LA PAROLA AI GIURATI - iteatri.re.it · che portò al film di Sidney Lumet (1957) e a una...

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Disegno di Goethe per il Faust

Ragionevole dubbio(...) “E’ molto difficile tenere fuori i pregiudizi personali da una cosa come questa. E appena spuntano fuori, i pregiudizi oscurano la veri-tà. Comunque non penso che sia successo niente di eccessivamente grave. Perchè in realtà non so qua-le sia la verità. E credo che non lo saprà mai nessuno. Adesso nove di noi sembrano avere la sensazione che l’accusato sia innocente, ma ci basiamo solo sulle probabilità. Può darsi che ci sbagliamo. Può darsi che stiamo cercando di far rientrare nella società una persona colpevo-le. Nessuno può saperlo per certo. Ma abbiamo un ragionevole dub-bio, e questa è una salvaguardia che nel nostro sistema ha un’enor-me importanza”. (...)da La parola ai giurati

Il valore del dubbiodi Sandro Veronesi*

C’è sempre qualcuno che ha un dubbio. Sempre. C’è stato anche tra i negrieri che catturavano gli schiavi in Africa, o tra i nazisti che praticavano l’olocausto, o tra i torturatori di Videla e di Pinochet: c’è sempre. Nel fondo nero dell’abiezione collettiva, laggiù dove la luce della ragione e del diritto non filtrano più, quel qualcuno, col suo dubbio, è come un seme: dategli tempo, e germoglierà.Quel germoglio altro non è che

coscienza, con la sua capacità di rigenerarsi anche dove è scomparsa da tempo, e la violenza sembra diventata un puro meccanismo impersonale. Perché la coscienza è un virus tanto quanto l’abiezione, e il suo principio attivo è per l’appunto il dubbio. Sarebbe bello scriverla, la storia dei dubbi - di tutti i dubbi che hanno riacceso la coscienza quando sembrava spenta - sarebbe bello leggerla. Ma per capirne la forza straordinaria basta anche la storia di uno solo di essi, la storia di un singolo dubbio che inceppa il meccanismo della violenza e restituisce all’uomo la propria umanità. E di queste storie, grazie a Dio, ne sono state scritte parecchie. Questa è una delle più belle.

* Vincitore del Premio Strega 2006 con “Caos calmo”, Sandro Veronesi nel 1992 ha scritto “Occhio per occhio”, un libro-inchiesta sulla pena di morte, frutto della sua collaborazione con Amnesty International

Note di regiadi Alessandro Gassman

L’interesse per il lavoro di regia è stato per me un naturale approdo, dopo più di venti anni di teatro mili-tante in qualità di attore. Man mano che le mie sicurezze interpretative andavano consolidandosi, sentivo emergere e gradualmente raffor-

zarsi il desiderio di realizzare un progetto interamente mio.Ero dunque pronto ad affrontare un percorso all’interno di motivazioni più profonde e personali che avreb-bero potuto toccare il cuore e i sen-timenti del pubblico; quel pubblico che fino ad oggi mi ha seguito e mi ha regalato teatri esauriti e il calore del suo affetto.Dopo due stagioni di successi con la mia prima regia, con la quale ho affrontato un autore e un testo estremamente complessi quali sono Bernhard e la sua “Forza del-l’abitudine”, ho inteso proseguire la mia ricerca affrontando un testo socialmente coinvolgente e profon-damente ideologico, nonostante il suo impianto realistico, come è La parola ai giurati di Reginald Rose.Così come Bernhard mi aveva ispi-rato uno spettacolo ricco di aper-ture oniriche di grottesca comicità, Rose mi permette invece di entrare nelle varie e sfaccettate tipologie umane e caratteriali, colte in una situazione claustrofobica nella qua-le emergono gli aspetti comporta-mentali più contaddittori.L’impianto drammaturgico si basa sullo svolgimento di un dramma giudiziario. Ciò che mi ha ispira-to fin dalla prima lettura è stata la possibilità di portare alla luce i pregiudizi e le false certezze che caratterizzano il comportamento dei giurati e che affiorano nel mo-mento in cui devono assolvere il compito più difficile per un uomo:

Mercoledì 15 e giovedì 16 aprile 2009 ore 21Teatro Ariosto

LA PAROLA AI GIURATI(Dodici uomini arrabbiati)

di Reginald Rose

regia Alessandro Gassman

con Alessandro Gassman, Manrico Gammarota, Sergio Meogrossi, Giancarlo Ratti, Fabio Bussotti, Paolo Fosso, Nanni Candelari, Emanuele Salce, Massimo Lello, Emanuele Maria Basso, Giacomo Rosselli, Giulio Federico Janni

traduzione di Giovanni Lombardo Radice

scene Gianluca Amodio

costumi Helga H. Williams

musiche Pivio & Aldo De Scalzi

light designer Marco Palmieri

sound designer Hubert Westkemper

Teatro Stabile d’Abruzzo in coproduzione con Società per Attori

quello di decidere della vita di un altro uomo. La vicenda è incentrata su due capisaldi del sistema giuridi-co anglosassone: la presunzione di innocenza e la dimostrabilità della sua colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio. In un’epoca in cui il mondo è afflitto da ideologie contrastanti che si nu-trono di assolutismo e che spesso scadono a pregiudizi, il “ragionevo-le dubbio” è una preziosa arma di difesa.

Note al testo e alla traduzionedi Giovanni Lombardo Radice

Scritta nel 1954 come dramma televisivo e frutto di una reale espe-rienza dell’autore come membro di una giuria, La parola ai giurati ebbe subito uno straordinario successo che portò al film di Sidney Lumet (1957) e a una successiva codifica-zione strettamente teatrale da parte dello stesso Rose (1964). Il filone delle trial plays (alla lettera “commedie processuali”) era, ed è, nei paesi anglosassoni, ricco e prolifico e la televisione, dalle cele-bri serie di Perry Mason in poi, non ha fatto che amplificare e rendere ancor più popolare un “genere” che palcoscenico e schermo avevano da tempo individuato come vincen-te, spesso in straordinarie sinergie (dallo spettacolo al film), come nello strepitoso Testimone d’accusa, che fu uno dei capolavori di Hitchcock.Ma Reginald Rose, con La parola ai giurati, crea, ribaltando la prospetti-va, qualcosa di ancor più profonda-mente avvincente del caso giudizia-rio che il pubblico segue attraverso gli emozionanti colpi di fioretto fra accusa e difesa sotto le volte dell’aula di tribunale. Qui siamo nell’aula della giuria e il processo è già avvenuto. In ballo ci sono non solo il caso in sé, le possibili diverse letture delle prove e delle testimo-nianze, l’assoluzione o la condan-na, ma la vita, i caratteri, le tragedie e le banalità dei dodici uomini che a quel caso devono mettere la parola fine con una sentenza.Siamo, è bene ricordarlo, in un’America in preda ai furori post-fascisti del senatore McCarthy. Un’America scossa da profondissi-mi conflitti sociali, razziali e politici. L’America dove, solo un anno pri-ma che Rose scrivesse il suo capo-lavoro, i coniugi Rosenberg erano stati mandati alla sedia elettrica dopo un processo che fece epoca e divise gli animi di tutto il mondo occidentale. Quella sedia elettrica in sé, il fatto che la società possa togliere la vita ad un essere umano, il “delitto di Stato”, è un tema an-cora oggi atrocemente attuale ma, a cinquanta e più anni dal testo di Rose, il partito, sempre più forte,

dei contrari, ha voce e forza in tutto il mondo, Stati Uniti compresi. Nel 1954 invece, Reginald Rose non può (e men che meno dall’interno del meccanismo televisivo della già potente CBS) mettere in discus-sione la pena di morte in sé. Ma lo fa, e potentemente, focalizzando l’attenzione del pubblico su quan-to sia fragile e ingiusto un sistema giudiziario che mette in mano a degli esseri umani, con tutte le loro debolezze e passioni, la vita di un loro simile.Per colpire il bersaglio, la scrittura di Rose, avvincente e precisa nel montare l’aspetto “thriller” del te-sto, si fa duttile e modernissima nel dipingere e differenziare i caratteri dei personaggi che hanno storie, età anagrafiche e provenienze sociali diverse e che nascondono ognuno, dietro la maschera del giu-rato, il proprio bagaglio di piccole e grandi sofferenze, frustrazioni, sconfitte. Tali differenze di persona-lità e di ceto ho cercato di rendere, in totale sintonia e collaborazione con Alessandro, non solo con diffe-renti strutture sintattiche e lessicali, come nel testo originale, ma con alcune caratterizzazioni più decise (l’italo-americano, l’emigrato del-l’Est), che il testo di Rose peraltro decisamente suggerisce con gli strumenti propri dell’inglese e che in italiano, ahimé, non si possono mai rendere bene senza passare ai dialetti regionali che qui, ovviamen-te, sarebbero stati assurdi.

Voci, accenti, flussi linguistici diversi che anche nell’Italia di oggi, lacera-tamente multi-etnica, sentiamo quotidianamente e che riportano questo classico teatrale moderno all’attualissimo e tragico scontro tra pregiudizio e comprensione, tra stolide certezze e ragionevoli dubbi.

La pena di morte nel mondodi Paolo Pobbiati (Presidente Amnesty International Italia)

Negli ultimi trent’anni il cammino abolizionista ha visto crescere at-torno a sé un consenso sempre più forte. Se nel 1977 i paesi abolizionisti erano appena 16, oggi questo nume-ro ha superato di gran lunga quello dei mantenitori: sono 133 i paesi che hanno abolito la pena di morte, per legge o nella pratica, nel mondo.Amnesty International (A.I.) si oppo-ne incondizionatamente alla pena capitale, ritenendola una punizione crudele, inumana e degradante che viola il diritto alla vita. La pena di morte è priva di effetto deterrente ed è sinonimo di violenza, non una soluzione ad essa. A.I. lavora per la sua abolizione da oltre 40 anni attraverso una campagna perma-nente che si articola in diverse at-tività focalizzate sia su alcuni paesi, in particolare sui responsabili della maggior parte delle esecuzioni al mondo (Cina, Iran, Iraq, Pakistan,

Sudan e USA) sia su temi specifici, come l’applicazione della pena di morte su persone affette da malat-tia mentale.Da tre anni è in corso una campa-gna per porre fine all’applicazione della pena di morte nei confronti di imputati minorenni, persone che hanno commesso un reato quando avevano meno di 18 anni. Mettere a morte minorenni è vietato sia dal Patto Internazionale sui diritti civili e politici che dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia. Nel 2005, la Corte suprema degli USA ha mes-so al bando tale pratica, tuttavia esecuzioni di imputati minorenni continuano in paesi come l’Arabia Saudita, lo Yemen e l’Iran. Que-st’ultimo paese guida la classifica delle esecuzioni di minori. Dal 1990 ad oggi, sono 24 i minorenni messi a morte dalle autorità iraniane. L’ul-tima esecuzione è del 27 maggio scorso, Sa’id Qanbar Zahi è stato impiccato nella prigione di Zahedan, aveva solo 17 anni.Nel mese di ottobre, A.I. ha pub-blicato un rapporto che esamina il metodo dell’iniezione letale, la via umana alla pena di morte, così come viene chiamato dai suoi so-stenitori. Negli USA diverse esecu-zioni sono state fermate proprio a causa dei forti dubbi sul metodo e una decisione della Corte suprema USA a riguardo è attesa nel 2008. Nel mese di dicembre 2006 Angel Diaz è stato messo a morte in Florida. Ci sono volute due dosi di

sostanze letali, Diaz è morto dopo 34 minuti di atroci sofferenze. Uno dei farmaci usati per uccidere Diaz è stato vietato dall’ordine dei vete-rinari in Texas. Il farmaco non era efficace, rendeva l’eutanasia per gli animali una pratica troppo crudele e dolorosa. Nel mondo, la pena capitale è applicata anche per reati minori che non causano la morte di altre persone. In Cina, Yuan Yanjie, una ragazza di 23 anni, è stata condannata a morte con l’accusa di aver traspor-tato circa 500 grammi di eroina dal Myanmar. In paesi come la Cina e il Vietnam anche la corruzione e la frode sono puniti con la morte. Zheng Xiaoyu, ex direttore dell’Am-ministrazione statale per il cibo e i medicinali cinese, è stato messo a morte lo scorso 10 luglio dopo che era stato accusato di corruzione. Sono storie molto diverse che han-no un unico denominatore comu-ne: la pena di morte è una pratica crudele e disumana, può condurre alla morte anche innocenti, spesso a seguito di procedimenti iniqui che violano gli standard internazionali sul giusto processo. In Europa ormai è sentimento co-mune che la pena capitale vada abolita, già nel 1994 il Consiglio d’Europa stabilì che, per i paesi in cui ancora vige la pena di morte, condizione necessaria per divenire Stato membro sia l’istituzione di una moratoria sulle esecuzioni che preceda una futura abolizione, cosa Bohr

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che è accaduta, ad esempio, per la Federazione russa. Dei paesi euro-pei, l’Italia ha sempre dimostrato una particolare sensibilità sulla que-stione della pena di morte. A.I. ha accolto con favore la re-cente modifi ca all’articolo 27 della Costituzione che elimina del tutto la possibilità di reintrodurre la pena di morte mediante legge ordinaria, ora A.I. chiede al governo italiano di completare il percorso abolizioni-sta con la ratifi ca del Protocollo 13 alla Convenzione europea sui diritti umani che richiede l’abolizione della pena di morte in ogni circostanza. Il “ragionevole dubbio” sull’op-portunità di mettere a morte una persona, che è al centro di questo spettacolo, è una delle ragioni forti dell’abolizionismo.La parola ai giurati è un importante contributo al cambio della doman-da fondamentale di questi tempi: non “se”, ma “quando” la pena di morte verrà cancellata. La risposta è: “presto”. Ma “quanto presto” dipende da tutti noi.

Della pena di mortedi Cesare Beccaria (dal cap. 28 di Dei delitti e delle pene, 1764)

(...) La morte di un cittadino non può credersi necessaria che per due motivi. Il primo, quando anche privo di libertà egli abbia ancora tali relazioni e tal potenza che interessi la sicurezza della nazione; quando la sua esistenza possa produrre una rivoluzione pericolosa nella forma di governo stabilita. La morte di qualche cittadino divien dunque necessaria quando la nazione ricupera o perde la sua libertà, o nel tempo dell’anarchia, quando i disordini stessi tengon luogo di leggi; ma durante il tranquillo regno

delle leggi, in una forma di gover-no per la quale i voti della nazione siano riuniti, ben munita al di fuori e al di dentro dalla forza e dalla opi-nione, forse piú effi cace della forza medesima, dove il comando non è che presso il vero sovrano, dove le ricchezze comprano piaceri e non autorità, io non veggo necessità alcuna di distruggere un cittadi-no, se non quando la di lui morte fosse il vero ed unico freno per distogliere gli altri dal commettere delitti, secondo motivo per cui può credersi giusta e necessaria la pena di morte.(...)Non è utile la pena di morte per l’esempio di atrocità che dà agli uomini. Se le passioni o la neces-sità della guerra hanno insegnato a spargere il sangue umano, le leggi moderatrici della condotta degli uomini non dovrebbono au-

mentare il fi ero esempio, tanto piú funesto quanto la morte legale è data con istudio e con formalità. Parmi un assurdo che le leggi, che sono l’espressione della pubblica volontà, che detestano e punisco-no l’omicidio, ne commettono uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall’assassinio, ordinino un pubblico assassinio.(...)Se mi si opponesse l’esempio di quasi tutt’i secoli e di quasi tutte le nazioni, che hanno data pena di morte ad alcuni delitti, io rispon-derò che egli si annienta in faccia alla verità, contro della quale non vi ha prescrizione; che la storia degli uomini ci dà l’idea di un immenso pelago di errori, fra i quali poche e confuse, e a grandi intervalli distan-ti, verità soprannuotano. Gli umani sacrifi ci furon comuni a quasi tutte le nazioni, e chi oserà scusargli?

Che alcune poche società, e per poco tempo solamente, si sieno astenute dal dare la morte, ciò mi è piuttosto favorevole che contrario, perché ciò è conforme alla fortuna delle grandi verità, la durata delle quali non è che un lampo, in para-gone della lunga e tenebrosa notte che involge gli uomini.

Reginald Rose

Lo scrittore, commediografo e sce-neggiatore statunitense Reginald Rose (1920-2002), è stato uno tra gli autori più richiesti dalla televisio-ne e dal cinema americano negli anni Cinquanta e viene considerato uno dei precursori del genere che decenni più tardi ha preso il nome di “legal thriller”. La parola ai giurati (“Twelve Angry Men”) del 1954 fu il suo maggiore

successo. Nato come commedia per la televisione, divenne nel 1957 il celebre fi lm diretto da Sidney Lumet con Henry Fonda e poi un testo teatrale rappresentato in tutto il mondo. Così Rose spiegò come nacque l’idea di scrivere una storia ambientata in una camera di consiglio di un tribunale: «È l’unica mia commedia che abbia un rap-porto diretto con una vera e propria esperienza personale. Fui chiamato a far parte di una giuria per un caso di omicidio al tribunale di New York. Era la mia prima esperienza come giurato e lasciò in me un’impres-sione profonda. Non appena feci il mio ingresso nell’aula per essere investito delle mie funzioni, mi tro-vai di fronte ad un estraneo, il cui destino veniva all’improvviso a tro-varsi nelle mie mani. Mi resi conto durante il processo che nessuno sa cosa possa capitare fra le pareti d’una camera di consiglio se non gli stessi giurati, e pensai allora che un dramma che si svolgesse per intero in un ambiente simile avreb-be potuto costituire per il pubblico un’esperienza appassionante».

26 marzo 2009 ore 20,30 Teatro Municipale ValliYuja Wang pianofortemusiche di Scarlatti, Brahms, Chopin, Stravinskij

17 e 19 aprile 2009 ore 20 Teatro Municipale Valli

La gazza ladradi Gioachino Rossini direttore Michele Mariotti/Ryuichiro Sonoda regia Damiano Michieletto

28, 29, 30 aprile 2009 ore 21Teatro Ariosto

La trilogia della villeggiaturadi Carlo Goldonicon Toni Servillo

15 maggio 2009 ore 20,30 Teatro Municipale ValliGiuliano Carmignola violino Yasuyo Yano fortepianomusiche di Mozart, Beethoven

Le foto di scena a p. 2 e 3 sono di Federico RivaA p. 1 e 4 Henry Fonda nel fi lm del 1957 di Sidney Lumet ‘La parola ai giurati’