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AI termine della loro evoluzione, le stelle espellono l'involucro esterno e proiettano gas e polvere nello spazio. Il Sole, come altre stelle di massa paragonabi- le, formerà una nebulosa planetaria, nella quale verrà allontanata in modo relativamente tranquillo una fra- zione considerevole della sua massa (in alto; la foto- grafia mostra la nebulosa NGC 6543, nota anche co- me Nebulosa del Polo nord dell'eclittica o Nebulosa Occhio di gatto). Le stelle di massa più grande esplo- dono invece con violenza, proiettando nello spazio in una frazione di secondo oltre metà della loro massa: è ciò che accadde alla supernova 1987A, che divenne vi- sibile nel febbraio 1987 nella Piccola Nube di Magella- no; sette anni dopo essa appariva circondata da un si- stema di tre anelli chiari (al centro). Nei sistemi binari stretti formati da una gigante rossa e da una compa- gna più piccola possono avvenire ripetute esplosioni a intervalli più o meno regolari quando il gas allontana- to dalla gigante rossa in espansione ricade sulla com- pagna. Un oggetto particolarmente interessante, che ha senza dubbio subìto varie esplosioni, è Eta Carinae, forse la stella più massiccia e più luminosa dell'intera Via Lattea (in basso). Pur distando da noi più di 10 000 anni luce, in un'esplosione avvenuta 150 anni fa essa divenne la stella più luminosa del cielo dopo Si- rio; l'involucro di gas espulso in quell'occasione è visi- bile oggi sotto forma di una nebulosa di gas e polve- re, la cosiddetta Nebulosa Homunculus (NGC 3372). Tutte le fotografie sono state eseguite da Hubble. La polvere cosmica La Via Lattea contiene nubi di particelle che potrebbero rivelarsi di fondamentale importanza per comprendere l'origine delle stelle di Ulf Borgeest Le ultime fasi della contrazione di una nube di polve- re che sta generando una nuova stella sono partico- larmente spettacolari. La fotografia a sinistra, esegui- ta dallo Hubble Space Telescope, mostra l'oggetto protostellare HH-30, lontano da noi 450 anni luce, il cui disco di polvere circumstellare appare di taglio. La stella che si sta formando illumina con la sua luce la faccia superiore e quella inferiore del disco, che di- viene in tal modo visibile. Il corpo luminoso è nasco- sto dietro la spessa regione centrale del disco di polve- re. Perpendicolarmente al piano del disco, l'oggetto proietta in direzioni opposte due getti rossastri di gas, i quali sono complessivamente molto più lunghi del diametro del sistema planetario in formazione. In uno stadio successivo, dal disco di polvere e gas restan- te potrebbero formarsi i pianeti della giovane stella. A ncora all'inizio del XX secolo la maggior parte degli astronomi credeva che lo spazio interstella- re fosse vuoto. Nel 1904, però, Johannes Franz Hartmann (1865-1936) dell'Osser- vatorio di Potsdam scoprì nello spettro del sistema binario stretto Delta Orionis righe di assorbimento che non potevano essere di origine stellare; dovevano inve- ce essere causate da gas interposto fra la Terra e l'oggetto. Fu Edward Emerson Barnard (1857-1923) a riconoscere infi- ne che le regioni povere di stelle della Via Lattea non sono affatto prive di ma- teria, ma sono formate da nubi di gas contenenti una quantità relativamente al- ta di particelle di polvere, che assorbono la luce delle stelle situate al di là di esse. Molte di queste nubi oscure interstel- lari coprono aree di cielo relativamente grandi e hanno forme irregolari; ce ne sono però anche parecchie dalla forma molto compatta e arrotondata. Bart J. Bok (1906-1983) fu il primo a ipotizza- re, nel 1942, che questi «globuli» potes- sero essere stadi preliminari della forma- zione di protostelle: avendo un interno relativamente freddo - dato che la radia- zione delle stelle vicine non può penetra- re in profondità dentro di essi - possono contrarsi per effetto della gravitazione, avviando così la formazione stellare. Da un tale conglomerato di gas e pol- vere ebbe origine il Sole, 4,6 miliardi di Le piccole nubi di polvere denominate globuli di Bok consistono principal- mente di gas molecolare; esse conten- gono tuttavia una tale quantità di pol- vere da coprire la luce delle stelle che si trovano dietro di esse. Dal momento che le particelle al centro dei globuli sono dotate di un'energia termica al- quanto modesta, queste nubi possono contrarsi per effetto della loro stessa attrazione gravitazionale, trasforman- dosi in regioni di formazione di stelle. anni fa. A una distanza di oltre 30 000 anni luce dal centro della Via Lattea c'e- ra una nube formata principalmente da idrogeno ed elio; alla temperatura di po- chi kelvin del suo interno, gli elementi più pesanti erano condensati in gran par- te in granuli di polvere: particelle di car- bonio simili alla fuliggine, silicati, cri- stalli d'acqua e ammoniaca. A causa del- la loro scarsa energia termica, le particel- le di gas e polvere non offrivano resi- stenza alla gravitazione, che tendeva ad addensare sempre più la materia. Quanto più il collasso progrediva tanto più cre- sceva la densità, e tanto più l'energia gravitazionale si convertiva in calore. In- fine, dopo alcune decine di migliaia di anni, il processo era progredito a tal pun- to che nella regione centrale della nube densità e temperatura avevano raggiunto valori critici, in corrispondenza dei quali i nuclei di idrogeno cominciarono a fon- dersi in elio, e il bagliore della fusione annunciò la nascita di una nuova stella. Questo evento si ripete ancor oggi in molti punti della nostra galassia. Esso non è tuttavia osservabile direttamente in quanto le dense nubi di polvere ci impe- discono la visione delle protostelle. Solo le moderne tecniche di osservazione per- mettono agli astronomi di farsi un'idea di ciò che accade poco dopo la nascita delle stelle. Si conoscono così oggetti giovani che già risplendono, ma che so- no ancora avvolti da un involucro di pol- vere circumstellare ed espellono podero- si getti di materia nello spazio cosmico. Alla fme della loro evoluzione, inol- tre, le stelle si liberano di una parte della loro massa. Questo gas è arricchito da elementi pesanti, prodotti per fusione nu- cleare o sintetizzati nel corso di prece- denti esplosioni di supernova ed entrati a far parte della materia che formò queste stelle; in seguito gli elementi pesanti si aggregano parzialmente in polvere, e ri- mangono perciò a disposizione per una nuova generazione di stelle. La polvere svolge così un ruolo importante nel ciclo materiale della Via Lattea e nell'evolu- 28 LE SCIENZE n. 336, agosto 1996

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AI termine della loro evoluzione, le stelle espellonol'involucro esterno e proiettano gas e polvere nellospazio. Il Sole, come altre stelle di massa paragonabi-le, formerà una nebulosa planetaria, nella quale verràallontanata in modo relativamente tranquillo una fra-zione considerevole della sua massa (in alto; la foto-grafia mostra la nebulosa NGC 6543, nota anche co-me Nebulosa del Polo nord dell'eclittica o NebulosaOcchio di gatto). Le stelle di massa più grande esplo-dono invece con violenza, proiettando nello spazio inuna frazione di secondo oltre metà della loro massa: èciò che accadde alla supernova 1987A, che divenne vi-sibile nel febbraio 1987 nella Piccola Nube di Magella-no; sette anni dopo essa appariva circondata da un si-stema di tre anelli chiari (al centro). Nei sistemi binaristretti formati da una gigante rossa e da una compa-gna più piccola possono avvenire ripetute esplosioni aintervalli più o meno regolari quando il gas allontana-to dalla gigante rossa in espansione ricade sulla com-pagna. Un oggetto particolarmente interessante, cheha senza dubbio subìto varie esplosioni, è Eta Carinae,forse la stella più massiccia e più luminosa dell'interaVia Lattea (in basso). Pur distando da noi più di10 000 anni luce, in un'esplosione avvenuta 150 annifa essa divenne la stella più luminosa del cielo dopo Si-rio; l'involucro di gas espulso in quell'occasione è visi-bile oggi sotto forma di una nebulosa di gas e polve-re, la cosiddetta Nebulosa Homunculus (NGC 3372).Tutte le fotografie sono state eseguite da Hubble.

La polvere cosmicaLa Via Lattea contiene nubi di particelle chepotrebbero rivelarsi di fondamentale importanzaper comprendere l'origine delle stelle

di Ulf Borgeest

Le ultime fasi della contrazione di una nube di polve-re che sta generando una nuova stella sono partico-larmente spettacolari. La fotografia a sinistra, esegui-ta dallo Hubble Space Telescope, mostra l'oggettoprotostellare HH-30, lontano da noi 450 anni luce, ilcui disco di polvere circumstellare appare di taglio.La stella che si sta formando illumina con la sua lucela faccia superiore e quella inferiore del disco, che di-viene in tal modo visibile. Il corpo luminoso è nasco-sto dietro la spessa regione centrale del disco di polve-re. Perpendicolarmente al piano del disco, l'oggettoproietta in direzioni opposte due getti rossastri di gas,i quali sono complessivamente molto più lunghi deldiametro del sistema planetario in formazione. In unostadio successivo, dal disco di polvere e gas restan-te potrebbero formarsi i pianeti della giovane stella.

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ncora all'inizio del XX secolo lamaggior parte degli astronomicredeva che lo spazio interstella-

re fosse vuoto. Nel 1904, però, JohannesFranz Hartmann (1865-1936) dell'Osser-vatorio di Potsdam scoprì nello spettrodel sistema binario stretto Delta Orionisrighe di assorbimento che non potevanoessere di origine stellare; dovevano inve-ce essere causate da gas interposto fra laTerra e l'oggetto. Fu Edward EmersonBarnard (1857-1923) a riconoscere infi-ne che le regioni povere di stelle dellaVia Lattea non sono affatto prive di ma-teria, ma sono formate da nubi di gascontenenti una quantità relativamente al-ta di particelle di polvere, che assorbonola luce delle stelle situate al di là di esse.

Molte di queste nubi oscure interstel-lari coprono aree di cielo relativamentegrandi e hanno forme irregolari; ce nesono però anche parecchie dalla formamolto compatta e arrotondata. Bart J.Bok (1906-1983) fu il primo a ipotizza-re, nel 1942, che questi «globuli» potes-sero essere stadi preliminari della forma-zione di protostelle: avendo un internorelativamente freddo - dato che la radia-zione delle stelle vicine non può penetra-re in profondità dentro di essi - possonocontrarsi per effetto della gravitazione,avviando così la formazione stellare.

Da un tale conglomerato di gas e pol-vere ebbe origine il Sole, 4,6 miliardi di

Le piccole nubi di polvere denominateglobuli di Bok consistono principal-mente di gas molecolare; esse conten-gono tuttavia una tale quantità di pol-vere da coprire la luce delle stelle che sitrovano dietro di esse. Dal momentoche le particelle al centro dei globulisono dotate di un'energia termica al-quanto modesta, queste nubi possonocontrarsi per effetto della loro stessaattrazione gravitazionale, trasforman-dosi in regioni di formazione di stelle.

anni fa. A una distanza di oltre 30 000anni luce dal centro della Via Lattea c'e-ra una nube formata principalmente daidrogeno ed elio; alla temperatura di po-chi kelvin del suo interno, gli elementipiù pesanti erano condensati in gran par-te in granuli di polvere: particelle di car-bonio simili alla fuliggine, silicati, cri-stalli d'acqua e ammoniaca. A causa del-la loro scarsa energia termica, le particel-le di gas e polvere non offrivano resi-stenza alla gravitazione, che tendeva adaddensare sempre più la materia. Quantopiù il collasso progrediva tanto più cre-sceva la densità, e tanto più l'energiagravitazionale si convertiva in calore. In-fine, dopo alcune decine di migliaia di

anni, il processo era progredito a tal pun-to che nella regione centrale della nubedensità e temperatura avevano raggiuntovalori critici, in corrispondenza dei qualii nuclei di idrogeno cominciarono a fon-dersi in elio, e il bagliore della fusioneannunciò la nascita di una nuova stella.

Questo evento si ripete ancor oggi inmolti punti della nostra galassia. Essonon è tuttavia osservabile direttamente inquanto le dense nubi di polvere ci impe-discono la visione delle protostelle. Solole moderne tecniche di osservazione per-mettono agli astronomi di farsi un'ideadi ciò che accade poco dopo la nascitadelle stelle. Si conoscono così oggettigiovani che già risplendono, ma che so-

no ancora avvolti da un involucro di pol-vere circumstellare ed espellono podero-si getti di materia nello spazio cosmico.

Alla fme della loro evoluzione, inol-tre, le stelle si liberano di una parte dellaloro massa. Questo gas è arricchito daelementi pesanti, prodotti per fusione nu-cleare o sintetizzati nel corso di prece-denti esplosioni di supernova ed entrati afar parte della materia che formò questestelle; in seguito gli elementi pesanti siaggregano parzialmente in polvere, e ri-mangono perciò a disposizione per unanuova generazione di stelle. La polveresvolge così un ruolo importante nel ciclomateriale della Via Lattea e nell'evolu-

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Solo nell'infrarosso appare evidente che la regione della costellazione di Orione èpervasa da una gigantesca nube di gas e di microscopici granuli di polvere. Questafotografia, eseguita dal satellite 1RAS, mostra la medesima sezione di cielo che appa-re nella pagina a fronte e rivela la radiazione termica emessa dalle particelle di polve-re riscaldate dalla luce stellare; la temperatura della polvere aumenta dal rosso algiallo al blu. Sono riconoscibili l'anello di polvere attorno a Lambda Orionis e la stel-la Betelgeuse (Alpha Orionis), al suo margine sinistro. La Nebulosa di Orione si trovaal centro della chiazza di luce bianco-giallastra nella metà inferiore della fotografia.

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zione dei miliardi e miliardi di altre ga-lassie. Anche gli elementi da cui è for-mata la Terra hanno partecipato più voltea questo scambio ciclico fra stelle e ma-teria interstellare.

Del resto la polvere cosmica determi-na anche in modo diretto l'immagine cheabbiamo dell'universo: le nubi oscurenon ci nascondono solo molte stelle e ilcentro galattico, ma anche una parte con-siderevole delle galassie lontane e quindidell'universo primordiale. Così la mag-gior parte dei quasar, che sono fra i corpicelesti visibili più lontani e che hanno

quindi avuto origine nelle prime fasi del-l'evoluzione dell'universo, è celata dasciami di galassie ricche di polvere.

La polvere galattica

Osservata dall'esterno, la Via Latteaapparirebbe come un immenso agglome-rato di stelle, appiattito in forma di discoe con una vistosa struttura a spirale. Lapercentuale di polvere nella materia in-terstellare - formata in prevalenza da gas- è compresa fra l'uno e il due per cento.In media è presente un atomo di gas per

centimetro cubo, mentre si trova un gra-nulo di polvere del peso di forse neppureun milionesimo di grammo in un volumecubico con uno spigolo di 30 metri. Datala sua estensione sconfinata, lo spazio in-terstellare contiene tuttavia circa il 10 percento dell'intera massa della Galassia.

La materia interstellare è però osser-vabile soltanto dove si raccoglie in nubidense, dando origine a una varietà di fe-nomeni visibili. Le differenze d'aspettodi queste cosiddette nebulose dipendonoprincipalmente dalla loro origine e dallaloro densità, come pure dal modo in cui

Una fra le costellazioni più suggestivedel cielo notturno, Orione, è qui foto-grafata nel visibile. Già a occhio nudo,sotto le tre stelle della cosiddetta cintu-ra (Zeta, Epsilon e Delta Orionis), è ri-conoscibile come macchiolina diffusa laNebulosa di Orione (M 42). Nelle foto-grafie a lunga esposizione, come questaeseguita a Waldenburg da EckhardSlawik, si distinguono come strutturerossastre altre nubi di gas e di polvere;la parte sudorientale della costellazioneè percorsa da un arco semicircolare dipolvere (noto come anello di Barnarddal nome del suo scopritore, EdwardEmerson Barnard); è probabilmenteparte di una bolla di materia che fuespulsa nello spazio cosmico al momen-to della formazione di un gruppo distelle in prossimità della Nebulosa diOrione. Un altro anello di gas e polve-re circonda la stella Lambda Orionis.Nell'illustrazione a pagina 32 è mostra-ta la zona intorno a Zeta Orionis, conle nebulose NGC 2024 e NGC 2023 (ri-conoscibili anche in questa fotografia).

la materia in esse contenuta emette luce,viene illuminata da altre sorgenti di ra-diazione o nasconde queste ultime.

Guardando verso la costellazione diOrione si può osservare un complesso dinubi particolarmente imponente. Esso siestende su un'area di cielo pari a circa30 per 20 gradi (corrispondenti pressap-poco a 3000 volte la superficie della Lu-na piena) e dista da noi all'incirca 1500anni luce. Le stelle più luminose diOrione, quelle che danno alla costella-zione la sua forma ben nota, si trovanodavanti alla nube; la luce delle stelle piùlontane viene diffusa o assorbita dallapolvere e non è percepibile a occhio nu-do. Attraverso l'esame di questa regionedel cielo si possono spiegare molte pro-prietà importanti della polvere galattica.

Una struttura appariscente, in prossi-mità della stella Zeta Orionis, è la Nebu-losa Testa di cavallo, una densa nubeoscura visibile solo grazie al fatto che sistaglia sullo sfondo luminoso di una ne-bulosa di emissione, la quale risplendeperché eccitata dall'intensa radiazioneultravioletta di una stella caldissima. Lanebulosa, che ha effettivamente una so-miglianza sbalorditiva con il profilo diuna testa di cavallo, è in realtà solo unapiccola parte di una nube di polveremolto estesa, la cui presenza si rivela inun primo tempo all'osservatore solo in-direttamente, a causa della densità moltoinferiore delle stelle in essa visibili. Talefenomeno dipende ovviamente dal fat-to che sono accessibili all'osservazionequasi solo le stelle in primo piano, men-tre quelle che si trovano nella nube odietro di essa risultano occultate.

Singole regioni della nube oscura so-no tuttavia riconoscibili direttamentegrazie al fatto che molte stelle si trovanodavanti a esse a una distanza così picco-la da investirle con la loro radiazione.Le particelle di polvere diffondono la lu-ce in tutte le direzioni; gli spettri di que-ste nebulose assomigliano perciò a quel-li delle stelle che le illuminano, ma han-no una maggiore componente blu poichéle particelle di polvere diffondono la lu-ce blu molto più di quella rossa; al con-trario, le nebulose di emissione, nellequali la radiazione proviene dal gas stes-so, presentano un colore prevalentemen-te rosso, e il loro spettro contiene solosingole righe di emissione.

Dalla colorazione osservata delle ne-bulose di emissione, gli astronomi pos-sono trarre conclusioni sulla grandezzatipica delle particelle di polvere contenu-te nelle nubi perché la diffusione è parti-colarmente efficiente quando il diametrodelle particelle è confrontabile con lalunghezza d'onda della luce. I granuli dipolvere devono perciò avere un diametrodi pochi decimi di micrometro.

Anche la luce delle stelle che pervienedirettamente all'osservatore è «colorata»

dalla diffusione: quanto più denso è lostrato di polvere interstellare che essa de-ve attraversare, tanto più le parti blu del-lo spettro vengono diffuse lontano dallalinea di vista: le stelle ci appaiono perciòarrossate, come la luce del Sole al tra-

monto che deve attraversare uno stratod'aria più spesso. La radiazione infraros-sa di lunghezza d'onda attorno a un mi-crometro riesce ad attraversare meglio lapolvere, venendo meno diffusa rispettoalla luce visibile di breve lunghezza

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La zona circostante Zeta Orionis come appare nel visibile. Mentre la stella, molto lu-minosa, ha sovraesposto l'emulsione fotografica, nelle nubi di gas e di polvere sonoriconoscibili strutture fini. Un particolare molto vistoso è la Nebulosa Testa di caval-lo (Barnard 33), che si staglia, come una protuberanza compatta di una nube oscuragigantesca (a sinistra nella fotografia), sullo sfondo di una nebulosa di emissione mol-to rarefatta che irradia una luce rossastra (IC 434); il colore di quest'ultima è dovutoall'idrogeno ionizzato, eccitato dall'intensa radiazione ultravioletta di una stella gio-vane. Le nebulose azzurre, come NGC 2023 (a sinistra sopra la Nebulosa Testa di ca-vallo), sono semplicemente parti della nube di polvere che diffondono la luce di stel-le non abbastanza calde per ionizzare le nubi di gas. A sinistra di Zeta Orionis sitrova la nebulosa di emissione NGC 2024, pervasa da dense nubi oscure, che è ec-citata fino a diventare luminosa da una stella situata dietro le masse di polvere.

La regione centrale della nebulosa di emissione NGC 2024,ripresa a una lunghezza d'onda del visibile (a sinistra) e invarie lunghezze d'onda dell'infrarosso (a destra). Si osserva

chiaramente che molte stelle giovani e caldissime, la cui lu-ce visibile viene assorbita, risultano ben visibili anche attra-verso la polvere, data la loro intensa radiazione infrarossa.

d'onda. Le stelle che rendono brillante lanebulosa di emissione NGC 2024, for-matesi solo poco tempo fa dal gas dellanube, si trovano ancora all'inizio dellaloro evoluzione. Se fossero più vecchieavrebbero spazzato via già da molto tem-po con il loro «vento stellare» la nubeche le circonda: un evento che è stato ri-levato recentemente, grazie allo HubbleSpace Telescope, in un'altra zona in cuistanno nascendo stelle, la nebulosa diemissione M 16.

L'origine delle stellee dei sistemi planetari

Nel gas e nella polvere delle nubioscure è perciò in corso un processo cheper molto tempo è stato invisibile agliastronomi: la formazione di nuove stel-le. Solo le tecniche moderne - fra cui inparticolare quelle dell'astronomia infra-rossa - permettono, grazie a potenti rive-latori applicati a grandi telescopi o por-tati nello spazio da satelliti, di guardarepiù in profondità in queste dense massedi polvere, e contribuiscono a svelare imeccanismi dell'origine delle stelle.

Una delle zone di formazione stellarepiù vicine a noi è la Nebulosa di Orione.C. Robert O'Dell della Rice Universitydi Houston (Texas) e Mark McCaugh-rean, del Max-Planck-Institut ftir Astro-nomie di Heidelberg hanno indagatoquesta regione nel visibile e nell'infra-rosso. Le loro immagini, di risoluzionesenza precedenti, forniscono nuoveinformazioni sulla nascita dei sistemiplanetari. Innanzitutto nell'infrarosso sivedono molte più stelle che nel visibile,dato che in gran parte esse sono moltogiovani e ancora racchiuse nelle nubi dipolvere da cui hanno avuto origine. Ètuttavia sensazionale l'osservazione chemetà circa delle stelle che si trovano da-vanti alla nebulosa brillante sono circon-date da dischi oscuri; le masse stimatefanno supporre che questi dischi sianoprecursori di sistemi planetari.

In altre zone della Nebulosa di Orionesono riconoscibili getti di gas luminoso,un fenomeno direttamente connesso conla prima fase di formazione della stella edel disco di polvere. È presumibile chegetti molto compatti possano avere ori-gine solo in un forte campo magnetico,intensificatosi durante il collasso gravi-tazionale della nube di polvere. I getti dimateria contrapposti giacciono lungol'asse di rotazione di un vortice di gas epolvere che circonda la giovane stella; leparti restanti del vortice formeranno inseguito i dischi protoplanetari.

I primi getti di questo genere furonoscoperti negli anni cinquanta, indipen-dentemente, dall'astronomo americanoGeorge Herbig e dal suo collega messi-cano Guillermo Haro. Negli oggetti diquesto tipo presenti nella Nebulosa di

Orione le protostelle sono ancora nasco-ste da dense nubi di gas e di polvere,mentre nell'oggetto di Herbig-Haro HH30, nella costellazione del Toro - che di-sta da noi solo 450 anni luce - nulla im-pedisce la vista del vortice in forma didisco, che appare quasi esattamente ditaglio (si veda l'illustrazione in alto apagina 28). Si delinea il probabile pre-cursore di un sistema planetario, mentre

la stella giovane nascosta eccita con lasua radiazione gli strati esterni del disco,che cominciano a risplendere.

Più polvere del previsto

La nascita e la morte delle stelle svol-gono un ruolo importante nel ciclo ma-teriale delle galassie, ma per capire nelsuo insieme l'evoluzione di questi im-

mensi sistemi stellari se ne deve cono-scere il contenuto di polvere, dato rica-vabile solo da misurazioni dirette.

La polvere interstellare che assorbe laluce delle stelle vicine si riscalda fino araggiungere temperature di alcune deci-ne di kelvin. L'energia assorbita vieneriemessa sotto forma di radiazione ter-mica che ha il suo massimo nell'infra-rosso lontano. Questa regione dello spet-

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La Nebulosa Aquila (M 16), distante7000 anni luce, appare grande circaquanto la Luna piena e racchiude unammasso di stelle giovani (qui a fianco).Nella parte centrale contiene una regio-ne formata da nubi di polvere che lehanno dato il nome; essa ricorda infattile ali di un'aquila che sta per alzarsi involo (in basso). Le strutture oscure diforma allungata, dette «proboscidi dielefante», sono state a lungo considerateregioni che avrebbero potuto cominciarea contrarsi generando protostelle. Inrealtà sono residui di una concentrazio-ne di materia da cui sono già nate variestelle. Jeff Hester e Paul Scovven dellaArizona State University a Tempe han-no studiato recentemente, con l'aiuto diHubble, i particolari di queste dense nu-bi di polvere (nella pagina a fronte). Iframmenti di nubi si estendono in pros-simità di stelle giovani molto calde, checon la loro intensa radiazione ultravio-letta dissolvono via via i margini dellenubi. Le aree a forma di proboscide so-no le più resistenti all'erosione, il che hapermesso loro di conservarsi fino a ora.Le estremità delle proboscidi splendonocon particolare intensità poiché in essela radiazione delle stelle giovani ioniz-za fortemente il gas e lo eccita a risplen-dere nelle lunghezze d'onda del visibile.

lanciato nel novembre 1995, è il primospecificamente equipaggiato per compie-re osservazioni nell'infrarosso lontano;esso trasporta apparecchiature fotografi-che, fotometri e spettrometri per eseguireun'analisi completa di singole sorgenti,ed è in grado di indagare l'intervallo dilunghezze d'onda comprese fra 2,4 e 240micrometri. Da questo osservatorio pos-siamo attenderci progressi essenziali nel-l'astronomia infrarossa.

I dati finora ottenuti indicano che learee di formazione stellare si trovano neibracci di spirale delle galassie; neglispazi fra un braccio e l'altro non si for-mano nuove stelle. Poiché però IRASnon era in grado di rilevare polvere di

temperatura inferiore a circa 30 kelvin,rimane incerto se - proprio fra i bracci dispirale - non ci siano nubi di polvere an-cora da scoprire. Su questo problema glispecialisti discutono animatamente.

Un gruppo di ricerca internazionale -formato da David Block della Witwa-tersrand University di Johannesburg,Adolf Witt della Toledo University nel-l'Ohio, Preben Grosbol dell'EuropeanSouthem Observatory (ESO) a Garchingpresso Monaco di Baviera, Alan Stock-ton dell'Università delle Hawaii a Hono-lulu e Andrea Moneti dell'ESO a La Sil-la in Cile - ha introdotto un procedimen-to del tutto nuovo per cercare polverefredda. L'idea di base è semplice quanto

geniale: si realizzano due fotografie diuna galassia, una nel visibile e l'altra nel-l'infrarosso vicino, si fa calcolare a uncomputer, per ogni punto dell'immagine,il rapporto fra la luminosità nelle due re-gioni spettrali e si usa il risultato ottenutoper costruire una nuova immagine dellagalassia. Le aree contenenti polvere sonoimmediatamente riconoscibili: nelle zonein cui la galassia è molto più luminosanell'infrarosso che nel visibile, ossia lad-dove la polvere arrossa le stelle, la nuovaimmagine appare scura.

Con questo procedimento gli scienzia-ti non solo hanno potuto dimostrare chec'è polvere nelle zone comprese fra ibracci di spirale, ma sono anche riusciti a

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tro elettromagnetico non è però accessi-bile dalla Terra, in quanto viene assorbi-ta dall'atmosfera. Misurazioni del gene-re sono diventate possibili solo grazieall'uso di strumenti appositamente raf-freddati e schermati portati nello spazio,per esempio in orbita circumterrestre.

Il satellite IRAS (Infrared Astronomi-

cal Satellite), entrato in attività già nel1983, ha eseguito una ricognizione del-l'intero cielo alle lunghezze d'onda di12, 25, 60 e 100 micrometri. Ciò ha for-nito conoscenze essenziali sulla distribu-zione della polvere calda nella Via Lat-tea e in altre galassie. Il satellite europeoISO (Infrared Satellite Observatory),

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Una delle galassie più lontane che siano mai state osservateha tradito la propria presenza mascherando parte della ra-diazione nello spettro di un quasar (al centro della fotografiadi sinistra). Dalla fotografia nel visibile, ottenuta per mezzodi una fotocamera elettronica applicata al telescopio NTT(New Technology Telescope) di 3,5 metri dell'ESO a La Sil-la, è stato sottratto al calcolatore il profilo di luminosità del

quasar, ottenendo la fotografia a destra. Proprio sopra l'im-magine del quasar, qui eliminata, diventa 3, isibile la galassia,la cui luce ha impiegato 15 miliardi di anni per raggiungereil nostro pianeta. Quando questa luce fu emessa, l'univer-so aveva probabilmente solo un decimo della sua età attua-le; tuttavia la galassia conteneva già quantità considerevo-li di elementi pesanti e, presumibilmente, anche di polvere.

In queste immagini sono riprodotti due particolari ingrandi-ti della fotografia nella pagina a fronte. Diverse stelle giova-ni della Nebulosa di Orione sono circondate da dischi di pol-

vere appiattiti, da cui potrebbero potenzialmente sviluppar-si sistemi planetari. Anche il nostro sistema solare ha avutoorigine da un disco simile, circa 4,6 miliardi di anni or sono.

stimare il contenuto complessivo di pol-vere delle galassie. Hanno allora com-piuto l'importante scoperta che la galas-sia a spirale NGC 2997 contiene circa 10volte più polvere di quanto si ritenesse inprecedenza sulla base delle fotografieeseguite da IRAS nell'infrarosso lontano.

Da allora il gruppo di ricerca ha appli-cato questo metodo a galassie di tipi dif-ferenti; i risultati sono stati in generalecomparabili, cosa che ha suscitato gran-de animazione fra gli astronomi. Non ètuttavia ancora possibile prevedere qualiconseguenze scientifiche ne risulteranno.

Quasar rossi

Benché minoritaria rispetto a tutta lamateria dell'universo visibile, la polverecosmica ha un'importanza enorme per leosservazioni astronomiche e per le teorieche si costruiscono su di esse: se la pol-vere fosse distribuita in modo uniforme,oscurerebbe sempre più fortemente l'u-niverso al crescere della distanza e impe-direbbe del tutto l'osservazione delle ga-lassie più lontane, proprio quelle da cuisi potrebbero attingere informazioni sulleprimissime fasi dell'evoluzione del co-smo. Ma poiché la polvere è associata al-le galassie, l'effetto di oscuramento si hasolo su certe linee di vista. Quanto gran-de sia quest'effetto - e quali conseguenzeabbia per la cosmologia il fatto che gliastronomi possono basarsi esclusiva-mente sui risultati di osservazioni lungolinee di vista sgombre di polvere - si puòper ora valutare solo in modo qualitativo.

La regione centrale della Nebulosa diOrione fotografata nel visibile (in alto).L'immagine, costruita da C. Robert 0'-Dell della Rice University di Houstoncomponendo 45 foto parziali eseguite daHubble, copre una superficie pari al 5per cento circa del disco lunare; il latodella fotografia corrisponde a circa 2,5anni luce, e in essa si riconoscono detta-gli delle dimensioni di 7 miliardi di chi-lometri (paragonabili per grandezza alsistema solare). Presso il centro dell'illu-strazione si trovano le quattro compo-nenti principali, disposte a trapezio, delsistema multiplo Theta Orionis. Questestelle hanno presumibilmente un'età in-feriore a un milione di anni e, con la lorotemperatura superficiale di circa 50 000gradi, forniscono quasi per intero la ra-diazione ionizzante che fa risplendere laNebulosa di Orione. Che nella massa digas e di polvere siano nascoste molte al-tre stelle giovani è dimostrato da una fo-tografia nell'infrarosso vicino, eseguitaal telescopio di 3,5 metri di Calar Alto inSpagna, con fotocamera MAGIC, daMark McCaughrean del Max-Planck-Institut fiir Astronomie di Heidelberg.

La distribuzione delle nubi di polverenell'universo ha conseguenze considere-voli per lo studio dei quasar, i corpi cele-sti più lontani conosciuti. Questi oggettisono i luminosissimi nuclei di galassiecosiddette attive, e si ritiene che rappre-sentino una fase molto vicina all'originedi tali immensi sistemi stellari. I quasarsono perciò oggetti chiave per la cosmo-

logia. A distanze molto grandi, corri-spondenti a un'epoca in cui l'universoaveva meno di un quinto della sua età at-tuale, l'abbondanza dei quasar diminui-sce però drasticamente. Forse prima diquell'epoca non c'erano ancora galassie?

Una spiegazione alternativa di questofenomeno fu proposta più di dieci anni fada Jeremiah P. Ostriker della Princeton

University. Alcuni miliardi di anni dopoil big bang, l'universo era molto più pic-colo di quanto non sia oggi, e le galassieerano molto più fittamente ammassate.Le linee di vista verso le galassie estre-mamente lontane - e quindi verso l'uni-verso primordiale - sono tutte disturba-te da oggetti più vicini. Può darsi dun-que che la polvere delle galassie in pri-

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Con un semplice procedimento si possono evidenziare le regio-ni ricche di polvere in altre galassie. Le tre fotografie qui ri-prodotte mostrano la galassia a spirale NGC 2997, nella co-stellazione australe della Macchina pneumatica. La fotografianel visibile (qui sopra), a una lunghezza d'onda di 500 nano-metri, è stata eseguita col telescopio di 3,6 metri dell'ESO a LaSilla in Cile; nella stampa in negativo risaltano particolarmen-te le strutture a filigrana. La fotografia a destra in alto, realiz-zata nell'infrarosso al telescopio di 2,2 metri dello stesso osser-vatorio, rappresenta la galassia a una lunghezza d'onda di 2,1

micrometri; qui l'osservazione non è ostacolata dalla polvere esi può riconoscere la struttura della galassia, la quale è piùsemplice che nel visibile (la polvere diffonde o assorbe la lucelocalmente, dando l'impressione ingannevole di una strutturapiù complessa). La terza fotografia (in basso a destra) è statarealizzata al computer a partire dalle due precedenti e forni-sce per ogni pixel il relativo rapporto di luminosità. Qui sipuò riconoscere che la polvere è distribuita in modo quasi re-golare nell'intera galassia; in particolare, fra i bracci di spira-le è presente polvere fredda, in precedenza non riconosciuta.

mo piano nasconda i quasar più remoti.All'idea di Ostriker si opponeva fino-

ra solo la tesi che la quantità di polverecontenuta nelle galassie, ritenuta da tuttimodesta, non sembrava in grado di svol-gere una tale azione di filtro. Questa si-tuazione è però mutata con le osserva-zioni di NGC 2997 e di altre galassie.

La congettura di Ostriker si conciliainoltre con una scoperta compiuta da ungruppo di astronomi 'australiani direttoda Rachel Webster dell'Università diMelbourne. I ricercatori hanno analizza-to la luminosità ottica e il colore di uncampione di quasar individuato con ilradiotelescopio di Parkes, nel NuovoGalles del Sud. Metà degli oggetti diquesto campione irradia una luce sor-prendentemente rossa, anche se i quasarin generale sono noti per emettere radia-zione soprattutto nel blu. In particolare,appaiono arrossati i quasar meno lumi-

nosi, ossia quelli che non erano stati inprecedenza studiati in modo sufficiente-mente approfondito. Ovviamente quasarsituati dietro galassie ricche di polverepresenterebbero lo stesso aspetto.

Finora non è certo se sia questa la veracausa dell'arrossamento della luce deiquasar: potrebbe trattarsi anche di un'a-nomalia presente nelle sorgenti stesse.Del resto rimarrebbe ancora da chiarirese la polvere - ammesso che essa sia lacausa di questo effetto - si trova in galas-sie in primo piano o nella galassia madredel quasar. Il modello di Ostriker ha bi-sogno di ulteriore sostegno empirico.

Il riconoscimento che le galassie stu-diate da Block e colleghi contengono ab-bastanza polvere per poter arrossare for-temente i quasar situati al di là di essenon è sufficiente come conferma, poichéqueste galassie sono relativamente vicinee quindi evolute. Nell'universo primor-

diale la quantità di polvere poteva essereben minore. Il metodo di Block, inoltre,non è applicabile a galassie lontane pa-recchi miliardi di anni luce, le quali ap-paiono appena visibili come macchiolinediffuse di debole luminosità.

Le righe di assorbimento dei quasar

Esiste d'altra parte una classe di qua-sar la cui radiazione giunge fino a noidopo aver certamente attraversato galas-sie a spirale. Nello spettro di tali sorgen-ti una certa riga di assorbimento, deno-minata riga Lyman-alfa dell'idrogeno, èparticolarmente larga e attenuata: ciò di-pende dal fatto che una galassia in primopiano assorbe la luce del quasar in un de-terminato intervallo di lunghezze d'onda.Dall'intensità della riga si può ricavare ilcontenuto di gas della galassia. Partico-larmente importante è il fatto che lo spet-

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O

430 440 450 460

470 480 490 500

510 520 530 540 550

LUNGHEZZA D'ONDA (NANOMETRI)

Lo spettro ottico del quasar Q1213 + 094 mostra diverse righedi assorbimento, tutte spostate verso il rosso. La riga ampia eattenuata alla lunghezza d'onda di 428 nanometri è prodottadall'idrogeno di una galassia a spirale che si trova per casoesattamente davanti al quasar. Ancora più fortemente sposta-

ta verso il rosso è la radiazione del quasar stesso; a 452 nano-metri è visibile la riga di emissione corrispondente alla stes-sa transizione atomica della riga di assorbimento attenuata.Le altre sottili righe di assorbimento di elementi più pesantipermettono di stimare il contenuto di polvere della galassia.

tro del quasar mostra righe di assorbi-mento molto più sottili di elementi pe-santi che sono presenti nel gas della ga-lassia; in tal modo si può misurare diret-tamente l'arricchimento in questi ele-menti e stimare il contenuto di polveredelle galassie.

I valori così ottenuti per diverse ga-lassie lontane variano considerevolmen-te fra loro, ma è degno di nota il fattoche il grado di arricchimento in elementipesanti è in media solo dieci volte infe-riore rispetto a quello delle galassie vici-ne. Si osservano dunque chiaramente di-verse tappe dell'evoluzione chimica diquesti sistemi stellari. Poiché il campio-ne studiato contiene solo galassie che sitrovano casualmente davanti a quasar ele relative linee di vista si possono con-siderare rappresentative dell'universonel suo insieme, pare che in questa con-clusione statistica si possa escludere unerrore; così in ogni caso pensava finorala maggior parte dei cosmologi.

È probabile, però, che vi sia ugual-mente un effetto preferenziale, legato alfatto che i quasar nei cui spettri si cerca-vano tracce della sovrapposizione di ga-lassie lontane erano otticamente accessi-bili. Contrariamente al lavoro di RachelWebster e colleghi, che avevano tratto illoro campione di quasar da una rassegnaradio completa del cielo, le ricerchespettrali si fondavano su sorgenti cheerano state individuate con telescopi ot-tici. La differenza fondamentale fra idue tipi di osservazione risiede nel fattoche la polvere non assorbe radiazionenelle frequenze radio. Di conseguenzaun campione di quasar scoperti nelle on-de radio fornirà linee di vista che sonorappresentative dell'universo nel suo in-sieme per quanto riguarda la quantità dipolvere presente, mentre un campione

scelto nel visibile presenterà un numeromolto superiore alla media di linee di vi-sta sgombre da polvere.

Un esempio può chiarire l'importanzadi questo effetto preferenziale. Suppo-niamo che metà delle linee di vista versoquasar lontani attraversi esattamente unagalassia, la quale arrossa così fortementeil quasar situato dietro di essa da ridurnela luminosità nel visibile a metà di quellache si avrebbe se non vi fosse sovrappo-sizione. Poniamo che l'altra metà dellelinee di vista sia invece sgombra da pol-vere: in un campione radioastronomicodi quasar, un oggetto su due risulterebbearrossato nel visibile, in conformità con irisultati dei ricercatori australiani.

Per quanto riguarda il campione deiquasar scoperti con telescopi ottici, sup-poniamo per semplicità che essi appaia-no tutti all'osservatore con la stessa lu-minosità apparente. Le sorgenti arrossa-te dovrebbero quindi emettere una quan-tità doppia di luce. Ma il numero osser-vato di quasar dipende fortemente dallaloro luminosità intrinseca: al raddoppia-re della luminosità i quasar diventanodieci volte più rari. Ne segue che solo

una linea di vista su venti del campioneottico dovrebbe corrispondere a un qua-sar arrossato. L'universo apparirebbequindi in media troppo povero di polve-re di un fattore dieci. (L'esempio è scel-to in modo tale da ottenere il risultatofornito dalle osservazioni.)

Le ricerche spettrali si possono quindiinterpretare nel senso che già pochi mi-liardi di anni dopo il big bang le galassiecontenevano una quantità di polvere pa-ragonabile all'attuale; tuttavia gli astro-nomi, dati gli effetti legati alla scelta delcampione, hanno analizzato soprattutto,negli spettri dei quasar, le tracce di ga-lassie relativamente povere di polvere.

Come evitare questo effetto di distor-sione? Esaminando spettroscopicamentecampioni di quasar individuati nelle on-de radio. Fra questi ci saranno anchesorgenti deboli nel visibile, fotografabilisolo con esposizioni di ore e ore.

In questo modo si chiarirà pure se legalassie in primo piano siano responsabi-li dell'arrossamento di alcuni quasar. Va-le la pena di investire in queste ricerche:solo così si potrà capire quantitativamen-te l'evoluzione chimica dell'universo.

ULF BORGEEST lavora presso l'Osservatorio astronomico di Amburgo. Dopoavere studiato fisica nella locale università, si è laureato nel 1985 in astronomia. Sioccupa di divulgazione nel settore dell'astrofisica.

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