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Dipartimento di Psicologia – docente Pietro Boccia - Pedagogia sociale: La complessità e l’autonomia delle istituzioni (famiglia e scuola) La complessità e l’autonomia delle istituzioni (famiglia e scuola) di PIETRO BOCCIA - “Il vento è sempre favorevole per chi sa dove andare” – Seneca 1. La globalizzazione nella storia della civiltà occidentale 2. (mondo antico, società romana, mondo medievale, società moderna e contemporanea)

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Dipartimento di Psicologia – docente Pietro Boccia - Pedagogia sociale: La complessità e l’autonomia delle istituzioni (famiglia e

scuola)

La complessità e l’autonomia delle istituzioni

(famiglia e scuola)

di

PIETRO BOCCIA

- “Il vento è sempre favorevole per chi sa dove andare” – Seneca

1. La globalizzazione nella storia della civiltà

occidentale 2. (mondo antico, società romana, mondo medievale, società moderna e

contemporanea)

Dipartimento di Psicologia – docente Pietro Boccia - Pedagogia sociale: La complessità e l’autonomia delle istituzioni (famiglia e

scuola)

2. La società della conoscenza

(la commissaria europea Crésson, nel 1995, afferma, in un rapporto,

che la società umana è fissata sul capitale della conoscenza)

La società della conoscenza: Istruzione e formazione

nell’Unione europea

Il Rapporto UNESCO della Commissione Delors, nel 1993, e

il Libro Bianco su istruzione e formazione, a cura della

Commissione

dell’Unione europea, del ministro Crèsson, nel 1995,

hanno, come obiettivo, l’esigenza di costruire, attraverso le

politiche dell’istruzione e della formazione degli Stati

membri, un’Europa

del futuro, capace di padroneggiare e non di subire la

globalizzazione.

Si fa strada non solo il concetto di “educazione

per tutta la vita” ma anche la strategia della “long life

education”.

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La società della conoscenza: Istruzione e formazione

nell’Unione europea

La società del futuro viene, così, definita “società

conoscitiva”.

Il Consiglio europeo, nel tracciare le politiche scolastiche e

formative, fissa come obiettivo strategico per l’Europa

quello di diventare una società costruita sulla conoscenza.

I passi da compiere sono,

perciò, ancora oggi, notevoli e irti di ostacoli. Gli esperti dei

ministeri dell’istruzione dei Paesi membri che nel 2000

intervengono ai lavori sugli “Indicatori di qualità”,

predispongono una relazione sulla qualità dell’istruzione

scolastica, in cui vengono indicate

cinque sfide:

• la sfida del sapere;

• la sfida della decentralizzazione;

• la sfida delle risorse;

• la sfida dell’integrazione sociale;

• la sfida dei dati e della comparabilità.

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nell’Unione europea

A livello dell’Unione europea, la sfida principale resta, così,

quella di garantire a ogni europeo un elevato livello

d’istruzione scolastica.

Il gruppo di lavoro propone, inoltre, anche un numero di

sedici indicatori che vertono sui settori delle matematiche,

della lettura,

delle scienze, delle tecnologie dell’informazione e della

comunicazione (TIC), delle lingue straniere, della capacità

di “imparare con metodo” e dell’educazione civica.

Nel marzo del 2000, il Consiglio

europeo di Lisbona fissa, poi, l’obiettivo di dimezzare entro

il 2010 la quantità dei giovani che terminano soltanto il

ciclo inferiore di studi.

Le percentuali di completamento scolastico superiore sono

indici importanti del buon funzionamento dei sistemi

educativi.

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nell’Unione europea

Il successo di un allievo non può essere separato dal

contesto della carriera scolastica, né dalla congiuntura

economica del Paese.

La Strategia di Lisbona, formulata nel 2000 da parte del

Consiglio europeo, ha, pensando a un metodo globale per

la crescita e l’occupazione, come obiettivo strategico

l’esigenza di far diventare l’Europa

un’economia basata sulla “conoscenza più competitiva e

dinamica del mondo”.

La strategia contiene in sé la premessa culturale del

Libro Bianco di Crèsson, che aveva come motivazione:

“Insegnare e apprendere: verso la società basata sulla

conoscenza”.

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Il Consiglio dei Ministri dell’istruzione dei Paesi membri

dell’Unione europea stabilisce, a tal proposito, nel 2001,

tre obiettivi strategici, in altre parole:

• aumentare la qualità e l’efficacia dei sistemi d’istruzione

e di formazione dell’Unione europea;

• facilitare l’accesso ai sistemi d’istruzione e di formazione;

• aprire i sistemi d’istruzione e di formazione al mondo

esterno.

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Nel 2003 lo stesso Consiglio introduce i “Parametri di

riferimento” e precisa in termini di quantità gli obiettivi da

raggiungere entro il 2010:

• diminuzione degli abbandoni precoci (percentuale non

superiore al 10%);

• aumento dei laureati in matematica, scienze e tecnologia

(almeno del 15% e, al contempo, diminuzione dello squilibrio fra i

sessi);

• aumento dei giovani che completano gli studi secondari

superiori (almeno l’85% della popolazione ventiduenne);

• diminuzione della percentuale dei quindicenni, che presentano

una scarsa capacità di lettura (almeno del 20% rispetto al 2000);

• ampliamento della media europea di partecipazione a iniziative

di lifelong learning (almeno fino al 12,5% della popolazione

adulta in età lavorativa 25-64 anni);

• incremento degli investimenti per l’istruzione.

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Nel 2005, un ruolo rilevante viene richiesto anche alle

Regioni, considerate protagoniste dello sviluppo

economico e del rinnovamento della rete di protezione

sociale.

Per il nuovo ciclo, il Consiglio europeo invita a rafforzare il

coinvolgimento delle parti sociali nel processo della

strategia di Lisbona e riconosce il ruolo centrale del livello

locale e regionale nel creare crescita e occupazione.

Si arriva, così, al Trattato di Lisbona, conosciuto anche

come il Trattato di riforma, che viene firmato nel 2007, che

apporta ampie modifiche sia al Trattato che fonda la

Comunità europea sia a quello che istituisce l’Unione

europea.

Si prospetta che l’Ue, fino al 2020, affronti

la sfida della globalizzazione per governarne il processo e

non subirlo passivamente.

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Già nel Consiglio di Lisbona del 2000 i Capi

di Stato e di governo si sono accordati sulla cosiddetta

“strategia di Lisbona”, vale a dire sull’urgenza di costruire

uno strumento per competere con i Paesi emergenti e,

nello stesso tempo, superare ogni forma di crisi

economica.

L’obiettivo strategico, che, in tal modo,

l’Ue si prefigge, è elevato; perciò, un ruolo trainante viene

attribuito all’istruzione e alla formazione. In data 17 giugno

del 2010, il Consiglio europeo adotta una nuova strategia,

che definisce “Ue 2020” o post-2010.

In una fase di grandi trasformazioni e di crisi “l’Europa

deve agire in modo collettivo in quanto Unione”.

Il nuovo programma deve essere un’elaborazione di tutti

gli Stati membri.

Ci deve essere, pertanto, un maggiore coordinamento

delle rispettive politiche nazionali.

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L’obiettivo principale della strategia “Ue 2020” è

rappresentato dal binomio: una vita migliore e più posti di

lavoro.

La strategia “Ue 2020” deve fondarsi su tre priorità, in altre

parole:

• crescita intelligente;

• crescita inclusiva;

• crescita sostenibile.

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Il fattore di stimolo di una crescita intelligente è lo sviluppo

di un’economia che deve basarsi, attraverso la ricerca,

sulla conoscenza e sull’innovazione continua. In un mondo

in cui i prodotti e i processi si diversificano in funzione

dell’innovazione, la conoscenza diventa fattore di

ricchezza.

Per tale motivo devono essere potenziate le opportunità e

la coesione sociale, attraverso la valorizzazione

dell’istruzione, della ricerca e dell’economia digitale.

La seconda priorità (la crescita inclusiva) è il fattore di

stimolo per il coinvolgimento di quei cittadini, in possesso

di nuove competenze e di creatività, in una società di

partecipazione condivisa, dove lo sviluppo

dell’imprenditorialità e la possibilità di cambiare lavoro

diventano fondamentali per immettersi in maniera

ricorrente nel circuito delle attività produttive.

La crescita sostenibile rappresenta il fattore di

un’economia competitiva, interconnessa ed

ecocompatibile.

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Le istituzioni educative e formative devono svolgere e

sviluppare nuovi metodi e tecniche in cui le azioni

fondamentali dovrebbero essere:

• passare dall’approccio nozionistico, basato sulla

trasmissione dei saperi, a una didattica attiva per acquisire

nuove e funzionali competenze;

• trasformare i contenuti e le abilità in competenze;

• favorire, per promuovere le competenze principali per

una cittadinanza attiva, la trasversalità e

l’interdisciplinarità;

• facilitare, incoraggiandone la portata, l’apprendimento

non solo formale ma anche quello informale.

Il Consiglio europeo non trascura neanche l’importanza

dell’istruzione prescolare, atta a favorire lo sviluppo

emotivo e intellettuale del

bambino.

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Il Consiglio lo fa, facilitando il passaggio dall’apprendimento ludico a

quello formale e contribuendo, in tal modo, al successo scolastico.

Nel vertice di Stoccolma, nel 2001, già s’individuano tre obiettivi

strategici:

• aumentare la qualità dell’istruzione e della formazione;

• facilitare l’accesso all’istruzione e alla formazione;

• allargare l’istruzione e la formazione al mondo esterno.

Ancora a Lisbona, nel 2002, si vara un piano di lavoro

circostanziato con l’individuazione dei principali interventi da

mettere in cantiere:

• incrementare la percentuale dei giovani che terminano gli

studi superiori;

• ampliare la media europea di partecipazione al lifelong

learning;

• estendere il numero di laureati nelle scienze, in matematica

e in tecnologia;

• ridurre la dispersione scolastica;

• abbassare la percentuale dei giovani con scarsa capacità di

lettura.

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La società della conoscenza: Istruzione e formazione

nell’Unione europea

Nel 2004, a Maastricht, i Ministri dell’istruzione e della

formazione insieme alla Commissione europea si

accordano su forme di collaborazione, per modernizzare i

sistemi d’istruzione, dando vita a

diversi progetti di revisione dei sistemi formativi; in tal

modo, ogni Paese membro dell’Ue, pur preservando la

propria identità culturale, cerca di uniformare i percorsi

scolastici e formativi.

L’attuale strategia dell’Unione verso l’“Europa 2020”,

attraverso l’investimento sulle competenze, è, perciò,

diventata un riferimento cruciale per il

superamento della pesante crisi economica, che ha, ormai,

investito l’economia mondiale.

La strategia è, appunto, improntata alla promozione

della crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.

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nell’Unione europea

L’Unione europea, con i suoi programmi d’istruzione e di

formazione, arriva direttamente a un numero non

trascurabile dei suoi cittadini.

Il programma per l’intero arco della vita ha come obiettivo

generale quello di contribuire allo sviluppo dell’Unione,

intesa alla maniera di società della conoscenza

avanzata, in conformità agli obiettivi della strategia di

Lisbona.

Il programma, sostenendo e completando l’azione degli

Stati membri, si prefigge di incoraggiare gli scambi, la

cooperazione e la mobilità tra i sistemi d’istruzione e di

formazione all’interno dell’Unione,

affinché questi possano diventare un punto di riferimento

per la qualità internazionale e globale.

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3. La complessità

(Philip W. Anderson, Premio Nobel per la Fisica nel

1977, afferma in un articolo “More is different” sulla

rivista “Science”, nel 1972, che l’insieme è più della

somma delle sue parti).

I singoli elementi in un insieme non sempre sono

prevedibili, perché presentano proprietà emergenti.

L’affermazione di Anderson rappresenta la nascita e il

manifesto della complessità.

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La complessità

"La complessità è una parola problema e non una parola

soluzione" (Edgar Morin)

Quanto maggiore è la quantità e la molteplicità delle

relazioni fra gli elementi, che costituiscono un sistema,

tanto maggiore è la sua complessità.

La condizione è che le relazioni fra gli elementi costitutivi

di tale sistema siano non-lineari.

Un'altra peculiarità che un sistema complesso esplicita è

quello di un comportamento emergente, non prevedibile e

non ricavabile dall’insieme degli elementi che

costituiscono il sistema.

Un sistema non-lineare e complesso presenta maggiori

parametri di descrizione.

L’obiettivo della teoria della complessità è d'intendere il

comportamento dei sistemi complessi, descritti da

elementi (numerosi e diversi tra loro) e da connessioni

numerose e non lineari.

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La complessità

Gli studiosi più rappresentativi che hanno discusso la

complessità sono:

- L'antropologo britannico Gregory Bateson è uno degli

autori di riferimento della teoria dei sistemi.

«Il bello e il brutto, il letterale e il metaforico, il sano e il

folle, il comico e il serio... perfino l'amore e l'odio, sono

tutti temi che oggi la scienza evita.

Ma tra pochi anni, quando la spaccatura fra i problemi

della mente e i problemi della natura cesserà di essere un

fattore determinante di ciò su cui è impossibile riflettere,

essi diventeranno accessibili al pensiero formale».

Gregory Bateson, Dove gli angeli esitano. Verso

un'epistemologia del sacro, Adelphi editore, Milano 1989

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La complessità

- Il filosofo francese Edgar Morin è sicuramente l'esponente di

maggior spicco della scienza della complessità.

«La planetizzazione significa ormai comunità di destino per tutta

l'umanità.

Le nazioni consolidavano la coscienza delle loro comunità di

destino con la minaccia incessante del nemico esterno. Ora, il

nemico dell'umanità non è esterno.

È nascosto in essa.

La coscienza della comunità di destino ha bisogno non solo di

pericoli comuni, ma anche di un'identità comune che non può

essere la sola identità umana astratta, già riconosciuta da tutti,

poco efficace a unirci; è l'identità che viene da un'entità paterna

e materna, concretizzata dal termine patria, e che porta alla

fraternità milioni di cittadini che non sono affatto consanguinei.

Ecco che cosa manca, in qualche modo, perché si compia una

comunità umana: la coscienza che siamo figli e cittadini della

Terra-Patria.

Non riusciamo ancora a riconoscerla come casa comune

dell'umanità.

Edgar Morin, L'identità umana, Raffaello Cortina, Milano 2002.

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La complessità

Ludwig von Bertalanffy è stato (1901-1972) un biologo

austriaco e fondatore della teoria generale dei sistemi.

Nel 1968 ha pubblicato il volume Teoria generale dei

sistemi, in cui scrive:

«Pensare in termini di sistemi gioca un ruolo dominante in

un ampio intervallo di settori che va dalle imprese

industriali e dagli armamenti sino ai temi più misteriosi

della scienza pura…»

La relazione tra la teoria dei sistemi e quella della

complessità ha, così, dato fondamento alla teorizzazione

dei sistemi dinamici e complessi, applicandosi all’essere

vivente in generale e all’uomo in particolare.

In un sistema aperto, partendo da differenti condizioni

iniziali, l’obiettivo finale può essere raggiunto in diversi

modi.

Al contrario, in quelli chiusi delle organizzazioni

tradizionali, il risultato finale è già determinato dalle

condizioni iniziali.

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La complessità

Nei sistemi aperti, un argomento importante è

rappresentato dalla teoria della complessità per gestire le

organizzazioni.

Tale teoria è un nuovo approccio al sapere, che è diretto

alla comprensione olistica.

I sistemi complessi e dinamici sono capaci di auto-

organizzazione, vale a dire costituiti da un numero elevato

di parti che interagiscono in maniera non lineare e che

danno luogo a comportamenti globali, non spiegabili da

una particolare legge fisica, come ad esempio: una

comunità di soggetti interagenti o i neuroni del cervello

umano.

Il campo scientifico che studia e dà forma a questi sistemi è

la scienza della complessità.

«L'adattamento è raggiunto mediante la costante ridefinizione del

rapporto tra il sistema e il suo ambiente (co-evoluzione). Il biologo

americano Kauffman (2001) sostiene che i sistemi complessi adattativi si

muovono in paesaggi adattabili, o elastici, (fitness landscape), in continua

deformazione per l'azione congiunta dei sistemi stessi, di altri sistemi, e di

elementi esogeni».

De Toni e Comello, Prede o ragni. Uomini e organizzazioni nella ragnatela

della complessità, Utet, Torino 2005.

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La complessità

L’epistemologia di Karl Popper e il modello falsificazionista

• lo status delle asserzioni scientifiche è determinato dal

principio della falsificazione;

• una teoria è scientifica quando può essere

contraddetta dall’esperienza;

• un’ipotesi è scientificamente vera finché non viene

falsificata;

• la scienza non produce verità certe ma quelle ancora non

falsificate.

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Leggi della complessità

• La complessità non è presente in un sistema chiuso,

perché il risultato finale è già determinato dalle condizioni

iniziali.

• La complessità in un sistema aperto, è, invece, presente,

perché, partendo da differenti condizioni iniziali, l’obiettivo

finale può essere raggiunto in diversi modi.

Distinzione tra complicato e complesso

• Complicato è un procedimento analitico (metodo

cartesiano) per spiegare o risolvere un problema.

• Complesso è, invece, un approccio al sapere diretto alla

comprensione olistica dei sistemi interconnessi.

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Leggi della complessità

Le leggi, che contraddistinguono la complessità, sono:

• azioni elettive e aperte;

• istituzionalizzazione del cambiamento;

• strategie di direzione;

• presente come equilibrio dinamico tra il passato e il futuro;

• crisi degli status sociali e dei ruoli;

• conoscenze e competenze per governare il cambiamento;

• pretesa dell’impostazione galileiana insufficiente;

• metodo scientifico – analitico non permette di giungere alle

conoscenze;

• “certezza cartesiana” insufficiente per conoscere;

• percorsi “lineari non fanno pervenire a verità definitive;

• complessità come sfida e non come non soluzione;

• percorso aperto e dialogico;

• elemento della complessità è l’incertezza;

• ricerca senza bussola e orizzonte;

• impossibile programmare scoperte, conoscenze e azioni;

• imparare a muoversi nell’indefinito, nell’imprevisto, nella

verosimiglianza e nell’impensato.

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Complessità e cambiamento

La complessità del cambiamento mette in discussione sicurezze,

equilibri, legami, poteri e quotidianità.

Il modello organizzativo nelle scuole autonome deve, perciò,

essere la risposta alla complessità.

Diventa, allora, compito vitale la progettazione del modello

organizzativo nei sistemi complessi, che:

- deve essere pensata in relazione agli obiettivi, alla missione

(mission), alla strategia (vision) e ai valori che s’intendono

conseguire.

Il problema principale della progettazione organizzativa nella

società complessa è la ricerca della strategia maggiormente

efficace ed efficiente per dividere e integrare le attività.

• Dividere per includere e valorizzare le competenze.

• Integrare per orientare, con adeguate strategie, attività e

processi al perseguimento di obiettivi comuni e condivisi

N-B. Un modello organizzativo nella società complessa non deve essere

pensato come strumento perfetto, ma come processo per costruire

apprendimenti, sviluppare competenze e perseguire obiettivi.

“L’attività organizzativa è qualcosa di riconoscibile e ripetibile mediante

l’adozione di regole e di comportamenti integrati, relativamente stabili”.

Assunta Ferricchio, Claudio M. Mombelli (a cura di), Management della

scuola, La Nuova Italia, Firenze 1999

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Flessibilità organizzativa e cambiamento

In un sistema di Governance ogni singolo elemento che

costituisce l’organizzazione è debole.

Il problema è, allora, quello di mettere insieme le singole

debolezze per convertirle in un punto di forza.

In un’organizzazione complessa tutte le risorse umane

devono essere indotte ad agire indirettamente sulla

governance.

Bisogna dare il senso (perché) e la direzione (dove) del

cambiamento, ripensando continuamente l’azione

organizzativa in rapporto ai risultati.

E’ fondamentale la condivisione da parte di tutti dell’idea

che ci si propone per avvicinarsi all’orizzonte prospettato.

E’ necessario l’empowerment (far sentire le persone

capaci con la conquista della consapevolezza di sé e del

controllo sulle proprie scelte).

Fare del cambiamento un’abitudine e una cultura.

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Resistenze al cambiamento

Le resistenze al cambiamento possono essere:

• culturali

- le risposte che l’istituzione scolastica offre ai bisogni degli

alunni/studenti e del contesto sociale sono a priori;

- la competenza professionale dei docenti è rappresentata

soltanto dalla conoscenza delle discipline

• organizzative

- l’istituzione scolastica è una struttura che punta più sul

contributo dei singoli che sulla progettualità complessiva e

sul lavoro di gruppo

• operative

- rigidità e azioni formali nella gestione delle risorse,

centrata sulla regolarità degli atti formali e non diretta ai

risultati.

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Le azioni per smussare le resistenze al cambiamento

• creare, curare e sostenere i momenti di formazione;

• impiegare le risorse interne;

• diffondere le buone pratiche;

• iniziare le sedute formali anche con riflessioni pedagogiche e

didattiche;

• far vivere e condividere le emozioni della riuscita, mettendo

in campo la pedagogia del successo;

• riconoscere le esperienze didattiche significative e renderle

pubbliche.

Le azioni del dirigente scolastico e dello staff dirigenziale per

smussare le resistenze al cambiamento:

• creare, curare e sostenere i momenti di formazione;

• impiegare le risorse interne;

• diffondere le buone pratiche;

• iniziare le sedute formali anche con riflessioni pedagogiche e

didattiche;

• far vivere e condividere le emozioni della riuscita, mettendo in

campo la pedagogia del successo;

• riconoscere le esperienze didattiche significative e renderle

pubbliche.

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Strategie per guidare i cambiamenti

Su come guidare il cambiamento ci sono tantissimi ricercatori e

consulenti che hanno pubblicato teorie e modelli. Uno degli

autori più classici e influenti è senza dubbio John P. Kotter,

professore alla Harvard Business School e autore del libro

"Leading Change", Harvard Business Review Press, Boston (2012)

John P. Kotter e gli otto step in un processo di cambiamento

1. creare la consapevolezza dell’urgenza

E’ necessario, affinché il cambiamento progettato possa avvenire

nella realtà, che l'organizzazione lo voglia per davvero e che si

crei un senso di esigenza verso il cambiamento stesso.

Occorre, quindi, spiegare con chiarezza ciò che sta succedendo

nel contesto e ciò che occorre fare per mantenere la posizione o

migliorarla.

Le azioni, per creare la consapevolezza dell’urgenza, sono:

- identificare eventuali minacce che provengono dall'ambiente

esterno;

- ipotizzare possibili scenari futuri;

- identificare le opportunità che potrebbero essere sfruttate;

- fare in modo che le persone possano parlare liberamente e

confrontarsi sull'urgenza del cambiamento;

- far rafforzare argomentazioni proposte dai stakeholder.

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2. costituire un team efficace che diriga il processo

Individuare le persone giuste che possono essere di aiuto

in questo percorso, allargare il più possibile il team di

persone che sosterranno il processo della governance del

continuo mutamento, i cosiddetti “agenti del

cambiamento”.

Le azioni, per costituire un team efficace, che diriga il

processo, sono quelle di:

- identificare le persone giuste con le quali costruire

alleanze e coinvolgerle anche da un punto di vista

emozionale;

- individuare le aree deboli del team che si sta costruendo;

- assicurare un giusto mix di persone provenienti da aree

diverse e con esperienze diverse.

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3. sviluppare vision e strategia

Ricordare che le persone hanno bisogno di vedere in

maniera pratica ciò che si intende fare.

Fornire esempi, usare illustrazioni, cercare di far immaginare

chiaramente dove si vuole arrivare.

Questa è immagine simbolica che in letteratura viene

chiamata “cartolina dalla destinazione”.

Le azioni, per sviluppare visione e strategia, sono quelle di:

- determinare i valori che saranno centrali nel processo di

cambiamento;

- riassumere ciò che si vuole fare in un sommario efficace o

in un paio di frasi a effetto. Anche un'immagine ben

studiata andrà bene;

- descrivere brevemente e in maniera efficace il futuro che si

immagina dopo il cambiamento;

- creare una strategia per mettere in atto la visione e

collegarla a pochi punti facili da ricordare;

- assicurarsi che le persone siano in grado di riassumere il

lavoro;

- cercare di essere visibili nelle descrizioni.

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4. comunicare la vision del cambiamento

Non basta che la visione sia chiara a chi guida il

cambiamento, ma è necessario anche comunicarla

efficacemente ai collaboratori.

Questa comunicazione dovrà distinguersi tra le tante

comunicazioni che vengono fatte quotidianamente.

Per questo motivo è importante che il messaggio venga

ricordato frequentemente e con efficacia.

Le azioni, per comunicare la visione del cambiamento, sono

quelle di:

- parlare spesso della visione;

- ascoltare con attenzione le persone che sono preoccupate

a causa del cambiamento - applicare la visione a tutti gli

aspetti della quotidianità;

- guidare le persone con l’esempio.

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5. mettere i collaboratori in condizione di agire in

base alla vision

In questa fase bisogna riconoscere pubblicamente le

persone che supportano il cambiamento, rinforzando i

comportamenti positivi.

Al contrario è necessario anche identificare chi non lo

supporta e cercare di capirne i motivi, parlandone

apertamente e cercando di risolvere eventuali

problemi.

Le azioni, per mettere i collaboratori in condizione di

seguire la vision, sono:

- riconoscere pubblicamente le persone che

supportano il cambiamento;

- identificare chi, al contrario, non lo supporta e

cercare di capirne i motivi, parlandone;

apertamente e cercando di risolvere eventuali

problemi;

- rimuovere in fretta le barriere, di qualunque tipo

esse siano.

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6. pianificare e creare dei successi a breve termine

Per motivare le persone è importante progettare qualche

obiettivo di breve termine (quick wins) che abbia una

ricaduta immediata in fatto di visibilità e di risultati

ottenuti.

I risultati veloci da sottoporre all'attenzione di tutti

aiuteranno a mantenere il focus sul change management e

a convincere chi è ancora scettico.

Le azioni, per pianificare e creare dei successi a breve

termine, sono:

- dare la priorità agli obiettivi raggiungibili senza il

contributo di coloro che sono più restii a supportare il

cambiamento;

- scegliere come primi obiettivi target non troppo

dispendiosi da raggiungere;

- avviare per primi gli obiettivi che hanno più "pro" che

"contro";

- ricompensare chi dà una mano a portare avanti

queste prime fasi di lavoro.

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7. consolidare i miglioramenti e introdurre ulteriori

cambiamenti

Un cambiamento efficace ha bisogno di tempo e di sostegno

continuo.

Gli obiettivi facili da raggiungere e che diano soddisfazione

sono solo avvisaglie di un cammino più lungo e complicato.

In tale step bisogna analizzare ogni obiettivo raggiunto

mantenendo traccia di ciò che è andato bene e di ciò che

occorre migliorare.

Sicuramente non tutto quello che si ha in mente si rivela

efficace.

Le azioni, per consolidare i cambiamenti e introdurre

ulteriori cambiamenti, sono:

- analizzare ogni obiettivo raggiunto mantenendo traccia di

ciò che è andato bene e di ciò che bisogna migliorare;

- costruire nuovi obiettivi per impedire che il cammino verso il

miglioramento si areni;

- iniziare a porre le basi della metodologia del miglioramento

continuo (Kaizen giapponese, KAI (cambiamento) e ZEN

(migliore);

- fornire energie fresche al team che lavora sul progetto per

trasmettere di continuo nuovo entusiasmo alternando gli

agenti del cambiamento.

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8. inglobare i nuovi approcci nella cultura

L’ultima fase è quella che spesso viene sottovalutata; è però

fondamentale mantenere in futuro i cambiamenti

implementati.

E' normale, infatti, che quando si spinge una persona a

cambiare (magari facendole adottare metodologie nuove)

questa torni allo stato di partenza se non si fa in modo di

rendere il cambiamento "acquisito", ovvero se non lo

s’interiorizzerà come un vero e proprio cambiamento

all'interno della cultura manageriale

Le azioni, per inglobare i nuovi approcci nella cultura, sono:

- ricordare i progressi fatti ogni volta che vi sarà

possibile;

- includere il percorso fatto all'interno della formazione

dei nuovi assunti in modo da renderli partecipi del

cambiamento avvenuto e testimoni del fatto che non

si può più lavorare come si faceva prima.

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La famiglia come istituzione complessa

L’istituzione, storicamente più stabile e duratura per la

convivenza umana, è stata per secoli la famiglia.

Questa ha sempre conservato intatta, pur nel mutare delle

condizioni storiche, la sua natura fondamentale, vale a dire

vincoli, rapporti e sentimenti esclusivi tra tutti i membri

che l’hanno costituita.

Dal punto di vista strutturale, la famiglia, per dimensioni,

per organizzazione e per funzioni, dipende dalle forme

economiche e dalle condizioni, relative alla cultura delle

società in cui è inserita; essa, anzi, ne è il prodotto e ne è

l’espressione.

Nella società complessa anche la famiglia è, però, una

realtà in trasformazione; al suo interno, deve, perciò,

essere previsto un progetto, basato sull’ecologia dei

rapporti tra i membri, che la costituiscono, e un’equilibrata

crescita delle loro personalità.

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La famiglia come istituzione complessa

La famiglia è, nel complesso, considerata un organismo

non solo giuridico, ma anche etico e sociale.

Il primo è regolato da un insieme di norme, concernenti il

rapporto tra i coniugi, la protezione dei figli minorenni, il

matrimonio e così via.

L’organismo etico attiene ai comportamenti morali dei

membri della famiglia.

L’organismo sociale) ha una connotazione

prevalentemente sociologica.

La famiglia è, nell’ultimo caso, caratterizzata dal processo

di socializzazione, vale a dire da dinamiche interne, da

rapporti interpersonali e da condizionamenti socio-

culturali e relazionali.

Al suo interno, ogni comportamento è comunicazione, che

influenza ed è influenzata da altri comportamenti.

Ogni società finisce, dunque, per organizzare “un luogo-

istituzione” psicologico e fisico non solo per procreare e

per allevare i figli, ma anche per educarli e per socializzarli,

ovverosia per badare a trasmettere loro conoscenze e

valori e per integrarli nella società di appartenenza.

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La famiglia come istituzione complessa

L’organizzazione istituzionale di tali funzioni si fonda su

alcuni principi giuridici:

- matrimonio, come atto che la società formula al fine di

autorizzare e di riconoscere la sessualità;

- divieto d’incesto, come condanna dei rapporti sessuali tra

i membri del gruppo familiare;

- divisione del lavoro in base al sesso e all’interno del

gruppo familiare.

Tali principi non costituiscono, però, una necessità

biologica; anzi, esprimono una scelta culturale e

rappresentano una costante storica, che, nelle varie

epoche, ha assunto contenuti diversi.

La stabilità del rapporto coniugale non è, dunque, un

bisogno biologico, ma un dovere materiale ed etico di un

reciproco sostegno nell’affrontare le difficoltà.

Nemmeno il divieto d’incesto è una necessità biologica: non è un

bisogno quello di evitare i danni della procreazione tra i

consanguinei, ma soprattutto quello socio-culturale di indurre i

membri di un gruppo chiuso, come la famiglia, a ricercare i loro

partner sessuali all’interno di gruppi diversi da quelli delle

famiglie di origine.

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La famiglia come istituzione complessa

Non è, infine, un bisogno neppure, all’interno della

famiglia, la divisione sessuale del lavoro; questa è, anzi, la

conseguenza sia dell’organizzazione sociale sia

dell’immagine femminile e maschile, che la cultura, in una

determinata circostanza, esprime.

Generalmente quando si parla di famiglia, oggi, ci si

riferisce a quella coniugale, ovverosia al “luogo” di

convivenza tra un uomo e una donna, legati di norma dal

vincolo di matrimonio.

Le famiglie fanno, quindi, parte di sistemi parentali.

I soggetti, che sono legati da vincoli (maternità, paternità e

filiazione), costituiscono un organismo sociale e giuridico,

che, nella maggior parte dei paesi, è detto matrimonio.

Questo, in generale, assume due forme:

– matrimonio monogamico, quando è circoscritto a un uomo e

una donna.

– matrimonio poligamico, quando un soggetto può

contemporaneamente sposarsi con due o più soggetti dell’altro

sesso (se è l’uomo ad avere più donne, si ha la poliginia; se, al

contrario, è una donna ad avere più uomini, si ha la poliandria).

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La famiglia come istituzione complessa

Non tutte le famiglie si fondano, tuttavia, sul vincolo del matrimonio.

Nella società contemporanea si possono, infatti, distinguere vari tipi di

unioni familiari:

– la famiglia nucleare, detta anche elementare, è costituita di padre, di

madre e di figli;

– la famiglia plurima, che si costituisce, attraverso matrimoni tra vedovi o

divorziati, con i loro figli, nati in unioni precedenti;

– la “famiglia a doppia carriera”, nella quale la moglie e il marito al di fuori

del nucleo familiare sono impegnati professionalmente e, all’interno della

famiglia, s’interessano dei lavori domestici. La donna, sovvertendo anche

l’organizzazione della vita domestica, ha, in tal modo, acquistato

maggiore autonomia;

– la famiglia dove vige l’unione libera (coppie accettate dall’opinione

pubblica e dall’ambiente circostante come se fossero sposate);

– la famiglia comunitaria (coppie che vivono in comunità, senza

minimamente mettere in pericolo l’intimità coniugale);

– la famiglia individuale (famiglia di un solo individuo, che

occasionalmente ospita altri soggetti).

– la convivenza monosesso (famiglia di soggetti dello stesso sesso, che

convivono per ragioni economiche o di lavoro);

– le coppie di fatto (coppie che dovrebbero godere per legge di una

garanzia legale. Queste non dovrebbero, però, essere poste sullo stesso

piano delle coppie eterosessuali sposate).

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La famiglia come istituzione complessa

Il matrimonio e la parentela

Il matrimonio è un negozio giuridico con cui una donna e un

uomo costituiscono una famiglia, assumendo tra loro un vincolo

di fedeltà, di assistenza, di coabitazione e di collaborazione.

Nell’ordinamento giuridico italiano la materia del matrimonio è

regolata dal libro primo del Codice civile.

La collocazione del matrimonio in tale nel libro del Codice esclude

che tale istituto sia da ricomprendersi nella disciplina dei

contratti. Per l’ordinamento italiano, il matrimonio non è, infatti,

un contratto tra le parti.

Se lo fosse sarebbe regolamentato dal libro quarto del Codice

civile. Anche nella Costituzione repubblicana la famiglia è trattata

ampiamente in tre articoli.

L’art. 29 sostiene che la “Repubblica riconosce i diritti della

famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.

Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei

coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità

familiare”.

L’art. 30, a sua volta, afferma che è “dovere e diritto dei genitori

mantenere, istruire e educare i figli, anche se nati fuori del

matrimonio. Nei casi d’incapacità dei genitori, la legge provvede a

che siano assolti i loro compiti.

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La famiglia come istituzione complessa

Il matrimonio e la parentela

La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela

giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della

famiglia legittima.

Essa detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità”.

L’art. 31 stabilisce che la “Repubblica agevola con misure

economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e

l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle

famiglie numerose.

Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli

istituti necessari a tale scopo”.

In Italia vigono tre forme di matrimonio che hanno, in ogni modo,

effetti civili, in altre parole:

- il matrimonio concordatario, che viene celebrato in conformità

alle norme del diritto canonico;

- il matrimonio civile, che viene celebrato davanti all’ufficiale

dello stato civile ed è regolato dal Codice civile;

- il matrimonio religioso “acattolico”, che viene celebrato davanti

ad un ministro di culto non cattolico.

Esso è, però, una cerimonia a tutti gli effetti civile, perché è

trascritto dall’ufficiale dello stato civile.

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La famiglia come istituzione complessa

Il matrimonio e la parentela

Esistono, poi, alcuni istituti, concernenti il matrimonio, come la

separazione, lo scioglimento e l’annullamento.

La separazione personale dei coniugi è un istituto che, senza

arrivare

allo scioglimento del matrimonio, ne tempera gli effetti.

Essa può essere giudiziale oppure

consensuale.

Lo scioglimento del matrimonio si ha, a norma del Codice civile

con:

- la morte di uno dei coniugi (art. 149);

- la sentenza di divorzio;

- una condanna penale di uno dei coniugi, se richiesto lo

scioglimento dall’altro coniuge;

- la separazione personale dei coniugi, nel caso che si sia

protratta, senza interruzione, per

almeno cinque anni;

- il divorzio, che si ottiene, al di fuori dell’Italia, da un coniuge

straniero;

- un matrimonio non consumato.

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La famiglia come istituzione complessa

Il matrimonio e la parentela

L’annullamento è un istituto che si verifica o quando uno

dei coniugi ha contratto il matrimonio in buona fede, in

altre parole il consenso è stato estorto, oppure quando

entrambi i coniugi l’hanno contratto in mala fede.

Il diritto civile affronta anche il problema della parentela e

dell’affinità.

La parentela è un vincolo, in base all’art. 74 del Codice

civile, che unisce le persone che discendono da uno stesso

stipite.

Si è uniti per linea retta e per linea collaterale.

L’intensità, poi, del vincolo di parentela è misurato dal

grado che rappresenta il numero di generazioni.

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La famiglia come istituzione complessa

Il matrimonio e la parentela

Per conteggiare tale numero di generazioni si ha:

- primo grado: linea retta ascendente di primo grado (genitori) e linea retta

discendente di primo grado (figli);

- secondo grado: linea retta ascendente di secondo grado (nonni), linea retta

discendente di secondo grado (nipoti), linea collaterale di primo grado (fratelli);

- terzo grado: linea retta ascendente di terzo grado (bisnonni), linea retta

discendente di terzo grado (bisnipoti), linea collaterale ascendente di secondo grado

(zii paterni e materni), linea collaterale discendente di secondo grado (nipoti, intesi

come figli di fratello);

- quarto grado: linea retta ascendente di quarto grado (trisavolo), linea retta

discendente di quarto grado (trisnipoti), linea collaterale ascendente di terzo grado

(prozii), linea collaterale discendente di terzo grado (pronipoti, intesi come figli dei

figli del fratello, e cugini);

- quinto grado: linea retta ascendente di quinto grado (quadrisavolo), linea retta

discendente di quinto grado (figlio del trisnipote), linea collaterale ascendente di

quarto grado (genitori dei prozii e cugini dei genitori), linea collaterale discendente

di quarto grado (figli dei pronipoti e figli dei cugini);

- sesto grado: linea ascendente di sesto grado (genitore di quadrisavolo), linea

discendente di sesto grado (nipote del trisnipote), linea collaterale ascendente di

quinto grado (nonni dei prozii e cugini dei nonni), linea collaterale discendente di

quinto grado (nipoti dei pronipoti, e nipoti dei cugini).

La legge non riconosce il vincolo di parentela oltre il sesto grado, salvo che per alcuni

effetti specialmente determinati (art. 77 del Codice civile). Gli affini, per il Codice

civile italiano, sono i parenti del coniuge.

Il grado di parentela è lo stesso del coniuge.

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La famiglia come istituzione complessa

Patti civili di solidarietà

I Patti civili di solidarietà sarebbero unioni che prevedono un contratto tra

due soggetti di sesso diverso o dello stesso sesso.

I contraenti dovrebbero assumere diritti e obblighi, come assistenza in

ospedale, impegno a condurre vita in comune, aiuto reciproco ed

eventuale eredità.

In Europa la questione delle unioni civili o coppie di fatto è stata sempre

presente nelle direttive dell’Unione europea.

Gli europei hanno sancito nelle loro costituzioni che tutti i cittadini hanno,

indipendentemente dalle origini, dalla nazionalità, dalla condizione

sociale, dalla religione e dall’orientamento sessuale, gli stessi diritti.

L’Unione europea ha, anzi, emanato, nel 1994, una risoluzione, nella

quale si ribadisce la parità dei diritti degli omosessuali e delle lesbiche.

In Europa la legislazione, a proposito delle unioni civili, è molto variegata.

Tra i paesi che hanno regolato e legittimato, in qualche modo, la

questione, si possono registrare:

Austria. Pur non avendo regolato per legge le unioni civili, ha spinto a fare

esprimere, nel 2003, la Corte europea per i diritti dell’uomo.

Questa ha, in tale circostanza, stabilito che la coabitazione di due

omosessuali ha la stessa consistenza di una coabitazione non registrata

ma riconosciuta delle coppie eterosessuali;

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La famiglia come istituzione complessa

Patti civili di solidarietà

Belgio. Il matrimonio è aperto alle coppie omosessuali dal 13 febbraio del

2003.

La regolamentazione delle unioni civili ha, invece, avuto inizio il 29

ottobre del 1998, allorché il parlamento ha approvato la Loi instaurant la

cohabitation légale sulla convivenza legale (cohabitation légale).

Essa è, poi, entrata in vigore (Statutory Cohabitation Contract) il 4

gennaio del 2000.

In tale legislazione sono incluse anche le coppie, che, per mancanza di

alcune condizioni, non possono riferirsi al sesso.

I contraenti, per assicurarsi la convivenza legale, non devono essere legati

da vincoli matrimoniali o da convivenze legali.

La dichiarazione di convivenza deve essere prodotta per iscritto e deve

essere consegnata, dietro il rilascio di una ricevuta, all’ufficiale di stato

civile del comune, nel quale si è domiciliati.

Il suddetto ufficiale, dopo aver verificato che i due contraenti riescono ad

assolvere le condizioni previste dalla legislazione, protocolla la

dichiarazione nel registro della popolazione;

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La famiglia come istituzione complessa

Patti civili di solidarietà

Danimarca. È stato il primo Paese europeo che ha ufficializzato i rapporti

di coppia degli omosessuali con un’unione simile al matrimonio.

La legislazione danese, a tal proposito, è stata approvata con la Legge n.

372 del 1989 e aggiornata, con integrazioni e modificazioni, nel 1999.

I contraenti assumono lo status di “partner registrati” e, anche se non

possono accedere all’adozione congiunta, hanno, tuttavia, la possibilità di

adottare i figli biologici del partner;

Finlandia. Una legge a favore delle unioni civili tra soggetti dello stesso

sesso è in vigore dal marzo 2002.

Essa garantisce, tranne che nei casi in cui i contraenti dispongono

diversamente, tutti i diritti che, di norma, appartengono alle coppie

eterosessuali.

Sia la registrazione sia lo scioglimento dell’unione si ottengono con la

stessa procedura valida per il matrimonio.

La convivenza si contrae al cospetto delle stesse autorità, che sono

investite sia per la celebrazione del matrimonio sia per lo scioglimento

della convivenza.

Le leggi sulla paternità, sull’adozione e sulla possibilità di fare uso di un

nome in comune non possono, però, essere applicate alle convivenze

registrate;

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La famiglia come istituzione complessa

Patti civili di solidarietà

Francia. La Legge del 15 dicembre 1999 (Du pacte civil de solidarité et du

concubinage) ha sancito una nuova forma di unione, distinta dall’istituto

del matrimonio.

I Patti civili di solidarietà sono contratti tra due soggetti dello stesso sesso

o di sesso diverso, al fine di organizzarsi una vita in comune.

La legge tutela la convivenza, garantisce i diritti di rilevanza pubblicistica,

regola il rapporto di locazione, contempla misure fiscali, prevede

reciproca assistenza e così via.

I Patti civili di solidarietà sono contratti, che si definiscono con una

dichiarazione congiunta e trascritta alla cancelleria della giurisdizione di

residenza.

Il testo del contratto viene registrato e, poi, conservato presso la

cancelleria del comune.

I Patti civili di solidarietà comportano obblighi per ambedue i partner

come, ad esempio, l’impegno a condurre una vita in comune, il sostegno

e aiuto reciproco sia a livello materiale sia a livello psicologico e

l’assunzione di responsabilità comune per i debiti che vengono contratti

per la firma del Patto civile di solidarietà.

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La famiglia come istituzione complessa

Patti civili di solidarietà

In Francia, i Patti civili di solidarietà non dovrebbero, secondo la posizione

di alcuni giuristi, prevedere la possibilità di adozione; anzi, con la morte di

uno dei due partner, tali contratti dovrebbero automaticamente

sciogliersi.

La legislazione francese prevede anche il concubinaggio.

In tale circostanza offre, però, ai contraenti diritti limitati (affitto,

immigrazione, salute e assicurazione).

I Patti civili di solidarietà considerano anche le coppie eterosessuali, che

non si propongono di contrarre matrimonio, giacché sono favorevoli

soltanto a utilizzare uno strumento giuridico diverso dal matrimonio civile

o religioso e, nello stesso tempo, desiderano essere tutelate con le

prerogative di cui godono le coppie “regolarmente” unite (assistenza del

partner in ospedale, partecipazione alle decisioni che riguardano la salute

e la vita, trasmissione in eredità del proprio patrimonio al soggetto con

cui si è condivisa l’esistenza, ricongiungimento di un partner

extracomunitario e così via);

Germania. L’istituto giuridico della convivenza registrata, in altre parole

l’Eingetragene Lebenspartnerschaft è stato introdotto in Germania, nel

2001, con la Legge Gesetz überdie Eingetragene Lebenspartnerschaft.

Tale legislazione è entrata in vigore il primo agosto del 2002.

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La famiglia come istituzione complessa

Patti civili di solidarietà

La legge sulla convivenza registrata non equipara, a tutti gli effetti, la

convivenza al matrimonio; ciò avviene per i seguenti motivi:

a) due persone che desiderano organizzare una convivenza registrata

hanno l’obbligo di dichiarare, alla presenza delle autorità competenti, la

volontà di convivere per tutta la vita. I conviventi possono, quando sono

d’accordo, scegliere un cognome comune e possono assumersi l’obbligo

di assistersi e di sostenersi reciprocamente anche dopo l’eventuale

separazione;

b) la legge cautela la coppia dal punto di vista contributivo e assistenziale.

Ogni convivente può, infatti, usufruire dei benefici dell’assicurazione sulla

malattia del partner e avvalersi degli stessi diritti del matrimonio in

materia di cittadinanza (procedura agevolata per ottenere la

naturalizzazione e diritto al ricongiungimento);

c) l’istituto giuridico della convivenza è diverso dal matrimonio per

quanto riguarda l’adozione e la filiazione. Fino al 2004 ai conviventi non

era nemmeno concesso il diritto di adozione congiunta.

La legislazione tedesca prevede anche: la pensione di reversibilità; la

reversibilità degli affitti; il permesso d’immigrazione per il contraente

straniero; l’obbligo di soddisfare i debiti che sono contratti durante la vita

della coppia;

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La famiglia come istituzione complessa

Patti civili di solidarietà

Italia. L’istituto, in Italia, per regolare le unioni civili e per disciplinare

le convivenze con la Legge 20 maggio 2016, n, 76, denominata

“Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e

disciplina delle convivenze”.

Le unioni civili omosesessuali si costituiscono alla presenza di due

testimoni e di fronte a un ufficiale di stato civile.

I due sottoscrittori dell’unione hanno l’obbligo di coabitare e di

assistersi moralmente e materialmente.

Ambedue i partner possono scegliere il cognome

dell’altro posponendolo o anteponendolo al proprio.

Hanno anche diritto alla pensione di reversibilità e al Tfr maturato.

Per quanto concerne lo scioglimento, nelle unioni omosessuali,

la legge n. 76 fa riferimento, eludendo l’istituto di separazione, alla

normativa italiana concernente il divorzio.

Le convivenze di fatto, secondo la legge n. 76/2016, riguardano le coppie

di omosessuali e di eterosessuali. In base al testo, può essere considerato

convivente di fatto un soggetto maggiorenne, che, quando è corrisposto,

si unisce a un altro stabilmente per legami affettivi e per una reciproca

assistenza morale e materiale; ambedue devono essere coabitanti e

aventi dimora abituale nello stesso Comune.

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La famiglia come istituzione complessa

Patti civili di solidarietà

I diritti previsti per i conviventi di fatto sono quelli riguardanti: la visita in

ambito sanitario e penitenziario; la facoltà d’indicare il partner come

rappresentante (anche per le decisioni sulla scelta di donare gli organi); la

casa di abitazione e il risarcimento del danno da fatto illecito.

I due conviventi possono anche redigere un contratto di convivenza, per

disciplinare i propri rapporti patrimoniali.

Il contratto deve essere sottoscritto da un notaio o da un avvocato, sotto

forma di atto pubblico o scrittura privata; esso si risolve con la morte del

partner; con recesso unilaterale o con accordo tra le parti.

All’interruzione della convivenza potrà esserci il diritto agli alimenti in

capo a uno dei due conviventi.

Tale diritto deve essere, secondo il diritto civile, riconosciuto dal giudice,

in base al bisogno in cui si trova il convivente e all’impossibilità di badare

al proprio mantenimento.

La durata dell’obbligo alimentare è calcolata in proporzione alla durata

della convivenza.

Regno Unito. La legislazione sulle coppie civili è stata approvata nel 2004

ed è stata applicata alla fine del 2005.

Tale legislazione si è prefissa, come risultato, di dare alle unioni del

medesimo sesso gli stessi diritti e obblighi delle coppie sposate, in altre

parole esenzioni fiscali, eredità, patria podestà e proprietà.

Le unioni si possono sciogliere con la stessa procedura di un divorzio;

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La famiglia come istituzione complessa

Patti civili di solidarietà

Spagna. La legge per le coppie dello stesso sesso è stata

approvata, nel 2005, e prevede addirittura il matrimonio.

Le Regioni spagnole (Comunidades autonomos)

prevedevano, in verità, già da tempo, attraverso

legislazioni adeguate, i diritti dei soggetti delle coppie di

fatto, appartenenti allo stesso sesso o di sesso diverso.

Esse disciplinavano la responsabilità solidale per le spese e

per i debiti della coppia e l’uso della casa comune.

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La famiglia come istituzione complessa

La famiglia italiana

La società italiana, nell’ultimo cinquantennio, si è trasformata

radicalmente. Da comunità agricola è diventata società postindustriale.

Di conseguenza, anche le istituzioni e i rapporti individuali hanno subito

mutamenti storici.

I fattori che hanno determinato tali trasformazioni sono stati:

- il processo democratico;

- lo sviluppo industriale e tecnologico;

- il pluralismo culturale.

All’interno di tale realtà, anche la famiglia ha subito una svolta storica.

Essa, da istituzione patriarcale, è diventata, dissolvendosi sotto l’azione

della modernizzazione, famiglia nucleare.

La Carta costituzionale italiana stabilisce all’art. 29, in una nuova visione

di politica democratica e sociale, che la famiglia, come società naturale, si

fonda sul matrimonio, fissato sul principio di uguaglianza normale e

giuridico dei coniugi.

Tale principio costituzionale è stato riconosciuto, però, concretamente, in

Italia, soltanto con l’introduzione del diritto di famiglia (Legge n. 151 del

19 maggio 1975).

Esso è, però, rimasto un principio.

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La famiglia come istituzione complessa

La famiglia italiana

La riforma del diritto di famiglia avrebbe, infatti, dovuto demolire la

posizione egemone del marito sulla moglie, all’interno della famiglia, e

dell’uomo sulla donna, all’interno della società.

Le cose non sono, invece, andate così.

Esiste ancora, all’interno delle famiglie, una divisione dei ruoli.

Solo le coppie più giovani sono riuscite ad attuare una certa parità.

In alcune famiglie la donna vive una situazione ancora più gravosa di

quella precedente alla Legge n. 151 del 1975.

Svolge spesso un doppio lavoro: insegna, fa l’impiegata, lavora in fabbrica

e contemporaneamente fa la casalinga.

La cultura italiana, poi, gioca un ruolo decisivo nell’ostacolare

l’emancipazione della donna.

Il lavoro delle donne è, perciò, diventato, nonostante le migliori intenzioni

e i buoni propositi giuridici, un problema complesso.

Esso non può essere ricondotto soltanto a valutazioni di tipo economico,

perché ha anche un forte risvolto psicologico.

Le donne stanno, pertanto, ripensando, nelle società, tecnologicamente

avanzate, ai loro ruoli e ai loro status sociali, abbandonando il lavoro

extradomestico e rinunciando, per ritornare a svolgere il ruolo di madre e

di casalinga, a professioni di elevato status sociale.

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La famiglia come istituzione complessa

La famiglia italiana

All’art. 30 la Costituzione italiana ribadisce anche il diritto-dovere dei

genitori di “mantenere, istruire e educare i figli”.

Tale disposizione giustamente obbliga il padre e la madre ad assicurare ai

propri figli le condizioni minime per costruirsi una vita migliore non solo

attraverso un adeguato e sano sviluppo fisico, ma anche attraverso

l’istruzione e l’educazione.

Oggi, tuttavia, i giovani non hanno, in generale, una guida o punti di

riferimento adeguati; il modo di vivere, i valori e le preoccupazioni

professionali dei genitori determinano rapporti conflittuali all’interno

delle famiglie e acuiscono le forti tensioni tra genitori e figli.

Tale situazione si riscontra soprattutto nelle relazioni interpersonali e

nella comunicazione; anzi, la famiglia è protesa, nella società

contemporanea, a produrre i surrogati del modo di vivere individuale,

ovverosia la produzione materiale.

Le discussioni si stanno, per tale motivo, accentrando sul ruolo femminile

nella società: la donna sta ripensando al proprio ruolo e al proprio status

sociale, acquisiti recentemente, per riappropriarsi di quelli di moglie e di

madre.

La famiglia nucleare, nella società complessa, presenta numerose

disfunzioni, che, per le giovani coppie, producono, per la perdita, come si

diceva nell’introduzione, delle funzioni tradizionali e per la fragilità

psicologica, il rischio di non sopportare la responsabilità e il peso del

matrimonio.

Dipartimento di Psicologia – docente Pietro Boccia - Pedagogia sociale: La complessità e l’autonomia delle istituzioni (famiglia e

scuola)

La famiglia come istituzione complessa

Famiglia nucleare e rischi

Le funzioni tradizionali, che tenevano ingessato il rapporto di coppia, sono

state assunte da altre istituzioni (la funzione economica è stata assunta

dall’industria; la funzione educativa è stata acquisita dalla scuola; la

funzione sanitaria è stata assunta dagli ospedali; la funzione per

l’assistenza è stata acquisita dalle associazioni di solidarietà; la funzione

protettiva è stata assunta dallo Stato; la funzione comunicativa è stata

espugnata dai mass media, e così via).

La famiglia nucleare, oggi, svolge solo la funzione affettiva.

I suoi membri sono costretti a vivere in modo precario e provvisorio i

rapporti interpersonali e sociali.

Nel momento in cui tale funzione viene, infatti, a mancare (uno dei due

membri non ami più l’altro), il nucleo familiare, non potendo fare

affidamento su altre funzioni, come avveniva nella famiglia tradizionale, è

costretto a disgregarsi. Le separazioni e i divorzi, perciò, nell’attuale

società, sono all’ordine del giorno.

I membri di una famiglia tradizionale potevano, in caso di bisogno,

rivolgersi a una moltitudine di parenti; nella famiglia nucleare, quando

qualcuno si ammala o incontra difficoltà, in qualsiasi campo, l’intero

nucleo familiare, non potendo contare sulla collaborazione di tutta la

parentela, entra in un grave stato di malessere e immagina che sia più

sopportabile sfuggire alle responsabilità, attraverso la separazione e

l’abbandono del tetto coniugale.

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scuola)

La scuola come modello organizzativo complesso

Un modello organizzativo complesso è anche la scuola,

vista come un sistema aperto al centro di una rete di

relazioni con il territorio.

In tale prospettiva ogni cambiamento di un elemento del

sistema si riflette sull’intera organizzazione.

Diventa vitale diventa la strategia dell’auto-organizzazione

per barcamenarsi nella società complessa e per operare

nelle scuole, come modelli aperti.

L’auto-organizzazione, come:

- strategia che incoraggia la realizzazione di una rete

interna ad un modello organizzato;

- nodi costruiti sull'intelligenza delle singole persone;

- connessioni modellate sull’intelligenza distribuita;

- fenomeno, che emerge dal basso;

- spinta di tutti gli attori ad alleanze strategiche.

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scuola)

La scuola come modello organizzativo complesso

La scuola autonoma:

• è un “sistema complesso”, ad alto spessore etico-sociale;

• ha una funzione sociale e, come tale, non può essere

soggetta al mercato né pensata come una prestazione che

può andare a pareggio di bilancio. Non si può, attraverso la

scuola, tutelare l’interesse pubblico, conseguendolo con

riferimento alle prestazioni. In tal modo tale interesse si

smonta e si sostituisce con la commercializzazione di un

servizio. Con riferimento alla scuola, il diritto

amministrativo prefigura che l’interesse pubblico deve

manifestarsi tramite il diritto vissuto non come fine ma

come strumento;

• fornisce un servizio (la scuola, come servizio, deve calarsi

sui bisogni degli stakeholder);

• produce risultati attraverso la comunità educante e le

figure di sistema, in un contesto di elevata autonomia

professionale;

• racchiude una molteplicità di figure professionali

interdipendenti e non complementari.

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scuola)

La scuola come modello organizzativo complesso

Negli anni Novanta è iniziato un processo di radicale

trasformazione della pubblica amministrazione (Legge n.

241/1990, legge n. 142/1990, D.lgs. n. 29/93, Legge n.

59/1997, riforma Titolo V della Costituzione – Legge n.

3/2001 …….).

Gli assi fondamentali del cambiamento sono:

- trasparenza;

- decentramento;

- distinzione tra indirizzo politico e gestione;

- privatizzazione e amministrazione leggera;

- focalizzazione sul risultato, sul servizio e sul rapporto

costo/beneficio.

Il paradigma organizzativo da verticale diventa orizzontale

(D.lgs. n. 300/1999, Riforma dell'organizzazione del

Governo, a norma dell'articolo 11 della legge 15 marzo

1997, n. 59, e organizzazione centrale e periferica del

Ministero della pubblica istruzione).

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scuola)

La scuola come modello organizzativo complesso

Il paradigma organizzativo

Prima dell’autonomia

Paradigma verticale (dal centro alla periferia)

- preside – docente – segretario – bidello;

- gestione e controllo del Ministero;

- cultura di tipo autoreferenziale;

- adempimenti svolti sul riconoscimento.

Con l’Autonomia

Paradigma circolare e orizzontale

- D.S.– Docenti – Dsga – assistenti amministrativi –

collaboratori scolastici – risorse esterne;

- si ha la valorizzazione della cultura e delle risorse delle

istituzioni scolastiche e dei contesti territoriali.

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scuola)

La scuola come modello organizzativo complesso

La scuola autonoma è:

- ambiente di apprendimento organizzato

- valorizzazione di esperienze e conoscenze

- apprendimento collaborativo e cooperativo

- consapevolezza del proprio ruolo e della propria

funzione

- esplorazione, ricerca e scoperta

- attivazione di percorsi e di sinergie

Variabili della progettazione organizzativa

La progettazione organizzativa va affrontata in stretta

correlazione anche con le variabili:

1. ambiente;

2. obiettivi che si vogliono perseguire.

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scuola)

La scuola come modello organizzativo complesso

Ambiente

Dell’ambiente, per la valenza etico-sociale della scuola e la specificità del servizio

erogato, sono da considerare i seguenti fattori:

• esigenze di apprendimento a livello cognitivo, emotivo e relazionale degli

alunni/studenti;

• richieste che le strutture sovraordinate e le Istituzioni sottopongono alle istituzioni

scolastiche (valenza nazionale e territoriale della missione);

• bisogni e aspirazioni delle famiglie e degli stakeholder;

• istanze, sfide e stimoli del contesto sociale;

• esigenze del mercato locale e delle attività produttive;

• presenza di concorrenti reali e potenziali che offrono servizi formativi sullo stesso

segmento di mercato.

Obiettivi

Gli obiettivi devono essere:

• “temporizzati” e misurabili;

• definiti per dare corpo e concretezza alla finalità e alla missione dell’istituzione

scolastica;

• elaborati dalle diverse componenti della scuola coinvolgendo anche i soggetti

istituzionali, le forze sociali e le associazioni culturali;

• centrati sul focus del tipo di scuola che si intende realizzare;

• focalizzati sul rapporto con il territorio;

• calati sul sistema di valori da prospettare;

• formulati sulle competenze che si vogliono promuovere e sviluppare.

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scuola)

La scuola come modello organizzativo complesso

Autonomia e risposte formative come sfida alla complessità

L’autonomia implica, nel suo sviluppo, modelli organizzativi con forti

innovazioni e, in parte, tarati sulla specificità delle istituzioni scolastiche.

L’autonomia comporta differenze e varietà di modelli dell’offerta

formativa perché l’utenza, nelle istituzioni autonome, è centrale.

Le risposte formative devono, nelle organizzazioni autonome, essere

personalizzate e conformi:

• all’equità

• all’efficacia

• all’efficienza

• La sfida formativa ha una valenza etica, basata sulle relazioni umane e

una ecologica, fondata sulla relazione con l’ambiente.

• La sfida formativa ha, come obiettivo, la costruzione di una società

migliore attraverso le generazioni future.

Bisogna, perciò, cogliere i problemi globali e vitali, superare gli

apprendimenti frammentati, sviluppare una forma mentis atta a

contestualizzare gli apprendimenti significativi.

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scuola)

La scuola come modello organizzativo complesso

Autonomia e risposte formative come sfida alla complessità

Per Edgar Morin i sette saperi indispensabili per

l’educazione dell’uomo futuro sono:

- capacità della conoscenza: l’errore e l’illusione;

- principi di una conoscenza pertinente;

- condizione umana;

- insegnare l’identità terrestre;

- affrontare le incertezze;

- insegnare la comprensione;

- etica del genere umano.

Per Morin è necessario che l’educazione pensi a “una testa

ben fatta e non una testa ben piena”.

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scuola)

La scuola come modello organizzativo complesso

L’autonomia scolastica è:

• un’esigenza, nella società complessa per far

comprendere i cambiamenti e per governarli;

• strumento e risorsa con cui adottare metodi e

metodologie di lavoro, tempi d’insegnamento, soluzioni

funzionali alla realizzazione dei Piani dell’offerta formativa

e alle esigenze di ciascun alunno;

• mettere ciascuno in condizione di raggiungere la piena

realizzazione di sé e l’acquisizione della cultura e dei valori

necessari per vivere da cittadini responsabili.

Gli attori dell’AUTONOMIA sono:

• il Parlamento;

• il M.I.U.R.;

• le scuole (studenti, dirigente scolastico, docenti,

personale ATA);

• le famiglie;

• gli Enti locali;

• il territorio;

• le reti di scuole e le associazioni culturali.

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scuola)

Autonomia scolastica e riferimenti normativi

• art. 3 del DPR n. 419/1974 – sperimentazione e innovazioni di

ordinamenti e strutture;

• dpcm del 7 giugno 1995 – schema della Carta dei servizi scolastici;

• direttiva n. 254 del 21 luglio 1995 (Carta dei servizi scolastici e Progetto

educativo d’Istituto);

• legge n. 676/96 – tutela dei dati personali;

• legge n. 59/1997 – la legge delle autonomie – art. 21: le istituzioni

scolastiche;

• d.lgs n. 281/1997 – la Conferenza Unificata Stato/Regioni;

• d.lgs n. 59/1998 – qualifica dirigenziale dei capi di istituto;

• d.lgs n. 112/1998 – nuovi poteri a Regioni ed Enti Locali;

• dpr n. 275/1999 – l’autonomia delle istituzioni scolastiche;

• d.lgs n. 300/1999 recante “Riforma dell'organizzazione del governo, a

norma dell'articolo 2 della legge 15 marzo l997, n. 59;

• d.i. n. 44/2001 - regolamento di contabilità;

• legge n. 3/2001 – il nuovo Titolo V e il Sistema educativo nazionale di

Istruzione e Formazione Con la riforma del Titolo V della Costituzione

l’autonomia scolastica ha addirittura assunto costituzionalmente il rango

di sistema policentrico;

• legge n. 107/2015.

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scuola)

Art. 21 – Legge n. 59/1997 e autonomia

I principi dell’art. 4, comma 3 della legge n. 59/1997.

L’art. 4, comma 3, stabilisce che i conferimenti di funzioni di cui ai commi

1 e 2 avvengono nell'osservanza dei seguenti princìpi fondamentali:

• il principio di sussidiarietà;

• il principio di completezza;

• il principio di efficienza e di economicità;

• il principio di cooperazione tra Stato, Regioni ed Enti locali anche al fine

di garantire un'adeguata partecipazione alle iniziative adottate

nell'ambito dell'Unione europea;

• i princìpi di responsabilità e unicità dell'amministrazione;

• il principio di omogeneità;

• il principio di adeguatezza;

• il principio di differenziazione nell'allocazione delle funzioni;

• il principio della copertura finanziaria e patrimoniale dei costi;

• il principio di autonomia organizzativa e regolamentare;

• il principio di responsabilità degli enti locali nell'esercizio delle funzioni e

dei compiti amministrativi ad essi conferiti.

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scuola)

DPR 8 marzo 1999, n. 275, e autonomia scolastica

Il DPR n. 275 (8 marzo 1999) è un regolamento, recante le

norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche

ai sensi dell’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59.

DPR n. 275/1999 e l’autonomia funzionale – art. 1

Art. 4 - Autonomia didattica - DPR n. 275/1999

Le scuole ……… “concretano gli obiettivi nazionali in

percorsi formativi funzionali alla realizzazione del diritto ad

apprendere e alla crescita educativa di tutti gli alunni,

riconoscono e valorizzano le diversità, promuovono le

potenzialità di ciascuno, adottando tutte le iniziative utili al

raggiungimento del successo formativo”.

Nel secondo comma si stabilisce, per realizzare

l’autonomia didattica, anche che nell’esercizio

“dell’autonomia didattica le istituzioni scolastiche regolano

i tempi dell’insegnamento e dello svolgimento delle singole

discipline e attività nel modo più adeguato al tipo di studi e

ai ritmi di apprendimento degli alunni”.

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scuola)

Art. 4 – Autonomia didattica e flessibilità

• l’articolazione modulare del monte/ore annuale di ciascuna

disciplina e attività;

• la definizione di unità d’insegnamento non coincidenti con

l’unità oraria della lezione e l’utilizzazione, nell’ambito del

curricolo obbligatorio di cui all’articolo 8, degli spazi orari residui;

• l’attivazione di percorsi didattici individualizzati, nel rispetto del

principio generale dell’integrazione degli alunni nella classe e nel

gruppo, anche riguardo agli alunni in situazione di handicap

secondo quanto previsto dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104;

• l’articolazione modulare di gruppi di alunni provenienti dalla

stessa o da diverse classi o da diversi anni di corso;

• l’aggregazione delle discipline in aree e ambiti disciplinari;

• percorsi formativi che coinvolgono più discipline e attività

nonché insegnamenti in lingua straniera in attuazione di intese e

accordi internazionali;

• realizzazione di iniziative di recupero e sostegno, di continuità e

di orientamento scolastico e professionale;

• la scelta, l'adozione e l'utilizzazione delle metodologie e degli

strumenti didattici sono coerenti con il Piano dell'offerta

formativa.

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scuola)

Art. 5 - Autonomia organizzativa - DPR n. 275/1999

Le scuole adottano:

• modalità organizzativa che sia espressione di libertà

progettuale e sia coerente con gli obiettivi generali e specifici di

ciascun tipo e indirizzo di studio, curando la promozione e il

sostegno dei processi innovativi e il miglioramento dell’offerta

formativa;

• adattamenti del calendario scolastico in relazione alle esigenze

del Piano dell’offerta formativa, nel rispetto delle funzioni in

materia di determinazione del calendario scolastico esercitate

dalle Regioni a norma dell’articolo 138, comma 1, lettera d) del

decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112;

• flessibilità dell’orario complessivo del curricolo e quello

destinato alle singole discipline e attività sono organizzati in

modo flessibile, anche in conformità a una programmazione

plurisettimanale;

• modalità d’impiego dei docenti diversificate nelle varie classi e

sezioni in funzione delle eventuali differenziazioni nelle scelte

metodologiche e organizzative adottate nel piano dell’offerta

formativa.

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scuola)

Art. 6 - Autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo - DPR

n. 275/1999

Le istituzioni scolastiche, singolarmente o tra loro associate,

esercitano:

• la progettazione formativa e la ricerca valutativa;

• la formazione e l’aggiornamento culturale e professionale del

personale scolastico;

• l’innovazione metodologica e disciplinare;

• la ricerca didattica sulle diverse valenze delle tecnologie

dell’informazione e della comunicazione e sulla loro integrazione

nei processi formativi;

• la documentazione educativa e la sua diffusione all’interno

della scuola;

• gli scambi di informazioni, esperienze e materiali didattici;

• l’integrazione fra le diverse articolazioni del sistema scolastico

e, d’intesa con i soggetti istituzionali competenti, fra i diversi

sistemi formativi, ivi compresa la formazione professionale.

Dipartimento di Psicologia – docente Pietro Boccia - Pedagogia sociale: La complessità e l’autonomia delle istituzioni (famiglia e

scuola)

Art. 7 - Reti di scuole - DPR n. 275/1999

Le scuole operano:

• accordi di rete per il raggiungimento della finalità istituzionali.

Gli accordi di rete possono:

- avere, come oggetto, le attività didattiche di:

a. ricerca, sperimentazione e sviluppo;

b. formazione e aggiornamento;

c. amministrazione e contabilità……

- prevedere uno scambio temporaneo di docenti;

- istituire laboratori finalizzati a:

1. ricerca didattica e sperimentazione;

2. documentazione, anche attraverso rete telematica, di

ricerche, esperienze, materiali e informazioni;

3. formazione in servizio del personale scolastico;

4. orientamento scolastico e professionale.

Dipartimento di Psicologia – docente Pietro Boccia - Pedagogia sociale: La complessità e l’autonomia delle istituzioni (famiglia e

scuola)

Art. 8 (DPR n. 275/1999) e quota di autonomia

• livello nazionale 33%, livello regionale 33% e livello dell’istituzione

scolastica 33%.

Art. 3 del Decreto Ministeriale 26 giugno 2000, n. 234:

• quota nazionale 85% e quota riservata alle istituzioni scolastiche 15%.

D.M. 28 dicembre 2005:

• quota nazionale 80% e quota dell’autonomia 20%).

Articolo unico del Decreto Ministeriale

n. 47/2006:

Il D.M. 28 dicembre 2005, relativo alla quota del 20% dei curricoli rimessa

all'autonomia delle istituzioni scolastiche, nelle more delle procedure di

formalizzazione, produce i suoi effetti con riferimento agli ordinamenti

vigenti e ai relativi quadri orari, nei singoli ordini d’istruzione secondaria

superiore.

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scuola)

Autonomia e flessibilità

• Le istituzioni del primo ciclo (autonomia del 20%).

• I licei (autonomia del 20% nel primo biennio, flessibilità

del 30% nel secondo biennio e del 20% al quinto anno).

• Gli istituti tecnici (autonomia del 20% nel primo biennio,

flessibilità del 30% nel secondo biennio e del 35% al quinto

anno).

• Gli istituti professionali (autonomia del 20% nel primo

biennio con il 25% di flessibilità nel primo biennio, il 35%

nel secondo biennio e il 40% al quinto anno).

Gli spazi di flessibilità sono riservati esclusivamente alle

aree di indirizzo e si possono aggiungere alle quote di

autonomia.

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scuola)

Analogie e differenze tra Piano dell’offerta formativa e Piano triennale

dell’offerta formativa

1. POF (Piano dell’offerta formativa)

Le fasi, per la realizzazione del Pof (art. 3 del D.P.R. n. 275/1999), sono:

• documentazione e analisi (bisogni e risorse);

• elaborazione;

• definizione delle attività corrispondenti ai bisogni;

• identificazione delle funzioni e degli obiettivi;

• determinazione dei ruoli e delle attività (chi, cosa, come, quando);

• produzione di nuova documentazione;

• approvazione (Collegio dei docenti);

• adozione (Consiglio d’istituto);

• pubblicazione (Albo e Sito Web dell’Istituto);

• pubblicizzazione (interna ed esterna – studenti, famiglie, territorio);

• esecuzione, verifica, documentazione, valutazione, trasparenza e

responsabilità (accountability, customer satisfaction).

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scuola)

Analogie e differenze tra Piano dell’offerta formativa e Piano triennale

dell’offerta formativa

2. PTOF (Piano triennale dell’offerta formativa)

Le fasi per la realizzazione del Ptof (art. 1, commi 12,13 e 14 della legge

n. 107/2015):

• documentazione e analisi (bisogni e risorse);

• elaborazione da parte del Collegio dei docenti sulla base degli indirizzi

per le attività della scuola e delle scelte di gestione e di amministrazione

definiti dal dirigente scolastico;

• definizione delle attività corrispondenti ai bisogni;

• identificazione delle funzioni e degli obiettivi;

• determinazione dei ruoli e delle attività (chi, cosa, come, quando);

• produzione di nuova documentazione;

• approvazione (Consiglio d’istituto);

• adozione (Dirigente scolastico);

• pubblicazione (Albo e SitoWeb dell’Istituto);

• pubblicizzazione (interna ed esterna – studenti, famiglie, territorio);

• esecuzione, verifica, documentazione, valutazione, trasparenza e

responsabilità (accountability, customer satisfaction).

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scuola)

L’evoluzione normativa dell’autonomia scolastica

L’autonoma per tutti e per ciascuno è stato il principio

ispiratore delle riforme che hanno interessato la scuola

italiana:

• legge n. 30 del 2000;

• legge n. 53 del 2003 e i decreti attuativi;

• legge n. 133/2008;

• legge n. 169/2009;

• d.p.r. nn. 87, 88 e 89/2010;

• legge n. 111/2011;

• direttiva ministeriale n. 254/2012;

• legge n. 107/2015.

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scuola)

Costituzionalizzazione dell’autonomia e legge

n. 3/2001

Prima della legge n. 3/2001

• legge n. 59/1997;

• d.lgs. n. 112/1998;

• d.p.r. n. 275/1999;

• d.lgs n. 300/1999;

• legge costituzionale n. 3/2001.

Dopo la legge n. 3/2001

• legge n. 42/2009 (Federalismo fiscale).

Il nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le

autonomie territoriali delineato dalla legge n. 42 è incentrato sul

superamento del sistema di finanza derivata e sull’attribuzione di

una maggiore autonomia di entrata e di spesa agli enti decentrati,

nel rispetto dei principi di solidarietà, riequilibrio territoriale e

coesione sociale sottesi al sistema costituzionale italiano.

La legge n. 42/2009 distingue le spese che investono i diritti

fondamentali di cittadinanza, quali sanità, assistenza e istruzione

e quelle inerenti le funzioni fondamentali degli enti locali.

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scuola)

La Riforma del tit. V della Costituzione

Legge Costituzionale n. 3/2001

Costituzione:

L’art. 114 della Costituzione afferma: la Repubblica si riparte in

Regioni, Province e Comuni

Legge Costituzionale n. 3/2001:

L’art. 114 è sostituito nella Legge Costituzionale n. 3/2001 con la

dicitura:

“La Reppubblica è costituita dai Comuni, dalla Province, dalle

Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”.

L’art. 117 stabilisce: La potestà legislativa è esercitata dallo Stato

e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli

derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi

internazionali.

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Potestà esclusiva dello Stato

Lo Stato italiano, in base all’art. 117 della legge n. 3/2001, ha potestà

esclusiva in:

• norme generali sull’istruzione (art. 117, comma 2 lett. n);

• principi fondamentali (art. 117, comma 3);

• livelli essenziali delle prestazioni (art. 117, comma 2 lett. m).

Potestà concorrente in:

- istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche (art. 117,

comma 3).

Potestà esclusiva della Regioni

Le Regioni, secondo la legge n. 3/2001, hanno potestà esclusiva in

istruzione e formazione professionale (art. 117, comma 4).

La potestà regolamentare

•allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salvo delega alle

Regioni;

•alle Regioni in ogni altra materia;

•ai Comuni, alle Province e alle Città metropolitane in ordine alla

disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro

attribuite.

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Costituzionalizzazione dell’autonomia e legge n. 3/2001

Prima della legge n. 3/2001:

• legge n. 59/1997;

• d.lgs. n. 112/1998;

• d.p.r. n. 275/1999;

• d.lgs n. 300/1999;

• legge costituzionale n. 3/2001.

Dopo la legge n. 3/2001:

• legge n. 42/2009 (Federalismo fiscale).

Il nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le

autonomie territoriali delineato dalla legge n. 42 è incentrato sul

superamento del sistema di finanza derivata e sull’attribuzione di

una maggiore autonomia di entrata e di spesa agli enti decentrati,

nel rispetto dei principi di solidarietà, riequilibrio territoriale e

coesione sociale sottesi al sistema costituzionale italiano.

La legge n. 42/2009 distingue le spese che investono i diritti

fondamentali di cittadinanza, quali sanità, assistenza e istruzione

e quelle inerenti le funzioni fondamentali degli enti locali.

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scuola)

La Riforma del tit. V della Costituzione - Legge Costituzionale n. 3/2001

Costituzione:

L’art. 114 della Costituzione afferma: la Repubblica si riparte in Regioni,

Province e Comuni.

Legge Costituzionale n. 3/2001

L’art. 114 è sostituito nella Legge Costituzionale n. 3/2001 con la dicitura:

“La Reppubblica è costituita dai Comuni, dalla Province, dalle Città

metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”.

L’art. 117 stabilisce: La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle

Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti

dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

Potestà esclusiva dello Stato

Lo Stato italiano, in base all’art. 117 della legge n. 3/2001, ha potestà

esclusiva in:

• norme generali sull’istruzione (art. 117, comma 2 lett. n);

• principi fondamentali (art. 117, comma 3);

• livelli essenziali delle prestazioni (art. 117, comma 2 lett. m).

Potestà concorrente in:

• istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche (art. 117,

comma 3).

Potestà esclusiva della Regioni

Le Regioni, secondo la legge n. 3/2001, hanno potestà esclusiva in

istruzione e formazione professionale (art. 117, comma 4).

Dipartimento di Psicologia – docente Pietro Boccia - Pedagogia sociale: La complessità e l’autonomia delle istituzioni (famiglia e

scuola)

La potestà regolamentare

•allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salvo delega alle

Regioni;

•alle Regioni in ogni altra materia;

•ai Comuni, alle Province e alle Città metropolitane in ordine alla

disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro

attribuite.

Istruzione e formazione professionale (Art. 13 della Legge n. 40/2007)

Disposizioni urgenti in materia di istruzione tecnico-professionale e di valorizzazione

dell'autonomia scolastica.….

1. Fanno parte del sistema dell'istruzione secondaria superiore, di cui al decreto

legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, e successive modificazioni, i licei, gli istituti

tecnici e gli istituti professionali, di cui all'articolo 191, comma 2, del testo

unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, tutti finalizzati al

conseguimento di un diploma di istruzione secondaria superiore.

Libro adottato

Sergio Tramma, La pedagogia sociale, Guerini scientifica, Milano 2010

Libri consigliati

Pietro Boccia, la Buona scuola, Anicia edizioni, Roma 2015

Pietro Boccia, Avvertenze generali per il concorso a cattedra nelle scuole

secondarie di secondo grado. Maggioli editore, Rimini 2018

Pietro Boccia, Lezioni simulate per la prova orale, Maggioli editore, Rimini

2018

Pietro Boccia, Competenze, metodologie e tecnologie didattiche, Maggioli

editore, Rimini 2018