochéin tutte le pronunce, costituisce una vera e propriaformula vuota che nella sostanza viene poi intera-mente riempita dagli indici. Il criterio del bilancia-mento, invece, tende a svolgere più una funzioneesplicativa del procedimento motivazionale cheindicativa della componente psicologica. La for-mula di Frank viene utilizzata soprattutto in conte-sti in cui il dolo eventuale è particolarmente pros-simo al dolo diretto e dove assume rilevanza so-prattutto la personalità del soggetto agente (si pen-si al dolo eventuale della ricettazione, rispetto alquale si pone la necessità di individuare un dubbiopiù consistente del mero sospetto della provenien-za illecita della cosa in ordine ad una attività comequella dell’acquisto di beni). Infine, un’attenzioneparticolare deve essere riservata al criterio dellarappresentazione concreta oppure astratta del-

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Note:

(15) In argomento sia consentito rinviare a R. Bartoli, Il problemadella causalità penale, Torino, 2010, 101 ss.

(16) Paradigmatica in tal senso Cass. pen., Sez. I, 1° febbraio2011, Vasile, in Ced Cass., 10411/2011.

(17) G. Fiandaca, Sul dolo eventuale nella giurisprudenza più re-cente, cit., 4.

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l’evento, perché a ben vedere costituisce una sortadi ponte tra la dimensione psicologica e quella de-gli indici.Ebbene, in ordine alle formule, come accennato, lasentenza in esame si pone nel solco degli orienta-menti giurisprudenziali più diffusi, richiamando ad-dirittura tre formule, e cioè l’accettazione del ri-schio (p. 325), la rappresentazione concreta con-nessa all’assenza di una ragionevole speranza (p.325) ed infine la formula del bilanciamento (p.326). E mentre la formula dell’accettazione del ri-schio conferma la totale mancanza di una funzionedecisoria, quella della rappresentazione concretaconsente di aprire all’utilizzo di alcuni indicatori ri-levanti soprattutto per la componente conoscitiva(p. 302; p. 312 s. e p. 320; p. 336 ss.). Infine, anchela formula del bilanciamento, che si rivela partico-larmente significativa soprattutto nel contesto del-l’impresa, conferma una valenza soprattutto in ordi-ne alla spiegazione psico-motivazionale della sceltacompiuta (p. 345 ss.).

I profili della sentenza che presentanocaratteri di novità: la netta distinzione tra indici conoscitivi, indici decisionali e ragionevole speranza

Presenta invece caratteri di vera e propria novità laparte della sentenza relativa agli indici. A una suaattenta analisi ci si accorge infatti che i giudici diTorino hanno configurato una sorta di griglia moltosolida e l’hanno utilizzata rispetto a tutte le ipotesiin cui si poneva un problema di distinzione tra doloeventuale e colpa cosciente, e cioè non solo quandosi è trattato di individuare l’elemento psicologico diEspenhahn, l’unico imputato condannato a titolo didolo eventuale, ma anche rispetto a tutti gli altri im-putati che invece sono stati condannati a titolo dicolpa cosciente.In particolare, la griglia è stata articolata distinguen-do tre diverse tipologie di indicatori: quelli concer-nenti la rappresentazione della concreta possibilitàdell’evento, la quale nell’ottica della sentenza risul-ta essere identica sia nel dolo eventuale che nellacolpa cosciente (detto diversamente, come già ac-cennato, la rappresentazione della concreta possibi-lità dell’evento non costituisce un criterio distintivotra dolo eventuale e colpa cosciente, ma un criterioche consente di selezionare gli indici che hanno va-lenza sul piano conoscitivo); gli indicatori relativiall’atto decisionale, e quindi attinenti alla compo-nente volitiva; ed infine i fattori concernenti la ra-gionevole speranza di poter evitare l’evento, chenell’ottica della sentenza sembrano dover costituire

i fattori “decisivi” per distinguere il dolo eventualedalla colpa cosciente.Ebbene, entrando nel dettaglio delle diverse posi-zioni, si deve osservare che rispetto a Salerno e Ca-fueri, dirigenti, la sentenza in esame ritiene sussi-stente la componente conoscitiva (p. 299 ss.), noninvece l’atto decisionale, che non viene nemmenoindagato, mentre ravvisa l’esistenza della ragione-vole speranza escludente il dolo eventuale «nellaloro posizione aziendale, completamente dipenden-te da Terni» e nella circostanza che «confidasserosul fatto che le scelte e le decisioni dei dirigenti tec-nici di Terni e dei vertici di TK AST in qualchemodo evitassero il verificarsi dell’evento previsto»(p. 302 s.). Con riferimento a Moroni, dirigente, e Priegnitz ePucci, datori di lavori appartenenti al c.d. Board, laCorte d’Assise ritiene sussistente la componente co-noscitiva (p. 306 s., per quanto riguarda Moroni, e p.313 ss. per quanto riguarda Priegnitz e Pucci) e l’at-to decisionale (p. 307, in ordine a Moroni, e p. 312s., rispetto a Priegnitz e Pucci), e ancora una volta siesclude il dolo eventuale per la presenza di una ra-gionevole speranza: per quanto riguarda Moroni,ravvisabile nel confidare «sul fatto che le decisionidei vertici di TK AST in qualche modo evitassero ilverificarsi dell’evento previsto» (p. 308); per quantoriguarda Priegnitz e Pucci, ricavabile «dall’essersi“affidati” all’esperienza ed alla professionalità, inmateria di produzione come di sicurezza sul lavoro,di Espenhahn […] affidamento che può considerarsiquale elemento psicologico sufficiente a ritenereche essi confidassero nel fatto che le proposte opera-tive ed il “controllo” esercitato da Espenhahn inqualche modo evitassero il verificarsi dell’eventoprevisto» (p. 320).Infine, per quanto riguarda Espenhahn, datore di la-voro ed appartenente al c.d. Board, nonché unicosoggetto condannato a titolo di dolo eventuale, laCorte d’Assise ha ritenuto sussistente la componen-te conoscitiva (p. 336 ss.) e quella decisionale (p.327 ss.), mentre ha negato la sussistenza della ragio-nevole speranza, ritenendo insufficiente aver confi-dato nella presenza di un impianto antincendio enella capacità dei suoi collaboratori di Torino (p.351 ss.), insufficienza dovuta alle particolari compe-tenze di Espenhahn.

Le possibili letture della sentenza: tra innovazione e “tradizione”

Il punto che adesso ci sembra decisivo affrontare èse, seguendo questo impianto, la sentenza abbiaadottato soluzioni che si pongono nel solco della

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precedente giurisprudenza o che invece si caratteriz-zano per profili di novità. Le letture della sentenza compiute finora si esprimo-no nel senso della novità e segnalano alcuni rischi diradicamento del dolo su componenti non tanto psi-cologiche, ma personalistiche (18). In particolare,comparando le componenti psichiche di coloro chesono stati condannati per colpa cosciente e di coluiche è stato condannato per dolo eventuale emergecon estrema chiarezza come il fattore centrale desti-nato “a fare la differenza” sia quello della ragionevo-le speranza, e cioè l’aver fatto affidamento su circo-stanze per l’appunto ragionevolmente affidabili. Edinfatti, mentre gli indici della rappresentazione edell’atto decisionale di Moroni, Priegnitz, Pucci edEspenhahn sono nella sostanza identici, le posizionidei primi tre soggetti sarebbero diverse da quelle diEspenhahn proprio sotto il profilo della ragionevolesperanza: Moroni, Priegnitz e Pucci avrebbero fattoaffidamento sulla competenza ragionevolmente affi-dabile di Espenhahn; diversamente quest’ultimoavrebbe fatto affidamento su fattori sui quali invecenon poteva fare assegnamento, proprio in virtù del-la sua competenza.Ma se così stanno le cose, è indubbio che il dolo fi-nisce per fondarsi solo ed esclusivamente sui carat-teri della personalità del soggetto agente, con tutti irischi che ciò comporta, primo fra tutti quello di co-struire un rimprovero per ciò che si è e non per ciòche si è voluto. Senza considerare poi che «a partela ricorrente obiezione che l’orientamento in paro-la finisce con l’affidare l’identificazione dell’ele-mento soggettivo a valutazioni etiche non di radoopinabili, l’elemento di contraddizione o di ambi-guità in cui si può incorrere consiste nella possibili-tà di valutare anche contra reum medesime note po-sitive di personalità che dovrebbero invece, per lopiù, far propendere per la tesi della colpa con previ-sione» (19).D’altra parte, a me pare che si possa dare una lettu-ra diversa della sentenza, volta a valorizzare nontanto l’ultimo passaggio in cui si articola la griglia,concernente la ragionevole speranza, quanto piut-tosto gli altri due. Ebbene, in questa diversa pro-spettiva, non c’è alcun dubbio che la decisione diposticipare dal 2006/2007 al 2007/2008 gli investi-menti antincendio per lo stabilimento di Torino,pur essendone già in programma la chiusura e purcontinuando la produzione, nonché la decisione diposticipare l’adeguamento della linea APL5 di Tori-no a epoca successiva al suo trasferimento da Tori-no a Terni, costituiscano due indicatori molto soli-di dell’atto decisionale di accettazione dell’evento.

Soprattutto se poi si considera la conoscenza delprecedente incendio di Krefeld e la possibilità dicompiere raffronti tra le condizioni di lavoro a Tori-no e quelle a Terni.Ed in questa prospettiva “tradizionale”, si deve allo-ra osservare come un atto decisionale capace di fon-dare una responsabilità per dolo sia presente non so-lo in Espenhahn, ma anche negli altri tre imputatiMoroni, Priegnitz e Pucci. Con la conseguenza chese da un lato questa sentenza alla fin fine si pone nelsolco della “prassi”, tuttavia risulta errata nel mo-mento in cui esclude la responsabilità per dolo ri-spetto agli altri tre soggetti che assieme ad Espeh-nahn hanno adottato le decisioni.

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Note:

(18) Cfr. G. Fiandaca, Sul dolo eventuale nella giurisprudenza piùrecente, cit., 11 s.; G.P. Demuro, Sulla flessibilità concettuale deldolo eventuale, cit., 10 s.

(19) Così G. Fiandaca, Sul dolo eventuale nella giurisprudenzapiù recente, cit., 11 s.

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Un capitolo denso

Nell’oceano della sentenza ThyssenKrupp ASTs.p.a. un’isoletta: il capitolo dedicato alla “responsa-bilità della persona giuridica”.Un’isoletta però più simile ad uno scoglio tirrenicoche ad un atollo maldiviano: non piano e candidoma aguzzo, polimorfo e cangiante. In quelle quindici pagine (immerse nelle - o meglio,emergenti dalle - oltre 450 pagine della pronunciacomplessiva) la Corte torinese affronta una realtàgiuridico-sociale di per sé complessa e sfuggente: laresponsabilità da reato degli enti collettivi, che nelcaso di specie ha visto la sua connaturata indomabi-lità concettuale e pratico-applicativa amplificarsi edeflagrare per il “nefasto incrocio” di alcuni dei suoiistituti di “Parte generale” più “misteriosi” (ancor-ché centrali) con certi fenomeni giuridici tanto tra-dizionali quanto - anch’essi - problematici. Ovvero,i Giudici hanno dovuto interpretare ed applicarel’innovativa, complessa (per non dire complicata),ancora in larga parte inesplorata normativa di cui ald.lgs. n. 231 del 2001 sulla base di reati (individua-li) consistenti nell’omicidio colposo plurimo com-messo con violazione delle norme poste a tutela del-la salute ed incolumità dei lavoratori, i quali reati diper sé presentano un alto tasso di complessità teori-ca ed applicativa e soprattutto risultano poco con-gruenti, “riottosi”, se non addirittura destabilizzanti,rispetto ai meccanismi fondamentali - tanto quelliimputativi quanto quelli sanzionatori - dell’attualesistema punitivo corporativo; il tutto “movimenta-to” e reso ancor più incerto da una serie di impor-tanti modifiche legislative che hanno interessato siale norme integratrici dei reati-presupposto (20)(passaggio dal d.lgs. n. 626 del 1994 al T.U. n. 81 del

2008), sia le fattispecie propriamente corporative(introduzione dell’art. 25-septies e sua successiva ri-formulazione), sia le norme di coordinamento traqueste ultime e le prime (entrata in vigore e succes-sivo “arricchimento” degli artt. 16, comma 3 e 30,T.U. n. 81 del 2008). Si può tentare di definire e ordinare i “nodi” toccatiin maniera più o meno approfondita e “consapevo-le” dalla sentenza distinguendo:– la questione “intertemporale”, concernente l’indi-viduazione della fattispecie e del trattamento san-zionatorio applicabili al “fatto” dell’ente, nonchéovviamente e preliminarmente del tempo di perfe-zionamento di tale fatto (rectius: della “condotta”);– tre/quattro questioni “classiche” per la tematicadella responsabilità punitiva degli enti (ma rinnova-te dal “contatto” coi reati colposi), ossia quella dellacompatibilità dei criteri ascrittivi delineati dal d.lgs.n. 231 del 2001 coi principi costituzionali di colpe-volezza, di determinatezza e di presunzione d’inno-cenza, la quale si trascina dietro la questione dellanatura della responsabilità sanzionatoria forgiata dallegislatore del 2001 ed è altresì strettamente con-nessa alla questione dell’efficacia giuridica dell’im-plementazione dei Modelli di cui all’art. 6, d.lgs. n.231 del 2001 (esclusione dell’illecito corporativo;esclusione della punibilità; esclusione di alcuni tipidi sanzioni) e a quella della latitudine della discre-

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Note:

(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valu-tazione di un referee.

(20) Ovvero le norme cautelari generali ed astratte previste dallanormativa in materia di sicurezza sul lavoro, che integrano le fat-tispecie incriminatrici colpose causalmente orientate. Cfr. F.Giunta, Illiceità e colpevolezza nella responsabilità colposa, vol.I, Padova, 1993, 251 ss.

La responsabilità dell’ente: soluzioni ragionevoli di questioni complesse

di Davide Bianchi (*)

La pronuncia affronta un reticolato di nodi “dogmatici” e “positivo-applicativi” davvero complesso, spiazzan-te, quasi “soffocante”: dalla natura della responsabilità da reato degli enti ai criteri di determinazione del pro-fitto confiscabile e della sua “rilevanza” ai fini dell’applicabilità delle sanzioni interdittive. Non mancano invero“sbavature tecniche”, spesso in chiave rigorista, ma i passaggi fondamentali risultano nella sostanza condivi-sibili, esprimendo questi soluzioni interpretative ed applicative congruenti sia rispetto all’impianto normativogenerale allestito col Capo I del d.lgs. n. 231 del 2001 sia rispetto alla particolare natura e struttura degli ille-citi corporativi imputati. Come direttrice di fondo della gran parte delle argomentazioni ed “intuizioni” dellaCorte sembra individuabile la prospettiva “olistica” e “organizzativista”: i reati colposi (nel caso di speciel’omicidio plurimo) commessi con violazione delle norme poste a tutela della salute e sicurezza nei luoghi dilavoro sono percepiti e trattati come prodotto (evento) di una struttura e di una cultura organizzative deficita-rie, “ròse” da un totalizzante fine di “profitto a tutti i costi”.

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zionalità giudiziale nel valutarne presenza e consi-stenza (21); – le questioni direttamente originate dall’inclusionenel catalogo dei reati-presupposto dei delitti di omi-cidio e lesioni gravi e gravissime colposi commessicon violazione della disciplina antinfortunistica, ov-vero quelle aventi ad oggetto la “rilettura”, alla lucedei nuovi illeciti-base, dei criteri d’imputazione e dicommisurazione sanzionatoria previsti nel Capo Idel d.lgs. n. 231 del 2001;– le questioni inerenti il rapporto illecito dell’autoreindividuale-illecito dell’autore collettivo, relative algrado di reciproca autonomia (e quindi dipendenza)tra questi e riverberantisi sul negletto tema dellapluralità/unicità dell’illecito punitivo corporativo.Nel presente lavoro non si potrà far altro che meglioprecisare contenuto e portata di tali nodi problema-tici e illustrare la soluzione datane dalla Corte, pro-ponendo qualche riflessione critica.

La questione intertemporale

La ThyssenKrupp AST s.p.a. è stata condannata aisensi del vigente comma 1, art. 25-septies cit.: i Giu-dici torinesi hanno ritenuto di poter applicare la fat-tispecie e le sanzioni ivi previste sulla scorta del fat-to che «il reato di cui all’art. 589 c.p. è stato quicommesso […] specificamente con violazione anchedell’art. 4 D.Lgs. n. 626/94, quindi dell’obbligo ine-rente la valutazione del rischio ed il relativo docu-mento» (22). Ovvero è stata applicata la norma pu-nitiva sopravvenuta alla consumazione dell’illecito(23) sul parzialmente implicito duplice presuppostoche il fatto concreto allora commesso rientri perfet-tamente nell’attuale fattispecie normativa e chequesta e il relativo trattamento sanzionatorio sianoapplicabili retroattivamente «in quanto più favore-voli» (24).Orbene tale operazione ermeneutica qualche per-plessità, o quantomeno qualche dubbio, li desta. Seappare del tutto ammissibile l’equiparazione dellegravi radicali inottemperanze degli obblighi preven-zionistici ex art. 4 cit. a quelle attualmente contem-plate dall’art. 55, comma 2, T.U.S.S.L., che defini-scono l’innovativo (25) reato-presupposto di cui al-l’art. 25-septies, comma 1 (sempre dell’omessa valu-tazione del rischio si tratta, illecita ora come allora),non è così certo ed incontrovertibile che la discipli-na applicata sia davvero mitius e, prima ancora, chetra questa e la fattispecie sanzionatoria in vigore almomento del fatto sussista quella continuità norma-tiva che sola consente la retroattività (o l’ultrattivi-tà) della legge penale (26). La norma originaria in-fatti, unificatrice addirittura delle ipotesi di omici-

dio e di lesioni (27), è stata “scorporata” (nel 2008)in tre distinte fattispecie (probabilmente tutte e treautonome): una “inferiore” integrata dalle lesionicolpose gravi e gravissime (compiute violando lanormativa antinfortunistica), una “mediana” com-prensiva di tutti gli eventi omicidiari determinati daqualsivoglia trasgressione di norme poste a tuteladella salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, eduna “superiore” - quella che ha trovato applicazionenel caso di specie - anch’essa integrata dall’omicidiocolposo ma specificatamente ritagliata sull’omessavalutazione dei rischi in certi tipi di aziende partico-larmente pericolose per la vita ed incolumità fisicadi lavoratori e terze persone. Ora, se è indubbio che tra quest’ultima e la previ-gente fattispecie “pantagruelica” intercorra un rap-porto di specialità unilaterale, e quindi l’applicazio-ne del criterio strutturale “puro” condurrebbe a rico-

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Note:

(21) Sullo sfondo l’annosa questione della responsabilità civile di-retta ex crimine dell’ente autore di un illecito punitivo corporati-vo: la Corte l’ha risolta de plano nel capitolo dedicato a “Le particivili”, vestendo la persona giuridica dei panni del “mero” re-sponsabile civile anziché del reo-danneggiante; in ciò uniforman-dosi ai principi di diritto enucleati dalla Cassazione (sent. Sez. VI,22 gennaio 2011, n. 2251). Per l’analisi del non semplice nodoermeneutico si rimanda ai lavori di C. F. Grosso, Sulla costituzio-ne di parte civile nei confronti degli enti collettivi chiamati a ri-spondere ai sensi del d.lg. n. 231 del 2001 davanti al giudice pe-nale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, 1333 ss.; F. Mucciarelli, Il fat-to illecito dell’ente e la costituzione di parte civile nel processoex d.lgs. n. 231/2001, in questa Rivista, 2011, 435 ss.; S. Pizzot-ti, La responsabilità civile dell’ente per la violazione del d.lgs. 8giugno 2001, n. 231, in Resp. civ. prev., 2011, 1907 ss.; G. Var-raso, L’“ostinato silenzio” del d.lg. n. 231 del 2001 sulla costitu-zione di parte civile nei confronti dell’ente ha un suo “perché”,in Cass. pen., 2011, 2545 ss.

(22) Cfr. la sentenza a pag. 379.

(23) Il drammatico incidente si è verificato nel dicembre 2007,quand’era in vigore la prima versione dell’art. 25 septies, intro-dotto dalla l. n. 123 del 2007 (di “Delega al Governo per il rias-setto e la riforma della normativa in materia di tutela della salutee della sicurezza sul lavoro”); tale disposizione è stata poi rifor-mulata dal decreto delegato del 2008 (T.U. n. 81 del 2008).

(24) Cfr. la sentenza a pag. 375. Per un’esposizione sintetica edefficace della sentenza qui commentata, v. M. L. Minnella, D.lgs.n. 231 del 2001 e reati colposi nel caso ThyssenKrupp, inwww.penalecontemporaneo.it; G. Tretti, Sentenza ThyssenKrupp AST S.p.A. e 231: una prima lettura, in La responsabilitàamministrativa delle società e degli enti, 2012, 1, 193 ss.

(25) Innovativo anche nel senso d’inesistente nel catalogo deidelitti e delle pene riservati alla persona fisica.

(26) “Penale” qui inteso in senso generico. Comunque gli artt. 2e 3, d.lgs. n. 231 del 2001 riproducono, coi dovuti aggiustamen-ti, il contenuto dell’art. 2 c.p.

(27) Scelta assolutamente infelice, subito aspramente criticatadai commentatori della l. n. 123 del 2007 ed anche dalla dottrinaformatasi sul T.U. n. 81 del 2008. Ex multis, M. Bonati, Art. 25-septies, in AA.VV. (a cura di Cadoppi - Garuti - Veneziani), Enti eresponsabilità da reato, Torino, 2010, 431.

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noscere la sanzionabilità del fatto (ora) conforme al-la nuova norma speciale ai sensi di quest’ultima, for-se bisognerebbe considerare che, da un lato, la “vec-chia” fattispecie è molto più simile all’altra fattispe-cie vigente d’omicidio colposo (quella “mediana”) eche, dall’altro lato, quest’ultima è punita meno se-veramente di quella speciale (“superiore”) presceltadal Giudicante. Se dunque si guardasse ai contenutinormativi delle fattispecie (28) e al principio del fa-vor rei (29) risulterebbe preferibile la riconduzionedel fatto dell’ente sotto la disciplina di cui al secon-do comma dell’art. 25-septies, ossia alla fattispecie“mediana” e “generica”. La diversa soluzione accoltanella sentenza, invece, pone al centro il “fatto con-creto” perpetrato dall’ente, mal tollerando un abbas-samento dei livelli sanzionatori a fronte di una con-dotta tanto deprecabile e tanto “propria” dell’orga-nizzazione collettiva (30): mancando una valutazio-ne minimamente accettabile del rischio poi concre-tizzatosi nel terribile incendio (31), è mancato ilpresupposto primo e imprescindibile per aversi unastrutturazione dei ruoli e dei procedimenti societariatta a prevenire eventi delittuosi della specie diquello verificatosi. Se tale soluzione è comprensibilee alla fine non deteriore rispetto all’originario tratta-mento sanzionatorio del fatto (32), non pare peròdel tutto condivisibile, poiché ciò che conta ai finidell’applicazione della legge penale è la valutazionegiuridico-penale del fatto, non tanto il fatto in sé:verissimo che la società aveva contribuito all’even-to omicidiario in quanto addirittura priva dello stru-mento fondamentale per impedirlo (un idoneo do-cumento di valutazione del rischio-incendio), matale particolare “modalità della condotta” è assurtaad autonomo elemento costitutivo di una nuova fat-tispecie più gravemente sanzionata (rispetto all’at-tuale fattispecie generale) a procedimento penalegià instaurato. In altri termini, tale elemento avreb-be dovuto giocare non sul piano della tipicità, dellafattispecie punitiva applicabile, ma su quello dellacommisurazione giudiziale della sanzione, come in-dice di una più accentuata colpevolezza della perso-na giuridica.Per quanto riguarda invece il tema preliminare deltempus commissi delicti, la Corte non lo tratta espres-samente, dando presumibilmente per scontatoch’esso si identifichi con la data di verificazione deldevastante incendio (il 6 dicembre 2007), data suc-cessiva all’incardinamento del reato contestato nel“sistema 231” (25 agosto 2007). Non pare si possanomuovere obiezioni “sostanziali” a tale conclusione,però qualche “avvertenza” e qualche spunto di ri-flessione potrebbero risultare opportuni. Anzitutto

si deve rammentare che punto di riferimento esclu-sivo ed irrinunciabile per valutare la successionetemporale di leggi penali (o comunque punitive) èla condotta criminosa, non l’evento da questa pro-dotto; ma quest’assunto è destinato a porre notevoliproblemi applicativi in materia di diritto punitivocorporativo, problemi applicativi che affondano leloro radici in difficoltà e “sfasamenti” concettualiche percorrono l’intero sistema punitivo degli enticollettivi. Infatti, a quale “condotta” si deve far rife-rimento, a quella della societas o a quella dell’agenteindividuale (33)? Con ciò aprendosi interrogativiancor più radicali: qual è il grado di autonomia delfatto dell’ente dal singolo puntuale comportamentoillecito dell’intraneo persona fisica? E prima ancora:come si configura il fatto illecito dell’ente? Come la-cuna organizzativa agevolatrice del reato eseguitodall’individuo, dunque come fatto tendenzialmenteomissivo e colposo (34), oppure come “ombra” delfatto criminoso individuale, alla fin fine esaurito inquest’ultimo? In questa sede, salvo qualche accennodi risposta nei paragrafi successivi, simili interrogati-vi sono destinati a rimanere tali; premeva solo sot-tolineare quanto (anche) le questioni intertempora-li siano condizionate dalla definizione della struttu-ra e sostanza dell’illecito dell’ente e del rapporto in-tercorrente tra questo e l’illecito del singolo, defini-zioni quanto mai ostiche e spiazzanti.

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Note:

(28) Sull’essenzialità del messaggio normativo, anziché del di-svalore (solo sostanziale, prima della qualifica normativa) del fat-to, si veda per tutti T. Padovani, Tipicità e successione di leggipenali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1982, 1354 ss.

(29) Rectius: “della maggiore tutela del cittadino”, autorevol-mente, seppur non concordemente, individuato quale principiofondante l’intera disciplina della successione delle leggi penalinel tempo. V. A. Pagliaro, voce Legge penale nel tempo, in Enc.dir., 1974, vol. XXIII, 1064 s.

(30) Cfr. O. Di Giovine, Sicurezza sul lavoro, malattie professio-nali e responsabilità degli enti, in Cass. pen., 2009, 1330 ss., inparticolare 1346.

(31) Cfr. il capitolo 9 della sentenza.

(32) Sempre si tratta di una sanzione pecuniaria fissa pari a millequote e dell’applicabilità di sanzioni interdittive per una duratanon inferiore ai tre mesi e non superiore all’anno. Mentre l’ipo-tesi omicidiaria “generale” ex art. 25-septies comma 2 è punitacon una sanzione pecuniaria compresa tra le 250 e le 500 quotee sanzioni interdittive che vanno sempre dai tre mesi all’anno.

(33) Propende per la seconda alternativa Cass., Sez. VI, 1 feb-braio 2007, F. M. s.n.c., secondo cui il legislatore delegato, al-l’art. 2 d.lgs. n. 231 del 2001, con la locuzione «“commissionedel fatto” fa sempre riferimento ad un “fatto costituente reato”ed al momento della sua consumazione».

(34) Con i correlati peculiari problemi d’individuazione del tempodel commesso reato; cfr. F. Giunta, op. cit., 76 ss.; nella manua-listica, G. Fiandaca - E. Musco, Diritto penale, Pt. g., Bologna,2009, 105 s.

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Le questioni classiche

Tra queste, innanzitutto, le questioni di legittimitàcostituzionale sollevate dalla difesa: il presunto con-trasto tra i criteri imputativi di cui agli artt. 5, 6 e 7,d.lgs. n. 231 del 2001 e gli artt. 25 e 27 Cost., intesoil primo quale espressivo del principio di tassatività-determinatezza ed il secondo riguardato tanto nellasua dimensione processuale (presunzione di non col-pevolezza) quanto in quella sostanziale (personalitàdella responsabilità penale (35)).La Corte è tranciante sul punto: poiché la «nuova»e «tipica» forma di responsabilità sanzionatoria de-gli enti ha «natura amministrativa» (36), le sud-dette questioni, che «presuppongono la natura so-stanzialmente “penale” della responsabilità del-l’ente», vanno dichiarate manifestamente infonda-te (37).Se la decisione può esser condivisibile nel suo esito,poco soddisfacente si presenta quanto ad argomen-tazioni. Non basta infatti negare l’etichetta penali-stica per estromettere d’un colpo la totalità delle ga-ranzie che sono proprie di questa particolare brancadel diritto; soprattutto ove si affermi contestualmen-te d’essere innanzi ad una forma di responsabilitàibrida penale-amministrativa, l’ormai famoso ter-tium genus. Una volta riconosciuta la natura puniti-va del sistema e la notevole afflittività delle “pene”che prevede, il criterio-guida dovrebbe essere piut-tosto quello dell’estensione dei principi garantistici,occorrendo buoni e meditati motivi per escluderequesti ultimi anziché per farli circolare nel sistema(casomai in “dosi” differenti e minori); chiarissimoin tal senso il magistero della Corte europea dei di-ritti dell’uomo (38).Ora, spalancare le porte a ipotesi di responsabilitàobiettiva (o addirittura per fatto altrui), a presun-zioni (più o meno vincibili) di colpevolezza e anorme sanzionatorie vaghe o “fantasiose” non parelegittimabile sol perché il legislatore ha impresso ilmarchio di “amministrativa” sulla disciplina e que-sta non ha come destinatari diretti uomini in car-ne ed ossa. Pare anzi che sia ragioni funzionalisti-che sia ragioni di tutela d’interessi costituzional-mente rilevanti (in primis quelli sanzionati agliartt. 4 e 41 Cost.) confermino l’irrinunziabilità deiprincipi fondamentali che informano il diritto pe-nale classico; si tratta piuttosto di modularli, adat-tarli (anche ‘limandoli’e “flessibilizzandoli”) alnuovo sistema punitivo e ai nuovi soggetti di dirit-to (“penale”).E proprio questa linea “garantista” sembra esserquella adottata dal legislatore del 2001 (39), il qua-

le ha tenuto fermi i principi di legalità e colpevolez-za e ha trasfuso le regole processualpenalistiche nelprocedimento de societate; cosicché se le questioni dicostituzionalità sollevate dai difensori possono esseralquanto agevolmente respinte è per la qualità delnostro “statuto” legislativo della responsabilità dareato degli enti collettivi, per come esso è effettiva-mente strutturato ed articolato, non per la sua qua-lificazione come “amministrativo”.Peraltro, una volta entrati in una prospettiva “so-stanziale” e “contenutistica”, le doglianze dei difen-sori della ThyssenKrupp non appaiono nemmenocosì peregrine. Partendo dal coacervo di principi digaranzia espresso dall’art. 27 Cost.: se la “colpa d’or-ganizzazione”, sostanziata dalla mancata attuazioned’idonei Modelli organizzativi anti-reato, costituisseindefettibile elemento soggettivo dell’illecito corpo-rativo, ne conseguirebbe che tanto l’inversione del-l’onere probatorio di cui all’art. 6 cit. quanto l’auto-matismo consistente nel riconnettere il reato delvertice all’ente a prescindere dalla verifica della“concreta capacità impeditiva” del “sistema organiz-zativo doveroso omesso” risulterebbero componentinormative fortemente distoniche (se non frontal-mente contrastanti) rispetto ai principi di colpevo-lezza e di presunzione d’innocenza.Non a caso infatti, seppur dichiaratamente ad abun-dantiam, la Corte si premura di richiamare la mag-

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Note:

(35) Non interessa qui la tensione tra principio rieducativo e per-sonalità “inumana” dell’ente collettivo.

(36) Cfr. la sentenza a pag. 374.

(37) Cfr. la sentenza a pag. 379.

(38) Raccolto (in certi casi largamente anticipato) da attenta dot-trina (per tutti, v. R. Bartoli, Sanzione punitiva e garanzie (a pro-posito della sentenza costituzionale sulla decurtazione dei puntidella patente), in questa Rivista, 2005, 1099 s.; P. Nuvolone, vo-ce Reati (Depenalizzazione di), in Noviss. Dig. it., App. VI, 1986,296 ss.; M. Siniscalco, Depenalizzazione e garanzia, Bologna,1983, 163 ss. ) e seguito, recentemente, dalla stessa Corte co-stituzionale (v. sent. 26 maggio 2010, n. 196).Che, a prescindere dall’etichettatura, la responsabilità corporati-va da reato debba necessariamente ispirarsi ai canoni garantisti-ci tipici del diritto penale è convincimento diffuso sia in dottrinasia in giurisprudenza. Cfr. le stesse pronunce della Suprema Cor-te citate nella sentenza in commento; sul versante dottrinale,per tutti, L. Stortoni - D. Tassinari, La responsabilità degli enti:quale natura? Quali soggetti?, in Ind. pen., 2006, 7 ss.

(39) Accusato da taluno perfino di “eccesso di zelo ipergaranti-stico” (G. De Simone, I profili sostanziali della c.d. responsabili-tà amministrativa degli enti, in AA.VV. (a cura di Garuti), Respon-sabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato,Padova, 2002, 110); ma non mancano letture (minoritarie) dia-metralmente opposte, secondo cui il d.lgs. n. 231 del 2001, in ra-gione dell’aspettativa e dell’utilità sociale, segna un netto distac-co dai principi basilari del diritto penale (per tutti, A. Gargani, In-dividuale e collettivo nella responsabilità della societas, in Studisenesi, 2006, 239 ss.).

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gioritaria giurisprudenza di legittimità (40), secondocui il fatto del soggetto apicale, anche dal punto divista soggettivo, è fatto dell’ente, a meno che nonvenga ad infrangersi il rapporto d’immedesimazioneorganica che li lega; il che avviene qualora l’organoabbia agito nel perseguimento d’interessi estranei al-la persona giuridica oppure, appunto, eludendo frau-dolentemente i corretti e funzionanti Modelli d’or-ganizzazione e controllo assunti dalla societas. Ciòposto, l’inconsueto meccanismo predisposto dall’art.6 si mostra certo più tollerabile, non esorbitante ri-spetto alle linee fondamentali tracciate dalla Costi-tuzione e seguite dal legislatore delegato.Eppure qualche “prurito” resta: anche dando per in-fallibile la teoria organicista in punto di ascrizionedel reato all’ente, bisogna considerare che, analoga-mente all’ipotesi di cui all’art. 5.2, d.lgs. n. 231 del2001, il reato commesso dall’apice in subdola (id estimpercettibile da parte del diligente e perito organodi vigilanza) violazione dei protocolli organizzativi edecisionali dell’ente è fatto puramente individuale,in quanto contro un soggetto collettivo che ha fatti-vamente deciso di orientarsi alla legalità strutturan-dosi e autoregolandosi in tal senso (41). Ma se l’art.6 descrive un’ipotesi di rottura del rapporto organi-co, non può che prevedere una particolare ipotesi diassenza di tipicità del fatto oggettivo dell’ente, ve-nendo a mancare un comportamento materiale ille-cito ascrivibile all’organizzazione. A questo puntoresta privo di fondamento e giustificazione l’inqua-dramento della norma di cui all’art. 6 come vero eproprio meccanismo d’inversione dell’onere dellaprova: non può spettare all’ente dimostrare che «il[suo] fatto non sussiste», dovrebbe bastare il “ragio-nevole dubbio” che è stata integrata la fattispecied’esclusione della tipicità; la norma dunque conser-va la sua legittimità costituzionale solo se interpreta-ta come previsione d’un mero onere di allegazione acarico dell’ente (a fronte dell’avvenuta prova che unsuo organo di vertice ha commesso un fatto crimi-noso nel suo interesse o a suo vantaggio) (42).Ma non del tutto infondata appare anche la questio-ne inerente la carenza di tassatività-determinatezzadegli artt. 6 e 7. Sin dalla comparsa del d.lgs. n. 231del 2001 sullo scenario del diritto punitivo italianosi sono levate voci di critica per l’eccessiva generici-tà dei criteri legali di validità, o meglio, efficacia, deiModelli organizzativi di prevenzione del rischio-rea-to, tanto generici - si è detto e si dice tuttora - danon poter guidare né - “preventivamente” - gli entinell’assolvimento dei loro doveri organizzativi né -ex post facto - il giudice nell’apprezzamento della col-pa/diligenza in organizzazione. E proprio per tentare

di sradicare questa incertezza si è proposto, anche inrecenti progetti di riforma (43), di rafforzare il mec-canismo certificativo di cui al terzo comma dell’art.6; nella medesima direzione pare si sia mosso il “co-dificatore” del 2008, puntualizzando gli adempimen-ti organizzativi necessari a prevenire i reati in mate-ria lavoristica, all’art. 30, commi 1-4, e introducen-do una - invero poco intellegibile - presunzione diidoneità dei Modelli «definiti conformemente alleLinee guida UNI-INAIL per un sistema di gestionedella salute e sicurezza sul lavoro (SGSL) del 28 set-tembre 2001 o al British Standard OHSAS18001:2007», all’art. 30, comma 5 (44). Ora, se l’aspirazione alla certezza è sostenuta da ra-gioni tanto evidenti quanto ineludibili, non si puòperò non tener conto dei “limiti di fattibilità” di ta-le istanza fondamentale, ovvero, più brutalmente: èpossibile fare qualcosa di meglio di quello che già èstato fatto de iure condito? Essendo qui impossibileripercorrere il vivace dibattito sul tema e procederead un vaglio rigoroso della normativa vigente e fu-turibile, mi limito a qualche breve notazione. Anzi-tutto preme evidenziare l’infruttuosità ed anche pe-ricolosità di ogni irrigidimento formalistico, che -notoriamente - poco o nulla aggiunge alla garanziae molto toglie alla tutela sociale, rischiando non dirado di togliere non poco alla stessa garanzia. Que-sto “processo degenerativo” ad esempio è abbastan-za facilmente pronosticabile in riferimento all’art.

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Note:

(40) Sostenuta in ciò da buona parte della dottrina: per tutti, A.Bernasconi, Art. 6, in AA.VV. (a cura di Presutti, Bernasconi, Fio-rio), La responsabilità degli enti, Padova, 2008, 110 ss.; G. DeVero, La responsabilità penale delle persone giuridiche, Milano,2008, 162 ss.; D. Pulitanò, voce Responsabilità amministrativaper i reati delle persone giuridiche, in Enc. dir., Agg. VI, 2002,959 s.

(41) Cfr. G. De Vero, op. cit., 186 s. V. peraltro le sagge, acute ri-flessioni di T. Epidendio - G. Piffer, Criteri d’imputazione del rea-to all’ente: nuove prospettive interpretative, in La resp. amm.soc. enti, 2008, 23, secondo i quali difficilmente può esser inte-grata l’esimente di cui all’art. 6, poiché il vertice delinquente, pri-ma che all’elusione fraudolenta d’efficaci ed efficienti Modelli or-ganizzativi anti-reato, è portato (più radicalmente e più conve-nientemente) a non adottarli o ad adottarne di inidonei.

(42) Da ultimo, sul punto v. M. L. Minnella, op. cit., par. 1, in par-ticolare nota 9. Per una più ampia ricognizione sul delicato tema“probatorio”, v. A. Bernasconi, op. cit., 148 ss.

(43) Si vedano la c.d. “riforma Alfano” (schema di d.d.l. presen-tato al convegno AREL del 7 luglio 2010) e la coeva p.d.l. “DellaVedova”.

(44) Il decreto correttivo n. 106 del 2009 ha previsto anche che«La commissione consultiva permanente per la salute e sicurez-za sul lavoro elabora procedure semplificate per la adozione e laefficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione del-la sicurezza nelle piccole e medie imprese. Tali procedure sonorecepite con decreto del Ministero del lavoro, della salute e del-le politiche sociali» (comma 5-bis dell’art. 30 cit.).

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30 cit. (45), il quale “incuba” un quadruplice ri-schio: sul versante della prevenzione, favorisce una“burocratizzazione” dell’attività prevenzionisticasocietaria, la quale, oscurando l’organizzazione “rea-le” e il fattore culturale corporativo, non contribui-sce certo ad elevare effettivamente gli standard ditutela dei beni giuridici coinvolti; sul versante dellarepressione, da un lato, potrebbe ingenerare una“burocratizzazione” anche del giudizio, con la dupli-ce conseguenza di un’esenzione indiscriminata de-gli enti formalmente “conformi” e della punizionealtrettanto indiscriminata degli enti che non si so-no uniformati alle puntigliose indicazioni legislati-ve (e probabilmente anche di quelli che non si so-no avvalsi dei congegni presuntivi e lato sensu certi-ficativi di cui ai commi 5 e 5-bis) (46), dall’altro la-to, per converso, è ben possibile che, proprio a cau-sa dell’allestimento di tale “cappa burocratica”, pro-vochi una “crisi di rigetto” nei giudici, i quali, mi-sconoscendo tassatività e vincolatività ai requisiti ealle presunzioni legislativamente previste, potreb-bero giungere a riappropriarsi di una discrezionalitàpressoché illimitata (47). In tal modo l’ordinamen-to assumerebbe tratti “iscarioti”: a livello politico-legislativo farebbe mostra alle imprese di seguirlenella loro “ricerca di certezza”, promettendo loro“bollini blu” e “salvacondotti”, a livello giudiziariole inchioderebbe senza fare troppe distinzioni.Va detto che già la sentenza ThyssenKrupp lasciatrasparire le tensioni, le insofferenze, i pericoli oratratteggiati: inizialmente i Giudici torinesi manife-stano una cruda intransigenza formalistica, identifi-cando la prova certa della colpa in organizzazionedell’ente con la mancata approvazione formale daparte del C.d.A. della modifica al Modello organiz-zativo aziendale relativa alla prevenzione dei reati dicui all’art. 25-septies (48). Ma poi la Corte si apre avalutazioni sostanziali, in definitiva accogliendo il“principio di effettività” invocato dalla difesa: nonritenendo dirimente «il dato formale della non av-venuta adozione del “modello” da parte dell’organocompetente, in epoca precedente rispetto al verifi-carsi del reato», “scende” a valutare se comunquefosse stato operativo all’interno dell’azienda un Mo-dello di organizzazione e controllo idoneo alla scopoprevenzionistico; e l’esito del giudizio è negativo,poiché un Modello organizzativo aggiornato avevavisto la luce nell’ottobre 2007 ma era rimasto sullacarta, una carta non solo tardivamente approvatadai supremi vertici societari ma soprattutto priva diriscontri effettuali nella realtà aziendale (49).Passando al livello costruttivo-propositivo, assaiproficuo pare l’insegnamento secondo cui i parame-

tri elastici stabiliti dagli artt. 6 e 7 d.lgs. n. 231 del2001 dovrebbero essere specificati e concretizzatigrazie alla mediazione delle “migliori prassi diffuse”,eventualmente espresse in strumenti protocollaridefiniti di concerto da esperti, imprenditori e sog-getti pubblici, in modo da assicurare sia elevati stan-dard di tutela, sia la democraticità sostanziale delprocedimento di definizione normativa (e quindiuna maggiore condivisione ed effettività della nor-mativa stessa), sia l’agognata chiarezza e precisionedel precetto normativo (50).

L’“irruzione” dei reati colposi nel sistemadel diritto punitivo corporativo

La Corte d’assise ha risolto il problema della compa-tibilità tra i reati colposi (51) ed i criteri imputativie presupposti sanzionatori scolpiti dal d.lgs. n. 231del 2001, in particolare l’interesse e vantaggio exartt. 5 e 12 e il profitto ex artt. 13 e 19, nel modo piùlineare e - ormai si può dirlo - tradizionale (52): ri-

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Note:

(45) Per una disamina chiara e precisa dei problemi di coordina-mento tra l’art. 30 in parola e gli artt. 6 e 7, d.lgs. n. 231 del 2001,v. P. Aldrovandi, La responsabilità amministrativa degli enti per ireati in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro alla lucedel d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, in Ind. pen., 2009, 505 ss.

(46) Già P. Aldrovandi, op. cit., 516 s., in relazione all’applicazio-ne del comma 5 dell’art. 30, ha paventato un rischio d’inutile e“pericoloso irrigidimento”.

(47) Sembrerebbe appunto mostrare un’insofferenza predispo-sta al rigetto dei “lacci e lacciuoli” legali la lucida interpretazioneofferta da P. Ielo, Lesioni gravi, omicidi colposi aggravati dallaviolazione della normativa antinfortunistica e responsabilità deglienti, in La resp. amm. soc. enti, 2008, 67 ss., in particolare 70 s.

(48) Cfr. la sentenza a pag. 378.

(49) Cfr. la sentenza a pag. 378 s.

(50) V. C. Piergallini, Paradigmatica dell’autocontrollo penale (dal-la funzione alla struttura del ‘modello organizzativo’ex d.lgs.231/2001), in AA.VV. (a cura di Bertolino - Forti - Eusebi), Studi inonore di Mario Romano, Milano, 2011, 2049 ss., in particolare2101 ss.; v. anche G. Marra, Prevenzione mediante organizza-zione e diritto penale, Torino, 2009, 179 ss. In relazione alla col-pa individuale, anch’essa sospesa tra aleatorietà (con conse-guente, inammissibile determinazione ex post facto) e rigidezzaformalistica, illuminanti le pagine di F. Giunta, La legalità dellacolpa, in Criminalia, 2008, 149 ss. Peraltro l’illustre Autore (Il rea-to come rischio d’impresa e la colpevolezza dell’ente collettivo,in Analisi giuridica dell’economia, 2009, 260 s.) valuta positiva-mente il qui criticato art. 30, ritenendolo prima espressione delfelice, equilibrato connubio tra “obbligatorietà e ufficialità” deimodelli di prevenzione del rischio-reato (v. però Id., op. ult. cit.,246 e 252 ss.).

(51) S’intende quelli di omicidio e lesioni di cui all’art. 25-septies;ma ora il catalogo è arricchito dai reati ambientali (art. 25-unde-cies, introdotto dal d.lgs. n. 121 del 2011), tra i quali molti punitipure a titolo di colpa.

(52) Anche se l’introduzione dell’art. 25-septies risale a meno di5 anni fa, v’è già stato un profluvio di contributi dottrinali e si re-gistrano significative pronunce giudiziali. Il collegamento dei cri-

(segue)

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collegandoli «non all’evento, bensì alla condottapenalmente rilevante della persona fisica».Soluzione questa ancora una volta tutto sommatocondivisibile, ma, se guardata con occhiali dottrina-li, un po’ semplicistica e forse, proprio perché “ridu-zionista”, anche foriera di sviluppi poco confortanti.In effetti non possono esser sbrigativamente liquida-te come “pretestuose” le acute, talvolta raffinate, os-servazioni di quanti lamentano una frizione, se nonproprio un contrasto, tra siffatta soluzione interpre-tativa ed i principi di legalità, da un lato, e colpevo-lezza, dall’altro (53): è vero che il termine “reato” dicui agli articoli citati indica necessariamente una re-altà unitaria data dal complesso degli elementi tipi-ci (54), per cui amputarlo dell’evento tipico (oveprevisto dalla singola fattispecie, come nel nostrocaso) significa sconfinare nell’interpretazione analo-gica (in malam partem); ed è altrettanto vero che ap-puntare la colpa d’organizzazione su di una fattispe-cie monca dell’evento lesivo e imputare all’ente an-che la verificazione di quest’ultimo significa sconfi-nare nella responsabilità obiettiva (55). E queste so-no derive inammissibili, anche se sospinte dal ventoimpetuoso delle esigenze di tutela sociale e di “mo-ralizzazione del mondo economico” su specchi d’ac-qua meno angusti di quelli propriamente penalistici;legalità e colpevolezza sono stelle che devono guida-re la navigazione in ogni braccio del “perigliosomar” del diritto punitivo.Ferma restando questa indicazione di principio,“salutare” nel tenere alta la guardia nei confronti diinammissibili - incostituzionali - scorciatoie erme-neutiche, bisogna prender atto della perfetta legit-timità dell’imputazione all’ente di reati colposi aprescindere dalla loro integrale finalizzazione al-l’utile dell’ente stesso. Infatti, se è vero che l’appli-cazione puntuale dell’art. 5 imporrebbe tale assurdaverifica (determinando la totale ineffettività del-l’art. 25-septies), pare tuttavia possibile sostenereche tale norma generale, proprio perché generale einapplicabile alle ipotesi delittuose in parola, nonvada applicata. Ogni regola, criterio, principio ge-nerale porta con sé, ineluttabilmente anche se nonsempre espressamente, una clausola di compatibili-tà, che ne determina la disapplicazione dinanzi anorme speciali con esso inconciliabili: nel nostrocaso è indiscutibile la presenza di una specifica di-sposizione legislativa - l’art. 25-septies, ora affianca-to dall’art. 25-undecies - che fonda la responsabilitàcorporativa su determinati reati colposi, sicché ri-sulterebbe illegale e contrario ad ogni logica giuri-dica farla annichilire da una norma generale conessa incompatibile - qual è l’art. 5, comma 1 -; è

piuttosto quest’ultima che deve retrocedere (56).Quest’ultima soluzione sarebbe inaccoglibile solose la norma generale derogata fosse espressione diprincipi sovraordinati e inderogabili, poiché in talcaso si risolverebbe in un’inaccettabile interpreta-zione contraria a Costituzione. Ma non sembra checiò possa riscontrarsi nel rapporto tra i criteri

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Note:

(continua nota 52)teri dell’interesse e vantaggio alla condotta antigiuridica “risale”perlomeno a D. Pulitanò, op. cit., 958; più recentemente, ex plu-rimis, P. Veneziani, La responsabilità dell’ente da omicidio colpo-so, in AA.VV. (a cura di Curi), Nuovo statuto penale del lavoro,Bologna, 2011, 17 ss.; in giurisprudenza, seppur con sfumatureanche significative, Trib. Trani, 26 ottobre 2009, Truck centers.a.s.; Trib. Pinerolo, 23 settembre 2010; Trib. Novara (G.U.P.), 1ottobre 2010; Trib. Cagliari (G.U.P.), 4 luglio 2011, Saras s.p.a. LaCorte d’assise è “tradizionale” anche nel supportare l’assuntocol rilievo che già la legge-delega n. 300/2000 prevedeva tra ireati-presupposto della responsabilità delle organizzazioni collet-tive i delitti colposi ora contemplati dall’art. 25-septies.Per un’esaustiva panoramica sul dibattito concernente il rappor-to tra reati colposi e requisiti e criteri sanciti nella “Parte genera-le” dello “statuto” della responsabilità da reato degli enti, v. M.Bonati, op. cit., 412 ss.; T. Epidendio - G. Piffer, op. cit., 12 ss.; T.Vitarelli, Infortuni sul lavoro e responsabilità degli enti: un diffici-le equilibrio normativo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, 695 ss.

(53) Per tutti, G. Amarelli, Morti sul lavoro: arriva la prima con-danna per le società, in questa Rivista, 2010, 842 ss.; S. Dovere,Osservazioni in tema di attribuzione all’ente collettivo dei reatiprevisti dall’art. 25-septies del d.lgs. n. 231 del 2001, in Riv. trim.dir. pen. econ., 2008, 316 ss.; rileva una tensione col principio le-galitario anche C. Mancini, L’introduzione dell’art. 25-septies: cri-ticità e prospettive, in La resp. amm. soc. enti, 2008, 54.

(54) Al massimo, può designarsi con tale espressione il fatto pe-nalmente tipico e antigiuridico scevro della colpevolezza (in sen-so normativo); cfr. G. Cocco, L’illecito degli enti dipendente dareato ed il ruolo dei modelli di prevenzione, in Riv. it. dir. proc.pen., 94 e 98 ss.; G. De Simone, op. cit., 114 s.; O. Di Giovine,Lineamenti sostanziali del nuovo illecito punitivo, in AA. VV. (acura di Lattanzi), Reati e responsabilità degli enti, Milano, 2005,125 s.

(55) Non è un caso né che in molti auspichino una revisione legi-slativa che adatti i criteri dell’interesse e vantaggio alla specifici-tà dei reati colposi (v., per tutti, D. Castronuovo, La responsabili-tà degli enti collettivi per omicidio e lesioni alla luce del d.lgs. n.81 del 2008, in AA.VV. (a cura di Basenghi, Golzio, Zini), La pre-venzione dei rischi e la tutela della salute in azienda, Milano,2008, 177 ss.) né che il Progetto “Grosso” prevedesse una di-versa articolazione dei criteri d’imputazione oggettiva a secondadella natura dolosa o colposa dei reati-presupposto (art. 121.1):«La persona giuridica può essere chiamata a rispondere [...]: 1) per delitti dolosi commessi per conto o comunque nell’inte-resse specifico della persona giuridica, da persona che aveva ilpotere di agire per la persona giuridica stessa;2) per i reati realizzati nello svolgimento dell’attività della perso-na giuridica, con inosservanza di disposizioni pertinenti a tale at-tività, da persone che ricoprono una posizione di garanzia ai sen-si dell’art. 22, comma 2. Sono esclusi i reati commessi in dannodella persona giuridica» (corsivo nostro).

(56) Simile soluzione interpretativa è già stata adombrata in dot-trina, ma sempre in definitiva scartata: v. T. Epidendio - G. Piffer,op. cit., nota 7 e p. 13 s.; cfr. anche P. Ielo, op. cit., 60. Pur inun’ottica olistica, ribadisce con forza la necessità di applicazionedei criteri dell’interesse e del vantaggio (riferendoli alla condotta)G. Marra, op. cit., 195 s.

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ascrittivi di cui all’art. 5 e le fattispecie di “Partespeciale” incentrate su reati-presupposto colposi.Se infatti in via generale, appunto, tali criteriadempiono l’essenziale funzione di assicurare unaconnessione oggettiva tra l’agire individuale e l’en-te collettivo, in modo da delimitare un fatto pro-prio anche di quest’ultimo, in ottemperanza al basi-lare divieto costituzionale di responsabilità per fat-to altrui, può dirsi che, in relazione ai tipi di illeci-to di natura colposa, per l’instaurazione di siffattonesso obiettivo non è indispensabile la rigorosa ap-plicazione dell’insieme dei criteri contenuti nel-l’art. 5, a ciò bastando la “qualifica corporativa” delsoggetto attivo umano (lett. a) e b) del primo com-ma dell’art. 5) ed il criterio “negativo” di cui al se-condo comma della disposizione (57). Simile con-clusione è avvalorata dal fatto che i reati colposi inmateria lavoristica ed ambientale, come afferma lastessa Corte d’assise, sono «reat[i] logicamente col-legat[i] proprio all’organizzazione aziendale» (58),ovvero, per esser più precisi, sono reati che, se com-messi da un soggetto qualificato nell’esercizio dellesue funzioni istituzionali (ciò in definitiva richiedel’art. 5 “al netto” del criterio dell’interesse e van-taggio di cui al comma 1), possono evidenziare ungrado d’appartenenza all’ente fortissimo, massimo,in quanto originanti da difetti, lacune, storture or-ganizzative, prodotti cioè dall’organizzazione stessa(59), che è la dimensione qualificante di ogni ente“penalmente capace”, anche perché espressionetangibile della sua dimensione profonda etico-cul-turale (60); per cui cercare a tutti i costi un interes-se o vantaggio specifico e concreto perde addirittu-ra di significato, riuscendo non troppo dissimiledalla subordinazione della responsabilità penale in-dividuale per un fatto proprio colpevole all’esisten-za di un certo movente o scopo del reato o della suaeffettiva profittevolezza. Insomma, rispetto ai reaticolposi (specie quelli contemplati dagli artt. 25-septies e 25-undecies), escluse le ipotesi radicali diinesistenza (originaria o sopravvenuta) del rappor-to d’immedesimazione organica, la colpa d’organiz-zazione assume un ruolo d’assoluta centralità, pene-trando l’illecito corporativo anche nella sua sferaoggettiva, ponendosi quale fattore oggettivo (talo-ra primigenio) della violazione cautelare individua-le direttamente produttiva dell’evento offensivo, incerti casi addirittura confondendosi con questa. èesattamente quello che si è verificato nel casoThyssenKrupp: i componenti del Comitato esecuti-vo della società (per quel che rileva in questa sede,Priegnitz e Pucci (61)), anche sulla pressione di on-nivore istanze economicistiche corporative (lo sta-

bilimento di Torino era in dismissione e dunque ap-pariva fortemente diseconomico investirvi in sicu-rezza), hanno sottovalutato il rischio-incendio ehanno conseguentemente omesso i necessari inter-venti di messa in sicurezza, in ciò agevolati dall’as-senza di regole, procedure, organismi di controlloche li potessero indirizzare a maggior diligenza, pru-denza, perizia, agevolati cioè dall’assenza di un Mo-dello organizzativo operante ed efficace (nella pre-venzione dei delitti colposi realizzati con violazionedelle norme a tutela della salute e sicurezza dei la-voratori), che gli stessi avevano evitato di far “cir-colare” e “attecchire” in una realtà aziendale di persé poco sensibile al tema nevralgico della sicurezzasul lavoro, o per meglio dire, abbandonando ognieufemismo, preda di un “ottundimento collettivo”della capacità di percezione delle fonti e della por-tata dei rischi e - correlativamente - della capacitàdi farvi fronte; su tale situazione-base di grave “tra-scuratezza” apicale e, al contempo, organizzativa e“ambientale” si sono poi innestate le colpe di ulte-riori membri dell’organizzazione, in posizione su-bordinata (62) e più prossima alla concreta area dirischio (Moroni, Salerno, Cafueri), ai quali si deve

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Note:

(57) Nella sostanza, l’impostazione qui proposta è assai vicina,quasi sovrapponibile, alla teoria dell’interesse “mediato” (pertutti, G. De Simone, La responsabilità da reato degli enti nel si-stema sanzionatorio italiano: alcuni aspetti problematici, in Riv.trim. dir. pen. econ., 2004, 673) e alla ricostruzione ermeneuticadei criteri obiettivi di cui all’art. 5, in materia di reati colposi d’im-presa, quali contrassegni del mero “svolgimento delle incom-benze istituzionali”, con contestuale ed interdipendente valoriz-zazione dei criteri soggettivi “organizzativistici” (v. G. De Vero,Prospettive evolutive della responsabilità da reato degli enti col-lettivi, in La resp. amm. soc. enti, 2011, 14 s.; Id., La responsa-bilità penale, cit., 160 e 279 ss.; T. Epidendio - G. Piffer, op. cit.,18 ss.; T. Vitarelli, op. cit., 708).

(58) Cfr. la sentenza a pag. 376; cfr. anche pag. 381.

(59) Cfr. G. De Vero, La responsabilità penale, cit., 24 ss. e 281;O. Di Giovine, Sicurezza sul lavoro, cit., 1330 ss.; T. Epidendio -G. Piffer, op. cit., 19 ss.; C. E. Paliero, La società punita: del co-me, del perché, del per cosa, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008,1530 s.

(60) Col che è messa fuori gioco pure l’obiezione ispirata al prin-cipio di colpevolezza. Cfr. C. E. Paliero - C. Piergallini, La colpa diorganizzazione, in La resp. amm. soc. enti, 2006, 167 ss., in par-ticolare 179 ss.

(61) Assurda, benché in ossequio alla tradizione anglosassone,l’esclusione dell’omicidio e delle lesioni dolosi dal novero deireati fondanti la responsabilità punitiva degli enti. Cfr. M. C. Bi-sacci, Art. 25-septies, in AA.VV., La responsabilità degli enti, cit.,291; M. Bonati, op. cit., 411; P. Veneziani, op. cit., 19.

(62) Peraltro, quantomeno il Salerno, direttore dello stabilimento(“unità organizzativa”?) di Torino, dovrebbe ritenersi soggettoapicale ai sensi dell’art. 5 D.lgs. 231. Per una lettura dei ruoli api-cale e subordinato alla luce dei ruoli prevenzionistici delineati dalT.U.S.S.L., v. M. Bonati, op. cit., loc. cit.; P. Aldrovandi, op. cit.,519 ss.; P. Ielo, op. cit., 61 ss.

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lo sviluppo e la conservazione del “prolasso orga-nizzativo” cogeneratore del disastro (63).Il sopraesposto schema d’“integrazione parziale” aprima vista non parrebbe invece ipotizzabile per gliartt. 13 e 19, perché qui l’incompatibilità sarebbetotale. Il profitto infatti è definito come specificazio-ne del vantaggio (64), esclusa la configurabilità delsecondo, a rigore, si deve escludere pure la configu-rabilità del primo, che è presupposto dell’applicazio-ne sia della sanzione della confisca (in alternativa alprezzo) sia delle sanzioni interdittive (assieme allacommissione del reato da parte d’un apice oppure -da parte d’un sottoposto - grazie a gravi carenze or-ganizzative, ed in alternativa alla reiterazione degliilleciti (65)). Tale drastica conclusione, però, nonsembra proprio necessitata, poiché la ricomprensio-ne del concetto di profitto in quello di vantaggiocausalmente determinato dal reato (integro di tutti isuoi elementi) non è così pacifica. Si può infatti so-stenere, “imbeccati” dallo stesso testo legislativo (siveda l’art. 13 lett. a) prima parte), che il vocabolo“profitto”, se specificato con la locuzione “tratto dalreato”, indichi un’utilità (economica) certamentepertinente all’episodio criminoso e risultante daquesto ma non necessariamente avvinto all’interofatto tipico da un nesso rigidamente deterministico:nell’orbita semantica del verbo “trarre” rientra ap-pieno l’azione di chi in un primo momento preleva,seleziona, delimita uno soltanto degli elementi di uninsieme, di una realtà più o meno unificata ed unita-ria, e in un secondo momento da tale elemento faderivare un quid che, conseguentemente, non avràun legame diretto col tutto “sede dell’estrazione”;così se si trae profitto da un reato non necessaria-mente lo si trae dal complesso dei suoi elementi co-stitutivi, potendo esso scaturire da uno soltanto diquesti, precisamente la condotta (66), per quel cheora interessa. Mantenendosi nei limiti dell’interpre-tazione estensiva è dunque possibile ravvisare unprofitto “tratto” anche dai reati colposi d’evento,consistente - ordinariamente - nel risparmio di spesae nell’aumento o mantenimento invariato della pro-duttività conseguenti all’omissione di cautele dove-rose che integra la condotta tipica di tali fattispeciecriminose (67).Non è pertanto censurabile il giudizio della Cortetorinese nella parte in cui viene escluso che la natu-ra colposa dei reati-presupposto sia condizione osta-tiva all’applicazione della confisca o delle sanzioniinterdittive. Richiede invece d’essere attentamentemeditata la valutazione di “rilevanza” del profitto ef-fettuata dalla Corte, in forza della quale - considera-to che il reato è stato commesso da «soggetti in po-

sizione apicale» oltre che da «sottoposti agevolati dagravi carenze organizzative» - sono state poi irrogatele misure interdittive dell’esclusione da agevolazio-ni, finanziamenti, contributi o sussidi pubblici e ildivieto di pubblicizzare beni o servizi (per la duratadi sei mesi). Assai apprezzabile è la cautela con cui iGiudici hanno quantificato il profitto, circoscriven-dolo alla somma monetaria che l’ente avrebbe dovu-to spendere (e nei fatti ha risparmiato) per la messain sicurezza della linea produttiva teatro del tragicoincidente, senza lanciarsi in stime equitative ove idati erano insufficienti, latori d’incertezza, ovveroper quanto concerne la porzione di profitto data dal

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Note:

(63) Si è parlato di “madornale sottovalutazione del rischio” daparte dell’organizzazione tutta, di vero e proprio “meit down or-ganizzativo”, di collasso della struttura dell’organizzazione, dalpunto di vista sia formale (ripartizione delle responsabilità e del-le competenze) che sociale (legami “contrattuali”, di coopera-zione tra i partecipi, delineanti l’identità culturale della societas),consumatosi ben prima della verificazione dell’evento omicidia-rio. Così G. Lanzara, Relazione tenuta al Convegno Disastri nel-l’ambiente di lavoro. Oltre il caso Thyssenkrupp. La responsabi-lità tra dolo e colpa di organizzazione, Bologna, 12 aprile 2012.

(64) V., per tutti, F. Viganò, Art. 13, in AA.VV., La responsabilitàdegli enti, cit., 199; recentissimamente, C. E. Paliero, False co-municazioni sociali e profitto confiscabile: connessione proble-matica o correlazione impossibile?, in Le Società, 2012, 1, 72 ss.Partendo da tale definizione del concetto di profitto, si è messain evidenza la difficoltà pratica d’integrazione d’un profitto di rile-vante entità, pur accogliendo la teoria che aggancia interesse,vantaggio e profitto alla condotta illecita: v. P. Aldrovandi, op. cit.,530 s.; P. Ielo, op. cit., 74 s.

(65) Peraltro, v. L. Poniz, La responsabilità per gli eventi infortu-nistici: responsabilità penale e responsabilità d’impresa dopo lalegge 123/2007, Formazione decentrata di Milano, 4 febbraio2008, secondo cui il termine “illeciti” di cui all’art. 13 lett. b) in-dicherebbe le condotte costitutive dei reati-presupposto e non i‘torti’dell’ente, cosicché anche in relazione agli illeciti di naturacolposa comunque risulterebbe sufficientemente ampio il raggiod’applicazione delle sanzioni interdittive; ma v. infra, in questoparagrafo e nel successivo.

(66) Tale proposta interpretativa non sembra contraddetta daCass., Sez. Un., 27 marzo 2008, Impregilo, che, nel richiedere un“nesso di causalità diretta” tra reato e profitto, parla indifferen-temente di “fatto di reato” e di “attività illecita”; sulla stessa li-nea ermeneutica pare porsi C. E. Paliero, False comunicazionisociali, cit., 74 ss.

(67) Uno schema d’“integrazione parziale” del tipo di quello pro-spettato per l’art. 5 non è ipotizzabile nemmeno per l’art. 12, nonemergendo qui nessun profilo di incompatibilità: tanto i requisitifissati dalla lett. a) quanto quelli di cui alla lett. b) del primo com-ma sono suscettibili di venire ad esistenza anche quando l’illeci-to dell’ente si regge su d’una fattispecie criminosa colposa; v’èsolo da notare che, da un punto di vista teorico-interpretativo, il“vantaggio”, qui definito dalla locuzione “ricavato” (dal reato),può esser riconnesso alla condotta antigiuridica anziché all’inte-ro fatto tipico (v. supra, quanto detto a proposito del profitto) eche, da un punto di vista pratico-sostanziale, è altamente impro-babile che, in riferimento ai gravi reati di cui all’art. 25-septies, siverifichi il requisito (cumulativo) del «danno patrimoniale [...] diparticolare tenuità» (non così per gli illeciti previsti all’art. 25-un-decies).

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guadagno derivante dall’ininterrotta continuazionedella produzione sino al verificarsi dell’incendiomortale. Non convince invece l’adozione di un cri-terio «oggettivo generale» per valutare se il profittocosì determinato (800.000 euro) potesse dirsi “rile-vante” ai sensi e ai fini dell’art. 13. Non convinceanzitutto perché resta nascosto il parametro-base«oggettivo generale» da cui dovrebbe risultare o me-no la rilevanza del profitto da valutare: oggettiva-mente rilevante in base a cosa? Esiste una pietra diparagone universale valida per la totalità delle so-cietà, associazioni, fondazioni operanti sul suolo na-zionale (68)? Non convince poi per l’argomentazio-ne posta a sostegno della scelta: l’esigenza di «nonprivilegiare l’ente che abbia maggiori disponibilitàeconomiche, rispetto all’ente dotato di minori risor-se» (69). A tacer d’altro, l’ossequio al criterio pre-scelto introduce un privilegio altrettanto ingiustifi-cato a favore delle organizzazioni più piccole, nonbisognose di grandi investimenti in prevenzione nécapaci di grandi profitti, dunque “ontologicamente”incapaci di trarre un profitto “oggettivamente” rile-vante dalle infrazioni (causali degli eventi morte olesioni gravi o gravissime) della normativa a presidiodella salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e dunquemai passibili di condanna a sanzioni interdittive, senon nell’ipotesi di “reiterazione degli illeciti” (lett.b) dell’art. 13.Ciò considerato e tenuto conto della finalità princi-palmente specialpreventiva delle sanzioni interditti-ve (70), pare allora preferibile misurare la rilevanzadel profitto su di un parametro “relativo particola-re”, ossia in base alle dimensioni, alle risorse econo-miche, alla capacità patrimoniale del singolo, con-creto ente responsabile dell’illecito; nel tentativo dimeglio definire tale criterio, pare emergere la neces-sità di contemperare il sotto-criterio consistente nelpatrimonio sociale con quello dato dagli utili conse-guiti dall’ente nell’arco temporale teso tra il periodoimmediatamente precedente la realizzazione dell’il-lecito profitto e quello immediatamente successivoa questo.

Concorso di reati e pluralità/unicitàdell’illecito punitivo corporativo

Posta la pluralità degli eventi omicidiari (addirittu-ra 7), posta la pluralità dei soggetti attivi umani (5,escluso Espenhahn), ci si deve domandare quanti il-leciti corporativi sono venuti ad esistenza. Un verorompicapo, che esige di procedere per gradi: in pri-mo luogo, v’è da stabilire quante fattispecie crimi-nose individuali sono state complessivamente inte-grate. La risposta data nella sentenza pare senz’altro

da accogliere: ciascuno degli imputati ha realizzato7 omicidi colposi, non potendo valere la contestua-lità degli eventi a ridurli ad unità, ciò non consen-tendolo la qualità - massima - delle offese da questiincarnate; quindi ben 35 reati (realmente) concor-renti (71).Ognuno di essi origina altrettanti illeciti corporati-vi? La Corte stavolta, implicitamente ma inequivo-cabilmente, ha privilegiato la soluzione unitaria: èstato ascritto all’ente un unico illecito punitivo, tro-vando spazio la plurioffensività dell’episodio crimi-noso soltanto come “giustificazione”, accidentale enei fatti inutile, della fissità e severità della (unicaed unitaria) sanzione pecuniaria (72). Tanta peren-torietà lascia invero perplessi: il d.lgs. n. 231 del2001 è molto netto nel sancire un rapporto biunivo-co tra reato-presupposto e illecito della persona giu-ridica, per ogni reato dell’intraneo un illecito delsoggetto collettivo e viceversa (73); cosa tra l’altroconfermata dalla previsione per certe particolariipotesi di concorso di più reati di una disciplina peri connessi illeciti corporativi concorrenti analoga aquella del reato continuato ex art. 81 c.p. Più preci-samente, l’art. 21 (significativamente rubricato“Pluralità di illeciti”) dispone che «Quando l’ente èresponsabile in relazione ad una pluralità di reaticommessi con una unica azione od omissione ovve-ro commessi nello svolgimento di una medesima at-tività [...] si applica la sanzione pecuniaria previstaper l’illecito più grave aumentata fino al triplo»;sempre specularmente alla disciplina della conti-nuazione di reati è stabilito quale limite invalicabi-le del cumulo giuridico la «somma delle sanzioni ap-

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Note:

(68) Simile parametro “oggettivo generale” è difficile persino daimmaginare: il valore patrimoniale dell’impresa media italiana,europea o mondiale? Il fatturato annuo o biennale o triennale …dell’impresa media italiana, europea o mondiale? ecc.

(69) Cfr. la sentenza a pag. 385.

(70) Tali sanzioni perseguono anche scopi di prevenzione gene-rale e di retribuzione, ma non sembra che queste ultime possa-no guidare l’interpretazione teleologica della lett. a) dell’art. 13:certo non la seconda, perché l’entità del profitto non ha nulla ache vedere con l’entità del “male” incarnato dal reato (da reatigravissimi si possono ricavare utilità nulle o irrilevanti, così comeda reati minimi si possono trarre grandi profitti), ma nemmeno laprima, in quanto inconferente al cospetto della prioritaria funzio-ne di prevenzione speciale.

(71) Fermo restando, in capo a ciascun reo, il riconoscimento diquella peculiare forma di concorso ideale che è stabilita all’art.589 u.c.

(72) Cfr. la sentenza a pag. 382.

(73) S’intende ovviamente un reato rispondente ai requisiti fis-sati dall’art. 5; reato peraltro non necessariamente completo an-che dell’elemento normativo della colpevolezza, stante la disci-plina dettata dall’art. 8.

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plicabili per ciascun illecito» (74). Dal disposto le-gislativo emerge dunque limpidamente che né lapluralità di reati propri di un unico individuo nétantomeno la pluralità di reati riconducibili a piùindividui possono integrare un unico illecito corpo-rativo; semmai specifiche ipotesi di “convergenza”di più reati - il concorso formale e la compresenza dipiù reati anche d’individui diversi nello «svolgi-mento di una medesima attività» (75) (comma 1,art. 21) - beneficiano d’un trattamento sanzionato-rio più favorevole (cumulo giuridico e, per le sanzio-ni interdittive, assorbimento). E queste ipotesi spe-ciali sembrano per l’appunto essersi concretate nelcaso di specie, entrambe peraltro: ciascuno degli im-putati infatti ha sì realizzato ben 7 omicidi colposima tutti concorrenti idealmente, quindi unificatinormativamente ai sensi dell’art. 21, e ciascuno diquesti omicidi plurimi è stato commesso nel corsodella medesima (deficitaria) attività prevenzionisti-ca (valutazione dei rischi presenti nell’acciaieria to-rinese e conseguente implementazione degli inter-venti di messa in sicurezza) svolta per conto dell’en-te collettivo, ulteriormente unificati dunque in for-za della medesima disposizione. Pare insomma chele 35 fattispecie criminose individuali abbiano datoluogo ad una (doppia ma alfine unica) “continua-zione di illeciti corporativi punitivi”, che avrebbedovuto esser riconosciuta e sanzionata di conse-guenza: aumento sino al triplo della sanzione pecu-niaria irrogata per l’illecito corporativo individuatocome concretamente più grave fra tutti e applicazio-ne “secca” della sanzione interdittiva per quest’ulti-mo determinata.Invece la Corte ha visto in questo ammasso di reatiun unico illecito proprio della persona giuridica.Come detto, soluzione formalmente scorretta, eppu-re nella sostanza non troppo distante dalla realtànormativa e fenomenica: non solo perché le sanzio-ni finali effettivamente irrogate non sono poi moltoinferiori a quelle che sarebbero derivate dal ricono-scimento della continuazione (pur sempre unica lasanzione interdittiva (76), e l’aumento calcolatosulla sanzione pecuniaria connessa all’illecito piùgrave avrebbe potuto essere anche pari o vicino alminimo (77)), ma anche, forse soprattutto, perché -lo si ribadisce - reati colposi del genere di quelli ve-rificatisi possono a ragione vedersi quali “manifesta-zione” dell’organizzazione, “frutto venefico” di unente collettivo “guasto” e “contorto” nella sua strut-tura e dinamica organizzativa, “infettato” da unacultura d’impresa improntata a forte, cieca noncu-ranza per i beni vitali toccati e coinvolti nell’azionecorporativa, un ente collettivo che ha un “peso” nel-

lo sviluppo e nella consumazione della vicenda al-meno paritario a quello dei singoli agenti persone fi-siche. Così che l’omicidio plurimo contestato puòvedersi come evento tutto sommato unitario diun’unica condotta collettiva. Questa prospettiva,che infatti è ben presente alla Corte (78), è decisa-mente condivisibile, però non può condurre ad obli-terare il chiaro disposto normativo né il dato - in-contestabile per gli stessi Giudici torinesi - che sonostati cagionati 7 eventi omicidiari che necessaria-mente integrano altrettante fattispecie d’omicidio,sicché nemmeno “sformando” la disciplina dettatadal d.lgs. n. 231 del 2001, ovvero ponendo l’agentecollettivo a fianco (rectius, al di sopra) degli agentiindividuali come sesto distinto (e maggiormenterimproverabile) reo, poteva esser ascritto all’ente ununico illecito punitivo.

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Note:

(74) Al comma 2 l’art. 21 stabilisce che «quando in relazione auno o più degli illeciti ricorrono le condizioni per l’applicazionedelle sanzioni interdittive, si applica quella prevista per l’illecitopiù grave»; per quanto riguarda le eventuali misure interdittivedunque, diversamente che per il reato continuato, è previstol’assorbimento.

(75) Parrebbe da intendersi come concatenazione di condotte diuno o più individui volte al raggiungimento di un determinatoscopo corporativo, concatenazione imposta dall’espletamento diuna medesima funzione istituzionale. Poiché ogni “funzione”presuppone una “organizzazione” della stessa, tale interpreta-zione quasi si sovrappone a quella sostenuta dalla dottrina mag-gioritaria, secondo cui il fattore unificante i vari reati-presuppostoè dato dall’essersi questi verificati in presenza della medesima“lacuna organizzativa”. V., per tutti, G. De Vero, La responsabili-tà penale, cit., 251 s.; D. Brunelli, Art. 21, in AA.VV., La respon-sabilità degli enti, cit., 242 ss., il quale però esclude che i diversireati possano esser stati realizzati da persone fisiche differenti.

(76) In realtà i Giudici ne hanno applicate due congiunte (v. su-pra), peraltro senza motivare sul punto.

(77) Peraltro, quale minimo? Il testo normativo è totalmente si-lente, né nell’art. 21 né in una disposizione generale è definita lamisura minima dell’aumento.

(78) La Corte dimostra di non esser affatto estranea a quest’or-dine di idee in più passaggi della pronuncia: non solo, come so-pra ricordato, ha affermato per ben due volte che l’omicidio col-poso commesso in violazione della normativa antinfortunistica è«logicamente collegato proprio all’organizzazione aziendale»,ma, proprio partendo da tale acquisizione, ha anche avuto buongioco nel respingere l’”innovativa” questione di costituzionalità(sollevata dalla difesa) avente ad oggetto la sproporzione tra i li-miti edittali previsti per gli illeciti di cui all’art. 25-septies, a “ba-se colposa”, e quelli comminati per altri illeciti previsti negli arti-coli precedenti, puniti meno severamente nonostante si fondinosu gravi delitti dolosi. Secondo i Giudici torinesi, infatti, se per lapersona fisica «l’elemento soggettivo doloso è intrinsecamentepiù grave […] la diversità della responsabilità dell’ente rimane in-differente all’elemento soggettivo della persona fisica e si ac-centra invece sulla maggiore gravità della responsabilità dell’en-te quando, pur trattandosi di reato colposo, esso […] sia “logica-mente” collegato alla sua organizzazione e gestione». Tale pro-spettiva “olistica” affiora anche in altri capitoli della sentenza, v.ad es. pag. 201 e pag. 347.

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Diritto penale e processo 6/2012 723

GiurisprudenzaProcesso penale

Il commentodi Pierpaolo Dell’Anno (*)

Se da un lato deve essere ribadito come espressione di civiltà giuridica il principio per il quale deve ritenersiper così dire “rafforzata” l’inutilizzabilità delle acquisizioni documentali correlate alla loro “raccolta illegale”,è da escludersi, non ricorrendo il presupposto della tutela di interessi diversi di pari dignità, la necessità delricorso alla procedura camerale garantita per la distruzione dei documenti quando, per carenza di giurisdizio-ne italiana, l’autore dell’acquisizione illecita non possa essere sottoposto a procedimento penale.

Mezzi di prova

Violazione della privacy e inutilizzabilità delle acquisizionidocumentali correlate:presupposti e limiti

Tribunale di Pinerolo, 4 ottobre 2011 (19 aprile 2011) - Ufficio GIP

Sono assolutamente inutilizzabili e devono essere distrutti i documenti bancari acquisiti e conservati dal fun-

zionario infedele che, pur essendo legittimato inizialmente ad operare abbia poi agito per finalità non consen-

titegli e in contrasto con la volontà degli aventi diritto. Nell’ipotesi in cui si tratti di reato commesso all’este-

ro con difetto di giurisdizione e mancato svolgimento del procedimento penale, non è necessario procedere

alla distruzione ad opera del giudice con le modalità garantite di cui all’articolo 240 c.p.p. comma 4 e ss., poten-

do invece operare il solo pubblico ministero.

@ Il testo integrale della sentenza è disponibile su: www.ipsoa.it\dirittopenaleeprocesso

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conformi Sull’inutilizzabilità di informazioni raccolte illegalmente Cass., Sez. V, sent. 5 febbraio 2009, n. 8538 inCed Cass., 243418, Cass., Sez. I, sent. 15 giugno 2007, n. 29688 in Ced Cass., 236670.

Difformi Cass., Sez. V, 13 marzo 2007 ric. Mancini, in Ced Cass., 236402; Cass., Sez. I, sent. 3 ottobre 2007,n. 3189/07, ric. Ferrari.

La questione affrontata

Il provvedimento che si annota, considerato qualeinsieme di richiesta e decreto di archiviazione, so-stanzialmente coincidenti quanto a presupposti econtenuti, affronta la delicata tematica della sortedei documenti formati attraverso la raccolta illegaledi informazioni.

Tematica che, espressamente, nella richiesta di ar-chiviazione viene evocata in relazione ai documentibancari sottratti da un dipendente all’istituto di cre-

Nota:

(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valu-tazione di un referee.

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dito elvetico presso il quale lavorava. In particolare,viene affermato nella richiesta di archiviazione chedovrebbero considerarsi illegali i documenti in que-stione essendo la «relativa riproduzione effettuataall’insaputa dei titolari delle informazioni che dove-vano rimanere riservate», ulteriormente specifican-do che «potrebbe non infondatamente discutersidella possibile applicabilità del disposto dell’articolo615 ter c.p.», ritenendosi concretizzabile tale fatti-specie anche attraverso le «intrusioni all’interno delsistema informatico che si realizzano con la perma-nenza (dopo un ingresso legittimo) contro la volon-tà, anche tacita, dell’avente diritto: in questo caso ilsoggetto agente entra nel sistema operativo legitti-mamente, ma nel momento in cui inizia ad operareper finalità che non gli vengono consentite inizia atrattenersi all’interno dello stesso contro la volontà(pur tacita) di chi gli ha dato la possibilità e il titoloper accedervi».Alla stregua di tale ritenuta equiparabilità delle in-formazioni riprodotte dal funzionario infedele ai do-cumenti formati attraverso la raccolta illegale di in-formazioni, ne deriverebbe, ai sensi del comma 2dell’art. 240 c.p.p. come uniformemente interpreta-to dalla giurisprudenza della Cassazione, l’assoluta epiena inutilizzabilità dei medesimi anche quale noti-zia di reato, non potendo nemmeno, stante la chia-rezza del disposto normativo al riguardo, trovare ap-plicazione la previsione di utilizzabilità correlata aidocumenti anonimi là dove costituenti corpo di rea-to o provenienti comunque dall’imputato.In ultimo, la realizzazione all’estero del fatto illecitopenalmente rilevante fondante la inutilizzabilitàdell’informazioni, non determinandosi svolgimentodel procedimento penale, renderebbe non necessa-rio il ricorso alla procedura di distruzione garantitasecondo la metodica descritta nell’art. 240, apparen-do sufficiente procedere a distruzione “non garanti-ta” ad opera del solo pubblico ministero.

Presupposti e limiti di operatività

della disciplina normativa in tema

di raccolta illegale di informazioni

Si rende necessario, onde verificare la correttezzadell’annotato provvedimento, anzitutto approfondi-re il significato dell’espressione normativa “dati re-lativi a traffico telefonico o telematico illegalmenteformati”, così come di quella “documenti formati”attraverso la raccolta illegale di informazioni. Ciò,anzitutto avendo riferimento alla rilevata eccessivaindeterminatezza dell’espressione, tale, secondo par-te della dottrina, da cagionare, appunto in ragione

della sua genericità, seri problemi interpretativi (1).Al riguardo, deve peraltro significativamente rile-varsi come venga in considerazione, in questa pro-spettiva, la genesi della disciplina normativa in que-stione, avendo anzitutto riferimento alla scelta legi-slativa di procedere con decretazione di urgenza aicontenuti del relativo provvedimento.Si ha in particolare riferimento alla previsione in-trodotta dal governo con l’art. 1 del d.l. 22 settem-bre 2006, n. 259, onde fronteggiare il rischio che siverificasse, nel corso di un procedimento penalequello che si è significativamente definito in dottri-na quale «fangoso tsunami di indiscrezioni, di vele-ni, di notizie riservate e di delicati segreti», e allastregua della quale si imponeva all’autorità giudizia-ria, comunque entrata in possesso di dati informati-vi illeciti di provvedere alla loro distruzione, altresìstabilendosi un divieto assoluto di utilizzo del conte-nuto di quanto acquisito (2).Trattavasi, secondo alcuni, di previsione esclusiva-mente “sbilanciata” a tutela del diritto alla riserva-tezza, con eccessiva e ingiustificata compressione dialtri interessi costituzionalmente rilevanti e primofra tutti, quello che si correla all’essenza stesso del-l’accertamento processuale di un fatto reato e allasua attribuibilità a soggetto determinato (3), lamen-tandosi sempre in dottrina, anche l’approssimazionenell’uso dello strumento della decretazione di urgen-za (4), senza che, peraltro, tali disarmonie fosseropoi successivamente ovviate in sede di conversione.Ed invero, le modifiche introdotte dal provvedi-mento di conversione operata con la l. 20 novem-bre 2006, n. 281, limitandosi, nell’ambito di «unmodulo dell’autorità bifasico e a due stadi», a pre-vedere che entro 48 ore il pubblico ministero che

Diritto penale e processo 6/2012724

GiurisprudenzaProcesso penale

Note:

(1) Sottolinea significativamente Conti, Le intercettazioni “illega-li”: lapsus linguae o nuova categoria sanzionatoria?, in questaRivista, 2007, 151, che l’unico concetto utilizzato dal legislatorein relazione alle prove vietate è quello di “legittimità”, là dovenon ricorre mai nel tessuto normativo, se non nella previsioneche occupa, ne l’espressione “prova illecita”, ne quella di “pro-va illegale”. In giurisprudenza, si occupa espressamente dellanozione di prova illecita, Cass., Sez. Un., 30 ottobre 2002, Car-nevale, in Cass. Pen., 2005, 921.

(2) Cosi, espressamente, Giostra, Quale utilizzabilità delle inter-cettazioni abusive, in Cass. Pen., 2006, 3492.

(3) In questo senso, immediatamente, Bricchetti-Pistorelli, La di-struzione immediata della prova rischia di ledere i diritti dell’im-putato, in Guida dir., 2006, 39, 24.

(4) Sul punto, Giostra, Quale utilizzabilità, op. cit., 3495, lamen-tandosi della modalità di quella che non esita a definire legifera-zione “a rate”. Anche criticamente, Nicolucci, La nuova discipli-na delle intercettazioni c.d. “illegali”, in Cass. Pen., 2007, 1564.Anche criticamente, Filippi, Distruzione dei documenti e illecitadivulgazione di intercettazioni: lacune ed occasioni perse di unalegge nata già “vecchia”, in questa Rivista, 2007, 153.

Page 65: LA PRATICA PROCESSO PENALE - units.it

abbia acquisito documenti formati attraverso la rac-colta illegale di informazioni, debba chiederne ladistruzione al giudice, tenuto a fissare udienza ca-merale entro dieci giorni, senza che risulti introdot-ta alcuna deroga all’obbligo di distruzione dei docu-menti qualora se ne riconosca l’illegale formazione,non sembravano aver affrontato la questione essen-ziale costituita dalla prevalenza asseritamente ec-cessiva del diritto alla riservatezza rispetto a interes-si di natura diversa.Prevalenza peraltro da attentamente considerare enormativamente calibrare, quando il diritto alla ri-servatezza risulti pretermesso in ragione di condotteillecite perché poste in essere in violazione di divie-ti posti da norme sostanziali (5).Ciò, ricordando peraltro come il diritto alla riserva-tezza sia, secondo la giurisprudenza di legittimità si-curamente “coperto”, a livello di garanzie sovraor-dinate, oltre che dalla previsione di cui all’art. 2della Costituzione, da quelle sovranazionali specifi-camente correlabili a tali beni e, cioè, dall’art. 8della Convenzione europea dei diritti umani e al-l’art. 17 del Patto internazionale sui diritti civili epolitici (6).In questa prospettiva, l’intervento operato dal Giu-dice delle leggi con la sentenza n. 173 del 2009 (7)si presenta pertanto diretto a migliorare anzitutto leforme procedimentali, garantendo che il provvedi-mento decisorio del giudice costituisca effettivaespressione di contraddittorio e, nel contempo, ten-tando di assicurare che la ricostruzione della attivitàdi distruzione consenta di fornire una valida “provasostitutiva” dell’illecito sotteso all’acquisizione delleinformazioni.Sotto il primo profilo, la Corte ha infatti dichiaratocostituzionalmente illegittima la previsione di cui sidiscute, nella parte in cui, disciplinando la procedu-ra per la distruzione dei documenti, supporti o attirecanti dati illegalmente acquisiti, inerenti a infor-mazioni illegittimamente raccolte, non prevede perl’udienza fissata al fine della verifica della illiceitàdell’acquisizione, l’applicazione della disciplina fis-sata in tema di incidente probatorio, rendendo così,in ragione di tale dichiarata illegittimità, necessariala partecipazione del pubblico ministero e del difen-sore dell’imputato e, in ultima analisi imponendo, inragione della eccezionalità della disciplina normati-va, la massima estensione soggettiva del contraddit-torio (8).Estensione che, del resto, viene in qualche modoanche a caratterizzare la fase della distruzione che, aisensi del comma 5 dell’art. 240 c.p.p., prevede, subi-to dopo lo svolgimento dell’udienza, una esecuzione

«alla presenza del pubblico ministero e dei difensoridelle parti».Per quanto invece relativo al secondo profilo, il giu-dice delle leggi ha inteso dichiarare la illegittimitàcostituzionale della previsione in esame nella partein cui non esclude dal divieto di fare riferimento,nella redazione del verbale di distruzione, al conte-nuto dei documenti, alle circostanze inerenti l’atti-vità di formazione, acquisizione e raccolta degli stes-si documenti, ciò all’esplicito scopo di tutelare il di-ritto di coloro che abbiano interesse nel procedi-mento, a ricavare utili elementi di valutazione circal’effettiva illiceità della condotta ipotizzata, senzaper converso condizionare il procedimento a caricodell’autore dell’illecito che deve poter svolgersi sen-za alcuna pretesa di pregiudizialità derivante dagliesiti di quello principale (9).In questa ottica, trova pertanto giustificazione, an-che e soprattutto la risposta fornita dall’interprete inordine all’esistenza o meno di una specifica deroga

Diritto penale e processo 6/2012 725

GiurisprudenzaProcesso penale

Note:

(5) Al proposito, Siracusano, L’insufficienza dell’intervento addi-tivo della Corte costituzionale in tema di intercettazioni “illegali”rende indispensabile il “ritorno” al legislatore, in Cass. Pen.,2009, 12, 4659, secondo il quale «aleggiava la netta sensazionedi come il legislatore avesse centrato la propria attenzione, raf-forzando il complesso delle tutele in tale direzione, sul versantedel diritto alla riservatezza dei soggetti illegalmente intercettati».Anche in chiave critica in ordine alla mancanza di una appositaderoga alla regola della immediata distruzione rispetto al corpodel reato, Chiavario, Passi avanti sulle intercettazioni illegali mac’è bisogno di un ampio ripensamento, in Guida dir., 2006, 39,13.

(6) Così, Cass., Sez. Un., 28 marzo 2006, Prisco, in questa Rivi-sta, 2006, 1347.

(7) La sentenza è pubblicata, tra l’altro, in Giur. cost., 2009, 3,1936, con nota a commento di Villani, La distruzione del corpodel reato all’esame della Corte: spunto per una riflessione sulrapporto tra sanzioni processuali e diritti sostanziali.

(8) La Corte ha infatti convenuto sulla non adeguata tutela offer-ta ai diritti delle diverse parti dal rinvio al modello di cui all’artico-lo 127 c.p.p. che si fonda sul meccanismo del contraddittorioeventuale, là dove ciascuna parte ha il diritto ma non l’obbligo dicomparire dinanzi al giudice, potendosi appunto garantire giustoequilibrio tra gli interessi in gioco, «recidendo il legame, istituitodal comma 4 dell’articolo 240 c.p.p., tra la procedura speciale dicui ai commi 3 e seguenti dello stesso articolo e l’art. 127 c.p.p.,nella misura in cui il richiamo a tale norma fa ricadere sulla pro-cedura medesima le limitazioni del contraddittorio che connota-no il modello generale del rito camerale» dovendosi invece ave-re riferimento al «rispetto dei principi del giusto processo, del di-ritto di difesa e di azione e dell’effettivo esercizio dell’azione pe-nale, che si concretizzano in una rigorosa prescrizione del con-traddittorio tra le parti, come quella contenuta nell’art. 401, com-mi 1 e 2, c.p.p.».

(9) Osserva al proposito, Filippi, Distruzione dei documenti e ille-cita divulgazione di intercettazione: lacune e occasioni perse diuna legge nata già vecchia, in questa Rivista, 2007, 153, comeattraverso l’interpretazione additiva ora presa in considerazione,la Corte abbia in realtà posto in essere un «estremo tentativo difornire in modo indiretto la prova della natura illegale della docu-mentazione, anche senza far riferimento al contenuto della do-cumentazione».

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prevista, rispetto alla disciplina in questione dei do-cumenti anonimi o che comunque provengano dal-l’imputato, intercettazioni illegali, non potendosinegare il divieto, dovendosi verificare l’assolutezzadel divieto di utilizzazione rispetto alle informazioniillecitamente acquisite, anche appunto anche nel-l’ipotesi in cui il documento integri corpo del reatoo provenga comunque dall’imputato (10).In altri termini, non appare seriamente discutibilecome il complessivo e complesso appena descrittoiter legislativo, unitamente all’intervento correttivooperato dalla Consulta consegni all’interprete un si-stema improntato alla rigida pretermissione dal no-vero del legittimamente conoscibile per il giudicepenale, delle informazioni la cui acquisizione si cor-rela ad attività illegali incidenti in maniera imper-donabile e rilevante sul bene costituzionale della ri-servatezza.La rigidità della previsione normativa ha peraltroanche determinato, rispetto alla soluzione possibili-sta adottata in giurisprudenza (11), l’insorgere, indottrina, di un acceso dibattito addirittura anche inordine alla utilizzabilità dei documenti in questione,quantomeno come semplice notitia criminis rispettoai reati che hanno portato alla raccolta illecita di in-formazioni.Al proposito, giova infatti rilevare come la letteradella norma, distinguendo ai sensi del comma 1 del-l’art. 240 c.p.p., tra documenti in genere, con loropossibile utilizzazione se anonimi o provenienti dal-l’imputato, e documenti illeciti di cui al comma 2della medesima norma, rispetto ai quali non appareinvece rilevare alcun tipo di eccezione, pone il pro-blema in ordine alla possibile esclusione di ogni uti-lizzabilità anche appunto sotto il profilo della meranotitia criminis con eliminazione di ogni minima pos-sibile evocata rilevanza dei medesimi.Il tutto, avendo anzitutto evidentemente riferimen-to alla già evocata modifica del testo normativo insede di conversione, rispetto alla originaria previsio-ne di cui al decreto legge, alla stregua del quale eraespressamente affermato che «il loro contenuto noncostituisce in alcun modo notizia di reato, né può es-sere utilizzato a fini processuali o investigativi», cosìda far affermare che tale intervenuta modificazionepossa essere ritenuta espressione certa della volontànormativa di legittimare la utilizzazione del docu-mento quale spunto per l’espletamento dell’attivitàdi indagine (12).Sotto altro profilo, invece, si è acutamente osserva-to come, nell’ipotesi, quale quella di cui si discute,in cui la captazione del dato sia avvenuta in manie-ra affatto difforme rispetto a ogni schema legale, la

regola di esclusione di ogni valenza del dato medesi-mo, scatterebbe per così dire in maniera anticipata,precludendosi anche un uso investigativo e ciò, an-che in ragione della immediatezza temporale dell’in-tervento della procedura di distruzione (13).Trattasi, in altri termini, di stabilire, ad esempio ri-spetto all’assolutezza del divieto di documentazionee utilizzazione espressamente sancito dall’art. 350,comma 4, c.p.p. per le sommarie informazioni acqui-site dalla polizia giudiziaria che di iniziativa ascoltila persona nei cui confronti si sta svolgendo l’attivi-tà di indagine, se la assenza di inibizione espressa eper così dire “totalizzante” nel comma 2 dell’art. 240c.p.p., costituisca indice di una volontà di attribuirea quelle informazioni almeno un rilievo quale dove-roso stimolo all’attività di accertamento che costi-tuisce fondamento della delibazione in ordine al-l’esercizio dell’azione penale ad opera del pubblicoministero (14), sempre peraltro chiaramente sottoli-neando come, ad avviso di chi scrive, nessuna utiliz-zazione, neppure quale mera notizia di reato, possadirsi possibile e consentita rispetto al contenuto del-le informazioni, Deve cioè, in ultima analisi, aversiesclusivamente riferimento alla semplice esistenzadel documento, dovendosi stigmatizzare l’“ancorag-gio” normativo della disciplina in tema di intercet-tazioni ed acquisizione illecita di documenti a quel-la dei documenti anonimi, stante la sicura diversitàdei presupposti contenutistici e della correlata ratioposta a fondamento delle due previsioni in questio-ne (15).Orbene, in ogni caso, proprio il complesso descrittoiter della previsione di cui discute, unitamente alcontenuto peculiare della medesima, consente e,

Diritto penale e processo 6/2012726

GiurisprudenzaProcesso penale

Note:

(10) Sul punto, avendo specifico riferimento alla lettera della leg-ge, Focardi, Documenti, in Il Diritto, Enciclopedia Giuridica Sole24 Ore, 5, Milano, 2007, 526.

(11) Si rinvia, sul punto a Cass., Sez. I, 16 novembre 2007, pm inproc. Dionisi, in Mass. Uff., 238143.

(12) In questo senso, Ranaldi, Il procedimento per la distruzionedelle intercettazioni illegali: fra fairness giurisdizionale ed esi-genze di tutela costituzionale, in Giust. Pen., 2007, III, 665, cit.,654.

(13) Sul punto, Gaito, Intercettazioni illecite, intercettazioni ille-gali, intercettazioni illegittime, in Gaito (a cura di), Osservatoriodel processo penale, Torino, 2007, 1, 3.

(14) In questo senso, Cass., Sez. V, 13 marzo 2007, Mancini, inCass. Pen. 2008, 4, 1299; Cass., Sez. I, 16 novembre 2007, inCed Cass., 238143.

(15) In questo senso, per come già in parte evidenziato, Siracu-sano, L’insufficienza dell’intervento additivo della Corte, op. cit.,4659. Secondo l’autore questa scelta, unitamente ad altre nonsufficientemente emendate nella conversione dell’originario de-creto legge danno conto di un evidente carattere di approssima-zione dell’intero intervento normativo.

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anzi in qualche modo impone all’interprete di pren-dere atto della eccezionalità di una disciplina che,diversamente da altre omogenee statuizioni in temadi acquisizione di elementi derivanti dall’espleta-mento di mezzi di ricerca della prova viziati da inu-tilizzabilità per violazione di specifico divieto e ispi-rati al principio del male captum bene retentum(u),esalta indubitabilmente, come valore essenziale eincoercibile, quello della riservatezza del soggettoche si è visto leso dall’azione illecita che ha deter-minato la raccolta indebita di informazioni.Valore che, proprio alla stregua dell’evocato inter-vento del Giudice delle leggi, deve attualmente rite-nersi nettamente prevalente rispetto a quelli pure dirango primario interessati dalla disciplina normativadi cui si discute, quali, nel procedimento a caricodell’autore dell’illecito, il diritto di difesa del mede-simo, quello al risarcimento del danno della parte ci-vile, oltre naturalmente l’obbligatorio eserciziodell’azione penale ad opera del pubblico ministero eche, indubitabilmente, in ragione delle forti limita-zioni contenutistiche del verbale di cui all’art. 240,comma 6, c.p.p., sembrano potersi realizzare, nono-stante l’esplicito intervento correttivo operato ap-punto dalla Consulta, pur sempre in condizioni diobiettiva difficoltà (16).Deve, in altri termini, seriamente dubitarsi dellapossibilità che il verbale in questione, comunqueprivo di riferimenti al contenuto dei documenti, dicui, rispetto alle informazioni illecitamente acquisi-te, è per come evidenziato, fatto divieto di qualsivo-glia utilizzazione, svolga così come invece auspicatodalla Corte la sua funzione di “prova sostitutiva delcorpo del reato” (17). È evidente, quindi, come la rispondenza a legittimi-tà della disciplina normativa di riferimento, possaessere affermata solo nella prospettiva della indivi-duazione del valore della riservatezza delle azioni diillecita acquisizione dei dati riservati quale bene chein qualche modo può dire individuato quale a tutelacostituzionale “rafforzata” e privilegiata, rispetto aglialtri valori primari che pure vengono in considera-zione (18).In questa prospettiva, si tenga del resto presente co-me la dottrina, anche alla stregua del contenuto deilavori preparatori sul punto, ha inteso evidenziarecome la peculiarità della disciplina normativa cheoccupa deve dirsi trarre il suo principale fondamen-to dalla illiceità dell’acquisizione. Si tratterebbe, inaltri termini, della predisposizione di un particolareregime processuale, avente ad oggetto dati formati,acquisiti o raccolti mediante atti illeciti perchéespressamente sanzionati dalle previsioni della leg-

ge penale e da quelle dettate dal Codice sulla priva-cy (19).Ciò spiegherebbe del resto, oltre alla previsionenormativa della distruzione del materiale, l’introdu-zione di altre peculiari cautele quali quella che vie-ta di estrarre copia, dovendosi sul punto anche con-siderare lo strumento sanzionatorio di carattere pe-nalistico che prevede significativamente la reclu-sione da sei mesi a quattro anni per chiunque con-sapevolmente detenga gli atti, i supporti e i docu-menti di cui sia stata disposta la distruzione ai sensidell’art. 240 (20).

Diritto penale e processo 6/2012 727

GiurisprudenzaProcesso penale

Note:

(16) Osserva al proposito, tra l’altro, Siracusano, L’insufficienzadell’intervento additivo della Corte, cit., 4662, che, «in realtà ilmaquillage realizzato dalla Corte costituzionale vale a renderenecessaria la partecipazione delle parti ma rischia di non riusciredi connotare di effettività il contraddittorio e, conseguentemen-te, a riequilibrare il rapporto fra tutela della riservatezza e tuteladegli altri diritti costituzionalmente garantiti. Il mantenimento diuna procedura che sembrerebbe, prima facie, essere contraddi-stinta da una forte compressione del diritto alla discovery degliatti oggetto del provvedimento di secretazione, e sui quali do-vrebbe incentrarsi il contraddittorio necessario tra le parti, e ca-ratterizzata da cadenze temporali capestro, minaccia di neutraliz-zare (o, comunque rendere solo apparente) l’approdo all’equo bi-lanciamento fra i diritti e le garanzie in gioco». Sul punto, semprecriticamente, proprio in ordine alle cadenze procedimentali, Ra-naldi, Il procedimento per la distruzione,op. cit., 665.

(17) Sul punto, in chiave critica, Conti, Intercettazioni illegali: LaCorte costituzionale riequilibra un bilanciamento “claudicante”,in questa Rivista, 2010, 2, 200, osservandosi in particolare in re-lazione la procedimento per la distruzione come «per un verso, ilpresupposto della distruzione risiede in un accertamento, sia pu-re incidenter tantum, della illiceità dell’acquisizione. Per un altroverso, il verbale non descrive il contenuto della captazione (il ve-ro e proprio contenuto del reato) ma le modalità e le circostanzedella sua condotta… il rischio è che il procedimento incidentaleconsegni a quello principale un verbale che ha un contenuto va-lutativo in merito alla illiceità della condotta, piuttosto che rap-presentativo del corpo di reato distrutto: l’ombra di un sogno».

(18) Osserva al riguardo, Conti, ult. cit., come la più volte citatasentenza n. 173 del 2009 della Corte costituzionale si collochi al«culmine di una parabola che ha riconosciuto valore crescente atale bene giuridico fino a definirlo tout court… come un dirittofondamentale. La Corte, si potrebbe affermare con una qualcheaudacia, ha conferito un crisma ufficiale ad una gerarchia di valo-ri che l’attualità dei rapporti sociali in un ordinamento civile offrecome un dato dell’essere dal quale il sistema costituzionale nonpuò prescindere».

(19) Sul punto, Conti, Le intercettazioni illegali, op. cit., 154, evi-denziando come il concetto di illiceità preso in considerazionedalla disposizione in esame si correli alla violazione di norme so-stanziali penalmente sanzionate sia nel codice di rito che nellaspecifica disciplina dettata a tutela della riservatezza. La medesi-ma autrice ha peraltro modo di rilevare come, con specifico rife-rimento alla seconda parte del comma 2 dell’art. 240 c.p.p. e,quindi ai «documenti formati attraverso la raccolta illegale di in-formazioni», debba aversi riguardo agli illeciti penali espressa-mente sanzionanti il trattamento dei dati in maniera non confor-me alle previsioni di cui agli artt. 167 e seguenti del codice dellaprivacy.

(20) Trattasi di previsione sanzionatoria introdotta dall’art. 3 deld.l. n. 259 del 2006. Su tale aspetto, cfr., Gambardella, Il delittodi detenzione di atti relativi a intercettazioni illegali, in questa Ri-vista, 2007, 2, 165 ss.

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In ultima analisi, un vizio, quello della inutilizzabili-tà, per così dire “rafforzato” e assolutamente e invin-cibilmente insanabile, dovendosi dire tali peculiaricaratteristiche, in qualche modo correlabili alla as-soluta abnormità delle fattispecie considerate, e allaincontestabile piena carenza di potere di limitazionedi libertà fondamentali in capo ai soggetti che si ren-dano autori dei fatti. Ne consegue, evidentemente,in questa prospettiva, significativamente, la non ap-plicabilità della disciplina in questione ai casi in cui,in tema di captazione di conversazioni si abbia rife-rimento alle intercettazioni poste in essere dall’au-torità giudiziaria in violazione di norme di legge, do-vendosi in questo caso aver riferimento alle inutiliz-zabilità per così dire ordinaria mentre, diversamen-te, deve ritenersi evocabile la peculiare procedura dequa e la assoluta irrecuperabilità, a qualsivoglia tito-lo dei dati che si correlano alla illecita attività piùvolte evocata, anche ai casi in cui la captazione av-venga ad opera di pubblica autorità con azione allamedesima assolutamente inibita e penalmente san-zionata (21).Si tratta cioè, di una sanzione che, appunto in ragio-ne della peculiare ratio che la fonda, dà luogo a unainutilizzabilità che potrebbe essere meglio definitaquale impossibilità assoluta di evocazione del datoche si è generato in ragione di una attività che ha il-lecitamente compromesso il bene della riservatezzanel senso più volte precisato.Un bene che, del resto, nonostante la declaratoria diillegittimità costituzionale sopra evocata, risulta dalGiudice delle leggi, proprio in sede di decisione sul-la disciplina di riferimento, espressamente indivi-duato come “fondamentale” e meritevole dell’esi-genza di “una tutela più intensa, rispetto a quella ri-velatasi insufficiente del recente passato”, così dadoversi dire “non irragionevoli particolari modalitàdi trattamento del materiale probatorio, che riesca-no a contemperare tutti i diritti e i principi fonda-mentali coinvolti in questa delicata materia”.In altri termini, nonostante la affermata illegittimi-tà, non può non segnalarsi, nella decisione in que-stione, in contrasto evidente con l’assunto del giudi-ce remittente, la scelta relativa al mantenimento diuna disciplina che, nel prevedere la immediata di-struzione del corpo del reato, si caratterizza inconte-stabilmente derogatoria rispetto a quella che comu-nemente regolamenta nel processo penale il tratta-mento giuridico di tale dato (22).Ne deriva, conseguentemente, nel caso di specie, inragione della sicura illiceità sostanziale correlata al-la captazione dei dati offerti alla valutazione dell’au-torità investigativa italiana, la sicura evocabilità

delle previsioni che impongono immediata distru-zione dei dati medesimi a tutela della riservatezza deisoggetti passivi dell’azione delittuosa posta a fonda-mento della acquisizione dei dati medesimi.

La necessità di una correlazione tra lo svolgimento del procedimento penalee l’attivazione della procedura garantita per la distruzione dei dati illecitamenteacquisiti

Nella delineata prospettiva, appare pertanto neces-sario e possibile anche calibrare l’interpretazionecirca la rispondenza a legittimità del provvedimen-to annotato, proprio avendo riferimento, rispettoalla eccezionalità della disciplina normativa inte-ressata, anche alle ulteriori peculiarità del caso con-creto posto all’attenzione dell’autorità giudiziariainteressata.In particolare, deve aversi riferimento alla circo-stanza costituita dall’essere, rispetto all’autore dellaillecita acquisizione delle informazioni, pacifica-mente da escludersi la giurisdizione italiana.Esclusione che, evidentemente, costituendo funzio-ne primaria della onerosa procedura partecipata dicui ai commi 4 e 5 dell’art. 240 c.p.p., la necessità digarantire al meglio l’esercizio dei diritti dell’autoredell’illecito e degli altri interessati nel procedimentopenale che ne scaturisce, sembra consentire, in ra-gione della eccezionalità della procedura, la pienariespansione delle esigenze di tutela di riservatezzadei soggetti coinvolti dall’avvenuta illecita captazio-ne delle notizie, così giustificando il ricorso a proce-dura di carattere per così dire “minimalista” affidataall’organo dell’azione.Può infatti fondatamente affermarsi, alla stregua diquanto in precedenza rilevato, che l’udienza came-rale serva anche e soprattutto per verificare, in con-traddittorio tra tutti i soggetti interessati, e allo sco-po di consentire alla giurisdizione di procedere al se-reno bilanciamento dei diversi interessi in gioco,l’effettiva sussistenza dei presupposti per la distruzio-ne di quanto illecitamente acquisito, salvaguardan-

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Note:

(21) Evidente, in altri termini, nella delineata prospettiva della cd.“inutilizzabilità rafforzata”, l’evocabilità di tale sanzione, qualeche possa dirsi l’autore del fatto reato su cui fonda e trae pre-messa tale peculiare categoria.

(22) Sottolinea tale aspetto, Villani, La distruzione del corpo delreato, cit., 1938. L’autore ha in particolare riferimento alle previ-sioni di cui agli artt. 262 e 271 c.p.p., rispettivamente preveden-te peri corpo del reato il mantenimento del sequestro per tutta ladurata del processo e, in relazione alle intercettazioni illegittime,l’esclusione della distruzione quando queste costituiscano corpodel reato.

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do tutti gli interessi correlabili all’accertamento del-la illecita attività posta in essere, attraverso la reda-zione del verbale di cui al comma 6 dell’art. 240c.p.p.Con la conseguenza, per la quale, in questa prospet-tiva, deve ulteriormente riconoscersi la rispondenzaa logica e sistema della conclusione rassegnata nel-l’annotato provvedimento, là dove, mancando so-stanzialmente la possibilità di individuare soggettititolari di interesse contrario alla distruzione, vieneconseguentemente meno la necessità di attivazionedell’oneroso meccanismo procedurale de quo.Ed invero, ad iniziare, se devono intendersi quali“interessate”, anzitutto le persone coinvolte nell’il-lecita esecuzione delle intercettazioni, piuttosto chenella formazione dei documenti acquisiti e secretati,ovvero nell’illecito utilizzo o detenzione dei medesi-mi, in ipotesi di mancato svolgimento del procedi-mento a loro carico, viene conseguentemente amancare per le stesse ogni concreto ed effettivo in-teresse alla conservazione e/o utilizzazione a fini di-fensivi del materiale in questione.In buona sostanza, quando, come nel caso discussonell’annotata sentenza, è da escludersi la possibilitàdi sottoporre a procedimento penale l’autore dellaillecita acquisizione di informazioni, si determinaanche, conseguentemente, il venir meno della ne-cessità di garantire il diritto di difesa del preteso au-tore del reato.Ugualmente, difetta in concreto tale interesse, ovesi abbia riferimento all’organo dell’azione che è ini-bito normativamente all’attivazione del meccani-smo processuale che, per le medesime ragioni, nonviene del resto neppure a costituire oggetto di aspet-tativa giuridicamente azionabile nel procedimentopenale, per i soggetti passivi delle condotte sfociatenelle illecite acquisizioni.In altri termini, in mancanza della concreta aziona-bilità degli interessi a tutela dei quali si attiva ilmeccanismo normativo che impone in contraddit-torio di verificare la sussistenza dei presupposti per ladistruzione, trova piena e incondizionata attuazionel’interesse all’irreversibile eliminazione del fruttodell’attività illecita, per scongiurare l’indebita diffu-sione dei dati e, quindi l’ulteriore ingiusto pregiudi-zio di beni costituzionalmente tutelati.In questa prospettiva, per come già in parte eviden-ziato, la dottrina costituzionalistica ha ritenuto acu-tamente di evidenziare come, nell’alternativa accor-data al giudice penale, tra il concedere comunquespecifiche garanzie processuali in qualunque situa-zione, ovvero privilegiare esigenze diverse e contrat-tanti con tali garanzie, la Corte costituzionale abbia

ritenuto di decisamente aderire alla seconda opzione(23).Significativo è, del resto, al riguardo, il passaggio incui, il Giudice delle leggi nella più volte evocatasentenza n. 173 del 2009 rileva in difetto di specifi-ca restrittiva previsione, «le regole del processo el’insicurezza della tenuta degli atti custoditi negli uf-fici giudiziari esporrebbero le vittime ad un pericolodi divulgazione contrario alla misura minima di tu-tela della riservatezza delle persone in un ordina-mento liberale, dove le ragioni di giustizia devonotrovare adeguati strumenti di processuali di realizza-zione senza però sacrificare eccessivamente ed inu-tilmente i diritti delle vittime incolpevoli di graviinterferenze nella loro vita privata, per lo più con lamotivazione che si vogliono tutelare proprio i lorointeressi».Nessun dubbio, quindi, come là dove nessuna ragio-ne di giustizia venga in essere, nemmeno nessuna li-mitazione possa conseguentemente dirsi correlabilealla previsione atta a garantire tutela efficiente ri-spetto a quel pericolo di divulgazione, appunto rite-nuto dalla Consulta «contrario alla misura minimadi tutela della riservatezza delle persone».

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GiurisprudenzaProcesso penale

Nota:

(23) Così, espressamente, in sede di commento alla più volte ci-tata sentenza n. 173 dell’11 giugno 2009, Villani, ult. cit., 1936.

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Diritto penale dell’economia

Usura bancaria e commissionedi massimo scoperto: l’elementooggettivo e soggettivo del reato

Cassazione penale, Sez. II, 19 dicembre 2011 (ud. 23 novembre 2011), n. 46669 - Pres. Esposito- Rel. Chindemi

Il controllo e la vigilanza su specifiche questioni concernenti l’erogazione del credito, quali la determinazione

del tasso di usura, rientrando tra le funzioni specifiche delle banche, sono ricompresi nell’alveo di competen-

za degli organi di vertice, indipendentemente dal decentramento di tali funzioni ad altri organismi sotto ordi-

nati e interni alla banca; alla luce di tale principio, in caso di omissione di controllo, è possibile affermare quan-

to meno la corresponsabilità, sotto il profilo penale, di tali organi di vertice, ricadendo tale omissione nella

sfera di azione dell’art. 40 cpv. c.p.

Deve considerarsi scusabile l’ignoranza della legge penale che ha indotto i vertici degli istituti bancari ad esclu-

dere la commissione di massimo scoperto dal calcolo per la determinazione del tasso soglia di usura, poiché,

in mancanza di un orientamento giurisprudenziale di legittimità, civile o penale, che ritenesse illecita tale pras-

si bancaria non è possibile muovere a detti soggetti alcuna censura di violazione del dovere di doverosa pru-

denza.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conformi Cass., Sez. II, 14 maggio 2010, n. 28743 in Ced Cass., 247860; Cass., Sez. II, 19 febbraio 2010, n.12028 in Ced Cass., 246729.

Difformi Cass., Sez. II, 26 novembre 2008, n. 8551, in pluris-cedam.utetgiuridica.it.

Omissis.

Motivi della decisioneOmissisIn ordine logico vanno esaminate, preliminarmente, lecensure attinenti alla ritenuta sussistenza del reato di usu-ra sotto il profilo oggettivo, essendo la sussistenza del rea-to presupposto la premessa di tutte le ulteriori censuremosse alla sentenza.Questa Corte, superando un precedente orientamentocontrario (Cass. 26.11.2008, n. 8551) ha affermato cheIn tema di usura, ai fini della valutazione dell’eventualecarattere usuraio del tasso effettivo globale di interesse(TEG) praticato da un istituto di credito deve tenersiconto anche della commissione di massimo scoperto pra-ticata sulle operazioni di finanziamento per le quali l’uti-lizzo del credito avviene in modo variabile (Sez. 2, Sen-tenza n. 28743 del 14/05/2010 Ud. (dep. 22/07/2010) Rv.247861; Sez. 2, Sentenza n. 12028 del 19/02/2010 Cc.(dep. 26/03/2010) Rv. 246729).La norma di cui all’art. 644 c.p. configura una norma pe-nale in bianco il cui precetto è destinato ad essere com-pletato da un elemento esterno, che completa la fattispe-

cie incriminatrice giacché rinvia, al fine di adeguare gliobblighi di legge alla determinazione del tasso soglia aduna fonte diversa da quella penale, con carattere di tem-poraneità, con la conseguenza che la punibilità della con-dotta non dipende dalla normativa vigente al momentoin cui viene emessa la decisione, ma dal momento in cuiavviene l’accertamento, con esclusione dell’applicabilitàdel principio di retroattività della legge più favorevole.(cfr Sez. 3, Sentenza n. 43829 del 16/10/2007 Ud. (dep.26/11/2007) Rv. 238262; Sez. 1, Sentenza n 19107 del16/05/2006 Ud. (dep. 30/05/2006) Rv. 234217 Sez. 3^,22 febbraio 2000 n. 3905, Rv. 215952; Sez. 3^, 23 aprile1986 n. 5231, Rv. 173042).Occorre, invece, verificare, alla luce dell’art. 2, comma 3,in caso di successione nel tempo di norme extrapenali in-tegratrici del precetto penale, se debba trovare applica-zione la normativa precedente o successiva al fine dellapunibilità della condotta realizzata sotto la vigenza dellanormativa preesistente.L’applicazione del principio di retroattività della leggepenale più favorevole, sancito dall’art. 2 cod. pen., com-ma 3, presuppone una modifica in via generale della fat-tispecie incriminatrice, cioè di quelle norme che defini-

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scono il reato nella sua struttura essenziale e circostanzia-ta, comprese le norme extrapenali che la integrano.La rilevanza, ai fini della configurabilità del reato di usu-ra, desunto dalla modifica dei criteri di rilevazione deltasso soglia va valutata sotto il duplice aspetto della rile-vanza della condotta con riferimento all’art. 25 Cost. eart. 2 c.p., comma 3.Il principio di legalità - che l’art. 25 Cost., comma 2, haesteso ad ogni illecito - pone come limite insuperabile,perché sussista lo “ius puniendi” dello Stato, la preesisten-za al fatto di una norma che vieti la condotta posta in es-sere e che preveda una punizione per l’inosservanza delprecetto.L’art. 25 Cost., vieta la retroattività della legge penale,ma non concerne l’ultrattività della norma.La Corte di Cassazione ha più volte affermato il principiosecondo cui “l’istituto della successione delle leggi penali(art. 2 cod. pen. ) riguarda la successione nel tempo dellenorme incriminatrici” tra le quali non rientrano “le vi-cende successorie di norme extrapenali che non integra-no la fattispecie incriminatrice né quelle di atti o fattiamministrativi che, pur influendo sulla punibilità o menodi determinate condotte, non implicano una modificadella disposizione sanzionatoria penale, che resta, pertan-to immutata e quindi in vigore (Sez. 3, Sentenza n. 43829del 16/10/2007 Ud. (dep. 26/11/2007) Rv. 238262).Questa Corte, considerando che la stessa giurisprudenzadi legittimità non ha un orientamento uniforme, ritienedi aderire all’orientamento che afferma l’inapplicabilitàdel principio previsto dall’art. 2 c.p., comma 3, in caso disuccessione nel tempo di norme extrapenali integratricidel precetto penale, che non incidano sulla struttura es-senziale del reato ma comportino esclusivamente una va-riazione del contenuto del precetto delineando la portatadel comando.Il principio espresso dall’art. 2 cod. pen., comma 3, tro-verebbe applicazione solo nella diversa ipotesi in cui lanuova disciplina, anziché limitarsi a regolamentare diver-samente i presupposti per l’applicazione della norma pe-nale, modificando i criteri di individuazione del tasso so-glia,avesse esclusa l’illiceità oggettiva della condotta.Invece la nuova disciplina non ha inteso sminuire il di-svalore sociale della condotta posta in essere nelle vi-genza delle normativa precedente, e quindi l’illiceità pe-nale della stessa, essendosi limitata a modificare, ma so-lo per il futuro, i presupposti per l’applicazione della nor-ma incriminatrice penale, (per l’applicazione di taleprincipio in una vicenda relativa al trattamento da riser-vare alla sostanza “norefredina” o “fenilpropanolamina”,che, successivamente alla commissione dei fatti “sub iu-dice”, relativamente ai quali era stato contestato il reatodi cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, era stataricompresa tra i “precursori”, ossia tra le sostanze suscet-tibili di impiego per la produzione di sostanze stupefa-centi o psicotrope., Sez. 4, Sentenza n 17230 del22/02/2006 Cc. (dep. 18/05/2006) Rv. 234029) (cfr, condiverse prospettazioni, Cass., sez. 5^, 3 aprile 2002 n.18068, Versace, Rv. 221917; sez. 3^, 12 marzo 2002 n.18193, Fata, Rv. 221943; sez. 3^, 19 marzo 1999 n. 5457,

Arlati, Rv. 213465; sez. 4^, 10 marzo 1999 n. 4904, Bru-netto, Rv. 213533; sez. 3^, 17 febbraio 1998 n. 4720,Vittoria, Rv. 210701; sez. 3^, 16 febbraio 1996 n. 758,Crivelli, Rv. 204863). I criteri di individuazione del tas-so soglia precedente alla modifica normativa sono ricon-ducigli a una condotta penalmente sanzionata perché ri-tenuta comunque ricollegabile alla tutela del bene pro-tetto dalla disciplina del reato di usura; la relativa nor-mativa è caratterizzata dalla natura “formale” dei criteridi individuazione del tasso soglia, accentuando l’esigen-za di valutare il disvalore con il riferimento alle condot-te relative alla determinazione del tasso soglia vigente almomento del fatto, non trattandosi di una vera e propria“abrogatio criminis”.La successione di norme extrapenali determina esclusiva-mente una variazione del contenuto del precetto con de-correnza dalla emanazione del successivo provvedimentoe, in tale ipotesi, non viene meno il disvalore penale delfatto anteriormente commesso” (cfr. Sez. 3, sentenza n.43829 del 16/10/2007 Ud. (dep. 26/11/2007) Rv.238262).Deve, quindi, concludersi che la modifica della normati-va secondaria, avvenuta con D.L. n. 70 del 2011, poiconvertito in legge, non trova applicazione retroattiva exart. 2 c.p., comma 2, non modificandosi la norma incri-minatrice, essendo il tasso soglia variabile anche con rife-rimento a valutazioni di carattere economico che hannovalore, ai fini della individuazione del tasso usurario, perl’arco temporale di applicazione della relativa normativae non vengono meno a seguito della successiva modificadi tali limiti che hanno validità solo per il periodo suc-cessivo. Non ricorre infatti l’ipotesi di cui all’art. 2 cod.pen., comma 3, qualora il fatto sia punito in base al limi-te stabilito dalla legge, per il periodo di riferimento, oltreil quale gli interessi vanno considerati usurari, stabilito,in relazione alle operazioni in oggetto, dalla L. n. 108 del1996, art. 2, comma 4, che prevedeva che “il limite pre-visto dall’art. 644 c.p., comma 3, oltre il quale gli interes-si sono sempre usurari, è stabilito dal tasso medio risul-tante dall’ultima rilevazione pubblicata nella GazzettaUfficiale, ai sensi del comma primo, relativamente allacategoria di operazione in cui il credito è compreso, au-mentato della metà”.La modifica operata con D.L. n. 70 convertito in legge indata 7 luglio 2011, n. 106 (che all’art. 8, comma 5, lett.d) ha previsto che alla L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 2,comma 4, le parole “aumentato della metà”, sono sosti-tuite dalle seguenti: “aumentato di un quarto”, cui si ag-giunge un margine di ulteriori quattro punti percentuali.La differenza tra il limite e il tasso medio non può esseresuperiore a otto punti percentuali) non determina l’auto-matica “espansione” della nuova legge, perché l’applica-zione di tale norma contrasterebbe con la natura del fe-nomeno della abrogazione, che opera “ex nunc”.La norma secondaria abrogata resta, infatti, vigente, peril periodo anteriore alla abrogazione, impedendo, per lostesso periodo, l’applicazione della nuova normativa, inquanto sarebbe contrario al sistema considerare ampliato,ora per allora, il raggio di azione di quest’ultima norma,

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non differenziando la punizione dei fatti commessi sottoil vigore della legge abrogatrice da quelli commessi suc-cessivamente.La portata dell’intervento innovativo sulla determinazio-ne dei criteri di individuazione del tasso soglia e la man-canza di norme transitorie, certamente non dovuta a di-sattenzione, denotano che si è voluto dare alla normativa(che ha introdotto un regime maggiormente favorevoleagli istituti bancari in relazione al reato di usura) operati-vità con esclusivo riferimento a condotte poste in esseredopo la sua entrata in vigore, senza produrre effetti supreesistenti situazioni, regolate dalla normativa prece-dente.Peraltro, in base alle corrette osservazioni contenutenella memoria di parte civile, deve ragionevolmente ri-tenersi che, comunque, sia pure per alcuni trimestri, an-che con riferimento alla nuova normativa, vi sarebbestato lo sforamento del tasso soglia, rimanendo integro ilfatto materiale, potendo, al più, sotto il profilo penale,operarsi una nuova valutazione in concreto della entitàdella violazione.Con riferimento alla determinazione del tasso di interes-se usurario, ai sensi dell’art. 644 c.p., comma 4, si tiene,quindi, conto delle commissioni, remunerazioni a qual-siasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tas-se, collegate alla erogazione del credito.Incensurabile in questa sede, essendo immune da vizi lo-gici, è la valutazione di entrambi i giudici di merito di farriferimento alla perizia del Dott. Cr. che ha seguito l’im-postazione metodologica poi recepita in sentenza, sce-gliendo di utilizzare il criterio della CMS - soglia per ac-certare i casi di sforamento, individuandoli, in concreto,ogni volta che risulti superato il valore medio aumentatodella metà.Quindi, come peraltro rilevato sia dal Tribunale e dallaCorte territoriale, anche la CMS devi essere tenuta inconsiderazione quale fattore potenzialmente produttivodi usura, essendo rilevanti ai fini della determinazione deltasso usurario, tutti gli oneri che l’utente sopporta in re-lazione all’utilizzo del credito, indipendentemente dalleistruzioni o direttive della Banca d’Italia (circolare dellaBanca d’Italia 30.9.1996 e successive) in cui si prevedevache la CMS non dovesse essere valutata ai fini della de-terminazione del tasso effettivo globale degli interessi,traducendosi in un aggiramento della norma penale cheimpone alla legge di stabilire il limite oltre il quale gli in-teressi sono sempre usurari.Le circolari e le istruzioni della Banca d’Italia non rap-presentano una fonte di diritti ed obblighi e nella ipotesiin cui gli istituti bancari si conformino ad una erronea in-terpretazione fornita dalla Banca d’Italia in una circolare,non può essere esclusa la sussistenza del reato sotto il pro-filo dell’elemento oggettivo. Le circolari o direttive, oveillegittime e in violazione di legge, non hanno efficaciavincolante per gli istituti bancari sottoposti alla vigilanzadella Banca d’Italia, neppure quale mezzo di interpreta-zione, trattandosi di questione nota nell’ambiente delcommercio che non presenta in se particolari difficoltà,stante anche la qualificazione soggettiva degli organi

bancari e la disponibilità di strumenti di verifica da partedegli istituti di credito. Né possono avere rilievo le diffe-renziazioni del tasso operato in caso di conto correntenon affidato - in cui il credito erogato è superiore al fidoconcesso, rispetto al conto corrente affidato - in cui l’uti-lizzo avvenga regolarmente nei limiti del fido, dovendo,comunque, la banca non superare il tasso soglia normati-vamente previsto indipendentemente dalla circostanzache nel caso di conto corrente non affidato la banca deb-ba fronteggiare un inatteso e irregolare utilizzo del credi-to da parte del cliente, che, pur rappresentando un costoper l’eventuale scorretto comportamento del cliente, nonpuò comunque giustificare il superamento del tasso so-glia, trattandosi di un costo collegato all’erogazione delcredito che ricorre ogni qualvolta il cliente utilizza lo sco-perto di conto corrente e funge da corrispettivo dell’one-re, per la banca, di procurarsi e tenere a disposizione delcliente la necessaria provvista di liquidità.La materia penale è dominata esclusivamente dalla leggee la legittimità si verifica solo mediante il confronto conla norma di legge (art. 644 c.p., comma 4) che disciplinala determinazione del tasso soglia che deve ricomprende-re le remunerazioni a qualsiasi titolo”, ricomprendendotutti gli oneri che l’utente sopporti in connessione con ilcredito ottenuto e, in particolare, anche la CMS che vaconsiderata quale elemento potenzialmente produttivodi usura nel rapporto tra istituto bancario e prenditore delcredito.Appare pertanto illegittimo lo scorporo dal TEGM dellaCMS ai fini della determinazione del tasso usuraio, indi-pendentemente dalle circolari e istruzioni impartite dallaBanca d’Italia al riguardo.In termini generali, quindi, l’ignoranza del tasso di usurada parte delle banche è priva di effetti e non può essereinvocata quale scusante, trattandosi di ignoranza sullalegge penale (art. 5 c.p.).4) Va affrontata, trattandosi di questione in ordine logi-co, preliminare, la attribuibilità, sotto il profilo soggetti-vo, anche ai presidenti dei consigli di amministrazionedelle rispettive banche della responsabilità penale per itassi usurari praticati alla clientela.Il Tribunale e la Corte territoriale hanno dato rispostedifferenti,pervenendo, tuttavia, entrambe all’assoluzionedegli imputati sia pure con formule differenti: assoluzioneper “non aver commesso il fatto” per il Tribunale e asso-luzione “perché il fatto non costituisce reato” per la Cor-te territoriale che ha escluso l’elemento soggettivo.OmissisIn sintesi, il Tribunale ritiene che ai presidenti degli isti-tuti di credito non potesse ascriversi alcuna responsabili-tà, con riferimento all’applicazione dei tassi usurari,avendo i rispettivi istituti adottato un sistema che affida-va a una articolazione centralizzata e semiapicale, in po-sizione sotto - ordinata rispetto al consiglio di ammini-strazione, la determinazione delle condizioni applicate al-la clientela e, quindi, anche dei tassi.La Corte di appello ribaltava tale impostazione ritenen-do, in base ad una interpretazione dei poteri conferiti alconsiglio d’amministrazione dagli statuti degli istituti di

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credito, che i presidenti dei rispettivi consigli di ammini-strazione avessero poteri in materia di erogazione del cre-dito, rientranti nell’ambito dei più generali poteri di in-dirizzo dell’impresa bancaria, sussistendo in capo aglistessi una posizione di garanzia essendo gli interessi pro-tetti dalla norma incriminatrice soggetti alla sfera d’azio-ne e di potenziale controllo dei presidenti e legali rappre-sentanti dei tre istituti di credito. Con Riferimento allaBanca di Roma, ad esempio, va rilevato come l’art. 17 delrelativo Statuto letto alla luce del successivo art. 21 chedetermina i poteri del direttore generale, conferisce alConsiglio d’amministrazione tutti i poteri per l’ordinariae straordinaria amministrazione e, al secondo comma, ri-conosce al CDA “la determinazione degli indirizzi gene-rali di gestione”; il sesto comma prevede poi che “in ma-teria di erogazione del credito e di gestione corrente, po-teri possono essere altresì delegati al Direttore generale,ai dirigenti e funzionari, singolarmente o riuniti in comi-tati, nonché ai preposti ed addetti alle dipendenze entrolimiti di importi predeterminati. Le decisioni assunte daidestinatari delle deleghe devono essere portate a cono-scenza del Consiglio secondo le modalità fissate dallostesso Consiglio”. Anche se dalla normativa secondaria,quali delibere e regolamenti, dovesse risultare l’attribu-zione ad altri organismi, quali il direttore generale o ilsettore commerciale, delle competenze relative alla fissa-zione dei tassi, rimane salvo il potere di controllo e vigi-lanza del Consiglio d’amministrazione degli istituti dicredito in funzione di garanzia, quest’ultimo non delega-bile. Corollario di tale affermazione, anche in mancanzadi deleghe in materia di remunerazione del credito, è lariconducibilità agli stessi presidenti della condotta usura-ria in quanto ad essi riferibile sotto il profilo oggettivo,quantomeno sotto il profilo del mancato controllo.Sotto il profilo soggettivo, invece, la Corte di appello ri-teneva mancare, in capo ai predetti imputati, la cono-scenza e l’intenzione di praticare tassi usurari alle impre-se del gruppo De Masi, rilevando come i comportamentidei predetti imputati fossero, comunque connotati da ne-gligenza e rientranti quindi nell’alveo del parametro psi-cologico della colpa, non punibili ai sensi dell’art. 644c.p., adottando la diversa formula assolutoria “perché ilfatto non costituisce reato”.Entrambe le soluzioni vengono contestate dall’accusache rileva l’omessa individuazione dell’elemento sogget-tivo del reato di usura, nei confronti dei predetti imputa-ti, sotto il profilo del dolo eventuale, avendo comunquegli imputati accertato il rischio del verificarsi dell’evento,dovendo essere, nelle loro qualità di organi apicali dellebanche, al corrente delle questioni di maggiore rilevanzaattinenti all’attività d’impresa e, tra queste, quella sullaremunerazione del denaro oggetto delle operazioni in cuisi concretizza l’esercizio del credito, non potendo il tito-lare di una posizione di garanzia declinare gli obblighi dicontrollo e di vigilanza che la legge pone a suo carico. Ri-levava, inoltre, la mancanza di deleghe validamente con-ferita, evidenziando, comunque, che anche in tal caso, ipresidenti dei rispettivi consigli di amministrazione nonsi sarebbero potuti considerare esonerati dal dovere di vi-

gilare sul corretto esercizio dei poteri delegati dovendocontrollare che la gestione dell’attività di esercizio delcredito fosse conforme alla legge e non usuraria.Rileva questa Corte che i presidenti dei consigli di am-ministrazione delle banche interessate non possono invo-care l’inevitabilità dell’errore sulla legge penale l’art. 5c.p.) svolgendo attività in uno specifico settore rispetto alquale gli organi di vertice hanno il dovere di informarsicon diligenza sulla normativa esistente, essendo loro at-tribuiti, dai relativi statuti, poteri in materia di erogazio-ne del credito, rientranti nell’ambito dei più generali po-teri di indirizzo dell’impresa, sussistendo in capo agli stes-si una posizione di garanzia essendo gli interessi protettidalla norma incriminatrice soggetti alla sfera d’azione e dipotenziale controllo dei presidenti e legali rappresentan-ti dei tre istituti di credito.La specifica competenza degli imputati che connota o de-ve, comunque, connotare gli organi di vertice della ban-ca, consente di individuare negli stessi i garanti primaridella corretta osservanza delle disposizioni di legge in te-ma di usura, indipendentemente dalla suddivisione deicompiti ali1 interno dell’istituto che non esonera i verti-ci dall’obbligo di vigilanza e controllo della osservanzadelle disposizioni di leggi, segnatamente in tema di supe-ramento del tasso soglia.A seguito della riforma societaria (L. 3 ottobre 2001, n.366 e D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6) è possibile, infatti, lastruttura delle società e quindi anche degli istituti banca-ri, in base a un modello c.d. dualistico con la possibilità diattribuzione diretta, senza quindi delega da parte dell’or-gano apicale, ad altri organismi, quali ad esempio i comi-tati direttivi o i comitati centrali, con compiti di gestionesottratti alla sfera di ingerenza del consiglio di ammini-strazione e del suo presidente.Tuttavia, il mancato controllo e vigilanza su specifichequestioni concernenti l’erogazione del credito, quali ladeterminazione del tasso di usura, rientrando tra le fun-zioni specifiche delle banche, sono ricompresi nell’alveodi competenza degli organi di vertice, indipendentemen-te dal decentramento di tali funzioni a altri organismisottordinati e interni alla banca, con possibilità di affer-mare, in caso di omissione di controllo, in quest’ultimocaso, quantomeno la corresponsabilità, sotto il profilo pe-nale di tali organi verticistici, ricadendo tale omissionenella sfera di azione dell’art. 40 c.p., comma 2, secondocui “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridicodi impedire, equivale a cagionarlo”.È attribuibile ai presidenti degli istituti bancari e dei rela-tivi consigli di amministrazione una c.d. “posizione di ga-ranzia”, in quanto la formale rappresentanza dell’istitutobancario, se non accompagnata da poteri di decisione ogestione operativa, appare totalmente priva di significatonell’ottica della tutela di interessi che ricevono protezio-ne penale. Si deve quindi affermare che i presidenti dellebanche, quali persone fisiche, siano garanti agli effetti pe-nali, cioè tenuti a rendere operativa una posizione di ga-ranzia, che, in ultima analisi, fa capo all’ente, centrod’imputazione dell’attività di erogazione del creditonell’ambito della quale ben può essere ravvisata la viola-

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zione del precetto penale anche in capo ai predetti orga-ni. Tale rilievo è valido anche nel caso in cui non risulti-no attribuite, dalla legge o dagli statuti dei singoli enti,specifiche attribuzioni ad altro organo, senza possibilitàdi interferenze da parte di altri organismi, ancorché postiin posizione apicale rispetto all’organo subordinato com-petente per determinate materie, in un’ottica monistica,in cui anche la gestione operativa dell’istituto spetta alconsiglio di amministrazione.Anche nel caso in cui, in base a norme statutarie, l’azien-da sia stata suddivisa in distinti settori e servizi, così comeavviene solitamente nelle banche di notevoli dimensionicon l’istituzione di una direzione generale a cui vengonoaffidati specifici compiti, e a cui siano stati preposti sog-getti qualificati idonei, con poteri e autonomia per la ge-stione di determinati affari, può ravvisarsi una responsa-bilità penale nei confronti del presidente del consiglio diamministrazione o dei suoi componenti, in virtù dei po-teri di indirizzo e coordimento e, più in generale “di ga-ranzia”, a tutela dell’osservanza delle norme di legge.Gli istituti di credito di rilievo nazionale sono general-mente strutturati in base a una complessa organizzazioneamministrativa e funzionale con una suddivisione dicompiti essendo demandati solitamente agli organi divertice funzioni di rappresentanza generale (generalmen-te in capo al presidente), di governance strategica (in ca-po al consiglio d’amministrazione) e controllo (in capo alcollegio dei revisori).Gli organi centrali sovente sono strutturati in un sottosi-stema che, a sua volta, comprende direzione generale edirezioni centrali con compiti gestionali e operativi e va-rie gestioni periferiche, così come solitamente avvieneper l’erogazione del credito e la determinazione dei rela-tivi tassi. È compito degli organi apicali vigilare e impe-dire che venga superato il tasso soglia, mentre l’applica-zione delle relative condizioni può essere demandata agliorgani gestionali, non potendo essere del tutto rigida, es-sendo connessa all’andamento dei mercati, mentre rara-mente è personalizzata in relazione alle caratteristiche edesigenze del singolo cliente.In tal caso è ravvisabile in capo al presidente o al consi-glio di amministrazione un potere di controllo gestionalesull’attività della direzione generale o centrale commer-ciale con specifico riferimento alla determinazione deitassi di interesse, anche se a termini statutari tali i orga-nismi sottordinati abbiano autonomia gestionale operati-va, con conseguente responsabilità penale concorrentedegli organi apicali ove venga superato il tasso soglia de-gli interessi in ordine alla erogazione del credito allaclientela.Non rileva, pertanto, con riferimento alla posizione di M.D.G.M., Presidente del consiglio di amministrazione del-la Banca Antonveneta, di non essere titolare di funzionioperative e gestionali, affidate in via esclusiva al vicepre-sidente e al direttore generale, essendo affidata a que-st’ultimo la determinazione dei tassi di interesse e, più ingenerale delle condizioni applicate alla clientela.Analoghe considerazioni valgono per G.C., presidentedella Banca di Roma, non rilevando, quindi, se la struttu-

ra della gestione del credito e la determinazione dei tassie delle condizioni fossero di competenza dell’aria com-merciale, con limitazione dei poteri del presidente sola-mente a quelli statutariamente previsti in rappresentan-za, senza poteri operativi gestionali. Simile è la posizionedi A.L., presidente della Bnl, non potendo attribuirsi va-lore, ai fini della responsabilità, alla circostanza che lostesso svolgesse funzioni gestionali e operative, senza al-cuna competenza, né della figura apicale, né del consigliod’amministrazione, in materia di tassi e condizioni appli-cate alla clientela, essendo, anche con riferimento a talecompito, competente la direzione commerciale.In mancanza di specifiche attribuzioni agli organi di ver-tice delle banche, nessuna delega era necessaria per attri-buire alla direzione generale o centrale della stessa lacompetenza a determinare le condizioni da applicare allaclientela e, quindi, anche i relativi tassi soglia, trattando-si di competenze autonomamente attribuite dallo statutoo da altre norme regolamentari a tali organi sottordinati.Tali norme statutarie, tuttavia, non esonerano, come giàevidenziato, i Presidenti delle Banche dal controllo ge-stionale generale relativo alla determinazione del tassosoglia e dalla responsabilità, sia penale sia civile connes-sa al suo superamento, anche se non hanno concreta-mente partecipato alla determinazione dei tassi di inte-resse con riferimento ai singoli clienti.Non è scusabile, in linea di principio, da parte di un isti-tuto di credito, l’errore riferibile al calcolo dell’ammonta-re degli interessi usurari trattandosi di interpretazioneche, oltre ad essere nota all’ambiente bancario, non pre-senta in sé particolari difficoltà.Tale dovere è particolarmente rigoroso nei confronti de-gli organi di vertice della banca, essendo per costoro par-ticolarmente accentuato il dovere di informazione sullalegislazione in materia, esistendo sempre un obbligo in-combente su chi svolge attività in un determinato setto-re di informarsi con molta diligenza sulla normativa esi-stente e, nel caso di dubbio, di astenersi dal porre in esse-re la condotta.Invece la scusabilità dell’ignoranza e l’inevitabilità del-l’errore va riconosciuta ogniqualvolta l’errore sia statooriginato da un comportamento positivo degli organi am-ministrativi o da un complessivo pacifico orientamentogiurisprudenziale da cui l’agente abbia tratto il convinci-mento della correttezza della interpretazione e, conse-guentemente della liceità del comportamento futuro inforza della sentenza n. 364 del 1988 della Corte Costitu-zionale) (cfr per tale orientamento, Sez. 4, Sentenza n.32069 del 15/07/2010 Cc. (dep. 18/08/2010) Rv.248339).La Consulta, con la sentenza 24 marzo 1988 n. 364 e conla successiva sentenza 22 aprile 1992 n. 185, ha attribui-to rilevanza alla sola “ignoranza inevitabile” della leggepenale (art. 5 c.p.). A tal fine, come già puntualizzatodalle Sezioni unite (sentenza 10 giugno 1994, Calzetta),per stabilirne i presupposti e i limiti, deve ritenersi cheper il comune cittadino l’inevitabilità dell’errore va rico-nosciuta in tutte le occasioni in cui l’agente abbia assol-to, con il criterio della normale diligenza, al cosiddetto

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“dovere di informazione”, attraverso l’espletamento diqualsiasi utile accertamento per conseguire la conoscenzadella legislazione vigente in materia. Invece, per tutti co-loro che svolgono professionalmente una determinata at-tività, tale dovere è particolarmente rigoroso, incomben-do su di essi, in ragione appunto della loro posizione, unobbligo di informarsi con tutta la diligenza possibile e es-si rispondono dell’illecito anche alla stregua della culpalevis; in questa seconda situazione, occorre cioè, ai finidella scusabilità dell’ignoranza, che da un comportamen-to positivo degli organi amministrativi o da un comples-sivo pacifico orientamento giurisprudenziale l’agente ab-bia tratto il convincimento della correttezza dell’inter-pretazione normativa e, conseguentemente, della liceitàdel comportamento tenuto (cfr. Sezione 6, 27 giugno2005, Pitruzzello; Sezione 6, 20 maggio 2010, Pinori edaltro).Per l’effetto, venendo al caso di specie, va riconosciuta lapretesa buona fede nei confronti degli organi apicali del-le banche, in forza delle circolari della Banca d’Italia edei Decreti ministeriali dell’epoca che non comprende-vano la CMS nel calcolo del tasso soglia usurario e da unaconsolidata giurisprudenza di merito, previgente ai fattidi causa, che escludeva nell’atteggiamento delle banchealcuna ipotesi di reato, assolvendo gli operatori bancari aogni livello o non ravvisando gli estremi per iniziarel’azione penale. In particolare la circolare della Bancad’Italia del 30.9.1996, aggiornata al dicembre 2002 e invigore fino al secondo trimestre 2009 (trattamento deglionere e delle spese), prevede, tra l’altro, al punto C5, chela commissione di massimo scoperto non entrava nel cal-colo del TEG, venendo rilevata separatamente, espressain termini percentuali.Tale metodologia per il calcolo del TEG applicata dallaBanca d’Italia, fin dalla prima rilevazione, è stata posta afondamento dei decreti ministeriali nei quali è contenu-ta la rilevazione trimestrale del tasso effettivo globale me-dio in base al quale è stabilito il limite previsto dall’art.644 c.p., comma 3, oltre il quale gli interessi sono sempreusurari, ai sensi della L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 2, com-ma 1.Fin dal primo decreto Ministeriale (D.M. 22 marzo 1997)il Ministro del Tesoro determinava la tabella dei tassi diinteresse effettivi globali medi, precisando che “i tassinon sono comprensivi della commissione di massimoscoperto eventualmente applicata”.Solamente col D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 2 bis,comma 1, convertito nella L. 28 gennaio 2009, n. 2 siprevede che “le commissioni ... comunque denominate ...sono comunque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’art.1815 c.c., dell’art. 644 c.p. e della L. 7 marzo 1996, n.108, artt. 2 e 3”. La Banca d’Italia solo nell’agosto 2009,in applicazione di tale nuova normativa ha emanato lenuove istruzioni per la rilevazione dei tassi globali medi aisensi della legge sull’usura, ricomprendendo nel calcolodelle varie voci la commissione di massimo scoperto, cor-reggendo una prassi amministrativa difforme.Soltanto l’incertezza derivante da contrastanti orienta-menti giurisprudenziali, e, in particolare, della giurispru-

denza di legittimità, nell’interpretazione e nell’applica-zione di una norma con riferimento all’epoca dei fatti,non abilita da sola ad invocare la condizione soggettivad’ignoranza inevitabile della legge penale, in quanto il ra-gionevole dubbio sulla liceità o meno deve indurre il sog-getto ad un atteggiamento più attento, fino cioè, secondoquanto emerge dalla sentenza 364/1988 della Corte Co-stituzionale, all’astensione dall’azione se, nonostante tut-te le informazioni assunte, permanga l’incertezza sulla li-ceità o meno dell’azione stessa, dato che il dubbio, nonessendo equiparabile allo stato d’inevitabile ed invincibi-le ignoranza, è inidoneo ad escludere la consapevolezzadell’illiceità (cfr. in tal senso Sez. 6, Sentenza n. 6175 del27/03/1996 Ud. (dep. 27/05/1995) Rv. 201518.Nel caso di specie, invece, in mancanza di un orienta-mento giurisprudenziale di legittimità, sia civile che pe-nale, all’epoca, che ritenesse illecita tale prassi bancaria,sviluppatosi poi successivamente, nessuna censura dimancanza di doverosa prudenza può essere posta a caricodei Presidenti delle banche e, in base a tale duplice valu-tazione, non può ritenersi violato il dovere di diligenzanella ricostruzione dei criteri applicabili ai fini della indi-viduazione del tasso soglia a carico degli organi di verticidegli istituti bancari.Devono, quindi, ritenersi mancare, stante le vicende ri-chiamate a fondamento della buona fede dei ricorrenti,profili di colpa incompatibili con la pronuncia liberato-ria.OmissisVa, quindi, confermata, sia pure con diversa motivazione,previo rigetto di tutti i ricorsi, l’impugnata sentenza cheha assolto M.D.G.M., G.C. e A.L. dei reati rispettiva-mente loro contestati per non aver commesso il fatto.Tuttavia, una volta accertata la sussistenza del fatto reatosotto il profilo oggettivo da parte degli istituto di credito,trattandosi comunque di illecito avente rilevanza civili-stica, non rileva, ai fini risarcitori, che non sia stato ac-certato il responsabile penale della condotta illecita, inquanto l’azione, risarcitoria civile ben potrà essere esple-tata nei confronti degli istituti i interessati che rispondo-no, comunque, ex art. 1118 e 1228 c.c., del fatto dei pro-pri dipendenti.Il rilievo della personalità della attività bancaria sbiadi-sce mentre emerge il ruolo preponderante svolto dallacorretta proceduralizzazione di un’attività collettiva, co-munque imputabile all’istituto. Su questa base la respon-sabilità della banca sussiste per il solo fatto che il dannoingiusto si è verificato per una condotta comunque allastessa imputabile, dovendosi limitare l’apprezzamentodella condotta dolosa o colposa (poco importa tale di-stinzione ai fini civilistici), alla comparazione tra stan-dards normativi - come nella fattispecie in cui viene in ri-lievo la violazione dell’art. 644 c.p., comma 4, - situazio-ne concreta, idonea a far ricadere sulla banca anche il ri-schio dei c.d. “danni anonimi”, cioè di cui non sia statoindividuato il responsabile. Al rigetto dei ricorsi segue lacondanna delle parti civili e degli imputati al pagamentodelle spese processuali.Omissis.

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La rilevanza della commissione di massimo

scoperto ai fini della consumazione

del reato di usura bancaria da parte

dei funzionari e dei rappresentanti legali

degli istituti di credito

La Corte di cassazione è stata chiamata a pronun-ciarsi sulla responsabilità penale dei rappresentantilegali e dei direttori di filiale (e/o funzionari respon-sabili) degli istituti di credito Banca Antoniana Ve-neta, Banca di Roma e BNL per il reato di concorsoin usura aggravata ex art. 644, comma 5, n. 1, c.p.(1), perché praticata nell’ambito dell’attività banca-ria .La Procura ha contestato il superamento del tassosoglia avvenuto applicando scorrettamente la com-missione di massimo scoperto (da ora CMS) (2), at-traverso una interpretazione strumentale della circo-lare della Banca d’Italia del 30 settembre 1996 e del-le successive, che non tenevano conto della CMS aifini del calcolo del tasso annuo effettivo globale (daora TAEG) in concreto praticato (3).La questione è nota ed era già stata più volte af-frontata dalla Corte di Cassazione la quale, supe-rando un precedente orientamento, ha affermatoche in tema di usura, ai fini della valutazione del-l’eventuale carattere usurario del TAEG praticatoda un istituto di credito, deve tenersi conto anchedella CMS (4): ciò in quanto l’art. 644, comma 4,c.p., stabilisce che «per la determinazione del tassodi interesse usurario si tiene conto delle commis-sioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese,escluse quelle per imposte e tasse, collegate allaerogazione del credito». La disposizione trascrittasancisce il principio della onnicomprensività dellanozione di interesse (5) e mira ad evitare l’aggira-

mento della previsione penale e quindi la sua so-stanziale vanificazione attraverso l’applicazione di

Il commentodi Mirko Piloni (*)

La sentenza in epigrafe conferma che in forza dell’art. 644, comma 4, c.p., la commissione di massimo sco-perto deve essere tenuta in considerazione quale fattore potenzialmente produttivo di usura, anche per i rap-porti antecedenti all’introduzione dell’art. 2-bis d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito con la l. 28 genna-io 2009, n. 2. Due sono i punti centrali della decisione: il primo è costituito dall’individuazione di una posizio-ne di garanzia in capo ai rappresentanti legali delle banche, da cui discendono rilevanti doveri di vigilanza econtrollo in materia di determinazione dei tassi di interesse, con conseguente responsabilità penale dei ver-tici degli istituti di credito nel caso di superamento delle soglie di legge antiusura stabilite dai decreti del Mi-nistro del Tesoro; il secondo attiene al riconoscimento di uno stato di buona fede verso gli stessi rappresen-tanti legali ai sensi dell’art. 5 c.p., come autorevolmente interpretato dalla giurisprudenza costituzionale e dilegittimità, in forza delle circolari della Banca d’Italia che all’epoca dei fatti non comprendevano la CMS nelcalcolo del tasso soglia, nonché alla luce di una consolidata giurisprudenza di merito, previgente ai fatti dicausa, che escludeva nell’atteggiamento delle banche alcuna ipotesi di reato.

Note:

(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valu-tazione di un referee.

(1) Si tratta di ipotesi aggravata che postula il collegamento ne-cessario tra l’attività professionale e quella usuraria (Pisa, La l. 7marzo 1996, n. 108. Il commento, in questa Rivista, 1996, 414).Il delitto è aggravato se commesso nell’esercizio di un’attivitàprofessionale, bancaria o di intermediazione mobiliare, cioèquando si realizzi nell’ambito di un rapporto stabilitosi, nello svol-gimento di tali attività, tra il soggetto qualificato ed il soggettopassivo, tale da agevolare la conclusione della pattuizione usu-raria; è perciò applicabile anche quando l’attività sia svolta abu-sivamente (Melchionda, Le nuove fattispecie di usura. Il sis-tema delle circostanze, in RTDPE, 1997, 710); non ricorre tutta-via l’aggravante nelle ipotesi in cui si riscontri una relazione oc-casionale, occorrendo che il soggetto passivo sia comunque uncliente del professionista (Cristiani, Guida alle nuove norme sul-l’usura, Torino, 1996, 47; Manna, La nuova legge sull’usura, To-rino, 1997, 100).

(2) Sulla definizione di CMS Cass., Sez. II, 14 maggio 2010, n.28743 in Ced Cass., 247860, secondo cui, in base a quanto sta-bilito dalle circolari della Banca d’Italia, «tale commissione nellatecnica bancaria viene definita come il corrispettivo pagato dalcliente per compensare l’intermediario dell’onere di dover esse-re sempre in grado di fronteggiare una rapida espansione nel-l’utilizzo dello scoperto del conto».

(3) Sulla determinazione dei tassi usurari tramite decreto mini-steriale la Corte di cassazione ha escluso la violazione del princi-pio della riserva di legge in quanto la legge indica in modo analiti-co il procedimento da seguire per calcolare i tassi soglia, affidan-do al Ministro del Tesoro solo il limitato compito di ‘‘fotografare’’l’andamento dei tassi finanziari, secondo rigorosi criteri tecnici(Cass., Sez. II, 18 marzo 2003, n. 20148 in Ced Cass., 226037).

(4) Cfr. Cass., Sez. II, 14 maggio 2010, n. 28743, in Ced Cass.,247860, nonché Cass., Sez. II, 19 febbraio 2010, n. 12028, inCed Cass., 246729. Sul punto v. altresì Cass., Sez., II 26 no-vembre 2008, n. 8551, in pluris-cedam.utetgiuridica.it che, se-condo la decisione in commento, esprimerebbe l’orientamentocontrario e superato.

(5) Cfr. Trib. Trieste, 20 marzo 2007, in Corr. mer., 2007, 1046,secondo cui ai fini della norma in questione occorre considerareanche le c.d. spese di tenuta conto.

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spese varie diverse da quanto dovuto a titolo di in-teresse (6). Tuttavia, prima che la Suprema Corte affermasse lapossibile configurabilità del reato di cui all’art. 644c.p. in ragione dell’applicazione della CMS, la Ban-ca d’Italia, come sopra accennato, si era mossa insenso diametralmente opposto con numerose circo-lari emanate sin dal 1996 (7) (anno in cui è stato ri-formato l’art. 644 c.p.): emergevano quindi conclu-sioni discordanti tra quanto affermato dalla giuri-sprudenza e quanto stabilito nella normativa secon-daria della Banca d’Italia.Per eliminare ogni dubbio sulla questione, il legisla-tore è intervenuto in modo più puntuale attraversol’art. 2-bis, d.l. 29 novembre 2008, n. 185, converti-to in l. 28 gennaio 2009, n. 2, il cui comma 2 preci-sa che «gli interessi, le commissioni, le provvigioniderivanti dalle clausole, comunque denominate,che prevedono una remunerazione, a favore dellabanca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizza-zione dei fondi da parte del cliente (…) sono co-munque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’art.1815 c.c., dell’art. 644 c.p. e della l. 7 marzo 1996 n.108, artt. 2 e 3». Detta disposizione, tuttavia, deve ritenersi interpre-tativa (8) e non innovativa sulla scorta del perento-rio dettato di cui all’art. 644, comma 4, c.p.: dunquenon può costituire utile argomento per asserire chele condotte antecedenti, come quelle valutate nelprocesso conclusosi con la sentenza in commento,risultino prive di rilievo penale. Inoltre, la pronuncia della Cassazione in questa se-de esaminata ha precisato che le recenti disposizio-ni contenute nel d.l. 13 maggio 2011, n. 70 (conv.in l. 7 luglio 2011, n. 106 - “decreto sviluppo”) (9),pur prevedendo una modifica per le aperture dicredito in c/c a vantaggio degli istituti di credito,non hanno effetto retroattivo ai sensi dell’art. 2c.p. in relazione ai tassi soglia precedentementeprevisti: infatti, da dette disposizioni non è dato ri-cavare alcuna modifica della norma penale incri-minatrice (10).In sostanza, né l’art. 2-bis, d.l. 29 novembre 2008, n.185, convertito in l. 28 gennaio 2009 né il d.l. 13maggio 2011, n. 70, convertito in l. 7 luglio 2011, n.106 (c.d. decreto sviluppo), hanno inciso sulla deci-sione della Corte di cassazione in questa sede com-mentata.L’aspetto peculiare del caso esposto riguarda invece isoggetti chiamati a rispondere penalmente per lascorretta applicazione della CMS: sono infatti stateelevate imputazioni per usura bancaria non soltantoverso i direttori di filiali e/o funzionari responsabili

ma anche nei confronti dei rappresentanti legali diistituti bancari di rilievo nazionale.Preliminarmente, va precisato che in tutti i gradi digiudizio si è esclusa la responsabilità dei direttori difiliali e dei funzionari responsabili perché “il fattonon sussiste”. Chi ricopriva detti ruoli, infatti, nonaveva alcuna potestà di intervenire sull’entità deitassi, anche in considerazione della informatizzazio-ne a livello centrale della procedura dei tassi mede-simi. D’altro canto, neppure si poteva esigere chegli stessi non procedessero alla stipulazione dei con-tratti di finanziamento con i privati, ponendosi incontrasto con l’attività precipua dell’intermediariobancario che consiste nell’allocazione del rispar-mio.Ben più complessa è risultata invece la posizione deirappresentanti legali: la sentenza in commento siapprezza per l’approfondimento dei distinti aspettidell’elemento oggettivo e dell’elemento soggettivodel reato.

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Note:

(6) L’art. 644 c.p. è una norma parzialmente in bianco nella qualela determinazione concreta del tasso usurario viene demandataagli organi amministrativi, all’esito di una procedura attraverso laquale vengono determinati i Tassi Effettivi Globali Medi per ognicategoria di operazioni omogenee (v. infra nota 10); così Cass.,Sez. II, 19 febbraio 2010, n. 12028, cit.

(7) V. in particolare la circolare della Banca d’Italia del 30 settem-bre 1996 e le successive.

(8) Cfr. Cass., Sez. II, 19 febbraio 2010, n. 12028, cit. secondocui «la disposizione in parola, per quel che interessa in questasede, può essere considerata norma di interpretazione autenticadell’art. 644 c.p., comma 4, in quanto puntualizza cosa rientra nelcalcolo degli oneri ivi indicati, correggendo una prassi ammini-strativa difforme».

(9) Come è noto l’art. 644, comma 3, c.p., afferma: «la legge sta-bilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari». Adare attuazione alla previsione codicistica provvede l’art. 2, com-ma 4, l. 7 marzo 1996, n. 108. Al comma 5, lett. d), del citato d.l.n. 70 del 2011 è prevista una modifica dell’art. 2, comma 4, l. 7marzo 1996, n. 108, in base alla quale, per individuare il limite deltasso oltre il quale si realizza l’usura, il tasso medio riscontratonell’ultima rilevazione trimestrale pubblicata in Gazzetta Ufficialedeve essere «aumentato di un quarto, cui si aggiunge un margi-ne di ulteriori quattro punti percentuali. La differenza tra il limitee il tasso medio non può essere superiore a otto punti percen-tuali».

(10) Nell’ambito del controverso tema della successione tra nor-me integratrici la sentenza in commento cita Cass., Sez. III, 16ottobre 2007, n. 43829, in Ced Cass., 238262, secondo cui«l’istituto della successione delle leggi penali (art. 2 cod. pen. ) ri-guarda la successione nel tempo delle norme incriminatrici», trale quali non rientrano «le vicende successorie di norme extrape-nali che non integrano la fattispecie incriminatrice né quelle di at-ti o fatti amministrativi che, pur influendo sulla punibilità o menodi determinate condotte, non implicano una modifica della di-sposizione sanzionatoria penale, che resta pertanto immutata equindi in vigore». Per una valutazione generale della questioneGatta, Abolitio criminis e successione di norme “integratrici”:teoria e prassi, Milano, 2008, 82 ss. e 749 ss.

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L’elemento oggettivo del reato commessodai rappresentanti legali

Secondo le tesi difensive, sposate anche dal giudicedi primo grado, i rappresentanti legali degli istitutidi credito non erano in condizione di commettere ilreato contestato in quanto ogni decisione sui tassi diinteresse doveva ritenersi estranea ai compiti e aipoteri agli stessi riconosciuti. In particolare, venivaaffermato che le disposizioni di vigilanza in materiadi organizzazione e governo societario degli istitutidi credito, gli statuti delle banche nonché le normeinterne escludevano ogni possibile coinvolgimentodei rappresentanti legali (e del consiglio di ammini-strazione da questi presieduto) nella determinazionee nel controllo dei tassi di interesse applicati allaclientela; la gestione dei rapporti bancari, e quindianche ogni decisione sui tassi di interesse, costituivafunzione espressamente conferita alla direzione ge-nerale dei vari istituti di credito.La sussistenza del reato sul piano oggettivo commes-so dai rappresentanti legali delle banche è stata in-vece affermata dalla sentenza della Corte d’Appellodi Reggio Calabria, con successiva conferma dellaCorte di cassazione. Senza dubbio interessanti sonole argomentazioni utilizzate a sostegno dell’assunto.È stata innanzitutto riconosciuta una posizione digaranzia (11) nei confronti dei rappresentanti legalidegli istituti di credito, poiché gli interessi protettidalla norma incriminatrice sono soggetti alla sferad’azione e di controllo degli stessi vertici apicali, co-me del resto si evinceva anche dalla lettura dei rela-tivi statuti: segnatamente, venivano attribuiti alconsiglio di amministrazione, presieduto dai rappre-sentanti legali, tutti i poteri di ordinaria e straordi-naria amministrazione, nonché il compito di deter-minare gli indirizzi generali di gestione. Corollario di tale affermazione è la riconducibilitàagli stessi rappresentanti legali della condotta usurariapoiché agli stessi riferibile sotto il profilo oggettivo,quanto meno sul crinale del mancato controllo.Secondo la Corte di legittimità, peraltro, il potere divigilanza e controllo sarebbe comunque rimasto in-tegro anche qualora dalla normativa secondaria (de-libere e/o regolamenti) fosse risultata l’attribuzionead altri organismi (es. al direttore generale) dellecompetenze relative alla fissazione dei tassi. In so-stanza, il rilascio di eventuali deleghe (12) per l’eser-cizio di funzioni gestionali, tra cui la fissazione deitassi, non avrebbe esonerato dal potere di vigilanza econtrollo, quest’ultimo mai delegabile (13). Anchetale asserto trovava riscontro negli statuti, ove si leg-geva che le decisioni assunte dai destinatari delle

deleghe dovevano essere portate a conoscenza delconsiglio di amministrazione e quindi dei rappresen-tanti legali. A conclusioni non difformi è giunta la Corte di cas-sazione tenendo conto della riforma societaria ope-rata dalla l. n. 366 del 3 ottobre 2001 e dal d.lgs. n.6 del 17 gennaio 2003. È stato infatti evidenziatoche la struttura societaria degli istituti di credito puòcertamente ricorrere al modello cd. dualistico (14),con possibilità di attribuzione diretta (dunque an-che senza delega da parte dell’organo apicale) ad al-tri organismi di compiti di gestione sottratti alla sfe-ra di ingerenza del consiglio di amministrazione edel suo presidente; tuttavia, i compiti di controllo edi vigilanza su particolari questioni concernentil’erogazione del credito, quali la determinazione deltasso di usura, rientrando tra le funzioni tipiche del-le banche, vanno ricompresi nell’alveo di compe-tenza degli organi di vertice, indipendentemente daldecentramento di tali funzioni ad altri organismisottordinati e interni agli istituti di credito (diretto-re generale, direttore area commerciale ecc.). Neconsegue che, in caso di omesso controllo, ricorrequanto meno la corresponsabilità di tali organi ver-ticistici, rientrando tale omissione nella sfera d’azio-ne dell’art. 40 cpv. c.p. (15) secondo cui «non impe-

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GiurisprudenzaDiritto penale

Note:

(11) Riguardo alle posizioni di garanzia all’interno delle impresePedrazzi, Profili problematici del diritto penale d’impresa, in RT-DPE, 1988, 125 ss. In particolare, secondo l’A., si distinguonodue categorie di posizioni di garanzia: posizioni di garanzia relati-ve all’amministrazione dell’impresa, volte a proteggere beni ri-conducibili alla tutela del patrimonio sociale e dunque ricadentisui vertici dell’impresa; posizioni di garanzia relative alla gestionedell’impresa sociale, volte a controllare fonti di pericolo, dunquericadenti sui vertici dell’impresa ma estese anche alla sottostan-te scala gerarchica.

(12) Sulla delega di funzioni in dottrina si dividono il campo variorientamenti: per un’efficace esposizione dei vari indirizzi si se-gnala Vitarelli, Profili penali della delega di funzioni, Milano,2008. Come è noto, l’istituto della delega di funzioni è stato par-ticolarmente approfondito sia in dottrina che in giurisprudenza inmateria di sicurezza sul lavoro, fino ad arrivare alla previsionenormativa di cui all’art. 16, d.lgs. n. 81 del 2008, come innovatodal d.lgs. n. 106 del 2009. Per una più specifica analisi in tema didiritto penale dell’impresa, cfr. Fiorella, il trasferimento di funzio-ni nel diritto penale dell’impresa, Firenze, 1985, nonché Manna,Corso di diritto penale dell’impresa, Padova, 2010, 34 ss.

(13) In senso contrario Cass., Sez. II, 14 maggio 2010, n. 28743,cit., secondo cui un preciso sistema di deleghe che comportil’attribuzione ad altri soggetti della competenza decisionale inmateria di tassi può escludere la penale responsabilità del dele-gante.

(14) Cfr. Weigmann, Consiglio di gestione e consiglio di sorve-glianza: le prime applicazioni del modello dualistico, in Analisigiuridica dell’economia, 2007, 261.

(15) Per l’applicazione dell’art. 40 cpv. c.p. nell’ambito del dirittosocietario Cass., Sez. V, 4 maggio 2007, n. 23838, in Ced Cass.,

(segue)

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dire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impe-dire, equivale a cagionarlo». Irrilevanti, in questosenso, debbono ritenersi eventuali prescrizioni sta-tutarie che attribuiscano compiti operativi e gestio-nali a soggetti diversi dagli organi apicali, quali adesempio la direzione generale, la direzione dell’areacommerciale od altri.Appare del resto evidente, secondo la Suprema Cor-te, il motivo per cui ai rappresentanti legali degliistituti bancari è riconosciuta una posizione di ga-ranzia: la formale rappresentanza dell’istituto banca-rio, se non affiancata da poteri di decisione o gestio-ne operativa, appare totalmente ingiustificata nel-l’ottica di tutela degli interessi che ricevono prote-zione penale. Al fine di offrire una veste concreta ai concetti espo-sti, la sentenza ha affermato il principio secondo cuiè compito degli organi apicali vigilare e impedireche venga superato il tasso soglia, mentre la decisio-ne sulle condizioni di erogazione del credito può es-sere demandata agli organi gestionali con il rilasciodi deleghe ovvero ricorrendo all’attribuzione diretta(cd. modello dualistico). Stabilita la riconducibilità materiale del fatto ai rap-presentanti legali, la Suprema Corte ha altresì preci-sato che le circolari e le istruzioni della Banca d’Ita-lia in cui, male interpretando la legge penale, si pre-vedeva l’irrilevanza della CMS ai fini della determi-nazione del TAEG non sono idonee ad escludere lasussistenza dell’elemento oggettivo del commessoreato; dette istruzioni, non costituendo una fonte didiritti ed obblighi si traducevano infatti in un aggi-ramento della norma penale (16).

L’elemento soggettivo del reato commessodai rappresentanti legali

Anche per la valutazione dell’elemento soggettivoappare opportuno riportare le diverse ricostruzioniemerse in sede processuale.Secondo la tesi sostenuta dalla Procura Generale,l’elemento soggettivo del reato in capo agli imputa-ti andrebbe individuato nel dolo eventuale (17): se-gnatamente, evitando di informarsi sulla remunera-zione del denaro oggetto delle operazioni bancarie, irappresentanti legali degli istituti di credito avreb-bero accettato il rischio del verificarsi dell’evento.Secondo il Giudice di Appello, invece, in capo agliimputati mancava la coscienza e l’intenzione di pra-ticare tassi usurari: pertanto, pur riscontrando com-portamenti connotati da negligenza, quindi rien-tranti nell’alveo del parametro psicologico della col-pa, veniva adottata la formula assolutoria “perché il

fatto non costituisce reato”, essendo il delitto di usu-ra punito solo a titolo di dolo (18).La Suprema Corte, viceversa, ha categoricamentenegato che a carico degli imputati fossero ravvisabi-li profili di colpa: tuttavia, ha comunque rilevatol’assenza di una penale responsabilità applicando iprincipi dell’ignoranza scusabile e dell’errore inevi-tabile nonché il principio di buona fede, desumibilidall’art. 5 c.p. (19) secondo l’elaborazione della giu-risprudenza costituzionale e di legittimità.

Diritto penale e processo 6/2012 739

GiurisprudenzaDiritto penale

Note:

(continua nota 15)237251: «In tema di reati societari, la previsione di cui art. 2381cod. civ. - introdotta con il d.lgs. n. 6 del 2003 che ha modificatol’art. 2392 cod. civ. - riduce gli oneri e le responsabilità degli am-ministratori privi di delega; tuttavia, l’amministratore (con o sen-za delega) è penalmente responsabile, ex art. art. 40, comma se-condo, cod. pen., per la commissione dell’evento che viene a co-noscere (anche al di fuori dei prestabiliti mezzi informativi) e che,pur potendo, non provvede ad impedire, posto che a tal riguardol’art. 2932 cod. civ., nei limiti della nuova disciplina dell’art. 2381cod. civ., risulta immutato».

(16) V. sul punto anche Trib. Alba, Sez. I, 18 dicembre 2010, inGiur. it., 2011, 4, 860: «A voler intendere diversamente (e quindia volere attribuire alla Banca d’Italia il potere discrezionale di de-cidere quale onere debba essere conteggiato e quale meno), in-fatti, si dovrebbe concludere che la Banca d’Italia svolga non unruolo meramente tecnico nell’ausilio al Ministero del Tesoro nel-l’individuazione del tasso soglia come delineato dal legislatore,ma un ruolo in senso lato politico e paralegislativo, con annessopotere di determinare addirittura quando (con il mutamento del-le istruzioni e con la disciplina transitoria introdotta) la stessacondotta possa essere considerata illecita, il che - anche in con-siderazione del principio di legalità e di riserva di legge che infor-mano la materia penalistica - non è ammissibile».

(17) Prima della riforma penale dell’usura ad opera della l. n. 108del 1996, la giurisprudenza prevalente ha sempre ritenuto chel’art. 644 c.p. fosse punibile solo a titolo di dolo diretto, esclu-dendo così la forma del dolo eventuale (Cass., Sez. II, 12 genna-io 1983, n. 6611, in Ced Cass., 159935; Cass., Sez. II, 21 giugno1983, n. 1789, in Ced Cass., 162875). Dopo la semplificazionenormativa del reato avvenuta per via della citata l. n. 108 del1996 appare possibile ritenere sufficiente il dolo generico, dun-que anche nella forma del dolo eventuale. Sul punto si rinvia aMucciarelli, L.. 7 marzo 1996 N. 108. Disposizioni in materia diusura, in Leg. pen. 1997, 507, nonché a Prosdocimi, La nuova di-sciplina penale del fenomeno usurario, in Studium iuris, 1996,771.

(18) Sull’assenza del dolo, cfr. Cass., Sez. II, 9 giugno 2010, n.24410 (non massimata).

(19) Cfr. Prosdocimi, op. cit., 776, secondo cui l’errore circa itessi medi rilevati trimestralmente riguarda disposizioni ammi-nistrative espressamente chiamate ad integrare il precetto pe-nale, quindi in generale si tratta di errore inescusabile ex art. 5c.p.; contra, Pagliaro, Principi di diritto penale, pt. sp., Milano,2003, III, 429, secondo il quale l’errore sul decreto che fissa ilTEGM sarebbe rilevante ex art. 47 c.p.; in giurisprudenza, cfr.Cass., Sez. VI, 5 febbraio 2003, n. 36346, in Ced Cass., 226911,in base alla quale l’errore riferito al calcolo dell’ammontare degliinteressi usurari è un errore sul precetto non scusabile. Ricorretuttavia l’errore di fatto allorquando si applichino interessi usu-rari non per un’errata percezione della norma bensì per una er-rata percezione della situazione concreta (Prosdocimi, op. cit.,776).

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In linea di principio, il Supremo Collegio ha esclusoche i rappresentanti legali degli istituti di creditopossano invocare l’inevitabilità dell’errore sulla leg-ge penale ex art. 5 c.p. alla stregua di un comune cit-tadino.È noto, infatti, che per il comune cittadino il crite-rio di valutazione sul rispetto del dovere di infor-mazione sulla legge penale risponde al parametrodella “normale diligenza”: ciò significa che l’igno-ranza scusabile e l’inevitabilità dell’errore debbonoessere riconosciute tutte le volte in cui sia statoespletato qualsiasi utile accertamento per conse-guire la conoscenza della legge vigente in materia.Viceversa, ciò non è sufficiente per chi svolge atti-vità professionale in uno specifico settore, specieove ricopra una posizione di garanzia. In tal caso,infatti, l’agente ha il dovere di informarsi “con tut-ta la diligenza possibile” sulla legge penale esisten-te e pertanto risponde a titolo di dolo anche quan-do tale dovere non sia stato osservato per culpa le-vis: per escludere il dolo occorre allora che da uncomportamento positivo degli organi amministra-tivi o da un complessivo pacifico orientamentogiurisprudenziale l’agente abbia tratto il convinci-mento della correttezza dell’interpretazione nor-mativa e, conseguentemente, della liceità del com-portamento tenuto (20). Venendo al caso di specie, la Suprema Corte ha ri-conosciuto la buona fede (21) (inconciliabile coldolo) nei confronti degli organi apicali delle banchesia in forza delle circolari della Banca d’Italia del-l’epoca (su cui si fondavano peraltro anche i decretiministeriali del Ministro del Tesoro) che non com-prendevano la CMS nel calcolo del tasso soglia usu-rario, sia in virtù di una consolidata giurisprudenzadi merito, previgente ai fatti di causa, che escludevanell’atteggiamento delle banche ogni ipotesi di rea-to, assolvendo gli operatori bancari ad ogni livello onon ravvisando gli estremi per l’azione penale. Suquest’ultimo aspetto la sentenza in commento hacolto l’occasione per ribadire che, nel diverso casoin cui si fosse riscontrata incertezza giurisprudenzia-le, il ragionevole dubbio sulla liceità del comporta-mento avrebbe escluso la possibilità di invocare lostato di inevitabile ed invincibile ignoranza. Il dub-bio, infatti, non essendo equiparabile allo stato diinevitabile ed invincibile ignoranza, è inidoneo adescludere la consapevolezza dell’illiceità (22) e im-pone un atteggiamento più cauto, fino all’astensionedall’azione, secondo quanto già autorevolmente af-fermato dalla Corte Costituzionale con la nota sen-tenza n. 364 del 1988.Riguardo all’errata interpretazione della legge pena-

le da parte della Banca d’Italia a mezzo delle circola-ri che non comprendevano la CMS nel calcolo deltasso soglia usurario, si può concludere che dette cir-colari, pur non escludendo la sussistenza del reatosotto il profilo dell’elemento oggettivo, abbianoconsentito alla Suprema Corte, unitamente all’esi-stenza di una giurisprudenza pacificamente assoluto-ria, di riconoscere agli imputati uno stato soggettivodi buona fede incompatibile non solo con la respon-sabilità penale contestata ma anche con qualsivo-glia profilo di colpa ipotizzabile (23).

Profili civili e sanzionatori verso gli istituti di credito

L’accertamento dell’elemento oggettivo del reatonon è privo di conseguenze pratiche sul piano civile.Infatti, una volta riconosciuta la sussistenza del rea-to sotto il profilo obiettivo, non rileva ai fini diun’eventuale azione in sede civile che non sia statoindividuato il responsabile penale della condotta il-lecita: secondo la sentenza in commento, infatti,l’azione risarcitoria ben potrà essere espletata neiconfronti delle banche interessate ai sensi degli artt.1218 e 1228 c.c. per il fatto commesso dai propri di-pendenti. Va tuttavia osservato che le norme in que-stione presuppongono un inadempimento che nelcaso di specie non pare ricorrere; più appropriata sa-rebbe un’azione di ripetizione ex art. 2033 c.c. relati-

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GiurisprudenzaDiritto penale

Note:

(20) Cfr. Cass., Sez. IV, 15 luglio 2010, n. 32069 in Ced Cass.248339; Cass., Sez. VI, 27 giugno 2005, n. 32553, ivi, 231928.

(21) L’efficacia scusante dello stato di buona fede era in originericonosciuta solo nell’ambito delle contravvenzioni: secondo al-cune sentenze lo stato di buona fede avrebbe escluso la co-scienza e volontà del comportamento sanzionato penalmente(es. Cass., 12 febbraio 1981, Moro, in Riv. pen., 1981, 838), se-condo altre tale stato avrebbe fatto venir meno l’elemento psi-cologico del reato (es. Cass., Sez. Un., 7 dicembre 1963, Piolet-ti); l’elemento positivo alla base della buona fede veniva indivi-duato anche in un provvedimento della Pubblica Amministrazio-ne (Cass., Sez. I, 28 febbraio 1972, n. 5386, in Ced Cass.,121738).

(22) Cfr. in tal senso Cass., Sez. VI, 27 marzo 1995, n. 6175, inCed Cass. 201518.

(23) Cfr. Cass., Sez. II, 14 maggio 2010, n. 28743, cit.: «se lasussistenza di un errore di diritto scusabile esclude sempre ildolo in testa all’agente, esonerando il giudice da ogni ulterioreapprofondimento in ordine all’elemento soggettivo del reato,una volta escluso l’errore scusabile, non per questo viene menoil dovere di verificare in concreto la sussistenza dell’elementosoggettivo”. Nel caso di specie si è stabilito che “la minima en-tità dei superamenti del tasso soglia rispetto alle cifre movi-mentate nei conti, la episodicità dei superamenti stessi nel cor-so di rapporti bancari analizzati per un lungo lasso temporale(…) la presenza di normativa secondaria di settore, solo suc-cessivamente rivisitata dalla Banca d’Italia (…) costituiscono in-dici “che depongono per la certa insussistenza dell’elementopsicologico».

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Diritto penale e processo 6/2012 741

GiurisprudenzaDiritto penale

vamente alla porzione di CMS versata in eccesso ri-spetto al tasso soglia.Resta infine da segnalare che, allo stato attuale deldato normativo, non sono irrogabili, neppure inastratto, le sanzioni previste dalla l. n. 231 del 2001.Infatti, il delitto di usura non rientra tra i reati tipiz-zati ai fini della responsabilità degli enti: va tuttaviaevidenziato che la Commissione Greco, istituitapresso il Ministero della Giustizia con d.i. del 23 giu-

gno 2007 al fine di riformare la l. n. 231 del 2001, haproposto di introdurre anche l’usura tra i delitti po-sti a base della responsabilità amministrativa dipen-dente da reato (24).

Nota:

(24) Cfr. Ielo, Commissione Greco: dall’usura alla frode, versouna più ampia responsabilità degli enti, in Guida dir., 2010, 1, 22ss.

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Page 83: LA PRATICA PROCESSO PENALE - units.it

Diritto penale e processo 6/2012 743

GiurisprudenzaDiritto penale

L’ordinamento penale multilivello alla prova del principio di legalità

Sull’applicazione retroattiva di un’interpretazionegiurisprudenziale in favore del reo

Tribunale Torino, ordinanza 30 gennaio 2012 - Giud. Recchione

@ Il testo integrale della sentenza è disponibile su: www.ipsoa.it\dirittopenaleeprocesso

In presenza di interventi della Corte Suprema di Cassazione che effettuino un rovesciamento di un costante e

consolidato pregresso orientamento, con un effetto sostanziale abolitivo di una norma incriminatrice è legit-

tima la revoca della condanna emessa sulla base dei pregressi parametri di legalità materiale.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conformi Cass., Sez. Un., sent. 21 ottobre 2010, n. 18288, in Ced. Cass., 246651; Cass., Sez. Un., sent. 24 feb-braio 2011, n. 16453, ivi, 249546.

Difformi Cass., Sez. I, 23 settembre 2009, n. 44157, Calmus; Cass., Sez. I, 20 gennaio 2010, n. 6343, Wainan;Cass., Sez. I, 20 settembre 2010, n. 37060, Timimouni.

Il commentodi Siro De Flammineis (*)

Il principio della retroattività dell’interpretazione giurisprudenziale più favorevole al reo, adottata sulla base dinorme e principi di matrice europea, e che produce effetti indiretti sui processi anche definiti, impone unalettura anche nel quadro del sistema penale interno.

La questione oggetto del provvedimento

Il tema affrontato dall’Ordinanza in esame è senzaombra di dubbio di notevole interesse poiché con-tiene una proiezione: quella del diritto penale versola modernità e verso un ordinamento integrato conle fonti del diritto europee. Per non ripercorrerel’analisi offerta dal decisum basti evidenziare chel’Ordinanza muove dalle prese di posizione di alcunesentenze della CEDU e della CGCE, che nel ribadi-re alcuni principi fondamentali di matrice europea,incidenti anche sul diritto penale interno in unaprospettiva cioè multilivello, hanno influenzato in

particolare una recente pronuncia delle SSUU dellaCassazione in materia penale: la n. 18288 del 21gennaio 2010 (1).Si afferma infatti in quest’ultima sentenza che «Ilmutamento di giurisprudenza, intervenuto con de-

Note:

(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valu-tazione di un referee.

(1) Si tratta di Cass., sent. n. 18288 del 21 ottobre 2010, in CedCass., 246651. Per un commento, tra gli altri, Macchia, La mo-difica interpretativa cambia il “diritto vivente” e impone di riva-lutare la posizione del condannato, in Guida dir., 2010, 27, 70.

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cisione delle Sezioni unite della Corte di Cassazio-ne, integrando un nuovo elemento di diritto, rendeammissibile la riproposizione, in sede esecutiva,della richiesta di applicazione dell’indulto in prece-denza rigettata. (La Corte ha precisato che tale so-luzione è imposta dalla necessità di garantire il ri-spetto dei diritti fondamentali della persona in li-nea con i principi della Convenzione europea deidiritti dell’uomo, il cui art. 7, come interpretatodalle Corti europee, include nel concetto di legali-tà sia il diritto di produzione legislativa che quellodi derivazione giurisprudenziale)». In altri termini,con questa pronuncia si è ritenuto che un revire-ment giurisprudenziale - in particolare se provenien-te dalle Sezioni Unite della Corte Suprema - sul-l’interpretazione di una fattispecie di reato, qualoracomporti effetti favorevoli per il reo, possa incideresulla situazione processuale del medesimo colpevo-le rendendo ammissibile, ad esempio, una nuova ri-chiesta di indulto prima rigettata ovvero, come siarriva a sostenere invece nell’Ordinanza che sicommenta, consentendo al Giudice di revocare unasentenza di condanna. Il principio così sostenuto sifonda in primis sull’assunto che, non permettendo alreo già condannato di accedere alla nuova opzioneinterpretativa favorevole, si determinerebbe unagrave violazione dei diritti fondamentali della per-sona sanciti dalle Convenzioni europee cui lo Statoitaliano è chiamato a conformarsi ed, in particolare,una violazione dell’art. 7 § 1 della CEDU (2). Inol-tre, il secondo principale argomento tecnico che siè adottato per sostenere la citata soluzione interpre-tativa, riguarda l’estensione del principio di retroat-tività della legge penale mitior che costituisce, se-condo le più recenti pronunce della Corte europeadei diritti dell’uomo, un decisivo baluardo della tu-tela dei diritti fondamentali; secondo la CEDU, in-fatti, l’art. 7 § 1 della Convenzione non sancisce so-lo il principio della irretroattività delle leggi penalipiù severe, ma anche, e implicitamente, il principiodella retroattività della legge penale meno severaed inoltre: «la nozione di “diritto” (“law”) utilizzatanell’articolo 7 corrisponde a quella di “legge” checompare in altri articoli della Convenzione; essacomprende il diritto di origine sia legislativa chegiurisprudenziale ed implica delle condizioni quali-tative, tra cui quella dell’accessibilità e della preve-dibilità», e ancora «è solidamente stabilito nellatradizione giuridica degli Stati parte alla Conven-zione che la giurisprudenza, in quanto fonte di dirit-to, contribuisce necessariamente all’evoluzioneprogressiva del diritto penale» (3). Il passaggio logi-co operato dagli interpreti della Corte Suprema e

nell’Ordinanza in commento, aderente ed imme-diatamente conseguente agli enunciati della CE-DU, produce il seguente risultato: il principio di re-troattività in favorem rei anche nel diritto penaleitaliano non riguarda solo i mutamenti legislativi(lex penalis mitior) ma anche gli overrulling giurispru-denziali; sicché anche i nuovi orientamenti inter-pretativi su una norma penale più favorevoli al reoproducono effetti retroattivi perché, secondo i ca-noni europei, per “legge” penale deve intendersi insenso lato “diritto” penale e, dunque, anche il dirit-to vivente formato dalla giurisprudenza. Duplice, quindi, il postulato posto a fondamento delprincipio interpretativo adottato: da un lato l’appar-tenenza al nostro ordinamento del principio di re-troattività della norma penale più favorevole; dal-l’altro l’idea per cui l’operatività di questo principioriguarda anche le pronunce giurisprudenziali che,pertanto, vengono pienamente equiparate alla leggein senso stretto all’interno del canone della legalitàche permea il diritto penale.Rispetto a questo duplice postulato è possibile (e ne-cessario) svolgere alcune riflessioni, analizzando ipassaggi logico-argomentativi che hanno indotto lagiurisprudenza a condividerne il contenuto, nel ten-tativo di comprendere se e fino a che punto le spin-te innovative del moderno diritto penale europeopossano “sbrindellare” gli addentellati dell’ordina-mento interno.

Osservazioni critiche

Innanzitutto, è bene ricordare che il tema oggettodell’Ordinanza concerne l’aspetto della modifiche -

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GiurisprudenzaDiritto penale

Note:

(2) Le suddette conclusioni valgono, a maggior ragione, per ilmutamento giurisprudenziale in malam partem. Si segnala, alriguardo, che recentemente Sez. Un., sent. del 25 giugno 2009n. 38691, Caruso, in Ced Cass., 244191, ha affermato che: «l’ob-bligo del giudice di interpretare il diritto nazionale conformemen-te al contenuto delle decisioni quadro adottate nell’ambito del ti-tolo VI del Trattato sull’Unione europea non può legittimare l’in-tegrazione della norma penale interna quando una simile opera-zione si traduca in una interpretazione in “malam partem”. (Inapplicazione di tale principio, la Corte ha escluso che la disciplinain tema di confisca contenuta nella decisione-quadro del Consi-glio dell’Unione Europea 2005/212/GAI del 24 febbraio 2005possa essere utilizzata per estendere la confisca per equivalentedi cui all’art. 322-ter primo comma cod. pen. anche al profitto delreato)».

(3) Cfr. CEDU, sent. del 17 settembre 2009, caso Scoppola con-tro Italia, (ric. n. 10249/03), § 109. Su tale sentenza cfr. ex mul-tis, nella dottrina italiana, Gambardella, Il “caso Scoppola”: per laCorte europea l’art. 7 CEDU garantisce anche il principio di re-troattività della legge penale più favorevole, in Cass. pen., 2010,2020 ss.; e, in senso critico, Pecorella, Il caso Scoppola davantialla Corte di Strasburgo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, 397 ss.

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in senso lato - del diritto penale sostanziale che ge-nerano effetti processuali e non il contrario. Nontanto o non solo, cioè, l’in sé della questione si in-centra sulle problematiche relative alle preclusioniprocessuali del giudicato penale - anche cautelare edesecutivo - sulle cui possibilità di superamento, inragione della tutela dei diritti fondamentali dell’uo-mo, si sono espresse in più occasioni la CGCE (4), laCorte Suprema di Cassazione (anche in senso con-trario) (5) e la Corte Costituzionale (6) e su cui, daultimo, si sono pronunciate, sancendo come visto lasuperabilità del giudicato esecutivo, le Sezioni Uni-te con la citata sent. n. 18288 del 2010; la questioneriguarda il diritto penale sostanziale e l’eventuale ri-comprensione al suo interno del formante giurispru-denziale (la questione, poi, riguardando la parte pre-cettiva della norma penale si differenzia dall’oggettodei recentissimi decisa in tema di prescrizione e ditrattamento sanzionatorio in esito a giudizio abbre-viato) (7).

Il principio di legalità materiale o sostanziale nel diritto penale

Il problema delle fonti nel diritto penale deve essere

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GiurisprudenzaDiritto penale

Note:

(4) Si veda, da ultimo, quanto al giudicato civile CGCE, sent. del3 settembre 2009 (C-2/08), sulla questione pregiudiziale solle-vata dalla Cassazione nella causa Amministrazione dell’Econo-mia e delle Finanze ed Agenzia delle Entrate con FallimentoOlimpiclub srl. Secondo la Corte di Giustizia UE, le modalità diattuazione del principio dell’autorità di cosa giudicata, che si ri-tiene principio fondamentale anche dell’ordinamento comunita-rio, sono rimesse all’ordinamento giuridico interno degli Statimembri; esse però non devono essere strutturate in modo darendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’eser-cizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario(principio di effettività). In quest’ottica, ciascun caso in cui si po-ne la questione se una norma processuale nazionale renda im-possibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto co-munitario deve essere esaminato tenendo conto del ruolo di ta-le norma nell’insieme del procedimento, nonché dello svolgi-mento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi agli organi giuri-sdizionali nazionali. Si vedano altresì sul tema CGCE, sent. del16 marzo 2006, causa C-234/04, Kapferer; sent. del 18 luglio2007, causa C-119/05, Ministero dell’Industria contro Lucchinispa; sent. del 13 gennaio 2004, causa C-453/00, Kühne & Heitz;sent. del 7 gennaio 2004, causa C-201/02, Wells; sent. del 30settembre 2003, causa C-224/01, Köbler; sent. del 28 giugno2001, causa C-118/00, Larsy; sent. dell’1 giugno 1999, causa C-126/97, Eco Swiss.

(5) In particolare, in senso contrario alle Sezioni Unite, sent. n.18288 del 2010, cit., le seguenti pronunce hanno esplicitatoche non si può procedere alla revoca della sentenza di condan-na, passata in giudicato, per abolizione del reato, nel caso di unsuccessivo intervento delle Sezioni Unite che, con riguardo auna fattispecie identica, escluda la sussistenza del reato affer-mando invece la configurabilità di un mero illecito amministrati-vo; cfr. Cass., sez. I, sent. dell’11 luglio 2006 n. 27121, Aliseo,rv. 235265, secondo cui: «in tema di esecuzione, l’art. 673 cod.proc. pen. opera soltanto nel caso in cui, a seguito di innovazio-

ne legislativa o di declaratoria di incostituzionalità, si verifichiun’ipotesi di abrogazione esplicita o implicita di una norma. Lapredetta disposizione non può, invece, trovare applicazione,quando l’eventuale abrogazione implicita derivi da un muta-mento di indirizzo giurisprudenziale che non può costituire “iussuperveniens” anche a seguito di pronuncia delle sezioni unitedella Corte di Cassazione»; cfr. anche Cass., sez. I, sent. del 13luglio 2006, n. 27858, La Cara, in Ced Cass., 234978. Dunque,l’indirizzo interpretativo prevalente afferma che il mutamento digiurisprudenza non rappresenta un elemento nuovo che con-senta di riproporre la questione già respinta in un precedenteprocedimento di esecuzione, rimuovendo la preclusione delc.d. “giudicato esecutivo” (Cass., Sez. I, sent. dell’11 marzo2009, n. 23817, Cat Berro, in Ced Cass., 243810; Cass., Sez. V,sent. del 27 aprile 2004, n. 25079, Giovannini, in Ced Cass.,229868; Cass., sez. I, sent. del 28 marzo 1995 n. 1876, Mar-chesi, in Ced Cass., 201624). L’opposto orientamento affermache il mutamento dell’interpretazione giurisprudenziale - e, se-gnatamente, quello concretatosi in una pronuncia delle SezioniUnite - può integrare una nuova motivazione giuridica che ren-de ammissibile la riproposizione al giudice dell’esecuzione diuna richiesta precedentemente rigettata (Cass., sez. V, sent.del 24 febbraio 2004 n. 15099, Aragno, in Ced Cass., 228764).Con riferimento, invece, alla materia del “giudicato cautelare”(disciplinata in maniera strutturalmente analoga, ma non identi-ca, a quella del “giudicato esecutivo”), il prevalente indirizzo in-terpretativo della Suprema Corte tende ad escludere che il mu-tamento di giurisprudenza consenta di superare la relativa pre-clusione processuale, fondata sul principio del “ne bis in idem”di cui all’art. 649 c.p.p. (v. Sez. Un., sent. del 19 dicembre 2006,n. 14535, Librato, in Ced Cass., 235908, con riferimento alla so-pravvenienza di una sentenza della Corte di cassazione cheesprimeva un indirizzo giurisprudenziale minoritario; v. altresìCass., sez. II, sent. del 26 novembre 2008 n. 1180, Elia e altro,in Ced Cass., 242779, con riferimento, però, ad una questione,in concreto, irrilevante ai fini della decisione). Una differente so-luzione è stata sviluppata da Cass., sez. V, sent. del 23 aprile2002 n. 21344, De Biase G., in Ced Cass., 221925, secondo cuiin tema di giudicato cautelare, può costituire fatto nuovo, ido-neo a modificare il quadro indiziario già, a suo tempo, valutatoed a legittimare istanza di revoca della misura, il fatto che, nel-l’ambito dello stesso procedimento, un altro indagato abbia ot-tenuto una decisione favorevole, specie se questa sia stata do-vuta ad un sopravvenuto mutamento della giurisprudenza di le-gittimità.

(6) Sul tema, da ultimo Corte cost. sent. n. 113 del 4 aprile 2011,in www.cortecostituzionale.it, nella quale la Corte ha dichiaratol’illegittimità costituzionale dell’art. 630 del codice di procedurapenale, «nella parte in cui non prevede un diverso caso di revi-sione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine diconseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario,ai sensi dell’art. 46, paragrafo 1, della Convenzione per la salva-guardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, per con-formarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei dirit-ti dell’uomo». La Corte di Strasburgo ritiene, con giurisprudenzaormai costante, che l’obbligo di conformarsi alle proprie senten-ze definitive, sancito a carico delle Parti contraenti dall’art. 46,paragrafo 1, della CEDU, comporti anche l’impegno degli Staticontraenti a permettere la riapertura dei processi, su richiestadell’interessato, quante volte essa appaia necessaria ai fini dellarestitutio in integrum in favore del medesimo, nel caso di viola-zione delle garanzie riconosciute dalla Convenzione, particolar-mente in tema di equo processo.

(7) Cfr. Cass., Sez. Un., sent. del 24 novembre 2011, dep. 24aprile 2012, n. 15933, in www.cortedicassazione.it/Documen-ti/15933_0412.pdf, sull’applicazione retroattiva della disciplinapiù favorevole in tema di prescrizione e sul concetto di “pen-denza in appello” del processo e Cass., Sez. Un., ud. cameraledel 19 aprile 2012, sull’applicabilità, in sede esecutiva, dei princi-pi enunciati nella sentenza CEDU causa Scoppola c. Italia, inwww.dirittopenalecontemporaneo.it.

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messo a fuoco in funzione del principio di tipicità,che a sua volta è espressione del principio di strettalegalità, fondato sull’art. 25 Cost.; un diritto “flessi-bile”, ovvero un diritto malleabile alla stregua deldiritto “mite” teorizzato da Dworkin (8) piace pocoal penalista perché svilirebbe il contrappeso garanti-stico della prevedibilità ex ante di quando si può es-sere puniti e quando no (9). Ebbene, rammental’Ordinanza in esame che secondo la giurisprudenzacomunitaria il principio di legalità in materia pena-le è informato anche dall’interpretazione giurispru-denziale che viene data alla norma generale edastratta e, dunque, il processo di conoscenza di unanorma penale presuppone la prevedibilità anchedella norma “vivente”, risultante dall’applicazionedei giudici; il canone di stretta legalità comportaquindi non solo la conoscibilità del dato normativoformale ma anche la prevedibilità di quella che saràla prassi applicativa, perché, afferma la CEDU: «inqualsiasi ordinamento giuridico, per quanto chiaropossa essere il testo di una disposizione di legge, ivicompresa una disposizione di diritto penale, esisteinevitabilmente un elemento di interpretazione giu-diziaria [...]; del resto, è solidamente stabilito nellatradizione giuridica degli Stati parte della Conven-zione che la giurisprudenza [...] contribuisce necessa-riamente all’evoluzione progressiva del diritto pena-le» (10).Queste affermazioni relative al principio di legalitàin materia penale valorizzano la legalità materiale osostanziale, in contrapposizione alla legalità mera-mente formale del dato legislativo; il concetto di le-galità sostanziale, pertanto, che sarebbe sostenutoed affermato in ambito europeo (11) e che come ta-le conformerebbe anche il diritto penale nazionale,contiene come parametro sia gli interventi legislati-vi che la componente accertativa giurisprudenziale:questa concorrenza delle due fonti consentirebbeuna migliore e più ragionevole prevedibilità ed ac-cessibilità della punizione penale (12). Il principiodi legalità materiale (13), allargato al diritto viven-te giurisprudenziale, poi, restringe inesorabilmente iconfini tra ordinamenti di civil law ed ordinamentidi common law.Tuttavia, il canone della legalità sostanziale nascenella giurisprudenza europea con riferimento al co-rollario del divieto di irretroattività della norma pe-nale più sfavorevole, esteso anche alle interpretazio-ni giurisprudenziali contra reum (14); solo successi-vamente questo concetto viene utilizzato anche nel-l’ambito del corollario della retroattività della lex pe-nalis mitior (anch’esso riconosciuto un principio fon-damentale in ambito europeo dalle più recenti sen-

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GiurisprudenzaDiritto penale

Note:

(8) Vds. Dworkin, No Right Answer?, New York University LawReview, LIII, 1, 1978; trad.it., R. Guastini, Non c’è soluzione cor-retta, Materiali per una storia della cultura giuridica, XIII, 2,1983;Id., I diritti presi sul serio, Milano, 1982; Id., Law’s Empire, Bel-knap Press, Cambridge, Mass., 1986; sul tema anche Zagrebel-sky, Il diritto mite, Torino, 1992.

(9) Sul tema Ramacci, Tavola rotonda sul tema “Il problema del-le fonti dopo la fine del monopolio statale della produzione nor-mativa, in Riv. it. delle scienze giuridiche, Napoli, 2010, 1, 354ss.; si veda anche sul tema Esposito, Il diritto penale flessibile,Torino, 2008, 306.

(10) Per la giurisprudenza europea sul diritto vivente cfr. sentt.CGCE del 17 settembre 2009 (caso Scoppola c/Italia), cit. edell’8 dicembre 2009 (caso Previti c/Italia), cit.; si vedano an-che le sentenze della Corte europea CE Cantoni c/ Francia del15 novembre 1996; del 22 novembre 1995, caso S.W. e C.R. c/Regno Unito; del 29 marzo 2006, caso Achour c/ Francia; sen-tenze della CEDU del 24 aprile 1990, caso Kruslin c/ Francia;del 12 febbraio 2008, caso Kafkaris c/ Cipro; del 25 maggio1993, caso Kokkinakis c/ Grecia, ove si evidenzia che: «il prin-cipio di irretroattività sancito dall’art. 7, comma 1, della Con-venzione, investe non solo il diritto scritto, ma anche quellogiurisprudenziale, affermando che esso impone “la non appli-cazione estensiva e analogica della legge penale a detrimentodell’imputato».

(11) Cfr. anche CGCE, sent. dell’8 febbraio 2007 (causa C-3/06,caso Groupe Danone c/Commissione Comunità europee).

(12) Sul tema, si veda, in dottrina, A. Bernardi, Commento al-l’art. 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, in S.Bartole - B. Conforti - G. Raimondi, Commentario alla Conven-zione Europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertàfondamentali, Padova, 2001, 250-253; A. Balsamo, La dimen-sione garantistica del principio di irretroattività e la nuova inter-pretazione giurisprudenziale “imprevedibile”: una “nuova fron-tiera” del processo di “europeizzazione” del diritto penale, inCass. Pen., 2007, 2202 ss.; G. De Amicis, Il principio di legalitàpenale nella giurisprudenza delle Corti europee, in I quadernieuropei, 2009, n. 14. La dottrina rileva come nella giurispruden-za della Corte europea dei diritti dell’uomo, si riscontra, insiemead altri, un aspetto, comune alla giurisprudenza della Corte digiustizia delle Comunità europee, che rafforza ed innova la por-tata garantistica del principio di legalità e dei suoi corollari: l’ap-plicazione dei predetti principi al diritto giurisprudenziale e, diconseguenza, la valorizzazione degli aspetti qualitativi della le-galità, non più circoscritti alla determinatezza della norma, maconcernenti anche la accessibilità e prevedibilità delle fonti le-gali e della relativa giurisprudenza. Per la giurisprudenza dellaCEDU si vedano, in particolare, sentenza del 24 aprile 1990, ca-so Kruslin contro Francia e sentenza del 12 febbraio 2008, casoKafkaris contro Cipro.

(13) Per la dottrina italiana sul principio di legalità sostanziale, incontrapposizione alla legalità formale prevista nella Costituzione,si veda Mantovani, Diritto penale, Padova, 2001, secondo cui ilprincipio di legalità sostanziale assicura una più efficace difesasociale, 6 ss.; di diverso avviso Ramacci, Corso di diritto penale,Torino, 2010, 20 ss., 41 ss.

(14) Si veda CGCE, sent. dell’8 febbraio 2007, cit., con nota diBalsamo, Applicazione del principio di irretroattività alla nuovainterpretazione giurisprudenziale imprevedibile al momentodella commissione del fatto, in Cass. pen., 2007, 5, 320 ss. Inquesta pronuncia si afferma che «il principio di irretroattivitàdelle norme penali è un principio comune a tutti gli ordinamen-ti giuridici degli stati membri e fa parte integrante dei principigenerali del diritto di cui il giudice comunitario deve garantirel’osservanza»; cfr. altresì sent. del 10 luglio 1984, causa 63/83,Kirk). Per la CEDU si veda Streletz, Kessler e Krenz c. Germa-nia [GC], n. 34044/96, 35532/97 e 44801/98, § 50, CEDU 2001II.

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tenze della CGCE (15)) e poi esteso anche all’inter-pretazione pro reo. Le SSUU nel 2010 e l’Ordinanzain commento, in forza dei richiami giurisprudenzialieuropei, svolgono dunque questo ultimo passaggio:dapprima riconoscono la cittadinanza nel nostro or-dinamento penale al principio di retroattività della“legge” penale più favorevole, poi statuiscono il cri-terio della retroattività dell’interpretazione giuri-sprudenziale più favorevole.

Il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost.

I profili critici che emergono sono molteplici: in-nanzitutto, riguardo al primo principio, la dottrina ela giurisprudenza concordano nel ritenerlo estraneoall’art. 25, comma 2, Cost., il cui precetto è riferitoin via esclusiva al diverso canone della irretroattivi-tà della legge penale in malam partem (16). Pertanto,l’unico aggancio positivo al canone della retroattivi-tà della legge più favorevole sarebbe da rinvenirsinell’art. 2, comma 4, c.p., ma anche rispetto a taleipotesi si sottolinea in senso contrario il profilo diderogabilità di tale norma, essendo norma ordinaria,che esclude di per sé la riferibilità positiva alla stessadi un principio generale. Tuttavia, nel tentativo di soddisfare l’esigenza d’or-dine generale di applicare ex tunc una disciplina pe-nale più favorevole per il reo secondo il favor liberta-tis, affermata a livello internazionale e comunitario(17), sono state elaborate diverse soluzioni erme-neutiche volte a garantire altrimenti una coperturacostituzionale al principio di retroattività della lexmitior, sia attraverso gli artt. 10, 11 e 117 Cost., siacon riferimento agli artt. 27, comma 2, e 24, comma2, Cost. (18) Queste prospettive, peraltro, non han-no ricevuto una consacrazione dalla giurisprudenzacostituzionale (19), essendo rimasta incerta anche la

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GiurisprudenzaDiritto penale

Note:

(15) Cfr., tra le altre, CGCE sent. del 3 maggio 2005, cause riuni-te C-387/02, C-391/02 e C-403/02, Berlusconi, secondo cui «ilprincipio dell’applicazione retroattiva della pena più mite rientratra i principi generali del diritto comunitario che il giudice nazio-nale deve osservare quando applica il diritto nazionale adottatoper attuare il diritto comunitario».

(16) Per la dottrina l’opinione è tradizionalmente condivisa, si ve-da ex multis Vassalli, Abolitio criminis e principi costituzionali, inRiv. it. dir. e proc. pen. 1983, 377; Marinucci e Dolcini, Corso didiritto penale, Milano 2001, 267; Severino, Successione di leggipenali nel tempo, in Enc. giur. Trecc., XXX, Roma 1993, 1. Per lagiurisprudenza costituzionale costante, Corte cost., sentt. n. 219del 2004; n. 381 del 2001; ordd. n. 222 del 2002; nn. 432 e 220del 2001; espressamente nella sent. n. 393 del 2006, cit. e sent.n. 394 del 23 novembre 2006, in Giur. cost., 2006, 6 con nota diDe Martino, Brevi osservazioni in tema di norme penali di favo-re e di reati strumentali, 293 ss. e in questa Rivista, 2007, 3, 324ss., con nota di La Rosa, si afferma che «il regime giuridico ri-

servato alla lex mitior, e segnatamente la sua retroattività, non ri-ceve nell’ordinamento la tutela privilegiata di cui all’art. 25, se-condo comma, della Costituzione, in quanto la garanzia costitu-zionale, prevista dalla citata disposizione, concerne soltanto il di-vieto di applicazione retroattiva della norma incriminatrice, non-ché di quella altrimenti più sfavorevole per il reo». Contra, consi-dera principi materialmente costituzionali quelli contenuti nel-l’art. 2 c.p., in quanto riconducibili al principio supremo del favorlibertatis, Pagliaro, Principi di diritto penale, Milano, 2003, 116ss. Per un orientamento minoritario favorevole alla riconducibili-tà del principio ex art. 2, comma 4, c.p. all’art. 25, comma 2,Cost., con uno sguardo ai lavori preparatori dell’Assemblea Co-stituente, Ardizzone, Limiti all’applicabilità dei nuovi termini diprescrizione ed illegittimità costituzionale, in questa Rivista,2007, 2, 208 ss., secondo cui tale principio è “implicito” nellastessa disposizione costituzionale e per la giurisprudenza so-prattutto Corte cost. n. 277 del 1990, in Giust. pen., 1990, I, 225ss. nella cui motivazione si legge che i costituenti, in realtà, con-divisero il principio della retroattività della legge “successiva” fa-vorevole al reo e non raggiunsero l’accordo solo sull’ampiezzadelle eventuali deroghe. Dunque, «fu soltanto per il mancato ac-cordo su tal punto che venne proposto l’ordine del giorno, ap-provato, soppressivo dell’esplicita menzione della retroattivitàdella legge penale posteriore favorevole al reo».

(17) La Corte cost. con la sent. n. 393 del 2006, cit. e l’ord. n. 93del 2007, richiamando le argomentazioni dei giudici remittenti,ha sottolineato che «il principio di necessaria applicazione retro-attiva della norma penale più favorevole sia enunciato dall’art. 15del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato aNew York il 16 dicembre 1966 (reso esecutivo in Italia con la leg-ge 25 ottobre 1977, n. 881), e dall’art. 49, comma 1, della Cartadei diritti fondamentali, approvata a Nizza il 7 dicembre 2000, ar-ticolo riprodotto nell’art. II-109, comma 1, del Trattato che adot-ta una Costituzione per l’Europa, firmato a Roma il 29 ottobre2004 (reso esecutivo in Italia con la legge 7 aprile 2005, n. 57);che tale principio, inoltre, è stato qualificato dalla Corte di Giusti-zia delle Comunità europee (sentenza 3 maggio 2005, C-387/02,C-391/02 e C-403/02) come appartenente “alle tradizioni costi-tuzionali comuni agli Stati membri”, e dunque quale “parte inte-grante dei principi generali del diritto comunitario che il giudicenazionale deve osservare”».

(18) Si fa riferimento, in particolare, alle motivazioni contenutenelle ordinanze di rimessione proposte alla Corte costituzionaleda diversi giudici di merito, riportate nella pronuncia n. 393 del2006 cit.; in proposito si veda anche Bastianello - De Riso, Guidapratica alla nuova prescrizione penale, Milano, 2007, 81 ss.

(19) In particolare, con riguardo alla presunta rilevanza degli artt.10 e 11 Cost., attesa l’emersione di principi di ordine internazio-nale e comunitario a riguardo, in più occasioni la Corte costitu-zionale ha affermato che tali principi non possano assurgere co-me tali a parametri nel giudizio di costituzionalità delle leggi in-terne, indipendentemente cioè dalla mediazione di una normadella Costituzione, ma al limite come mezzi di interpretazionedelle stesse, cfr. ex multis Corte cost., sentt. nn. 15 del 1996;270 del 1999; 109 del 1997, in www.cortecostituzionale.it. Inol-tre, i principi generali del diritto comunitario non consentono didisapplicare direttamente una norma interna in contrasto, senon consacrati in strumenti legislativi dell’Unione europea dota-ti di efficacia diretta ed immediata. Inoltre, sull’apertura non in-condizionata dell’ordinamento statale al diritto comunitario, giac-ché vige in ogni caso il limite del rispetto dei principi fondamen-tali del nostro ordinamento costituzionale, Corte cost., 18 aprile1991, n. 168, in www.giurcost.it. Pertanto, la Corte costituzio-nale si è mostrata insensibile alle affermazioni della Corte di Giu-stizia UE, che sembrerebbero indicare una prevalenza assolutadel favor rei su gli altri principi costituzionali nazionali, così Inso-lera, Dubbi “europei” sulla ex Cirielli, in Dir. giust., 2006, 4, 10.Sull’inapplicabilità degli artt. 10, 11 e 117 Cost., con diverse ar-gomentazioni, anche Cass., sent. n. 406 del 2006, in www.cor-tecostituzionale.it. Con riguardo, invece, all’art. 24 Cost., già la

(segue)

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stessa fonte del principio del favor libertatis, del qua-le il canone della retroattività della lex penalis mitiorè espressione (20). Di qui, la valorizzazione da partedella Corte costituzionale del canone di eguaglianzaex art. 3 Cost., nella cui orbita si riconduce il princi-pio della retroattività delle norme di favore. In ef-fetti, secondo la stessa Corte il principio di egua-glianza «impone, in linea di massima, di equiparareil trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti, aprescindere dalla circostanza che essi siano staticommessi prima o dopo l’entrata in vigore della nor-ma che ha disposto l’abolitio criminis o la modificamitigatrice» (21). Anche la dottrina italiana si è assestata in questosenso, si afferma infatti che il principio della retro-attività della norma penale più favorevole trovifondamento costituzionale non nel principio di le-galità di cui all’art. 25, comma, 2 Cost. (come in-vece accade per il principio di irretroattività dellanorma penale più sfavorevole), bensì nel più gene-rale principio di eguaglianza-ragionevolezza di cuiall’art. 3 Cost., risultando irragionevole continuarea punire chi avesse commesso il fatto contravve-nendo a una legge penale successivamente abroga-ta, ovvero continuare a punirlo con la pena previ-sta al momento della commissione del fatto, masuccessivamente sostituita - prima della conclusio-ne del processo - con una pena più mite (22). Si ri-tiene infatti che sia discriminatorio punire in ma-niera differenziata soggetti responsabili della mede-sima violazione, soltanto in ragione della diversadata di commissione del reato; e che a fortiori risul-ti discriminatorio che uno di tali soggetti continuiad essere punito e l’altro si sottragga a qualsiasi san-zione penale, ancora in ragione soltanto del diversotempus commissi delicti. Piuttosto - e fermo restandoil principio di garanzia secondo cui nessuno può es-sere sottoposto a una pena non prevista al momen-to della commissione del fatto, o a una pena piùgrave di quella allora prevista (art. 25, comma 2,Cost.) - si afferma generalmente la necessità che lapena sia proporzionata al disvalore del fatto com-messo così come valutato dal legislatore al momen-to dell’inflizione della pena, imponendosi addirit-tura la revoca della sentenza di condanna già passa-ta in giudicato nel caso estremo in cui il fatto com-messo cessi di costituire reato per effetto di una mu-tata valutazione legislativa, ovvero della dichiara-zione di illegittimità costituzionale della norma in-criminatrice violata (così come disposto dall’art.673 c.p.p.) (23). Va aggiunto, invero, che all’esitodelle evoluzioni interpretative delle norme europeesvolte dalla giurisprudenza della Corte costituzio-

nale, il principio di retroattività della norma pena-le più favorevole non trova fondamento solo nel-l’art. 3 Cost. ma altresì nell’art. 7 CEDU, nella ve-ste di norma costituzionale interposta, e quindi nel-l’art. 117 Cost. (24).Se questo è lo stato dell’arte rispetto al canone del-la retroattività della legge penale più favorevole insenso stretto, il problema è capire se gli stessi ragio-namenti possono svolgersi con riguardo alla retroat-tività dell’interpretazione giurisprudenziale; rispet-to alla legittimità di questo ulteriore profilo diversisono i dubbi che possono sorgere: innanzitutto, in-fatti, diventa davvero difficoltoso individuare unaggancio normativo - costituzionale al derivato cri-terio della retroattività dell’interpretazione più fa-vorevole. Se, infatti, sembrerebbe illegittimo il ri-

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GiurisprudenzaDiritto penale

Note:

(continua nota 19)Corte delle leggi nella sent. n. 111 del 1964, in www.cortecosti-tuzionale.it, ha ritenuto che questa disposizione attiene ai solimezzi processuali e non anche alle norme di natura sostanziale.

(20) In dottrina, infatti, si afferma che il favor libertatis starebbe«a metà strada tra gli orientamenti del sistema ed i principi nor-mativi veri e propri», così Vassalli, I principi generali del dirittonell’esperienza penalistica, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1991, 707.Nello stesso senso, contesta l’elevazione al rango costituzionaledel favor rei, Ramacci, Corso, cit., 130 ss..; anche Del Corso,Successione di leggi penali, in Digesto pen., XIV, Torino 1999,87.

(21) Così Corte cost., sent. n. 393 del 2006, cit. e sent. n. 394 del2006, cit. Si è tuttavia sottolineata in dottrina l’apparente con-traddittorietà del ragionamento della Corte costituzionale che, daun lato nega una formale collocazione costituzionale sub art. 25,comma 2, Cost. al principio dell’applicazione retroattiva della nor-ma favorevole, e dall’altro «gli assegna una posizione preminen-te nel giudizio di bilanciamento che dovesse avvenire con i con-tenuti di altra legge ordinaria», così Ardizzone, op. ult. cit., 209.

(22) Condividono l’aggancio costituzionale all’art. 3 Cost. in dot-trina, tra gli altri, Vassalli, Abolitio criminis e principi costituziona-li, cit., 377, 408; Palazzo, Legge penale, in Digesto pen., VII, To-rino 1993, 365; Mantovani, Diritto penale, Padova, 2001, 88. Sivedano, altresì, ex multis, De Vero, La legge penale, in Palazzo-Paliero (a cura di), Trattato di diritto penale, vol. I, 2011, 50 ss.;Fiandaca-Musco, Diritto penale. Parte generale, VI ed., Bologna,2009, 76; Marinucci-Dolcini, Manuale di diritto penale, III ed., Mi-lano, 2009, 88; Padovani, Diritto penale, XI ed., Milano, 2008, 38;Palazzo, Corso di diritto penale, III ed., Torino, 2008, 149; Peco-rella, Art. 2, in Dolcini-Marinucci (a cura di), Codice penale com-mentato, III ed., Milano, vol. I, n. 7; Pulitanò, Diritto penale, IIIed., Torino, 2009, 170. Un’ampia analisi, anche comparatistica,del problema è fornita da Scoletta, Principe de retroactivité fa-vorable et illegitimité de la lex mitior dans la perspective euro-péenne, in Arroyo Zapatero-Nieto Martín, European CriminalLaw: An Overview, 2010, Ediciones de la Universidad de Castil-la-LaMancha, 337 ss.

(23) In questo senso Viganò, Sullo statuto costituzionale della re-troattività della legge penale più favorevole. Un nuovo tassellonella complicata trama dei rapporti tra corte costituzionale e cor-te edu: riflessioni in margine alla sentenza n. 236/2011, inwww.penalecontemporaneo.it, 2 ss.

(24) Così Viganò, op. ult. cit., 3 ss.

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GiurisprudenzaDiritto penale

chiamo all’art. 2 c.p., che da un lato disciplinaesclusivamente la successione di leggi in sensostretto e dall’altro, comunque, è privo di uno statu-to costituzionale (25), la copertura normativa allasoluzione dell’applicazione retroattiva dell’interpre-tazione in favore del reo per incidere sullo statusprocessuale del reo non può che individuarsi nellestesse fonti europee richiamate: i principi comuni-tari, compresa la Carta di Nizza dei diritti fonda-mentali dell’UE (ormai parte dell’ordinamento co-munitario) e l’art. 7 della CEDU. L’applicazione re-troattiva andrebbe quindi a costituire una forma diinterpretazione adeguatrice alle fonti europee, le-gittimata dal richiamo alle norme europee nelle ve-ste di norme interposte alle norme costituzionali in-terne (artt. 10,11 e 117 Cost.) (26). A partire daquanto sancito dalle sentenze “gemelle” della Cortecostituzionale (nn. 393 e 394 del 2006), infatti, lenorme della CEDU e dei protocolli addizionali di-vengono parametro “interposto” (in quanto impli-citamente richiamate dall’art. 117, comma 1,Cost.) di legittimità costituzionale, nell’estensioneloro attribuita dalla giurisprudenza della Corte eu-ropea dei diritti dell’uomo; mentre la Corte Costi-tuzionale si riserva soltanto un controllo di ultimaistanza sulla compatibilità di tali norme (e della lo-ro interpretazione datane a Strasburgo) con la stes-sa Costituzione italiana, della quale viene pur sem-pre riaffermato il rango (27).

La distribuzione delle competenze traCorte di cassazione e Corte costituzionale

I giudici, dunque, in virtù delle norme interposte al-le norme costituzionali sarebbero legittimati ad ap-plicare il principio in questione operando di fatto unbilanciamento in concreto tra le citate norme costi-tuzionali, specie l’art. 117 Cost., ed il valore della le-galità come sancito dall’art. 25 Cost.; ovvero, secon-do quanto sopra indicato, rifacendosi al valore del-l’uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. Quest’ultima so-luzione applicativa sembrerebbe preferirsi rispettoall’opzione di un principio di legalità “allargato”: ilrisultato finale è lo stesso, ma in teoria verrebbe la-sciato aperto lo spazio del controllo sul rispetto deivalori costituzionali.E tuttavia, ed è questo il punto, attraverso l’eserciziodell’interpretazione adeguatrice, costituzionalmentegarantita (28), entra in gioco un rapporto tra valori,con susseguente scelta di bilanciamento la cui com-petenza di per sé non spetta all’interprete dei diritti.In altri termini, l’aggancio costituzionale ex art. 3Cost. all’applicazione del principio di retroattivitàdell’interpretazione in favor rei lascia all’interprete la

scelta finale di contemperamento tra valori, ri-schiando così un interferenza nelle competenze del-la Corte costituzionale, con cui di recente è sortauna vera e propria querelle, plasticamente evidenzia-

Note:

(25) È infatti consolidato l’orientamento secondo cui, nel caso dimutamento di giurisprudenza, non possono trovare applicazionené le regole dettate dall’art. 2 c.p. in materia di successione dinorme penali sostanziali, né il principio tempus regit actum, chedisciplina la successione nel tempo di norme processuali penali.Si veda in tal senso, Cass. sez. I, sent. dell’11 luglio 2006 n.27121, Aliseo, in Ced Cass., 235265; Cass., sez. I, sent. del 13luglio 2006, n. 27858, La Cara, ivi, 234978.

(26) Nelle più recenti decisioni della Corte Costituzionale, è statofortemente valorizzato l’obbligo del giudice nazionale di interpre-tare la normativa interna in senso conforme alle previsioni dellaConvenzione europea dei diritti dell’uomo, nel significato ad es-se attribuito dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Inparticolare, Corte cost., sent. del 24 ottobre 2007, n. 349, inwww.cortecostituzionale.it, ha esplicitato che: «al giudice co-mune spetta interpretare la norma interna in modo conforme al-la disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia per-messo dai testi delle norme. Qualora ciò non sia possibile, ovve-ro dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizio-ne convenzionale “interposta”, egli deve investire questa Cortedella relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al pa-rametro dell’art. 117, primo comma»; nello stesso senso v. Cor-te cost., sent. del 24 luglio 2009 n. 239, in www.cortecostituzio-nale.it.

(27) Sul tema Viganò, op. ult. cit., 4 ss.; Cartabia, Le sentenze“gemelle”: diritti fondamentali, fonti, giudici, in Giur. cost.,2007, 3573; Luciani, Alcuni interrogativi sul nuovo corso dellagiurisprudenza costituzionale in ordine ai rapporti tra diritto ita-liano e diritto internazionale, in Corr. giur., 2008, 204.

(28) Da ultimo, sul tema Corte cost., sent. n. 113 del 2011, cit.,che, nel rivendicare il proprio ruolo di giudice di ultima istanzasulla conformità di norme e relative interpretazioni ai principi co-stituzionali, ha affermato che: «A partire dalle sentenze n. 348 en. 349 del 2007, la giurisprudenza di questa Corte è costantenel ritenere che le norme della CEDU - nel significato loro attri-buito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, specificamenteistituita per dare a esse interpretazione e applicazione (art. 32,par. 1, della Convenzione) - integrino, quali “norme interposte”,il parametro costituzionale espresso dall’art. 117, primo com-ma, Cost., nella parte in cui impone la conformazione della legi-slazione interna ai vincoli derivanti dagli “obblighi internaziona-li” (sentenze n. 1 del 2011; n. 196, n. 187 e n. 138 del 2010; n.317 e n. 311 del 2009, n. 39 del 2008; sulla perdurante validitàdi tale ricostruzione anche dopo l’entrata in vigore del Trattato diLisbona del 13 dicembre 2007, sentenza n. 80 del 2011). Pro-spettiva nella quale, ove si profili un eventuale contrasto fra unanorma interna e una norma della CEDU, il giudice comune deveverificare anzitutto la praticabilità di una interpretazione dellaprima in senso conforme alla Convenzione, avvalendosi di ognistrumento ermeneutico a sua disposizione; e, ove tale verificadia esito negativo - non potendo a ciò rimediare tramite la sem-plice non applicazione della norma interna contrastante - egli de-ve denunciare la rilevata incompatibilità, proponendo questionedi legittimità costituzionale in riferimento all’indicato parametro.A sua volta, la Corte costituzionale, investita dello scrutinio, purnon potendo sindacare l’interpretazione della CEDU data dallaCorte europea, resta legittimata a verificare se la norma dellaConvenzione - la quale si colloca pur sempre a un livello sub-co-stituzionale - si ponga eventualmente in conflitto con altre nor-me della Costituzione: ipotesi nella quale dovrà essere esclusala idoneità della norma convenzionale a integrare il parametroconsiderato».

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ta dalla pronuncia delle Sezioni Unite della Cassa-zione, Pezzella (29).Nell’impossibilità oggettiva, anche in considerazio-ne della situazione politica attuale, di ottenere nor-me di interpretazione autentica sulle riforme legisla-tive dal contenuto incerto, è stato rimesso negli ul-timi anni alla Corte costituzionale (cfr., ancora, lesentenze “gemelle” del 2006) il compito di valutarela conformità di una legge, e della sua interpretazio-ne fornita dalla giurisprudenza, ai valori costituzio-nali, tra cui l’art. 3 Cost., unitamente ai valori san-citi a livello europeo. Se, pertanto, il problema della retroattività vieneposto non da una riforma legislativa in senso strettoma da un ovverruling giurisprudenziale, seppur con-forme ai principi europei, con conseguente investi-tura del singolo interprete della valutazione se lanuova opzione interpretativa adottata sia conformeall’art. 3 Cost., ciò diventerebbe sufficiente per spo-gliare la Corte Costituzionale dei propri poteri inordine ai rapporti tra norma ordinaria e principi eu-ropei? Dalle argomentazione adottate dall’Ordinan-za in esame sembrerebbe evincersi che, in nome deldiritto vivente e dell’interpretazione adeguatrice,quando entrano in gioco principi affermati in ambi-to europeo in rapporto non ad una legge ma all’in-terpretazione fornita della stessa, si riducano i con-fini di competenza tra interpreti dei diritti e Cortedelle leggi, potendosi affidare ai primi le scelte inordine ai rapporti tra norme interposte e le normecostituzionali di cui agli artt. 10, 11, 117, 25 e 3Cost. (30). Se, cioè, la valutazione circa l’applica-zione in concreto del principio di retroattività dellalex mitior da parte del legislatore ordinario, specienel caso di introduzione di una normativa in derogaallo stesso principio, è riservata alla Corte costitu-zionale, la stessa valutazione, operata sull’applica-zione giurisprudenziale del principio, attraverso gliorientamenti interpretativi via via emergenti, ver-rebbe riservata alla Corte Suprema di cassazione.Sennonché, in quest’ultimo caso, sarebbe in defini-tiva rimessa alla Corte Suprema anche la relativavalutazione circa il rapporto tra la norma ordinaria,così come interpretata dai giudici, e le norme inter-poste, che trovano spazio nel nostro ordinamentograzie alle norme ed ai principi di matrice costitu-zionale.

Conclusioni

Sotto questo aspetto può svolgersi conclusivamenteuna doppia osservazione: in primis occorre segnalareche il giudice “lasciato da solo” di fronte a simili

scelte interpretative rischia di convalidare interpre-tazioni rivolte più alla ricerca del consenso socialeattraverso il richiamo all’applicazione dei principidi formazione europea che al riferimento testuale;se il parametro è testuale ma le argomentazioniguardano al sociale, per giustificare un giudizio taleda indurre consenso, la visione giuridica è strabica:sembra che si osservi la legge, ma in realtà si guardaal sociale (31). L’interpretazione volta alla ricercadel riscontro con aspettative sociali (con salti logi-ci dalle questioni etiche a quelle giuridiche) strizzal’occhio proprio al concetto di legalità sostanzialeche dunque verrebbe di fatto adottato e che, infat-ti, con la soluzione prospettata nell’Ordinanza inesame, si intende valorizzare con espressi richiami atale ultimo principio; con la conseguenza che se-guendo questa linea si tenderebbe a ritenere nonpunibili tutte le azioni ritenute «socialmente nonpericolose», a favore del concetto di “difesa socia-le”, così come espresso dai sostenitori del principiopredetto (32). È evidente il distacco dal principio dilegalità formale, riconosciuto dall’art. 25 Cost., cheimplica al contrario come conseguenza logica unadefinizione formale di reato come fatto prevedutodalla legge, alla stregua di quanto enunciato altresìdall’art. 1 c.p.Il tema diventa, pertanto, quello della prevedibilitàdell’interpretazione giurisprudenziale della legge pe-nale, perché una nuova interpretazione che giunge“come un fulmine a ciel sereno” è altrettanto odiosa

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GiurisprudenzaDiritto penale

Note:

(29) Sezioni Unite, sent. del 31 marzo 2004 n. 23016, Pezzella, inCed Cass., 227523, ove si è affermato che: «le decisioni inter-pretative di rigetto della Corte costituzionale non hanno efficacia“erga omnes”, a differenza di quelle dichiarative dell’illegittimitàcostituzionale di norme, e pertanto determinano solo un vincolonegativo per il giudice del procedimento nel quale la relativa que-stione è stata sollevata, nel senso che quest’ultimo non può in-terpretare la disposizione impugnata attribuendole il significatoritenuto dal giudice delle leggi incompatibile con la Costituzione,pur essendogli consentito scegliere altre soluzioni ermeneuticheche, quantunque non coincidenti con quella della decisione in-terpretativa, non collidano con norme e principi costituzionali,mentre negli altri procedimenti il giudice conserva il potere-do-vere di interpretare in piena autonomia quella disposizione, sem-pre che il risultato ermeneutico risulti adeguato ai principiespressi nella Costituzione». In dottrina si veda Morelli, Rappor-ti tra Corte di Cassazione e Corte Costituzionale nell’interpreta-zione della norma giuridica e nell’applicazione del precetto co-stituzionale, in AA.VV., Le Corti Supreme, Milano, 2001.

(30) Sui limiti all’attività interpretativa del giudice, in relazione al-le norme ed ai principi CEDU, si veda l’ordinanza n. 97 del 2009della Corte costituzionale, in materia di confisca per equivalentee reati tributari, in www.cortecostituzionale.it.

(31) Ramacci, Tavola rotonda, cit., 354 ss.

(32) Cfr. nell’ambito del tema sulla legalità sostanziale Mantova-ni, op. ult. cit., 7.

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ed incivile di una legge penale retroattiva (33). Cer-to, nel caso in esame l’oggetto è l’interpretazione infavorem rei che non pone particolari problemi di pre-vedibilità ma, e questa è la seconda osservazione se-gnalata, un’impostazione giurisprudenziale mitior, senon ancora del tutto consolidata, potrebbe subirecomunque imprevedibili mutamenti d’indirizzo ederoghe nei casi concreti sulla base delle diversesensibilità dei giudici; questo tipo di flessibilità po-trebbe porre senz’altro problemi di previsione dellapunizione penale, in violazione del principio di lega-lità ed altresì dell’art. 3 Cost. Nell’ordinanza, infatti, si giunge a ritenere che, inpresenza di interventi della Corte di cassazione cheeffettuino un rovesciamento di un costante e con-solidato pregresso orientamento, con un effetto so-stanziale abolitivo della norma incriminatrice, sia le-gittima la revoca della condanna emessa sulla basedei pregressi parametri di legalità materiale. Questaoperazione assume esplicitamente come presuppo-sto il concetto di legalità materiale offerto dalle so-pradette sentenze della Corte Suprema, ricavatosulla base di interpretazione adeguatrice alle indica-zioni provenienti dalla Corte di Strasburgo; si attri-buisce legittimità, cioè, con il sigillo dell’applica-zione dei principi europei, al diritto vivente che de-termina effetti abolitivi di una norma penale incri-minatrice.E tuttavia, lo stesso aggancio del principio di retro-attività della norma penale più favorevole (e delconnesso principio di retroattività dell’interpreta-zione mitior) all’art. 3 Cost., anziché all’art. 25, com-ma 2, Cost., segna al tempo stesso il limite della tu-tela costituzionale del principio poiché, in nomedella ragionevolezza, lo stesso principio è suscettibi-le di essere derogato da disposizioni normative inter-ne (e, per quanto concerne l’interpretazione, dacambiamenti interpretativi): mentre l’irretroattivitàin peius della norma penale è unanimemente consi-derata quale principio assoluto e non suscettibile dibilanciamento con altri valori costituzionali, inquanto «essenziale strumento di garanzia del cittadi-no contro gli arbitri del legislatore, espressivo del-l’esigenza della calcolabilità delle conseguenze giuri-dico-penali della propria condotta, quale condizionenecessaria per la libera autodeterminazione indivi-duale» (34), le esigenze di eguaglianza-ragionevolez-za sottese alla retroattività in bonam partem della leg-ge penale sono sempre apparse aperte a possibili bi-lanciamenti, affidati in prima battuta al legislatoreordinario (35). Lo stesso dicasi, a fortiori, per l’inter-pretazione penale che può essere soggetta a diversiindirizzi e bilanciamenti in concreto affidati, in que-

sto caso, all’interprete del caso concreto anziché allegislatore (36).In definitiva, il principio di retroattività dell’inter-pretazione penale più favorevole trova spazio soprat-tutto nelle applicazioni di un interpretazione co-stante e consolidata della giurisprudenza, specie del-la Corte Suprema a Sezioni Unite, che solo cosìesprime il senso del compito di nomofilachia cui èchiamata, contribuendo a determinare quel “dirittovivente” che, come evidenziato, va progressivamen-te proponendosi come legittimo formante del dirittopenale (37). La funzione nomofilattica della Cassa-

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GiurisprudenzaDiritto penale

Note:

(33) Ramacci, Tavola rotonda, cit., 355 ss.

(34) Così Corte cost., sent. n. 394 del 2006, cit.

(35) Da ultimo, sul tema, Corte cost. n. 236 del 2011, inwww.cortecostituzionale.it.

(36) È riservato al legislatore il giudizio politico sul contempera-mento di interessi al momento dell’introduzione di una nuovanormativa ispirata al favor libertatis è riservato al legislatore ilgiudizio politico sul contemperamento di interessi, sul tema Co.Cost., n. 394 del 2006, cit.; per la dottrina sia consentito rinviarea De Flammineis, Prescrizione e deroga al principio di retroatti-vità della lex penalis mitior, in Giur. cost., 2007, 3, 2297.

(37) Nella giurisprudenza della Corte costituzionale sul “diritto vi-vente” si è affermato che sarebbe sufficiente «anche una soladecisione della Corte di legittimità in presenza di interpretazionicontrastanti, per determinare il vincolo del diritto vivente, speciese pronunciata a Sezioni Unite», posto che queste risolvonoquestioni di diritto di speciale importanza, di rimono contrasti in-sorti o anche potenziali tra le decisioni delle singole sezioni, a su-peramento del pluralismo ermeneutico e nella prospettiva costi-tuzionalmente orientata all’affermazione dei principi di legalità edi uguaglianza (cfr. Corte cost. sentt. nn. 317 del 2009, 260 del1992, 292 del 1985, 34 del 1977, n. 276 del 1974; si vedano, in-vece, Corte cost. n. 348 del 2007 e 317 del 2009 quanto al dirit-to vivente nei confronti delle norme e dei principi affermati inambito CEDU, in www.cortecostituzional.it). Nella giurispruden-za delle Sezioni Unite si veda sent. del 31 marzo 2004 n. 23016,Pezzella, cit., ove si afferma che: «Il meccanismo teso a preve-nire contrasti interpretativi va identificato, anzitutto, nella collau-data dottrina del “diritto vivente”, applicata dalla Corte costitu-zionale nei casi nei quali l’effettività e la stabilità dell’interpreta-zione giurisprudenziale sono tali da fare riconoscere che «la nor-ma vive ormai nell’ordinamento in modo così radicato che è dif-ficilmente ipotizzabile una modifica del sistema senza l’interven-to del legislatore o di questa Corte» (sent. n. 350 del 1997). Inpresenza di un diritto vivente, pur potendo attribuire alla disposi-zione impugnata una diversa dimensione normativa, in varie oc-casioni il Giudice delle leggi, nell’esercizio della propria insinda-cabile discrezionalità, ha ritenuto preferibile adottare una pro-nuncia di incostituzionalità anziché una decisione interpretativadi infondatezza, che avrebbe potuto non essere condivisa daigiudici a causa del rifiuto di abbandonare interpretazioni giuri-sprudenziali consolidate. È utile precisare che, in tali situazioni, laCorte costituzionale ha seguito non soltanto il criterio quantitati-vo legato alla costanza e all’uniformità della giurisprudenza, maha tenuto conto anche della posizione del giudice da cui proma-na la scelta interpretativa, privilegiando gli orientamenti della giu-risprudenza della Corte di cassazione, titolare della funzione dinomofilachia (cfr. sent. n. 110 del 1995 e n. 355 del 1996), ed at-tribuendo particolare valenza alle decisioni delle Sezioni Unite,che hanno il compito di risolvere contrasti interni alla giurispru-

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zione è positivamente apprezzabile in particolar mo-do nei casi di applicazione di principi di matrice eu-ropea, in corso di assimilazione nel nostro ordina-mento, perché contribuisce a chiarire il significato ela portata degli stessi principi e dunque perché l’uni-formità di indirizzo è un aspetto importante dellacertezza del diritto. Di fronte ad un consolidatoorientamento interpretativo di una certa legge ordi-naria in favorem rei (discendente da una normativa eda principi europei), si potranno escludere questioniincidentali di incostituzionalità di una norma e,cioè, le stesse chiamate in causa della Corte costitu-zionale. In assenza di ciò, invece, si legittima la va-lutazione di ultima istanza della Corte costituziona-le, che potrebbe così sindacare la legittimità costitu-zionale della medesima normativa, nell’interpreta-zione giurisprudenziale fornita. La Corte delle leggidovrà, dunque, autonomamente scegliere se ribadirel’interpretazione adeguatrice ritenuta dalla giuri-sprudenza - perché conforme alle norme costituzio-nali ed europee - o, re melius perpensa, modificarne laportata, ovvero dichiarare l’incostituzionalità dellanorma. Questa soluzione non solo è doverosa ma è ancheauspicabile nella misura in cui valorizza la matriceculturale comune del diritto europeo e del mondooccidentale. Il progressivo assorbimento, sotto il co-stante controllo da parte della Corte costituzionaledel rispetto dei valori costituzionali interni, deiprincipi sanciti a livello europeo, ritenuti parte fon-dante dei sistemi normativi di tutti gli Stati europei,

passa inevitabilmente attraverso l’interpretazionegiurisprudenziale adeguatrice delle norme interne;tale funzione, tuttavia, è tanto più efficacementesvolta quanto più le soluzioni ermeneutiche sonouniformi e consolidate. Il compito cui sono chiama-ti gli interpreti, tuttavia, non appare particolarmen-te gravoso perché le interferenze europee nei dirittiinterni non hanno creato e non creano sconquassi, esi possono innestare senza antinomie perché l’evolu-zione dei modelli di giustizia penale è stata comunein tutto il mondo occidentale, come emerge da nu-merose tracce documentali (38). Pertanto, anche ilprincipio finora esaminato, superate le criticitàenunciate, potrà informare il nostro ordinamentopenale contribuendo a far emergere sempre più lapiattaforma culturale comune a tutti gli ordinamen-ti penali europei.

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GiurisprudenzaDiritto penale

Note:

(continua nota 37)denza di legittimità e di suggellare la prevalenza di una soluzioneinterpretativa sulle altre (sent. n. 260 del 1992, n. 292 del 1985,n. 34 del 1977)». Al riguardo, in dottrina, è stato rilevato che il“diritto vivente” rappresenta il precipitato del lavorio esegeticodi una Corte Suprema; cfr. S. Evangelista - G. Canzio, Corte diCassazione e diritto vivente, in Foro it., 2005, c. 84; M.R. Morel-li, Il “diritto vivente” nella giurisprudenza della Corte Costituzio-nale, in Giust. civ., 1995.

(38) Le tracce delle radici comuni ai sistemi penali europei pos-sono essere individuate all’interno dei modelli culturali greco,giudaico e romano come messo in luce da Ramacci, I modellidella giustizia penale, tra mito e storia. Una crisi di trasforma-zione?, in Studi in memoria di Matteo dell’Olio, Torino, 2008,1316 ss.

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OpinioniProcesso penale

Intervento e costituzione di parte civile

Inail e sindacati nel processopenale: disorientamentilegislativi e giurisprudenzialidi Mauro Gualtieri (*)

L’art. 61 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, sotto l’impropria rubrica “Esercizio dei diritti della persona offesa”, ha di-sciplinato la partecipazione di INAIL, sindacati e associazioni dei familiari al processo penale relativo ad in-fortuni sul lavoro. La regolamentazione è apparsa confusa e disorganica, in quanto il primo comma prevedeche gli enti previdenziali debbano essere avvisati della pendenza del procedimento al fine della costituzionedi parte civile, ritenuta però inammissibile secondo interpretazioni giurisprudenziali consolidate. La Corte dicassazione trae comunque spunto dalla nuova norma per cambiare orientamento. Elementi di criticità emer-gono anche dal secondo comma, con il quale si conferisce tortuosamente alle associazioni sindacali e a quel-le dei familiari delle vittime il diritto di intervento di cui “agli articoli 91 e 92” c.p.p., mentre la giurispruden-za è consolidata nel ritenere ammissibile la loro costituzione di parte civile.

Premessa

Il d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 ha provveduto ad unriordino organico della disciplina sulla sicurezza suiluoghi di lavoro, inserendo anche disposizioni di na-tura processuale. Alcune ribadiscono principi già af-fermati, come l’art. 301, secondo il quale l’adempi-mento della prescrizione imposta dall’organo di vigi-lanza e il versamento della sanzione amministrativaprevista dalla legge comportano l’archiviazione de-gli atti relativi alla infrazione (1), mentre il successi-vo art. 302 stabilisce la conversione della pena de-tentiva in pena pecuniaria nei casi di rimozione del-le irregolarità dei fattori di rischio e delle conse-guenze negative del reato entro la conclusione delgiudizio di primo grado (2).Ha invece contenuti innovativi l’art. 61, la cui for-mulazione, peraltro e come si vedrà in prosieguo, ap-pare confusa anche sul piano strettamente lessicalee provoca pertanto gravi dubbi interpretativi. Lanorma, sotto la (impropria) rubrica “Esercizio dei di-ritti della persona offesa”, stabilisce al comma 1 che,in caso di esercizio dell’azione penale per i delitti diomicidio colposo o di lesioni personali colpose, se ilfatto è commesso con violazione delle norme per laprevenzione degli infortuni sul lavoro o relative al-l’igiene del lavoro o «che abbia determinato unamalattia professionale», il pubblico ministero nedebba dare immediata notizia all’INAIL ed all’IPSE-MA (3), in relazione alle rispettive competenze, ai

Note:

(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valu-tazione di un referee.

(1) La norma dispone che per tutti gli illeciti contravvenzionali pre-visti nel decreto si debbano applicare le norme in materia di pre-scrizione dell’organo di vigilanza ed estinzione del reato di cui agliartt. 20 e ss., d.lgs. 19 dicembre 1994, n. 758. Non si tratta dun-que di una novità, ma del richiamo della disciplina già vigente.

(2) È infatti previsto che «1. Per le contravvenzioni previste dalpresente decreto e punite con la sola pena dell’arresto il giudiceapplica, in luogo dell’arresto, la pena dell’ammenda in misura co-munque non inferiore a 8.000 euro e non superiore a 24.000 eu-ro, se entro la conclusione del giudizio di primo grado, risultanoeliminate tutte le irregolarità, le fonti di rischio e le eventuali con-seguenze dannose del reato. 2. La sostituzione di cui al comma1 non è in ogni caso consentita: a) quando la violazione abbiaavuto un contributo causale nel verificarsi di un infortunio sul la-voro; b) quando il fatto è stato commesso da soggetto che abbiagià riportato condanna definitiva per la violazione di norme relati-ve alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, ovvero per i reati dicui agli articoli 589 e 590 del codice penale, limitatamente al-l’ipotesi di violazione delle norme relative alla prevenzione degliinfortuni sul lavoro. 3. Nell’ipotesi prevista al comma 1, il reato siestingue decorsi tre anni dal passaggio in giudicato della sen-tenza senza che l’imputato abbia commesso ulteriori reati in ma-teria di salute e sicurezza sul lavoro, ovvero quelli di cui agli arti-coli 589 e 590 del codice penale, limitatamente all’ipotesi di vio-lazione delle norme relative alla prevenzione degli infortuni sul la-voro. In questo caso si estingue ogni effetto penale della con-danna». Si rileva al riguardo che il citato art. 302 non ha invero al-cuna attinenza con la presente indagine, posto che ne vieneespressamente esclusa l’applicazione nei casi, contemplati dal-l’art. 61, in cui un infortunio si sia verificato.

(3) Istituto di Previdenza per il Settore Marittimo, istituito in luo-go della Cassa Marittima Adriatica, della Cassa Marittima Tirreni-ca, della Cassa Marittima Meridionale per l’Assicurazione degliInfortuni sul Lavoro e le Malattie della Gente di Mare dall’art. 2,

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fini dell’eventuale costituzione di parte civile e del-l’esercizio dell’azione di regresso. Nel comma 2 attri-buisce alle organizzazioni sindacali e alle associazio-ni dei familiari delle vittime di infortuni sul lavoro ilpotere di esercitare i diritti e le facoltà della personaoffesa di cui agli artt. 91 e 92 c.p.p., con riferimentoai reati commessi con violazione delle norme per laprevenzione degli infortuni sul lavoro o relative al-l’igiene del lavoro o che abbiano determinato unamalattia professionale.Si tratta, all’evidenza, di ipotesi diverse, che esigonouna disamina separata.

L’art. 61, comma 1 e la natura degli enti

Nella disposizione viene sostanzialmente trasfusa laprevisione dell’art. 2, legge delega 3 agosto 2007, n.123, il quale, sotto pervero la molto più pertinenterubrica “Notizia all’INAIL, in taluni casi di eserciziodell’azione penale”, stabilisce che «In caso di eserci-zio dell’azione penale per i delitti di omicidio colpo-so o di lesioni personali colpose, se il fatto è com-messo con violazione delle norme per la prevenzio-ne degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene dellavoro o che abbia determinato una malattia profes-sionale, il pubblico ministero ne dà immediata noti-zia all’INAIL ai fini dell’eventuale costituzione diparte civile e dell’azione di regresso» (4).Il cambiamento della rubrica (“Esercizio dei dirittidella persona offesa”) fa sorgere le prime perplessità,in quanto la norma appare chiaramente diretta sol-tanto ad imporre agli uffici requirenti l’obbligo di in-formare l’Inail della pendenza di procedimenti pe-nali per i reati di cui agli artt. 589 e 590 c.p., qualifi-cati da particolari modalità di perpetrazione ovveroda conseguenze determinate, e ciò all’esclusivo finedi consentire la costituzione di parte civile di talienti e l’esercizio dell’azione di regresso. Tali attivitàsono peculiari del soggetto danneggiato e non dellapersona offesa, cui sono attribuiti dal codice di pro-cedura penale poteri ben più ampi della mera propo-sizione dell’azione civile.Se l’intenzione era di riconoscere agli enti citati laqualità di persona offesa, l’obbiettivo deve intender-si fallito, poiché a questo scopo non è certamentesufficiente l’intestazione della norma, atteso che,come si è appena rilevato, il suo contenuto si limitaunicamente ad imporre l’invio di avvisi per even-tuali iniziative risarcitorie ed omette ogni richiamoall’art. 90 c.p.p., sicché il dettato normativo apparesul punto incomprensibile e incongruo.La commissione di un reato implica infatti una le-sione dell’interesse particolare tutelato dalla normaviolata (il cd. danno criminale), sanzionato con l’in-

flizione della pena, al quale, in via solo eventuale, siaccompagna un danno civile (5). La persona offesadeve essere identificata nel titolare particolare del-l’indicato interesse penalmente tutelato, mentredanneggiato è colui il quale subisce le conseguenzepatrimoniali negative derivanti dalla condotta ille-cita ed assume il conseguente diritto alle restituzionio al risarcimento del danno (6). L’assetto normativointrodotto dal nuovo codice di procedura penaleporta ad escludere la necessaria coincidenza fra per-sona offesa e soggetto danneggiato dal reato. Già ladiversa collocazione sistematica è indicativa: la per-sona offesa e il civilmente danneggiato sono disci-plinati in due distinti titoli (il V e il VI), ma anchei poteri loro riconosciuti appaiono differenziati, siatemporalmente che nei contenuti.La persona offesa assume un ruolo di cooperazione edi stimolo all’attività del pubblico ministero sin (epiù che altro) dalla fase delle indagini preliminari; ildanneggiato deve invece differire la propria parteci-pazione al processo attraverso la costituzione di par-te civile, possibile solo dopo la chiusura della faseprocedimentale e nel momento in cui i poteri dellapersona offesa si attenuano sensibilmente. Inoltre,gli artt. 398 e 401 c.p.p. prevedono che la personaoffesa sia avvisata dell’esperimento di un incidenteprobatorio e che il suo difensore possa assistervi,mentre l’art. 404, stesso codice, stabilisce l’ineffica-cia nel giudizio civile della sentenza penale di asso-luzione basata su una prova assunta con incidenteprobatorio a cui il danneggiato non è stato in gradodi partecipare: poiché l’offeso deve essere sempre ci-tato ad intervenire all’incidente probatorio, l’ora ri-cordata previsione normativa significa che può esi-stere anche un danneggiato diverso dalla persona of-fesa. Va aggiunto che depone in favore della tesi

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OpinioniProcesso penale

Note:

(continua nota 3)d.lgs. 30 giugno 1994, n. 479, con finalità e ruoli analoghi al-l’INAIL rispetto agli iscritti alla Gente di mare. L’art. 7 del d.l. 31maggio 2010, n. 78, convertito in l. 30 luglio 2010, n. 122, hasoppresso l’IPSEMA ed attribuito le relative funzioni all’INPS,succeduto in tutti i rapporti attivi e passivi, per cui è a quest’ulti-mo istituto che deve essere riferito ogni richiamo al primo.

(4) L’art. 2 della legge delega è stato abrogato dall’art. 4, comma1, lett. c) del decreto delegato.

(5) Si vedano, in termini, Cass. pen., sez. un., 21 aprile 1979, Pe-losi e Armellini in Cass. pen., 1979, 1074; Cass. pen., sez. VI, 16febbraio 1990, Santacaterina, ivi, 1992, 2431; Cass. pen., sez. I,4 luglio 1986, Di Leo, ivi, 1989, 377; Cass. pen., sez. I, 26 giugno1981, Agnellini, in Cass. pen., 1983, 699.

(6) Cfr., in particolare, P. Gualtieri, Soggetto passivo, persona of-fesa e danneggiato dal reato: profili differenziali, in Riv. it. dir. eproc. pen., 1995, 1071 ss., con ampi richiami di dottrina e giuri-sprudenza.

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esposta anche il contenuto degli artt. 11 e 33, lett.e), c.p.p., ove i termini di persona offesa e danneg-giato vengono utilizzati in alternativa, come distin-te ipotesi di deroga alla competenza o di astensione.La necessità di escludere, al fine della costituzione diparte civile, la coincidenza delle qualità di offeso edanneggiato dal reato, trova infine conferma nellaRelazione al progetto preliminare del codice di pro-cedura penale, ove è scritto che «il nuovo progettoinserendo l’offeso dal reato in un titolo autonomo ri-spetto a quello dedicato alle parti private diversedall’imputato, ha inteso appunto sottolineare il ruo-lo ad esso assegnato rispetto al danneggiato: mentreall’uno quale titolare dell’interesse leso dalla normadi diritto sostanziale violata sono riconosciuti facol-tà e diritti sin dalla prima fase delle indagini preli-minari, all’altro (nel caso in cui non sia anche per-sona offesa) è potenzialmente assegnato un ruoloprocessuale solo in quanto il procedimento sia per-venuto alla fase indicata all’art. 78 (nel testo defini-tivo art. 79) così da consentire la possibilità dellacostituzione di parte civile».D’altro canto, la giurisprudenza si è ormai saldamen-te consolidata su tali posizioni (7).In dottrina, facendo leva sui principi espressi dagliartt. 1, 35, 38, comma 2, e 41, comma 2, Cost., si èaffermato che la commissione dei reati di cui agliartt. 589 e 590 c.p. con violazione delle norme inmateria di prevenzione degli infortuni sul lavoro co-stituirebbe illecito plurioffensivo, rispetto al qualeanche l’Inail assumerebbe la veste di soggetto passivoin quanto «Ente strumentale dello Stato deputato adare concreta attuazione alla tutela privilegiata del-l’integrità psicofisica» del lavoratore (8). L’opinione,tuttavia, non è condivisibile, poiché le ipotesi previ-ste dagli artt. 589, comma 2, e 590, comma 3, c.p.non costituiscono fattispecie autonome di reato, macircostanze aggravanti (9) e conservano integral-mente la loro natura di delitti contro la persona, percui non è ravvisabile in essi, neppure in via concor-rente, una finalità di tutela del patrimonio dell’enteassicurativo né la protezione del bene giuridico dellasicurezza sul lavoro, alla quale provvedono le normespeciali in materia. In effetti, la corte di legittimitàha correttamente ritenuto che esse integrino un con-corso di reati tra l’omicidio colposo aggravato e lecontravvenzioni in materia di circolazione stradale osicurezza del lavoro, escludendo la sussistenza di unreato complesso, in quanto queste ultime disposizio-ni vengono richiamate in modo generico e compren-dono anche le mere regole prive di sanzione (10).Logico corollario di questi rilievi è che l’Inail siamero danneggiato dal reato e non possa pertanto

esercitare i diritti e le facoltà previsti dall’art. 90c.p.p. e dalle altre norme che disciplinano i poteridella persona offesa dal reato e la sua partecipazionenel processo penale (11).La conclusione, del resto, trova espressa confermanel testo della disposizione, nel quale si fa riferimen-to alla costituzione di parte civile e all’esercizio del-l’azione di regresso, vale a dire a pregiudizi economi-ci di natura patrimoniale: ed appare opportuno ri-cordare come, secondo costanti orientamenti, dal-l’azione di surroga dell’Inail resta escluso il dannonon patrimoniale, che ha natura esclusivamentepersonale (12).

La costituzione di parte civile dell’Inail

Bisogna ora domandarsi se la disposizione abbia sorti-to un qualche effetto rispetto alla legittimazione degliIstituti in parola a costituirsi parte civile nel procedi-

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OpinioniProcesso penale

Note:

(7) Si vedano, in materia, ex plurimis, Cass. pen., sez. I, 8 no-vembre 2007, Sommer, in Cass. pen., 2009, 4040; Cass. pen.,sez. VI, 4 novembre 2004, Caprini, in Arch. nuova. proc. pen.,2006, 232; Cass. pen., sez. IV, 12 febbraio 2002, n. 16004, An-gelini, in Guida dir., 2002, 25, 76; Cass. pen., sez. V, 11 aprile2000, Toscano, in Guida dir., 2000, 23, 79; Cass. pen., sez. V, 22gennaio 1999, Troisi, in Guida dir., 1999, 17, 86; cfr. altresì, le nu-merose decisioni in tema di opposizione alla richiesta di archivia-zione, riservata soltanto a chi rivesta la natura di persona offesadal reato e negata al mero danneggiato, tra le più recenti, Cass.pen., sez. VI, 16 dicembre 2010, Brandimarte, in Guida dir.,2011, 9, 75; Cass. pen., sez. III, 3 dicembre 2010, Ricotti, in Fo-ro it., 2011, II, 273; Cass. pen., sez. VI, 16 giugno 2009, Iannuz-zi, in Guida dir., 2009, 38, 50; Cass. pen., sez. III, 14 gennaio2009, n. 6229, in Cass. pen., 2010, 2325.Sui riflessi di questa distinzione sulla costituzione di parte civile,vedi infra nota 20.

(8) L. La Pecerella, Azione di regresso dell’Inail e processo pena-le, Relazione tenuta presso il CSM il 10 dicembre 2007 all’incon-tro di studio sul tema La tutela della sicurezza del Lavoro; delmedesimo avviso anche S. Toriello, Il ruolo dell’Inail nel proces-so penale per reati commessi con violazione di norme antinfor-tunistiche, in Dir. relaz. ind., 2009, 4, 1049.

(9) Cfr. Patalano, Omicidio, in Enc. dir., vol. XXIX, Milano, 1989,1014; Cass. pen., sez. IV, 4 marzo 1994, Stellan, in Cass. pen.,1995, 2153; si veda anche più recentemente Cass. pen., sez. IV,29 ottobre 2009, Corridoni, in Cass. pen., 2010, 2811.

(10) Cass. pen., sez. IV, 29 ottobre 2009, Corridoni, in Cass.pen., 2010, 2811.

(11) Senza pretese di completezza, si fa rinvio agli artt. 97 com-ma 2, 98, 101, 121, 194, 228, 236, 332 comma 1, 347 comma 2,335, 341, 360, 369, 391-bis e ss., 394, 398, comma 3, 401 com-mi 1 e 3, 406 comma 5, 408, 409 comma 2, 410, 413, 419, 428comma 3, 429 comma 4, 451 comma 2, 456 comma 3, 458, 459comma 1, 465, 467, 572, 558 e 560 c.p.p.; art. 33 att. c.p.p.; artt.21 e 34 comma 2, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274; artt. 120 e ss.e 609-decies c.p.; art. 31, d.p.r. 22 settembre 1988, n. 488; art.174, l. 22 aprile 1941, n. 633; art. 12, l. 8 febbraio 1948, n. 47.

(12) Corte cost. 27 dicembre 1991, n. 485, in Giust. civ., 1992, I,1677, e, recentemente, Cass. civ., sez. lav., 22 giugno 2011, n.13681, in Foro it., 2011, I, 3024; Cass. civ., sez. lav., 3 marzo2011, n. 5134, in Giust. civ. Mass., 2011, 346.

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mento penale per omicidio o lesioni colpose di un la-voratore, cui sia conseguito l’obbligo dell’ente assicu-rativo a procedere all’erogazione delle indennità pre-viste dalla legge. Tale legittimazione è stata in passatoesclusa, essendosi consolidato l’indirizzo per il quale ilpregiudizio patrimoniale sofferto dall’Inail per effettodell’erogazione del risarcimento in favore del lavora-tore assicurato non costituisce danno risarcibile aisensi dell’art. 185 c.p., ma dà luogo ad una mera azio-ne di regresso fondata sull’art. 1916 c.c. (13).A pochi mesi dal varo della nuova normativa e pro-nunciandosi su un caso di costituzione di parte civileeffettuata diversi anni prima della sua entrata in vi-gore, la corte di cassazione ha accolto la soluzione perla quale il comma 1 dell’art. 61 del d.lgs. 9 aprile2008, n. 81 e ancor prima, l’art. 2 della legge delega3 agosto 2007, n. 123, avrebbero aperto le porte al-l’esercizio in sede penale dell’azione di regresso eser-citata dall’ente assicurativo per gli infortuni sul lavo-ro ex art. 1916 c.c. (14). La decisione, dopo aver ri-chiamato gli indirizzi espressi in materia dalle propriesezioni civili, afferma che le nuove disposizioni sonostate poste al precipuo fine di coordinare in manieraopportuna i rapporti tra azione civile di regresso eazione penale ed ha richiamato le due possibili e con-trapposte soluzioni interpretative sopra illustrate,pervenendo alla conclusione che, con l’art. 61, d.lgs.n. 81 del 2008, si è voluto dare all’Inail la facoltà diagire indifferentemente in sede penale o civile per ilrecupero degli indennizzi erogati. Nel dare tuttaviaatto dell’assenza di «elementi di sostegno ricavabilidai lavori preparatori» a conferma della opzione in-terpretativa, il collegio ha attribuito primario rilievo«alla generale ratio» dell’intervento normativo, persostenere che «la disposizione in esame deve essereintesa nel significato atto a conferirle la più ampiapregnanza nella prospettiva anzidetta di un rafforza-mento degli strumenti che possono rendere efficacela protezione dei lavoratori», per cui deve ritenersiche con essa, pur nella sua laconicità, il legislatore havoluto riconoscere la peculiare posizione dell’Inailanche in relazione all’azione di regresso quale ripetu-tamente sottolineata anche dalla corte costituziona-le, e consentire così la sua costituzione di parte civi-le: ferma restando la diversità dell’azione di regressoda quella di risarcimento del danno, sarebbe rimessaall’Istituto la scelta tra tali azioni, secondo le regoleordinarie dettate dai codici di rito.Al di là delle conclusioni raggiunte, l’impianto argo-mentativo della sentenza non appare convincente esi presta a numerosi rilievi critici. Va preliminarmen-te rilevato come la corte di legittimità sia andata ol-tre le censure mosse dall’Inail, che nel ricorso ha de-

dotto la violazione degli artt. 74 c.p.p. e 185 c.p., as-sumendo come la normativa di settore vigente dimo-strasse che la sua finalità istituzionale fosse quella digarantire la tutela dell’integrità psico-fisica della per-sona nell’esercizio dell’attività lavorativa, che rap-presenta il bene protetto dai reati di cui agli artt. 589,comma 2, e 590, comma 3, c.p., la cui commissione èlesiva non solo la sfera della vittima ma anche l’inte-resse della collettività alla tutela della salute e sicu-rezza sul lavoro, del quale l’Istituto è diretto portato-re (15). Ha aggiunto che, quand’anche non gli si vo-lesse riconoscere la funzione di tutela del bene offesodalla commissione del reato, sarebbe errato escluderela sua possibilità di costituirsi parte civile per eserci-tare l’azione di regresso, poiché, diversamente daquanto affermato dalla corte di merito, il pagamentodi prestazioni non trova la sua esclusiva base giuridi-ca nel rapporto assicurativo, ma rappresenta un dan-no derivante all’Istituto come conseguenza di unaazione penalmente punibile (16).

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Note:

(13) In particolare, è stato affermato che il giudizio instaurato dal-l’Inail nei confronti del datore di lavoro per ottenere il rimborso diquanto corrisposto per il danno patito da un lavoratore infortunatonon è soggetto a sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c., nonessendo l’Istituto parte nel giudizio penale, né legittimato a costi-tuirsi parte civile, non trattandosi della proposizione di un’azionecivile per le restituzioni e il risarcimento del danno da reato, madell’azione di regresso, diversa da quelle considerate dall’art. 74c.p.p.: cfr. Cass. civ., sez. lavoro, 9 giugno 2010, n. 13790, inGiust. civ. Mass., 2010, 874; Cass. civ., sez. lavoro, 25 agosto2004, n. 16874, in Giust. civ. Mass., 2004, 2175; Cass. civ., sez. la-voro, 1 marzo 2001, n. 2952, in Giust. civ., 2001, I, 371; Cass.pen., sez. I, 31 maggio 1985, Faccioli, in Cass. pen., 1987, 1199.

(14) Cass., sez. IV, 9 ottobre 2008, INPS, in Cass. pen., 2010,286; in senso conforme Trib. Torino, 1 marzo 2010, Schmidtheinyin Foro It., 2010, IV, 203; la facoltà di costituzione di parte civile èstata data per implicita anche nella decisione Cass. civ. sez. lavo-ro, 9 giugno 2010, n. 13790, in Giust. civ. Mass., 2010, 874.

(15) Ha rilevato in particolare l’Inail, recependo nel proprio ricor-so le tesi richiamate alla nota 8 e qui criticate, di essere entestrumentale dello Stato, deputato a dare attuazione ai principicostituzionali di cui agli artt. 35, 38, comma 2, e 41, comma 2,cost.; e in caso di reati plurioffensivi la qualificazione quanto me-no di “danneggiato” dal reato andrebbe riconosciuta a tutti i sog-getti ed istituzioni portatori degli interessi lesi.

(16) Ad avviso dell’Inail sarebbe pertanto evidente ed innegabileil suo interesse a costituirsi parte civile nei casi di condotta illeci-ta del datore di lavoro, atteso che, ove tale condotta fosse stataconforme alle prescrizioni normative, non avrebbe causato ildanno alla persona e non vi sarebbe stato il conseguente inden-nizzo a favore della vittima del reato. A sostegno di queste tesisono state richiamate Cass. civ., sez. un., 21 febbraio 2002, n.2515, in Giust civ. Mass., 2002, 271, e Cass. pen., sez. VI, 4 no-vembre 2004, n. 7259, in Arch. nuova proc. pen., 2006, 2, 232,secondo cui la responsabilità civile del colpevole sussiste nonsoltanto in relazione all’offesa del bene oggetto della specificatutela penale, ma anche in relazione ad ogni altro interesse pa-trimoniale o non patrimoniale riconducibile nell’ambito della con-dotta delittuosa in virtù di un nesso di derivazione eziologico.

(segue)

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Ma, soprattutto, pur in assenza di espressi richiaminella motivazione, il supremo collegio sembra avereattribuito alla nuova norma natura di interpretazio-ne autentica delle disposizioni previgenti, posto chenon sarebbe altrimenti stato possibile, per il princi-pio tempus regit actum, dichiarare ammissibile la co-stituzione di parte civile sottoposta al vaglio delladecisione, risalente all’anno 2006: e ciò appare unaautentica forzatura del dato normativo. Per addive-nire alla declaratoria di ammissibilità della costitu-zione di parte civile dell’Inail non era infatti invoca-bile la nuova disposizione, se non ad ulteriore con-ferma, ma si doveva prendere le mosse da una revi-sione critica degli indirizzi maturati nella giurispru-denza civile, secondo i quali l’azione di regresso neiconfronti del datore di lavoro sarebbe distinta ed au-tonoma rispetto ad una comune azione di restituzio-ne o risarcimento del danno ex art. 74 c.p.p. e puòessere promossa solo in sede civile, con una azionedel tutto autonoma rispetto all’esito del processo pe-nale, in quanto l’Istituto non è “offeso” dal reato, le-gittimato ad esercitare nel processo penale l’azionecivile per le restituzioni e per il risarcimento deldanno (art. 185 c.p.) nei confronti dell’imputato odel responsabile civile (art. 74 c.p.p.), e non è rinve-nibile alcuna legge speciale che ne consenta la co-stituzione di parte civile, sia pur nei limiti di quantoprevisto dall’art. 212 disp. att. c.p.p. (17).Orbene, se è esatta l’affermazione per cui l’Inail nonè soggetto passivo del reato, appare invece errato de-durre dalla esperibilità autonoma del diritto di rival-sa la inammissibilità di addivenire alla costituzionedi parte civile per far valere il diritto al rimborso diquanto erogato a seguito di un infortunio. Nemmenola persona offesa e danneggiata è obbligata ad eserci-tare l’azione civile nel processo penale, ben potendooptare per la sola sede civile, e comunque il diritto disurroga previsto dall’art. 1916 c.c. comporta la suc-cessione a titolo particolare nel credito, con conse-guente trasferimento in capo all’assicuratore di tutti idiritti facenti capo all’assicurato - danneggiato (18).Ed è stato recentemente ribadito che l’azione di re-gresso, con la quale l’Inail fa valere in giudizio unproprio credito in rivalsa, è «assimilabile a quella dirisarcimento danni promossa dall’infortunato, attesoche il diritto viene esercitato nei limiti del comples-sivo danno civilistico ed è funzionale a sanzionare ildatore di lavoro, consentendo, nel contempo, di re-cuperare quanto corrisposto al danneggiato» (19).Da tale successione nel diritto sostanziale deriva lafacoltà del successore di costituirsi parte civile, trat-tandosi di colui il quale è divenuto titolare - almenoin parte - del diritto al risarcimento del danno ca-

gionato dal reato e risarcibile secondo le previsionidi cui agli artt. 185, comma 2, c.p. e 74 c.p.p. Inve-ro, alla stregua di costanti orientamenti, l’eserciziodell’azione civile nel processo penale non è riserva-ta alla sola persona offesa dal reato, ma è consentitoa chiunque abbia ricevuto un danno risarcibile inconseguenza della condotta illecita, secondo il para-digma di cui all’art. 185 c.p. (20). Ciò che rileva,

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Note:

(continua nota 16)L’Istituto ricorrente ha, infine, rilevato come sia ben nota laestensione giurisprudenziale della nozione di danneggiato dareato, il quale non si identifica solo nel soggetto passivo, ed hasottolineato che il disposto dell’art. 2, l. n. 123 del 2007 «ha va-lore ricognitivo e chiarificatore della preesistente possibilità del-l’Inail di costituirsi parte civile».

(17) Cass. civ., sez. lavoro, 1 marzo 2001 n. 2952, in Giust. civ.Mass., 2001, 371; Cass. civ., sez. lavoro, 25 agosto 2004, n.16874, ivi, 2004, 2175: all’Istituto viene però riconosciuta la pos-sibilità di agire in regresso senza attendere l’instaurazione o l’esi-to del procedimento penale, non sussistendo, secondo la preva-lente interpretazione civile, alcuna pregiudizialità tra i due giudizi,pur in presenza delle disposizioni del d.p.r. n. 1124 del 1965, art.10 (in quanto, come chiarito da Corte cost. 19 giugno 1981, n.102, la condanna penale non configura elemento di diritto so-stanziale del regresso). Si è pertanto affermato che «In base aldiritto vivente formatosi anche in seguito ai numerosi interventidella Corte costituzionale in materia, l’azione di regresso del-l’INAIL nei confronti del datore di lavoro o dei suoi preposti alladirezione dell’azienda o alla sorveglianza dell’attività lavorativa,ritenuti civilmente responsabili di un infortunio verificatosi indanno di un dipendente è esercitabile autonomamente senzadover necessariamente attendere l’instaurazione o l’esito delprocedimento penale per il fatto da cui è derivato l’infortunio esenza che, quindi, assuma alcun rilievo l’eventuale conclusionedi tale ultimo procedimento con un provvedimento di archivia-zione o di proscioglimento in sede istruttoria» (Cass. civ., sez. la-voro, 14 luglio 2001, n. 9601, in Giust. civ. Mass., 2001, 1399).

(18) «Il diritto di surrogazione dell’assicuratore che ha pagatoun’indennità all’assicurato danneggiato ex art. 1916 c.c. si risolvein una peculiare forma di successione nel diritto di credito dell’as-sicurato verso il terzo responsabile, nei limiti dell’indennizzo ver-sato...»: Cass. 23 febbraio 2009, n. 4347, in Resp. civ. e prev.,2009, 1915; vedi in senso conforme, tra le più recenti, Cass. 12febbraio 2010, n. 3356, in Arch. giur. circ. sin., 2010, 393; Cass. 17maggio 2007, n. 11457, in Resp. civ. e prev., 2007, 2436; Cass. 19marzo 2004, n. 9469, in Assicurazioni, 2005, II, 10; Cass. 3 dicem-bre 2002, n. 17157, in Giust. civ. Mass., 2002, 2107.

(19) Cass. civ., sez. lav, 3 marzo 2011, n. 5134, in Giust. civ.Mass., 2011, 346.

(20) Si veda in proposito, amplius, P. Gualtieri, La tutela di inte-ressi lesi dal reato tra intervento e costituzione di parte civile, inRiv. it. dir. e proc. pen., VI, 1996, 1912 ss. nonché Aimonetto,Persona offesa dal reato, Enc. Diritto XXXIII, Milano 1983, 320;Tranchina, Persona offesa dal reato, Enc. giur. Treccani XXIII, Ro-ma 1990, 2; in giurisprudenza, ex plurimis, cfr. Cass. pen., sez.VI, 10 luglio 2000, Negri Caporale, in Guida dir., 2000, 42, 94;Cass. pen., sez. V, 11 aprile 2000, Toscano, in Cass. pen., 2011,1297; Cass. pen., sez. VI, 28 settembre 1999, Taboni, ivi, 2000,2306; Cass. pen., sez. V, 22 gennaio 1999, Troisi, in Guida dir.1999, 17, 86; contra, isolatamente, sostengono che la costitu-zione di parte civile dovrebbe essere consentita solo al danneg-giato che riveste la contemporanea qualità di persona offesa dalreato Giarda, La persona offesa dal reato nel processo penale,Milano 1971, 26, e Cass. pen., sez. II, 3 novembre 1972, Marco-ni, in Cass. pen., 1974, 137.

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dunque, è la sussistenza di un pregiudizio economi-camente valutabile a carico di taluno, senza esigereche costui sia anche persona offesa.Poiché la responsabilità civile da reato deve essereconsiderata come una specie del più ampio genus de-gli illeciti extracontrattuali, una eventuale limita-zione dell’esperibilità dell’azione risarcitoria in sedepenale al solo danno sofferto da chi assume la vestedi persona offesa, dovrebbe essere espressamenteprevista, mentre, in realtà, l’art. 74 c.p.p. estendeanche ad altri soggetti l’esercizio di tale pretesa ri-sarcitoria. Al riguardo, non pare possa dubitarsi chei presupposti per l’esercizio dell’azione civile nelprocesso penale differiscano da quelli richiesti per lasua proposizione in sede civile unicamente per il fat-to che, nel primo caso, deve trattarsi di un danno di-pendente dalla commissione del reato (art. 74c.p.p.): tanto vero che questa azione può essere tra-sferita nel processo penale fino a quando nel giudiziocivile non sia stata pronunciata sentenza di merito epuò ivi proseguire se il trasferimento non vi è stato oessa è stata iniziata quando non è più ammessa la co-stituzione di parte civile (art. 75, commi 1 e 2,c.p.p.). Le considerazioni svolte portano ad ammet-tere che soggetti titolari di interessi non direttamen-te tutelati dalla norma penale, ma lesi in un propriodiritto soggettivo (21), possano costituirsi parte ci-vile per ottenere la condanna dell’imputato al risar-cimento dei danni subiti e dipendenti causalmentedalla sua condotta, la quale integra, allo stesso tem-po, un illecito penale ed uno extracontrattuale civi-le, valutabili disgiuntamente: la persona offesa dalreato viene ammessa a richiedere la riparazione an-che del danno non patrimoniale, preclusa invece achi non rivesta tale qualità, legittimato invece adottenere il ristoro del solo danno patrimoniale.A prescindere dalle disposizioni dell’art. 61, comma1, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, e con riguardo a tutti gliassicuratori, privati o pubblici che siano, l’eserciziodel diritto di regresso deve dunque essere consentitosia in sede civile, che in sede penale, in quanto sitratta di far valere un diritto che il danneggiato haceduto e che, in difetto di trasferimento, avrebbepotuto far valere in prima persona.Certamente la formulazione dell’art. 61, comma 1,in discussione è infelice, specie nel titolo, ed insuffi-ciente, poiché si limita a prevedere l’obbligo di in-vio dell’avviso all’Inail, senza riconoscere espressa-mente il diritto all’esercizio dell’azione civile nelprocesso penale, ma un siffatto obbligo a carico delp.m. sarebbe privo di senso se non fosse diretto pro-prio a tale fine, ferma restando la possibilità per l’en-te di scegliere liberamente la strada da perseguire.

Con una conseguenza però di grande rilievo: la co-municazione, infatti, avrebbe l’effetto di rendereoperativa la preclusione all’esercizio dell’azione insede civile o amministrativa per le restituzioni e il ri-sarcimento del danno, stabilita nell’art. 652, comma1, ultima parte, c.p.p., in caso di assoluzione dell’im-putato, poiché appare difficilmente contestabile chel’Inail, con il suo ricevimento, venga posta in gradodi costituirsi parte civile.L’Istituto, pertanto, non potrà più seguire dall’ester-no il processo penale e decidere al suo esito qualiiniziative giudiziarie intraprendere, senza trovareostacoli in un giudicato penale di proscioglimento(22).

L’obbligo di dare notizia

Anche sotto questo profilo il testo della norma ap-pare gravemente carente, non risultando determina-ti i tempi e le modalità attraverso i quali gli enti de-vono ricevere la notizia.Il riferimento all’esercizio dell’azione penale e lastessa previsione della eventualità di costituzione diparte civile inducono a ritenere che l’avviso nonpossa essere inviato durante le indagini preliminari,ma solo dopo la loro conclusione e la formulazionedella imputazione. Si afferma che la comunicazionedeve essere immediata, ma la previsione manca ditassatività, poiché non è espressamente ricollegata aspecifici atti e momenti processuali e non è soggettaad invalidità in caso di ritardo od omissione.L’ipotesi più plausibile è dunque che essa vada invia-ta al momento della emissione del decreto di cita-zione o, in casi residuali, della richiesta di rinvio agiudizio: ma tali atti non devono essere notificatiagli Istituti, in quanto non sono persone offese (arg.ex art. 552, comma 3, 419, comma 1, e 178, comma1, lett. c), c.p.p.).Quanto alle forme, la norma è del tutto silente.

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Note:

(21) Ad esempio, in un procedimento penale per lesioni colpose,il terzo proprietario di un veicolo rimasto danneggiato: cfr. in ter-mini, Cass. pen., 8 maggio 1984, Vespa, in Arch. giur. circ., 1985,403.

(22) Tale soluzione era l’effetto della sentenza della Corte cost.19 giugno 1981, n. 102, in Giust. civ., 1981, I, 2466, la quale hadichiarato costituzionalmente illegittimo - per violazione dell’art.24 Cost. - il combinato disposto degli artt. 10 e 11 d.p.r. 30 giu-gno 1965, n. 1124, nella parte in cui preclude in sede civilel’esercizio del diritto di regresso dell’Inail nei confronti del dato-re di lavoro qualora il processo penale contro di lui o di un suo di-pendente per il fatto dal quale l’infortunio è derivato si sia con-cluso con sentenza di assoluzione ovvero con proscioglimento insede istruttoria o con archiviazione, malgrado che l’istituto nonsia stato posto in grado di partecipare al detto procedimento pe-nale.

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Appare logico desumere che la comunicazione dellanotizia debba avvenire per iscritto e contenere gliestremi del procedimento penale cui si riferisce, on-de consentire una esatta individuazione del fatto. Atal fine sarebbe preferibile anche l’indicazione dellaimputazione e non del solo titolo del reato, così co-me avviene nell’avviso ex art. 415-bis c.p.p. e neiprovvedimenti di rinvio a giudizio. La legale cono-scenza della comunicazione va assicurata attraversola notificazione da parte dell’ufficiale giudiziario, aisensi dell’art. 148 c.p.p., in quanto non sembra ap-plicabile l’art. 151 stesso codice, che riguarda unica-mente le notificazioni di atti del p.m. durante le in-dagini preliminari e nemmeno il comma 2-bis del ci-tato art. 148, che consente l’utilizzazione di mezzitecnici idonei unicamente per le notificazioni al di-fensore.Poiché, come avanti rilevato, l’Inail non può consi-derarsi persona offesa dal reato e manca una espres-sa previsione di nullità, in caso di omessa comunica-zione non si verifica la invalidità di cui all’art. 178,comma 1, lett. c), c.p.p. e la violazione dell’obbligopotrebbe assumere rilievo soltanto sul piano disci-plinare per il p.m.

L’ambito di applicazione della norma

L’ambito applicativo dell’art. 61, comma 1, d.lgs. n.81 del 2008, è testualmente limitato alle lesioni o al-la morte «se il fatto è commesso con violazione del-le norme per la prevenzione degli infortuni sul lavo-ro o relative all’igiene del lavoro o che abbia deter-minato una malattia professionale».Va steso un velo pietoso sull’inciso «che abbia de-terminato una malattia professionale», del qualenon si riesce con certezza neppure ad individuare ilsoggetto, secondo le regole dell’analisi logica egrammaticale. Il riferimento, invero, non dovrebbeessere tanto al “fatto”, quanto alla “violazione” (mapoco cambia), per cui i casi contemplati dovrebbe-ro (il condizionale è d’obbligo) essere tre e segnata-mente: a) la violazione delle norme per la preven-zione degli infortuni sul lavoro; b) la violazione del-le norme relative all’igiene del lavoro; c) la viola-zione che abbia determinato una malattia professio-nale.Ciò posto, per le ipotesi più facilmente intellegibili(sub a e b) occorre anzitutto chiedersi se la disposi-zione in esame sia operativa in costanza di una vio-lazione anche generica dei semplici doveri di pru-denza e protezione o se operi solo in presenza di vio-lazioni specifiche. La conclusione più aderente aldettato normativo è quella per la quale si debba ave-re riguardo a qualsiasi violazione di norme speciali,

anche non espressamente sanzionate in sede penaleo amministrativa (ad esempio l’art. 2087 c.c.), conesclusione dunque degli illeciti derivanti dalla viola-zione del generico obbligo di prudenza, la cui osser-vanza costituisce comunque generale obbligo del da-tore di lavoro. Diversamente, il richiamo alla “viola-zione delle norme” sarebbe privo di significato.Ma, in proposito, assumerà rilievo la contestazioneeffettuata nel capo di imputazione.Il caso della malattia professionale presenta invececontorni scarsamente comprensibili ed eccentrici.L’unica soluzione parrebbe di ricondurre la ipotesialla sola integrazione dell’art. 590 c.p., a prescinderedalla violazione delle specifiche norme dettate inmateria di tutela dei lavoratori e restando escluso ildelitto di omicidio colposo (23). In altre parole, nelristretto ambito della malattia professionale dovutaa colpa generica, la norma consentirebbe la costitu-zione di parte civile dell’Ente anche in difetto dispecifiche violazioni addebitabili al datore di lavoro.

Organizzazioni sindacali e associazioni dei familiari delle vittime

Se il comma 1 della disposizione in esame presenta inumerosi aspetti problematici avanti rilevati, il se-condo è a dir poco sconcertante.Esso, sotto la rubrica “Esercizio dei diritti della per-sona offesa”, attribuisce alle organizzazioni sindaca-li e alle associazioni dei familiari delle vittime di in-fortuni sul lavoro l’esercizio dei diritti e delle facol-tà della persona offesa, di cui agli artt. 91 e 92c.p.p., con riferimento ai reati commessi con viola-zione delle norme per la prevenzione degli infortu-ni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o cheabbiano determinato una malattia professionale. Lanorma ha dunque un contenuto applicativo piùesteso rispetto a quello del comma 1, in quantomanca il riferimento ai delitti di lesioni personalied omicidio e si indicano genericamente tutti i rea-ti «commessi con violazione delle norme per la pre-venzione degli infortuni sul lavoro o relative al-l’igiene del lavoro o che abbiano determinato unamalattia professionale».Sorvolando sull’ennesimo bisticcio lessicale («han-no facoltà di esercitare ... le facoltà»), si rileva che il

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Nota:

(23) La disposizione avrebbe potuto essere più felicemente edequamente formulata, prevedendo - ad esempio - un riferimen-to al fatto «commesso con violazione delle norme per la preven-zione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali o re-lative all’igiene del lavoro», di tal che non vi sarebbe stata alcunadistinzione applicativa, né, tantomeno, alcun dubbio, rispetto al-le malattie professionali ed all’omicidio.

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richiamato art. 91 c.p.p. disciplina i poteri degli en-ti e delle associazioni rappresentativi di interessi lesidal reato, conferendo loro l’esercizio in ogni stato egrado del procedimento dei diritti e delle facoltà at-tribuiti alla persona offesa dal reato, a certe condi-zioni (mancanza di fine di lucro e riconoscimento inforza di legge anteriormente alla commissione delfatto delle finalità di tutela degli interessi lesi dalreato).L’art. 92 subordina tale esercizio al consenso dellapersona offesa, da prestare con atto pubblico o scrit-tura privata autenticata in favore di uno solo deglienti o associazioni e liberamente revocabile, senzatuttavia possibilità di sostituzione con altra associa-zione. Va aggiunto, che il successivo art. 93 c.p.p.prescrive che questi diritti e facoltà vanno espletaticon l’atto di intervento e l’art. 212 delle disposizionidi coordinamento c.p.p. stabilisce che al di fuori del-le ipotesi indicate nell’art. 74 c.p.p. è consentito sol-tanto l’intervento, nei limiti e alle condizioni previ-ste dagli artt. 91, 92, 93 e 94 c.p.p.Ancora una volta, quindi, la rubrica della norma ap-pare inconferente, poiché il comma 2 in esame nonsi riferisce affatto alla persona offesa, che nel caso dispecie deve essere individuata nel lavoratore rima-sto vittima di uno dei delitti indicati nella norma e,in caso di morte, dai suoi prossimi congiunti, ai sen-si dell’art. 90, comma 3, c.p.p.Inoltre, il riferimento all’art. 92 (che disciplina ilconsenso della persona offesa all’intervento) è a dirpoco bizzarro, poiché la dizione utilizzata, se inter-pretata letteralmente («le organizzazioni sindacali ele associazioni hanno la facoltà di esercitare i dirittie le facoltà di cui agli artt. 91 e 92»), porterebbe al-la assurda conseguenza che l’espressione del consen-so all’intervento sarebbe demandato a tali enti. De-ve allora ritenersi che vi sia un evidente errore diformulazione e, per attribuire un qualche significatoalla previsione, occorre fingere che la locuzione «dicui agli» sia in realtà «ai sensi degli» e che il legisla-tore abbia conseguentemente voluto attribuire alleorganizzazioni ed associazioni in parola la qualificadi enti rappresentativi degli interessi lesi dal reato.Per tentare di mettere ordine a tale confuso quadronormativo, sembra si debba ritenere che, ferma re-stando la necessità del consenso della persona offe-sa, la disposizione costituisca un riconoscimento le-gislativo delle organizzazioni sindacali e delle asso-ciazione dei familiari delle vittime di infortuni sullavoro quali enti rappresentativi di interessi lesi dalreato privi di fine di lucro e consenta quindi lorol’intervento per fatti successivi alla sua entrata in vi-gore.

Questa lettura viene del resto confermata dall’esamecomparato dei due commi, che evidenzia l’intenzio-ne del legislatore di sottoporre ad un trattamentogiuridico differenziato l’Inail da un lato e le organiz-zazioni sindacali e alle associazioni delle vittime diinfortunio sul lavoro, dall’altro. Il diritto di costi-tuirsi parte civile viene infatti attribuito soltanto aiprimi e (implicitamente) negato alle seconde, per lequali è prevista unicamente la possibilità partecipa-re al procedimento penale nelle forme dell’interven-to, con le notevoli limitazioni sopra evidenziate, co-me attesta l’espresso riferimento agli artt. 91 e 92c.p.p., sulla falsariga di quanto stabilito dall’art. 212disp. coord. c.p.p.La scelta è in linea di principio condivisibile, poi-ché si inserisce perfettamente nello schema dise-gnato in materia dal codice di procedura penale,che ha stabilito uno stretto e indissolubile paralleli-smo fra la tutela di un interesse collettivo, ottenibi-le attraverso l’intervento a norma degli artt. 91 ss.,e la difesa di diritti soggettivi, da attuarsi mediantela costituzione di parte civile ex artt. 74 ss. (24): e laprevisione dell’art. 212 disp. att. ha chiuso il cer-chio, imponendo la trasformazione in interventodel predetto potere di costituzione di parte civile, sein precedenza conferito (25). E, sotto altro aspetto,appare opportuno limitare, e non ampliare, la possi-bilità di costituzione di parte civile, la quale con-sente autonome iniziative, che potrebbero essere incontrasto con la volontà della persona offesa, e al-tera la dialettica processuale, in quanto moltiplica isoggetti di accusa e rende così più difficile la difesadell’imputato.

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Note:

(24) Cfr., in termini, P. Gualtieri, La tutela di interessi lesi dal rea-to fra intervento e costituzione di parte civile, in Riv. it. dir. eproc. pen., 1996, 110.

(25) Nella Nota illustrativa all’art. 6 del progetto preliminare dellenorme di coordinamento (poi tradottosi, con modifiche, nell’art.212 del testo definitivo) in Conso-Grevi-Neppi Modona, Il nuovocodice di procedura penale. Dalle leggi delega ai decreti delega-ti, vol. VI, tomo II, Padova, 1989, 46, si precisa che «tutte le nor-me che consentono la costituzione di parte civile a soggetti aiquali il reato non ha recato danno sono in contrasto sia con le di-rettive, sia con il sistema del nuovo codice e sono state abroga-te. In particolare, non potevano restare in vigore le norme di ca-rattere eccezionale che consentono la costituzione di parte civi-le ad enti o associazioni che si prefiggono la tutela di interessidiffusi (associazioni di consumatori, associazioni ambientalisti-che etc.), in quanto la nuova normativa regola ex novo la fatti-specie, consentendo l’intervento nel processo solo ove sussi-stano determinate condizioni, ed entro ben precisi limiti». Anchenelle Osservazioni governative all’art. 6 del progetto definitivodelle norme di coordinamento si ribadisce che «la normativa co-dicistica in tema di interventi dei c.d. enti esponenziali deve es-sere applicata senza eccezioni» (ancora in Conso-Grevi-NeppiModona, op. cit., 72).

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Non si dubita però che questa sorta di declassamen-to delle associazioni sindacali, che si dovrebbero ve-dere impedita la partecipazione diretta ed autonomaal processo penale, anche in dissenso con la personaoffesa, sarà disattesa dalla giurisprudenza.In materia è intervenuta una ormai risalente senten-za delle sezioni unite, la quale ha ritenuto legittimala costituzione di parte civile delle rappresentanzesindacali (nella specie il consiglio di fabbrica), masolo allorquando vi sia la violazione del diritto lororiconosciuto dall’art. 9, l. 20 maggio 1970, n. 300, dicontrollare l’applicazione delle norme per la preven-zione degli infortuni e delle malattie professionali edi promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazio-ne di tutte le misure idonee a tutelare la salute e l’in-tegrità fisica dei lavoratori: tale potere è stato inve-ce escluso laddove l’inosservanza della norma di pre-venzione abbia cagionato una lesione dell’integritàfisica di un singolo lavoratore, che è l’unico titolaredella pretesa risarcitoria (26). In una successiva pro-nuncia la corte suprema ha considerato ammissibilela costituzione di parte civile del sindacato soltantose il lavoratore infortunato fosse ad esso iscritto(27), ma, anche sulla scia della giurisprudenza dimerito, largamente incline a riconoscere la sussi-stenza di questo diritto, lo ha poi esteso all’ipotesi diuna violenza sessuale commessa sul luogo di lavoro(28). Infine, in due recenti decisioni, posteriori pro-prio alla modifica di cui si discute, che avrebbe do-vuto portare ad opposte conclusioni, ha ampliato ul-teriormente la possibilità di costituzione di parte ci-vile delle associazioni sindacali.Nella prima si è ravvisata l’esistenza di «un fenome-no notevolmente ampliativo dell’area del danno ri-sarcibile, che sulla spinta della più attenta e moder-na dottrina ha visto una sensibile giurisprudenza ci-vile ed anche penale riconoscere la azionabilità disituazioni giuridiche soggettive qualificate dalla le-sione di interessi particolari non strettamente ri-conducibili al diritto soggettivo» e si è affermatoche «il mutato quadro di riferimento, di cui si è det-to sopra, porti a ritenere ammissibile, senza il pre-detto limite della iscrizione, la costituzione di partecivile dei sindacati nei procedimenti per reati diomicidio o lesioni colpose commesse con violazionedella normativa antinfortunistica, dovendosi rite-nere che l’inosservanza di tale normativa nell’ambi-to dell’ambiente di lavoro possa cagionare un auto-nomo e diretto danno patrimoniale (ove ne ricorra-no gli estremi) o non patrimoniale, ai sindacati perla perdita di credibilità dell’azione dagli stessi svol-ta». E si è ulteriormente specificato che non «puòdiversamente ritenersi a seguito della espressa previ-

sione contenuta nel d.lgs. n. 81 del 2008, art. 61 cheattribuisce alle organizzazioni sindacali e alle asso-ciazioni delle vittime dei familiari delle vittime diinfortuni sul lavoro la facoltà di esercitare i diritti ele facoltà della persona offesa, trattandosi di unaprevisione che non modifica il quadro generale del-le possibilità di partecipazione al processo, ma si li-mita a riconoscere a determinati soggetti, tra cui an-che i sindacati, il potere di intervenire nel processoa prescindere dai requisiti stabiliti dal codice di ri-to» (29).Nella seconda, la corte di legittimità ha sostenutoche gli enti di fatto, privi di personalità giuridica(nella fattispecie Medicina democratica e Cameradel Lavoro), sono legittimati alla costituzione diparte civile, ove agiscano iure proprio in qualità disoggetti danneggiati dal reato, anche se non ancoraoperativi al momento del verificarsi dei fatti di cuiall’imputazione, quando vi sia la lesione di un lorodiritto soggettivo, che è stato individuato nell’offe-sa «all’interesse perseguito dall’associazione in rife-rimento ad una situazione storicamente circostan-ziata, assunto nello statuto a ragione stessa dellapropria esistenza e azione, con l’effetto che ogni at-tentato a tale interesse si configura come lesionedella personalità o identità del sodalizio», in quan-to il danno non patrimoniale, alla luce dell’art. 2Cost., che riconosce e garantisce i diritti inviolabi-li dell’uomo, sia come singolo che nelle formazionisociali ove si svolge la sua personalità (Enti), nonpuò più essere identificato, secondo la tradizionalerestrittiva lettura dell’art. 2059, in relazione all’art.185 c.p., soltanto con il danno morale soggettivo,ma può essere considerato sussistente in ogni ipote-si in cui si verifichi un’ingiusta lesione di valori del-la persona costituzionalmente garantiti, dalla qualeconseguano pregiudizi non suscettibili di valutazio-ne economica: ogni condotta del datore di lavoroidonea a ledere la salute dei lavoratori, in conse-guenza di condotte riconducibili a sistematiche eradicate violazione delle norme di sicurezza e di

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Note:

(26) Cass. pen., sez. un., 21 maggio 1988, Iori, in Cass. pen.,1989, 1406: cfr. in dottrina Amodio, Persona offesa dal reato, inCommentario del nuovo codice di procedura penale, Milano1989, I, 556; Di Chiara, Enti collettivi, in Riv. it. dir. e proc. pen.,1991, 441; Marcucci, Enti rappresentativi di interessi lesi dal rea-to e consenso della persona offesa, in Arch. pen., 1997, 45.

(27) Cass. pen., sez. IV, 16 luglio 1993, Arienti, in Cass. pen.,1995, 1005.

(28) Cass. pen., sez. III, 26 marzo 2008, Pinzone, in questa Rivi-sta, 2008, 587.

(29) Cass. pen., sez. IV, 18 gennaio 2010, n. 22558, in Cass.pen., 2011, 1126.

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igiene sul lavoro, determina pertanto «un danno di-retto all’Ente che può essere sia economico, per leeventuali diminuzioni patrimoniali conseguenti al-la riduzione delle adesioni dei lavoratori per il venirmeno della fiducia nella capacità rappresentativadell’istituzione; sia danno non patrimoniale per lalesione dell’interesse statutariamente perseguito digarantire la salute dei lavoratori nell’ambiente dilavoro, presidiato costituzionalmente dagli artt. 2 e32 Cost.» (30).Inoltre, la legitimatio ad causam è stata dedotta dal-l’art. 75 c.p.c., ove si prevede che le associazioni e icomitati, che non sono persone giuridiche, stannoin giudizio per mezzo delle persone indicate nell’art.36 c.c. e segg., ed è stata esclusa l’applicazione dellaparticolare disciplina dettata dagli art. 91 e ss. c.p.p.,la quale garantirebbe unicamente la “giustiziabilità”degli “interessi diffusi” (posti in via mediana traquelli individuali e quelli pubblici) nonché degli“interessi collettivi” (facenti capo agli appartenentia un determinato gruppo sociale, imputabili alla col-lettività di riferimento, pur rimanendo, però, inte-ressi generali), ma non riguarderebbe l’ipotesi di le-sione di interessi di titolarità individuale.Tali interpretazioni non meritano tuttavia di esserecondivise.Invero, la previsione dell’intervento degli enti e del-le associazioni rappresentativi di interessi lesi dalreato e del conseguente esercizio dei diritti e dellefacoltà riconosciuti alla persona offesa, costituisceuna rilevante innovazione introdotta nel nuovo co-dice di procedura penale con la duplice finalità di ri-spondere positivamente all’esigenza, sentita ed af-fermata anche a livello giurisprudenziale, di ricono-scere uno spazio all’azione collettiva nel processopenale e di ricollocare nel ristretto ambito del dan-no risarcibile la costituzione di parte civile (31). Intale quadro, l’art. 212 disp. att. c.p.p., che espressa-mente recita «Quando leggi o decreti consentono lacostituzione di parte civile o l’intervento nel proces-so penale al di fuori delle ipotesi indicate nell’art. 74c.p.p., è consentito solo l’intervento nei limiti e allecondizioni di cui agli artt. 91, 92, 93 e 94 del codi-ce.», doveva costituire lo spartiacque, nel senso che,al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 74 c.p.p.non doveva essere ammessa la costituzione di partecivile e agli enti esponenziali doveva rimanere sololo spazio delineato dagli artt. 91 ss. stesso codice.Relativamente ai sindacati, la previsione dell’art.61, comma 2, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, e precipua-mente l’espresso richiamo alla disciplina dell’inter-vento, avrebbe dovuto escludere la legittimazionealla costituzione di parte civile: e, per altro verso,

appare artificiosa la tesi per cui la lesione dell’inte-resse statutariamente perseguito da un ente provo-cherebbe a questo un danno diretto di natura eco-nomica, per le eventuali diminuzioni patrimonialiconseguenti alla riduzione delle adesioni dei lavora-tori per il venir meno della fiducia nella capacitàrappresentativa dell’istituzione, e anche non patri-moniale, sicché si configurerebbe la violazione di undiritto soggettivo.Il descritto quadro normativo non permette, invero,interpretazioni creative, nemmeno tenendo contodell’estensione dell’area del danno non patrimonia-le, che in effetti le sezioni unite della corte di cassa-zione hanno ridefinito, ritenendolo una unica cate-goria variamente articolata (comprensiva del dannobiologico, esistenziale e alla vita di relazione) e for-nendo una interpretazione costituzionalmenteorientata dell’art. 2059 c.c., che ha condotto ad in-cludere nell’istituto non soltanto la previsione del-l’art. 185 c.p. o la violazione dell’art. 2043 c.c., maanche la materia della responsabilità contrattuale,laddove sussistano espressi riferimenti normativi ola lesione di un diritto inviolabile della persona ri-

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OpinioniProcesso penale

Note:

(30) Cass. pen., sez. IV, 10 giugno 2010, Quaglieri, in Guida dir.,2011, 1, 100; si vedano precedentemente in senso conformeCass. pen., sez. III, 26 settembre 1996, Perotti, in Arch. nuovaproc. pen., 1996, 871; Cass. pen., sez. III, 6 aprile 1996, Russo,in questa Rivista 1996, 1366; in materia di reati ambientali, indi-rizzi costanti ritengono le associazioni ambientaliste legittimate acostituirsi parti civili iure proprio, non risultando ostativo il dispo-sto che riserva allo Stato la possibilità di costituirsi parte civile inmateria di danno ambientale, con abrogazione delle norme inmateria di potere surrogatorio degli enti territoriali da parte delleassociazioni ambientaliste, poiché tale norma non impediscel’applicabilità delle regole generali in materia di risarcimento deldanno da reato e di costituzione di parte civile: ne consegue che,nell’ipotesi di reato commesso direttamente in danno dell’asso-ciazione ambientalista, quest’ultima assume qualità di personaoffesa e può anche costituirsi parte civile, nel rispetto dei pre-supposti di cui all’art. 91 c.p.p. (cfr. ex plurimis, Cass. pen., sez.III, 11 novembre 2004, Brugnolaro, in Guida dir. 2005, 4, 91;Cass. pen., sez. II 25 maggio 2007, Cuzzi, in Arch. nuova proc.pen., 2008, 366; e da ultimo Cass. pen., sez. III, 25 maggio 2011,n. 25039, in Dir. & giust., 2011).

(31) Tale impostazione era stata reputata dalla prevalente dottri-na come dilatazione e snaturamento del concetto di danneggia-to dal reato, ovvero come forzato riconoscimento di valenze pe-nalistiche estranee all’istituto della costituzione di parte civile o,infine, come uso distorto dell’azione civile riparatoria (M.G. Ai-monetto, Enti per la protezione degli animali tra costituzione diparte civile ed intervento nel processo penale, in Giur. It., 1993,II, 419; Aliprandi, L’intervento nel processo penale degli entiesponenziali nella nuova legge delega, in Giur. Merito, 1990,224; Barone, Enti collettivi e processo penale, Milano, 1989,209; Chiliberti, Azione civile e nuovo processo penale, Milano,1993, 69; De Vita, La tutela degli interessi diffusi nel processopenale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, 845; Di Chiara, Parte civi-le, Digesto disc. penalistiche, IX, Torino, 1995, 435; P. Gualtieri,La tutela di interessi lesi dal reato fra intervento e costituzione diparte civile, in Riv. it. dir. proc. pen., 1996, 102).

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conosciuto dalla costituzione (32): situazioni giuri-diche peraltro estranee e diverse rispetto a quella indiscussione (33).Il biasimo principale lo merita comunque il legisla-tore, il quale, con una serie di disposizioni pocochiare e succedutesi tra loro in maniera piuttostoscoordinata, ha lasciato aperte delle vere e proprievoragini interpretative in una materia che, in ragio-ne del notevole rilievo delle istanze di base, soventeamplificate dagli organi di informazione, meritereb-be invece un rigore letterale tale da non consentire

libertà applicative inevitabilmente destinate a ri-sentire di influenze ideologiche e sociali.

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Note:

(32) Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26973, in Foro it.,2009, I, 120, par. 4.10.

(33) Per una articolata critica a queste argomentazioni, si veda P.Gualtieri, La tutela di interessi lesi dal reato fra intervento e co-stituzione di parte civile, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1996, 115 ss.;per un quadro più ampio e aggiornato, cfr., volendo, M. Gualtie-ri, Commento agli artt. 90-95 c.p.p., in Codice di procedura pe-nale commentato, a cura di A. Giarda-G. Spangher, Milano 2010,in particolare su questo tema v. pagg. 1014 ss.

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Considerazioni introduttive: dal Trattato di Amsterdam a quello di Lisbona

I significativi risultati conseguiti nella costruzionedello spazio europeo di “libertà, sicurezza e giustizia”con il Trattato di Amsterdam hanno evidenziato i li-miti di un’azione orientata in un’ottica esclusiva-mente punitiva (1), reclamando una maggiore sen-sibilità verso il tema delle garanzie e ponendo alcentro dell’attenzione dell’Unione europea la que-stione della tutela dei diritti fondamentali.Per vero, di pari passo con il progredire delle dina-miche della integrazione giuridica e giudiziaria (an-che) in materia penale, è aumentato il rischio di unimpatto negativo sui diritti riconosciuti dalle Costi-tuzioni nazionali e dalla Convenzione di Roma (CE-DU). Al riguardo, è appena il caso di richiamare, inun primo versante afferente alla armonizzazionenormativa, gli strumenti di intervento politico-cri-minale con cui le istituzioni comunitarie - pur in as-senza di una diretta competenza penale dell’ente so-vranazionale - interferendo sugli ordinamenti pena-li interni (2), sono venute ad incidere sui dirittiumani. E, in un secondo, distinto ma correlato, ver-sante, afferente alla libera circolazione delle decisio-ni giudiziarie, vale la pena rimarcare come la capil-lare estensione del principio del mutuo riconosci-mento (di matrice “mercantilistica”) alla materiapenale, costituzionalmente orientata, si sia palesata- in difetto di un adeguato ravvicinamento normati-

vo sul piano processuale - suscettibile di esporre apericolo di compressione le garanzie della persona(3) (sia essa indagato o imputato, vittima del reato omero testimone).

Diritti dell’uomo

Nuovi scenari nella tutela penaledei diritti fondamentali in Europadi Elena Andolina (*)

La crescente influenza del diritto comunitario nella sfera delle prerogative individuali impone, da tempo, unamaggiore attenzione dell’Unione europea al tema delle garanzie della persona. Un significativo innalzamen-to del livello di tutela dei diritti umani consegue ora al Trattato di Lisbona che riconosce alla Carta dei dirittifondamentali il rango di vera e propria codificazione, autonomamente precettiva, dei diritti de quibus ne-l’ambito dell’Unione europea. Rilevanti le implicazioni della natura vincolante della Carta non solo sul pianointerno degli ordinamenti dei singoli Stati membri, quale principale parametro di riferimento per il giudice pe-nale nell’obbligo di interpretazione adeguatrice del diritto interno (sostanziale e processuale) all’ordinamen-to comunitario; ma, anche, sul versante dell’armonizzazione in materia processuale penale e sull’assetto deirapporti tra distinti livelli ordinamentali (nazionale, Ue, Cedu), nonché, segnatamente, sul rapporto tra i dueconcorrenti sistemi di tutela dei diritti umani in Europa facenti capo alla Corte di Lussemburgo e di Stra-sburgo.

Note:

(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valu-tazione di un referee.

(1) … in connessione ad una prevalente ideologia securitaria, de-generata all’alba del nuovo secolo «in vera ossessione» (cfr. R.Orlandi, Diritti individuali e processo penale nell’Italia repubblica-na, consultabile in www.aspp.it) dietro la spinta dell’emergenzadelle nuove forme di criminalità transnazionale.

(2) Questa strategia di intervento - attraverso cui l’Unione euro-pea è stata «in grado di esprimere una vera e propria politica cri-minale europea» (cfr. C. Sotis, Il Trattato di Lisbona e le compe-tenze penali dell’Unione europea, in Cass. pen., 2010, 3, 1148ss.) - risponde a un duplice ordine di esigenze di tutela ed è ri-conducibile agli strumenti di armonizzazione delle norme di dirit-to penale sostanziale, correlati alla esigenza di realizzare lo spa-zio di libertà, sicurezza e giustizia mediante la cooperazione giu-diziaria di terzo «pilastro» (artt. 29 e 31, lett. e) del Trattato diAmsterdam) e, a quelli di armonizzazione delle norme sanziona-torie nazionali, connessi alla esigenza di protezione degli interes-si emergenti dalla legislazione comunitaria, di primo «pilastro».

(3) Sul rischio di un livellamento verso il basso degli standard digaranzia - particolarmente avvertito in sede di applicazione delmandato di arresto europeo (decisione quadro 2002/584/GAI) -ex multis, T. Rafaraci, Lo spazio di libertà, sicurezza e giustizianel crogiuolo della costruzione europea, in AA.VV., L’area di li-bertà sicurezza e giustizia: alla ricerca di un equilibrio fra prioritàrepressive ed esigenze di garanzia, Milano, 2007, 14-15; E. Mar-zaduri, Tutela dei diritti individuali e disciplina del mandato d’ar-resto europeo: spunti problematici sui contenuti delle disposi-zioni introduttive della legge n. 69 del 2005, in Ind. pen., 2005,

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(segue)

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A fronte della crescente influenza del diritto comu-nitario nella sfera delle prerogative individuali, è ma-turata, pertanto, l’idea che il processo di cd. euro-peizzazione (ovvero il progressivo coinvolgimentodei sistemi penali e degli assetti giurisdizionali inter-ni entro la sfera attrattiva dell’ordinamento comuni-tario) non possa procedere ed avanzare se non lungole coordinate dei princìpi dello Stato di diritto e, se-gnatamente, del rispetto del principio di legalità,momento essenziale dei rapporti tra autorità e libertà(4) ed irrinunciabile presidio delle libertà personali.La sfida proposta all’Unione è adesso quella di faredello SLSG «uno spazio unico» in cui assicurare «ilrispetto dei diritti e delle libertà fondamentali e del-l’integrità delle persone, garantendo allo stesso tem-po la sicurezza in Europa» (5). In questa direzione pare muoversi il Trattato di Li-sbona del 13 dicembre 2007 (modificativo del Trat-tato sull’Unione europea e del Trattato istitutivodella Comunità europea, ed entrato in vigore il 1°dicembre 2009) ponendosi, peraltro, in linea di con-tinuità con quanto già acquisito dall’“abortito” Trat-tato costituzionale (6). Così, emblematica della maggiore attenzione rivoltaal tema delle garanzie, è già la scelta di anteporreagli obiettivi (art. 3 TUE) una norma “manifesto”dei valori fondamentali etico-giuridici, e comunquenon market-oriented, che dovranno orientare l’azio-ne delle istituzioni europee (art. 2 TUE). Il rispettodi tali valori (solo in parte coincidenti con quelli dicui all’art. 6.1. del T. di Amsterdam) - tra cui rientrail principio di legalità, compreso tra quelli propri«(…) dello Stato di diritto» - trova, nel nuovo qua-dro normativo, una più salda copertura nella valen-za giuridicamente vincolante, e non più meramentepolitica, della Carta dei diritti fondamentali ex art.6, par. 1, TUE (7). Ed ancora, attraverso il superamento della preesi-stente architettura in «pilastri» e la riconduzione almetodo comunitario di tutte le materie afferenti al-lo SLSG (prima ripartite tra il secondo e il terzo «pi-lastro») (8), viene sancito il passaggio delle materiedella cooperazione giudiziaria e di polizia in campopenale entro l’area di interesse normativo del-l’Unione, sia pure nel quadro delle competenze con-correnti (art. 4, par.1, lett. j, TFUE). L’apprezzabile razionalizzazione, così conseguita, in

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Giustizia sovranazionaleProcesso penale

Note:

(continua nota 3)889 s.; E. Rozo Acu a, Il mandato d’arresto europeo e l’estradi-zione: profili costituzionali, penale, processuali ed internazionali,Padova, 2004, Mandato d’arresto europeo e garanzie della per-

sona, Milano, 2004. Così, esemplificativa di un affievolimentodel tasso di garantismo dell’ordinamento nazionale in conse-guenza dell’attuazione doverosa della normativa comunitaria, èla soluzione prevalsa nella giurisprudenza italiana in merito allaquestione dei poteri dell’autorità giudiziaria italiana relativamen-te alla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza alla base delmandato di arresto europeo (ex art. 17.4, l. 22 aprile 2005, n. 69:sul punto, A. Gaito, Mandato d’arresto europeo ed estradizione,in O. Dominioni-P.Corso-A.Gaito-G.Spangher-G.Dean-G.Garuti-O.Mazza, Procedura Penale, Torino, 2010, 894 e M. Pisani, Ilmandato di arresto europeo e la giurisprudenza della Cassazionenel 2006, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, 435-436), che ha esclu-so che quest’ultima possa effettuare una nuova e pregnante va-lutazione di merito sulla specifica consistenza degli indizi, delimi-tandone il ruolo ad un esame prettamente formale della docu-mentazione presentata (diretto a verificare che il mandato «per ilsuo contenuto intrinseco o per gli altri elementi raccolti in sedeinvestigativa o processuale sia fondato su un compendio indizia-rio che l’autorità giudiziaria emittente ha ritenuto seriamenteevocativo di un fatto-reato commesso dalla persona di cui sichiede la consegna» (cfr. Cass., Sez. VI, 23 settembre 2005, Ilie,in Cass. pen., 2005, 3772; conf. Cass., sez. fer., 13 settembre2005, Hussain Osman, in Guida dir., 2005, 38, 74, con nota criti-ca di G. Frigo; Cass., Sez. VI, 13 ottobre 2005, Pangrac, in CedCass., 232584; Cass, Sez. VI, 22 novembre 2005, Calarese, inForo it., 2006, II, 274; Cass., Sez. Un., 30 gennaio 2007, Ramo-ci, in Arch. n. proc. pen., 2007, 334; Cass., Sez. VI, 10 giugno2009, B., in Ced Cass., 244282).

(4) Cfr. G. Grasso, Prospettive di un diritto penale europeo, Mila-no, 1998, 3-4. Conf. N. Parisi, Principio di legalità e tutela dei di-ritti della persona nello «spazio di libertà, sicurezza e giustizia»,in La dimensione internazionale ed europea del diritto nell’espe-rienza della Corte costituzionale, a cura di L. Daniele, Napoli,2006, 365. E, in genere, per l’emergere «della consapevolezza diuna intersezione necessaria, ed anzi di una incidenza virtuosa,dei diritti dell’uomo» sulla cooperazione giudiziaria sia in ambitointernazionale che europeo, cfr. M. Pisani, Cooperazione giudi-ziaria in materia penale e diritti dell’uomo, in Riv. it. dir. proc.pen., 2002, 1124 ss.

(5) Cfr. punto 1.1. del Programma di Stoccolma - Un’Europa aper-ta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini - adottato per il pe-riodo 2010-2014 dal Consiglio europeo il 10 e 11 dicembre 2009(in G.U. n. C 115 del 4 maggio 2010).

(6) Pur rinunciando alla terminologia di carattere costituzionaledel Trattato di Roma del 29 ottobre 2004, il Trattato di Lisbonaeredita alcuni tra i più rilevanti contenuti costituzionali, sicché la«“decostituzionalizzazione” è solo nominalistica» e «il tessutocostituzionale europeo resta e si sviluppa» (cfr. A. Manzella, Untrattato necessitato, in AA.VV., Le nuove istituzioni europee.Commento al Trattato di Lisbona, a cura di F. Bassanini e G. Ti-beri, Bologna, 2010, 474).

(7) Nella specie il principio di legalità è garantito, nella pienezzadelle sue accezioni, dal preambolo della Carta in via implicita (at-traverso il richiamo ai principi dello Stato di diritto) e, specifica-mente per l’ambito penalistico, in via esplicita dall’art. 49 (al Tito-lo VI della Carta relativo ai diritti relativi alla giustizia).

(8) Si rammenti, peraltro, come i confini tracciati dal precedenteTrattato di Unione fra le competenze istituzionali (primo «pila-stro») e quelle intergovernative (collocate entro il secondo e ilterzo «pilastro») fossero già divenuti incerti per effetto della giu-risprudenza della Corte di giustizia che, a partire dal 2005, ha ri-dimensionato il divario tra pilastri, ora riconoscendo che la Co-munità, per le materie di sua competenza, possa emettere an-che obblighi di tutela penale (CGCE, 13 settembre 2005, Com-missione c. Consiglio, C-176/03, in questa Rivista, 2005, 1312 eCGCE, 23 ottobre 2007, Commissione c. Consiglio, C - 440/05),ora estendendo alla cooperazione intergovernativa principi - qua-le l’obbligo di interpretazione conforme - che informavano la coo-perazione istituzionale (CGCE, 16 giugno 2005, C-105/03, Pupi-no, in Cass. pen., 2005, 3167).

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ordine all’obiettivo di «uno spazio di libertà, sicurez-za e giustizia senza frontiere interne» (ora in posizio-ne prioritaria rispetto all’obiettivo del mercato inter-no: art. 3, par. 2, TUE), oltre ad imprimere un’im-portante accelerazione al processo di integrazionenormativa processual-penalistica (artt. 67, par. 3, art.82, par. 1 e 2, e 83 TFUE), al contempo sembra, al-tresì, aprire una nuova fase nei rapporti tra dirittifondamentali e diritto penale-processuale europeo. Invero, l’integrazione delle componenti di libertà,sicurezza e giustizia all’interno di un unico contestogiuridico, istituzionale e procedimentale, governatodal metodo comunitario (il Titolo V TFUE) - in cuitrova formale consacrazione il nesso di implicazionenecessaria tra ambito dell’unicità di mercato (strut-ture economiche) e àmbiti della sicurezza e dellagiustizia (sovrastrutture giuridiche) (9) - dovrebbecontribuire (10) a un maggiore contemperamentodelle esigenze di efficienza della repressione penalecon quelle di rispetto delle libertà fondamentali e ditutela giudiziaria dei singoli (11). Sotto quest’ultimo profilo, va anzitutto rimarcatocome le accresciute competenze concorrenti relati-ve allo SLSG, e la maggiore incisività degli attiadottati nell’ambito del Titolo V (dotati, per effettodella “comunitarizzazione”, di efficacia diretta), tro-vino un “contrappeso” nella soggezione, oltre che alpiù democratico procedimento di co-decisione, alpieno controllo giurisdizionale della Corte di giusti-zia (12). Un vaglio di legalità che la Corte esercite-rà sugli atti normativi dell’Unione, come su quelliadottati dagli Stati membri in adempimento dei pri-mi, (pure) alla stregua della Carta dei diritti fonda-mentali, atteso il valore di fonte normativa primariariconosciutole dall’art. 6, par. 1, TUE (su cui infra). Si consideri, poi, come nel quadro di una valorizza-zione della via del ravvicinamento normativo qualecomponente essenziale di uno spazio giudiziario inte-grato (ex art. 82, par. 1, TFUE) (13) venga assecon-data l’esigenza di pervenire ad un equilibrato stan-dard di garanzie procedurali comuni; trovando orauna sicura, ed esplicita, base normativa la prospetti-va di un’armonizzazione processuale (14), tra l’altro,nella materia cruciale dei «diritti della persona nellaprocedura penale» e dei «diritti delle vittime dellacriminalità» (art. 82, par. 2, lett. b) e c), TFUE). Accanto alla prevista possibilità - sia pure aggancia-ta all’esigenza di «facilitare il riconoscimento reci-proco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e lacooperazione di polizia giudiziaria nelle materie pe-nali aventi dimensione transnazionale» - perl’Unione di stabilire «norme minime» in materiaprocessuale penale, viene altresì confermata la via

del ravvicinamento penale sostanziale, che ricevenuova linfa ampliandosene il raggio d’azione (art.83, par. 1 e 2 TFUE) ben al di là di quanto previstodall’art. 31, lett. e), T. di Amsterdam (15).

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Giustizia sovranazionaleProcesso penale

Note:

(9) Sul punto sia consentito rinviare al nostro, Cooperazione-in-tegrazione nell’Unione europea, in Cass. pen., 2001, 10, 2899.

(10) Conf. N. Parisi, Su taluni limiti nell’attività di ricerca e acquisi-zione della prova penale di reati informatici (ancora a propositodel preteso conflitto tra esigenze della sovranità e rispetto dei di-ritti della persona, in Studi in onore di Mario Pisani, Vol. II, Dirittoprocessuale penale e profili internazionali. Diritto straniero e dirit-to comparato, a cura di P. Corso e E. Zanetti, Milano, 2010, 456.

(11) In tal senso è illuminante l’art. 67, par. 1, TFUE - a mente delquale «l’Unione realizza uno spazio di libertà, sicurezza e giusti-zia nel rispetto dei diritti fondamentali», oltre che «dei diversi or-dinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche degli Statimembri» - che aggancia appunto l’obiettivo dello SLSG alla sal-vaguardia delle garanzie individuali.

(12) Con il superamento dei «pilastri», caduti i limiti alla compe-tenza pregiudiziale e contenziosa previsti dall’art. 35 del T. di Am-sterdam per gli atti adottati nel settore della cooperazione di poli-zia e giudiziaria in materia penale, la Corte di Giustizia eserciteràuna competenza piena (a parte il periodo transitorio di cinque an-ni per gli atti già di terzo pilastro adottati prima dell’entrata in vi-gore del T. di Lisbona e salvi i meccanismi di opt outs per RegnoUnito, Irlanda e Danimarca), estesa a tutte le attività dell’Unione,ad eccezione della politica estera e di sicurezza comune, com-preso il controllo delle misure che limitano i diritti delle persone.

(13) Ivi, il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regola-mentari viene indicato come itinerario in rapporto di equilibratasinergia (conf. N. Parisi, Su taluni limiti nell’attività di ricerca e ac-quisizione della prova penale di reati informatici (ancora a propo-sito del preteso conflitto tra esigenze della sovranità e rispettodei diritti della persona, op. cit., 457) con l’altra componente -perno su cui ruota la cooperazione giudiziaria in materia penale -costituita dal principio di riconoscimento reciproco delle senten-ze e delle decisioni giudiziarie. Sicché, l’armonizzazione da effet-to indotto dell’attuazione doverosa del mutuo riconoscimento(conf. S. Allegrezza, Cooperazione giudiziaria, mutuo riconosci-mento e circolazione della prova penale nello spazio giudiziarioeuropeo, in L’area di libertà, sicurezza e giustizia, op. cit., 717) siconfigura quale via complementare da percorrere a fianco delmutuo riconoscimento per la compiuta operatività degli stru-menti basati su detto principio.

(14) Una prima, implicita, legittimazione al ravvicinamento nor-mativo in materia penale processuale poteva intravvedersi nel-l’art. 31, lett. c), del Trattato di Amsterdam (così, T. Rafaraci, Lospazio di libertà, sicurezza e giustizia nel crogiuolo della costru-zione europea, in L’area di libertà sicurezza e giustizia: alla ricer-ca di un equilibrio fra priorità repressive ed esigenze di garanzia,op. cit., 11).

(15) Salva, tuttavia, la possibilità per ciascuno Stato di attivare ilcosiddetto emergency break, - uno dei momenti di criticità delTrattato di Lisbona, costituenti l’inevitabile costo della comunita-rizzazione dello SLSG - attraverso cui imporre, per un periodonon superiore a quattro mesi, una sospensione della proceduralegislativa ordinaria, quando ritenga che un progetto di direttivadi cui all’art 82, par. 2 o di cui all’art. 83, par. 1 e 2 TFUE «incidasu aspetti fondamentali del proprio ordinamento giuridico pena-le» (artt. 82, par. 3 e 83, par. 3 TFUE). In tal caso, il Consiglio eu-ropeo - investito della questione - rinvia il progetto al Consiglioper l’adozione della delibera, ponendo fine alla sospensione del-la procedura legislativa ordinaria, ovvero in caso di disaccordoma con il consenso di almeno nove Stati membri prende avvioun procedimento di cooperazione rafforzata sulla base del pro-getto di direttiva in questione.

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Dall’emersione in via pretoria dei diritti fondamentali ad un sistema di tutela codificato

La protezione dei diritti fondamentali nel nuovoquadro ordinamentale rinviene il proprio fulcro nelcitato art. 6 TUE, le cui previsioni innovative costi-tuiscono il punto d’approdo di un lungo percorsoevolutivo nella tutela dei diritti de quibus nell’ordi-namento comunitario.In origine, in uno stadio in cui l’attenzione dell’or-dinamento sovranazionale era rivolta unicamentead assicurare la propria sopravvivenza (preservandoi beni che ne garantivano il suo funzionamento),l’enucleazione (id est, lo stesso “derivare”) e la tuteladei diritti fondamentali è da ascrivere alla giurispru-denza creativa della Corte di Giustizia delle Comu-nità europee. Allo scopo di supplire alle lacune deiTrattati istitutivi, la Corte - a partire dalla sentenzaStauder del 1969 - ha recuperato progressivamenteall’area comunitaria i diritti fondamentali, quali«princìpi generali del diritto di cui [essa] garantiscel’osservanza» (16), traendo ispirazione sia dalle tra-dizioni costituzionali comuni agli Stati membri chedai Trattati internazionali (principalmente la CE-DU) cui gli Stati stessi hanno cooperato o aderito.In uno stadio successivo, il riconoscimento dei dirit-ti fondamentali - dopo un vago riferimento nell’At-to Unico del 1986 - ha ricevuto definitiva consacra-zione nell’ordinamento comunitario, al livello deldiritto primario, prima nell’art. F del Trattato diMaastricht del 7 febbraio 1992, poi, nell’art. 6 delTrattato di Amsterdam. È segnatamente il Trattato di Amsterdam ad impri-mere nuovo slancio a detto processo evolutivo, ren-dendolo per così dire irreversibile (17). Da un can-to, ribadendo il disposto dell’art. F, si formalizzaquanto già emerso in via pretoria dalla giurispru-denza della Corte di Giustizia, cioè che i diritti ga-rantiti dalla CEDU e quelli risultanti dalle tradizio-ni costituzionali comuni rilevano nell’ordinamentoUE (art. 6.2. T. Amsterdam), in virtù del richiamoalla categoria dei «princìpi generali del diritto»,(solo) quali fonti esterne di ispirazione a disposizio-ne della Corte per la ricostruzione di una fonte nonscritta del diritto comunitario (appunto i principigenerali del diritto) finalizzata alla tutela dei dirittidell’uomo (18); rimanendo, pertanto, esclusa un’in-cidenza immediata e diretta della CEDU nel siste-ma comunitario delle fonti. Dall’altro canto, i prin-cìpi fondamentali, indicati nell’art. 6.1. T. Amster-dam come il patrimonio comune degli Stati mem-bri, vengono a profilarsi quale elemento costitutivo

del nuovo obiettivo programmatico di istituire unospazio unico di libertà, sicurezza e giustizia (art. 29T. Amsterdam) (19). Ad una sistemazione organica delle libertà fonda-mentali della persona nell’àmbito dell’Unione eu-ropea si è pervenuti con la proclamazione, a Nizzail 7 dicembre 2000 e poi a Strasburgo il 12 dicem-bre 2007, della Carta dei diritti fondamentali. Aldi là dell’intento di conferire maggiore visibilità aidiritti dell’uomo già protetti dall’ordinamento co-munitario (20), non può non vedersi nella Carta -moderno catalogo di diritti il cui contenuto (com-prensivo dei diritti civili, politici, economici, so-ciali e dei “nuovi diritti”o diritti di seconda gene-razione: come la protezione dei dati personali, labioetica etc.) va ben oltre quanto disposto dallaCEDU - il momento di emersione del processo inatto di “costituzionalizzazione” dell’Unione euro-pea (21).

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Note:

(16) Cfr. CGCE 12 novembre 1969, Stauder causa 29/69, inRacc., 1969, 419; e, più recentemente, CGCE 26 giugno 2007,Ordres des barreaux francophones et germanophones, causa C-305/05, ivi, I-5305; 14 dicembre 2006, ASML, causa C-283/05,ivi, I-12041, punto 26; 22 ottobre 2002, Roquette Frères, causaC-94/00, ivi, I-9011, punto 23; 6 marzo 2001, Conol-ly/Commission, causa C-274/99, ivi, I-1611, punto 37 e 17 feb-braio 1998, Grant, C-249/96, ivi, 623.

(17) Cfr. R. Mastroianni, La tutela dei diritti fondamentali tra dirit-to comunitario e sistema della CEDU, in Atti convegno CSM Ro-ma sul tema La giurisprudenza della Corte europea dei diritti del-l’uomo, 28 febbraio 2007, consultabili in www.csm.it.

(18) In altri termini, la rilevanza all’interno dell’ordinamento co-munitario dei diritti della CEDU e di quelli propri delle tradizionicostituzionali comuni «è legata alla loro trasformazione in princì-pi generali, in quanto espressione e sintesi del patrimonio giuri-dico-costituzionale comune agli Stati membri»: cfr., G. Grasso,La protezione dei diritti fondamentali nell’ordinamento comuni-tario e i suoi riflessi sui sistemi penali degli Stati membri, in Riv.int. dir. uomo, 1991, 623 e 620-621; conf. R. Mastroianni, La tu-tela dei diritti fondamentali tra diritto comunitario e sistema del-la CEDU, op. cit.

(19) Cfr. S. Gambino, Diritti fondamentali europei e trattato co-stituzionale, in Pol. dir., n. 1, marzo 2005, 48-51. Conf. A.M.Maugeri, I principi fondamentali del sistema punitivo comunita-rio: la giurisprudenza della Corte di Giustizia e della Corte euro-pea dei diritti dell’Uomo, in AA.VV., Per un rilancio del progettoeuropeo, a cura di G. Grasso e R. Sicurella, Milano, 2008, 86. Elo «spazio europeo» viene a configurarsi «come uno spazio didemocrazia», (…) «ambito entro il quale la validità delle normeeuropee… [comincia ad essere] apprezzata [anche] dalla pro-spettiva del rispetto dei menzionati principi» (cfr. N. Parisi, Prin-cipio di legalità e tutela dei diritti della persona nello «spazio di li-bertà, sicurezza e giustizia», op. cit., 355).

(20) Cfr., il Preambolo della Carta di Nizza.

(21) Conf. M. Cartabia, I diritti fondamentali e la cittadinanza del-l’Europa, in AA.VV., Le nuove istituzioni europee.Commento alTrattato di Lisbona, a cura di F. Bassanini e G. Tiberi, op. cit., 106.Un processo costituente che, archiviato all’esito del fallimento

(segue)

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Un ulteriore, significativo, innalzamento del livellodi tutela dei diritti fondamentali nell’Unione europeaconsegue ora al riconoscimento della natura vinco-lante della Carta dei diritti fondamentali operato dal-l’art. 6, par. 1, del Trattato sull’Unione europea comemodificato dal Trattato di Lisbona (in seguito TUE). Il rinvio attributivo di efficacia («lo stesso valoregiuridico dei Trattati») ivi contenuto, superando ilnodo problematico relativo allo status giuridico nonprescrittivo della Carta, segna l’ingresso della stessanel quadro delle fonti primarie del diritto UE. Dacatalogo di diritti formalmente esterno al dirittodell’Unione - e, come tale, strumento di soft-law convalore persuasivo (22) - la Carta assume il rango divera e propria codificazione comunitaria, autono-mamente precettiva, dei diritti fondamentali nel-l’àmbito dell’Unione europea. Nitide le proiezioni di tale «mutamento di paradig-ma» (23). Per un verso, partecipando dello stesso regime deiTrattati, il rispetto dei diritti fondamentali sancitidalla Carta rileva, nel sistema dell’Unione, quale ul-teriore parametro normativo alla cui stregua la Cor-te di Giustizia dovrà vagliare la validità e legittimitàdell’azione delle istituzioni comunitarie in tutti gliambiti di intervento dell’Unione (inclusa quellaadottata in campo penale e processuale penale di cuial capo 4 del Titolo V), nonché degli Stati membrinell’attuazione del diritto UE. Per altro verso, sul piano interno degli ordinamentidei singoli Stati membri, atteso il valore di dirittopositivo cogente e la (conseguente) diretta applica-bilità delle sue clausole, la Carta rientra tra gli stru-menti interpretativi cui dovrà far riferimento il giu-dice penale nell’obbligo di interpretazione adegua-trice della normativa interna (sostanziale e proces-suale) al diritto comunitario (24) lungo le coordina-te tracciate dal principio di preminenza e dallaeventuale procedura della pregiudiziale comunitariaper interpretazione (art. 267 TFUE) (25). Non va obliterato, inoltre, come la formale vigenzadel principio di autonomia normativa processualedegli Stati membri (per cui, in assenza di disposizio-ni di armonizzazione, questi ultimi sono liberi di sce-gliere gli strumenti procedurali intesi a garantire latutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del dirit-to comunitario) sia da tempo condizionata, anche inàmbito penale (26), ad opera dei princìpi - di matri-

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Note:

(continua nota 21)del Trattato istitutivo di una Costituzione per l’Europa del 29 ot-tobre 2004, è da considerare ri-avviato dal più prudente Trattato

di modifica dei trattati sull’Unione e la Comunità europea (Lisbo-na 13 dicembre 2007), a dispetto della sua de-costituzionalizza-zione formale e della mancata incorporazione al suo interno del-la Carta di Nizza.

(22) Ancorché priva di formale valore vincolante, la Carta ha co-munque manifestato da subito la «vocazione a fungere da so-stanziale parametro di riferimento per tutti gli attori della scenacomunitaria» (cfr. le conclusioni dell’Avvocato generale pressola CGCE, Tizzano, presentate l’8 febbraio 2001 nella causa C-173/99, Bectu c. Secretary of State for Trade and Industries, inRiv. int. dir. pubbl. comunitario, 2001, 603 ss.), venendo richia-mata nel preambolo e nella parte motiva degli atti del Consiglio(v. il 6˚ cpv. del preambolo della decisione quadro2003/577/GAI del 22 luglio 2003 relativa all’esecuzione delledecisioni di blocco dei beni o di sequestro probatorio e il 5˚ cpv.della decisione quadro 2005/214/GAI del 24 febbraio 2005 rela-tiva all’applicazione del mutuo riconoscimento alle sanzioni pe-cuniarie). Ed a partire dal 2006 è stata, altresì, tenuta in debitaconsiderazione dalla Corte di giustizia (CGCE 27 giugno 2006,causa C-540/03, Parlamento/Consiglio, in Racc., 5769, $ 31-38).

(23) Cfr. P. Sandro, Alcune aporie e un mutamento di paradigmanel nuovo articolo 6 del Trattato sull’Unione europea, in Riv. ital.dir. pubbl. comunitario, 2009, 5, 904 ss.

(24) Peraltro, come è noto, un costante orientamento della Cor-te di giustizia - anticipando l’unificazione dei pilastri - aveva già af-fermato l’esistenza a carico dei giudici nazionali di un obbligo ge-nerale di interpretazione conforme del diritto interno ai contenu-ti e agli obiettivi dell’ordinamento comunitario con riguardo a tut-te le fonti dell’ordinamento, sia di diritto primario che seconda-rie, sia produttive di effetti giuridici vincolanti o non (così, perl’obbligo di interpretare le disposizioni penali, pure processuali,dell’ordinamento giuridico interno in maniera conforme alle deci-sioni-quadro adottate nell’àmbito della cooperazione giudiziariadi polizia e giudiziaria in materia penale, anche se ancora non re-cepite con leggi di attuazione nazionali: CGCE, 16 giugno 2005,C-105/03, Pupino, cit.).

(25) Sulla centralità e complessità del ruolo che il giudice penaleè chiamato ad assumere nel sistema europeo delle fonti, doven-do egli attingere la regola del caso da una pluralità di strumentinon sempre di agevole comprensione, cfr. G. De Amicis, Coope-razione giudiziaria e corruzione internazionale. Verso un sistemaintegrato di forme e strumenti di collaborazione tra le autoritàgiudiziarie, Milano, 2007, 4 ss. E, più ampiamente, sulla logicacircolare che deve permeare i rapporti tra giudici comuni e giuri-sdizioni sovranazionali, v. infra, § 6.

(26) La Corte di giustizia, pur avendo costantemente affermato ilprincipio dell’autonomia processuale degli Stati membri (così, re-centemente, CGCE, 3 settembre 2009, causa C-2/08, Olimpi-club, rinvenibile sul sito della Corte di giustiziawww.curia.eu.int.; 24 aprile 2008, causa C-55/06, Arcor, Racc., I-1719; 15 aprile 2008, causa C-268/06, Impact, ibidem, I-2483; 7giugno 2007, cause riunite C-222/05 e C-225/05, Van der Weerd,in Racc., I-4233; 13 marzo 2007, causa C-432/05, Unibet, ibidem,I-2271; 16 dicembre 1976, causa 33/76, Rewe, in Racc., 1989;causa 45/76, Comet, ibidem, 2043), tuttavia, richiamandosi allasalvaguardia dei princìpi del primato e degli effetti diretti del di-ritto comunitario, si è nel tempo ritagliato un proprio droit de re-gard sulle normative processuali nazionali, finalizzato a censurar-ne eventuali ipotetiche violazioni di princìpi fondamentali dell’or-dinamento comunitario (v., segnatamente, sentenze 21 novem-bre 2002, causa C-473/00, Codifis, in Racc., I-10875; 17 settem-bre 1997, causa C-54/96, Dorsch Consult, ivi, I-4961; 18 gennaio1996, causa C-446/93, SEIM, ivi, I-7314; 14 dicembre 1995, cau-sa C-312/93, Peterbroeck, ivi, I-4599; 19 giugno 1990, causa C-213/89, Factortame, ivi, I-2433; 9 luglio 1985, causa C-179/84,Bozzetti, ivi, 2301; 9 marzo 1978, causa C-106/77, Simmenthal,ivi, 629).

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ce giurisprudenziale - di effettività della tutela giuri-sdizionale (27) e di non discriminazione (o di equi-valenza) tra i cittadini europei (28).Sicché, in virtù della rinnovata vis espansiva delprincipio del primato del diritto dell’Unione (ex art.6, par. 1, TUE), è da ritenere che le clausole dellaCarta siano suscettibili di fondare la disapplicazionedella norma processuale penale nazionale, non soloquando quest’ultima - sottoposta a sindacato di con-formità al Bill of rights comunitario - risulti in contra-sto con i diritti in materia di libertà e di giusto pro-cesso ivi sanciti (29), ma anche quando le modalitàprocedurali previste dalla norma nazionale interferi-scano con la Carta (30), ostacolando o alterando lapiena realizzazione delle posizioni soggettive su di es-sa fondate (principio di effettività), ovvero siano me-no favorevoli di quelle che riguardino ricorsi analo-ghi di natura interna (principio di equivalenza) (31).

Ulteriori implicazioni del rangoconvenzionale della Carta sul sistemacomunitario di tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali della persona

Elemento basilare dell’Unione, quale «comunità didiritto» (art. 2 TUE), è, insieme al rispetto dei dirit-ti fondamentali, «l’accesso alla giustizia (…), garan-tito da un sistema completo di rimedi e procedimen-ti diretti al controllo sulla legittimità degli atti» del-l’Organizzazione (32). Il rango di treaty law dellaCarta - e, dunque, fra gli altri diritti, dei diritti rela-tivi alla giustizia (di cui al Titolo VI: artt. 47-50) -dovrebbe avere significativi riflessi positivi anchesulla tutela giurisdizionale del singolo entro l’Unio-ne relativamente all’attività normativa delle istitu-zioni e, in specie, di quella adottata nell’ambito delCapo 4 del Titolo V che più sensibilmente incidenella sfera delle prerogative individuali. Invero, oltre a tradursi in una peculiare attenzionedella Corte di giustizia - in sede di interpretazione e diapplicazione dei Trattati (ex art. 19, par. 1, TUE) - inmerito alle azioni esperibili dinanzi alle corti comuni-tarie (33), l’“ancoraggio” della normativa dell’Unio-ne al rispetto di un parametro di diritto primario scrit-to (relativo alla tutela di diritti e libertà fondamenta-li della persona) dovrebbe determinare un maggiore“judicial activism” della Corte stessa sul versante delcontrollo di legittimità degli atti normativi delle isti-tuzioni europee in materia penale e, dunque, una piùefficace tutela del singolo entro l’Unione (34).

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Giustizia sovranazionaleProcesso penale

Note:

(27) Va rimarcato, peraltro, come il principio della tutela giurisdi-zionale effettiva (anche) dinanzi ai giudici nazionali dei diritti ga-

rantiti dall’ordinamento comunitario, già principio generale del di-ritto relativo alla tutela dei diritti fondamentali, trovi ora ricono-scimento anche all’art. 19.1. TUE («gli Stati membri stabilisconoi rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giuri-sdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione»)oltre che all’art. 47 della Carta, assurgendo a diritto fondamenta-le ad una tutela processuale effettiva.

(28) E con specifico riguardo al processo penale, per un’applica-zione del principio di non discriminazione, v. CGCE 24 novembre1998, causa C-274/96, Bickel e Franz, in Dir. pen. proc., 1999, 2,171 (e, già, CGCE 2 febbraio 1989, causa C-186/87, Cowan, inRacc., 195, punto 19) in cui la Corte ha ritenuto che «se la legisla-zione penale e le norme di procedura penale…sono in linea di prin-cipio riservate alla competenza degli Stati membri, tuttavia dallagiurisprudenza costante della Corte risulta che il diritto comunita-rio pone dei limiti a tale competenza. Le norme considerate nonpossono infatti porre in essere discriminazioni nei confronti deisoggetti cui il diritto comunitario attribuisce il diritto alla parità ditrattamento né limitare le libertà fondamentali garantite dal dirittocomunitario». E per l’affermazione dell’esigenza di effettività an-che relativamente al processo penale, v. CGCE 13 luglio 1990,causa C-2/88, Zwartveld, in Racc., 1990, 3365 e C. giust., 21 set-tembre 1989, causa C-68/88, Commissione/Repubblica ellenica,in Riv. trim. dir. pen. economia, 1993, 570.

(29) Alla diretta disapplicazione della fonte interna il giudice pe-nale perverrà, anche, eventualmente, sulla base delle statuizionirese dalla Corte di giustizia in sede di rinvio pregiudiziale pro-mosso al fine di chiarire l’esatta portata della norma comunitariaad opera dei giudici nazionali di merito (ed, altresì, della Corte co-stituzionale, come recentemente ammesso - sia pure nell’ambi-to dei giudizi di costituzionalità in via di azione - con l’ordinanza13 febbraio 2008, n. 103). Con l’ulteriore conseguenza, poi, che- dovendo la pregiudiziale comunitaria precedere quella di legitti-mità costituzionale per asserita violazione degli obblighi comuni-tari di cui agli artt. 11 e 117 Cost. (in quanto la prima «investe lastessa applicabilità della norma censurata e, dunque, la rilevan-za» della questione costituzionale: cfr. Corte cost., 13 luglio2007, n. 284, in Giur. cost., 2008, vol. 53, fasc. 1, 457) - i giudicidel rinvio pregiudiziale dovranno disapplicare la norma nazionalein contrasto con i diritti della Carta senza attendere la previa ri-mozione della norma in sede di giudizio innanzi alla Corte costi-tuzionale.

(30) In tal senso, si richiamano le pronunce già citate supra allenote 26 e 28.

(31) La necessità che anche le norme processuali penali venganosottoposte, da parte del giudice nazionale, «ad un test comunita-rio di effettività e di non discriminazione rispetto alle azioni previ-ste per la tutela delle posizioni giuridiche previste dal diritto na-zionale», e, in caso di «valutazione di segno negativo», eventual-mente disapplicate, «per garantire la piena tutela dei diritti dei sin-goli quali previsti dal diritto comunitario», è ricosciuta, pure, da E.Aprile-F. Spiezia, Cooperazione giudiziaria penale nell’Unione eu-ropea prima e dopo il Trattato di Lisbona, Milano, 2009, 24-25, egià da E. Aprile, Diritto processuale penale europeo e internazio-nale, Padova, 2007, 110-111. Sulla influenza del diritto comunita-rio sul diritto penale sostanziale e processuale, v. pure E. Canniz-zaro, Sui rapporti fra sistemi processuali nazionali e diritto del-l’Unione europea, in Dir. un. europea, 2008, 3, 447 ss.

(32) Principio già affermato in CGCE, 23 aprile 1986, causa C294/83, Les Verts c. Parlamento europeo, in Racc. 1339, punto23 (conf. 15 maggio 1986, causa C 222/84, Johnston, ivi, 1651,punto 18) e ribadito, da ultimo, in CGCE, 29 giugno 2010, causaC - 550/09, E e F, in GUCE n. 234 del 28 agosto 2010.

(33) Cfr. R. Mastroianni, La tutela dei diritti nell’ordinamento co-munitario: alcune osservazioni critiche, in Dir. un. europea, 2008,4, 856-857.

(34) In senso analogo, v. N. Parisi, Funzione e ruolo della Cartadei diritti fondamentali nel sistema delle fonti alla luce del Tratta-to di Lisbona, in Dir. un. europea, 2009, 3, 670-671.

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Sul punto, è appena il caso di rammentare come, si-no alla entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l’as-senza di una piattaforma vincolante di riferimento,alla cui stregua vagliare la legalità degli atti comuni-tari, nonché l’impossibilità per i privati di accederealla giustizia comunitaria in sede di impugnazionedegli atti delle istituzioni adottati nel quadro dellacooperazione di polizia e giudiziaria in materia pena-le ex art. 35, TUE (35), abbiano prodotto nell’Unio-ne un grave deficit nella tutela giurisdizionale dei di-ritti dell’individuo verso l’attività delle istituzionieuropee. Va, peraltro, rimarcato come, pure al di fuori di que-sto settore del diritto, in ragione della debolezza delsistema di controllo degli atti comunitari, la giuri-sprudenza della Corte di giustizia quanto mai prolifi-ca nel tutelare i diritti fondamentali quali princìpigenerali del diritto comunitario non ne abbia, inve-ce, quasi mai riconosciuto la concreta violazione daparte delle istituzioni (36), indirizzando il propriocontrollo di legittimità essenzialmente nei riguardidegli Stati membri (37). Il sistema di protezione dei diritti fondamentali, di-segnato dal Trattato di Lisbona, soddisfa maggior-mente il principio - già vigente quale principio ge-nerale del diritto comunitario e poi espresso dall’art.47 della Carta dei diritti - di effettività della tutelagiurisdizionale delle situazioni soggettive previstenell’ordinamento dell’Unione. Ad una più efficace tutela del singolo, sulla cui sferavenga ad incidere un atto normativo dell’Unione,ora contribuiscono, altresì, unitamente alla portataprescrittiva della Carta e alla competenza di caratte-re generale della Corte (38), le accresciute potenzia-lità di ricorso d’annullamento da parte dei privati,correlate alla più ampia legittimazione processualead impugnare gli atti delle istituzioni dinanzi ai giu-dici di Lussemburgo (ex art. 263, par. 4, TFUE) (39).Ad integrazione di tale rimedio, i privati possono,poi, provocare in via indiretta, per il tramite del giu-dice nazionale, un sindacato giurisdizionale dellaCorte sulla validità degli «atti compiuti dalle istitu-zioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione»azionando lo strumento dell’incidente pregiudizialedi cui all’art. 267, par. 1, lett. b), TFUE, destinato ainserirsi con sempre maggiore frequenza nel conte-sto di un procedimento penale (40).

Segue: e sul versante dell’armonizzazionein materia processuale penale

Sotto un diverso profilo, la positivizzazione di unacornice condivisa di princìpi e di diritti fondamen-tali - rilevanti (anche) in materia penale sostanziale

e procedurale - garantendo il rispetto di un più ele-vato livello di tutela degli stessi è destinata, poi, adesplicare un’ampia influenza sugli ordinamenti in-terni degli Stati membri. Consolidando la confiden-za reciproca tra gli Stati stessi, essa potrà invero con-tribuire a favorire, in un circuito virtuoso, il ravvici-

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Giustizia sovranazionaleProcesso penale

Note:

(35) Segnatamente, l’art. 35, par. 6, TUE - che continua ad appli-carsi nel periodo transitorio di cinque anni dall’entrata in vigoredel T. di Lisbona - nel prevedere la competenza della Corte di giu-stizia a riesaminare la legittimità delle decisioni-quadro e delledecisioni esclusivamente su ricorso proposto da uno Statomembro o dalla Commissione, esclude del tutto il diritto di azio-ne del singolo per contestare la legittimità degli atti delle istitu-zioni. A fronte di siffatta lacuna del sistema giurisdizionale co-munitario nell’ambito del cd. terzo pilastro, i diritti umani - anchedopo la proclamazione della Carta di Nizza - non hanno goduto diuna tutela giurisdizionale effettiva dinanzi ai giudici comunitari. Ela protezione delle posizioni giuridiche attribuite ai privati dal di-ritto comunitario si è svolta quasi esclusivamente davanti allegiurisdizioni nazionali, alle quali si è associata in via sussidiaria laCorte europea dei diritti dell’uomo: sul punto, U. Villani, I dirittifondamentali tra Carta di Nizza, Convenzione europea dei dirittidell’uomo e progetto di Costituzione europea, in Dir. un. euro-pea, 2004, 1, 92-93; R. Mastroianni, La tutela dei diritti nell’ordi-namento comunitario: alcune osservazioni critiche, op. cit., 852ss.; N. Parisi, Principio di legalità e tutela dei diritti della personanello «spazio di libertà, sicurezza e giustizia», op. cit., 385-386.

(36) Le uniche eccezioni in cui la Corte di giustizia ha dispostol’annullamento di atti comunitari per violazione dei diritti fonda-mentali sono state alcune pronunce in materia di terrorismo:CGCE 3 settembre 2008, cause riunite C-402/05 P e C-415/05 P,Kadi and Al Barakaat c. Consiglio, in Cass. pen., 2009, 389 ss.,con note di Balsamo e De Amicis preceduta in senso analogo daTrib. I grado 12 settembre 2006, causa T-228/02. Organisationdes Modjahedines du peuple d’Iran.

(37) ….«dando così luogo a un terzo livello di tutela», oltre aquello costituzionale e a quello della CEDU: «quasi del tutto in-tonso, viceversa, è rimasto il problema del deficit di tutela del-l’individuo verso le attività delle istituzioni europee», cfr. M. Car-tabia, E. Lamarque, D. Tega, L’agenzia dei diritti fondamentalidell’Unione europea.Uno sguardo all’origine di un nuovo stru-mento di promozione dei diritti, in Dir.un. europea, 2008, 3, 534-535.

(38) V., supra, nota 12.

(39) Invero, grazie alla attenuazione dei rigorosi requisiti di ricevi-bilità dei ricorsi individuali già previsti dall’art. 230, co. 4, del Trat-tato CE, migliora sia pure parzialmente la possibilità per i privatidi accedere alla giustizia comunitaria in sede di impugnazionedegli atti delle istituzioni. Ai sensi dell’art. 263, par. 4, TFUE, i sin-goli (persone fisiche o giuridiche) possono, infatti, proporre ri-corso verso un atto se esso li pregiudica direttamente e se noncomporta alcuna misura esecutoria. Pertanto, non sono più te-nuti a dimostrare “l’individualità” della lesione, come invece pre-scriveva l’art. 230, comma 4, CE relativamente all’attività postain essere dalla Comunità europea.

(40) Proprio in considerazione della circostanza che, con l’ormaiprossima estensione (decorso il periodo transitorio di cinque an-ni) della competenza pregiudiziale della Corte in relazione al set-tore dell’ex terzo pilastro senza le strettoie di cui all’art. 35 TUE,aumenterà la possibilità che la Corte stessa sia investita di rinviioperati nell’ambito di un procedimento penale, l’art. 267, par. 4,TFUE riserva una particolare attenzione a casi del genere, pre-scrivendo che, in presenza di una persona in stato di detenzione,«la Corte statuisce il più rapidamente possibile».

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namento dei sistemi giuridici in ambito processualepenale (art. 82 TFUE) oltre che sostanziale (art. 83TFUE), fungendo da strumento per la realizzazionedi uno spazio - veramente omogeneo - di libertà, si-curezza e giustizia (art. 67 TFUE) (41). Con riguardo a quest’ultimo aspetto, in specie, l’art.6, par. 1, TUE disvela l’ulteriore vocazione promo-zionale dei diritti fondamentali proclamati dallaCarta. Accanto alla dimensione tradizionale - nega-tiva - della protezione, quale limite all’azione deipubblici poteri, tali diritti acquisiscono la dimensio-ne più innovativa - positiva - della promozione, qua-li princìpi (o valori) intorno a cui le istituzioni UEdevono orientare la propria azione attraverso l’ado-zione di misure positive di attuazione (42). Sicché,d’ora in avanti, l’Unione europea dovrà farsi caricodell’obbligo di garantire che, in tutti i settori di suacompetenza, i diritti sanciti dalla Carta siano nonsolo rispettati ma anche attivamente promossi inmodo da renderli concreti ed effettivi (43).Proprio questa dimensione positiva dei diritti fonda-mentali - assurti a valore fondante ed obiettivo prio-ritario dell’Unione - dovrebbe contribuire a darenuovo slancio e consistenza alle iniziative finalizzateal ravvicinamento normativo in punto di garanzieprocessuali della persona e specificamente dell’im-putato, relativamente al quale si è registrato un pre-occupante deficit di tutela (44). Sul punto, va sottolineato come l’adozione di stan-dard equivalenti dal punto di vista procedurale s’im-pone, oltre che ai fini di una compiuta attuazionedegli strumenti basati sul mutuo riconoscimento,pure in relazione alla concreta operatività degli or-ganismi di coordinamento investigativo sovranazio-nale. Si pensi, al riguardo, all’unità Eurojust, primo orga-no giudiziario indipendente a dimensione europea,con funzioni di impulso del coordinamento delleindagini inerenti alla criminalità transnazionale (icui compiti potranno, peraltro, includere l’avviodiretto di indagini penali, nonché la proposta ri-volta alle competenti autorità nazionali di avvio diazioni penali relative a reati che ledono gli interes-si finanziari dell’Unione: ex art. 85, par. 1, lett. a),TFUE) (45) e, soprattutto, all’istituendo ufficio delProcuratore europeo «a partire da Eurojust» (art.86, par. 1, TFUE), una sorta di intelligence proces-suale unitaria competente a individuare, perseguiregli autori dei reati sopra indicati e ad esercitarel’azione penale contro gli stessi dinanzi alle compe-tenti giurisdizioni nazionali (ex art. 86, par. 2,TFUE). Ê evidente come il proficuo funzionamento di tali

organismi di coordinamento non possa prescinde-re da una maggiore convergenza delle normativeprocessuali degli Stati membri, sia sul piano deltrattamento del reo e delle pratiche giudiziarie alfine di ridurre al minimo le differenze che spessoostacolano la collaborazione tra le diverse autoritàvanificandone il coordinamento, sia su quello del-le garanzie delle persone (su cui verrà ad inciderela futura attività di indagine dei predetti organi-smi) nell’ottica di un «equilibrato rapporto tra idiversi protagonisti della sequenza procedimenta-le» (46).É in questa prospettiva che sta finalmente prenden-do corpo il progetto - già oggetto della proposta di

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Note:

(41) In genere, a proposito dell’«effetto plasmante» della Cartain tutti gli ambiti di intervento legislativo dell’Unione, conse-guente al vincolo - che grava tanto sul legislatore UE quanto su-gli Stati membri nell’attuazione del diritto dell’Unione - a confor-marsi al contenuto definitorio dei diritti fondamentali ivi sanciti,v. Lenae - rts, K. e Gutiérrez-Fons, J., «The Constitutional Allo-cation of Powers and General Principles of EU Law», CommonMarket Law Review, vol. 47, n. 6, 2010, 629 ss.

(42) Su tale duplice funzione, M. Cartabia, I diritti fondamentali ela cittadinanza dell’Europa, op. cit., 109-110 e G. Grasso, Lezionidi diritto penale europeo, a cura di G. Grasso e R. Sicurella, Mi-lano, 2007, 637-638 e 648-650.

(43) Cfr. punti 2. e 2.1. del Programma di Stoccolma - Un’Europaaperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini - adottato per ilperiodo 2010-2014 dal Consiglio europeo il 10 e 11 dicembre2009, cit.

(44) Solo la condizione della vittima del reato è stata, infatti, og-getto di qualche attenzione: v., la direttiva n. 2004/80/CE delConsiglio del 29 aprile 2004 relativa all’indennizzo delle vittime direato, la decisione-quadro 2001/220/GAI del 15 marzo 2001 rela-tiva alla posizione della vittima nel procedimento penale e, da ul-timo, la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Con-siglio COM (2011) 275 del 18 maggio 2011 contenente normeminime relative ai diritti, al sostegno e alla protezione delle vitti-me della criminalità (con riguardo ad un periodo precedente, v.,volendo, G. Bellantoni, La riparazione alle vittime del reato traistanze «risarcitorie» e politica «assistenziale» in Ind. pen., 1985,535 ss.). E, nell’ambito della giurisprudenza della Corte di giusti-zia, si richiamano segnatamente le sentenze 9 ottobre 2008,causa C-404/2007, Katz, in Raccolta, I-7607 ss.; 29 novembre2007, causa C-112/07, Commissione contro Repubblica italiana,ibidem, I-178; 16 giugno 2005, causa C-105/03, Pupino, cit.

(45) Il ruolo di Eurojust, che realizza una certa “verticalizzazione”delle attività investigative relative alle gravi forme di criminalitàtransnazionale, è destinato a crescere per effetto della nuova de-cisione 2009/426/GAI del 16 dicembre 2008 che modifica la De-cisione istitutiva 2002/187/GAI del 28 febbraio 2002 (cui l’Italiaha dato attuazione con l. 14 marzo 2005 n. 41, pubblicata in G.U.29 marzo 2005, n. 72). Sul punto, v. E. Aprile-F.Spiezia, Coopera-zione giudiziaria penale nell’Unione europea prima e dopo il Trat-tato di Lisbona, op. cit., 226 ss. e F. Spiezia, Il coordinamentogiudiziario sopranazionale:problemi e prospettive alla luce dellanuova decisione 2009/426/GAI che rafforza i poteri di Eurojust,in Cass. pen., 2010, 5, 1990 ss.

(46) Cfr. F. Spiezia, Il coordinamento giudiziario sopranaziona-le:problemi e prospettive alla luce della nuova decisione2009/426/GAI che rafforza i poteri di Eurojust, op. cit., 1993.

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decisione quadro del 28 aprile 2004, poi congelata(47) - di definire un nucleo di norme proceduraliminime a favore di indagati e imputati nei procedi-menti penali in tutto il territorio dell’Unione euro-pea. Destinato a svilupparsi per tappe successive step-by-step secondo una “tabella di marcia” definita dalConsiglio (48), detto progetto di armonizzazione in-dividua cinque settori di diritti procedurali in cui sa-ranno introdotte regole comuni agli Stati membri,necessarie non solo per migliorare la fiducia tra i si-stemi giudiziari penali, ma anche allo scopo di ga-rantire la piena attuazione del diritto dell’indaga-to/imputato ad un processo equo sancito dall’art. 6CEDU e dagli artt. 47 e 48 della Carta. In attuazione della roadmap del Consiglio, il 20 ot-tobre 2010 è stata già adottata la direttiva sul dirittoall’interpretazione e alla traduzione (49); mentre il20 luglio 2010 e l’8 giugno 2011 sono state presen-tate, rispettivamente, la seconda proposta di diretti-va relativa al diritto della persona accusata all’infor-mazione nei procedimenti penali nel territorio del-l’Unione europea (50) e la terza proposta di diretti-va relativa al diritto degli indagati di essere assistitida un avvocato sin dal momento dell’arresto e finoalla conclusione del processo (51).

Il concorso effettivo di competenze delle due Corti europee (di Lussemburgoe di Strasburgo) nel quadro di un tendenziale approssimarsi dei due sistemi di tutela dei diritti fondamentali

La portata innovativa dell’art. 6 TUE si proietta ol-tre l’àmbito dell’Unione europea, venendo ridise-gnato - per effetto della norma de qua - l’intero as-setto delle fonti di tutela dei diritti umani in Europa. Il richiamo della Carta dei diritti quale fonte di di-ritto primario (art. 6, par. 1, TUE) - a fianco dellaCEDU (art. 6, par. 2, TUE) e dei princìpi generali(ricostruiti, per via pretoria, dai diritti convenziona-li e dalle tradizioni costituzionali comuni agli Statimembri: art. 6, par. 3, TUE) - se indubbiamente raf-forza la protezione dei diritti fondamentali all’inter-no dell’Unione europea, prospettando sul versanteesterno nuovi equilibri nei rapporti tra Corte di Lus-semburgo e di Strasburgo, allo stato, però, in attesadella formale integrazione dell’Unione nel sistemaCEDU, complica la tutela dei diritti stessi in Euro-pa, ponendo problemi di interferenza, e coordina-mento, tra fonti eterogenee nonché tra le relativegiurisdizioni. Orbene, il pericolo di conflitti interpretativi tra le

due Corti europee, emerso in astratto già all’indo-mani della proclamazione a Nizza della Carta dei di-ritti - a motivo della coesistenza di un doppio cata-logo di diritti fondamentali -, era tuttavia da ritene-re scongiurato sul piano formale prima dell’entratain vigore del Trattato di Lisbona. Ben diversi erano iruoli svolti dalle due Corti e soprattutto diverso eral’àmbito oggettivo di competenza delle stesse. LaCorte europea dei diritti dell’uomo - geneticamentepreposta, nel quadro del Consiglio d’Europa, alla tu-tela dei diritti fondamentali - ha (da sempre) unacompetenza di ordine generale, potendo sindacare laconformità, alle disposizioni della Convenzione edei suoi Protocolli, del comportamento degli Statiparte nonché delle corrispondenti normative inter-ne (ex artt. 32 e 34 Conv. di Roma). Per converso, laCorte di giustizia delle Comunità europee, il cuicompito istituzionale è quello di assicurare il rispet-to del diritto comunitario nell’interpretazione e nel-la applicazione dei Trattati, aveva una competenzacorrelata all’esercizio delle competenze comunitariein senso stretto, esercitando un controllo di legitti-mità sui soli atti comunitari (ex art. 230 CE).Nel nuovo quadro ordinamentale, da un canto, lanormatività della Carta dei diritti, che assurge aprincipale parametro di riferimento in materia al-l’interno dell’Unione europea e, dall’altro canto, lacompetenza generale della Corte di giustizia (allar-gata a tutti gli aspetti inerenti alla libertà, sicurezza

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Note:

(47) Proposta di decisione quadro sulle garanzie procedurali a fa-vore di indagati e imputati in procedimenti penali nel territoriodell’Unione europea COM (2004) 328, preceduta dal Libro verdeCOM (2003) 75 sulla stessa materia. Sul punto, v. R. Dedola, Ildifficile itinerario verso una decisione quadro sui diritti e le ga-ranzie procedurali per indagati e imputati, in AA.VV., Equo pro-cesso: normativa italiana ed europea a confronto, a cura di L. Fi-lippi, 2006, 159 ss.

(48) Tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti procedurali diindagati ed imputati nei procedimenti penali: Risoluzione Consi-glio del 30 novembre 2009 (in GUCE 95 del 4 dicembre 2009)che invita la Commissione a presentare proposte relative a cin-que diritti procedurali: diritto di traduzione e interpretazione, di-ritto d’informazione, diritto di assistenza legale, diritto di comu-nicare con familiari, datori di lavoro e autorità consolari, specialigaranzie a tutela dei soggetti vulnerabili. Elencazione di diritti su-scettibile di essere integrata ed estesa - come auspicato dalConsiglio europeo nel Programma di Stoccolma, punto 2.4. - adulteriori aspetti dei diritti procedurali minimi (la presunzione di in-nocenza, il diritto alla parità di trattamento nella concessione del-la libertà provvisoria, norme minime per la detenzione e mecca-nismi d’impugnazione accessibili).

(49) V. Bazzocchi, L’armonizzazione delle garanzie processualinell’Unione europea: la direttiva sul diritto all’interpretazione e al-la traduzione nei procedimenti penali, in Dir. un. europea, 2010,4, 1042 ss.

(50) COM (2010)392/3, 20 luglio 2010.

(51) COM (2011)326, 8 giugno 2011.

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e giustizia), il cui ruolo evolve a quello di vera e pro-pria giurisdizione costituzionale europea, pongono,in concreto, un problema di concorrenza tra le dueCorti. Peraltro, il pericolo di una sovrapposizione diletture diversificate, se non addirittura confliggenti,da parte di giurisdizioni concorrenti nella tutela deimedesimi diritti è reso ancor più probabile alla lucedel tendenziale, e progressivo, approssimarsi dei duesistemi di tutela dei diritti fondamentali (52). Ciò èvero, intanto, sul piano dei ruoli svolti dalle dueCorti. La giurisdizione della Corte di Lussemburgo,in origine, ben distinta da quella della Corte di Stra-sburgo, è venuta sempre più ad affiancarsi a quelladella Corte EDU, man mano che, con l’ampliamen-to dei compiti delle Comunità, il diritto dell’Unioneha investito sempre più questioni inerenti ai dirittidell’uomo. Inoltre, pur nella diversità degli impiantiprocedurali in cui maturano i rispettivi dicta in ma-teria di garanzie fondamentali del processo (così, lagiurisprudenza della Corte di giustizia, entro i limitidi cui all’art. 35 TUE, ha trovato come privilegiatoterreno di esplicazione l’incidente interpretativopregiudiziale; di contro, le pronunce della CorteEDU attuative dell’art. 6 CEDU sono provocate invia diretta - mediante il ricorso individuale - ma unavolta esaurite le vie di ricorso interne ex art. 35,comma 1, CEDU), le due giurisdizioni tendono adavvicinarsi anche sul piano della forza giuridica so-stanziale delle rispettive pronunce. Non è superfluorammentare come, mentre le sentenze della Corte diLussemburgo, se contengono un principio, hannoun effetto diretto e, dunque, prevalente nell’ordina-mento interno (secondo l’art. 11 Cost.) e, se rese insede di rinvio pregiudiziale, hanno - secondo una or-mai consolidata elaborazione giurisprudenziale dellaCorte di giustizia - una vincolatività “ultra partes”;diversamente, le sentenze della Corte di Strasburgo«in assenza di analoghi meccanismi normativi chene prevede[ssero] la diretta vincolatività per il giudi-ce interno» (53), non erano di per sé dotate di effi-cacia vincolante negli ordinamenti statali.Importanti mutamenti intervenuti - soprattutto do-po l’entrata in vigore, il 1°novembre 1998, del Pro-tocollo n. 11 Conv. eur. dir. uomo - sul versante del-l’esecuzione delle sentenze della Corte EDU hannoampliato in modo significativo l’incidenza dellestesse nel diritto interno dei singoli Stati, e in specienel nostro sistema processuale penale. Per un verso, a parte la indubbia forza vincolante ac-quisita dalle sentenze definitive della Corte di Stra-sburgo nei confronti degli Stati che siano parti delgiudizio ai sensi dell’art. 46 CEDU nel testo novella-to dal Protocollo n. 14 (54), va rimarcato come l’effi-

cacia generale degli orientamenti interpretativi dellaCorte oltre i confini dello Stato cui siano rivolte, edunque rispetto a processi diversi da quello deciso,derivi già dall’art. 32, comma 1, CEDU, come modi-ficato dal Protocollo n. 11 Conv. eur. dir. uomo (55),correlandosi al ruolo di interprete qualificato dellaCEDU, riconosciuto, a garanzia della sua «definitivauniformità di applicazione», alla Corte di Strasburgo,«cui [appunto] spetta la parola ultima» (56). Per altro verso, non può ignorarsi la tendenza dellaCEDU a dotare le proprie pronunce di un contenu-to ben più ampio di quello attinente l’oggetto for-male di ciascuna causa (57); non limitandosi più ad

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Note:

(52) Beninteso, pur mantenendo i due sistemi di tutela la propriaautonomia ed autosufficienza e (pur) continuando «a corrispon-dere a due rationes differenti» (cfr. P. Bilancia, Le nuove frontie-re della tutela multilivello dei diritti, in Annuario 2004 dell’Asso-ciazione italiana dei costituzionalisti. Atti del XIX Convegno An-nuale Padova, 22-23 ottobre 2004, Cedam, 2008, 416).

(53) Cass. civ., sez. I, 8 agosto 2002, n. 11987, in Riv. dir. it.,2002, 4, 1104 ss.

(54) Il Protocollo n. 14, ratificato dall’Italia con l. 15 dicembre2005, n. 280 ed entrato in vigore il 1° giugno 2010, ha infatti re-so assai più stringente l’obbligo degli Stati di conformarsi allesentenze definitive della Corte europea con la previsione di unmeccanismo di controllo da parte del Comitato dei ministri e diuna procedura di infrazione attivabile nei confronti degli Stati cherifiutino di conformarsi al decisum europeo.

(55) In altri termini, le sentenze della Corte europea hanno «va-lore o autorità di cosa giudicata interpretata», dovendo adeguar-si ad esse non solo «lo Stato coinvolto (…), ma anche (…) tuttigli altri Paesi internazionalmente obbligati dalle norme pattizie»(G. Ubertis, La Corte di Strasburgo quale garante del giusto pro-cesso, in questa Rivista, 2010, 3, 372. In senso analogo, F. Viga-no, Il giudice penale e l’interpretazione conforme alle norme so-pranazionali, in Studi in onore di Mario Pisani, Vol. II, Diritto pro-cessuale penale e profili internazionali. Diritto straniero e dirittocomparato, op. cit., 637 e M. Cartabia, La Convenzione europeadei diritti dell’uomo e l’ordinamento italiano, in Nuovi scenari do-po il «caso Dorigo» e gli interventi della Corte costituzionale, acura di A. Balsamo e R.E. Kostoris, Torino, 2008, 61. Contra, P.Ferrua, Il contraddittorio nella formazione della prova a dieci an-ni dalla sua costituzionalizzazione: il progressivo assestarsi dellaregola e le insidie della giurisprudenza della Corte europea, inStudi in onore di Mario Pisani, cit., Vol. II, cit., 222, secondo cui«la forza vincolante di quanto asserito nelle sue sentenze nondovrebbe superare il limite segnato dalla singola controversia. Adifferenza della Corte costituzionale, la Corte europea non è giu-dice delle leggi».

(56) Cfr. Corte cost., 24 ottobre 2007, n. 349, in Giur. cost., 2007,3556 con note di M. Cartabia, A. Guazzaroti e V. Sciarabba e, nel-lo stesso senso, la “gemella” pronuncia Corte cost., 24 ottobre,n. 348, ibidem, 2007, 3510, con note di C. Pinelli e A. Moscarini,che ha statuito che «le norme della CEDU vivono nell’interpreta-zione che delle stesse viene data dalla Corte europea».

(57) Così da determinare «una sorta di mutazione genetica deglieffetti derivanti dai provvedimenti emessi […] per decidere sul-l’esistenza di una violazione pattizia» (così, G. Ubertis, L’adegua-mento italiano alle condanne europee per violazioni dell’equitàprocessuale, in Giurisprudenza europea e processo penale italia-no. Nuovi scenari dopo il «caso Dorigo» e gli interventi della Cor-te costituzionale, cit., 99.

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accordare una riparazione pecuniaria a titolo di equasoddisfazione ex art. 41 CEDU, ma indicando ora leulteriori misure di carattere individuale necessarieper porre fine alla violazione, ripristinando ove pos-sibile la situazione preesistente (cd. restitutio in inte-grum) (58), ora finanche le misure di carattere gene-rale necessarie a rimuovere le cause strutturali delleviolazioni riscontrate, evitando così il ripetersi diviolazioni analoghe (59). Conseguendone, in taleultima ipotesi (indicazione di misure riparatorie ge-nerali ovvero con efficacia erga omnes), una dilata-zione degli effetti delle decisioni della Corte euro-pea al di là della specifica vicenda processuale e,dunque, un’incidenza generale delle stesse con nonpoche ricadute sull’intero ordinamento processualepenale, come è avvenuto in relazione a profili rile-vanti della normativa italiana (60).Infine, pur non ritenendo di aderire alla asserita “co-munitarizzazione” della Convenzione di Roma - percui le norme convenzionali, ai sensi dell’art. 6, par. 3TUE, acquisirebbero il grado e la forza del dirittodell’Unione europea direttamente applicabile (61) -, nondimeno non può più sottovalutarsi la rilevanzadella stessa e del relativo diritto vivente, espressonelle pronunce della Corte EDU, nel nostro sistemadelle fonti. I riscontri sono ormai noti. Da un canto, le sentenzecostituzionali n. 348 e n. 349 del 2007 con cui laConsulta, facendo leva sul novellato art. 117, com-ma 1, Cost., ha ridisegnato i rapporti inter-ordina-mentali riconoscendo il rango di norme interpostealle disposizioni CEDU, che sono così assurte - nelsignificato loro attribuito dalla Corte europea - a pa-rametro di costituzionalità della nostra legislazioneinterna (62). Con ciò rendendo non più eludibilel’obbligo peraltro già prescritto, in àmbito proces-suale penale (dal preambolo dell’art. 2 della legge-delega c.p.p.), del legislatore di uniformare la disci-plina codicistica ai precetti convenzionali in mate-ria di “giusto processo” (63). Dall’altro canto, l’indi-rizzo rivoluzionario della nostra Corte di cassazionecon cui, sopperendo all’inerzia del legislatore in or-dine all’obbligo di conformarsi alle condanne euro-pee per violazione dell’equità processuale, si è rico-nosciuta l’idoneità delle sentenze della Corte EDU arisolvere i giudicati interni (64).

Coordinamento materiale e prospettiva di adesione dell’Unione alla CEDU. Verso uno spazio omogeneo di garanzia dei diritti umani?

Il problema del coordinamento materiale con le al-tre fonti dei diritti umani (ordinamenti nazionali e

CEDU) è stato tenuto in debita considerazione, giàin sede di prima formulazione della Carta - come at-testa la previsione del Titolo VII dedicato alle di-sposizioni generali relative all’interpretazione e allaapplicazione della Carta -, pure in ragione della «suaattitudine a costituire punto di riferimento dei dirit-ti umani anche al di là del raggio d’azione del-l’Unione» (65). Ai criteri ermeneutici del Titolo VII rinvia, appun-to, il terzo comma del par. 1 dell’art. 6 TUE che ri-

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Giustizia sovranazionaleProcesso penale

Note:

(58) Così, con riguardo all’Italia, si è statuito che laddove il pro-cesso interno si concluda con la pronuncia di una sentenza dicondanna passata in giudicato, l’accertata violazione dell’art. 6CEDU inficia l’intero iter procedimentale ed il mezzo più adegua-to per rimediarvi è la celebrazione di un nuovo processo o la ria-pertura del procedimento, se richiesto dall’interessato (C. eur. dir.uomo, sez. II, 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia, § 42 ss.). Lereiterate sollecitazioni - rivolte alle autorità italiane dal Comitatodei ministri del Consiglio d’Europa - ad introdurre un meccanismoatto a consentire la riapertura del procedimento dichiarato nonequo sono culminate, da ultimo, nella recente sentenza Cortecost., 4 aprile 2011, n. 113, che ha dichiarato l’illegittimità costi-tuzionale dell’art. 630 c.p.p., nella parte in cui non prevede un di-verso caso di revisione al fine di conseguire la riapertura del pro-cesso, quando ciò sia necessario, ai sensi dell’art. 46, par. 1, CE-DU, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte EDU.

(59) Con specifico riferimento alla disciplina italiana del processocontumaciale, C. eur. dir. uomo, sez. I, sent., 10 novembre 2004,Sejdovic c. Italia, § 44-47 e § 55, in cui si è ritenuto che la viola-zione dell’equità processuale, riscontrata nel caso di specie,traeva origine da «un problema sistemico (…) causato dall’as-senza di un meccanismo effettivo per assicurare il diritto dellepersone condannate (…) in absentia di ottenere un nuovo pro-cesso sul merito delle accuse elevate a loro carico» e che lo Sta-to italiano doveva «garantire, con misure appropriate, il diritto inquestione al ricorrente e alle altre persone in una posizione simi-le». Alla pronuncia europea ha, poi, fatto seguito la modifica le-gislativa dell’art. 175 c.p.p. con d.l. 21 febbraio 2005 n. 17, conv.in l. 22 aprile 2005, n. 60.

(60) Sulla crescente propensione della Corte europea a farsi (an-che) “giudice delle leggi”, di cui è appunto sintomatica la pro-nuncia resa nel “caso Sejdovic”, v. M. Chiavario, La “lunga mar-cia” dei diritti dell’uomo nel processo penale, in Giurisprudenzaeuropea e processo penale italiano, cit., 28 ss.

(61) Tesi sostenuta per lo più da talune pronunce dei giudici am-ministrativi, Cons. di Stato, sez. IV, 2 marzo 2010, n. 1220, inGuida dir., 2010, 14, 88 ss., con nota di Colavitti-Pagotto e Tar La-zio, sez. II, 18 maggio 2010, n. 11984, in www.giustamm.it .

(62) Corte cost., 24 ottobre 2007, n. 348 e n. 349, cit., 2007,3508 ss. Negli stessi termini, recentemente, Corte cost., sent.12 marzo 2010 n. 93, in www.cortecostituzionale.it.

(63) Al riguardo v., anche per i riferimenti, G. Bellantoni, Provve-dimento di perquisizione e impugnazioni, in Nuovi scritti di pro-cedura penale, Torino, 2009, 63-64.

(64) Cass., sez. I, 22 settembre 2005, Cat Berro, in Cass. pen.,2006, 3171; Cass., sez. I, 12 luglio 2006, Somogyi, ivi, 2007,1002, con nota di Tamietti; Cass., sez. I, 1°dicembre 2006, Dori-go, ibidem, 2007, 1441, con nota di L. De Matteis; Cass., sez. I,12 novembre 2008, Drassich, ivi, 2009, 1457; Cass., sez. V, 11febbraio 2010, Scoppola, ivi, 2010, 3389, con nota di Musio.

(65) Cfr. F. Sorrentino, I diritti fondamentali in Europa dopo Li-sbona (considerazioni preliminari), in Corr. giur., 2010, 2, 148.

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chiama, altresì, le dettagliate «spiegazioni cui si fariferimento nella Carta» elevate al rango di fonteinterpretativa obbligata (66). Quanto al profilo cruciale del rapporto tra i due con-correnti sistemi di tutela dei diritti umani in Europa(ordinamento dell’Unione europea ed ordinamentoCEDU, Corte di Lussemburgo e di Strasburgo), ven-gono in rilievo le clausole orizzontali di cui agli artt.52, par. 3 e 53 della Carta. Allo scopo di assicurarela necessaria coerenza interpretativa tra le due Cor-ti europee relativamente agli stessi diritti, il par. 3art. 52 sancisce che «il significato e la portata»(comprese le limitazioni ammesse) dei diritti dellaCarta stessa che corrispondano a quelli garantitidalla CEDU «sono uguali a quelli conferiti dallasuddetta convenzione» (cd. clausola di equivalen-za). Ne segue che, al fine di ricostruire l’esatta por-tata dei diritti di derivazione CEDU (in cui sonocompresi tutti i diritti del Titolo VII - Giustizia(67)), l’interprete, in virtù del rinvio recettizio allaConvenzione di Roma, è tenuto ad un confrontocomplesso non solo con il testo della Convenzione edei suoi Protocolli, ma altresì - come chiariscono leSpiegazioni (ed enunciato nel Preambolo) - con lagiurisprudenza della Corte EDU; di cui viene per-tanto confermata la valenza interpretativa con effet-ti generali (v. supra, § 5). In ogni caso, la soluzione di agganciare formalmentele tutele della Carta a quelle apprestate dalla CEDU- che secondo taluno tradirebbe l’intento di conteni-mento delle potenzialità espansive della Carta stessa(68) - fa salva la possibilità che «il diritto dell’Unio-ne conceda una protezione più estesa» (art. 52, par.3, parte finale). In altri termini, il sistema di tutelaistituito dalla Convenzione di Roma, proprio perchéespressione di un ordine pubblico europeo, comuneed inderogabile, in materia di diritti fondamentali(69), si configura quale standard minimo essenzialeche non preclude che l’Unione, e per essa la Corte diLussemburgo, assicuri una tutela più intensa di queimedesimi diritti collocandosi ad un livello di garan-zia superiore a quello accordato dalla CEDU, o pro-tegga ulteriori diritti non coperti dalla CEDU.Preordinato a fissare uno sbarramento ad interpreta-zioni della Carta che comportino un abbassamentodel livello di tutela derivante da altro strumento in-ternazionale o dal diritto interno è l’art. 53 dellaCarta (cd. clausola di compatibilità). Analogamen-te a quanto già disposto dall’art. 53 CEDU (in rela-zione ai rapporti della Convenzione di Roma con lealtre fonti), la Carta dovrà essere intesa senza pre-giudizio della tutela eventualmente più elevata pre-vista, «nel rispettivo ambito di applicazione», da al-

tro strumento internazionale (di cui l’Unione o tut-ti gli Stati membri sono parte) e dalle Costituzionidegli Stati membri.Dal combinato disposto delle clausole orizzontaliappena esaminate emergono le coordinate interpre-tative che devono guidare l’interprete (Corte UE egiudici nazionali) nel contesto del complesso siste-ma multilivello di tutela dei diritti fondamentali inEuropa. Per un verso, relativamente ai diritti dellaCarta di derivazione CEDU, nell’intento di garanti-re la tendenziale coerenza ed omogeneità delle tute-le apprestate dai due ordinamenti, il giudice comu-nitario dovrà allinearsi ai parametri minimi conven-zionali nell’interpretazione di essi offerta dalla giuri-sprudenza della Corte EDU, vero nucleo del dirittovivente della Convenzione. Per altro verso, a frontedella pluralità di fonti eterogenee (nazionali, comu-nitarie, CEDU), l’interprete dovrà privilegiare l’ese-gesi che individui i più ampi margini interpretativi,dando applicazione di volta in volta a quella tra levarie fonti (e, dunque, anche nazionale) che realizzila maggiore protezione dei diritti individuali in rela-zione al singolo caso concreto (70). Sullo sfondo, nel quadro di un’interrelazione sempre

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Giustizia sovranazionaleProcesso penale

Note:

(66) Cfr. L. Daniele, Diritto dell’Unione europea. Sistema istitu-zionale-Ordinamento-Tutela giurisdizionale-Competenze, Mila-no, 2010, 180.

(67) Secondo l’elenco riportato a margine della Spiegazione rela-tiva all’art. 52 della Carta, i diritti della Carta corrispondenti aquelli garantiti dalla CEDU sono, a loro volta, ripartiti in: diritti chehanno significato e portata identici agli articoli corrispondenti del-la CEDU, in cui rientrano i diritti di cui all’art. 48 (Presunzione diinnocenza e diritti della difesa) e all’art. 49 (Principi della legalitàe della proporzionalità dei reati e delle pene); e diritti che hannosignificato identico ma la cui portata è più ampia di quella dei cor-rispondenti articoli convenzionali, in cui rientrano i diritti di cui al-l’art. 47, par. 2 e 3 (Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice im-parziale) e all’art. 50 (Ne bis in idem).

(68) Cfr. P. Sandro (Alcune aporie e un mutamento di paradigmanel nuovo articolo 6 del Trattato sull’Unione europea, op. cit.,861) secondo cui, «dietro strumentali esigenze di ‘coordinazio-ne’tra le due carte di diritti», vi sarebbe la volontà di far prevale-re - attraverso «il depotenziamento genetico della normativitàdella Carta» - il sistema di tutela facente capo al Consiglio d’Eu-ropa, «che sente minacciata l’autorevolezza della Corte di Stra-sburgo dall’adozione di un nuovo catalogo di diritti che….superala CEDU in termini di civiltà giuridica».

(69) Conf. S. P. Panunzio, I diritti fondamentali e le Corti in Euro-pa, in I diritti fondamentali e le Corti in Europa, a cura di S. P. Pa-nunzio, Napoli, 2005, 78. Per il riconoscimento della Convenzio-ne quale «strumento costituzionale dell’ordine pubblico euro-peo», C. eur. dir. uomo 30 giugno 2005, Bosphorus Air Lines c.Irlanda, ric. 45036/98, Riv. dir. int., 2005, 778.

(70) Cfr. L. Daniele, La protezione dei diritti fondamentali nel-l’Unione europea dopo il Trattato di Lisbona: un quadro d’insie-me, in Dir. un. europea, 2009, 3, 652 e S. Amadeo, Il Protocollon. 30 sull’applicazione della Carta a Polonia e Regno Unito e la tu-tela “asimmetrica” dei diritti fondamentali: molti problemi, qual-che soluzione, ibidem, 724.

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più stretta tra distinti livelli ordinamentali (nazio-nale, comunitario e CEDU), si prefigura un coordi-namento circolare tra le varie istanze di garanzia checoncorrono, in un circuito giurisprudenziale poli-centrico, nella tutela dei diritti umani. Invero, oltrealle (già rilevate) interferenze “esterne” promanantidagli ordinamenti UE e CEDU, nonché dalle deci-sioni delle due giurisdizioni sovranazionali (v., su-pra, § 5) sull’ordinamento nazionale e sui giudici co-muni (chiamati a dare interpretazioni del diritto in-terno conformi al diritto comunitario ed orientatein senso CEDU e, dunque, a ricostruire la regola digiudizio attraverso un continuo meccanismo di ri-mandi e rinvii), si profilano (ai sensi della clausolavincolante di cui all’art. 52, par. 3, della Carta) nuo-ve intersezioni, e punti di concordanza, tra giuri-sprudenza della Corte di giustizia e della Corte euro-pea, destinati ad aumentare dopo che l’Unione, inseguito all’adesione (ex art. 6, par. 2, TUE), sarà in-tegrata nel sistema convenzionale.Va rimarcato, peraltro, come allo stato, in assenza diun controllo esterno sul funzionamento nel casoconcreto dei meccanismi orizzontali, i termini delraccordo tra ordinamenti (UE e CEDU) inseriti insistemi (ancora) formalmente non comunicanti(71), anche se sempre più in relazione, siano tutt’al-tro che definiti (72). Sicché, la coerenza dei sistemidi tutela giurisdizionale dei diritti umani in Europarimane di fatto affidata al piano fluido e incerto deldialogo biunivoco tra le due Corti europee, nonchéa quello circolare tra queste ultime e le giurisdizioninazionali.Ora, se è vero che i rapporti tra le predette Corti so-vranazionali si sono svolti tendenzialmente su unpiano di collaborazione e di reciproco rispetto dellaautonomia e specificità dei rispettivi ordinamenti,non mancano, tuttavia, indicazioni di segno contra-rio dall’una e dall’altra parte. Così, da parte della più recente giurisprudenza dellaCorte di giustizia sembra emergere la tendenza ad as-sorbire a sé la tutela giurisdizionale dei diritti fonda-mentali, sganciando il sistema di protezione dei di-ritti de quibus all’interno dell’Unione europea daquello facente capo alla Convenzione di Roma. Pervero, mentre nelle pronunce precedenti l’entrata invigore del Trattato di Lisbona la Carta dei diritti(ancor priva di valore giuridico) è stata sempre ri-chiamata ad abundantiam, quale ulteriore riferimen-to confermativo dei diritti già riconosciuti a livellocomunitario, accanto alle fonti vincolanti in mate-ria di protezione dei diritti fondamentali (prima tratutte la CEDU, eletta a riferimento privilegiato delcontrollo sul rispetto dei diritti umani) (73). Di

contro, talune sentenze successive al 1° dicembre2009 contengono un riferimento esclusivo alla Car-ta, quale unico parametro giustificativo dei dicta del-la Corte di giustizia in materia di diritti fondamen-tali (74). Da parte sua, la Corte europea, pur ricono-scendo che gli atti dell’Unione europea non posso-no essere impugnati dinanzi a sé perché l’Unione inquanto tale non è Parte contraente della CEDU, si èritenuta competente a controllare sotto il profilodell’equivalenza con gli standard convenzionali l’at-tività posta in essere dagli Stati in attuazione degliatti delle istituzioni (75); estendendo, per questavia, il proprio controllo - seppure indirettamente -sull’attività normativa dell’UE.Proprio il traguardo dell’adesione dell’Unione allaCEDU, mediante la sottoposizione delle istituzioniUE al controllo ultimo della Corte di Strasburgo,potrebbe non solo arginare simili tendenze “espan-sionistiche”, ma soprattutto assicurare la convergen-za lungo direttrici comuni della giurisprudenza dellaCorte EDU e della Corte UE in materia di garanziefondamentali ponendo le basi per l’edificazione diun sistema omogeneo di tutela giurisdizionale dei di-ritti umani in Europa.

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Giustizia sovranazionaleProcesso penale

Note:

(71) Cfr. V. Zagrebelsky, La prevista adesione dell’Unione euro-pea alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, inwww.europeanrights.eu, 4.

(72) F. Sorrentino, I diritti fondamentali in Europa dopo Lisbona(considerazioni preliminari), op. cit., 145.

(73) Per la citazione congiunta, v., con riferimento al diritto ad unprocesso equo e al principio di legalità dei reati e delle pene,CGCE 8 luglio 2008, causa T-99/04, AC-Treuhand ACc.Commissione delle Comunità europee, in GU C209, del 15 ago-sto 2008 e, con riguardo alla presunzione di innocenza, CGCE 12ottobre 2007, causa T-474/04, Pergan Hilfstoffe für industrielleProzesse GmbH, in GU C283, del 24 novembre 2007. V., pure,CGCE 26 giugno 2007, causa C - 305/05, Ordre des barreauxfrancophones, cit.; 13 marzo 2007, causa C-432/05, Unibet, cit.;e 27 giugno 2006, causa C-540/03, Parlamento/Consiglio, cit.

(74) Per la citazione esclusiva della Carta, cfr. CGCE 8 marzo2011, Gerardo Ruiz Zambrano c. Office national del l’emploi(ONEm), rinvenibile sul sito www.curia.eu.int.; 19 gennaio 2010,causa C-555/07, Seda Kukukdeveci c. Swedex, ivi; 23 dicembre2009, causa C-403/09, Jasna Deti ek c. Maurizio Sgueglia,inGU C063 del 13 marzo 2010. V., però, per la citazione congiuntadi entrambi gli Atti, CGCE 4 marzo 2010, Rhimou Chakroun c.Minister van Buitenlandse Zaken, rinvenibile sul sitowww.curia.eu.int.

(75) Indirizzo interpretativo - inaugurato con la sentenza resa nelcaso Matthews c. Regno Unito (C. eur. dir. uomo 18 febbraio1999, ric. 24833/94, in Riv. int. dir. uomo, 1999, 613 ss.) e con-fermato nel caso Bosphorus Air Lines c. Irlanda (C. eur. dir. uo-mo 30 giugno 2005, ric. 45036/98, cit.) - in cui la Corte ha cosìsancito il principio per cui gli Stati che abbiano trasferito a un’or-ganizzazione sopranazionale come la CE (ora Unione) taluni po-teri sovrani non sono sottratti, per quanto riguarda l’esercizio deipoteri sovrani oggetto del trasferimento, all’obbligo di rispettarei diritti tutelati dalla CEDU.

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Diritto penale e processo 6/2012 777

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NEMO TENETUR SE DETEGERE E REATI TRIBUTARI

Corte europea dei diritti umani, Sez. V, 5 aprile 2012,Pres. Spielmann, Chambaz c. Svizzera

Condannata la Svizzera per non aver rispettato il princi-

pio di parità delle armi e per aver violato il diritto a non

autoincriminarsi.

Il casoIl ricorrente è Yves Chambaz, un cittadino svizzero che at-tualmente vive a Bermuda e che è stato sottoposto a molte-plici procedimenti per evasione fiscale. Nel 1991, la commis-sione tributaria di Aubonne ha ritenuto che il Sig. Chambaznon avesse dichiarato l’intero reddito per l’anno 1989-1990,dato che la crescita del suo patrimonio risultava sproporzio-nata rispetto al reddito dichiarato. Il ricorrente ha contestatotale provvedimento, rifiutandosi però di fornire le documen-tazioni richieste, e, perciò, i ricorsi proposti vuoi contro le im-poste federali, vuoi contro quelle cantonali e municipali, sonostati rigettati nell’agosto del 1994. Contemporaneamente alSig. Chambaz sono state comminate pene pecuniarie pari a2.000 franchi, la prima, e 3.000 franchi la seconda (approssi-mativamente 1.440 e 2.159 euro), per aver rifiutato di conse-gnare la documentazione bancaria relativa a trattative inter-corse con una società. Contro tali sanzioni il ricorrente si è ri-volto al tribunale amministrativo del Cantone di Vaud. Nellemore del procedimento amministrativo, le autorità tributariefederali hanno iniziato indagini nei confronti del Sig. Chambazper evasione fiscale. A quel punto l’indagato ha chiesto diesaminare il fascicolo a suo carico al fine di difendersi nelprocedimento amministrativo. L’appello contro le sanzionipecuniarie è stato rigettato il 21 ottobre 2002 e il ricorrente siè rivolto alla Corte Federale. Affermò in quella sede che erastato violato il diritto a un equo processo, visto che obbligar-lo a fornire le documentazioni richieste nel procedimentoamministrativo violava il diritto a non autoincriminarsi, in rela-zione alle indagini per evasione. Dichiarò, inoltre, che era sta-ta violata da una parte la parità delle armi, dato il rifiuto di mo-strare il fascicolo, e dall’altra la presunzione di innocenza, vi-sto la pluralità di procedimenti contemporaneamente pen-denti a suo carico.La Corte Federale ha confermato la decisione amministrativanell’ottobre del 2003, ritenendo che non potessero essereinvocati i principi di presunzione di innocenza e il nemo tene-tur se detegere, trattandosi di un procedimento volto a ac-certare le obbligazioni tributarie del ricorrente e non di unprocedimento penale. Le indagini per evasione terminarononel 2006 e, al termine delle stesse, le autorità cantonali im-

posero il pagamento di 2.318.458 franchi (circa 1.545.638euro), successivamente ridotti a 1.304.000 (circa 869.333euro), per evasione fiscale.

La decisioneArt. 6 §. 1. Pur non essendo espressamente menzionati nell’art. 6 dellaConvenzione, il diritto al silenzio e il diritto a non autoincri-minarsi sono principi internazionalmente riconosciuti chestanno alla base del diritto a un processo equo. La Corte haritenuto che, multando il ricorrente per non aver prodottotutta la documentazione richiesta, le autorità avevano tenta-to di costringerlo a dare informazioni sul proprio reddito esulla propria situazione patrimoniale. Inoltre, confermandodette sanzioni mentre era in corso l’indagine per evasioneconnessa alla questione per la quale aveva esercitato il dirit-to al silenzio, era stata violato il principio del nemo teneturse detegere. In questa sede la Corte ha, inoltre, ribadito che solo interes-si di vitale importanza della nazione, oltre a diritti fondamen-tali di terzi, potessero comportare limitazioni all’accesso alfascicolo dell’autorità procedente. Aveva precedentementestabilito che le autorità tributarie non fossero necessaria-mente tenute a mostrare al ricorrente le documentazionipossedute, ma, in ogni modo, il rifiuto doveva essere suf-fragato da validi motivi. Nel caso in questione, invece, que-sto era stato fondato unicamente sull’“atteggiamento” delricorrente, in particolare sul rifiuto di fornire spiegazioni. LaCorte europea stabilì anche che la Corte Federale non avevacondotto un autonomo esame della questione, ponendo ri-medio alle carenze del primo grado. Vi era quindi stata unaviolazione dell’art. 6 §. 1, anche sotto il profilo della paritàdelle armi.

Art. 6 §. 2. Le autorità coinvolte nel procedimento tributario non si eranomai espresse sulla colpevolezza del ricorrente. La Corte hadichiarato inammissibile la questione relativa all’art. 6 §. 2.,non ritenendo decisivo il fatto che il ricorrente fosse statocondannato per evasione in sede penale al termine del pro-cedimento tributario, dal momento che la disposizione inesame non impone agli stati membri di seguire un ordine trai diversi procedimenti.La Corte ha quindi condannato la Svizzera a risarcire 3.599 eu-ro per danni non patrimoniali e 7.198 euro per costi e spese.

I precedentiCirca la violazione dell’art. 6 § 1, cfr. C. eur. dir. umani, Sez.III, 20 marzo 2012, Serrano Contreras c. Spagna, in questaRivista, 2012, 644; C. eur. dir. umani, Grande Camera, 15dicembre 2011, Al-Khawaja e Tahery c. Gran Bretagna, ibi-dem, 2012, 253; C. eur. dir. umani, Sez. IV, 8 settembre

DIRITTO A UN EQUO PROCESSO

Osservatorio Corte europea dei diritti dell’uomoa cura di Giulio Garuti

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2011, G. c. Gran Bretagna, ivi, 2011, 1416; C. eur. dir. uma-ni, Sez. I, 26 luglio 2011, Huseyn e altri c. Azerbaijan, ibi-dem, 1285; C. eur. dir. umani, Sez. III, 12 luglio 2011, Ianosc. Romania, ibidem, 1165; C. eur. dir. umani, Sez. I, 31maggio 2011, Kotalexis c. Grecia, ibidem, 1031; C. eur. dir.umani, Sez. V, 24 giugno 2010, Marcel & Barquart c. Fran-cia, ivi, 2010, 1014; C. eur. dir. umani, Sez. IV, 2 marzo2010, Adamkiewicz c. Polonia, ibidem, 633; C. eur. dir.umani, Sez. I, 5 febbraio 2009, Olujic c. Croazia, ivi, 2009,526; C. eur. dir. umani, Sez. IV, 24 aprile 2008, Dorozhko ePozharskly c. Estonia, ivi, 2008, 795; C. eur. dir. umani,Grande Camera, 22 ottobre 2007, Lindon e altri c. Francia,ivi, 2007, 1682; C. eur. dir. umani, Sez. IV, 31 luglio 2007,Ekeberg e altri c. Norvegia, ibidem, 1543; C. eur. dir. uma-ni, Sez. II, 19 dicembre 2006, Turkmen c. Turchia, ibidem,271; C. eur. dir. umani, Sez. IV, 6 maggio 2005, Whitfield ealtri c. Regno Unito, ivi, 2005, 779, C. eur. dir. umani, Sez.III, 29 luglio 2004, Okutan c. Turchia, ivi, 2004, 1307; C.eur. dir. umani, Sez. I, 22 aprile 2004, Cianetti c. Italia, ibi-dem, 781; C. eur. dir. umani, Sez. II, 6 aprile 2004, Zana c.Turchia, ibidem, 782; C. eur. dir. umani, Sez. IV, 9 marzo2004, ibidem, 648.Sulla violazione del diritto di presunzione di innocenza, cfr. C.eur. dir. umani, Sez. IV, 8 settembre 2011, G. c. Gran Breta-gna, in questa Rivista, 2011, 1416; C. eur. dir. umani, Sez. I,26 luglio 2011, Huseyn e altri c. Azerbaijan, ibidem, 2011,1285; C. eur. dir. umani, Sez. I, 24 maggio 2011, Konstas c.Grecia, ibidem, 908; C. eur. dir. umani, Sez. II, 29 giugno2010, Karadag c. Turchia, ivi, 2010, 1013; C. eur. dir. umani,Sez. III, 16 marzo 2010, Jiga c. Romania, ibidem, 636.

PRESUNZIONE DI INNOCENZA, PARITÀ DELLE ARMI

E RISARCIMENTO CIVILE

Corte europea dei diritti umani, Sez. V, 12 aprile 2012 -Pres. Spielmann, Lagardère c. Francia

Condannata la Francia per aver dato efficacia di giudica-

to alla sentenza penale, pronunciata dopo la morte del-

l’imputato, nel giudizio civile.

Il casoIl ricorrente è Arnaud Lagardère, figlio di Jean-Luc Lagardère,il quale aveva ricoperto il ruolo di presidente e direttore ge-nerale della Società Matra e Hachette.Il 29 dicembre del 1992 la Società Lambda, rappresentativadi alcuni degli azionisti della Matra e Hachette, denunciò l’ap-propriazione indebita di cespiti societari e si costituì parte ci-vile nel procedimento penale. Jean-Luc Lagardère fu proces-sato dal tribunale di Parigi per avere usato fraudolentemente,per fini personali e per avvantaggiare altre società a lui lega-te, le posizioni patrimoniali della Matra e Hachette.Nel giugno del 2000 il tribunale di Parigi dichiarò prescritti ireati perseguiti. Sia la pubblica accusa che la parte civileLambda impugnarono la sentenza di primo grado ma la Cor-te di appello confermò la decisione espressa dal tribunale.L’imputato morì il 14 marzo del 2003. Nell’ottobre dello stes-so anno la Corte di cassazione ha cassato la decisione dellaCorte di appello, rinviando alla Corte di appello di Versailles.Gli eredi di Jean-Luc Lagardère hanno contestato la compe-tenza di questa Corte a giudicare della causa in sede civile.Tuttavia i giudici hanno rigettato la questione poiché la mortedell’imputato era avvenuta dopo che vi era già stata una pro-nuncia in sede penale e questo consentiva di iniziare l’azionecivile. La Corte ha dichiarato prescritti alcuni dei reati di ap-

propriazione indebita ma non quelli risalenti agli anni 1989-1992. Prima di decidere sulla richiesta di risarcimento deldanno della parte civile, doveva stabilire se l’appropriazioneindebita fosse stata commessa dal padre del ricorrente. Glielementi costitutivi del reato di appropriazione indebita eranotutti stati accertati, le somme in questione ammontavano a94.1 milioni di franchi, circa 14.345.452 euro e, pertanto, laCorte di appello di Versailles ha ordinato al ricorrente di pa-gare quella cifra alla parte civile. Contro tale decisione Ar-naud Lagardère ha proposto ricorso in cassazione, afferman-do al contempo una violazione del diritto a un processo equo,dal momento che il tribunale non poteva giudicare in sedepenale la causa dopo la morte dell’imputato. Tuttavia, la Su-prema Corte rigettò il ricorso, dichiarando che «la Corte di ap-pello aveva stabilito la colpevolezza di Jean-Luc Lagardère eche la Corte dinnanzi alla quale la causa era stata ritualmenteincardinata, prima del termine del processo penale per mor-te del reo, manteneva inseguito la giurisdizione per giudicarela causa civile».

La decisioneArt. 6 §. 1.Anche in questa sede la Corte europea ha ribadito che la no-zione di equo processo deve intendersi comprensiva del di-ritto alla parità delle armi. Tale principio richiedeva «un equobilanciamento tra le parti»: a ogni parte doveva essere ga-rantito il diritto di esporre le proprie ragioni dinnanzi alla con-troparte, senza situazioni di svantaggio.Jean-Luc Lagardère era morto nelle more del procedimentoper cassazione e prima ancora sia il tribunale, sia la Corte diappello, avevano dichiarato la prescrizione del reato. Tuttaviala Suprema Corte aveva cassato la sentenza e rinviato allaCorte di appello di Versailles per decidere della questione ci-vile.Affinché la sentenza penale potesse fare stato nel processocivile era necessario che fosse stata raggiunta una decisionesulla colpevolezza mentre il Sig. Lagardère era ancora in vita.Dopo aver dichiarato espressamente cessato il processo pe-nale per morte dell’imputato, la Corte di appello di Versaillesritenne che le precedenti decisioni del tribunale e della Cortedi appello di Parigi che dichiaravano la prescrizione dei reati,consentissero alle parti civili di chiedere il risarcimento. An-che se prima della morte non vi era stata alcuna decisionesulla colpevolezza dell’imputato, secondo la Corte di appello,i giudici avevano già stabilito l’esistenza degli elementi costi-tutivi dell’appropriazione indebita e dichiarato colpevole Je-an-Luc Lagardère. I giudici della Corte europea, al contrario, ritengono che la de-cisione sulla colpevolezza sia avvenuta in un secondo mo-mento. Secondo i precedenti, deve parlarsi di diniego di giu-stizia quando una persona condannata in absentia non erastata messa in condizione di ottenere una nuova decisionesul merito, da parte di un tribunale che lo avesse ascoltato: ilche deve trovare applicazione a fortiori nel caso di condanna,non in assenza, ma dopo la morte dell’imputato.La Corte europea notò che la responsabilità civile del ricor-rente quale erede di suo padre, dipendeva direttamente dal-la condanna di quest’ultimo dopo la morte. Non gli era stataaccordata la possibilità di contestare le accuse mosse in se-de penale, cosa ancora più grave se si pensa che la sommarichiesta come risarcimento era l’esatto equivalente di quan-to accertato in quella sede.Se era da ritenere compatibile con il dettato dell’art. 6 il fattoche un tribunale penale decidesse sulle richieste di risarci-mento delle persone offese, non era accettabile che facesse

Diritto penale e processo 6/2012778

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stato in sede civile una sentenza di colpevolezza pronunciataper la prima volta dopo la morte dell’imputato.La Corte ha dunque ritenuto che al ricorrente, in qualità dierede di suo padre, non era stato consentito difendersi incondizioni eque: non aveva potuto contestare nel merito i fat-ti rilevanti a suo carico - ovvero la condanna di suo padre do-po la morte - e era stata lesa la parità delle parti e delle armi.

Art. 6 §. 2.Il ricorrente contestò anche la violazione della presunzione diinnocenza, poiché suo padre era stato condannato dopo lamorte. La presunzione di innocenza, stabilita dall’art. 6 §. 2,è uno dei principi alla base del giusto processo, la quale ri-chiede che nessuna autorità pubblica possa dichiarare colpe-vole delle accuse ascritte a una persona, prima che la suacolpevolezza venga legalmente accertata. Nel caso in esamel’imputato era morto prima che fosse stato dichiarato legal-mente colpevole. Era chiaro che la decisione della Corte diappello di Versailles del 30 giugno 2005 ne aveva dichiaratola responsabilità penale una volta cessato il processo permorte dell’imputato, mentre non vi era stata alcuna afferma-zione di colpevolezza prima della sua morte, violando la pre-sunzione di innocenza.La Francia è stata quindi condannata a risarcire 10 mila europer danni non patrimoniali e a ulteriori 10 mila euro per costie spese.

I precedentiCirca la violazione dell’art. 6 § 1, cfr. C. eur. dir. umani, Sez.III, 20 marzo 2012, Serrano Contreras c. Spagna, in questaRivista, 2012, 644; C. eur. dir. umani, Grande Camera, 15 di-cembre 2011, Al-Khawaja e Tahery c. Gran Bretagna, ibidem,2012, 253; C. eur. dir. umani, Sez. IV, 8 settembre 2011, G. c.Gran Bretagna, ivi, 2011, 1416; C. eur. dir. umani, Sez. I, 26luglio 2011, Huseyn e altri c. Azerbaijan, ibidem, 1285; C. eur.dir. umani, Sez. III, 12 luglio 2011, Ianos c. Romania, ibidem,1165; C. eur. dir. umani, Sez. I, 31 maggio 2011, Kotalexis c.Grecia, ibidem, 1031; C. eur. dir. umani, Sez. V, 24 giugno2010, Marcel & Barquart c. Francia, ivi, 2010, 1014; C. eur.dir. umani, Sez. IV, 2 marzo 2010, Adamkiewicz c. Polonia,ibidem, 633; C. eur. dir. umani, Sez. I, 5 febbraio 2009, Olujicc. Croazia, ivi, 2009, 526; C. eur. dir. umani, Sez. IV, 24 aprile2008, Dorozhko e Pozharskly c. Estonia, ivi, 2008, 795; C.eur. dir. umani, Grande Camera, 22 ottobre 2007, Lindon e al-tri c. Francia, ivi, 2007, 1682; C. eur. dir. umani, Sez. IV, 31 lu-glio 2007, Ekeberg e altri c. Norvegia, ibidem, 1543; C. eur.dir. umani, Sez. II, 19 dicembre 2006, Turkmen c. Turchia, ibi-dem, 271; C. eur. dir. umani, Sez. IV, 6 maggio 2005, Whit-field e altri c. Regno Unito, ivi, 2005, 779, C. eur. dir. umani,Sez. III, 29 luglio 2004, Okutan c. Turchia, ivi, 2004, 1307; C.eur. dir. umani, Sez. I, 22 aprile 2004, Cianetti c. Italia, ibi-dem, 781; C. eur. dir. umani, Sez. II, 6 aprile 2004, Zana c.Turchia, ibidem, 782; C. eur. dir. umani, Sez. IV, 9 marzo2004, ibidem, 648.Sulla violazione del diritto di presunzione di innocenza, cfr.C. eur. dir. umani, Sez. IV, 8 settembre 2011, G. c. GranBretagna, in questa Rivista, 2011, 1416; C. eur. dir. umani,Sez. I, 26 luglio 2011, Huseyn e altri c. Azerbaijan, ibidem,2011, 1285; C. eur. dir. umani, Sez. I, 24 maggio 2011,Konstas c. Grecia, ibidem, 908; C. eur. dir. umani, Sez. II,29 giugno 2010, Karadag c. Turchia, ivi, 2010, 1013; C. eur.dir. umani, Sez. III, 16 marzo 2010, Jiga c. Romania, ibi-dem, 636.

INDAGINI VENTENNALI IN ROMANIA SULLA MORTE

DI ALCUNI MANIFESTANTI

Corte europea dei diritti umani, Sez. III, 24 aprile 2012,Pres. Casadevall, Crainiceanu e Frumusanu c. Romania

Condannata la Romania per la morte di due giovani nel

1991, durante una manifestazione davanti al Palazzo del

Governo.

Il casoI ricorrenti sono Viorel Crainiceanu, Stefan Frumusanu e Lu-ciana Maria Frumusanu, tutti di nazionalità rumena. La mo-glie di Viorel Crainiceanu, Aurica Crainiceanu, fu uccisa dauno sparo durante le rivolte scoppiate davanti al palazzo delGoverno a Bucarest il 25 settembre 1991. Nelle stesse cir-costanze perse la vita anche Andrei Frumusanu, il figlio ven-tiquattrenne di Stefan Frumusanu e Luciana Maria Frumusanu.Secondo quanto affermato dalla pubblica accusa, intorno al-le 14.30 di quel giorno, numerosi gruppi di minatori e dimo-stranti si erano radunati nella Piazza della Vittoria di Buca-rest, antestante il Palazzo del Governo. Furono predisposteingenti misure di sicurezza al fine di proteggere il Palazzogovernativo e i membri del Governo stesso, tramite il di-spiegamento delle forze di polizia e dell’esercito sia all’in-terno, che all’esterno dell’edificio. L’intervento dell’eserci-to, a dire del pubblico ministero, era stato reso necessariodalla natura violenta dei dimostranti, la quale aveva costret-to le forze dell’ordine all’uso di manganelli e di gas lacrimo-geno. Inoltre, l’escalation della violenza aveva causato la fu-ga del Primo ministro, degli altri membri del Governo e delpersonale per ragioni di sicurezza, poiché i dimostranti mi-nacciavano di fare irruzione nel Palazzo. Perciò tutti i civililasciarono l’edificio, a eccezione di tre figure di rilievo delGoverno. Intorno alle 18 gli scontri tra dimostranti e forzearmate si erano intensificati. Vista la situazione, un capitanoche si trovava al secondo piano dell’edificio sparò diversicolpi contro la folla. In quel momento le vittime stavano di-rigendosi verso Piazza della Vittoria; Aurica Crainiceanu fucolpita al petto da un proiettile da 26 mm e morì il giornodopo in ospedale; Andrei Frumusanu invece mancò duran-te il tragitto.

La decisioneArt. 2.Subito dopo l’accaduto le autorità del paese avevano apertoun’inchiesta per accertare i fatti ma, a venti anni di distanza,nonostante l’interesse dell’opinione pubblica sul caso fosseancora vivo, le indagini non erano concluse e i procedimentipenali pendevano ancora. Dato che la Romania ha ratificatola Convenzione europea dei diritti dell’uomo il 20 giugno del1994, la Corte ha giurisdizione solo a partire da quella data. Igiudici notarono, in prima battuta, che le indagini erano sta-te affidate alla magistratura militare, la quale, al pari deimembri dell’esercito, era legata da un rapporto di subordi-nazione alla gerarchia militare. Gli accusati erano anch’essimilitari di alto rango ancora in servizio. Inoltre, le stesse au-torità avevano notato l’insufficienza delle indagini, tanto cheuna decisione della Suprema Corte del dicembre del 2000aveva rinviato al pubblico ministero per ulteriori indagini. Lostesso aveva fatto il tribunale militare regionale nel gennaiodel 2011. Oltre all’insufficienza delle indagini, rilevavano an-

DIRITTO ALLA VITA

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che la mancanza di cooperazione tra coloro che erano impe-gnati a sedare la rivolta e la distruzione di prove rilevanti deifatti. Furono rivolte richieste di informazioni all’intelligencenazionale e a altre autorità, le quali però rimasero senza al-cun responso. Il volontario occultamento delle prove facevasorgere fondati dubbi sulla capacità di condurre indagini ef-ficaci. Pur non sottovalutando la complessità del caso, laCorte ha ritenuto che il clima socio-politico del paese nonpotesse giustificare la durata ventennale delle indagini; anzi,le autorità avrebbero dovuto accertare tempestivamente ifatti data la loro gravità. Quindi, la Corte ha accertato la vio-lazione dell’art. 2. Ai parenti delle vittime furono riconosciu-ti 30.000 euro ciascuno come risarcimento, oltre a 1.000 eu-ro per costi e spese.

I precedentiDi recente, circa il divieto della tortura, cfr. C. eur. dir. umani,Sez. II, 27 marzo 2012, Mannai c. Italia, in questa Rivista,2012, 645; C. eur. dir. umani, Sez. II, 31 gennaio 2012, M.S.c. Belgio, ibidem, 2012, 519; C. eur. dir. umani, Sez. IV, 17gennaio 2012, Harkins and Edwards c. Regno Unito, in que-sta Rivista, 2012, 390; C. eur. dir. umani, Sez. III, 20 di-cembre 2011, Pascari c. Moldavia, ibidem, 258; C. eur. dir.umani, Sez. I, 8 novembre 2011, Filatov c. Russia, ibidem,126; C. eur. dir. umani, Sez. V, 20 ottobre 2011, Alboreo c.Francia, ivi, 2011, 1537; C. eur. dir. umani, Sez. III, 27 set-tembre 2011, Archip c. Romania, ibidem, 1419; C. eur. dir.umani, Sez. III, 12 luglio 2011, Ianos c. Romania, ibidem,1165; C. eur. dir. umani, Sez. I, 21 giugno 2011, Mader c.Croazia, ibidem, 1034; C. eur. dir. umani, Sez. I, 10 maggio2011, Popandopulo c. Russia, ibidem, 910; C. eur. dir. umani,Sez. II, 5 aprile 2011, Toumi c. Italia, ibidem, 772; C. eur. dir.umani, Sez. V, 17 marzo 2011, Bocharov c. Ucraina, ibidem,647; C. eur. dir. umani, Sez. V, 21 dicembre 2010, Taddei c.Francia, ibidem, 249; C. eur. dir. umani, Sez. I, 21 dicembre2010, Malika Dzhamayeva e C. c. Russia, ibidem, 250; C. eur.dir. umani, Sez. I, 21 ottobre 2010, Gaforov c. Russia, ivi,2010, 1515; C. eur. dir. umani, Sez. I, 16 settembre 2010, Ay-rapetyan c. Russia, ibidem, 1375; C. eur. dir. umani, Sez. IV,27 luglio 2010, Rokosz c. Polonia, ibidem, 1257; C. eur. dir.umani, Sez. I, 20 maggio 2010, Khayadarov c. Russia, ibi-dem, 898.

RELAZIONE INCESTUOSA TRA FRATELLI CONSANGUINEI

IN GERMANIA

Corte europea dei diritti umani, Sez. V, 12 aprile 2012,Pres. Jungwiert, Stübing c. Germania

Assolta la Germania dall’accusa di aver violato il diritto

al rispetto della vita familiare, durante le indagini per re-

lazione incestuosa.

Il casoIl ricorrente è Patrick Stübing, un cittadino tedesco nato nel1976, il quale era stato affidato all’età di tre anni a un orfano-trofio, per poi essere adottato, quattro anni dopo, da unanuova famiglia. Dal momento dell’adozione non aveva piùavuto alcun contatto con la famiglia di origine, fino al 2000,quando apprese che nel 1984 era nata sua sorella. A seguitodella morte della madre naturale nel dicembre di quell’anno,

i rapporti tra i due si intensificarono. Dal gennaio dell’annosuccessivo ebbero una relazione, dalla quale nacquero - tra il2001 e il 2005 - quattro figli. Dopo essere stato processatoper incesto, fu condannato a un anno e due mesi di reclusio-ne dalla Corte distrettuale di Leipzig. I giudici ritennero, allaluce di una consulenza che aveva evidenziato il carattere ti-mido e introverso della sorella, la quale appariva dipendentedal Sig. Stübing, che la donna fosse solo parzialmente re-sponsabile delle proprie azioni e quindi non hanno pronun-ciato una sentenza a suo carico.La sentenza di condanna fu confermata in appello e il ricor-rente, allora, decise di rivolgersi alla Corte costituzionale, laquale rigettò la questione per manifesta inammissibilità. Inparticolare i giudici costituzionali ritennero che le disposizionidel codice penale non fossero incompatibili con il rispettodella vita privata. Il reato di incesto è volto a proteggere gliistituti del matrimonio e della famiglia, visto che le relazioniincestuose comportano una sovrapposizione di ruoli familia-ri, a salvaguardare la libera determinazione nella sfera ses-suale e a evitare malformazione nei figli nati da relazioni traconsanguinei.

La decisioneLa Corte europea non ha messo in dubbio che l’accusa di in-cesto avesse influito sulla vita familiare del ricorrente. Lacondanna fu pronunciata in base al codice penale tedesco, ilquale punisce le relazioni sessuali consensuali tra fratelli, persalvaguardare la moralità pubblica e i diritti dei terzi. La con-danna era quindi da considerare una ingerenza prevista dallalegge, ai sensi dell’art. 8 della Convenzione. I giudici dellaCorte europea evidenziarono inoltre l’esistenza di un’ampiadiscrezionalità in capo alle autorità tedesche nel decidere ilcomportamento da tenere nei confronti di relazioni sessualiconsensuali tra consanguinei adulti; tuttavia, la maggioranzadegli Stati propendeva per la responsabilità penale, vietavanoinoltre il matrimonio tra fratelli biologici. Si poteva dunque af-fermare che le relazioni incestuose non sono generalmenteaccettate dal diritto positivo degli Stati, né dall’intera società.Non vi era dunque la tendenza a depenalizzare tali atti e, inaggiunta, la problematica era di ordine morale e richiedevaquindi, secondi i precedenti della Corte europea, un’ampiadiscrezionalità del singolo stato. La Corte costituzionale fe-derale si era, inoltre, pronunciata sul caso, affermando la le-gittimità della condanna, al fine di salvaguardare svariati benigiuridici, tra i quali la famiglia, la salute pubblica e l’autode-terminazione nella sfera sessuale. Le relazioni incestuosepotevano minare seriamente la stabilità familiare e, di conse-guenza, quella della intera società.Secondo quanto accertato dalla Corte tedesca, la sorella delricorrente aveva intrapreso una relazione con quest’ultimo,all’indomani della morte della loro madre, quando aveva solo16 anni, soffriva di disordini della personalità ed era palese-mente dipendente dal Sig. Stübing, quindi non poteva cheessere considerata parzialmente responsabile delle azionicompiute. A parere dei giudici europei i fini perseguiti nonerano irragionevoli e, di conseguenza, i tribunali tedeschi nonavevano oltrepassato i limiti della discrezionalità loro consen-tita nel condannare il ricorrente.Non vi era quindi stata violazione dell’art. 8.

I precedentiSul diritto al rispetto della vita privata e familiare, cfr. C. eur.dir. umani, Sez. I, 3 aprile 2012, Van der Heijden c. Olanda, inquesta Rivista, 2012, 649; C. eur. dir. umani, Sez. V, 19 gen-nnaio 2012, Popov c. Francia, ibidem, 2012, 388; C. eur. dir.

DIRITTO ALLA VITA FAMILIARE

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umani, Sez. I, 19 luglio 2011, Khashuyeva c. Russia, ivi,2011, 1289; C. eur. dir. umani, Sez. V, 28 gennaio 2010, Si-meonov c. Bulgaria, ivi, 2010, 512; C. eur. dir. umani, GrandeCamera, 17 settembre 2009, Enea c. Italia, ivi, 2009, 1425;C. eur. dir. umani, Sez. III, 30 luglio 2009, Burzo c. Romania,ibidem, 1305; C. eur. dir. umani, Sez. I, 28 maggio 2009, Bi-gaeva c. Grecia, ibidem, 924; C. eur. dir. umani, Sez. II, 20gennaio 2009, Zara c. Italia, in questa Rivista, 2009, 390; C.eur. dir. umani, Sez. II, 17 luglio 2008, De Pace c. Italia, ivi,2008, 1185; C. eur. dir. umani, Sez. V, 22 maggio 2008, Ale-xov c. Bulgaria, ibidem, 921; C. eur. dir. umani, Sez. II, 12 giu-gno 2007, Frèrot c. Francia, ivi, 2007, 1111; C. eur. dir. uma-ni, Sez. IV, 26 settembre 2006, Wainwright c. Regno Unito,ivi, 2006, 1440; C. eur. dir. umani, Sez. IV, 8 agosto 2006,H.M. c. Turchia, ibidem, 1309; C. eur. dir. umani, Sez. I, 19gennaio 2006, R.H. c. Austria, ibidem, 387; C. eur. dir. uma-ni, Sez. III, 9 giugno 2005, Storck c. Germania, ivi, 2005,1045.

AGRESSIONE DA PARTE DEI CO-DETENUTI A DANNO

DI UN COLLABORATORE DI GIUSTIZIA IN LETTONIA

Corte europea dei diritti umani, Sez. III, 17 aprile 2012,Pres. Casadevall, J.L. c. Lettonia

Condannata la Lettonia per non aver condotto indagini

efficaci circa presunti maltrattamenti subiti da un colla-

boratore di giustizia in carcere.

Il casoIl ricorrente, il Sig. J.L., è un cittadino lettone che nel no-vembre del 2005 aveva collaborato con la polizia per assicu-rare a giustizia il ladro che aveva rubato l’auto di sua moglie.In particolare, d’accordo con la polizia, quest’ultimo aveva in-contrato il ladro, con la scusa di consegnargli del denaro incambio della restituzione della macchina, munito di un regi-stratore audio. Il ladro era quindi stato condannato per furtoed estorsione e ristretto presso la prigione di Riga. Nel men-tre, J.L. era sotto processo per appropriazione indebita e nelgennaio del 2006 fu condannato a scontare tre anni e novemesi di reclusione.Il ricorrente sostiene di aver subito, nella prima notte dopo iltrasferimento alla prigione di Riga, un’aggressione e lo stu-pro da parte dei co-detenuti. Come conseguenza riportò larottura del setto nasale, fu medicato dal dottore della strut-tura il quale, però, non stilò alcuna relazione dell’accaduto ele autorità carcerarie si rifiutarono di svolgere indagini in me-rito.Durante il processo di appello a suo carico il ricorrente resenoto alla Corte quanto subìto e scrisse una lettera alle autori-tà procedenti, con la quale chiedeva una riduzione della pe-na, affermando che l’aver collaborato con la polizia gli avreb-be causato altri problemi nei rapporti con i co-detenuti. Nelmarzo de 2006 informò le autorità penitenziarie delle minac-ce subite e chiese di essere trasferito in un’altra struttura.Solo dopo che il ricorrente si era rivolto al dipartimento per laprotezione dei diritti umani della Lettonia, le autorità peniten-ziarie nazionali chiesero alla prigione di Riga di svolgere inda-gini in merito. Tre degli undici co-detenuti di J.L. furono sen-titi e tutti negarono l’aggressione. Nel frattempo il ricorrenteera stato trasferito nella prigione di Jekabpils. Sebbene alleautorità di questa seconda struttura era stato detto di «tene-

re d’occhio» il nuovo detenuto, non vi erano elementi nel suofascicolo personale che ne consigliassero l’isolamento.Affinché potesse testimoniare nel processo a carico di G.,che aveva rubato l’auto di sua moglie, il ricorrente venne tra-sferito in due occasioni, per espressa previsione delle autori-tà penitenziarie, alla prigione di Matisa e non alla prigione diRiga, ove era ristretto G. che aveva minacciato J.L.Quest’ultimo, in seguito allo sconto di un anno dalla pena peraver denunciato il furto a suo danno e aver collaborato con lapolizia, fu scarcerato nel giugno del 2007.

La decisioneNonostante J.L. avesse collaborato con la polizia non era sta-ta presa alcuna misura volta a tutelarlo, neppure dopo averdenunciato l’aggressione a suo danno. Inoltre, sebbene leautorità avessero comunicato alla prigione di Jekabpils la pro-babilità che J.L. potesse avere problemi nel rapporto con ico-detenuti, nulla era stato fatto.Pure in mancanza di referti medici che provassero le ag-gressioni, la Corte europea ha evidenziato come il ricorren-te avesse ripetutamente denunciato i fatti alle autorità. Asostegno di quanto sostenuto militavano le minacce di G.,di cui le autorità erano a conoscenza, come si evince daltrasferimento alla prigione di Matisa e non a Riga. Questeinformazioni da sole bastavano, secondo la legislazione na-zionale di riferimento, ad aprire una inchiesta per la lesionedei diritti di un detenuto. Tuttavia, pur avendo ridotto la sen-tenza di condanna, non erano state esaminate le denuncedei maltrattamenti subiti. Non era mai stata fatta una lastradel setto nasale di J.L., né erano stati sentiti sul punto il ri-corrente o il medico che lo aveva curato. Inoltre, le indaginicirca il comportamento dei dipendenti della struttura eranostate condotte dalla prigione stessa, minando l’efficacia el’autonomia dell’inchiesta. In sostanza era mancato il coor-dinamento tra gli organi inquirenti, la magistratura e le au-torità carcerarie per prevenire maltrattamenti a danno deidetenuti lettoni, soprattutto nei confronti dei collaboratoridi giustizia i quali si trovavano in condizioni di particolarevulnerabilità.Le autorità non avevano garantito indagini efficaci sui mal-trattamenti, violando in tal modo l’art. 3 della Convenzione.Pertanto la Lettonia è stata condannata a risarcire a J.L.10.000 euro.

I precedentiCirca l’inadeguatezza delle indagini, cfr. C. eur. dir. umani,Sez. I, 14 febbraio 2012, Valyayev c. Russia, in questa Rivi-sta, 2012, 521; C. eur. dir. umani, Sez. IV, 24 gennaio 2012,P.M. c. Bulgaria, ibidem, 2012, 392; C. eur. dir. umani, Sez. I,8 novembre 2011, Filatov c. Russia, ibidem, 126; C. eur. dir.umani, Sez. IV, 11 ottobre 2011, Hristovi c. Bulgaria, ivi,2011, 1539; C. eur. dir. umani, Sez. I, 27 settembre 2011,Beksultanova c. Russia, ibidem, 1417; C. eur. dir. umani,Sez. III, 27 settembre 2011, Archip c. Romani, ibidem, 1419;C C. eur. dir. umani, Sez. I, 19 luglio 2011, Djurdjevic c. Croa-zia, ibidem, 1165; C. eur. dir. umani, sez. V, 21 luglio 2011,Korobov c. Ucraina, ibidem, 1167; C. eur. dir. umani, sez. V,7 luglio 2011, Shishkin c. Russia, ibidem, 1166; C. eur. dir.umani, sez. II, 26 aprile 2011, Enukidze e Girgvliani c. Geor-gia, ibidem, 770; C. eur. dir. umani, Grande Camera, 24 mar-zo 2011, Giuliani e Gaggio c. Italia, ibidem, 643; C. eur. dir.umani, Sez. I, 16 settembre 2010, Ayrapetyan c. Russia, ivi,2010, 1375; C. eur. dir. umani, Sez. I, 29 luglio 2010, Kopy-lov c. Russia, ibidem, 1258; C. eur. dir. umani, Sez. I, 20maggio 2010, Dzhabrailovy c. Russia, ibidem, 899; C. eur.

DIVIETO DI TRATTAMENTI DISUMANI E DEGRADANTI

Diritto penale e processo 6/2012 781

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Page 122: LA PRATICA PROCESSO PENALE - units.it

dir. umani, Sez. V, 10 dicembre 2009, Dudnyk c. Ucraina, ibi-dem, 257; C. eur. dir. umani, Sez. III, 20 ottobre 2009, ivi,2009, 1555; C. eur. dir. umani, Sez. IV, 24 marzo 2009, Moj-siejew c. Polonia, ibidem, 659; C. eur. dir. umani, Sez. V, 16ottobre 2008, Renolde c. Francia, ivi, 2008, 1579; Sez. I, 25settembre, 2008, Mezhidov c. Russia, ibidem, 1455; C. eur.dir. umani, Sez. V, 20 dicembre 2007, Nikolova e Velichkovac. Bulgaria, ibidem, 257; C. eur. dir. umani, Sez. V, 14 di-cembre 2006, Taraiyeva c. Russia, ivi, 2007, 269; C. eur. dir.umani, Sez. II, 8 novembre 2005, Gongadze c. Ucraina, ivi,2006, 119; C. eur. dir. umani, Sez. III, 10 febbraio 2005, Bub-bins c. Regno Unito, ivi, 2005, 650; C. eur. dir. umani, Gran-de Camera, 20 dicembre 2004, Makaratzis c. Grecia, ibi-dem, 258; C. eur. dir. umani, Sez. II, 12 ottobre 2004, Bursucc. Romania, ivi, 2004, 1570; C. eur. dir. umani, Sez. I, 19maggio 2004, Toteva c. Bulgaria, ibidem, 916; C. eur. dir.umani, Sez. IV, 30 marzo 2004, S. c. Turchia, ibidem, 649; C.eur. dir. umani, Sez. I, 26 febbraio 2004, N. e altri c. Bulgaria,ibidem, 517.

LIBERTÀ DI STAMPA, SEGRETO PROFESSIONALE

E INDAGINI PENALI

Corte europea dei diritti umani, Sez. V, 12 aprile 2012,Pres. Spielmann, Martin e altri c. Francia

Condannata la Francia per aver disposto la perquisizione

dei locali di un quotidiano francese.

Il casoI ricorrenti Francois Martin, Jacky Vilaceque, Anthony Jonese Pierre Bruynooghe sono tutti giornalisti del quotidiano MidiLibre. Il 31 agosto 2005 l’Ufficio di Audit regionale della Lan-guedoc-Roussillon stilò una relazione nella quale veniva criti-cata la gestione dei fondi pubblici durante il periodo in cui ilSig. J.B., un membro del Senato francese, era presidente delConsiglio regionale. Il quotidiano Midi Libre aveva pubblicatonumerosi articoli che ne riportavano interi passaggi, pur es-sendo la relazione in questione strettamente confidenziale. Ilsenatore J.B. si costituì parte civile nel processo per la viola-zione del segreto professionale. Al fine di determinare inquali circostanze i giornalisti avevano appreso le notizie con-fidenziali, il magistrato inquirente ordinò una perquisizionedei locali del quotidiano, perquisizione che fu compiuta il 5 lu-glio 2006 e che permise di sequestrare svariati documenti,tra i quali una copia della relazione dell’Ufficio di Audit. Assi-stito da un consulente informatico, il magistrato ordinò di co-piare la memoria dei computer dei giornalisti coinvolti, sco-prendo che in due di essi vi era una copia informatica della re-lazione. Tuttavia, non riuscì a determinare chi avesse conse-gnato o trasmesso la relazione confidenziale ai giornalisti.Francois Martin, Jacky Vilaceque, Anthony Jones e poco do-po anche Pierre Bruynooghe furono sottoposti a indagini peraver utilizzato informazioni coperte dal segreto professiona-le. Quando furono sentiti dal magistrato, tutti i ricorrenti eser-citarono il diritto di proteggere le loro fonti.Il 6 aprile 2007 i giornalisti chiesero che le indagini venisserointerrotte, essendo contrarie alla libertà di espressione sanci-ta dall’art. 10 della Convenzione. Tale richiesta fu rigettata nelluglio del 2007 da parte della Corte di appello di Montpellier,la quale sottolineò che le ricerche erano volte a scoprire co-me i giornalisti fossero riusciti a ottenere informazioni su una

relazione confidenziale. La Corte di appello aggiunse che il di-ritto a proteggere le proprie fonti non potesse essere evoca-to nelle questioni di rilevanza penale. I giornalisti proposeroricorso contro la sentenza di appello, motivando che la Cortedi appello non era riuscita a dimostrare la legittimità e la ne-cessità delle indagini effettuate, violando l’art. 10. Tuttavia, laCorte di cassazione rigettò il ricorso affermando che la per-quisizione aveva rispettato i requisiti previsti dalla procedurapenale, che la limitazione alla libertà di espressione era ne-cessaria e proporzionata ai fini legittimamente perseguiti, ov-vero la salvaguardia dei diritti di terzi - nella specie la presun-zione di innocenza -, la protezione di informazioni confiden-ziali e la prevenzione di comportamenti che ostacolano la ri-cerca della verità.Nelle more il magistrato inquirente aveva prosciolto i giorna-listi, poiché non era stato possibile stabilire se la persona cheaveva trasmesso le informazioni fosse vincolato al segretoprofessionale. La Corte di appello di Montpellier confermòtale decisione.

La decisioneLa Corte europea ha ribadito che le perquisizioni effettuatenelle abitazioni e nei luoghi di lavoro di giornalisti, volte a in-dividuare le fonti che avevano violato il segreto professiona-le, sono in contrasto con l’art. 10. Pertanto vi era stata un’in-gerenza riguardo alla libertà di ricevere e comunicare infor-mazioni. Secondo la Corte, tale ingerenza era prescritta dallalegge al fine di impedire la pubblicazione di informazioni con-fidenziali e di proteggere i diritti altrui, in particolare la pre-sunzione di innocenza. Il nocciolo della questione era quellodi stabilire se l’ingerenza fosse «necessaria in una societàdemocratica», se fosse proporzionata alla scopo legittima-mente perseguito e se le motivazioni addotte dalle autoritàper giustificarla fossero rilevanti e sufficienti.La Corte evidenziò come gli articoli scritti dai ricorrenti con-tenessero informazioni sulla gestione di fondi pubblici, criti-cata nella relazione dell’Ufficio di Audit.Non vi era alcun dubbio sull’importanza della materia trattatanegli articoli per l’opinione pubblica e i giornalisti avevano,inoltre, indicato che le informazioni provenivano da una rela-zione che poteva ancora essere emendata in seguito alla re-plica dei soggetti criticati, mostrando da parte loro buona fe-de e rispetto dell’etica professionale. I giudici notarono che la relazione era stata trasmessa dal-l’Ufficio di Audit regionale al presidente del Consiglio regio-nale e che estratti erano stati mandati a oltre 70 persone inesso criticate. Come aveva stabilito il magistrato inquirente il22 maggio del 2007, le indagini non erano riuscite a dimo-strare la provenienza delle informazioni da un soggetto obbli-gato al segreto professionale e i soggetti ai quali la relazioneera stata trasmessa non erano da considerare tali.Si trattava quindi di stabilire se ci fosse stato un possibilemetodo alternativo alla perquisizione dei locali del quotidianoper individuare la fonte delle informazioni. Il Governo france-se non era riuscito a provare che le autorità non sarebberoriuscite a rinvenire prove senza perquisire gli uffici e che viera stata una violazione del segreto professionale. Pertanto,il Governo non aveva, a parere della Corte, correttamente bi-lanciato i diversi interessi in gioco, ovvero la protezione dellefonti giornalistiche e la prevenzione e repressione del crimi-ne. Le motivazioni sostenute dall’autorità a favore dell’inge-renza erano rilevanti, ma non sufficienti. La perquisizione lo-cale era stata sproporzionata e lesiva dell’art. 10. La Franciaè quindi stata condannata a pagare a ciascun ricorrente 5.000euro.

LIBERTÀ DI ESPRESSIONE

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I precedentiSulla questione riguardante la necessità dell’interferenza del-l’autorità giudiziaria nell’ambito della libertà di espressione inuna società democratica, cfr. C. eur. dir. umani, Sez. II, 21febbraio 2012, Tusalp c. Turchia, in questa Rivista, 2012, 523;C. eur. dir. umani, Sez. V, 15 dicembre 2011, Mor c. Francia,ibidem, 2012, 257; C. eur. dir. umani, Sez. II, 17 luglio 2008,De pace c. Italia, ivi, 2008, 1187; C. eur. dir. umani, Sez. III,14 febbraio 2008, July c. Francia, ibidem, 539; C. eur. dir.umani, Grande Camera, 10 dicembre 2007, Stoll c. Svizzera,ibidem, 260; C. eur. dir. umani, Sez. I, 20 novembre 2007,Flux c. Moldova, ibidem, 116; C. eur. dir. umani, Grande Ca-mera, 22 ottobre 2007, Lindon e altri c. Francia, ivi, 2007,1682; C. eur. dir. umani, Sez. I, 31 luglio 2007, Chemodurovc. Russia, ibidem, 1546; C. eur. dir. umani, Sez. II, 31 luglio2007, Dyuldin e Kislov c. Russia, ibidem, 1546; C. eur. dir.

umani, Sez. II, 17 luglio 2007, Ormanni c. Italia, ibidem,1251; C. eur. dir. umani, Sez. III, 7 giugno 2007, Dupuis c.Francia, ibidem, 1114; C. eur. dir. umani, Sez. I, 22 febbraio2007, Krasulya c. Russia, ibidem, 554; C. eur. dir. umani, Sez.IV, 19 dicembre 2006, Dabrowski c. Polonia, ibidem, 268; C.eur. dir. umani, Sez. V, 10 agosto 2006, Lyashko c. Ucraina,ivi, 2006, 1308; C. eur. dir. umani, Sez. I, 22 dicembre 2005,Paturel c. Francia, ibidem, 254; C. eur. dir. umani, Sez. II, 6settembre 2005, Salov c. Ucraina, ivi, 2005, 1441; C. eur. dir.umani, Sez. IV, 29 marzo 2005, Sokolowski c. Polonia, ibi-dem, 652; C. eur. dir. umani, Sez. IV, 16 novembre 2004, Kar-huvaara e Iltalehti c. Finlandia, ibidem, 123; C. eur. dir. uma-ni, Sez. II, 13 luglio 2004, Aysenur Zarakolu c. Turchia, ibi-dem, 2004, 1309; C. eur. dir. umani, Sez. II, 29 giugno 2004,Chauvy e altri c. Francia, ibidem, 1046; C. eur. dir. umani,Sez. IV, 9 marzo 2004, A. c. Turchia, ivi, 2004, 648.

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AMMENDA AMMINISTRATIVA CONGIUNTA E SOLIDALE

Corte di giustizia dell’Unione europea, Seconda Sezione,21 ottobre 2010, C-81/09 - Idryma Typou AE controYpourgos Typou kai Meson Mazikis Enimerosis

Gli artt. 49 T.FUE e 63 T.FUE ostano ad una normativa

nazionale che preveda la possibilità di infliggere sanzio-

ni amministrative non soltanto alla società titolare della

licenza di costituire e gestire un’emittente televisiva re-

sponsabile di una violazione, ma anche, congiuntamen-

te e solidalmente, a tutti i soci detentori di un pacchetto

azionario superiore al 2,5% del capitale.

Il casoLa Idryma Typou AE è una società per azioni greca azionistadella Nea Tileorasi AE, proprietaria dell’emittente televisivaStar Channel.Con decisione n. 11840/E/11.5.2001 l’Ypourgos Typou kaiMeson Mazikis Enimerosis (Ministero per la stampa e l’infor-mazione greco) ha inflitto alla Idryma Typou congiuntamentee solidalmente con la Nea Tileorasi, nonché con i suoi altriazionisti e membri del consiglio di amministrazione un’am-menda dell’importo di 10.000.000 GRD (pari a circa 29.347Euro), perché nel corso del suo principale telegiornale del 14febbraio 2000, la Star Channel avrebbe violato il dovere di ri-spettare la personalità, l’onore, la reputazione e la vita fami-liare, nonché la presunzione di innocenza di diverse persona-lità. La legge greca n. 2328 del 1995 («Regime giuridico delletelevisioni private e delle radio locali, regolamentazione del-le questioni connesse al mercato radiotelevisivo e altre di-sposizioni») prevede, infatti, che siffatte violazioni sianosanzionate, fra l’altro, con ammende da cinque a cinque-cento milioni di GRD applicabili congiuntamente e solidal-mente alla società e personalmente ai suoi legali rappre-sentanti, all’insieme dei membri del suo consiglio di ammi-nistrazione e a tutti i soci detentori di oltre il 2,5% del suocapitale azionario (art. 4, n. 3). Si tratta di sanzioni indipen-denti dall’esistenza di un’eventuale responsabilità penale ocivile (art. 4, n. 5).La Idryma Typou ha contestato tale decisione dinanzi al Sym-voulio tis Epikrateias (Consiglio di Stato). Tale giudice si è in-terrogato sulla compatibilità dell’art. 4, n. 3, della l. n. 2328del 1995 con le diverse direttive dell’Unione in materia di so-cietà, cui la legge fa riferimento, e, in particolare, con la pri-ma direttiva del Consiglio 9 marzo 1968, 68/151/CEE, intesaa coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sonorichieste, negli Stati Membri, alle società per proteggere gli

interessi dei soci e dei terzi (in GUCE, 14 marzo 1968, L65, 8;in prosieguo: la «prima direttiva»). Il giudice di rinvio ha cosìsospeso il giudizio per sottoporre alla Corte la seguente que-stione pregiudiziale: «Se la direttiva 68/151/CEE, che all’art. 1dispone che “[l]e misure di coordinamento previste dalla pre-sente direttiva si applicano alle disposizioni legislative, rego-lamentari ed amministrative degli Stati membri relative ai se-guenti tipi di società (…) per la Grecia: ανωνυμη εταιρια [so-cietà per azioni]”, osti all’introduzione di una disposizione na-zionale, come l’art. 4, n. 3, della legge n. 2328/1995, nellaparte in cui prevede che le ammende comminate ai paragra-fi precedenti dello stesso articolo per il caso di violazioni del-la normativa vigente e delle regole di deontologia che disci-plinano il funzionamento delle emittenti televisive siano in-flitte non soltanto alla società titolare della licenza per la co-stituzione e gestione dell’emittente televisiva, ma anche, insolido con essa, a tutti i soci che detengono più del 2,5% delcapitale azionario».

La decisioneLa Corte osserva che né dalla lettura della prima direttiva, néda una sua interpretazione alla luce del suo oggetto o del di-ritto degli Stati membri, risulta che essa disporrebbe chel’azionista non possa mai essere tenuto a rispondere perun’ammenda inflitta ad una società, in particolare nell’ipotesiin cui tale ammenda sia inflitta congiuntamente e solidal-mente alla società per azioni ed a tale azionista. Difatti, perun verso, la prima direttiva non prescrive cosa debba essereuna società per azioni o a responsabilità limitata, ma si limitaa prevedere disposizioni da applicarsi a determinati tipi di so-cietà individuati come società per azioni o a responsabilità li-mitata (art. 1); per altro verso, anche se da un esame del di-ritto degli Stati membri risulta che nella maggior parte dei ca-si gli azionisti delle società elencate all’art. 1 non sono tenutia rispondere personalmente dei debiti della società per azio-ni o della società a responsabilità limitata, non si può conclu-dere che si tratti di un principio generale del diritto societarioapplicabile in tutte le circostanze e senza eccezioni.Ne consegue, secondo la Corte, che la prima direttiva nonosta ad una normativa nazionale, quale l’art. 4, n. 3, della l. n.2328 del 1995.La Corte osserva, tuttavia, che la normativa ellenica in esa-me, che riguarda anche azionisti che detengano un pacchet-to azionario superiore al 2,5% (partecipazione insufficiente aconsentire una sicura influenza sulle decisioni della società),si applica indipendentemente dall’entità della partecipazionedetenuta da un azionista in una società e, pertanto, può rien-trare nell’ambito di applicazione sia dell’art. 49 T.FUE, sia del-l’art. 63 T.FUE.La Corte ritiene, così, di dover procedere altresì all’interpre-tazione di questi ultimi articoli. Il fatto che il giudice naziona-le abbia formulato la questione pregiudiziale solo in riferi-

DIRITTO DELLE SOCIETÀ

Osservatorio Corte di giustiziadelle Comunità europeea cura di Silvio Riondato

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mento a talune disposizioni del diritto dell’Unione (nella spe-cie, la prima direttiva) non osta, infatti, a che la Corte forniscaulteriori elementi di interpretazione utili alla soluzione dellacausa.La Corte rammenta che, secondo costante giurisprudenza, lanozione di «restrizione» ai sensi dell’art. 49 T.FUE concernemisure che vietano, ostacolano o rendono meno attraentel’esercizio della libertà di stabilimento. Devono essere, inve-ce, qualificate come «restrizioni» ai sensi dell’art. 63, n. 1,T.FUE le misure nazionali idonee a impedire o a limitare l’ac-quisizione di azioni nelle imprese interessate o che possanodissuadere gli investitori degli altri Stati membri dall’investirenel capitale di queste ultime.Secondo la Corte, la misura nazionale di cui trattasi ha un ef-fetto dissuasivo per gli investitori e pregiudica il loro accessoal mercato delle partecipazioni societarie. Essa consente in-fatti di considerare responsabili per il pagamento delle am-mende inflitte alla società gli azionisti di una società per azio-ni gestrice di una rete televisiva, affinché detti azionisti fac-ciano sì che la società medesima rispetti la normativa e le re-gole di deontologia elleniche, anche qualora i poteri attribuitia tali azionisti dalle norme applicabili al funzionamento degliorgani delle società per azioni non diano loro la possibilitàmateriale di determinare tale condotta.Inoltre, sebbene la misura sia indistintamente applicabile agliinvestitori ellenici e a quelli di altri Stati membri, il suo effet-to dissuasivo è maggiore nei confronti dei secondi. Infatti,considerato che l’obiettivo della legge consiste nell’indurregli azionisti a concludere alleanze con altri azionisti al fine diessere in grado di influenzare le decisioni dell’amministrazio-ne della società, è incontestabile che ciò sia ben più difficileda rispettare per gli investitori di altri Stati membri, che sonomeno al corrente della realtà della vita dei media in Grecia enon sono necessariamente edotti in ordine ai diversi gruppi oalleanze rappresentati nell’ambito del capitale di una societàtitolare della licenza di costituire e gestire un’emittente tele-visiva.Ne consegue che una misura nazionale come quella di cuitrattasi nel procedimento principale comporta restrizioni tan-to alla libertà di stabilimento quanto alla libera circolazionedei capitali. Una siffatta misura restrittiva può essere consi-derata ammissibile solo se risponde a ragioni imperative diinteresse pubblico, se è idonea a garantire il conseguimentodello scopo perseguito e se non va oltre quanto necessarioper il suo raggiungimento.Secondo la Corte, l’obiettivo della misura in esame (far ri-spettare la normativa e la deontologia dei giornalisti da partedelle società che gestiscono emittenti televisive al fine di evi-tare, segnatamente, che siano pregiudicati l’onore o la vitaprivata delle persone) è, senza dubbio, un obiettivo legittimo.La Corte dubita, tuttavia, che la misura di cui trattasi sia attaa garantirne la realizzazione e, soprattutto, che essa non va-da oltre quanto necessario per raggiungerlo.La Corte non vede perché un azionista che possieda oltre il2,5% delle quote di un’emittente televisiva debba essereconsiderato in grado di influenzare l’amministrazione dellasocietà. In proposito, la Corte ritiene del tutto ininfluentel’esistenza - sostenuta dal governo ellenico - di un’eventua-le correlazione statistica tra lo status di azionista detentoredel 2,5% delle partecipazioni in una società gestrice diun’emittente televisiva e la professione di giornalista: sel’obiettivo del provvedimento consiste nel far sì che i gior-nalisti rispettino le leggi e la deontologia della loro profes-sione, potrebbe risultare appropriato sanzionarli personal-mente per le infrazioni che commettono, piuttosto che in-

fliggere sanzioni ad azionisti che non sono necessariamen-te giornalisti.La Corte osserva, peraltro, che la legge ellenica contemplaaltre sanzioni più confacenti rispetto all’obiettivo perseguito,colpendo l’attività televisiva e non la semplice detenzione dicapitale sociale, come la sospensione o l’interruzione delladiffusione di una data emissione, la sospensione provvisoriadella diffusione di ogni programma televisivo fino a tre mesi,la revoca della licenza di gestione dell’emittente televisivaoppure sanzioni di carattere etico. Inoltre, supporre che tuttigli azionisti di una società per azioni siano professionisti delsettore in cui ricade l’oggetto sociale della società costitui-sce la negazione stessa della libera circolazione dei capitaliche riguarda in particolar modo gli investimenti di portafoglio,vale a dire l’acquisto di titoli sul mercato dei capitali realizza-to al solo scopo di effettuare un investimento finanziario sen-za influire sulla gestione e il controllo dell’impresa. È proprioquesto, secondo la Corte, il genere di investimenti che inve-stitori di altri Stati membri, che intendano diversificare il loroportafoglio, potrebbero realizzare.La Corte conclude, pertanto, che gli artt. 49 T.FUE e 63T.FUE devono essere interpretati nel senso che ostano aduna normativa nazionale come l’art. 4, n. 3, della l. n. 2328del 1995, secondo cui le ammende previste ai commi prece-denti di tale articolo per violazione della normativa e delle re-gole deontologiche a disciplina del funzionamento delleemittenti televisive vengono inflitte, congiuntamente e soli-dalmente, non solo alla società titolare della licenza di costi-tuire e gestire un’emittente televisiva, ma anche a tutti i socidetentori di un pacchetto azionario superiore al 2,5% del ca-pitale.

I precedentiSulla possibilità per la Corte di fornire interpretazioni ulterio-ri rispetto ai riferimenti normativi europei di cui alla doman-da pregiudiziale v. CGCE, 27 ottobre 2009, C-115/08, CEZ, inRaccolta, 2009, I-10265, 81. Sull’impossibilità, invece, dipronunciarsi sull’interpretazione del diritto nazionale v.CGCE, 18 gennaio 2007, C-220/05, Auroux e a., ivi, 2007, I-385, 25.Sull’ambito di applicazione ratione materiae dell’art. 49T.FUE v., CGCE 13 aprile 2000, C-251/98, Baars, in Racc.,2000, I-2787, 22; CGCE, 23 ottobre 2007, C-112/05, Com-missione c. Germania, ivi, 2007, I-8995, 13, nonché CGCE,26 marzo 2009, C-326/07, Commissione c. Italia, ivi, 2009, I-2291, 34. Sull’ambito di applicazione dell’art. 63 T.FUE v.CGCE, 17 settembre 2009, C-182/08, Glaxo Wellcome, inRaccolta, 2009, I-8591, 40.Sulla nozione di «restrizione» ai sensi dell’art. 49 T.FUE v.CGCE, 28 aprile 2009, Commissione c. Italia, C-518/06, inRaccolta, 2009, I-3491, 62. Sulle condizioni di legittimità del-le restrizioni tanto alla libertà di stabilimento quanto alla libe-ra circolazione dei capitali cfr., rispettivamente, la sentenzada ultimo citata al punto 72, e CGCE, 23 ottobre 2007, C-112/05, Commissione c. Germania, cit., 72 e 73.Sulla portata della libera circolazione dei capitali, nel sensoche essa riguarda in particolar modo gli investimenti di por-tafoglio, vale a dire l’acquisto di titoli sul mercato dei capita-li realizzato al solo scopo di effettuare un investimento fi-nanziario senza influire sulla gestione e il controllo dell’im-presa, cfr. CGCE, 28 settembre 2006, cause riunite C-282/04 e C-283/04, Commissione c. Paesi Bassi, in Raccol-ta, I-9141, 19.

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LEGALITÀ E SANZIONI AMMINISTRATIVE

Corte di giustizia delle Comunità europee, Quarta Sezio-ne, 28 ottobre 2010, C-367/09 - Belgisch Interventie - enRestitutiebureau contro SGS Belgium NV, Firme DerwaNV, Centraal Beheer Achmea NV

Nell’ambito della tutela degli interessi finanziari del-

l’Unione, l’applicazione di una sanzione amministrativa

a certi soggetti richiede che, prima della commissione

dell’irregolarità di cui trattasi, il legislatore dell’Unione

abbia adottato una normativa settoriale che definisca

siffatta sanzione e le condizioni della sua applicazione a

tali soggetti o, qualora tale normativa non sia stata

adottata, il diritto dello Stato membro in cui l’irregolari-

tà è stata commessa abbia previsto l’imposizione di una

sanzione amministrativa a tali soggetti.

Le sanzioni eventualmente applicate dagli Stati membri

a una società di controllo e di sorveglianza in qualità di

persona che ha partecipato all’esecuzione dell’irregolari-

tà o che è tenuta a rispondere della medesima ai sensi

dell’art. 7 del regolamento n. 2988 del 1995, devono ave-

re un fondamento giuridico chiaro e inequivocabile, cir-

costanza che spetta al giudice nazionale verificare.

La comunicazione di un verbale d’inchiesta che evidenzi

un’irregolarità, la trasmissione della richiesta di esibire

documenti supplementari nonché l’invio di una lettera

raccomandata di irrogazione di una sanzione per aver

partecipato all’esecuzione di un’irregolarità ai sensi del-

l’art. 1, n. 2, del regolamento n. 2988 del 1995 costitui-

scono atti sufficientemente precisi portati a conoscenza

della persona interessata ed aventi natura istruttoria o

volti a perseguire l’irregolarità che interrompono la pre-

scrizione delle azioni giudiziarie ai sensi dell’art. 3, n. 1,

terzo comma, di detto regolamento.

Il casoLa Firme Derwa NV ha richiesto e ottenuto, nell’ambito delregime di prefinanziamento, dal Belgisch Interventie - en Re-stitutiebureau («BIRB»: ufficio belga di intervento e di resti-tuzione) restituzioni all’esportazione per 1.407.268,90 europer la vendita all’esportazione verso l’Egitto di un lotto di car-ne di manzo, in virtù di un attestato di immissione in consu-mo, rilasciato dalla SGS Belgium il 4 novembre 1997.A seguito di un’indagine condotta dall’Ispezione economicadel Ministero degli Affari economici belga emergeva, tutta-via, che le merci non erano state effettivamente importate inEgitto. Il BIRB infliggeva, perciò, alla SGS Belgium una san-zione amministrativa pari al 200% della somma di1.407.268,90 indebitamente percepita dalla Firme Derwa einvitava la società belga a versare un importo equivalente al-la suddetta restituzione oltre ad una maggiorazione, per unimporto totale pari a 4.503.260,74 euro.Detta sanzione, prevista dall’art. 11, n. 1, comma 1, lett. b) delregolamento (CEE) della Commissione 27 novembre 1987, n.3665, recante modalità comuni di applicazione del regime del-le restituzioni all’esportazione per i prodotti agricoli, riguardaunicamente l’esportatore. Nondimeno, secondo il BIRB sa-rebbe possibile, in forza della regola della corresponsabilitàdella società di controllo e di sorveglianza sancita dal diritto

nazionale ed in base all’art. 7 del regolamento (CE, Euratom)del Consiglio 18 dicembre 1995, n. 2988, sulla tutela degli in-teressi finanziari delle Comunità, infliggere tale sanzione an-che alla società di controllo nella sua qualità di persona chepuò essere tenuta a rispondere dell’irregolarità.Con atto di citazione notificato il 16 settembre 2003, il BIRBadiva il Rechtbank van eerste aanleg te Antwerpen (Tribuna-le di primo grado di Anversa) chiedendogli di condannare laSGS Belgium al versamento dell’importo di 4.503.260,74 Eu-ro. Tale giudice dichiarava, tuttavia, infondata l’azione delBIRB, che, perciò, interponeva appello avverso tale sentenzadinanzi al Hof van beroep te Antwerpen (Corte d’appello diAnversa), il quale, a sua volta, sospendeva il procedimentoper sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:1) se le disposizioni degli artt. 5 e 7 del regolamento n. 2988del 1995 abbiano effetto diretto negli ordinamenti giuridicinazionali degli Stati membri, senza qualsivoglia margine di di-screzionalità di detti Stati membri e senza che le autorità na-zionali adottino misure di attuazione; 2) se una società spe-cializzata sul piano internazionale in materia di controllo e disorveglianza e riconosciuta dallo Stato membro dove sonostate espletate le formalità doganali per l’esportazione, nellafattispecie il Belgio, la quale abbia rilasciato una dichiarazionedi scarico non corretta, ai sensi dell’art. 18, n. 2, lett. c), delregolamento n. 3665 del 1987, possa essere considerata unoperatore economico, ai sensi dell’art. 1 del regolamento n.2988 del 1995, e quindi una persona che ha partecipato al-l’esecuzione dell’irregolarità o una persona che può esseretenuta a rispondere della medesima o che avrebbe dovutoevitare che fosse commessa, ai sensi dell’art. 7 del citato re-golamento; 3) se la comunicazione di un verbale d’inchiestacondotta dall’Ispezione economica, di una lettera con cui sirichiede la presentazione di documenti supplementari a so-stegno dell’immissione in consumo oppure di una letteraraccomandata con cui viene irrogata una sanzione possanoconsiderarsi atti di natura istruttoria o volti a perseguire l’irre-golarità idonei ad interrompere la prescrizione delle azionigiudiziarie di restituzione o recupero, ai sensi dell’art. 3, n. 1,comma 3, del regolamento n. 2988 del 1995.

La decisioneQuanto alla prima questione, la Corte osserva che, benché ledisposizioni di un regolamento producano in genere effettiimmediati negli ordinamenti giuridici nazionali, in certi casipuò esser necessaria l’adozione di misure di applicazione daparte degli Stati membri o del legislatore dell’Unione. Ciò va-le, secondo la Corte, per le sanzioni amministrative inflitte al-le diverse categorie di soggetti identificate nel regolamento n.2988 del 1995. Difatti, l’art. 5 stabilisce che le irregolarità in-tenzionali o causate da negligenza «possono» comportare de-terminate sanzioni amministrative, mentre l’art. 7 di detto re-golamento prevede che le suddette sanzioni «possono» ap-plicarsi a determinate categorie di soggetti. Tali disposizioni silimitano, perciò, a fissare le regole generali per i controlli e lesanzioni allo scopo di tutelare gli interessi finanziari dell’Unio-ne senza determinare in modo preciso quale delle sanzionielencate all’art. 5 debba applicarsi in un caso di irregolaritàche leda gli interessi finanziari dell’Unione né la categoria disoggetti che debbano subire l’imposizione di tale sanzione.La Corte constata, inoltre, che dalle norme del regolamenton. 2988 del 1995, risulta, per un verso, che al legislatore del-l’Unione spetta adottare normative settoriali che stabiliscanosanzioni amministrative (art. 2, n. 3, in combinato dispostocon il quinto e con l’ottavo ‘considerando’) e, per altro verso,che le procedure relative all’applicazione dei controlli, delle

INTERESSI FINANZIARI DELL’UNIONE EUROPEA

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misure e sanzioni amministrative previste da tale normativasono disciplinate dal diritto degli Stati membri (art. 2, n. 4).Aggiunge la Corte che se è vero che il regolamento n. 2988del 1995 prevede che, in conformità al principio della legalitàdei reati e delle pene, nessuna sanzione amministrativa pos-sa essere irrogata se non è prevista da un atto dell’Unioneprecedente all’irregolarità (art. 2, n. 2), è pur vero che gli Sta-ti membri, per combattere la frode lesiva degli interessi fi-nanziari dell’Unione, sono tenuti ad adottare le stesse misu-re che adottano per combattere la frode lesiva dei loro inte-ressi (art. 325 T.FUE). Di conseguenza, quando il legislatoredell’Unione non ha adottato una normativa settoriale a tuteladegli interessi finanziari dell’Unione dalla condotta di talunisoggetti, gli Stati membri possono legittimamente mantene-re o adottare disposizioni nei confronti di tali soggetti che ri-sultino necessarie alla lotta contro la frode e rispettino i prin-cipi generali del diritto dell’Unione, segnatamente quello del-la proporzionalità, nonché le norme generali definite nel pre-detto regolamento ed eventuali normative settoriali del-l’Unione. Del resto, quando una normativa dell’Unione noncontempla alcuna disposizione specifica che stabilisca san-zioni in caso di violazione della stessa o prevede l’applicabili-tà di certe sanzioni senza determinarle in modo esaustivo,l’art. 4, n. 3, T.UE impone agli Stati membri di adottare tuttele misure efficaci al fine di sanzionare i comportamenti lesividegli interessi finanziari dell’Unione.Inoltre, a detta della Corte, sarebbe incompatibile con gliobiettivi perseguiti dall’art. 325 T.FUE circoscrivere l’azionedegli Stati membri nei confronti di una categoria di soggettinon ancora contemplati da una normativa settoriale adottataa livello dell’Unione: un’efficace tutela degli interessi finan-ziari dell’Unione richiede che la dissuasione e la lotta controla frode e le altre irregolarità operino a tutti i livelli possibili. La Corte risolve, pertanto, la prima questione dichiarandoche gli artt. 5 e 7 del regolamento n. 2988 del 1995 non van-no applicati in modo tale che una sanzione amministrativapossa essere inflitta unicamente in base a tali disposizioni,dal momento che, nell’ambito della tutela degli interessi fi-nanziari dell’Unione, l’applicazione di una sanzione ammini-strativa ad una categoria di soggetti richiede che, prima dellacommissione dell’irregolarità di cui trattasi, il legislatore del-l’Unione abbia adottato una normativa settoriale che defini-sca siffatta sanzione e le condizioni della sua applicazione adetta categoria di soggetti o, eventualmente, qualora una si-mile normativa non sia stata ancora adottata a livello del-l’Unione, il diritto dello Stato membro in cui l’irregolarità inquestione è stata commessa abbia previsto l’imposizione diuna sanzione amministrativa alla suddetta categoria di sog-getti.Quanto alla seconda questione, la Corte ritiene che, in circo-stanze come quelle di cui alla causa principale, in mancanzadi una normativa settoriale dell’Unione applicabile rationetemporis alle società di controllo e di sorveglianza, gli Statimembri potessero prevedere una responsabilità solidale del-le società con l’esportatore, quali persone che hanno parte-cipato all’esecuzione dell’irregolarità o tenute a risponderedella medesima, per le conseguenze finanziarie derivanti dalrilascio di attestati che hanno consentito all’esportatore dibeneficiare indebitamente di restituzioni.Osserva, tuttavia, la Corte che nella causa principale risultache le autorità nazionali tentano, da un lato, di recuperarel’importo della restituzione indebita dalla SGS Belgium e, dal-l’altro, di applicare a questa società di controllo e di sorve-glianza le sanzioni amministrative di cui all’art. 11, n. 1, com-ma 1, lett. b), del regolamento n. 3665 del 1987 e di norma

applicate all’esportatore, invocando l’effetto diretto dell’art. 7del regolamento n. 2988 del 1995 e l’esistenza nell’ordina-mento nazionale di una responsabilità solidale di tale societàcon l’esportatore. Secondo la Corte, per quanto riguarda il recupero della resti-tuzione indebitamente percepita, esso deve essere effettua-ta presso l’esportatore che ne abbia indebitamente benefi-ciato. Quanto, invece, all’applicazione della sanzione di cui al-l’art. 11, n. 1, comma 1, lett. b), del regolamento n. 3665 del1987, il tenore letterale della norma impone di considerareche la condizione di applicazione dell’aver fornito deliberata-mente false informazioni debba essere riferita esclusiva-mente all’esportatore. Così, qualora emergesse che questiignorava il carattere erroneo dell’attestato di immissione inconsumo, fornito intenzionalmente dalla società di controlloe di sorveglianza, circostanza che spetta al giudice del rinvioverificare, non potrebbe ritenersi che tale esportatore abbiaintenzionalmente trasmesso informazioni false ai sensi del-l’art. 11, n. 1, comma 1, lett. b), del regolamento n. 3665 del1987, di modo che la sanzione prevista da tale disposizionenon potrebbe essere applicata all’esportatore né, in applica-zione di una norma nazionale sulla responsabilità solidale, al-la predetta società di controllo e di sorveglianza.In una simile situazione potrà invece applicarsi la sanzione dicui alla lett. a) dell’art. 11, n. 1, applicabile anche qualoral’esportatore non abbia commesso illeciti. A tal riguardo, perun verso, solo gli operatori che hanno domandato di benefi-ciare di restituzioni all’esportazione rischiano di subire talesanzione, ove risulti che le informazioni da essi fornite a so-stegno delle loro domande sono erronee; per altro verso,quando sussiste un rischio concreto che l’esportatore, chespesso è solo l’ultimo anello di una catena di acquisti a sco-po di rivendita, possa sottrarsi alla responsabilità derivantedall’inesattezza della propria dichiarazione a causa di uneventuale errore, negligenza o frode a monte di questa cate-na, l’art. 11 del regolamento n. 3665 del 1987 lo rende re-sponsabile, a pena di sanzioni, dell’esattezza della sua di-chiarazione. Infatti, l’esportatore sceglie liberamente le pro-prie controparti contrattuali e spetta a lui adottare le precau-zioni adeguate, inserendo nei contratti che conclude conquesti ultimi clausole in tal senso o stipulando una polizza as-sicurativa ad hoc. Tuttavia, laddove l’esportatore ottenga una restituzione al-l’esportazione grazie ad un attestato di immissione in consu-mo, rispetto al quale la normativa dell’Unione impone che siarilasciato da una società specializzata in materia di controllo edi sorveglianza, e in cui risulti che, all’insaputa di tale espor-tatore, detta società ha rilasciato un falso attestato che con-sente all’assicuratore che copre i rischi inerenti all’esporta-zione di non indennizzare una perdita connessa alla mancataesecuzione di tale operazione, l’art. 11 del regolamento n.3665 del 1987 non osta a che, in applicazione di una disposi-zione nazionale che stabilisce la responsabilità solidale dellasocietà di controllo e sorveglianza per le conseguenze finan-ziarie derivanti dagli attestati da essa rilasciati, l’autorità na-zionale decida di recuperare presso tale società gli importiderivanti dall’applicazione all’esportatore della sanzione di cuial n. 1, comma 1, lett. a), del suddetto articolo. Resta fermoche una sanzione, anche di carattere non penale, può essereinflitta solo qualora abbia un fondamento giuridico chiaro edinequivocabile.La Corte risolve, così, la seconda questione dichiarando che,in circostanze come quelle di cui alla causa principale, in cuila normativa settoriale dell’Unione non prevedeva ancoral’obbligo a carico degli Stati membri di stabilire sanzioni effi-

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caci nel caso in cui una società specializzata sul piano inter-nazionale in materia di controllo e di sorveglianza e ricono-sciuta da uno Stato membro abbia rilasciato falsi attestati,l’art. 7 del regolamento n. 2988 del 1995 non osta a che gliStati membri applichino una sanzione a tale società in qualitàdi persona che ha «partecipato all’esecuzione dell’irregolari-tà» o di persona che è «tenuta a rispondere» della medesimaai sensi di detta disposizione, a condizione tuttavia che l’ap-plicazione di una simile sanzione abbia un fondamento giuri-dico chiaro e inequivocabile, circostanza che spetta al giudi-ce del rinvio verificare.Quanto alla terza questione, la Corte osserva che, dato che ilregolamento n. 3665 del 1987 non prevede norme relativealla prescrizione dell’azione di recupero di restituzioni al-l’esportazione indebitamente percepite, è necessario riferirsiall’art. 3, n. 1, comma 1, del regolamento n. 2988 del 1995,disposizione direttamente applicabile negli Stati membri inassenza di una normativa settoriale dell’Unione che prevedaun termine più breve o di una normativa nazionale che fissiun termine più lungo. Secondo tale disposizione, la prescri-zione delle azioni giudiziarie è interrotta per effetto di qual-siasi atto dell’autorità competente, portato a conoscenza del-la persona interessata, che abbia natura istruttoria o che siavolto a perseguire l’irregolarità.La Corte osserva che la funzione di assicurare la certezza deldiritto generalmente perseguita dai termini di prescrizionenon verrebbe pienamente assolta se il termine di cui all’art.3, n. 1, potesse essere interrotto per effetto di qualsiasi attodi controllo, di ordine generale, dell’amministrazione nazio-nale senza alcun rapporto con sospetti di irregolarità relativiad operazioni delimitate in termini sufficientemente precisi.Tuttavia, quando le autorità nazionali trasmettono ad una per-sona verbali da cui emerga un’irregolarità a cui essa avrebbecontribuito in collegamento con un’operazione di esportazio-ne specifica, chiedono a questa informazioni supplementariconcernenti tale operazione ovvero applicano ad essa unasanzione connessa a tale operazione, essi adottano atti suffi-cientemente precisi aventi natura istruttoria o volti a perse-guire l’irregolarità ai sensi dell’art. 3, n. 1, comma 3, del re-golamento n. 2988 del 1995.Di conseguenza, si deve risolvere la terza questione dichia-rando che, in circostanze come quelle di cui alla causa princi-pale, la comunicazione, ad una società specializzata sul pianointernazionale in materia di controllo e di sorveglianza che ab-bia rilasciato un attestato di immissione in consumo per unaspecifica operazione di esportazione, di un verbale d’inchie-sta che evidenzi un’irregolarità collegata a tale operazione, latrasmissione a detta società della richiesta di esibire docu-menti supplementari al fine di accertare l’effettività dell’im-missione in consumo nonché l’invio di una lettera raccoman-data di irrogazione di una sanzione a tale società per aver par-tecipato all’esecuzione di un’irregolarità ai sensi dell’art. 1, n.2, del regolamento n. 2988 del 1995 costituiscono atti suffi-cientemente precisi portati a conoscenza della persona inte-ressata ed aventi natura istruttoria o volti a perseguire l’irre-golarità che, di conseguenza, interrompono la prescrizionedelle azioni giudiziarie ai sensi dell’art. 3, n. 1, comma 3, didetto regolamento.

I precedentiSugli effetti dei regolamenti dell’Unione negli ordinamentigiuridici nazionali v. CGCE, 17 maggio 1972, 93/71, Leone-sio, in Raccolta, 1972, 287, 5, e CGCE, 24 giugno 2004, C-278/02, Handlbauer, ivi, 2004, I-6171, 25 e, con riferimentoalla necessità, in alcuni casi, di apposite misure di applicazio-

ne v., CGCE, 11 gennaio 2001, C-403/98, Monte Arcosu, ivi,2001, I-103, 26.Nel senso che gli artt. 5 e 7 del regolamento n. 2988/95 si li-mitano a fissare le regole generali per i controlli e le sanzioniallo scopo di tutelare gli interessi finanziari dell’Unione v.CGCE, 13 marzo 2008, cause riunite da C-383/06 a C-385/06,Vereniging Nationaal Overlegorgaan Sociale Werkvoorzie-ning, in Raccolta, 2008, I-1561, 39.Sull’obbligo degli Stati membri di adottare tutte le misure ef-ficaci al fine di sanzionare i comportamenti lesivi degli inte-ressi finanziari dell’Unione quando una normativa dell’Unionenon contempli alcuna disposizione specifica che stabiliscasanzioni o comunque non le determina in modo esaustivo v.CGCE, 21 settembre 1989, 68/88, Commissione/Grecia, inRaccolta, 1989, 2965, 23, nonché CGCE, 8 luglio 1999, C-186/98, Nunes e de Matos, ivi, 1999, I-4883, 12 e 14; non-ché, circa la necessità che la lotta contro la frode e le altre ir-regolarità operi su tutti i livelli, CGCE, 10 luglio 2003, C-15/00, Commissione/BEI, in Raccolta, I-7281, 135.Sulle condizioni di applicabilità della sanzione di cui all’art. 11,n. 1, primo comma, lett. a), del regolamento n. 3665/87, v.CGCE, 24 aprile 2008, C-143/07, AOB Reuter, in Raccolta,2008, I-3171, 17. Sulla responsabilità dell’esportatore perl’inesattezza della propria dichiarazione v. CGCE, 11 luglio2002, C-210/00, Käserei Champignon Hofmeister, in Raccol-ta, 2002, I-6453, 42, 61 e 62, nonché CGCE, 24 aprile 2008,C-143/07, cit., 36. Sulla necessità che ogni sanzione abbia un fondamento giu-ridico chiaro ed inequivocabile v. CGCE, 14 dicembre 2000,C-110/99, Emsland-Stärke, in Raccolta, 2000, I-11569, 56 eCGCE, 11 luglio 2002, C-210/00, cit., 52, nonché CGCE, 6aprile 2006, C-274/04, ED & F Man Sugar, ivi, 2006, I-3269,15.In generale, sull’art. 3, n. 1, comma 1, del regolamento n.2988/95 v. CGCE, 15 gennaio 2009, C-281/07, BayerischeHypotheken - und Vereinsbank, in Raccolta, 2009, I-91.

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Diritto penale e processoIndici

INDICE DEGLI AUTORIAndolina Elena

Nuovi scenari nella tutela penale dei diritti fonda-mentali in Europa ...................................................... 764

Bartoli Roberto

Il dolo eventuale sbarca anche nell’attività d’impresa 703

Bianchi Davide

la responsabilità dell’ente: soluzioni ragionevoli diquestioni complesse ................................................. 711

Corbetta Stefano

Osservatorio Corte di cassazione - Diritto penale ..... 677

De Flammineis Siro

Sull’applicazione retroattiva di un’interpretazionegiurisprudenziale in favore del reo............................. 743

De Francesco Giovannangelo

Colpa e prevenzione del rischio nel campo delle ma-lattie professionali ..................................................... 665

Dell’Anno Pierpaolo

Violazione della privacy e inutilizzabilità delle acquisi-zioni documentali correlate: presupposti e limiti ...... 723

Di Chiara Giuseppe

Osservatorio Corte costituzionale ............................. 671

Garuti Giulio

Osservatorio Corte europea dei diritti dell’uomo ...... 777

Gualtieri Mauro

Inail e sindacati nel processo penale: disorientamen-ti legislativi e giurisprudenziali ................................... 753

Leo Guglielmo

Osservatorio Contrasti giurisprudenziali .................... 689

Montagna Alfredo

Osservatorio Corte di cassazione - Sezioni Unite...... 674

Peroni Francesco

Osservatorio Corte di cassazione - Processo penale 683

Piloni Mirko

Usura bancaria e commissione di massimo scoper-to: l’elemento oggettivo e soggettivo del reato ........ 736

Riondato Silvio

Osservatorio Corte di giustizia delle comunità europee 784

Tabasco Giuseppe

Sezioni Unite e presofferto cautelare in ordine allaprosecuzione della misura custodiale ....................... 696

INDICE CRONOLOGICODEI PROVVEDIMENTIGiurisprudenza

Corte costituzionale

3 maggio 2012 (18 aprile 2012), n. 110..................... 671

Corte di Assise

14 novembre 2011 (15 aprile 2011), n. 31095 - Torino 702

Corte di cassazione (Sezioni semplici)

8 novembre 2011 (u.p. 21 settembre 2011), n. 40327 689

19 dicembre 2011 (ud. 23 novembre 2011), n. 46669 730

13 gennaio 2012 (c.c. 20 dicembre 2011), n. 1006 .. 690

26 marzo 2012 (u.p. 6 marzo 2012), n. 11606 .......... 677

29 marzo 2012 (28 febbraio 2012), n. 11770 ........... 683

4 aprile 2012 (24 febbraio 2012), n. 12728 ............... 684

4 aprile 2012 (28 febbraio 2012), n. 12773 ............... 686

4 aprile 2012 (28 febbraio 2012), n. 12783................ 686

10 aprile 2012 (u.p. 28 febbraio 2012), n. 13358 ...... 678

11 aprile 2012 (2 dicembre 2011), n. 13559 ............. 687

11 aprile 2012 (16 gennaio 2012), n. 13568 ............. 685

12 aprile 2012 (u.p. 15 dicembre 2011), n. 13927 .... 680

12 aprile 2012 (u.p. 8 marzo 2012), n. 13956............ 679

26 aprile 2012 (u.p. 28 marzo 2012), n. 15952.......... 679

26 aprile 2012 (u.p.10 febbraio 2012), n. 16000........ 681

Corte di cassazione (Sezioni unite)

17 aprile 2012 (c.c. 19 gennaio 2012) n. 14484 ........ 674

22 aprile 2011 (c.c. 31 marzo 2011), n. 16085 .......... 693

24 aprile 2012 (p.u. 24 novembre 2011), n. 15933 .. 675

Corte di giustizia delle Comunità europee

21 ottobre 2010, C-81/09 - Idryma Typou AE controYpourgos Typou kai Meson Mazikis Enimerosis ....... 784

28 ottobre 2010, C-367/09 - Belgisch Interventie - enRestitutiebureau contro SGS Belgium NV, FirmeDerwa NV, Centraal Beheer Achmea NV .................. 786

Corte europea dei diritti dell’uomo

5 aprile 2012, Pres. Spielmann, Chambaz c. Svizzera 777

12 aprile 2012, Pres. Spielmann, Lagardère c. Francia 778

12 aprile 2012, Pres. Spielmann, Martin e altri c. Francia 782

12 aprile 2012, Pres. Jungwiert, Stübing c. Germania 780

17 aprile 2012, Pres. Casadevall, J.L. c. Lettonia ..... 781

24 aprile 2012, Pres. Casadevall, Crainiceanu e Fru-musanu c. Romania .................................................. 779

Tribunale

4 ottobre 2011 (19 aprile 2011) - Pinerolo ................. 723

30 gennaio 2012 - Torino .......................................... 743

INDICE ANALITICO

Diritto penale

Colpa

Colpa e prevenzione del rischio nel campo delle ma-lattie professionali, di Giovannangelo De Francesco. 665

Delitti contro il patrimonio

Impossessamento di cose «smarrite» (Cass. pen.,Sez. V, 8 novembre 2011 (u.p. 21 settembre 2011),n. 40327) ................................................................... 689

Delitti contro il sentimento degli animali

Maltrattamento di animali (Cass. pen., Sez. III, 26marzo 2012 (u.p. 6 marzo 2012), n. 11606)............... 677

Delitti contro l’ordine pubblico

Lancio di materiale pericoloso in occasione di mani-festazioni sportive (Cass. pen., Sez. III, 10 aprile2012 (u.p. 28 febbraio 2012), n. 13358) .................... 678

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Delitti contro la famiglia

Violazione agli obblighi di assistenza familiare (Cass.pen., Sez. VI, 26 aprile 2012 (u.p. 28 marzo 2012), n.15952) ....................................................................... 679

Diritto d’autore

Abusiva fotocopiatura di opere dell’ingegno (Cass.pen., Sez. III, 12 aprile 2012 (u.p. 8 marzo 2012), n.13956) ....................................................................... 679

Diritto penale dell’economia

Usura bancaria e commissione di massimo scoper-to: l’elemento oggettivo e soggettivo del reato(Cass. pen., Sez. II, 19 dicembre 2011 (ud. 23 no-vembre 2011), n. 46669), con commento di MirkoPiloni.......................................................................... 736

Guida in stato di ebbrezza

Sequestro e confisca dell’autovettura in leasing(Cass. pen., Sez. Un., 17 aprile 2012 (c.c. 19 gennaio2012) n. 14484)........................................................... 674

Norme penali europee

Sull’applicazione retroattiva di un’interpretazionegiurisprudenziale in favore del reo (Trib. Torino, ord.30 gennaio 2012), con commento di Siro De Flam-mineis........................................................................ 743

Reati ambientali

Smaltimento illegale di rifiuti (Cass. pen., Sez. III, 12aprile 2012 (u.p. 15 dicembre 2011), n. 13927)......... 680

Reati fallimentari

Bancarotta fraudolenta per distrazione (Cass. pen.,Sez. V, 26 aprile 2012 (u.p.10 febbraio 2012), n. 16000) 681

Responsabilità d’impresa

Il dolo eventuale sbarca anche nell’attività d’impresa(C. Assise Torino, Sez. II, 14 novembre 2011 (15 apri-le 2011), n. 31095), con commento di Roberto Bartoli 703

La responsabilità dell’ente: soluzioni ragionevoli diquestioni complesse (C. Assise Torino, Sez. II, 14novembre 2011 (15 aprile 2011), n. 31095), concommento di Davide Bianchi .................................... 711

Giustizia sovranazionale

Diritto a un equo processo

Nemo tenetur se detegere e reati tributari (C. eur.dir. umani, Sez. V, 5 aprile 2012, Pres. Spielmann,Chambaz c. Svizzera)................................................. 777

Presunzione di innocenza, parità delle armi e risarci-mento civile (C. eur. dir. umani, Sez. V, 12 aprile 2012- Pres. Spielmann, Lagardère c. Francia) ................... 778

Diritto alla vita

Indagini ventennali in Romania sulla morte di alcunimanifestanti (C. eur. dir. umani, Sez. III, 24 aprile2012, Pres. Casadevall, Crainiceanu e Frumusanu c.Romania) ................................................................... 779

Diritto alla vita familiare

Relazione incestuosa tra fratelli consanguinei in Ger-mania (C. eur. dir. umani, Sez. V, 12 aprile 2012,Pres. Jungwiert, Stübing c. Germania)...................... 780

Diritto delle società

Ammenda amministrativa congiunta e solidale (C.giust. Ue, Seconda Sezione, 21 ottobre 2010, C-81/09 - Idryma Typou AE contro Ypourgos Typou kaiMeson Mazikis Enimerosis) ...................................... 784

Divieto di trattamenti disumani e degradanti

Agressione da parte dei co-detenuti a danno di uncollaboratore di giustizia in Lettonia (C. eur. dir. uma-ni, Sez. III, 17 aprile 2012, Pres. Casadevall, J.L. c.Lettonia) .................................................................... 781

Interessi finanziari dell’Unione europea

Legalità e sanzioni amministrative (C. giust. Ue, Quar-ta Sezione, 28 ottobre 2010, C-367/09 - Belgisch In-terventie - en Restitutiebureau contro SGS BelgiumNV, Firme Derwa NV, Centraal Beheer Achmea NV)... 786

Libertà di espressione

Libertà di stampa, segreto professionale e indaginipenali (C. eur. dir. umani, Sez. V, 12 aprile 2012, Pres.Spielmann, Martin e altri c. Francia) .......................... 782

Processo penale

Diritti dell’uomo

Nuovi scenari nella tutela penale dei diritti fonda-mentali in Europa, di Elena Andolina ......................... 764

Impugnazioni

Confisca: conversione del mezzo se l’interessato al-la restituzione adisce la Suprema Corte anziché fareopposizione (Cass. pen., Sez. I, 29 marzo 2012 (28febbraio 2012), n. 11770) .......................................... 683

Indagini preliminari

Avviso di conclusione delle indagini e restituzionedegli atti al p.m.: esclusa l’ipotesi dell’abnormità(Cass. pen., Sez. II, 4 aprile 2012 (24 febbraio 2012),n. 12728) ................................................................... 684

Intervento e costituzione di parte civile

Inail e sindacati nel processo penale: disorientamen-ti legislativi e giurisprudenziali, di Mauro Gualtieri..... 753

Mezzi di prova

Violazione della privacy e inutilizzabilità delle acquisi-zioni documentali correlate: presupposti e limiti (Trib.Pinerolo, 4 ottobre 2011 (19 aprile 2011)), con com-mento di Pierpaolo Dell’Anno.................................... 723

Misure cautelari

La portata del divieto di avvicinamento ex art. 282-terc.p.p. verso lo scrutinio delle Sezioni Unite (Cass. pen.,Sez. V, 11 aprile 2012 (16 gennaio 2012), n. 13568)..... 685

«Contestazioni a catena» e procedura di riesame(Cass. pen., Sez. I, 13 gennaio 2012 (c.c. 20 dicem-bre 2011), n. 1006) .................................................... 690

Sezioni Unite e presofferto cautelare in ordine allaprosecuzione della misura custodiale (Cass. pen.,Sez. Un., 22 aprile 2011 (c.c. 31 marzo 2011), n.16085), con commento di Giuseppe Tabasco ........... 696

Prescrizione

Momento della pendenza dell’appello dopo una sen-tenza di assoluzione (Cass. pen., Sez. Un., 24 aprile2012 (p.u. 24 novembre 2011), n. 15933) ................. 675

Procedimenti speciali

Patteggiamento e oneri motivazionali in caso di con-fisca (Cass. pen., Sez. III, 4 aprile 2012 (28 febbraio2012), n. 12773) ........................................................ 686

Riparazione per ingiusta detenzione

Processo cumulativo e derubricazione di una fatti-specie di reato (Cass. pen., Sez. IV, 11 aprile 2012 (2dicembre 2011), n. 13559) ........................................ 687

Diritto penale e processo 6/2012790

Diritto penale e processoIndici

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