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Atti del Congresso Atti del Congresso XXXIV CONGRESSO NAZIONALE XXXIV CONGRESSO NAZIONALE “LA NUTRIZIONE UMANA OGGI TRA TECNOLOGIA E PREVENZIONERiccione (RN), 8-10 novembre 2006 S I N U SOCIETÀ ITALIANA DI NUTRIZIONE UMANA ONLUS Con il patrocinio di: Alma Mater Studiorum - Università di Bologna Federazione Società Italiane di Nutrizione (FeSIN) Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN) Regione Emilia Romagna Comune di Riccione La SINU fa parte della FeSIN Onlus (Federazione delle Società Italiane di Nutrizione)

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Atti del CongressoAtti del Congresso

XXXIV CONGRESSO NAZIONALEXXXIV CONGRESSO NAZIONALE “LA NUTRIZIONE UMANA OGGI

TRA TECNOLOGIA E PREVENZIONE”

Riccione (RN), 8-10 novembre 2006

S I N U SOCIETÀ ITALIANA DI NUTRIZIONE UMANA

ONLUS

Con il patrocinio di: Alma Mater Studiorum - Università di Bologna

Federazione Società Italiane di Nutrizione (FeSIN) Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN)

Regione Emilia Romagna Comune di Riccione

La SINU fa parte della FeSIN Onlus (Federazione delle Società Italiane di Nutrizione)

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XXXIV CONGRESSO NAZIONALEXXXIV CONGRESSO NAZIONALE

“LA NUTRIZIONE UMANA OGGI

TRA TECNOLOGIA E PREVENZIONE”

Riccione (RN), 8-10 novembre 2006

AATTITTI DELDEL C CONGRESSOONGRESSO

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PRESENTAZIONE

La Nutrizione Umana è una scienza complessa che coinvolge professionisti con competenze diverse, ma con il comune obiettivo di ottimizzare le funzioni fisiologiche dell’organismo, mantenendo lo stato di salute ed il benessere dell’individuo. Il grande interesse per questa materia, non solo in ambito scientifico ma anche di popolazione, porta alla necessità di aggiornare le conoscenze presenti con lo sguardo, però, rivolto al futuro. Con questa intenzione il Congresso Nazionale SINU si rivolge a tutti gli operatori del campo dell’alimentazionealimentazione e della nutrizione umana nutrizione umana e a tutti gli studiosi ed esperti di nutrizione clinica, offrendo opportunità di aggiornamento integrato a medici, dietisti, biologi, tecnologi alimentari e farmacisti.

Presidenti Pierluigi Biagi

Giovannangelo Oriani Gianpaolo Salvioli

Comitato Scientifico Marisa Porrini

Luca Scalfi Andrea Ghiselli Carlo Agostoni

Alessandra Bordoni Paolo De Cristofaro

Paola Porcella Laura Rossi

Comitato Organizzatore

Nino Battistini Furio Brighenti

Magda Maranesi Alessandra Bordoni Nicoletta Pellegrini

Segreteria Scientifica Alessandra Bordoni

Centro Ricerche sulla Nutrizione Dipartimento di Biochimica “G. Moruzzi”

Via Irnerio, 48 - 40126 Bologna Tel 051 2091227 - Fax 051 2091235 E-mail: [email protected]

Segreteria Organizzativa

Promo Leader Service Congressi Srl Via della Mattonaia 17, 50121 Firenze Tel 055 2462201 - Fax 055 2342929

E-mail: [email protected]

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09.30-13.00 CONVEGNO SATELLITE Nuove tecnologie per nuovi alimenti Coordinato insieme al Campus di Scienze degli Alimenti, Facoltà di Agraria, Università di Bologna (sede di Cesena) Introduzione ai lavori Moderatori e Discussant: G. Lercker, P. Biagi G. Tomassi L’innovazione tecnologica nel miglioramento della qualità alimentare E. Marconi “Vecchi cereali” per nuovi alimenti: aspetti tecnologico-nutrizionali M.E. Guerzoni Progettazione di alimenti funzionali tramite l’applicazione di nuove tecnologie microbiologiche M. Dalla Rosa Innovazione di prodotto e “disegno” di nuovi alimenti secondo l’approccio PAN (Preferenza, Accettabilità, Necessità) L. Piergiovanni Il ruolo dei materiali e delle tecniche di confezionamento per la garanzia di sicurezza e qualità degli alimenti A. Bordoni Il ruolo della nutrizione e la formazione del nutrizionista in facoltà di Agraria

Mercoledì 8 novembre

PROGRAMMA

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15.00-17.00 SESSIONE PLENARIA Alimenti ed Health Claims: indicazioni per il futuro Introduzione: D. Rossi Moderatori e Discussant: G. Oriani, F. Contaldo M. Porrini La promozione della salute dalla fortificazione agli health claims F. Brighenti Problematiche legate al corretto utilizzo degli health claims nutrizionali e salutistici M. Campieri Una lunga storia: i prebiotici F. Visioli Una storia recente: i fitosteroli

17.00-17.30 Intervallo caffè

17.30-19.00 TAVOLA ROTONDA La ristorazione collettiva ospedaliera Moderatori e Discussant: M. Dalla Rosa, S. Ciappellano Partecipano: L. Donini, R. Guidetti, C. Lesi, M.L. Masini, A. Montanari

17.30-19.00 SESSIONE PARALLELA Caffè e sistema cardiovascolare Moderatori e Discussant: G.F. Gensini, A. D’Amicis A.A. Conti Consumo di caffè e cardiopatie: una meta-analisi C. Borghi Caffè e ipertensione F. Natella Composti fenolici del caffè nella prevenzione delle malattie cardiovascolari

19.00 ASSEMBLEA DEI SOCI

20.00 Cocktail party di benvenuto

14.30-15.00 INAUGURAZIONE DEL CONGRESSO

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08.30-09.30 LETTURA SINU Presentazione: G. Testolin A. Trichopoulou Traditional Mediterranean Diet and Lifestyle

09.30-11.15 TAVOLA ROTONDA Le proteine nella dieta: quante e perché? Moderatori e Discussant: C. Cannella, A. Ghiselli Partecipano: M. Giampietro, L. Luzi, F. Pasqui, I. Zavaroni

11.15-11.45 Intervallo caffè

11.45-13.15 TAVOLA ROTONDA Attività fisico-metabolica come strumento di prevenzione e terapia Moderatori e Discussant: G. Gentile, M. Giampietro Partecipano: A.M. Bargossi, P. De Cristofaro, P. De Feo, A. Pietrobelli

11.45-13.15 SESSIONE PARALLELA Alimentazione e ipertensione arteriosa Moderatori e Discussant: P. Strazzullo, C. Roggi C. Leclercq Come ridurre l’eccesso di sodio nell’alimentazione italiana A. Siani Sovrappeso, obesità e pressione arteriosa F. Veglio Fisiopatologia del rapporto elettroliti e parete arteriosa

14.30-16.00 TAVOLA ROTONDA Prima colazione e corretti stili alimentari Moderatori e Discussant: M. Maranesi, R. Mattei Partecipano: L. Benini, P. Riso, L. Scalfi, F. Scazzina

Giovedì 9 novembre

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14.30-16.00 SESSIONE PARALLELA Fabbisogni nutrizionali in età evolutiva Moderatori e Discussant: A. Carcassi, G. Salvioli G. Banderali L’allattamento al seno in Italia, oggi G. Faldella Fabbisogni nutrizionali di zinco nei primi anni di vita A. Vania Fibra alimentare e adolescenza

16.00-16.20 AGGIORNAMENTO TEMATICO M.L. Petroni Abitudini alimentari e motilità intestinale: aspetti metodologici ed evidenze cliniche

16.20-16.45 Intervallo caffè

16.45-18.30 SESSIONI PARALLELE Comunicazioni orali

Sessione 1. Sovrappeso e obesità Moderatori e Discussant: A. Casini, A. Battezzati Sessione 2. Componenti bioattivi degli alimenti Moderatori e Discussant: L. Avigliano, G. Galvano Sessione 3. Valutazione dello stato di nutrizione e dei consumi alimentari Moderatori e Discussant: P. Pecoraro, U. Muraca

Poster

Moderatori e Discussant: N. D’Orazio, B. Dragani, F. Ferretti, M. Peretti, P. Porcella, L. Rossi, G. Salvatori, S. Salvini, P. Simonetti, A. Tagliabue

18.30-20.30 ASSEMBLEA DEI SOCI

21.00 Cena Sociale

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08.30-9.30 LETTURA FeSIN Presentazione: V. Silano A. Franchini Food for life. La piattaforma tecnologica italiana

09.30-10.30 PREMIAZIONI E CHIUSURA DEL CONGRESSO

10.30-11.00 Intervallo caffè

11.00-13.30 SESSIONE PLENARIA G. Oriani LARN: nuove prospettive Gli acidi grassi n-3 Moderatori e Discussant: G. Rotilio, N.C. Battistini A. Bordoni Il fabbisogno metabolico di acidi grassi n-3 C. Agostoni Fabbisogni di acidi grassi n-3 e DHA in gravidanza ed età evolutiva C. Rapezzi Gli acidi grassi n-3 nella clinica cardiovascolare F. Marangoni Livelli di acidi grassi in un campione della popolazione italiana ed effetti della supplementazione con omega 3 in diverse matrici

Venerdì 10 novembre

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14.30-14.45 Presentazione del Corso G. Oriani, G. Tarsitani

14.45-18.30 I sessione: I MODELLI Moderatori: G. Tarsitani, G. Cairella M. Palazzi - I modelli di riferimento per l’educazione e la promozione della salute M. Caroli - Framework per la prevenzione dell’obesità e sorveglianza nutrizionale Lavoro di gruppo: modelli nutrizionali e di stili di vita per la prevenzione dell’obesità V. del Balzo - Densità energetica della dieta L. Fabiani - Attività fisica L. Rossi - Frutta e verdura Presentazione dei lavori e discussione

Giovedì 9 novembre

ATELIER CONGIUNTO SINU-AIES-CIPES: L’EDUCAZIONE ALLA SALUTE PER LA PREVENZIONE DELL’OBESITÀ

Organizzatori PROF. GIANFRANCO TARSITANI, II Università degli studi Roma “La Sapienza”; Presidente Associazione Italiana per l’Educazione Sanitaria – AIES; Presidente Confederazione Italiana per la Promozione della Salute e l’Educazione Sanitaria – CIPES - DOTT.SSA GIULIA CAIRELLA, Area Nutrizione ASL RMB, Roma; Centro Studi Alimentazione e Riabilitazione – IRCCS Fondazione S. Lucia, Roma; Gruppo tematico educazione alimentare SINU

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9.30-11.00 II Sessione: LA VALUTAZIONE Moderatori: L. Fabiani, P. De Cristofaro G. Tarsitani - Valutare in educazione alla salute G. Cairella - Le prove di efficacia per la prevenzione dell’obesità: certezze, limiti e prospettive. Setting scuola, luogo di lavoro, comunità

11.00-13.30 III sessione: LE STRATEGIE Moderatori: A. Vania, D. Del Rio A. Suglia L’esperienza del laboratorio alimentazione DoRS A. Albertini - Counselling ed empowerment D. D’Addesa - Educazione Nutrizionale e al gusto R. Serafin - Scenari di educazione alla salute nel progetto europeo PIPS - Personalized Information Platform for life and health Services A. Morandi - Applicazione di strumenti tecnologicamente avanzati per l’educazione alla salute

13.30 Test di valutazione e chiusura del corso

Venerdì 10 novembre

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INDICE

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12

R01 Innovazione tecnologica nel miglioramento della qualità alimentare G. Tomassi

20

R02 “Vecchi cereali” per nuovi alimenti: aspetti tecnologico-nutrizionali E. Marconi

21

R03 Innovazione di prodotto e "disegno" di nuovi alimenti secondo l'approccio PAN (Preferenze, Accettabilità, Necessità) M. Dalla Rosa

22

R04 Il ruolo dei materiali e delle tecniche di confezionamento per la garanzia di sicurezza e qualità degli alimenti L. Piergiovanni, L. Torri

22

R05 Il ruolo della nutrizione e la formazione del nutrizionista in facoltà di Agraria A. Bordoni

23

R06 La promozione della salute dalla fortificazione agli health claims M. Porrini

26

R07 Problematiche legate al corretto utilizzo degli health claims nutrizionali e salutistici F. Brighenti

27

R08 Una storia recente: i fitosteroli F. Visioli

27

R09 Verifica della qualità dei Servizi di Ristorazione collettiva nelle Strutture di Riabilitazione Geriatrica L.M. Donini, E. Castellaneta

30

R10 La ristorazione ospedaliera: aspetti organizzativi e progettuali R. Guidetti, A. Montanari

30

R11 La ristorazione ospedaliera come momento di promozione della salute, protezione dell’ambiente e razionalizzazione dei costi: esperienza dell’AUSL di Bologna C. Lesi, P. Beltrami, C. Giannone, E. Guberti, M.C. Chirico, P. Pesci, W. Orsi

31

R12 Consumo di caffè e cardiopatie: una meta-analisi A. Conti, F. Sofi, A.M. Gori, M.L.E. Luisi, A. Casini, R. Abbate, G.F. Gensini

33

R13 Caffè e pressione arteriosa C. Borghi

34

R14 Composti fenolici del caffè nella prevenzione delle malattie cardiovascolari F. Natella

35

R15 Le diete iperproteiche nello sport M. Giampietro, P. D’Acapito

36

R16 Le proteine nella dieta: dalla teoria alla pratica F. Pasqui

38

R17 Modulazione del bilancio pro-antiossidante nell'attività fisica A.M. Bargossi

42

R18 Attività fisica-metabolica come strumento di prevenzione e terapia P. De Feo

43

R19 Attività fisica-metabolica in età pediatrica: dalla prevenzione alla terapia A. Pietrobelli, M. Malavolti, M. Dugoni, N. C. Battistini

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RELAZIONI SU INVITO

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13

R21 Sovrappeso, obesità e ipertensione arteriosa A. Siani

46

R22 Fisiopatologia del rapporto elettroliti e parete arteriosa F. Veglio, C. Bertello, D. Naso, C. Magnino, E. Puglisi, E. Testa

46

R23 Effetto della variazione dell’indice glicemico e del carico glicemico sul dispendio energetico e sul metabolismo postprandiale F. Scazzina, E. Marcazzan, C. Miglio, D. Del Rio, N. Pellegrini, F. Brighenti

48

R24 L’allattamento al seno in Italia, oggi G. Banderali, I. Giulini Neri

50

R25 Il ruolo nutrizionale dello zinco G. Faldella

50

R26 Fibra alimentare e adolescenza A. Vania, R. Edo Papa, A. M. Caiazzo, F. Mordenti, R. Nicolai

51

R27 Abitudini alimentari e motilità intestinale: aspetti metodologici ed evidenze cliniche M.L. Petroni, F. Balzola

53

R28 Il fabbisogno metabolico di acidi grassi n-3 A. Bordoni

54

R29 Fabbisogni di acidi grassi n-3 e DHA in gravidanza ed età evolutiva C. Agostoni

55

R30 Livelli di acidi grassi in un campione della popolazione italiana ed effetti della supplementazione con acidi grassi n-3 in diverse matrici F. Marangoni, A. Poli, R. Paoletti, C. Galli

56

R31 Modelli nutrizionali e stili di vita per la prevenzione dell’obesità: attività fisica L. Fabiani, M. De Felice, F. Sette

58

R35 Educazione nutrizionale e al gusto D. D’Addesa, F. Sinesio, V. Marzi, D. Martone, F.J. Comendador, M. Peparaio, E. Moneta, V. Panetta, A. Scanu, S. Sette

62

R32 Valutare in educazione alla salute G. Tarsitani

59

R33 Le prove di efficacia per la prevenzione dell’obesità: certezze, limiti e prospettive. Setting scuola, luogo di lavoro, comunità G. Cairella, F. Garbagnati, U. Scognamiglio

59

R34 L’esperienza piemontese del laboratorio alimentazione e attività fisica. A. Suglia, E. Coffano, S. Lingua, R. Longo, S. Scarponi, C. Tortone

61

R36 Scenari di educazione alla salute nel progetto europeo PIPS – Personalized Information Platform for life and health Services R. Serafin

63

R37 Applicazione di strumenti tecnologicamente avanzati per l’educazione alla salute A. Morandi

64

R20 Come ridurre l’eccesso di sodio nell’alimentazione italiana C. Leclercq

45

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COMUNICAZIONI ORALI

C01 Obesità infantile: efficacia di un progetto educativo-nutrizionale M.R. Leonardi, P. Pecoraro, A. Colantuoni

68

C02 Trattamento multidimensionale dell’obesità: follow-up a lungo termine P. De Cristofaro, E. Xhebraj, S. Flacco, M.T. Di Bonifacio, B. Dragani

68

C03 Obesity and major depressive disorders in elderly G. Nasti, G. Prestieri, F. Nasti, I. Maresca, A. Colantuoni

69

C04 Studio della relazione tra peso desiderato, peso auspicabile e disagio psicologico I. Repossi, M. Sacchetti, O. Colombo, G. Pinelli, C. Trentani, A. Tagliabue

70

C05 Presenza di soggetti a rischio di DCA tra gli studenti della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Siena: studio pilota C. Francalanci, S. Chiassai, A. Grosso, F. Ferretti, E. Paolini, R. Mattei

70

C06 Analisi dell’evoluzione della densità nutrizionale della dieta in relazione alla prevalenza di obesità degli anni ’70 e 2000 a Bologna A. Albertini, M. Bottazzi, F. Celenza,G. Giacomoni, R. Tanas, M. Sardo Cardalano

71

C07 Influenza della porzione degli alimenti sul consumo energetico C. Berti, P. Riso, M. Porrini

71

C08 Differenze tra sessi nell’associazione tra taglia corporea e pressione arteriosa in un campione di popolazione pediatrica: il progetto ARCA G. Barba, C. Casullo, M. Loguercio, F. Lauria, P. Russo, F. Galletti, P. Strazzullo, A. Siani

72

C09 Effetto di diete ad alta e bassa capacità antiossidante totale sullo stato redox dell’organismo D. Del Rio, M. Bianchi, N. Pellegrini, S. Valtuena, F. Scazzina, C. Miglio, D. Ardigò, I. Zavaroni, F. Brighenti

73

C10 Catechine del tè verde: oltre l’attività antiossidante? F. Danesi, M. Di Nunzio, M. Malaguti, P.L. Biagi, A. Bordoni

74

C11 Biotransformation of daidzein after in vitro incubation with human microbiota C. Gardana, E. Canzi, P. Simonetti

74

C12 α-Lipoic acid supplementation modulates inflammation and extracellular matrix-proteases in non-healing wounds R. Alleva, M. Tomasetti, D. Sartini, M. Emanuelli, E. Nasole

75

C13 Effetti degli acidi grassi polinsaturi n-3 in cellule cardiache. Relazione tra modulazione della composizione lipidica e regolazione dell’espressione genica M. Di Nunzio, F. Danesi, M. Maranesi, P.L. Biagi, A. Bordoni

75

C14 Livelli significativamente inferiori di DHA nel plasma di bambini autistici sono direttamente correlati con un suo minor apporto dietetico S. Banni, G. Carta, L. Cordeddu, G. Doneddu, R. Fadda, M.P. Melis, E. Murru, P. Scano, L. Carbini, M. Peretti

76

C15 Incidenza di ipertensione arteriosa in soggetti con diversa sodio sensibilità della pressione arteriosa: risultati longitudinali dell'Olivetti Prospective Heart Study P. Strazzullo, G. Barba, A. Siani, O. Russo, L. D'Elia, M. Versiero, R. Iacone, A. Venezia, F.P. Cappuccio

77

C16 Valutazione della composizione corporea in giovani donne in sottopeso non secondario a patologie organiche M. Marra, C. Montagnese, A. Caldara, E. De Filippo, M. Musella, P. Vitaglione, F. Pasanisi, L. Scalfi, F. Contaldo

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15

C17 Valutazione dello stato di nutrizione in pazienti con pregresso ictus al ricovero in una struttura riabilitativa specializzata P. Pecoraro, G. Pagano, V. Cavalli, M.R. Serra, I. Ferrara, P. Iaccarino Idelson, S. Principato, L. Scalfi

78

C18 Consumi alimentari, uso di integratori e composizione corporea in un gruppo di sportivi non agonisti B. Mauro, L. Rossi, D. Ciarapica, M. I. Zaccaria, M. Galfo, F. Manna, A. Polito

79

C19 Rilevamento delle abitudini alimentari su un campione di bambini delle scuole elementari del territorio di Parma R. Moruzzi, N. Pellegrini, D. Del Rio, F. Scazzina, C. Miglio, F. Brighenti

79

C20 Indagine sulle conoscenze nutrizionali e abitudini alimentari dei bambini e delle famiglie di un comune delle Marche L. Saturni, G. Ferretti, S. Masciangelo

80

C21 Adherence to a Healthful Life attenuates Lipid Parameters Among a Healthy Italian Population F. Sofi, A.M. Gori, F. Cesari, G. Innocenti, C. Dini, S. Genise, R. Abbate, G.F. Gensini, C. Surrenti, A. Casini

80

C22 Baby Food: come migliorarne l’utilizzo e endere l’etichetta non solo informativa, anche educativa C. Sorino, A. Vania, F. Mordenti, C. Cannella

81

C23 Girotondo, girotondo…biscotti e merende a confronto! M. Cardone, M. Cammina, M. Caroli

82

POSTER P01 Effetto del beta-sitosterolo contro la perossidazione lipidica delle lipoproteine a bassa densità

(LDL) T. Bacchetti, S. Masciangelo, G. Ferretti

84

P02 Cyanidine-3-glucoside enhances glucose uptake in 3T3-l1 adipocytes counteracting the impairment of GLUT4 activity induced by oxidised LDL F. Galvano, B. Scazzocchio, R. Masella, C. Santangelo, M. D’Archivio

84

P03 Danno ossidativo e processi infiammatori: studio nell’obesità umana T. Bacchetti , S. Masciangelo, G. Ferretti

85

P04 Effetti dell’IGF-1 come induttore di stress ossidativo in fibroblasti umani M. Malaguti, A. Lorenzini, PL. Biagi, C. Sell

86

P05 Un metodo innovativo per la determinazione dell’attività antiossidante totale in matrici alimentari basato sull’utilizzo dell’enzima Lipossigenasi D. Pastore, D. Tozzi, M.N. Laus, M. Soccio, V. Fogliano, Z. Flagella

87

P06 In vitro absorption of anthocyanins present in wild blueberry (Vaccinium angustifolium) powder S. Ciappellano, C. Gardana, F. Galvano, D. Klimis-Zacas

87

P07 Flavonoids as bioactive components of food: influence of the 7-O-glycosilation on antioxidant activity of flavanones D. Di Majo, M. La Guardia, E. Tripoli, S. Giammanco, M. Giammanco

88

P08 Studio dell’effetto protettivo del consumo di broccoli S. Guarnieri, P. Riso, A. Brusamolino, M. Porrini

88

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16

P09

Effetto della cottura sulle qualità nutrizionali dei broccoli C. Miglio, N. Pellegrini, V. Fogliano, R. Pernice, D. DelRio, F. Scazzina, F. Brighenti

89

P10 Azione sinergica sull’espressione genica dell’acido docosoesanoico e della vitamina E M. Caputo, G. Torino, M.F. Tecce

90

P11 Influence of dietary fish intake on inflammatory and rheological parameters: an intervention study F. Sofi, A.M. Gori, F. Cesari, R. Paniccia, L. Mannini, A. Casini, G. Parisi, G. Giorgi, B.M. Poli, R. Abbate, G.F. Gensini

90

P12 Assunzione alimentare ed integrazione dietetica di acidi grassi polinsaturi n3 in gravidanze a rischio di parto pretermine F. Pasqui, M. Di Nunzio, O. Sanlorenzo, S. Melappioni, L. Console, M. Maranesi

91

P13 Modificazioni del profilo degli acidi grassi nell’uomo indotte dall’apporto alimentare di formaggio naturalmente arricchito in acido linoleico coniugato (CLA) M.C. Mele, G. Cannelli, E. Capoluongo, G. Carta, L. Cordeddu, M.P. Melis, E. Murru, E. Giordano, A. Piras, S. Banni

92

P14 Pregiudizi alimentari fra vestigia di conoscenze mediche e media attuali B. Biffi, M.L.E. Luisi, R. Intini, R. Molino Lova, G.F. Gensini

92

P15 Conoscenze nutrizionali di un campione di studenti sardo-corsi F. Broccia, T. Lantini, A. Lucani, A.M. Carcassi

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P16 Il monitoraggio IQP per l’educazione al gusto nell’età evolutiva E. Ciserchia, R. Dell’Acqua, M. Bottazzi

93

P17 Educazione alimentare nel trattamento e prevenzione dell’obesità infantile - responsabilizzazione sull’autoregolazione delle porzioni e degli apporti del menù scolastico B. Santini, F. Ansaldi, I. Fanzola, T. Palmas, E. Pivetta, E. Pivetta

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P18 L’educazione nutrizionale come pratica di prevenzione: l’esperienza dello Sportello Ambulatoriale di Dietetica Preventiva di Ancona R. Sbarbati, M. Morbidoni, A. Turrini

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P19 Insieme con gusto: progetto di educazione alimentare nella scuola primaria B. Zulberti, C. Torelli, C. Bonardi, C. Lanza, P. Pagliarin, C. Tucci, M. Valenti

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P20 Promotion of fruit and vegetable consumption in school-age children and teen-agers: an interactive project M. Dalla Rosa, A. Odorico, P. Fasanelli, A. Bordoni, P.Novajra, A. Sabot

96

P21 Dipendenti Asl 11 di Empoli: stato nutrizionale e abitudini alimentari, dati che fanno riflettere R. Carli, F. Chiaverini, E. Corsinovi, C. Procuranti, M. Giannotti; A. Silva, M. Franchini

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P22 Stile di vita e stato di salute di un gruppo di anziani residenti nel comune di Roma F. Intorre, G. Maiani, M. Cuzzolaro, G. Catasta, D. Ciarapica, B. Mauro, E. Toti, M. Zaccaria, S. Corelli, L. Palomba, A. Polito

97

P23 La prevalenza dell'Allattamento al Seno nella ZT n. 7 di Ancona M. Morbidoni, R. Gatti, F. Polverini, E. Ambrogiani, A. Guidi

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P24 Indagine su genitori al di sopra di ogni sospetto A. Rauti, D. Gambarara, E. Albini, I. Panzini

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P25 Indagine sulle abitudini alimentari e dello stile di vita di 178 bambini delle scuole elementari di Villafranca Tirrena e Calvaruso (ME) R.M. Salomone, G. La Monica, R. Carbonaro, U. Muraca, L. Manasseri, D. Metro

100

P26 Indagine sulla predisposizione ai DCA in un gruppo di studenti frequentanti la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Ateneo senese I. Cirillo, E. Borsi, C. Badiali, F. Cardinali, S. Chiassai, C. Francalanci, R. Mattei

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P27 Adolescenti: vegetarianesimo e disturbi del comportamento alimentare M. Foderaro, A.M. Caiazzo, F. Mordenti, R. Nicolai, R.E. Papa, A. Vania

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P28 Plasma Apelin Levels: Relationship with Anthropometry, Body Composition Parameters, and Leptin in a sample of women with menstrual irregularities E. Emanuele, G. Pinelli, O. Colombo, C. Trentani, S. Sieri, R. Nappi, A. Tagliabue

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P29 Variabili antropometriche, stile di vita e valori di pressione arteriosa in oltre 10.000 soggetti adulti: la coorte EPIC-Firenze B. Bendinelli, G. Masala, S. Salvini, C. Saieva, M. Ceroti, Y. Plantinga, L. Ghiadoni, D. Palli

102

P30 Alimentazione e promozione della salute sul luogo di lavoro G. Cairella, L. Leo, L. Benedettini, C. Frascheri, G. Galli, P. Longo, M. Molinaro

103

P31 Valutazione dello stato nutrizionale nei subacquei incursori della Marina Militare M. Malavolti, N.C. Battistini, M. Dugoni, M. Poli, S. Panico, A. Pietrobelli

104

P32 Elementi clinici funzionali in grado di determinare l’esito della nutrizione artificiale M.L. Ricciardi, C. Savina, C. Coletti, L. Scavone, M. Paolini, L.M. Donini, C. Cannella

104

P33 Stato nutrizionale e consumo alimentare in pazienti affetti da sclerosi laterale amiotrofica (SLA) G. Bovio, D. Alimonti, P. Capodaglio, K. Marinou, G. Mora

105

P34 Influenza della disfagia sullo stato nutrizionale e sul consumo alimentare in pazienti con sclerosi laterale amiotrofica (SLA) G. Bovio, D. Alimenti, P. Capodaglio, K. Marinou, G. Mora

105

P35 Abitudini alimentari ed indici antropometrici in un campione di popolazione adulta in età lavorativa dell’Italia meridionale: risultati dell’Olivetti Prospective Heart Study A. Venezia, G. Barba, R. Iacone, O. Russo, P. Schiattarella, E. Farinaro, P. Strazzullo

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P36 Dinamometria della mano, antropometria e bioimpedenziometria in pazienti in insufficienza renale cronica in pre-dialisi V. Bellizzi, V. Antognazzi, M.R. Serra, M. Dello Russo, L. Scalfi

107

P37 Anthropometric measurements and body composition in Neaples aging population G. Nasti, Z. Albanese, G.Gargiulo, I. Maresca, A. Taurone, G. Prestieri, A. Colantuoni

107

P38 Confronto tra diversi metodi di valutazione del dispendio energetico in un gruppo di ragazze normopeso in relazione all’apporto calorico F. Pasqui, M. Baldini, M. Maranesi

108

P39 Diete ipocaloriche a breve termine a normale ed elevata quota proteica: effetto sulla composizione corporea in una popolazione di donne obese M.C. Mele, A. Sgadari, M. Castorina, E. Sacco, G.E. Martorana, B. Tavazzi, B. Giardina

108

P40 Intervento nutrizionale non prescrittivo e riduzione del rischio cardiovascolare in una popolazione di donatori di sangue obesi. M.C. Mele, M. Caprinozzi, G.E. Martorana, A. Giraldi, S. Di Gregorio, P. Celata, M.A. Farinato, B. Giardina

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P41 Dieta ipocalorica e variazione dei lipidi plasmatici:e’ importante il tipo di dieta A. Vanotti, A. Gini, G. Ponti, L. Farias, G. Mura,C. Bernasconi

110

P42 Diete ipocaloriche con colazione e spuntino a normale ed elevata quota proteica: effetto sugli aminoacidi ramificati e sul rapporto triptofano/aminoacidi neutri nell’obesità M.C. Mele, A. Sgadari, P. Meniconi, E. Sacco, G.E. Martorana, B. Tavazzi, B. Giardina

110

P43 L’eccesso di peso e i giovani sportivi: un’isola felice? E. Albini, D. Gambarara, I. Panzini

111

P44 Effects of an intervention of nutrition and health on weight status and physical activity of sicilian schoolchildren G. Tabacchi, M. Giammanco, P. Gagliano, S. Giammanco, M. La Guardia

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P45 Soprappeso e obesità infantile in Europa: presentazione del progetto IDEFICS G. Barba, P. Russo, F. Lauria, M. Loguercio, A. Nappo, A. Siani

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P46 Obesità in età scolare nella provincia di Salerno: indici a confronto G. Fimiani, G. Guerritore, O. D’Amico, P. Attianese, T. Granito, M.G. De Silvio, A. Colantuoni, P. Pecoraro

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P47 Counseling nutrizionale per bambini in sovrappeso e obesi: risultati preliminari A. Rauti, A. Capolongo, C. Silighini,, B. Veronesi, G. Minak, C. Biavati, R. Di Gregorio, E. Albini, D. Gambarara, I. Panzini, S. Mancini, F. Fabbri, A. Rossi

113

P48 Studio della relazione tra restrizioni alimentari, disagio psichico e body mass index I. Repossi, P. Marinoni, O. Colombo, G. Pinelli, C. Trentani, A. Tagliabue

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P49 Obesità e depressione D. Metro, U. Muraca , R.M. Salomone, L. Manasseri

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P50 Influenza della dieta e dell’attività fisica su soggetti sedentari e non M. Baldini , F.Pasqui, F. Merni, PL. Biagi, M. Maranesi

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P51 Anziani: alimentazione ed attività fisica G. Ghiani, C. Caboni, F. Broccia, A.M. Carcassi

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P52 Nutrizione e Piaghe da decubito: valutazione dell’efficacia dell’integrazione nutrizionale in uno studio caso/controllo A. Vanotti, A. Gini, C. Pusani, L. Farias

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P53 Incremento ponderale e trattamento per la disassuefazione al fumo G. Cairella, P. Longo, F. Ciaralli, M. Di Porto, L. Leo, A. Marchetti, M. Molinaro, L. Sonni

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P54 Hospital catering and food safety: knowledge, attitudes and practices of the nursing staff in hospitals C. Buccheri, C. Mammina, A. Casuccio, S. Giammanco, M. La Guardia, M. Giammanco

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P55 Counselling nutrizionale: messa a punto ed applicazione in ambito ambulatoriale O. Colombo, C. Bobba, G. Pinelli, C. Trentani, A. Tagliabue

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P56 Il colloquio di motivazione: l’esperienza del nutrizionista nel “muovere” l’utente verso il cambiamento di uno stile alimentare M. Solis

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P57 La dieta vegetariana nell’adolescente R.E. Papa, A.M. Caiazzo, F. Mordenti, R. Nicolai, A. Ferrari, A. Mele, A. Vania

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P58 Is protein content the only determinant of satiety in meat-based preparation? C. Berti, P. Riso, M. Porrini

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P59 Comportamento delle poliammine nei frutti di pomodoro dopo trattamento delle piante con soluzioni saline e con antinematocidi P. Ruggeri, V. Faraone, A. Scarmato, C. Fabiano, G. Muraca, U. Muraca

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P60 Acidi grassi polinsaturi e colesterolo in prodotti ittici al commercio: analisi di un campionamento A. Fabbri, S. Fontana, F. Montecchi, D. Moscatelli, F. Panizzi, M. Rosi, G. Silvanini, G. Zannoni

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P61 Banca dati di composizione degli alimenti per studi epidemiologici in Italia, versione WEB P. Gnagnarella, M. Parpinel, S. Salvini, F. Santagiuliana, P. Maisonneuve, F. Barbone, D. Palli

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P62 Quattro passi in cucina! (igiene, manipolazione, conservazione e cottura degli alimenti in casa) C. Martuccio, E. Palombi

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RELAZIONI SU INVITO

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CONVEGNO SATELLITE Nuove tecnologie per nuovi alimenti

R01. Innovazione tecnologica nel miglioramento della qualità alimentare G. Tomassi Università degli Studi della Tuscia – Viterbo I consumi alimentari degli italiani sono cambiati negli ultimi anni più sul piano qualitativo che su quello quantitativo. Le scelte alimentari dei consumatori si stanno sempre più orientando verso alimenti di migliore qualità, sia organolettica che nutrizionale e salutistica. A queste mutate richieste del consumatore l’industria alimentare sta tentando di rispondere producendo e mettendo sul mercato alimenti sempre più nuovi e mirati. Per questo sono state utilizzate le innovazioni sia in campo tecnologico che industriale, anche se tradizionalmente l’industria alimentare è lenta a recepirle. Per migliorare la qualità organolettica le moderne tecniche di filtrazione a membrana utilizzate soprattutto nell’industria delle bevande hanno permesso di ottenere succhi di frutta, birra e latte di sapore e gusto più vicino a quelli originali del prodotto fresco e di più lunga conservabilità. Anche le moderne biotecnologie basate su tecniche di ingegneria genetica hanno permesso di ottenere prodotti di migliore qualità organolettica come nel caso di pomodori a maturazione ritardata ottenuti attraverso l’inibizione della poligalattorunasi e che ha rappresentato il primo prodotto transgenico ad apparire sul mercato. Altri esempi di prodotti transgenici sono quelli delle patate con un migliore rapporto amilosio/amilopectina e degli oli vegetali con una migliore composizione in acidi grassi. La modificazione genetica ha tuttavia posto il problema della sicurezza nutrizionale per la possibile presenza di composti estranei o diversi da quelli tradizionali che potrebbero portare a fenomeni di allergia alimentare nel consumatore, oltre a quelli sul piano dell’impatto ambientale e socio-economico. Il miglioramento della qualità nutrizionale è stato realizzato anche attraverso l’arricchimento degli alimenti con nutrienti aggiunti, soprattutto vitamine e minerali. Anche in questo caso tuttavia la scelta e l’impiego del nutriente deve essere fatto tenendo conto della quantità giornaliera raccomandata e dei fattori che possono influenzare la stabilità, la biodisponibilità e l’utilizzazione del nutriente aggiunto. Per migliorare la qualità salutistica degli alimenti si sono poi sviluppate tecnologie in grado di rendere i cibi “funzionali”, mirati cioè a migliorare determinate e specifiche funzioni dell’organismo. Fra queste soprattutto quelle gastro-intestinali, per le quali l’aggiunta di determinati microrganismi e di certe fibre alimentari ha rappresentato la base per la preparazione di alimenti probiotici e prebiotici rispettivamente in grado di regolare la microflora intestinale a vantaggio delle specie benefiche e di favorire la risposta immunitaria dell’organismo. Le specie microbiche più utilizzate sono state quelle dei batteri lattici e dei bifidobatteri, in grado di rispondere a criteri di stabilità, vitalità, efficacia e sicurezza richiesti nella preparazione dei probiotici. Tra le fibre alimentari quelle più studiate e utilizzate sono state i polimeri del fruttosio quali l’inulina e i fruttooligosaccaridi estratti da alimenti che li contengono in forti quantità (soprattutto radici di cicoria) o anche preparati per via biosintetica e aggiunti agli alimenti. Si sono anche cercate fonti alimentari naturalmente ricche di fruttani, quali il frumento immaturo ricco di fruttooligosaccaridi che potrebbe rappresentare la base per la preparazione dei prodotti “naturalmente” prebiotici. La più recente innovazione tecnologica applicata in campo alimentare e nutrizionale è quella delle cosiddette nanotecnologie, in grado di impiegare e misurare piccolissime quantità di un componente. Così ad esempio la formazione di particelle di trigliceridi con <50 nm di diametro e l’incapsulamento di microquantità di sostanze bioattive ha permesso la preparazione di cibi e bevande di migliore qualità. Si tratta di un innovazione tecnologica che sta muovendo i suoi primi passi in campo alimentare e nutrizionale, ma che potrebbe nei prossimi anni rappresentare una rivoluzione nella produzione di alimenti di elevata qualità organolettica, nutrizionale e salutistica. Referenze 1. Food Today Membrane filtration – an effective way to food quality. n°50, September 2005 2. G. Tomassi – Qualità nutrizionale dei prodotti alimentari da organismi geneticamente modificati. Rend. Accademia Naz. Scienze, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali Vol. XXV p. 329-32, 2001 3. ILSI Europe Concise Monograph Series. Concepts of functional foods, ILSI, 2002

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4. Institute of nanotechnology. Nano and Microtechnologies in the food and healthfood Industries. Amsterdam 25-26th October 2006 R02. “Vecchi cereali” per nuovi alimenti: aspetti tecnologico-nutrizionali E. Marconi Distaam, Università degli Studi del Molise - Campobasso Le tecnologie e le biotecnologie dei cereali sono sicuramente fra le tecnologie alimentari più antiche sviluppate dall’uomo. I frumenti vestiti (farri) e l’orzo sono stati, infatti, tra le prime specie coltivate dall’uomo ad essere utilizzate per sviluppare le prime (bio) tecnologie alimentari per la realizzazione di prodotti fermentati (pane e birra). La prolungata conservabilità, l’elevata qualità nutrizionale e l’accertata suscettibilità alla trasformazione per la produzione di ingredienti ed alimenti sono stati i presupposti per favorirne l’utilizzazione nell’alimentazione umana. Il rinnovato interesse per i “vecchi” cereali è avvalorato anche dal fatto che tali prodotti presentano una composizione chimico-nutrizionale differenziata fra i vari tessuti della cariosside che si presta perfettamente ad assecondare l’evoluzione sia delle indicazioni di una corretta alimentazione fornite da esperti ed istituzioni scientifiche sia delle indicazioni meno rigorose e più fantasiose di mode e leggende alimentari. Le tecnologie di frazionamento e ricombinazione ulteriormente affinate e modificate permettono di valorizzare e rendere sempre attuale l’utilizzazione e la trasformazione dei cereali. Questi modelli tecnologici sono alla base dello sviluppo delle moderne tecnologie di produzione di alimenti con spiccate proprietà funzionali, tecnologiche e nutrizionali. Il sistema di frazionamento e ricombinazione consiste nel suddividere il processo produttivo in un primo stadio in cui le materie prime naturali vengono frazionate in ingredienti ed in un secondo stadio in cui gli ingredienti vengono miscelati (formulazioni) e strutturati opportunamente per dar luogo a svariati e complessi prodotti di seconda trasformazione (pane, pasta, prodotti da forno, cereali da colazione, snack, birra ecc). Le principali tecnologie di frazionamento/ricombinazione che possono essere applicate ai cereali per la separazione/concentrazione/arricchimento di composti bioattivi sfruttano la diversa localizzazione nella cariosside, le differenti caratteristiche granulometriche e densimetriche delle particelle che compongono gli sfarinati, il differente stato fisico, e/o la diversa affinità con fluidi supercritici. Con queste tecnologie si possono ottenere numerosi ingredienti quali germe di grano, olio di germe di grano, crusca, farina di aleurone e sfarinati arricchiti in composti bioattivi (fitosteroli, polifenoli, fibra alimentare solubile, arabinoxilani, beta-glucani, proteine ad alto valore biologico, tocotrienoli, fruttani, folati). Tali materie prime/ingredienti ottenuti con tecniche esclusivamente di tipo fisico sono dal punto di vista della sicurezza d’uso e della qualità notevolmente superiori a quelli ottenuti con i metodi chimici quali l’estrazione con solventi o il frazionamento con metodi/processi chimici. L’adozione di queste tecnologie permette inoltre di recuperare i (sotto)prodotti della lavorazione dei cereali ad alto valore aggiunto da destinare all’alimentazione umana. L’interesse nei confronti dei composti bioattivi e dei benefici che possono derivare dalla loro assunzione, ha portato a sviluppare nuove frontiere delle tecnologie alimentari per la realizzazione degli alimenti funzionali o nutraceutici. Con il termine alimenti funzionali vengono definiti alimenti che mostrano effetti positivi dovuti alla presenza di componenti (generalmente non nutrienti) che interagiscono più o meno selettivamente con una o più funzioni fisiologiche dell’organismo (biomodulazione). Per la realizzazione di prodotti funzionali è richiesta l’adozione di opportuni accorgimenti (bilanciate formulazioni e appropriate tecnologie di trasformazione), mirati all’ottenimento di un prodotto finito nel quale i composti bioattivi siano presenti in quantità fisiologicamente significative ed allo stesso tempo consegua eccellenti caratteristiche sensoriali. Le spiccate qualità sensoriali dei prodotti finiti sono, infatti, un requisito indispensabile per l’affermazione sul mercato dei prodotti funzionali che solo in questo modo potranno costituire un significativo segmento di mercato fornendo una interessante diversificazione produttiva e commerciale.

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R03. Innovazione di prodotto e "disegno" di nuovi alimenti secondo l'approccio PAN (Preferenze, Accettabilità, Necessità) M. Dalla Rosa Dipartimento di Scienze degli Alimenti, Università di Bologna La pubblicazione del documento Vision nell’ambito della piattaforma tecnologica europea – promossa dalla Commissione Europea e dalla CIAA (Confed. europea Industrie alimentari) - ha portato una significativa ventata di innovazione nel panorama futuro delle industrie alimentari europee. Anche e livello italiano l’approccio di ricerca per lo sviluppo dei prodotti alimentari dell’industria nell’ottica del disegno di alimenti che siano in grado di assecondare maggiormente le necessità nutrizionali e del ben-essere dei consumatori ha iniziato a farsi strada e non solo riguardando le industrie associate a gruppi multinazionali ma investendo anche aziende di dimensioni medie o piccole (SME) che rivestono la maggioranza della produzione italiana. Oggetto della presente relazione è la razionalizzazione e il tentativo di contestualizzazione dei principi indicati nel documento VISION e nei documenti europei successivi su cui dovranno basarsi le “calls” dei prossimi programmi europei di ricerca. Nella relazione vengono sviluppati i concetti base per un approccio metodologico corretto nello sviluppo della formulazione di alimenti contenenti componenti bioattivi, l’attenzione alle loro caratteristiche strutturali e la relazione con i parametri sensoriali, l’evoluzione del confezionamento e la continua ricerca della valutazione di ritorno da parte dei consumatori nel definire i parametri di accettabilità degli alimenti così disegnati, formulati o valorizzati, punti salienti della agenda strategica delle ricerche future europee nei riguardi dei nuovi alimenti. R04. Il ruolo dei materiali e delle tecniche di confezionamento per la garanzia di sicurezza e qualità degli alimenti L. Piergiovanni, L. Torri DiSTAM, Università degli Studi di Milano Per il consumatore l’imballaggio è semplicemente l’involucro di plastica, cartone, metallo o vetro che circonda e contiene l’alimento. Per il tecnologo alimentare, il packaging è piuttosto un tema tecnico-scientifico che, in particolare negli ultimi anni, ha assunto un’importanza strategica nel consentire, con il massimo dell’economia possibile, il soddisfacimento di requisiti di sicurezza, adeguatezza normativa e mantenimento della qualità lungo tutto la filiera di produzione e distribuzione degli alimenti. Per discutere obiettivamente e presentare esaurientemente qualsiasi tema che riguardi il food packaging è indispensabile la consapevolezza che, in ogni circostanza, il sistema rappresentato da un alimento confezionato è un sistema complesso, costituito da tre componenti: l'alimento/l'imballaggio/l'ambiente. Ciascuno di questi tre componenti può entrare in relazione con ciascun altro, dando luogo a cosiddetti fenomeni di interazione: cioè fenomeni chimici, fisici, chimico-fisici o biologici di una qualche rilevanza per l'integrità e la qualità dei componenti interessati e che sempre comportano un qualche trasferimento di massa da una fase all'altra. Non vi è dubbio che le forme di interazione che riguardano l'interfaccia alimento/ambiente siano le più pericolose per l'igiene e la sicurezza dei prodotti alimentari e per la salvaguardia delle loro caratteristiche sensoriali e, di fatto, lo sviluppo del confezionamento è dovuto, principalmente, all'esigenza di evitare questi possibili fenomeni di interazione e di perdita di qualità: l'imballaggio come barriera protettiva per l'alimento. E’ altrettanto indubbio, tuttavia, che quelli che più preoccupano il consumatore sono i fenomeni di interazione tra l’alimento e l’imballaggio, anche per l'impiego sempre più diffuso di materiali sintetici, in sostituzione di materiali naturali o più inerti. Per questa ragione, negli ultimi trenta anni, una gran mole di lavoro scientifico e di risorse sono state indirizzate allo studio meticoloso ed approfondito delle problematiche di migrazione. Oggi le conoscenze scientifiche in questo campo sono realmente molto progredite e diffuse e, di conseguenza, gli imballaggi sono più sicuri e più controllabili. Una breve rassegna dei progressi compiuti dal pionieristico lavoro del 1966 di due Autori italiani, fino alla disponibilità attuale di numerosi softwares predittivi dell’entità e delle velocità dei possibili fenomeni di migrazione, rende ben conto dell’attuale stato dell’arte. Questo

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aumento di conoscenze e della capacità di controllare i fenomeni di trasferimento di massa all’interfaccia alimento/imballaggio, tuttavia, ha determinato altre importanti e meno note conseguenze, che hanno molto a che fare con la sicurezza e la qualità degli alimenti confezionati. Una è sicuramente rappresentata dallo sviluppo delle “Functional Barriers”, il modo per ridurre la possibile contaminazione chimica al di sotto di soglie di sicurezza, con ragionevole certezza, tale da rendere possibile e sicuro l’impiego di materie plastiche di riciclo nella produzione di imballaggi destinati al contatto diretto con alimenti o bevande. Una seconda acquisizione di strategica importanza per la qualità e la sicurezza, riguarda i cosiddetti “Controlled release packaging” attraverso i quali si riesce ad ottimizzare una "migrazione modulata" di sostanze utili all'alimento (come as esempio, antiossidanti, antimicrobici, aromatizzanti, ecc.), incorporate nei materiali di confezionamento. Potrebbe essere questo il modo per minimizzare l’additivazione chimica degli alimenti e per evitare quei trattamenti che impoveriscono di principi nutritivi e sensoriali gli alimenti e le bevande confezionati. Al fine di testimoniare il ruolo della ricerca scientifica e tecnologica nel garantire i più alti livelli di qualità e sicurezza ai prodotti alimentari confezionati, anche attraverso lo sviluppo dei materiali e delle tecniche di packaging, saranno proposti diversi esempi di queste innovative soluzioni di imballaggio che derivano dalle conoscenze sviluppate nel controllo della migrazione. Bibliografia · Piergiovanni L, Torri L, 2005 Ensuring the Safety and Quality of Food by Packaging Technologies and Materials. Proceedings of “Innovazione Tecnologia e valorizzazione dei prodotti marginali”. Foggia 5-6 aprile 2005 · LaCoste A, Schaich M, Zumbrunnen D, Yam K-L. 2005. Advancing controlled release packaging through smart blending. Packag. Technol. Sci. 18:77-87. · Han J-K, Selke SE, Downes TW, Harte BR. 2003. Application of a Computer Model to Evaluate the Ability of Plastics to Act as Functional Barriers. Packag. Technol. Sci. 16:107-118. · Brandsch J, Mercea P, Ruter M, Tosa V, Piringer. 2002. Migration modelling as a tool for quality assurance of food packaging. Food Addit. Contam. supplement 19:29-41. · Louis PJ. 1999. Review paper-Food packaging in the next millenium. Packag. Technol. Sci. 12:1-7. R05. Il ruolo della nutrizione e la formazione del nutrizionista in facoltà di Agraria A. Bordoni Centro Ricerche sulla Nutrizione - Dipartimento di Biochimica “G. Moruzzi”, Università di Bologna L’aumento di incidenza dell’obesità e di altre malattie correlate all’alimentazione nei paesi industrializzati è strettamente legata ad una cronica sovraproduzione di alimenti. Esistono numerose incongruenze a livello delle Politiche Agricole Comunitarie a riguardo degli alimenti considerati “positivi per la salute”. La produzione di alcuni di questi, infatti, quali ad esempio la frutta, in gran parte non è destinata al loro utilizzo come tali, ma alla trasformazione. Oppure, vengono concesse sovvenzioni per aumentare ulteriormente la quota di produzione di alimenti le cui caratteristiche non sono totalmente positive per la salute. Questo fa sì che, se si calcola il costo/caloria, la caloria che deriva da una mela costa 55 volte di più della calorie derivata dall’olio. E’ necessaria una azione di coordinamento al fine di ottimizzare la produzione di alimenti non solo da un punto di vista economico, ma anche da quello della salute. Negli ultimi anni è stata scoperta la presenza in molti alimenti di “componenti bioattivi”, ma di essi si sa ancora molto poco. E’ necessario aumentare le conoscenze inerenti non solo gli alimenti grezzi, ma anche ottimizzare i processi di trasformazione e di cottura. E’ necessario regolamentare l’etichettatura, in particolare a riguardo degli “health claims”. Sono necessari interventi a livello della produzione, della sicurezza e dell’immagazzinamento degli alimenti. Produzione Benché negli ultimi anni molto sia stato fatto nel tentativo di regolamentare la produzione di alimenti nel rispetto dell’ambiente, rimangono ancora molti problemi da risolvere. Nei vegetali, gli effetti “salutistici” sono legati non solo al contenuto di minerali, vitamine e fibre, ma anche

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alla presenza di componenti bioattivi che sono presenti in tipo e concentrazione diversa non solo a seconda delle diverse varietà, ma anche delle diverse cultivar e dei diversi raccolti. Nonostante si sia consapevoli di questo, il settore della distribuzione distorce il mercato nel tentativo di ottenere “alimenti al prezzo più basso possibile”, e questo non concede al produttore di guardare alla qualità, ma solo alla quantità della produzione. Di conseguenza, l’orticoltura europea è in declino e sta perdendo alcune importanti caratteristiche, quali le varietà locali, e le piccole compagnie tendono a scomparire a favore di monocolture e monovarietà gestite da grandi compagnie. E a questo si aggiunge la competitività dei paesi extra europei. La beffa è che, nonostante questo, spesso frutta e ortaggi non sono “economici” per il consumatore. Riguardo agli alimenti di origine animale, è noto che il miglioramento delle tecniche di allevamento e dell’alimentazione animale possono migliorare significativamente la qualità di questo alimenti. Dalla crisi degli anni ’90 dovuta alla BSE, sono state emesse numerose direttive europee e nazionali al fine di assicurare che l’alimentazione animale sia sicura sia per gli animali allevati che per il consumatore dei prodotti da essi derivati. E’ ora necessario migliorare non solo la sicurezza dei prodotti di origine animale e di salvaguardare la “qualità della vita” degli animali allevati, ma anche aumentare il contenuto in questi prodotti di componenti bioattivi, e studiare tecnologie innovative che permettano di lavorare la materia prima mantenendone, o addirittura migliorandone, le caratteristiche nutrizionali. Sicurezza alimentare Molti composti presenti negli alimenti possono essere pericolosi per la salute umana: 1. metaboliti secondari delle piante, prodotti da queste ultime come difesa da agenti fisici, chimici o microbici; 2. inquinanti ambientali che possono essere incorporati dalla pianta, ed entrare pertanto nella catena alimentare; 3. contaminanti chimici possono generarsi durante la trasformazione degli alimenti, il loro confezionamento, il trasporto, l’immagazzinamento, e la cottura. Queste sostanze possono dare effetti acuti o, se assunte a livelli sub tossici, possono accumularsi nell’organismo e determinare malattie croniche. E’ necessario, quindi, migliorare le metodologie in grado di identificare e quantificare rapidamente questi contaminanti, e di verificare il loro effetto biologico. La sfida è aumentare la sicurezza dell’alimento parallelamente alla sua qualità nutrizionale, evitando la degradazione di nutrienti o di componenti bioattivi, mantenendo intatte anche le qualità organolettiche. Immagazzinamento E’ necessario non solo migliorare le condizioni di immagazzinamento degli alimenti ma anche individuare nuovi metodi che permettano di verificarne la freschezza e la conservazione delle proprietà nutrizionali, non solo a livello di industria alimentare, ma anche del banco del supermarket. Se non si provvederà a estendere la ricerca in campo alimentare a queste “nuove strategie”, si potrebbe arrivare in tempi relativamente brevi ad una produzione di alimenti ricchi per quantità ma poveri per qualità. L’assenza del contenuto adeguato di nutrienti negli alimenti può avere effetto devastante sulla salute della popolazione, e potrebbe determinare la ricomparsa di malnutrizioni scomparse da decenni in Europa. Questo in particolare nelle fasce più a rischio della popolazione, quali i bambini, gli anziani e gli ammalati. Altri problemi incombono sulla relazione alimenti-salute: a. i cambiamenti nello stile di vita, che hanno determinato profonde modificazioni nelle abitudini alimentari. Basti pensare all’aumento dei pasti consumati fuori casa, e quindi ai problemi connessi alla corretta ristorazione, all’aumento del consumo di alimenti pronti o semi pronti, ed anche alla diminuzione dell’attività motoria b. allergie o intolleranze, ossia reazione avverse ad alimenti o parti di essi che, normalmente, sono privi di pericolo. Le allergie alimentari, che coinvolgono una alterata risposta immunitaria ad un componente alimentare (allergene) colpiscono circa il 6% dei bambini europei. Le intolleranze sono reazioni inverse agli alimenti che non coinvolgono il sistema immunitario, ma sono spesso dovute a deficit enzimatici (es. intolleranza al lattosio). La celiachia, o intolleranza al glutine, è considerata una forma intermedia tra le due, su base immunitaria. Tutte queste patologie sono in aumento in Europa, e questo comporta la necessità di una maggiore quantità e varietà di alimenti accessibili per questi soggetti. E’ necessaria la produzione di nuovi “alimenti speciali”, non solo sicuri per queste categorie di persone, ma anche in grado di coprire i loro fabbisogni nutrizionali e con caratteristiche organolettiche e costi tali da poter risultare utilizzabili da tutta la famiglia, non solo dal soggetto allergico/intollerante, con ovvi benefici psicologici.

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Non ultimo, rimane fortemente irrisolto il problema dell’educazione alimentare, la necessità di portare messaggi corretti alla popolazione, e di farlo con campagne attentamente studiate. Occorre una formazione corretta e completa per chi dovrà, nel prossimo futuro, occuparsi di questi problemi. In Italia sono 1.700.000 gli iscritti a corsi universitari, di cui 1.000.000 risultano “attivi”. Considerando solo le lauree triennali, il maggior numero di iscritti afferisce alle facoltà di Giurisprudenza, Scienze Economiche, Professioni Sanitarie. A queste ultime sono iscritti 65.000 studenti, di cui 2/3 sono donne. Quanto è lo spazio per lo studio della Nutrizione Umana in queste lauree? Molto poco, se si esclude la laurea in Dietistica. Gli iscritti ai corsi di laurea della classe 20 (Scienze Agrarie) sono circa 30.000, divisi su 26 Atenei. Seconda la nuova riforma Ministeriale una parte di questi corsi di laurea verrà scorporato in una nuova classe, quella delle Scienze e Tecnologie Alimentari. In questi corsi di laurea trova, e sempre più troverà spazio, la Scienza degli Alimenti strettamente connessa alla Nutrizione Umana, per un nuovo concetto di produzione di alimenti strettamente connessa alle necessità dell’uomo ed al raggiungimento di una nutrizione ottimale. From fork to farm!

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SESSIONE PLENARIA Alimenti ed Health Claims: indicazioni per il futuro

R06. La promozione della salute dalla fortificazione agli health claims M. Porrini DiSTAM - Università degli Studi di Milano La promozione della salute e la prevenzione delle malattie sono argomenti di grande interesse per il mondo sanitario. La valutazione del rischio derivante da una alimentazione e uno stile di vita inadeguati sono infatti elementi fondamentali nell’attuazione di precise strategie preventive dirette a migliorare lo stato di salute e di benessere della popolazione generale. A questo proposito si deve sottolineare come dagli anni ’70 ad oggi, si sia verificata una grande evoluzione del concetto di “cibo”, che ha perso il significato di semplice fonte di sostentamento e/o piacere, per assumere l’identità di elemento capace di intervenire direttamente sulla salute degli individui. Questa evoluzione ha portato alla ribalta, alternativamente, prodotti per il controllo del peso, integratori vitaminici e/o minerali, alimenti funzionali, ecc. fino ad arrivare oggi, attraverso un lungo e difficile percorso, alla regolamentazione degli health claims, come logica risposta alla richiesta da parte dei consumatori di alimenti con una particolare valenza salutista. Attualmente la commercializzazione di alimenti “salutisti” sta riscuotendo un successo mai avuto in precedenza. Dati di una recente indagine condotta da CENSIS-Confcommercio evidenziano che, nonostante la fase congiunturale particolarmente critica, un crescente numero di persone manifesta sensibilità per nuove categorie di prodotti e di servizi specificamente legati al vivere bene e al benessere psico-fisico. Si diffondono comportamenti di consumo indirizzati al salutismo, si intensificano gli acquisti di prodotti biologici, di prodotti venduti in erboristeria e si diffonde il ricorso a servizi legati al fitness e al wellness. Le scelte alimentari che ne conseguono non sono tuttavia sempre ponderate, poiché molti consumatori preferiscono una versione più “salutista” dei loro alimenti preferiti, piuttosto che adeguare la loro dieta ai suggerimenti delle linee guida. Esiste anche parecchia confusione, non solo riguardo le proprietà degli alimenti che giocano un ruolo nel mantenimento e promozione della salute, ma anche riguardo le specificità di alcune categorie di prodotti. Accanto agli “alimenti per scopi dietetici particolari”, formulati per soddisfare bisogni dietetici che esistono a causa di specifiche condizioni fisiologiche e/o patologiche, si parla, non senza confusione, di alimenti arricchiti e fortificati, integratori alimentari, alimenti funzionali, ma anche dei meno facilmente definibili nutraceutici e novel foods. Per alcune di queste categorie di prodotti la regolamentazione è risultata talvolta lacunosa, favorendo la libera interpretazione del produttore, desideroso di incrementare il valore nutrizionale e innovativo del proprio alimento, e del consumatore, sempre più alla ricerca di qualcosa “che faccia bene”. D’altra parte poche sono le sostanze e gli alimenti per i quali è stata dimostrata una reale capacità di ridurre il rischio di malattia, anche in relazione alla obiettiva difficoltà nel valutare gli effetti protettivi di un alimento, prescindendo dalla dieta totale e dallo stato di nutrizione degli individui. Da tutto ciò deriva come sia importante da una parte promuovere le ricerche in questa direzione, incentivando la collaborazione tra medici, nutrizionisti e tecnologi e, dall’altra, indirizzare rinnovati sforzi verso la corretta informazione del consumatore. Bibliografia · Diplock A.T., Aggett P.J., Ashwell M., Bornet F., Fern E.B., Robertfroid M.B. Scientific conceps of functional foods in Europe: consensus document. Brit. J. Nutr. 1999:81;S1-S19. · Katan M.B., De Roos N.M. Promises and problems of functional foods. Crit. Rew. Food Sci. Nutr. 2004:44;369-377. · Aggett P.J., Antoine J.M., Asp N.G., Bellisle F., Contor L., Cummings JH. Et al. PASSCLAIM: process for the assessment of scientific support for claims on foods; consensus on criteria. Eur. J. Nutr. 2005:44(Suppl. 1);1-30.

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R07. Problematiche legate al corretto utilizzo degli health claims nutrizionali e salutistici F. Brighenti Dipartimento di Sanità Pubblica, Università di Parma Il regolamento europeo sui claims nutrizionali e salutistici, recentemente approvato (12 ottobre 2006) dopo un iter travagliato durato più di tre anni, si prefigge di migliorare la protezione del consumatore e di favorire una equa concorrenza tra aziende che operano sul mercato comune attraverso la armonizzazione delle regole sull’informazione nutrizionale e salutistica riferita agli alimenti. A questo scopo identifica una ben definita griglia di regole che si applicano all’etichettatura e alla pubblicità degli alimenti qualora siano riportati informazioni (claims) riferite a tre ambiti salutistici: 1) qualità nutrizionale; 2) miglioramento delle funzioni fisiologiche; 3) prevenzione/protezione dalle malattie. Il quadro normativo così delineato apre la strada a grandi opportunità e altrettanto grandi difficoltà che consumatori, produttori e istituzioni dovranno fronteggiare: 1) qualità e sostenibilità scientifica dell’informazione a supporto dei claims; 2) profili nutrizionali degli alimenti pubblicizzati ; 3) accessibilità e comprensione dell’informazione da parte del consumatore; 4) valutabilità dell’efficacia del nuovo quadro normativo proposto. Nel corso della relazione si affronteranno queste tematiche con particolare riferimento al ruolo che il mondo della ricerca, ed in particolare le società scientifiche che si occupano di Nutrizione Umana, possono sostenere nella corretta definizione ed applicazione dei claims agli alimenti e nel raggiungimento di più elevati standards di qualità nella dieta e di protezione del cittadino europeo. R08. Una storia recente: i fitosteroli F. Visioli Dipartimento di Scienze Farmacologiche, Università degli Studi di Milano Il notevole successo commerciale ottenuto dalle preparazioni arricchite in fitosteroli vegetali, introdotte nel nostro paese negli ultimi tempi, ha avuto almeno due effetti favorevoli: da un lato ha contribuito a ridestare l’attenzione del grande pubblico sul tema del controllo di questo fattore di rischio cardiovascolare; dall’altro ha messo a disposizione sia del pubblico stesso, sia dei medici, uno strumento che, impiegato in maniera appropriata, può avere un significato importante nel migliorare l’efficacia delle strategie di prevenzione delle malattie cardiovascolari nel nostro Paese. Un primo aspetto da considerare è la modalità di consumo di questi prodotti. Numerose sperimentazioni, condotte in differenti contesti clinici, hanno mostrato infatti come l’azione dei fitosteroli, notoriamente dovuta alla competizione che queste molecole svolgono a livello intestinale con il colesterolo alimentare e biliare (limitandone l’assorbimento), sia decisamente ridotta (e secondo uno studio recente del tutto trascurabile) nel momento in cui i fitosteroli stessi vengano assunti a stomaco vuoto. Un secondo aspetto di rilievo, che condiziona l’efficacia ipocolesterolemizzante di questi composti, ha a che fare con la matrice alimentare in cui i fitosteroli stessi sono dissolti. Nonostante le indicazioni a questo proposito non siano del tutto conclusive, la maggior parte dei dati disponibili suggerisce da un lato l’esigenza che nella matrice alimentare sia presenta una certa quota di grassi. Un terzo punto di rilievo è l’identificazione del paziente candidato all’impiego di questi prodotti. La medicina preventiva orientata al controllo del profilo lipidico ha da tempo spostato la propria attenzione, da questo punto di vista, dalla definizione di un valore della colesterolemia oltre il quale intervenire alla definizione di un livello di rischio, valutato mediante gli strumenti opportuni come linee guida al trattamento. In questo contesto, l’impiego dei fitosteroli può avere indicazione in tutta la larga parte della popolazione a rischio cardiovascolare limitato (inferiore al 10-15% secondo le citate funzioni di rischio) nelle quali non scatta in alcun modo l’indicazioni ad un trattamento con farmaci ipolipidemizzanti, ma che comunque potranno beneficiare, di un termine di riduzione della propria probabilità di malattia, dal controllo della colesterolemia. Per quanto concerni i dosaggi d’impiego, va ricordato che sia le linee guida che hanno esaminato specificamente questo tema, sia le più recenti valutazioni sperimentali suggeriscono l’opportunità che il

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consumo di questi steroli sia nell’ordine dei 2 gr giornalieri. Concettualmente, va anche ricordato che una quota lievemente maggiore (ma va tenuto presente che la dieta mediterranea apporta mediamente alcune centinaia di mg di fitosteroli) potrebbe rivelarsi lievemente più efficace in termini di controllo della colesterolemia, senza comportare alcun significativo effetto collaterale. Un ultima annotazione di rilievo che può essere fatta ha invece a che fare con la possibilità di incorporare il consumo di questo composti nell’ambito di una dieta che ottimizza e massimizzi la capacità di controllo della colesterolemia. Questi elementi, in conclusione, rappresentano uno strumento di notevole importanza concettuale che nella moderna strategia di prevenzione cardiovascolare può assumere un ruolo crescente. Il loro impiego, tuttavia, deve essere basato su una conoscenza di alcuni elementi fondamentali (per esempio le dosi ottimali, la modalità di somministrazione, la scelta degli alimenti in cui dissoverli) per amplificarne al massimo l’interessante proprietà di controllo della lipidemia. Bibliografia · Trautwein and Duchateau, Phytosterols: Sources and Metabolism in Nutrition and Cancer Prevention 2005 · Normen et al., Eur J Nutr 1999 · Normen et al., J Food Comp and Analysis 2002 · Cleghorn, et al., Eur J Clin Nutr, 2003 · Katan et al., Mayo Clin Proc, 2003

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TAVOLA ROTONDA La ristorazione collettiva ospedaliera

“Somministrare cibo agli ammalati non è solo una competenza alberghiera ma può rappresentare anche una forma di terapia. Corrette indicazioni dietetico-nutrizionali costituiscono il pre-requisito fondamentale per ogni tipo di ristorazione ospedaliera”. L’ospedale, struttura destinata all’assistenza sanitaria, deve obbligatoriamente erogare servizi di tipo alberghiero per i degenti, e pasti per i dipendenti. In questo contesto, quindi, il servizio di ristorazione assume particolare importanza sia come strumento terapeutico che come mezzo di educazione alimentare, considerando lo stretto legame tra alimentazione e salute. Nonostante sembri ovvio che il servizio ospedaliero di ristorazione necessiti di un elevato grado di specializzazione, esperienza e tecnologia da parte di chi gestisce il servizio, tuttavia nella maggior parte degli ospedali italiani il fattore “food” è stato sottovalutato in fase di progettazione, relegandolo a funzione accessoria da “nascondere” oppure minimizzare. Come in qualsiasi altro tipo di servizio di ristorazione, quindi, possono presentarsi condizioni che generano pasti con scarsa appetibilità-gradibilità, dovute a diversi fattori, quali errori nella preparazione, ripetitività nel menu, distribuzione dei pasti ad orari inusuali rispetto alla tradizione, errori di comunicazione tra i diversi componenti che operano nella realizzazione del servizio. Il risultato è la comparsa di disagio e malcontento dei ricoverati, condizioni di malnutrizione nel paziente costretto a digiunare oppure alimentato con cibi non sempre adatti al suo profilo terapeutico e nutrizionale, aumento dei rifiuti del comparto produttivo, perdita netta di risorse economiche a danno dell’azienda sanitaria. Un altro aspetto caratterizzante della ristorazione ospedaliera, considerando la natura dell’utenza, dovrebbe presupporre standard qualitativi molto elevati, superiori a quelli rivolti alle scuole, alle aziende, alle caserme o altre grandi collettività. Da molti decenni, purtroppo, siamo abituati al fatto che in ospedale si mangia male, in termini non solo di “gusto” ma soprattutto nutrizionali, con importanti conseguenze fisiologico-patologiche: infatti, la scorretta alimentazione, inducendo diversi stadi di malnutrizione, può aggravare eventuali stati di denutrizione già presenti in persone ammalate e/o anziane. Questo significa che nel “sistema ristorazione-ospedale” si dovrebbe innanzitutto valutare il paziente/cliente da un punto di vista clinico e nutrizionale ad ogni ricovero e per qualsiasi patologia, e solo successivamente proporre il menu appropriato. Purtroppo questa pratica è attualmente poco applicata, anche se la valutazione dello stato di nutrizione di una persona al momento del ricovero potrebbe rappresentare uno strumento importante nel contenimento dei crescenti casi di malnutrizione all’interno delle strutture ospedaliere. Da un’indagine condotta alla fine del secolo scorso, infatti, emerge un quadro della malnutrizione ospedaliera abbastanza preoccupante. La malnutrizione calorico-proteica ospedaliera ha una prevalenza del 20-40% e il prolungarsi del soggiorno ospedaliero tende a far peggiorare lo stato di nutrizione nel 30-60 % dei casi; la semplice registrazione di peso e altezza nella documentazione sanitaria (cartelle cliniche e schede ambulatoriali) e il suo monitoraggio nel tempo sono rare. Una volta effettuata la diagnosi, anche se non conclusiva, è necessario scegliere un menu appropriato compatibile con lo stato patologico del ricoverato. Questo è possibile con un dietetico ospedaliero in grado di affrontare le varie patologie e i diversi livelli di gravità. Solo successivamente e sulla base del prontuario dietetico, sarà possibile stilare un menu adeguato. Nella ristorazione collettiva l’obiettivo finale comune è fornire pasti sicuri con le migliori caratteristiche qualitative e nutrizionali, nei tempi previsti ed a costi sostenibili. Gli strumenti per raggiungere l’obiettivo sono molteplici. La produzione, l’eventuale trasporto, il confezionamento e la somministrazione di pasti costituiscono le fasi di un processo molto complesso, che vanno a toccare aspetti tecnici di processo e di logistica, come la scelta del sistema e del legame produttivo, che possono essere combinati in modo diverso in funzione delle situazioni. Non esiste, quindi, una soluzione ottimale in assoluto, ma si rivela migliore quella che più si adatta alle situazioni ed alle esigenze di una specifica realtà. In linea generale, mentre le operazioni che portano alla cottura del pasto sono sostanzialmente tradizionali e indipendenti da fattori esterni; quelle successive sono caratterizzanti della tipologia di servizio e dipendono dalla distribuzione, che può essere immediata oppure differita nel tempo, e che sono altresì legate alla collocazione del luogo di consumo.

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I sistemi di refezione attualmente riscontrabili sono prevalentemente di quattro tipologie e possono prevedere un servizio veicolato oppure non veicolato: sistema espresso (cook&serve); legame fresco caldo (cook&hold&serve); legame surgelato (cook&freeze); legame refrigerato (cook&chill), eventualmente completato dall’uso dell’atmosfera protettiva. Le scelte del sistema distributivo nella ristorazione ospedaliera italiana, nella maggioranza dei casi, ricadono sulle seguenti opzioni: distribuzione in fresco-caldo con carrelli caldi multiporzione; distribuzione in fresco caldo di vassoi personalizzati; distribuzione in legame refrigerato, in vassoi personalizzati oppure con contenitori multiporzione, previa fase di rigenerazione. La tavola rotonda si pone come un'occasione per proporre una riflessione con un approccio multidisciplinare sulla complessa materia concernente il rapporto esistente tra tecnologia, qualità del cibo e salute dell'uomo. R09. Verifica della qualità dei Servizi di Ristorazione collettiva nelle Strutture di Riabilitazione Geriatrica L.M. Donini, E. Castellaneta* Istituto di Scienza dell’Alimentazione, Università degli Studi di Roma “La Sapienza Istituto Clinico-Riabilitativo “Villa delle Querce” di Nemi (RM) La malnutrizione sia per eccesso che per difetto ha un’elevata prevalenza tra i pazienti ricoverati in ambiente ospedaliero. Tale situazione condiziona in maniera decisiva l’esito clinico dei pazienti ed è, a sua volta, determinato, almeno in parte, dalla qualità del servizio di ristorazione. La ristorazione ospedaliera da realtà assistenziale, sta assumendo una nuova veste ed una diversa organizzazione, che tengano conto sia dell’aspetto alberghiero che di quello clinico-nutrizionale. Può quindi svolgere un ruolo importante dal punto di vista sanitario garantendo a tutti i pazienti una nutrizione sana, equilibrata e variata, nonché mirata alle singole esigenze cliniche e metaboliche, in un contesto in cui l’omeostasi dell’individuo è già precaria. La ristorazione ospedaliera può inoltre diventare uno strumento educativo che consenta al paziente di mantenere, anche dopo il ricovero, un comportamento alimentare corretto tale da rendere meno probabile la ricomparsa o l’aggravarsi di situazioni di malnutrizione per eccesso o per difetto. La qualità di un Servizio di Ristorazione ospedaliero, vale a dire la sua capacità di rispondere alle esigenze clinico-nutrizionali dei singoli ricoverati e al contempo di fornire un’alimentazione “accettabile” dal paziente, dipende da numerosi fattori: qualità intrinseca del cibo, componente sensoriale, condizione emotivo-affettiva, situazione ambientale, organizzazione del Servizio di Ristorazione Ospedaliera, interazione tra le diverse figure coinvolte nella gestione. Un percorso di ricerca e verifica costante della qualità (oggettiva e soggettiva), in cui siano coinvolti tutti gli attori che operano nell’ambito della ristorazione collettiva, consente un miglioramento costante della qualità. L’utente della ristorazione collettiva in ambito sanitario deve al contempo ricevere un servizio a lui gradito, ma anche corretto da un punto di vista nutrizionale. Ciò impone una continua mediazione tra la customer satisfaction ed il lavoro di nutrizionisti e dietisti. L’approccio educazionale diventa in tale ottica essenziale per ottenere una compliance ideale del paziente al trattamento dietetico che vada anche al di là dei tempi del ricovero. R10. La ristorazione ospedaliera: aspetti organizzativi e progettuali R. Guidetti, A. Montanari Il mondo della ristorazione ospedaliera sta affrontando, anche in Italia, nuove sfide per poter garantire un innalzamento del livello del servizio offerto. Come in tutto il mondo della ristorazione collettiva le esigenze degli utenti stanno andando verso una richiesta di momenti non solo utili per cibarsi ma anche caratterizzati da una valenza ricreativa che deve essere tenuta debitamente in conto nella formulazione delle nuove proposte progettuali. La presentazione, partendo dal concetto di sistema e di progetto applicati all’ambito della ristorazione ospedaliera, cerca di mettere a fuoco gli elementi organizzativi e progettuali che sono tipici di tali realtà molto

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complesse ma, a volte, sottovalutate. Dopo aver definito le principali logiche ristorative applicabili al settore ospedaliero, si sottolineerà come possono avere impatto direttamente sull’organizzazione della struttura evidenziando le diverse soluzioni tecnologiche che possono essere adottate. L’intervento si conclude con alcuni casi applicativi che evidenziano come le specifiche iniziali dei progetti siano state rispettate e quali siano state le soluzioni tecnico-organizzative adottate nel rispetto della specificità locale. R11. La ristorazione ospedaliera come momento di promozione della salute, protezione dell’ambiente e razionalizzazione dei costi: esperienza dell’AUSL di Bologna C. Lesi, P. Beltrami, C. Giannone, E. Guberti, M.C. Chirico, P. Pesci, W. Orsi AUSL di Bologna La moderna ristorazione ospedaliera deve andare oltre l’offerta della qualità e della sicurezza del cibo fornito. Deve possedere implicazioni educative, ambientali, sociali ed economiche dando origine ad un rapporto più organico con il territorio in cui gli ospedali sono collocati. Questa è la modalità che intende seguire l’AUSL di Bologna da quando ha deciso di razionalizzare la ristorazione ospedaliera a seguito della fusione di tre AUSL in una unica (01/01/04) con coinvolgimento di 9 ospedali, di un rilevante numero di strutture decentrate (microstrutture decentrate) e dell’Istituto Ortopedico Rizzoli nell’ottica anche del contenimento e della razionalizzazione dei costi. La complessità dell’organizzazione si deduce dall’elevato numero di pasti/anno attualmente serviti: oltre 1.100.000 per i pazienti e 350.000 per i dipendenti. L’AUSL di Bologna comprende 819.738 cittadini residenti di cui il 23.76% oltre i 65 anni di età. E’ suddivisa in sei distretti territoriali, comprende 9 ospedali con 1926 posti letto, vi lavorano 8364 professionisti, 650 medici di medicina generale e 109 pediatri di libera scelta. Gli obiettivi di promozione alla salute sono: a livello ospedaliero assicurare la personalizzazione del servizio; fornire un ampio numero di informazioni ai pazienti ed ai familiari riguardo il vitto e le diete con coinvolgimento del personale di reparto. Nei confronti del territorio le implicazioni sopra riportate. I menù sono stati modificati e unificati per categorie di utenti ospedalieri (degenti e dipendenti) e sono identici per tutti gli ospedali. Sono menù multi-scelta e prevedono una serie di diete standard suddivise per patologie, oltre alla possibilità di diete personalizzate con utilizzo di prodotti dietetici. Per gli utenti a dieta libera sono state mantenute molte preparazioni gastronomiche tipiche del territorio secondo gli orientamenti regionali. Il vitto ospedaliero infatti assolve anche ad una funzione educativa. Durante il ricovero il paziente è più sensibile ai suggerimenti dietetici che riceve. Un rilievo eseguito presso i degenti dell’Osp. Generale di Bolzano ha evidenziato che l’86.5% di essi ritiene il vitto ospedaliero importante per la loro educazione nutrizionale e l’80% si è dichiarato interessato all’alimentazione. I menù destinati agli utenti della refezione scolastica sono fissi con possibilità di preparazione di diete personalizzate e menù a carattere etnico-religioso. Relativamente alle derrate alimentari sono state privilegiate le produzioni tipiche tradizionali, biologiche, equo-solidali. A livello ambientale valori aggiunti sono gli “acquisti pubblici verdi” inerenti l’uso di veicoli e di imballaggi con modesto impatto ecologico, di tecnologie che risparmiano energia e risorse idriche . Viene favorita la riduzione degli imballaggi pari al 20% rispetto gli attuali e circa le tecnologie utilizzate per la trasformazione delle derrate alimentari verranno impiegate cotture a vapore con pressione da 0.1 a 0.5 barr, utilizzo di forni ventilati, riduzione dei processi cook and cill. La riduzione delle cucine attive da nove a tre riduce gli impatti dovuti all’impiego di detersivi che vengono drasticamente ridotti. Per quanto riguarda il contenimento dei consumi idrici sono previsti rubinetti temporizzati o funzionanti con cellula fotoelettrica. Verranno installate lampade fluorescenti in tutti i locali che si spengono in assenza di operatori. I rifiuti organici verranno convogliati in un composter per produrre compost impiegato come fertilizzante (solo per un comune montano) da parte dei produttori locali coinvolti. Il tutto nell’ottica di un impatto positivo sull’ambiente. Circa la valorizzazione delle biodiversità ogni mese sono presenti nel menù prodotti tipici locali e piatti tradizionali a rischio di estinzione in collaborazione con i produttori, in modo da assicurare loro certezza di

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vendita per stimolarli a continuarne la produzione al fine di conservare un importante patrimonio culturale. Il modello messo a punto prevede anche il coinvolgimento del personale sanitario e degli utenti attraverso “seminari del gusto” ed iniziative di comunicazione con lo scopo di rendere tutti i soggetti partecipi del progetto ed a loro volta diffusori del modello culturale promosso. In due ospedali periferici si attua una collaborazione fra AUSL e Comune per cui la cucina ospedaliera serve sia l’ospedale che la scuola locale. Per un comune montano a livello sperimentale è stato introdotto come parametro di valutazione premiante la maggiore quantità di prodotti locali offerti dalle aziende concorrenti (società di catering). Si crea così un rapporto diretto fra produttori e consumatori locali. I prodotti di scarto tornano ai produttori sotto forma di concime (c.d. filiera corta). Infine va ricordata la solidarietà sociale del progetto per cui cibo integro sul piano nutrizionale ed igienico viene fornito ad enti (ad es. la Caritas) che si occupano di persone svantaggiate. Attraverso questo sistema di alleanze con le risorse sociali del territorio l’AUSL si propone di sviluppare una progettualità condivisa in grado di promuovere nuovi modelli di interpretazione della realtà della ristorazione, nuovi valori, nuove motivazioni ed interessi negli attori coinvolti e nelle iniziative programmate. Si ringrazia per la collaborazione: A. Albertini, R. Borgogno, P. Magnavita e L. Prete (Dipartimento di Salute Pubblica AUSL di Bologna) Le dietiste dell’ U.O.C di Dietologia e Nutrizione Clinica (Dipartimento Igienico-Organizzativo AUSL di Bologna). Bibliografia · C. Lesi: “ Significato sanitario del vitto ospedaliero” da Il comfort in ospedale Quaderni Qualità 6 CLUEB Ed. Bologna, pagg. 107-110, 1999 · L. Lucchin: “ La ristorazione: realtà attuali e prospettive future “ Atti del 5° Convegno Regionale ADI Emilia Romagna, pagg. 71-75, Bologna, 21 novembre 1996 · C. Lesi, P. Beltrami, C. Giannone et al: “ Health promotion, economy, and protection of the environment in line with the hospital food service project” 2nd WHO workshop on the role of health systems in economics development and poverty reduction, 27-28 april 2006, Venice, Italy · W. Orsi: “Progettare insieme la qualità della vita “ Angeli Ed. Milano, 2003.

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SESSIONE PARALLELA Caffè e sistema cardiovascolare

R12. Consumo di caffè e cardiopatie: una meta-analisi A. Conti*^, F. Sofi*°, A.M. Gori*°, M.L.E. Luisi^, A. Casini†°, R. Abbate*°, G.F. Gensini*^ *Dipartimento di Area Critica Medico Chirurgica, Università di Firenze; ^Fondazione Don Carlo Gnocchi, IRCCS Firenze; °Centro Interdipartimentale di Ricerca per la Valorizzazione degli Alimenti (CeRA), Università di Firenze; †Dipartimento di Fisiopatologia Clinica, Università di Firenze Scenario ed obiettivi Il rischio di malattia coronarica potenzialmente associato al consumo di caffè è un tema notevolmente dibattuto a livello epidemiologico e clinico. Gli studi più recenti non indicano un aumento significativo di coronaropatia in associazione con un introito giornaliero di caffè lieve-moderato. In considerazione della spiccata attenzione del mondo sanitario per molti degli aspetti relativi al rapporto tra consumo di caffè e ambito cardiovascolare, questa meta-analisi si è proposta di contribuire in modo rigoroso alla identificazione organica delle evidenze relative alla possibile relazione tra introito di caffè e cardiopatia ischemica (CI) in prospettiva clinico-epidemiologica. Metodi e risultati E’ stata condotta una ricerca sistematica della letteratura pubblicata su Medline, Embase, Web of Science e sul Cochrane Systematic Review Database. Gli studi sono stati considerati eleggibili nella presente revisione sistematica con meta-analisi quando riportavano le stime della associazione delle differenti categorie di consumo di caffè con la cardiopatia ischemica. Sono stati inclusi e analizzati nella rassegna sistematica 13 studi caso-controllo e 10 studi di coorte, per un totale di 9.487 casi di CI e 27.747 controlli negli studi caso-controllo, e 403.631 partecipanti, seguiti per un intervallo temporale variabile tra 3 e 44 anni, negli studi di coorte. Studi caso-controllo Sono state definite 4 categorie di consumo di caffè: la categoria più elevata (essenzialmente più di 4 tazze al dì), la seconda categoria più elevata (essenzialmente 3-4 tazze al dì), la terza categoria più elevata (essenzialmente 2 tazze o meno al dì), la categoria di riferimento (nessun consumo o meno di una tazza al dì). E’ stata confrontata la più elevata categoria di consumo di caffè riportata negli studi caso-controllo con la categoria di riferimento. L’odds ratio (OR) cumulativo, in un modello ad effetti random, ha mostrato che gli individui che consumavano una elevata quantità di caffè al giorno avevano un aumento del rischio di CI (OR: 1,83; IC 95% 1,49-2,24). Il valore della p per la eterogeneità è risultato di 0,02. Due studi, tra i 13 analizzati, contribuivano in modo sostanziale all’eterogeneità di questo risultato. Comunque, anche dopo esclusione dei due studi dall’analisi, il risultato riscontrato non si è modificato in modo sensibile (OR: 2,03; IC 95% 1,77-2,33), (p per la eterogeneità: 0,46). E’ stata poi confrontata la seconda categoria più elevata con la categoria di riferimento; il confronto ha mostrato una associazione positiva tra consumo di caffè e CI (OR: 1,33; IC 95% 1,04-1,71) (p per la eterogeneità <0,0001). L’esclusione dello studio che rendeva ragione della significativa eterogeneità del modello non ha influenzato il risultato complessivo (OR: 1,42; IC 95% 1,18-1,71) (p per la eterogeneità=0,06). E’ stata infine confrontata la terza categoria più elevata di consumo di caffè con la categoria di riferimento; in questo caso non era evidenziabile alcuna associazione positiva tra consumo di caffè e rischio di CI (OR: 1,03; IC 95% 0,87-1,21). La p per la eterogeneità risultava significativa (p=0,01); comunque, dopo esclusione dello studio che rendeva ragione della significativa eterogeneità del modello, l’effetto complessivo non si modificava in modo significativo (OR: 1,07; IC 95% 0,89-1,29) (p per la eterogeneità: 0,06). Studi di coorte Nei 10 studi analizzati, il rischio relativo (RR) cumulativo non ha mostrato alcuna associazione positiva tra la categoria più elevata di consumo di caffè e la cardiopatia ischemica (RR: 1,16; IC 95% 0,95-1,41). L’analisi ha evidenziato una eterogeneità significativa degli studi (p=0,0008), dovuta principalmente ai due studi che presentavano i RR maggiori. Dopo esclusione di questi due studi dall’analisi, il risultato è stato comunque confermato (RR: 1,11; IC 95% 0,88-1,41) (p per la eterogeneità=0,08). E’ stata poi confrontata la seconda categoria più elevata con la categoria di riferimento; il confronto non ha mostrato, anche in questo caso, alcuna associazione positiva tra consumo di caffè e CI (RR: 1,05; IC 95% 0,90-1,22). Tale risultato è stato confermato anche dopo esclusione dall’analisi dello studio che rendeva ragione della eterogeneità del modello (p per la

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eterogeneità=0,4). E’ stata infine confrontata la terza categoria più elevata di consumo di caffè con la categoria di riferimento; anche in questo caso non era evidenziabile alcuna associazione positiva tra consumo di caffè e rischio di CI (RR: 1,04; IC 95% 0,90-1,19). Era presente una significativa eterogeneità degli studi (p=0,002); comunque, anche dopo la rimozione dal modello dello studio che rendeva ragione della eterogeneità significativa, il risultato non si modificava in modo sensibile (RR: 0,99; IC 95% 0,87-1,12) (p per la eterogeneità = 0,34). Conclusioni In sintesi, nonostante una associazione positiva significativa tra elevato consumo di caffè e cardiopatia ischemica negli studi caso-controllo, nessuna associazione positiva tra il consumo quotidiano di caffè e la cardiopatia ischemica è emersa dagli studi prospettici di coorte di grandi dimensioni. Questa meta-analisi, condotta su 13 studi caso-controllo e su 10 studi di coorte, per un totale di oltre 440.000 soggetti esaminati, indica pertanto che un consumo quotidiano da lieve a moderato di caffè, ossia quello abituale nei paesi occidentali, non è associato ad un aumento del rischio di cardiopatia ischemica. Bibliografia essenziale · Gensini GF, Conti AA. Caffè e rischio coronarico: dalla storia alla attualità. Recenti Progressi Medicina 2004; 95: 563-5. · Greenland S. A meta-analysis of coffee, myocardial infarction, and coronary death. Epidemiology 1993; 4: 366-74. · Kawachi I, Colditz GA, Stone CB. Does coffee drinking increase the risk of coronary heart disease? Results from a meta-analysis. Br Heart J 1994; 72: 269-75. · Sofi F, Conti AA, Gori AM, Luisi MLE, Casini A, Abbate R, Gensini GF. Coffee consumption and risk of coronary heart disease: a meta-analysis. Nutrition, Metabolism and Cardiovascular Disease, 2006 in stampa. · Tavani A, Bertuzzi M, Gallus S, Negri E, La Vecchia C. Risk factors for non-fatal acute myocardial infarction in Italian women. Prev Med 2004; 39: 128-34. Questo studio è stato sostenuto da un contributo di ricerca della Società Italiana di Nutrizione Umana – SINU. R13. Caffè e pressione arteriosa C. Borghi Dipartimento di Medicina Clinica e Biotecnologie Applicate “D. Campanacci”, Università degli Studi di Bologna, Policlinico Ospedaliero-Universitario S.Orsola-Malpighi, Bologna Il caffè è una delle bevande più consumate ed apprezzate in ogni parte del mondo. Il suo consumo è così diffuso che un effetto delle sostanze in esso contenute sui valori della pressione arteriosa potrebbe avere un impatto sostanziale sulla salute pubblica. Il pricipale costituente dei chicchi di caffè è rappresentato dalla caffeina, sostanza alcaloide, con azione stimolante sul Sistema Nervoso Centrale, sull’apparato cardiovascolare, sul rilascio delle catecolamine e sul metabolismo in generale. E’ stato documentato che la ingestione di circa 200-250 mg di caffeina, equivalenti a 2-3 tazze di caffè, può aumentare, entro breve tempo dalla sua assunzione, la pressione arteriosa sistolica di 3-14 mmHg e la pressione arteriosa diastolica di 4-13 mmHg nel soggetto normoteso. Anche la assunzione di altre bevade contenenti caffeina può aumentare i valori della pressione arteriosa, la frequenza cardiaca ed attivare il sistema simpatico, soprattutto nei consumatori occasionali. L’effetto della caffeina sulla pressione arteriosa sarebbe mediato da numerosi meccanismi fisopatologici fra i quali un ruolo particolare appare quello conseguente all’aumento delle resistenze vascolari sistemiche medianto dal blocco dei recettori della adenosina con successiva contrazione della muscolatura liscia vasale. Il sistema cardiovascolare sembra tuttavia in grado di sviluppare tolleranza agli effetti della caffeina. Diverse meta-analisi condotte negli ultimi anni hanno complessivamente ducumentato un aumento dei valori della pressione arteriosa in conseguenza del consumo cronico di caffè. In particolare, una recente metanalisi degli studi clinici randomizzati condotti per valutare l’effetto della ingestione di caffè o di caffeina sulla pressione arteriosa ha confermato questo dato evidenziando come la assunzione regolare (per più di una settimana) di quantità moderate di caffè o caffeina è in grado complessivamente di aumentare i valori della pressione arteriosa sistolica di circa 2 mmHg ed i valori della pressione arteriosa diastolica di circa 0.70 mmHg. Se la caffeina viene ingerita attraverso il caffè l’effetto sulla pressione risulta però molto più modesto (pressione arteriosa sistolica: 1.22 vs 4.16 mmHg; pressione arteriosa diastolica: 0.49 mmHg vs 2.41 mmHg)

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ed accompagnato, talora, allo sviluppo di una condizione di tollerenza. Il consumo abituale di caffè non sembra, però, associato ad un incremento del rischio di comparsa di ipertensione arteriosa. Difficile è però, in questo ambito, giudicare gli effetti del consumo di caffè. Il caffè è, infatti, una miscela che contiene altre sostanze, alcune delle quali, come il potassio ed il magnesio, hanno documentato di avere effetti positivi sul sistema cardiovascolare. Il metodo di preparazione del caffè potrebbe, a sua volta, influire sugli effetti dello stesso essendo stato evidenziato come la ingestione di caffè “espresso” influenzi meno la pressione arteriosa rispetto alla assunzione di caffè “bollito”. Inoltre, l’abitudine di bere il caffè si accompagna generalemnete ad un positivo effetto rilassante sia livello mentale che fisico che può sottostimare l’effetto della caffeina in esso contuno e per converso, l’astinenza allo stesso può generare nervosismo e quindi influenzare negativamente i valori della pressione arteriosa, provocandone un aumento. Da ultimo occorre ricordare come purtroppo molto spesso il consumo abituale di caffè si associ ad abitudini voluatturie quali il fumo di sigaretta e la assunzione di alcool, fattori questi ultimi in grado di modulare non solo le caratteristiche farmacocinetiche della caffeina ma anche, ed in maniera sicuramente negativa, il rischio cardiovascolare globale sia dei soggetti normotesi che dei pazienti già ipertesi. Note bibliogafiche 1. Winkelmayer WC, Stamfer MJ, Willet WC, Curban GC. Habitual caffeine intake and the risk of hypertension in women. JAMA. 2005 Nov 9;294(18):2330-5. 2. Noordzij M, Uiterwall CSPM, Arends LR, Kok FJ, Grobbee DE, Geleijnse JM. Blood pressure response to chronic intake of coffee and caffeine: a meta-analysis of randomized controlled trials. J Hypertens. 2005 May;23(5):921-8. 3. Higdon JV, Fei B. Coffee and health: a review of recent human research. Crit Rev Sci Nutr 2006;46(2):101-23. 4. Sudano I, Binggeli C, Spieker L, Luscher TF, Ruschitzka F, Noll G, Corti R. Cardiovascular effects of coffee: is it a risk factor? Prog Cardiovasc Nurs 2005;20(2):65-9. R14. Composti fenolici del caffè nella prevenzione delle malattie cardiovascolari F. Natella La relazione esistente tra consumo di caffè e malattie cardiovascolari è stata a lungo dibattuta. Numerosi studi epidemiologici hanno riportato risultati contrastanti, forse a causa della difficoltà a discriminare tra il consumo di caffè e altri fattori di rischio associati al suo consumo. Negli ultimi anni, alcuni lavori hanno messo in evidenza l’esistenza di una associazione a forma di J tra il consumo di caffè ed il rischio cardiovascolare. Ciò vuol dire che un consumo moderato è associato ad un rischio cardiovascolare minore rispetto ad un consumo nullo o particolarmente elevato. Questo tipo di relazione può evidenziare la coesistenza, all’interno dell’alimento caffè, di fattori positivi e negativi per il rischio cardiovascolare. La dose e le modalità di assunzione del caffè diventano, quindi, critiche nella definizione del rischio. Tra le numerose molecole ad attività protettiva, il caffè contiene un’importante classe di composti ad attività antiossidante, i composti fenolici. La quantità di queste molecole nel caffè è tale che il consumo di caffè può contribuire alla capacità antiossidante totale della dieta fino anche al 40-60%. Numerosi studi sperimentali hanno dimostrato che gli acidi fenolici presenti nel caffè sono biodisponibili, posseggono un’elevata attività antiossidante, sono in grado di inibire l’ossidazione delle LDL e l’aggregazione piastrinica.

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TAVOLA ROTONDA Le proteine nella dieta: quante e perché?

R15. Le diete iperproteiche nello sport M. Giampietro*, P. D’Acapito** * Coordinatore del gruppo tematico “Nutrizione, attività fisica e sport” della S.I.N.U.; ** Gruppo tematico “Nutrizione, attività fisica e sport” della S.I.N.U. La pratica regolare di un’attività fisica, sia essa di forza, di resistenza muscolare o di durata, impone una particolare attenzione agli apporti nutrizionali. La costruzione di masse muscolari richiede un programma d’allenamento molto intenso che comporta un aumento del fabbisogno energetico, proteico e di micronutrienti. L’alimentazione dell’atleta che segue un simile programma deve quindi avere come obiettivo primario un adeguato apporto energetico prevalentemente sotto forma di carboidrati (e in misura più contenuta di grassi) che gli consenta di mantenere delle buone riserve di glicogeno muscolare, e un altrettanto adeguato apporto proteico che permetta la crescita delle masse muscolari e la riparazione dei diversi tessuti dell’apparato locomotore che possono essere danneggiati durante l’esercizio. La razione proteica quotidiana dello sportivo deve quindi essere superiore a quella consigliata per i soggetti sedentari, ma sull’entità di quest’incremento è necessario fare alcune importanti considerazioni. Apporto energetico e apporto proteico sono tra loro strettamente correlati in quanto un ridotto apporto energetico fa aumentare il fabbisogno proteico così come una buona disponibilità di carboidrati favorisce il risparmio proteico durante l’esercizio fisico. Dall’analisi dei dati ottenuti dagli studi effettuati si ritiene comunemente che la prestazione atletica di durata, quando supera i 60 minuti, richiede un apporto proteico giornaliero di 1,2 - 1,5 grammi per kg di peso corporeo in quanto, oltre agli aminoacidi necessari per il ricambio delle proteine tessutali usurate, il 5% dell’energia utilizzata per l’esercizio viene fornita da substrati proteici. In caso di prestazione particolarmente intensa e di durata superiore ai 90 minuti, questa percentuale destinata a fini energetici può arrivare al 10 – 14% in considerazione della differente disponibilità di glicogeno. Nelle prestazioni di forza e resistenza muscolare i migliori risultati si hanno per apporti proteici che vanno da 1.4 a 1.8 fino ad un massimo di 2 grammi di proteine per kg di peso corporeo: in questo ultimo caso si ottiene un ulteriore aumento delle masse senza però evidenti miglioramenti nella prestazione. Apporti superiori non danno alcun vantaggio ai fini dell’anabolismo muscolare. Nella razione alimentare l’apporto energetico e proteico crescono in maniera proporzionale visto che la maggior parte degli alimenti, ad eccezione di quelli maggiormente trattati industrialmente e raffinati, contengono più macronutrienti; atleti che si sottopongono ad allenamenti mirati al potenziamento della forza e della resistenza muscolare consumano dalle 3000 alle 5000 kcal/die con un apporto proteico di circa il 15% dell’energia totale giornaliera: trasformando il dato in termini assoluti avremo un’assunzione di proteine pari a 112 - 187 grammi/die quantità sicuramente sufficiente a soddisfare i fabbisogni della maggior parte degli atleti. Apporti proteici superiori ai 2 g/kg di peso corporeo non sembrano avere alcun effetto sulla prestazione né sono risultati in grado di migliorare il volume delle masse muscolari: la sintesi proteica non ha quindi una correlazione lineare con l’apporto alimentare di proteine, ma raggiunge un plateau a livelli d’incremento proteico relativamente modesti. Al contrario, chi pratica attività sportiva a livello dilettantistico, allenandosi regolarmente per 1-2 ore al giorno, dovrà limitarsi ad incrementare l’apporto energetico proporzionalmente all’intensità dell’allenamento e attenersi, per quanto riguarda la composizione in macronutrienti, ai criteri della cosiddetta dieta prudente, normo-glucidica (50-60 % dell’energia totale giornaliera). In entrambi i casi, atleti di buon livello e sportivi amatoriali, scelte nutrizionali variate nell’ambito dei diversi gruppi di alimenti garantiranno gli apporti di tutti i micronutrienti, mentre la distribuzione dei pasti nella giornata andrà valutata in rapporto all’organizzazione delle diverse attività dello sportivo considerando in primo luogo l’orario, la durata e le caratteristiche specifiche dell’allenamento praticato. In alcune discipline sportive, la necessità di mantenere un basso peso corporeo (discipline ad alto contenuto acrobatico come la ginnastica, o discipline con categorie di peso) impone in certi periodi dell’anno apporti energetici relativamente contenuti che spesso sono anche nettamente inferiori alle 3000 kcal/die: queste situazioni richiedono un controllo medico particolarmente attento. Gli atleti ed i loro tecnici devono essere

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informati sull’importanza di mantenere il proprio peso corporeo entro limiti di peso accettabili, limitando il più possibile il ‘weight cycling’ nel corso dell’anno agonistico. La razione alimentare in questi periodi prevedrà un aumento della quota percentuale delle proteine (superiore al 20%) ed una riduzione di quella dei grassi (intorno al 20%) mentre i carboidrati dovrebbero rimanere relativamente elevati (intorno al 55%). In ogni caso dovrebbe essere sconsigliato un apporto energetico giornaliero inferiore alle 30 kcal per kg di massa corporea priva di grasso (FFM) per scongiurare l’insieme delle alterazioni ormonali, metaboliche e della funzione immunitaria che alcune ricerche hanno evidenziato negli atleti sottoposi a forti restrizioni energetiche. Come già detto l’esercizio di forza fa aumentare il turnover proteico a livello muscolare stimolando sia la sintesi sia la degradazione delle proteine (la prima in misura sicuramente maggiore della seconda), ma l’entità di entrambe dipende da molteplici fattori come il tempo di recupero dopo la seduta e il grado d’allenamento che può condizionare in maniera positiva il bilancio d’azoto. Ancora una volta è quindi il tipo d’allenamento e le modalità con cui viene condotto che principalmente condizionano l’entità dello sviluppo delle masse muscolari. Gli aspetti nutrizionali sono in ogni caso fattori che influiscono sulla crescita corporea, sulla sintesi proteica e sul miglioramento tecnico dell’atleta: ad esempio l’assunzione di spuntini a base di carboidrati e di proteine (i primi in quantità pari a 30-50 grammi, e le seconde da 5 a 10 grammi) prima e nelle due ore successive (80-120 grammi di carboidrati e 15-40 grammi di proteine) un allenamento di resistenza muscolare, può migliorare l’anabolismo proteico. Inoltre, lavori condotti negli ultimi anni hanno evidenziato lo stretto legame tra contenuto muscolare di glicogeno, l’enzima protein kinasi attivata (specificatamente l’AMPK&alpha;2) e l’espressione del GLUT 4 mRNA in risposta all’esercizio muscolare. Tuttavia, sebbene un’alimentazione scorretta e non adeguata possa influire negativamente sulla prestazione, non esiste un nutriente o una qualche sostanza miracolosa che possa sostituirsi alle caratteristiche geneticamente determinate dell’atleta e ad un allenamento ben programmato e ben condotto. Queste considerazioni possono apparire piuttosto scontate, ma le mode e le credenze attuali, il culto del fisico e dell’estetica, spingono spesso l’individuo che si avvicina all’attività sportiva con l’obiettivo di trasformare il proprio aspetto secondo i modelli del momento, a cercare soluzioni alimentari ‘facili’ che possano porre rimedio ai tanti anni d’inattività e di vita sedentaria, ma soprattutto che possano sostituirsi all’impegno costante di un allenamento giornaliero intenso e faticoso. Allo stesso modo nello sport di alto livello il desiderio di successo e la conseguente necessità di migliorare la prestazione sono motivazioni altrettanto valide che spingono gli atleti a sperimentare continuamente nuove ‘formule alimentari’ e a ricercare nuovi integratori che possano miracolosamente trasformarli in campioni invincibili. Così l’inscindibile binomio attività fisica – nutrizione in cui è la prima a condizionare la seconda, viene spesso frainteso e l’alimentazione viene ad essere considerata un fattore di primo piano nel condizionare il tanto bramato sviluppo delle masse muscolari e il desiderio di portare a livelli massimi la propria prestazione sportiva. La necessità di ‘guadagnare peso’, naturalmente in termini di massa muscolare, spinge la quasi totalità dei frequentatori delle palestre a adottare misure dietetiche costose, sgradevoli e del tutto inutili per conseguire l’obiettivo prefissato. Le scelte nutrizionali si orientano prevalentemente su alimenti d’origine animale ad alto contenuto proteico e a scarso contenuto di grassi (bresaola, tonno al naturale, carne di manzo magra, pesce, prosciutto crudo magro, albume dell’uovo, ecc.): il loro costo, se si esclude l’uovo, è sicuramente più elevato di altri alimenti di origine vegetale che, se ben combinati tra loro e con una giusta quantità di carne, pesce, uova, latte e derivati, permettono l’assunzione di una razione alimentare più completa, più adeguata dal punto di vista quantitativo (apporto energetico) e qualitativo (macro e micronutrienti), più digeribile ma soprattutto più gradevole e gratificante. Secondo alcuni autori è possibile individuare uno stretto legame tra la pratica del bodybuilding, ma possiamo dire più in generale l’attività svolta in palestra con i pesi e le macchine di muscolazione, ed una spinta molto forte, opprimente - come specificamente indicato dagli autori, ad ottenere un incremento della massa magra muscolare. Si tratta di una condizione patologica che colpisce soprattutto soggetti maschi, già segnalata da tempo dai ricercatori del nord dell’America, di cui, purtroppo, si parla ancora troppo poco nonostante le sue importanti ripercussioni sullo stato di salute psico-fisica dei soggetti che ne sono affetti. La sindrome è comunemente chiamata Anoressia “Reverse” (AR), “reverse anorexia syndrome” secondo la terminologia anglosassone proposta da Pope-Katz e Hudson nel 1993, per rimarcare la forte influenza della pratica sportiva sul grado di soddisfazione per la propria immagine corporea sia negli uomini sia nelle donne. Con il termine di Anoressia Reverse s’intende, quindi, un disturbo dell’immagine corporea a volte associato ad

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un disturbo del comportamento alimentare, noto anche con i termini di “Dismorfia Muscolare” (DM) e “Bigoressia” a sottolineare l’alterata percezione della propria immagine corporea, come del resto presente anche nei pazienti affetti da anoressia nervosa. La Bigoressia costituisce un quadro clinico psicologico preoccupante, diffuso prevalentemente, ma non solo, tra gli appassionati di body-building, caratterizzato da alcuni comportamenti simili a quelli descritti per l’anoressia nervosa e la bulimia, ma con un’attenzione di segno opposto rispetto alla valutazione del proprio peso corporeo. Infatti, nell’anoressia reverse si riscontra un modello di comportamento verso l’alimentazione e l’esercizio fisico di tipo ossessivo, molto simile a quello presente nei DCA, ma rivolto in questo caso non tanto alla perdita del peso corporeo, bensì all’aumento e “definizione” della massa muscolare associate alla riduzione quanto più possibile del grasso corporeo e al miglioramento della forma fisica (fitness). I soggetti affetti da anoressia reverse credono di essere piccoli e deboli nonostante l’evidenza dimostri inequivocabilmente che in realtà sono grossi e muscolarmente ben dotati; insoddisfatti del loro aspetto fisico, sempre protesi al raggiungimento del loro ideale di immagine corporea, spesso, questi accaniti frequentatori delle palestre, adottano diete strane (soprattutto inutilmente iperproteiche e ricche di integratori di ogni genere) spesso suggerite nelle pagine, a volte decisamente farneticanti, delle riviste specializzate di settore. Un aspetto di notevole importanza nel legame tra pratica estrema del bodybuilding e, più in generale del fitness, e disturbi del comportamento, non solo alimentare, risiede nel frequente e massiccio ricorso a farmaci anabolizzanti che, sempre più spesso e in maniera trasversale a tutte le età, sono utilizzati dagli “adepti” della cultura fisica per aumentare le masse muscolari e le prestazioni atletiche. L’uso indiscriminato, illegale ed estremamente pericoloso degli steroidi anabolizzanti e dell’ormone della crescita, come di qualunque altro farmaco, non motivato da specifiche necessità terapeutiche, è in rapida crescita tra i bodybuilders che in alcuni casi, come per i soggetti affetti da anoressia nervosa, non esitano ad adottare comportamenti ad altissimo rischio per la salute e la vita stessa, pur di ottenere il loro obiettivo di vedersi sempre più grossi e muscolosi. Il testo della presente relazione è tratto dal volume “L’alimentazione per l’esercizio fisico e lo sport” Giampietro M. Il Pensiero Scientifico Editore, Roma (2006) Voci bibliografiche 1. Lemon PWR (1998) Effects of exercise on dietary protein requirements. Int J Sport Nutr 8: 426-47 2. Kreider RB (1999) dietary supplements and the promotion of muscle growth with resistance exercise. Sport Med; 27 (2): 97-110 3. Chromiak JA and Antonio J (2002) Use of amino acids as growth hormone-releasing agents by athletes. Nutrition; 18: 657-661 4. Haus JM, Miller BF, Carroll CC, Weinheimer EM, Trappe TA (2006) The effect of strenuous aerobic exercise on skeletal muscle myofibrillar proteolysis in humans. Scand J Med Sci Sports 2006 Jun 19 5. Steinberg GR, Watt MJ, McGee SL, Chan S, Hargreaves M, Febbraio MA, Stapleton D, Kemp BE (2006) Appl Physiol Nutr Metab; 31 (3): 302-312 R16. Le proteine nella dieta: dalla teoria alla pratica F. Pasqui Dipartimento di Medicina Interna e Gastroenterologia Università degli Studi di Bologna –Policlinico S.Orsola-Malpighi Il ruolo delle proteine nella dieta è di estrema importanza in quanto l’apporto deve assicurare il mantenimento di un bilancio di azoto; tale bilancio è calcolato come differenza tra l’ azoto introdotto con la dieta (l’azoto costituisce mediamente il 16% di proteine) e l’azoto eliminato. Proteine, “protos”, “primo elemento” essenziali per la crescita, la struttura e il buon funzionamento delle cellule viventi pertanto le proteine sono indispensabili per la vita! L’input proteico deve essere sempre in funzione di una corretta alimentazione e, quando si parla di corretta alimentazione o alimentazione razionale, si deve anche tenere conto nei limiti del possibile del gusto, delle tradizioni, ma anche delle condizioni fisiopatologiche e pertanto occorre: garantire introiti che assicurino un rendimento biologico ottimale, prevenire carenze o sovraccarichi metabolici che se prolungati nel tempo possono provocare o anticipare un evento patologico. La quota proteica raccomandata, indicata in Italia dai

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LARN, (1) nonchè dal rapporto “Nutrient and energy intakes for the European Community” per le direttive europee.(2) è di 0.8-1 g /kg peso corporeo pari circa al 10-15% del fabbisogno energetico quotidiano. Quantità inferiori sono associate ad un bilancio negativo di azoto e pertanto non consigliate. In presenza di insufficienza renale la quantità di proteine deve essere ridotta e gestita in funzione del livello di gravità, mentre durante la crescita, la gravidanza, l’infanzia, l’adolescenza, in presenza di elevati livelli di attività fisica (3) e di malattie cataboliche, possono essere necessarie richieste maggiori. E’ noto che l’apporto di proteine nella nostra dieta, supera di gran lunga le proposte dei LARN con uno squilibrio a favore delle proteine animali, carne in particolare, con un conseguente inevitabile aumento di grassi saturi. Per quanto riguarda invece i legumi, altra fonte proteica importante, il consumo risulta essere decisamente scarso. Ciò deriva dall’opinione comune che le proteine animali siano indispensabili o migliori di quelle vegetali soprattutto per chi pratica sport. La qualità proteica è senza dubbio importante soprattutto nelle patologie in cui è richiesta una riduzione della quota; è tuttavia utile favorire quanto più possibile il consumo di proteine vegetali (legumi e cereali), cercando comunque di mantenere un giusto equilibrio per evitare di escludere impropriamente, come spesso indicato da messaggi forvianti, alimenti (latte, uova) preziosi non solo per l’apporto proteico ma per l’insieme delle loro caratteristiche nutrizionali. I legumi sono ottima fonte di proteine (100 g di fagioli secchi 24 g di proteine) e seppure di origine vegetale, apportano aminoacidi essenziali come lisina, treonina, valina e triptofano in discreta quantità. Ecco quindi che pasta e fagioli o ceci o lenticchie, possono rappresentare un piatto completo dal punto di vista nutrizionale. La validità dell’apporto proteico quindi va definito anche in base alla qualità nutrizionale delle proteine e al loro contenuto aminoacidico; pertanto l’utilizzo di alimenti vegetali, opportunamente inseriti nella dieta in modo da ottenere una valida complementazione, permette di aumentare la quota proteica senza eccedere nell’apporto lipidico. Negli ultimi anni le diete con un apporto proteico molto elevato (30%) (Zona, Atkins ecc.)sono state fortemente pubblicizzate per problemi legati al sovrappeso, per la prevenzione di alcune patologie e per aumentare le prestazioni atletiche, tuttavia a tutt’oggi queste teorie, richiedono un’attenta valutazione ed in alcuni casi ulteriori conferme scientifiche. Parimenti la forte riduzione della quota glucidica proposte in alcuni studi su pazienti diabetici tipo2 (4-5) comportano un inevitabile aumento di proteine che potrebbe squilibrare la dieta e modificare esageratamente le proprie abitudini alimentari. Molte persone con una dieta iperproteica riscontrano una immediata perdita di peso che però non è il risultato di un aumentato apporto proteico bensì di una dieta ipocalorica.(6) Con il tempo questo tipo di alimentazione oltre a creare problemi per la funzionalità epatica e renale, risulta essere troppo monotono e poco gratificante e come in tutti i regimi dietetici transitori e prescrittivi, la ripresa del peso corporeo si verifica con gli “interessi” quando vengono riprese le vecchie abitudini alimentari. A tutt’oggi per mantenere una perdita di peso e un miglioramento del quadro metabolico, la migliore strategia prevede una modificazione dello stile di vita attraverso una alimentazione equilibrata e una regolare e moderata attività fisica. (7) Uno studio condotto in Grecia nel 2003 ha dimostrato che l’aderenza alla dieta, intesa nella sua interezza e non in termini di singolo alimento, e’ in grado di ridurre significativamente la mortalita’ complessiva, quella per patologia cardiovascolare e per patologie neoplastiche. Studi successivi hanno inoltre confermato l’effetto della dieta mediterranea anche in sottogruppi di popolazione, quali i soggetti cardiopatici ed in soggetti anziani.(8) Questi studi confermano l’ipotesi che uno stile alimentare non iperproteico, corrispondente alla dieta mediterranea, caratterizzata da un elevato consumo di frutta, verdura, legumi, cereali non raffinati, olio di oliva e pesce, da un consumo moderato di latticini e vino e da un basso consumo di carne rossa, costituisce un importante fattore di prevenzione primaria e secondaria. (9-10) Fra le diete iperproteiche “che fanno tendenza”, troviamo: - dieta Atkins : secondo Atkins l’aumento di peso è il risultato di un bilancio energetico positivo, ma solo l’eccessivo consumo di carboidrati sarebbe responsabile dell’incremento ponderale e per perdere peso, non basterebbe solo ridurre le calorie ma soprattutto l’apporto di carboidrati. Il metodo si compone di quattro fasi: fase 1 definita “induzione” durante la quale inizia la perdita di peso fase 2 “dimagrimento in atto” con cui ci si avvicina al peso obiettivo fase3 “ pre-mantenimento” fase 4 “mantenimento permanente” La dieta Atkins, complessivamente risulta sempre ipocalorica, ipoglucidica (5-14%), iperproteica(24-35%) iperlipidica (60-62%) e chetogenica (i glucidi restano sempre al di sotto dei 90 g) e carente nell’apporto di fibra;

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Tra gli aspetti negativi della dieta Atkins si individuano possibili alterazioni metaboliche e apporti insufficienti di alcuni nutrienti; - dieta pro Zona, La Zona ideata dal biochimico Barry Sears, è definita dall’autore come”…quello stato di grazia fisiologico in cui si trova l’organismo quando gli ormoni sono in perfetto equilibrio e danno luogo ad una salute ottimale……” Per entrare nella Zona e restarvi a lungo ci si deve avvalere dell’alimentazione secondo i seguenti criteri: - Calcolare quante proteine servono all’organismo senza preoccuparsi dell’apporto calorico. Il fabbisogno proteico giornaliero individuale si ricava da tre fattori (peso, percentuale di massa magra e livello di attività fisica svolta), attraverso la formula: massa magra х indice di attività = fabbisogno proteico; - Arrotondare il fabbisogno proteico al più vicino multiplo di 7 (per ottenere poi un numero intero di “blocchetti” di proteine); dividere il fabbisogno proteico in blocchetti da 7 g; - Distribuire il fabbisogno proteico nell’arco della giornata, in tre pasti e due spuntini (uno nel pomeriggio e uno prima di dormire); non lasciare mai passare più di cinque ore tra un pasto (o uno spuntino) e l’altro - Ad ogni pasto, consumare per ogni blocchetto di proteine, un blocchetto di carboidrati, che equivale a 9 g; scegliere i carboidrati tra quelli “favorevoli”, ovvero a basso indice glicemico come frutta e verdura ricca in fibra; sconsigliati sono i carboidrati “sfavorevoli”, contenuti in pane, pasta, cereali, granoturco, patate, papaya, banane, carote e succhi di frutta confezionati; - Se in un pasto si consuma un blocchetto di proteine in più o in meno, bisogna togliere o aggiungere la stessa quantità di blocchetti di carboidrati, compensando poi nel resto nella giornata; - Aggiungere ad ogni blocchetto di proteine un blocchetto di grassi, pari a 3 g di grassi. Gli atleti sottoposti a pesanti allenamenti dovrebbero consumare due blocchetti di grassi (di cui uno costituito da monoinsaturi) per ogni blocchetto di proteine; - E’ proibito consumare più di 500 kcal per pasto principale e più di 100 kcal per spuntino; in ogni caso non bisogna mai superare i sei blocchetti di proteine per pasto. Se il fabbisogno è particolarmente elevato, è necessario aumentare il numero dei pasti e degli spuntini; se non si seguono le indicazioni previste, gli effetti ormonali sfavorevoli conducono “fuori della Zona”. La razione alimentare della dieta pro Zona (11) viene impostata sulla base del fabbisogno proteico individuale e non a partire dal fabbisogno energetico, ritenuto ininfluente rispetto al successo della terapia dietetica. Si può notare che calcolando l’apporto calorico a partire da quello proteico, si ottiene una riduzione notevole dell’apporto energetico, pari a quella di una qualunque dieta ipocalorica. Una considerazione spontanea è che se si deve fare riferimento a una dieta ipocalorica, meglio sia comunque equilibrata in nutrienti e conseguentemente più corretta dal punto di vista metabolico e di più facile attuazione. Non possiamo poi dimenticarci di un aspetto tecnico non trascurabile ossia che nella formulazione di diete iperproteiche rimane l’oggettiva difficoltà per il dietista di proporre combinazioni dietetiche appetibili e accettabili dal paziente nel lungo periodo con alto rischio di sviluppare weight cycling syndrome. Non si devono quindi forzare eccessivamente le abitudini alimentari inseguendo risultati utopistici, poiché il cibo è cultura quando si produce, quando si prepara e quando si consuma; è il frutto della nostra identità e uno strumento per esprimerla e comunicarla (12). Bibliografia: 1. Società Italiana Nutrizione Umana: Livelli di assunzione raccomandati di energia e nutrienti per la popolazione italiana - LARN. Roma;1996 2. Commission of the European Communities [1993]. Report of the Scientific Committee for Food on Nutrient and Energy Intakes for the European Community. EU, Brussels. 3. Millward DJ, Jackson AA. Protein/energy ratios of current diets in developed and developing countries compared with a safe protein/energy ratio: implications for recommended protein and amino acid intakes. Public Health Nutr. 2004 May;7:387-405 4. Vesti Nielsen J., Joensson E. Low-carbohydrate diet tipe 2 diabetes. St improvement of bodyweight and glicemic co during 22 months follow-up 5. Bribkworth G.D., Noakes M., ParkerB., Foster P., Clifton P.M. Long-term effects of advice to consume a high-protein, low-fat diet, rather than a conventional weight-loss diet, in obese adults with type 2 diabetes: one-year follow-up of a randomised trial Diabetologia 2004 Oct;47:1677-86 6. Bravata DM., Saders L., Huang J.,Krumholz HM., Olkin I., Gardner CD., Efficacy and safety of low-carbohydrate diets: a systematic review Jama 2003 Apr 9;289:1837-50. 7. Linee Guida per una sana e corretta alimentazione INRAN revisione 2003.

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8. Trichopoulou A., Orfanos P., Norat T.,et al. Modified Mediterranean diet and survival: EPIC-elderly prospective cohort study. BMJ. 2005 Apr 30;330:991 9. Trichopoulou A., Costacou T., Bamia C., Trichopoulos D. Adherence to a Mediterranean diet and survival in a Greek population.N Engl J Med. 2003 Jun 26;348:2599-608. 10. Trichopoulou A., Bamia C., Trichopoulos D. Mediterranean diet and survival among patients with coronary heart disease in Greece. Arch Intern Med. 2005 Apr 25;165:929-35. 11. Sears B., Lawren B. In: Come raggiungere la Zona edizione Italiana a cura di Ottoz E. ed.: Sperling e Kupfer 12. Montanari M. in: Il cibo come cultura ed. Laterza

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TAVOLA ROTONDA Attività fisico-metabolica come strumento di prevenzione e terapia

R17. Modulazione del bilancio pro-antiossidante nell'attività fisica A.M. Bargossi Presidente Associazione Italiana Fitness e Medicina (AIF&M) Medico Sq Naz Mountain Bike-DownHill L’ attività fisica risulta efficace ed efficiente a promuovere uno stato di benessere dell’organismo in funzione dell’azione sinergica di : alimentazione, esercizio fisico (inteso come attività del tempo lavorativo e del tempo libero), riposo e recupero. In sostanza l’area di benessere si situa nel luogo comune dei tre insiemi considerati quando questi risultino adeguati a rispondere agli stimoli cui l’organismo è sottoposto. L’attività fisica d’altro canto è stata da gran tempo considerata come modello specifico per l’indagine dell’insulto ossidativo negli organismi superiori e nell’uomo in particolare. Infatti , le variazioni incrementali di consumo di ossigeno caratteristiche dell’esercizio fisico, con la differente distribuzione del flusso ematico distrettuale cui consegue la Variazione di Tensione di O2 (� PPO2) nei diversi compartimenti, funzione della enorme variazione di flusso medesimo, il caratteristico tropismo leucocitario diretto verso i distretti muscolari attivi, l’ attivazione di isoforme enzimatiche (XDH vs.XO) in funzione della disponibilità dell’O2 , la produzione di prodotti intermedi nelle diverse vie metaboliche (i.e.: defosforilazione e deaminazione dei nucleotididi purinici, la via glicolitica sino a Piruvato-Lattato, la via lipolitica sino a Acetato-Butirrato) ecc. sono fenomeni sinergici capaci di render conto della variazione complessiva dello status ossidativo del sistema. In questa ottica sono state esplorate numerose tecniche analitiche su matrici organiche diverse come: l’aria espirata, le diverse componenti (pars liquida siero e plasma, e pars figurata) del sangue, le urine. Qui si cercherà di definire sommariamente i caratteri delle tecniche analitiche più utilizzate nel laboratorio di ematobiochimica clinica per misurare il cosiddetto stress ossidativo considerandone “sensibilità”, “specificità”, e robustezza”. Indicatori di: a) ossidazione: MDA-TBARS, ROMs, Dieni coniugati, Isoprostani; di: b) capacità antiossidante: Trolox Equivalent Antioxidant Capacity (TEAC), Total Radical TRAP Parameters (TRAP), variazione di concentrazione delle specie antiossidanti sia endogene che esogene aspecifiche /specifiche: Albumina Bilirubina, Colesterolo, Urati, Tioli, Ascorbati, Tocoferoli, Retinoli, CoQ10 ecc. c) variazione dell’attività catalitica dei sistemi enzimatici impiegati in diverse vie metaboliche nell’azione di contenimento dell’insulto ossidativo d) alterazione/lesione della struttura cellulare: aumento in circolo di specie intracellulari compartimentale (CK, LDH, Mioglobina). Nella ricerca fisiopatologica le tecniche dirette hanno consentito la raccolta di una messe di dati di estremo interesse, certo, per meglio definire il fenomeno, ma non sempre utili nell’intervento. Si evidenzierà anche come sia talora utile individuare parametri meno specifici o sensibili per definire lo stato del sistema. Sembra infatti di grande importanza sotto l’aspetto sia teorico che pratico, identificare in modo esplicito quali siano i traguardi che ci si prefigge di raggiungere nella medicina dello sport; prioritariamente, e questo aspetto coinvolge la grande massa dei praticanti le attività di fitness , la salute dell’atleta e dello sportivo anche occasionale e dunque in una prospettiva di salute e benessere, e poi l’ottenimento della prestazione. Lo stimolo rappresentato dall’azione delle specie radicaliche dell’Ossigeno (ROS) e dai prodotti intermedi delle reazioni da quelle attivate, dovrebbe trovare una risposta progressivamente adeguata nei meccanismi di supercompensazione adattativa caratteristici dell’esercizio fisico e insieme nell’ottimizzazione di diete mirate ad un apporto adeguato di razioni ricche in alimenti ricchi in nutrienti con riconosciute caratteristiche antiossidanti e capaci in tal modo di aumentare la soglia di difesa dell’organismo. Il fenomeno della supercompensazione adattativa permette anche che le ROS fungano da modulatori all’interno di cicli metabolici complessi sollecitati dall’esercizio fisico (i. e.: sintesi del complesso della BCKADH nella via metabolica intramitcondriale degli Amino Acidi Ramificati).

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R.18 Attività fisico-metabolica come strumento di prevenzione e terapia P. De Feo DIMI – Università di Perugia I pazienti obesi hanno un rischio elevato di sviluppare una sindrome metabolica caratterizzata da iperglicemia, ipertensione arteriosa, ipertrigliceridemia, basso colesterolo HDL e valori di colesterolo LDL che li espongono al rischio di cardiopatia ischemica o, in generale, di aterosclerosi. La pratica regolare dell’esercizio fisico contrasta efficacemente questi processi in quanto induce una serie di vantaggi che portano, in definitiva, ad una correzione (totale o parziale) dell’insulino-resistenza. A differenza dei farmaci usati per il trattamento delle varie componenti della sindrome metabolica (diabete, ipertensione, dislipidemia, etc.) l’esercizio fisico di tipo aerobico agisce su tutti gli aspetti della sindrome a cominciare dall’obesità viscerale. Obiettivo di questa presentazione è fornire degli strumenti pratici che consentano una maggiore utilizzazione dell’uso dell’attività fisica per la prevenzione e la terapia dell’obesità e della sindrome metabolica. Le dimostrazioni della letteratura scientifica sui vantaggi dell’attività fisica nei soggetti con sindrome metabolica sono incontestabili. E’ necessaria una maggiore conoscenza ed esperienza da parte degli operatori sanitari delle strategie utili a migliorare la forma fisica dei soggetti diabetici obesi perché è possibile raggiungere il duplice obiettivo di ridurre la mortalità e la morbilità correlate con la sindrome metabolica e migliorare la qualità della vita dei pazienti. A questo scopo vengono fornite delle definizioni di attività fisica utili per scegliere un programma di allenamento, suggerimenti sui tests che si possono eseguire in ambulatorio e servono a valutare le modificazioni della performance fisica dei soggetti obesi e tabelle per la stima del dispendio energetico con le varie tipologie di attività fisica. Molti studi dimostrano che un’attività fisica regolare migliora la qualità della vita, riduce il rischio di mortalità da tutte le cause ed è particolarmente utile nei soggetti con intolleranza ai carboidrati o con diabete mellito di tipo 2 e/o sindrome metabolica. Il counselling per promuovere l’attività fisica può motivare i soggetti diabetici ad aumentare i livelli di spesa energetica volontaria (EE energy expenditure), ma al momento non è ben determinata la relazione esistente tra l’entità dell’attività fisica svolta e gli effetti benefici a lungo termine sulla terapia del diabete mellito. Di recente, abbiamo stabilito l’effetto di diversi livelli di spesa energetica (EE) sulla terapia del diabete mellito. PROTOCOLLO E METODI DI RICERCA. L’analisi post-hoc degli effetti a lungo termine dell’incremento della spesa energetica (espressa come METs-ora/sett), mediante attività fisica aerobica, è stata effettuata su 179 soggetti con diabete di tipo 2 (età 62±1 anni), selezionati in maniera random per un intervento intensivo di counselling per l’attività fisica. I soggetti sono stati seguiti per 2 anni e suddivisi in 6 gruppi in base all’incremento di EE espresso in METs-ora/sett: GRUPPO 0 (nessuna attività; 28 soggetti); ,GRUPPO 1-10 (6.8± 0,3; 27 soggetti), GRUPPO 11-20 (17,1±0,4; 31 soggetti), GRUPPO 21-30 (27±0,5, 27 soggetti), GRUPPO 31-40 (37,5±0,5; 32 soggetti) e GRUPPO >40 (58,3±1,8; 34 soggetti). RISULTATI. Prima dell’intervento, i 6 gruppi non differivano per EE volontaria, età, sesso, durata del diabete e tutti i parametri misurati. Dopo 2 anni, nel gruppo G0 non è variato in maniera significativa nessun parametro; nel gruppo G1-10 è diminuita la pressione arteriosa diastolica (p=0,016); nei gruppi G11-20, G21-30, G31-40 e G>40 sono diminuiti la circonferenza vita, l’HbA1c, la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca, il colesterolo totale, i trigliceridi e si è ridotto il rischio cardiovascolare (%) stimato a 10 anni (p< 0,05). Nei gruppi G 21-30, G 31-40 e G>40 inoltre, sono migliorati il peso corporeo, la glicemia a digiuno, il colesterolo LDL e HDL (p< 0,05). Il quantitativo di METs-ora/sett si correlava positivamente con la variazione del colesterolo HDL e negativamente con quelli degli altri parametri (p< 0,001). CONCLUSIONI. Una spesa energetica >10 METs-ora/sett, ottenuta attraverso l’esercizio di attività fisica aerobica nel tempo libero, è sufficiente per migliorare diversi parametri della sindrome metabolica, ma solo una spesa superiore a 20 METs-ora/sett consente di ottenere tutti i benefici dell’attività fisica. Bibliografia 1. P. De Feo. Diabetologo ed esercizio fisico: dalla teoria alla pratica. Il Diabete 12: 203-214, 2000. 2. Santeusanio F., Di Loreto C, Lucidi P, Murdolo G, Parlanti N, De Cicco A, Piccioni F, De Feo P. Diabetes and exercise. J Endocrinol Invest 26: 937-940, 2003. 3. De Feo P, Di Loreto C, Lucidi P, Murdolo G, Parlanti N, De Cicco A, Piccioni F, Santeusanio F. Fuel for physical activity. J Endocrinol Invest 26: 851-854, 2003. 4. Di Loreto C, Fanelli C, Lucidi P, Murdolo G, De Cicco A, Parlanti N, Santeusanio F, Brunetti P, De Feo

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P. Validation of a counseling strategy to promote the adoption and the maintenance of physical activity by type 2 diabetic subjects. Diabetes Care 26: 404-8, 2003. 5. Di Loreto C, Fanelli C, Lucidi P, Murdolo G, De Cicco A, Parlanti N, Ranchelli A, Fatone C, Taglioni C, Santeusanio F, De Feo P. Make your diabetic patients walk: long-term impact of different amounts of physical activity on type 2 diabetes. Diabetes Care 28:1295-302, 2005. R19. Attività fisico-metabolica in età pediatrica: dalla prevenzione alla terapia A. Pietrobelli1,2, M. Malavolti2, M. Dugoni2, N. C. Battistini2

1Clinica Pediatrica, Policlinico GB. Rossi, Università degli Studi di Verona, (Verona),2Cattedra di Scienze Tecniche Dietetiche Applicate, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, (Modena) Il concetto che lo stato di nutrizione e lo stato di salute siano legati da un rapporto biunivoco di influenza è ormai assodato e ci si avvale per la loro valutazione dell’analisi della composizione corporea, delle funzioni corporee e del bilancio energetico (1). È importante considerare anche l’attività fisica svolta dal soggetto, che come sappiamo, modifica la composizione corporea. All’interno di questo articolato e complesso concetto si inserisce l’obesità, definita come un eccesso di tessuto adiposo in grado di indurre un aumento significativo di rischi per la salute (ipertensione, disordini lipidici, diabete, malattie cardiovascolari). In Italia circa il 25% dei bambini è in soprappeso ed il 15% è obeso. Lo sport, riducendo la sedentarietà, favorisce il mantenimento di un buono stato di salute potenziando gli apparati muscolare-scheletrico e cardiovascolare ed in ultima analisi permettendo anche un certo controllo del peso corporeo. Questo significa maggior dispendio energetico, riduzione del rischio di obesità, favorendo pure la socializzazione ed una abitudine di vita senza dubbio salutare. Scopo del nostro lavoro è la valutazione del dispendio energetico, discutendo i metodi usati per la sua stima/misura, analizzeremo alcuni dati sottolineando l’importanza di tali metodiche nella pratica clinica quotidiana. In particolare discuteremo di calorimetria indiretta e soprattutto del monitoraggio dinamico del dispendio energetico al fine di poter redigere per i nostri soggetti un piano terapeutico-motorio e poterne valutare gli effetti nel tempo. La calorimetria diretta è discussa come metodo di riferimento che consente di valutare e monitorizzare i parametri di spesa energetica basale, di vitalità metabolica con significato diagnostico e prognostico. Questa metodica permette di calcolare la produzione d’energia misurando il consumo di O2, la produzione di CO2 e l’eliminazione di N da parte dell’organismo (2). Il monitoraggio dinamico del dispendio energetico è un nuovo strumento che funziona come un “holter metabolico”, registrando ed analizzando informazioni sul metabolismo, l’intensità e la durata dell’attività fisica e dello stile di vita. Specificatamente descriveremo questo sistema e i dati che vengono forniti dal sistema. Questo “holter metabolico” fornisce informazioni su: dispendio energetico totale dato dalla somma del metabolismo basale, spesa per l’energia fisica e la spesa derivante dall’introduzione di alimenti. Valuta inoltre la spesa energetica attiva, durata dell’attività fisica, accelerazione trasversale e longitudinale (3). Tali metodiche, registrando ed analizzando informazioni sul metabolismo, intensità e durata dell’attività fisica e del suo stile di vita ci permettono di stimare le modificazioni dello stato nutrizionale del paziente. In particolare, diviene fondamentale il monitorare le modificazioni della massa magra, la massa metabolicamente attiva, dell’organismo e soprattutto controllare i fattori di rischio del soggetto soprappeso/obeso. In questo contesto di valutazione a scopo di prevenzione e di terapia, va inserita l’attività fisica. Tale attività, va incentivata nei bambini a partire dai 5 anni di età, meglio nello spirito di “squadra”, di “gruppo” che tanto serve per scatenare l’ entusiasmo, non trascurando quanto importante sia lo stare insieme per imparare delle regole. Quindi deve sempre essere tenuto presente che esiste l’attività fisica meramente ludica e l’attività agonistica e che, in base a quanto stabilito dalle singole Federazioni Sportive Italiane, facendo alcuni esempi, si diventa agonisti a 12 anni per gli sport calcio, pallacanestro, pallavolo, a 10 anni per il tennis ed il pentathlon, a 8 anni per la ginnastica e la scherma. Bibliografia 1. Pietrobelli, SB. Heymsfield. Establishing body composition in obesity. J Endocrinology Investigation 2002, 25:884-92. 2. Matarese LE. Indirect calorimetry: technical aspects. J Am Diet Assoc 1997, 97:S54-S60. 3. Malavolti M, Pietrobelli A, Dugoni M, Poli M, Romagnoli E, De Cristofaro P, Battistini NC. A new device for measuring resting energy expenditure (REE) in healthy subjects. Nutr Metab Cardiovasc Dis, (in press).

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SESSIONE PARALLELA Alimentazione e ipertensione arteriosa

R20. Come ridurre l’eccesso di sodio nell’alimentazione italiana C. Leclercq INRAN (Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione), Via Ardeatina, 546, 00178 ROMA, e mail: [email protected] Anche se altri fattori possono concorrere nello sviluppo dell'ipertensione arteriosa, esiste uno stretto rapporto sia tra apporto di sodio ed aumentati valori di pressione arteriosa. Vari studi di prevenzione e di intervento mostrano che la riduzione del consumo di sodio nella popolazione generale si tradurrebbe in un’apprezzabile riduzione della mortalità per eventi cardio- e cerebro-vascolari. Esiste un largo consenso a livello internazionale a favore di una riduzione degli apporti in tutta la popolazione. Nel 2003, un gruppo di esperti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha aggiornato l’obiettivo per la popolazione suggerendo di ridurre i consumi medi di sodio a meno di 2 g (www.who.int/dietphysicalactivity/publications/trs916/). Da uno studio svolto negli anni ’90 in tre aree italiane (Marche, Lazio e Campania) sono emersi i seguenti livelli di assunzione totale di sodio: 4,4 g negli uomini adulti, 3,7 g nelle donne adulte e 3 g in bambini di età media 11 anni. Le fonti di sodio sono da una parte il sodio contenuto nel sale aggiunto nella cucina casalinga o a tavola (sodio cosiddetto discrezionale) e dall'altra il sodio contenuto negli alimenti, sia presente naturalmente che aggiunto nelle trasformazioni artigianali o industriali (sodio non discrezionale). Il sodio discrezionale rappresenta in media il 36% dell'assunzione totale di sodio in Italia. Nelle zone rurali, un ulteriore 10% può derivare dalle conserve casalinghe (formaggi, insaccati, conserve di ortaggi). L'ingestione giornaliera di sodio contenuto naturalmente negli alimenti e nelle bevande - tra cui l'acqua potabile corrisponde a circa il 10% degli apporti totali. Si stima quindi nel 55% la quota degli apporti che deriva dal sodio aggiunto nei prodotti trasformati, artigianali, industriali o della ristorazione collettiva. Dall'analisi chimica della dieta italiana di riferimento costruita a partire dei dati dell’indagine nazionale INN-CA 94-96, risulta che la categoria “cereali e derivati”, contenente il pane, rappresenta la principale fonte di sodio non discrezionale (42%). Elevate quote derivano anche dai gruppi carne/uova/pesce (31%) e “latte e derivati” (21%) per via del sale aggiunto rispettivamente nelle carni e pesci conservati e nei formaggi. I contributi sia della frutta (3%) che delle verdure e ortaggi (2%), di origine naturale, sono invece molto bassi. Per ridurre i consumi di sodio occorre motivare produttori e consumatori. Il titolo di una delle Linee Guida per una Sana Alimentazione Italiana redatte dall’INRAN è infatti: “Il sale? Meglio non eccedere” (www.inran.it). Il Regolamento Europeo sui profili nutrizionali degli alimenti trasformati che riportano in etichetta dei richiami alla salubrità del prodotto (Health Claims) potrebbe essere uno stimolo affinchè l’industria riduca il contenuto di sodio dei prodotti. In Europa, alcune catene di supermercati hanno già fatto questa scelta. Il contenuto di sodio di alimenti industriali può essere ridotto senza modificare significativamente il livelli di consumo del prodotto, inoltre la fattibilità da un punto di vista tecnologico è un problema solo per un numero limitato di prodotti trasformati. La riduzione degli apporti di sodio riceve scarsa attenzione da parte della comunità scientifica in quanto è un argomento “vecchio” e vi sono forti resistenze da parte di alcuni settori dell’industria alimentare. L’enorme potenziale di prevenzione in termini di salute pubblica giustifica che ogni sforzo possibile venga fatto in questa direzione. Le campagne per la riduzione dei consumi di sodio devono essere condotte di pari passo con la promozione del sale iodato per la prevenzione dei disturbi da carenza di iodio. Un importante passo avanti è stato fatto dal punto di vista legislativo con la legge 21 marzo 2005 e il Decreto del Ministero della Salute del 26 marzo 2006. E’ però necessaria anche un’ampia e duratura campagna di promozione di questo sale. Bibliografia · Leclercq C & Ferro-Luzzi A (1991) Total and domestic consumption of salt and their determinants in three regions of Italy. Eur. J. Clin. Nutr. , 45: 151-59. · Legge 21 marzo 2005, n. 55 e il «Disposizioni finalizzate alla prevenzione del gozzo endemico e di altre patologie da carenza iodica», G.U. n° 91 del 20 Aprile 2005. · DECRETO 29 marzo 2006. Interventi di attuazione degli articoli 3 e 5 della legge 21 marzo 2005, n. 55, GU n° 87 del 13 Aprile 2006 www.ministerosalute.it/imgs/C_17_normativa_778_allegato.pdf

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· COMMON POSITION (EC) No 3/2006 adopted by the Council on 8 December 2005 with a view to adopting Regulation of the European Parliament and of the Council on nutrition and health claims made on foods. Official Journal of the European Union C 80E/43, 04/04/2006. http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/site/en/oj/2006/ce080/ce08020060404en00270042.pdf R21. Sovrappeso, obesità e ipertensione arteriosa A. Siani Epidemiologia e Genetica delle Popolazioni, Istituto di Scienze dell’Alimentazione, CNR, Avellino Le condizioni di sovrappeso e di obesità interessano rispettivamente il 50% e il 20% circa della popolazione adulta in molti Paesi occidentali e rappresentano un fattore di rischio maggiore per lo sviluppo di ipertensione arteriosa. Dati recenti indicano che tale associazione è già presente in età pediatrica, contribuendo in maniera significativa a peggiorare il profilo di rischio cardiovascolare della popolazione. La combinazione di un eccessivo apporto calorico e di una limitata attività fisica e il conseguente accumulo di tessuto adiposo a localizzazione prevalentemente centrale , può indurre uno stato di insulino resistenza. Tale elemento rappresenta il fattore patogenetico centrale nello sviluppo di alterazioni metaboliche ed emodinamiche inquadrabili nell’ambito nosografico della “sindrome metabolica”. Il ruolo di fattori genetici nello sviluppo dell’obesità o dell’ipertensione arteriosa risulta evidente. E’ certamente ipotizzabile che questi fattori possano modulare contemporaneamente la regolazione/distribuzione del tessuto adiposo e i livelli pressori e altri elementi della sindrome metabolica. Recenti dati clinici e sperimentali hanno dimostrato che il tessuto adiposo non è metabolicamente inerte ma svolge funzioni di notevole rilevanza nella regolazione di numerose funzioni endocrine. Queste acquisizioni possono fornire utili elementi per la comprensione dei meccanismi alla base dell’associazione tra obesità ed ipertensione: molti dei fattori prodotti anche a livello del tessuto adiposo, soprattutto in presenza di un profilo genetico di “rischio”, possono influenzare la patogenesi dell’ipertensione arteriosa, dell’insulino-resistenza, e delle complicanze d’organo descritte in precedenza. R22. Fisiopatologia del rapporto elettroliti e parete arteriosa F. Veglio, C. Bertello, D. Naso, C. Magnino, E. Puglisi, E. Testa Dipartimento di Medicina ed Oncologia Sperimentale, Cattedra di Medicina Interna e Centro Ipertensione, Università degli Studi di Torino Gli elettroliti del liquido extra ed intracellulare regolano i voltaggi dei potenziali d’azione di membrana delle cellule costituenti la parete arteriosa. L’ipertensione arteriosa rappresenta un modello in cui il rapporto fra ioni e parete arteriosa può subire delle profonde alterazioni. Il contributo relativo di questi due fattori varia in base alla tipologia del letto vascolare considerato e nelle diverse forme e modelli di ipertensione. Tra le alterazioni anatomiche si segnalano l’aumento del rapporto parete arteriosa/lume nei vasi di resistenza precapillari e la rarefazione delle arteriole o dei capillari nei diversi distretti vascolari. A questo si può aggiungere un’alterazione dei meccanismi di regolazione del tono vascolare, responsabile di un’eccessiva risposta vasocostrittrice o di una ridotta risposta vasodilatatoria. Il sodio ricopre un ruolo primario nella patogenesi dell’ipertensione arteriosa, sia determinando un aumento del flusso ematico (effetto a breve termine) sia agendo sulle resistenze vascolari (effetto a lungo termine). Il livello di Na extracellulare potrebbe condizionare il contenuto di questo ione in strutture extracellulari come i proteoglicani, che risulterebbero quindi più o meno in grado di rilasciarlo localmente; ciò influenzerebbe l’attività di pompe/scambiatori Na-dipendenti (Na/H e Na/Ca) e/o canali cationici non selettivi. La modulazione dell’attività basale o la suscettibilità all’attivazione di questi canali potrebbe condizionare a sua volta la risposta cellulare alla pressione e al flusso, mediante l’attivazione di strutture meccanocettrici come le integrine. La pressione e il flusso potrebbero anche agire direttamente sulle strutture extracellulari leganti il Na, sui canali cationici non selettivi, o sui canali attivati dallo stiramento, determinando così una variazione del potenziale di membrana con attivazione dei canali del Ca voltaggio-dipendenti. Questo fenomeno può essere amplificato dall’interazione di specifici recettori cellulari con i rispettivi agonisti. Ad esempio l’aldosterone, agendo sui recettori dei mineralcorticoidi, determina nelle cellule muscolari lisce della parete vascolare un

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aumento del Ca libero intracellulare, coinvolgendo la fosfolipasi C, e un aumento dell’afflusso di Na attivando sia lo scambiatore Na/H. sia il cotrasportatore Na-K-2Cl. L’aldosterone agirebbe anche potenziando l’effetto delle catecolamine e riducendo l’uptake della norepinefrina. E’ stato infatti dimostrato in ratti SPSH che un aumento dell’intake di Na è associato ad alterazioni strutturali nelle arterie cerebrali e renali. L’aumento dello spessore della parete arteriosa è determinato dal maggior contenuto di collagene e da un’ alterata disposizione dello stesso; queste anomalie regrediscono diminuendo l’apporto sodico, pur mantenendo invariata la pressione intrarteriosa. Vi sono evidenze che la dieta ad elevato contenuto di sale, senza alterare la pressione arteriosa, aumenti la produzione del TGFβ1 e la sintesi del NO attraverso la maggior espressione dell’NO-sintasi-3 in cellule endoteliali aortiche. Inoltre è stato dimostrato che in animali normotesi l’elevato apporto sodico dietetico determina un’alterazione della vasodilatazione endotelio-dipendente mediante ridotto rilascio dell’NO e aumento dell’ ione superossido (O2-). In ratti SPSH l’alto contenuto di Na nella dieta determina una maggior espressione di miosina non muscolare nell’aorta e di fibronectina EIIIA e miosina non muscolare nelle coronarie: clorotiazide e indapamide somministrati a basse dosi prevengono i cambiamenti nel fenotipo delle cellule muscolari lisce. Anche il potassio influenza la regolazione del tono arterioso. E’ nota l’evidenza della relazione tra “arterial stiffness” e contenuto totale di potassio corporeo. Diete ad alto contenuto di K, attraverso l’inibizione della NADPH, determinano una riduzione dello stress ossidativo, impedendo la produzione di specie reattive dell'ossigeno (ROS). Esisterebbe inoltre un fattore di origine endoteliale (EDHF) che determinerebbe l’iperpolarizzazione e il rilassamento delle cellule muscolari lisce attivando a livello vascolare i canali del K Ca-dipendenti. Recentemente è stata documentata una relazione tra la quantità di Ca a livello delle arterie coronarie e la velocità dell’onda pulsatoria aortica, una misura dell’arterial stiffness che ha mostrato un valore predittivo positivo per eventi cardiovascolari in soggetti ipertesi e anziani. Il tono vascolare nelle arterie di resistenza sarebbe controllato da tre GTPasi (RhoA, Rac, Cdc42) che influenzerebbero la sensibilità dell'apparato contrattile al Ca. Diversi studi hanno riportato l’esistenza di un ormone, strutturalmente simile all’ouabaina, un inibitore della Na/K ATPasi, prodotto dall’ipotalamo e dalle ghiandole surrenaliche, in grado di esercitare un effetto vasocostrittore tramite un aumento del calcio intracellulare. Si ritiene che quest’ormone eserciti anche un effetto natriuretico in stati di cronica espansione di volume come nell’ipertensione arteriosa a bassa renina. In conclusione, le interazioni degli elettroliti con la parete arteriosa sia in condizioni patologiche e sia quelle correlate ad inadeguato introito alimentare possono indurre importanti modificazioni dell’omeostasi pressoria. Referenze bibliografiche: · Safar ME. Macro and microcirculation in Hypertension.. Lippincott Williams & Wilkins. 2005. · Bellien J, Joannides R, Iacob M. Calcium-activated potassium channels and NO regulate human peripheral conduit artery mechanics. Hypertension. 2005 Jul; 46(1):210-6. · Laher I, Mulvany M, Henrion D. Meeting report: highlights of the 8th International Symposium on Resistance Arteries. Am J Physiol Heart Circ Physiol. 2005 Mar; 288(3):H1000-3. Review. · Kullo IJ, Bielak LF, Turner ST. Aortic pulse wave velocity is associated with the presence and quantity of coronary artery calcium: a community-based study. Hypertension. 2006 Feb; 47(2):174-9.

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TAVOLA ROTONDA Prima colazione e corretti stili alimentari

Scelte, abitudini e consumi costituiscono aspetti fondamentali per definire il modo in cui le persone si alimentano. La qualità complessiva della dieta può essere valu-tata in tal senso sia sotto l’aspetto quantitativo che per quello qualitativo; la lette-ratura suggerisce al riguardo almeno tre elementi principali da considerare: apporti di nutrienti e di altre sostanze di interesse nutrizionale, scelte e consumi di ali-menti, e profilo dei pasti. Il profilo dei pasti, in particolare, descrive numero e localizzazione dei pasti nella giornata, la loro composizione e il ruolo che essi hanno nel definire gli apporti gior-nalieri di energia e di nutrienti. Da tempo, in quest’ottica, una particolare atten-zione è stata dedicata alla prima colazione e questo ha portato alla pubblicazione di una ampia letteratura specifica. Nelle nazioni industrializzate è elevata la percentuale di individui di ambedue i sessi che non consuma o che esprime tipologie di colazione definibili come non soddisfacenti. Ma come può essere di fatto indicato il ruolo nutrizionale della cola-zione? Innanzi tutto essa rappresenta un’occasione importante per l’assunzione di determinati nutrienti poiché è caratterizzata dalla presenza relativamente costan-te di specifici alimenti (ad esempio latte e yogurt): come esempio si può ricordare l’importanza della colazione per garantire apporti sufficienti di calcio, ma si po-trebbero anche citare la fibra alimentare, taluni tipi di carboidrati, le stesse pro-teine. Stante il loro uso regolare e diffuso, i prodotti per la prima colazione sono anche un potenziale veicolo per la correzione di deficit nutrizionali diffusi nella popolazione. A tutto questo si aggiunge infine una considerazione fondamentale, comprovata da numerosi dati della letteratura: una colazione adeguata è un mar-catore di una dieta nel complesso più equilibrata e corretta, e si associa quindi ad uno stile nutrizionale più salutare. Obiettivo della tavola rotonda è quello di uscire dalle considerazioni abituali per fornire un quadro culturalmente più meditato sull’importanza nutrizionale della co-lazione, alla luce soprattutto delle ricerche più serie pubblicate sull’argomento. In aggiunta ai dati di consumo e a valutazioni nutrizionali d’ordine generale, un’importanza particolare sarà data alle risposte fisiologiche a diversi tipi di cola-zione, a cominciare dalla termogenesi postprandiale e dalle variazione di substrati energetici e ormoni. Ma si guarderà anche ad aspetti che riportano al concetto di alimenti funzionali quali regolazione della sazietà e della fame, funzionalità ga-strointestinale e possibili effetti sulle capacità cognitive. Stante l’importanza e la diffusione sempre crescente degli interventi di prevenzio-ne, la SINU ritiene che la tavola rotonda Prima colazione e corretti stili alimentari risponda all’esigenza specifica di una migliore comprensione di aspetti del compor-tamento alimentare ancora poco considerati e spera in tal modo di offrire, fra l’altro, un contributo utile al miglioramento dei programmi di educazione alimen-tare e nutrizionale. R23. Effetto della variazione dell’indice glicemico e del carico glicemico sul dispendio energetico e sul metabolismo postprandiale F. Scazzina, E. Marcazzan, C. Miglio, D. Del Rio, N. Pellegrini, F. Brighenti Unità di Nutrizione Umana, Dipartimento di Sanità Pubblica, Università degli Studi di Parma Background: L’indice glicemico (IG) permette di ordinare gli alimenti in base al loro effetto immediato sui livelli di glucosio nel sangue; consente di suddividere i carboidrati tra quelli a rapido assorbimento (ad alto IG) e quelli a lento assorbimento (a basso IG). Moltiplicando l’indice glicemico di un alimento per la quantità di carboidrati in esso contenuti si ottiene il carico glicemico. Il carico glicemico della dieta è un fattore implicato nell’aumento del rischio di disturbi del metabolismo intermedio, in particolare nei soggetti che presentano i tratti della sindrome metabolica. Una riduzione del carico glicemico può essere ottenuta a) riducendo la quantità di carboidrati b) riducendo il loro indice glicemico. Poco si sa rispetto all’efficacia di queste due strategie alternative sul metabolismo energetico in fase postprandiale, in particolare sulla termogenesi dieta-indotta (DIT) e sul quoziente respiratorio (RQ). La termogenesi dieta-indotta è, insieme al metabolismo basale e al consumo energetico dovuto all’attività fisica, uno dei tre componenti del dispendio energetico giornaliero di un soggetto. La DIT può essere definita come l’incremento del dispendio energetico, rispetto al valore basale, in seguito alla digestione, assorbimento e metabolismo degli alimenti. Il valore di RQ, che si ottiene dal

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rapporto tra anidride carbonica prodotta e ossigeno consumato, è un indice del substrato che l’organismo sta utilizzando. Scopo e disegno sperimentale: Il presente lavoro è uno studio d’intervento crossover randomizzato su 16 volontari sani per valutare l’effetto di tre colazioni isoenergetiche diverse per indice glicemico (GI) e/o carico glicemico (GL) - HGI-HGL (alto indice glicemico e alto carico glicemico), HGI-LGL (alto indice glicemico e basso carico glicemico), LGI-LGL (basso indice glicemico e basso carico glicemico) – sulla termogenesi dieta-indotta e quoziente respiratorio valutati mediante calorimetria indiretta. Il loro effetto è stato osservato anche durante un successivo pranzo standard. Risultati: Le colazioni HGI-HGL e HGL-LGL generano una DIT simile; viceversa, dopo la colazione LGI-LGL la DIT è maggiore (p<0.05) durante tutto il periodo postprandiale. Questo è conseguente ad un più lento assorbimento dei carboidrati a basso IG, meno disponibili per il metabolismo e quindi continuamente ossidati ed immagazzinati sottoforma di glicogeno e grassi. Dopo la colazione HGI-LGL (pasto più ricco in grassi) si riscontra una maggior tendenza all’ossidazione lipidica. Le due colazioni isoglucidiche mostrano un trend simile, ma dopo la colazione a basso indice glicemico (LGI-LGL) il valore di RQ ritorna ai valori basali più rapidamente che dopo la colazione ad alto indice glicemico (HGI-HGL), indicando una diminuzione dell’utilizzo di carboidrati ed un aumento di quello dei lipidi. Tutte e tre le diete sono significativamente diverse (p<0.001). Conclusioni: Variare il carico glicemico della colazione comporta effetti differenti sul metabolismo a seconda della strategia utilizzata. In particolare, ridurre l’indice glicemico dei carboidrati (LGI-LGL) presenta dei vantaggi rispetto a ridurne la quantità (HGI-LGL) e appare un utile concetto per disegnare prodotti ottimali per il primo pasto della giornata. Bibliografia · Ludwig DS (2002) The glycemic index: physiological mechanisms relating to obesity, diabetes, and cardiovascular disease, JAMA 287(18):2414-23. · Wolever TMS, Jenkins DJ, Jenkins AL, Josse RG (1991) The glycemic index: methodology and clinical implications, Am J Clin Nut ;54:846–54. · Marques-Lopes I, Ansorena D, Astiasaran I, Forga L and Martinez A (2001) Postprandial de novo lipogenesis and metabolic changes induced by a high- carbohydrate, low-fat meal in lean and overweight men, Am J Clin Nutr. 73: 253-61. · Stevenson E, Williams C, Nute M (2005) The influence of the glycaemic index of breakfast and lunch on substrate utilisation during the postprandial periods and subsequent exercise. Br J Nutr. 93(6):885-93. · Doucet E, Tremblay A (1997) Food intake, energy balance and body weight control, Eur J Clin Nutr. 51(12):846-55.

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SESSIONE PARALLELA Fabbisogni nutrizionali in età evolutiva

R24. L’allattamento al seno in Italia, oggi G. Banderali, I. Giulini Neri Clinica Pediatrica, Ospedale San Paolo, Università degli Studi di Milano L’allattamento al seno costituisce un riconosciuto mezzo di prevenzione primaria per le patologie più differenti, pertanto la sua promozione è ormai ritenuta un obiettivo comune a livello nazionale e regionale. Il monitoraggio degli indicatori di allattamento al seno e dalla successiva valutazione dei dati raccolti risulta un obiettivo fondamentale nell’ambito della promozione dell’allattameno al seno in modo da definire strategie adeguate di promozione. L’obiettivo della sorveglianza e del monitoraggio dei dati epidemiologici è un obiettivo comune alle realtà nazionali e locali: è necessario, pertanto, che tale progetto si sviluppi contemporaneamente su tre livelli: il livello nazionale, quello regionale e infine l’ambito locale, rappresentato dalle singole realtà ospedaliere o territoriali. È d’obbligo riferirsi in primis a dati di carattere nazionale, per valutare la situazione generale e confrontarla con altre realtà europee: per questo motivo gli operatori e i ricercatori della Clinica Pediatrica dell’Università degli Studi di Milano - Ospedale San Paolo, hanno promosso 10 anni fa, nel 1995 il Progetto Puer, indagine epidemiologica estesa a tutto il territorio nazionale per fotografare la realtà riguardo l’allattamento al seno, valutare i fattori associati, ed attuare una strategia di promozione adeguata, rilevando l’adesione ai 10 punti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Nel 2000 il Progetto Puer 2 ha monitorato la situazione a distanza di 5 anni. Si evidenzia un incremento della percentuale di madri che iniziano ad allattare (85%-91%), della durata dell’allattamento (42%-66% a 3 mesi, 20%-47% a 6, 4%-12% a 12), della quota di allattamento esclusivo alla dimissione (70%-76.8%), e dell'adesione ai 10 punti. Questi dati vanno integrati con dati puntuali, relativi alla realtà regionale, in modo da attuare piani strategici più mirati. I risultati dimostrano che le iniziative di promozione intraprese in questi anni hanno positivamente influenzato le madri italiane; è, comunque, necessario mantenere alto il livello d'attenzione e operatività nella promozione. R25. Il ruolo nutrizionale dello zinco G. Faldella Le basi teoriche per cui la carenza di zinco potrebbe essere importante per lo sviluppo del bambino riguardano genericamente il ruolo essenziale che lo zinco ha nella sintesi degli acidi nucleici e delle proteine, nella maturazione e divisione cellulare, nella crescita e funzione di organi ed apparati e infine il ruolo dello zinco come neurotrasmettitore a livello sinaptico. Mancando di specifici indicatori biologici , la prevalenza e le implicazioni cliniche della deficienza di zinco vengono per lo più valutate sulla base degli effetti ottenuti in studi randomizzati d’intervento con supplementi di zinco in popolazioni di bambini supposti carenti. Diversamente dagli studi sulla carenza di ferro che riguardano spesso bambini sani e ben nutriti, gli studi sulla carenza di zinco sono generalmente indirizzati su bambini malnutriti e con scarso accrescimento. In questa tipologia di bambini la supplementazione con zinco ha dimostrato evidenti effetti benefici misurabili sulla mortalità, sulla morbilità per diarrea e polmoniti e sulla crescita. Invece i rapporti tra supplementazione con zinco e sviluppo psico-motorio appaiono meno evidenti. In realtà, la maggior parte degli studi che hanno valutato l’impatto della supplementazione con zinco sullo sviluppo psico-motorio del bambino hanno utilizzato dei test di sviluppo globale che non riescono a cogliere differenze sottili di performances cerebrali. Inoltre i bambini malnutriti sono a rischio di carenza anche di altri micronutrienti che possono influire sullo sviluppo psico-motorio, quali il ferro e la vitamina B12. Infine la malnutrizione e la carenza di micronutrienti sono diffuse soprattutto nei contesti socio-ambientali più

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svantaggiati, che rappresentano di per sé delle condizioni sfavorevoli per lo sviluppo mentale, comportamentale ed emotivo del bambino. Nei paesi sviluppati la carenza di zinco non è diffusa nella popolazione generale ma può essere riscontrata in particolari individui o gruppi di popolazione in associazione a diete povere di proteine animali e ricche di fitati . La carenza di zinco è stata studiata anche in associazione con il ritardo di crescita intrauterino e con la prematurità, ma i dati disponibili sono ancora scarsi ed insufficienti per definire rischi e strategie d’intervento. Bibliografia · Bhatnagar S, Natchu UM. Zinc in child health and disease. Indian J Pediatr 2004; 71:991-995. · Black MM, Baqui AH, Zaman K, Persson L A, El Arifeen S, K Le, McNary SW, Parveen M, Hamadani JD, Black E. Iron and zinc supplementation promote motor development and exploratory behavior among Bangladeshi infants. Am J Clin Nutr 2004;80:903–10. · Meeks Gardner JM, Powell CA, Baker-Henningham H, Walker Susan P, Cole TJ, M Grantham-McGregor S Zinc supplementation and psychosocial stimulation: effects on the development of undernourished Jamaican children. Am J Clin Nutr 2005;82:399–405. · Taneja S, Bhandari N, Bahl R, Bhan MK. Impact of zinc supplementation on mental and psychomotor scores of children aged 12 to 18 months: a randomized, double-blind trial. J Pediatr 2005;146:506-11 · Lind T, Lönnerdal B, Stenlund H, Gamayanti IL, Ismail D, iSeswandhana R, Persson L. A community-based randomized controlled trial of iron and zinc supplementation in Indonesian infants: effects on growth and development Am J Clin Nutr 2004;80:729–36. R26. Fibra alimentare e adolescenza A. Vania*, R. Edo Papa, A. M. Caiazzo, F. Mordenti, R. Nicolai *Prof. Aggregato, Responsabile del Centro di Dietologia e Nutrizione Pediatrica, Università “La Sapienza”, Roma Si intende con il termine “fibra alimentare” quella frazione di carboidrati complessi, non assorbibili, costituita da cellulosa, emicellulose, lignina, pectine ed una varietà di gomme e mucillagini. Pur non costituendo una fonte di energia per l’uomo, le fibre hanno importanti effetti funzionali e metabolici. Regolando infatti il tempo di transito intestinale, contribuiscono alla prevenzione di patologie funzionali (stipsi e diverticolosi), cronico-degenerative (cancro colon-rettale), metaboliche (diabete e obesità), nonché cardiovascolari (attraverso la riduzione dell’assorbimento di colesterolo). L’eccessivo consumo di fibre può d’altra parte contribuire a determinare un malassorbimento di micronutrienti, quali ferro, zinco e calcio, e aggravare patologie quali Morbo di Crohn e Sindrome del colon irritabile. L’assunzione giornaliera ottimale di fibre alimentari in età pediatrica dovrebbe rientrare, secondo gli attuali punti di vista, in un intervallo compreso tra l’età anagrafica + 5 e l’età anagrafica + 10, espressa in g. Un computo alternativo raccomanda un consumo di fibre pari a 0,5g/kg/die. Entrambi tali livelli sono in teoria facilmente raggiungibili adottando una dieta equilibrata e che preveda un buon consumo di alimenti ricchi in fibra, quali cereali, legumi, verdure e frutta. Tuttavia recenti evidenze indicano che tali livelli vengono difficilmente assunti per il basso consumo di queste fonti “naturali” e che ciò si riflette negativamente anche sull’intake di vari micronutrienti, quali vit. A, B6, B12, niacina, tiamina, riboflavina, folacina, magnesio, ferro, zinco, fosforo e calcio. In Italia, Leclerq et al. nel 2004 hanno analizzato l’alimentazione di un ampio campione di adolescenti, intorno ai 17 anni, di Roma e provincia. I loro dati confermano consumi inadeguati di frutta (107±100 g/die), verdura (186±74 g/die) e legumi (16±29 g/die), con conseguente intake di fibra insufficiente per l’età (16± 6 g/die). Ciò si accompagnava, inoltre, sia a squilibri nelle percentuali di energia fornite dai principali macronutrienti (elevate quelle di grassi e grassi saturi, bassa quella di carboidrati), sia a carenze negli apporti di alcuni micronutrienti, in particolare calcio (710±247 mg/die) e, nelle femmine, ferro (apporti <12 mg/die in oltre l’80% del campione). Adeguati livelli di assunzione vengono invece raggiunti, se non superati, da individui che adottano particolari regimi alimentari (vegetariani, vegani e coloro che seguono una dieta macrobiotica). Riguardo la validità di tali stili di alimentazione, è ancora aperto in letteratura il dibattito. I timori maggiori riguardano possibili deficit di importanti micronutrienti, particolarmente in età pediatrica, ove le loro necessità

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relative possono essere, e spesso sono, maggiori che nell’adulto. Tuttavia nel 2003 l’American Dietetic Association ed i Dietitians of Canada si sono espressi in favore di questi regimi alimentari, affermando che una dieta vegetariana (anche vegana), correttamente pianificata, è adeguata dal punto di vista nutrizionale e determina una serie di benefici grazie al suo basso contenuto in acidi grassi saturi, colesterolo e proteine animali nonché per gli elevati livelli di carboidrati, fibre, magnesio, potassio, folati e antiossidanti. Tuttavia sembra ci sia sostanziale accordo riguardo la possibile carenza di vitamina B-12 nei vegani. I vegetariani hanno un BMI più basso rispetto agli onnivori e tra gli adolescenti vegetariani è dunque minore il rischio di obesità e delle patologie ad essa correlate. Nel 2000 negli Stati Uniti il 2% dei soggetti tra 6 e 17 anni era vegetariano, tra questi lo 0,5% vegano, mentre non esistono dati relativi a questa fascia di età per la popolazione italiana. Alcuni autori hanno evidenziato come la dieta vegetariana, in molti casi adottata per controllare il peso corporeo, possa precedere l’insorgenza di disturbi del comportamento alimentare (DCA), in particolare dell’anoressia nervosa. L’attenzione dei vegetariani nei confronti della dieta può anche rientrare in un DCA recentemente classificato: l’ortoressia, un’ossessione patologica per il cibo salutare (biologico, privo di erbicidi, pesticidi o sostanze artificiali) che può portare ad importanti restrizioni dietetiche. Al di là di coloro che presentano un DCA, nella grande maggioranza degli adolescenti lo scarso apporto di fibra è da attribuire a fenomeni di neofobia nei confronti delle sue principali fonti alimentari. E’ dunque necessario studiare strategie che possano incrementare il consumo di alimenti ricchi di fibra. Aumentando ad esempio il numero degli alimenti disponibili e rendendoli più appetibili, si potrebbe riuscire a modificare le scelte alimentari (le caratteristiche sensoriali contribuiscono infatti a determinare tali scelte). Diversi autori hanno dimostrato che un altro approccio utile in età adolescenziale consiste nell’aumentare lo sforzo necessario ad ottenere cibi meno salubri rispetto a quello che richiesto per ottenere alimenti più sani. Bibliografia: 1. Società Italiana di Nutrizione Umana – LARN 1996 2. C.Leclercq et al. Int J Food Sci Nutr. 2004 Jun;55(4):265-77 3. Position of the American Dietetic Association and Dietitians of Canada : Vegetarian Diets. J Am Diet Assoc. 2003;103:748-765 4. Meiselman HL, Hedderley D, Staddon St, Pierson Bj, Symonds CR. Effect of effort on meal selection and meal acceptability in a student cafeteria. Appetite 1994;23:43-55

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AGGIORNAMENTO TEMATICO R27. Abitudini alimentari e motilità intestinale: aspetti metodologici ed evidenze cliniche M.L. Petroni, F. Balzola Laboratorio Sperimentale di Ricerche Nutrizionali, IRCCS Istituto Auxologico Italiano, Piancavallo (VB) Il rallentato transito intestinale in età adulta rappresenta un fattore di rischio per la calcolosi colecistica, la malattia diverticolare del colon, è sovente associata alla malattia da reflusso gastro-esofageo ed ha un impatto rilevante sulla spesa sanitaria, sia in termini di frequenza di consultazioni mediche che di indagini e di assunzione di farmaci, ma anche sulla qualità di vita (Dennison C et al., 2005). L’alimentazione è il principale determinante del transito intestinale. L’influenza della alimentazione, ed in particolare dell’assunzione di fibre, è tuttavia in grado anche di riflettersi sulla motilità di tutti i tratti dell’apparato gastroenterico, che sono collegati da una stretta interfunzione mediata da fattori sia ormonali che neurali. I soggetti affetti da stipsi e rallentato transito intestinale hanno una alterata secrezione post-prandiale di ormoni gastrointestinali quali gastrina, motilina, colecistochinina, polipeptide pancreatico, neurotensina, somatostatina, peptide YY (Peracchi et al., 1999; Penning et al., 2000) E’ stato recentemente dimostrato come la assunzione di fibre rappresenti l’unico fattore nutrizionale protettivo nei confronti della malattia da reflusso gastro-esofagea (El-Serag et al.,2005). Anche per quanto riguarda la funzione gastrica, è stato riportato che, nel 70% dei pazienti con svuotamento gastrico rallentato (il principale determinante della cosiddetta “dispepsia funzionale”) associato ad un rallentamento del transito intestinale, il trattamento della stipsi portava a migliorare la sintomatologia dispeptica (Badiali et al.,1998). Vi è una relativa carenza di dati epidemiologici sulla associazione tra abitudini alimentari e motilità intestinale; uno dei motivi è rappresentato dalla complessità ed invasività delle metodiche di valutazione del tempo di transito intestinale. E’ tuttavia disponibile già da diversi anni uno strumento semplice e non invasivo per la valutazione del transito intestinale, la Bristol Stool Scale Form, sviluppata dal Prof. K.W. Heaton e validata con la misurazione del transito intestinale mediante pellets. Questo strumento, che è rappresentato da una scala descrittiva della forma e consistenza delle evacuazioni, permette di individuare 7 possibili descrizioni ciascuna delle quali corrisponde ad un tempo medio di transito intestinale (Probert CJ et. al, 1993). Questo questionario è stato recentemente tradotto in lingua italiana con la metodica di traduzione-ritraduzione ed ne è stata testata la riproducibilità su di un gruppo di soggetti volontari. Tale strumento è stato applicato allo studio della relazione tra abitudini alimentari (introito di fibra e di liquidi e frequenza di consumo dei pasti mediante atlante fotografico e 7-day recall) e caratteristiche dell’evacuazione in un campione di popolazione generale italiana. Lo studio di riferimento è quello condotto sulla coorte inglese dell’EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition) nei quali l’unica informazione sul transito intestinale era rappresentata dalla frequenza di evacuazione (Sanjoaquin et al., 2004).

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SESSIONE PLENARIA Gli acidi grassi n-3

R28. Il fabbisogno metabolico di acidi grassi n-3 A. Bordoni Centro Ricerche sulla Nutrizione - Dipartimento di Biochimica “G. Moruzzi”, Università di Bologna Gli acidi grassi sono le unità costituenti i lipidi. Una loro classificazione può basarsi sulla lunghezza della catena carboniosa, che può essere breve, media o lunga (più di 16 atomi di carbonio, fino a 24-26). Un’altra classificazione degli acidi grassi si basa sul tipo di legame che unisce gli acidi grassi della catena carboniosa: avremo così acidi grassi saturi (SFA, saturated fatty acid) quando sono presenti solo legami semplici covalenti, o insaturi, se sono presenti doppi legami. Gli acidi grassi insaturi possono essere ulteriormente suddivisi in monoinsaturi (MUFA, monounsaturated fatty acid), quando è presente un solo doppio legame, poliinsaturi (PUFA, polyunsaturated fatty acid) quando i doppi legami sono due o tre, o altamente polinsaturi (HUFA, highly unsaturated fatty acid) se sono in numero superiore. La presenza di un doppio legame nella catena carboniosa ne modifica profondamente la struttura, determinando un ripiegamento di circa 30° della catena rispetto alla forma satura, che è lineare. La presenza di questo ripiegamento, che è maggiore quando i doppi legami sono più di uno, ha importanti implicazioni a livello della struttura della membrana cellulare, di cui gli acidi grassi sono importanti costituenti. La presenza di elevate quantità di acidi grassi insaturi esterificati nei fosfolipidi di membrana renderà la membrana più “fluida”; essa sarà al contrario più “rigida” quando è presente una alta concentrazione di acidi grassi saturi. La cellula è in grado di regolare e controllare la fluidità delle proprie membrane anche grazie alla selezione degli acidi grassi in essa presenti. La “fluidità” di una membrana è un parametro strettamente legato alla funzionalità della stessa. Per questo gli acidi grassi sono considerati importanti modulatori della struttura e della funzionalità di tute le membrane cellulari. In realtà, il ripiegamento della catena carboniosa si osserva solo quando il doppio legame è presente in configurazione “cis” che è la configurazione fisiologica. I doppi legami in configurazone “trans” non imprimono alcuna rotazione alla catena carboniosa. Il doppio legame è un punto debole della struttura dell’acido grasso: i fenomeno di ossidazione avvengono infatti a questo livello. Pertanto un acido grasso è tanto più facilmente ossidabile quanto più contiene doppi legami, ossia quanto più è insaturo. Un’altra caratteristica importante dei doppi legami è il loro possibile diverso posizionamento nella catena carboniosa dell’acido grasso. La posizione dei doppi legami viene indicata dalla lettera n o ω seguita dal numero dell’atomo di carbonio su cui poggia il doppio legame, partendo a contare dal metile terminale. La posizione del primo doppio legame presente è particolarmente importante in PUFA e HUFA, in quanto caratterizza la famiglia o serie, n-6 ed n-3, a cui appartiene l’acido grasso. I principali acidi grassi n-6 sono l’ac. linoleico (LA, C18:2n-6) e l’ac. arachidonico (AA, C20:4n-6), gli n-3 sono l’α-linolenico (ALA, C18:3n-3), l’eicosapentaenoico (EPA, C20:5n-3) ed il docosaesaenoico (DHA, C22:6 n-3). LA ed ALA sono acidi grassi essenziali (AGE), e pertanto devono essere introdotti prefomati con gli alimenti. Le principali fonti alimentari di LA sono gli oli vegetali (vinacciolo, soia, girasole e mais in particolare), dove l’acido grasso è presente in concentrazioni superiori al 50%; anche l’ALA è presente negli oli vegetali (colza, soia, germe di grano) ma in concentrazioni molto più basse, minori del 10%. L’AA, così come l’EPA e il DHA, possono derivare dagli alimenti (principalmente carne e pesce, rispettivamente) o possono essere sintetizzati a partire dagli AGE. La via biosintetica comprende una serie alternata di desaturazioni ed elongazioni che, rispettivamente, introducono un doppio legame o aggiungono un’unità bicarboniosa al substrato. Gli enzimi che catalizzano queste reazioni sono chiamati desaturasi ed elonggasi. Le desaturasi sono classificate con la lettera Δ seguita da un numero che indica il punto della catena carboniosa in cui è introdotto il nuovo doppio legame, partendo però a contare dal carbossile terminale. E’ confermata l’esistenza di una Δ6 e di una Δ5 desaturasi, così come di una Δ9, che agisce però principalmente sull’acido stearico, determinando la formazione di ac.oleico. La �6-desaturasi catalizza due reazioni della biosintesi degli acidi grassi polinsaturi. Desaturasi che elongasi utilizzano come substrato sia acidi grassi n-6 che n-3, mostrando però una diversa affinità (maggiore per gli n-3). Esse utilizzano come substrato anche acidi grassi monoinsaturi della famiglia n-

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7 ed n-9; avendo però scarsa affinità per questi acidi grassi, essi verranno utilizzati solo in presenza di basse concentrazioni di acidi grassi n-6 ed n-3. Per questo motivo il rilievo di elevate concentrazioni plasmatiche di PUFA n-7 o n.9 è considerato indice di carenza di acidi grassi essenziali. Quando si parla di fabbisogno di ac.grassi n-3, bisogna tenere innanzitutto presente che con questo termine si indicano tre principali acidi grassi, ALA, EPA e DHA, che si differenziano per caratteristiche fondamentali: 1. ALA è un AGE, mentre EPA e DHA possono essere biosintetizzati endogenamente partendo da esso. Quindi l’uomo è totalmente dipendente dall’introduzione dietetica per quanto riguarda l’ALA, mentre il fabbisogno di EPA e DHA è coperto in parte dall’introduzione dietetica di questi acidi grassi preformati ed in parte dalla sintesi endogena: 2. EPA è substrato per la formazione di eicosanoidi, mentre ALA e DHA non lo sono; 3. DHA è componente fondamentale delle membrane di cellule eccitabili, quali quelle delle cellule neuronali e della retina; 4. EPA e DHA sono modulatori dell’espressione genica; 5. a EPA e DHA sono riconosciuti effetti antinfiammatori e di protezione cardiovascolare, proprietà non dimostrate per ALA. Queste differenze sostanziali comportano l’assoluta necessità di non generalizzare parlando di un “fabbisogno di acidi grassi n-3” ma di considerare un fabbisogno specifico di ALA e un fabbisogno di HUFA n-3. Questo, in particolare, in alcune condizioni fisiologiche e/o patologiche, in cui l’attività di biotrasformazione dell’ALA in HUFA n-3 risulta ridotta. In questo caso, infatti, la minore attività degli enzimi biosintetici, in particolare le desaturasi, può portare ad una trasformazione dell’ALA di entità non sufficiente a coprire il fabbisogno di EPA e DHA, che risultano gli n-3 funzionalmente più importanti, e che quindi andranno assunti in quantità maggiore con gli alimenti. Nell’uomo adulto sano, la conversione di ALA appare sufficiente, ma non altrettanto pare avvenire durante la gravidanza e l’allattameno, nella senescenza o nei soggetti diabetici. Inoltre, al di là della copertura dei fabbisogni, alcuni effetti di EPA e DHA, quali la protezione cardiovascolare e l’azione antinfiammatoria, appaiono legati a quantitativi di questi acidi grassi superiori a quelli ottenibili con le attuali raccomandazioni. Occorre quindi una rivisitazione dei LARN per gli acidi grassi n-3, tenendo in considerazione le differenze tra questi acidi grassi e la diversa capacità biosintetica dei soggetti a cui sono rivolte le raccomandazioni. R29. Fabbisogni di acidi grassi n-3 e DHA in gravidanza ed età evolutiva C. Agostoni Clinica pediatrica, Ospedale San Paolo, Milano L’acido grasso polinsaturo della serie n-3 acido docosaesaenoico (DHA) deve essere depositato in quantitativi adeguati nel sistema nervoso centrale ed in altri tessuti durante la vita fetale e nelle prime fasi di vita extrauterina. Diversi studi hanno dimostrato una associazione tra sviluppo visivo e cognitivo e assunzione dietetica materna di pesce e/o oli ittici ricchi di LCPUFA n-3 nel corso della gravidanza e dell’allattamento. Ne consegue che in tali fasi (in particolare dal quinto-sesto mese di gravidanza) le donne dovrebbero raggiungere una assunzione dietetica di LCPUFA n-3 che assicuri un intake di DHA di almeno 200 mg al giorno. Una assunzione fino ad 1 grammo di DHA o di 2.7 grammi al giorno di LCPUFA n-3, utilizzati in alcuni trials randomizzati, non hanno mostrato effetti avversi. Per il lattante, il modello di outcome funzionale dell’allattato al seno (migliori indici di sviluppo neurocognitivo nel corso dell’età pediatrica) suggerisce di utilizzare come modello di riferimento il contenuto di DHA del latte materno (che contiene in genere bassi livelli di EPA), ovvero lo 0.2-0.3% dei lipidi totali (equivalenti a circa 7-8 mg/dL), costanti nel corso dell’allattamento fino al dodicesimo mese. Considerando il tasso di crescita dell’allattato al seno ed i quantitativi di latte assunti, possiamo fissare i livelli di assunzione ottimali di DHA intorno ai 10-15 mg/kg in questo periodo.

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R30. Livelli di acidi grassi in un campione della popolazione italiana ed effetti della supplementazione con acidi grassi n-3 in diverse matrici F. Marangoni, A. Poli, R. Paoletti, C. Galli Dipartimento di Scienze Farmacologiche, NFI Centro Studi dell’Alimentazione, Milano E’ ormai noto come la composizione in acidi grassi dei lipidi circolanti sia il risultato di complesse interazioni tra fattori fisiologici e metabolici, lo stile di vita e soprattutto la qualità e la quantità dei grassi apportati con la dieta. In particolare elevate concentrazioni plasmatiche e cellulari di acidi grassi polinsaturi n-3, associate al consumo di cibi ricchi di questi acidi grassi, sono state correlate con la riduzione del rischio di diverse patologie (cardiovascolari, neurodegenerative, autoimmuni). Tuttavia indicazioni precise sullo stato di questi acidi grassi nel nostro Paese e sull’efficacia delle diverse forme di assunzione di questi composti, che possono essere naturalmente presenti in alimenti di varia origine (vegetale o animale) o integrati nella dieta sotto forma di supplementi, non sono ad oggi disponibili. La messa a punto nel nostro laboratorio di un metodo semplificato per l’analisi del profilo degli acidi grassi direttamente in una goccia di sangue intero, prelevata in modo poco invasivo da un polpastrello, ha permesso di valutare: a) la composizione in acidi grassi in un campione di più di 600 soggetti reclutati in diverse aree geografiche italiane nell’ambito dello studio nazionale CHECK (Cholesterol and Health: Education, Control and Knowledge); b) la risposta a modificazioni anche modeste dell’apporto di acidi grassi n-3 con la dieta, in termini di livelli di acidi grassi circolanti. Un primo esame dei dati emersi dallo studio di popolazione ha evidenziato correlazioni tra i livelli ematici di n-3 e il consumo di pesce o di integratori a base di questi acidi grassi, e fattori dietetici e ambientali. Per gli studi di intervento, gruppi di volontari sani (8-12 per ogni gruppo) hanno assunto per periodi di 2-3 settimane alimenti e formulazioni a concentrazioni variabili dei diversi acidi grassi della serie n-3, ALA (acido alfa linolenico) o EPA (acido eicosapentaenoico) e DHA (acido docosaesaenoico): pesce, carne di cavallo, noci, capsule a base di PUFA n-3. All’inizio e al termine di ogni fase dietetica, e dopo un periodo di wash out, campioni di sangue capillare sono stati sottoposti ad analisi per la composizione in acidi grassi. La valutazione dei risultati dei diversi interventi dietetici ha permesso di stabilire innanzitutto che l’assunzione di alimenti ricchi in acidi grassi polinsaturi n-3 comporta un aumento dei livelli ematici di questi acidi grassi maggiore di quello ottenuto con la somministrazione di capsule. Infatti il consumo di 200 grammi alla settimana di salmone affumicato, equivalenti a circa 250 mg di EPA+DHA ha indotto un incremento delle concentrazioni di n-3 simile a quello registrato con la somministrazione di una capsula al giorno di etilesteri, corrispondenti a 650 mg di EPA+DHA. In secondo luogo la supplementazione con 4 noci al giorno, pari a 1,2 grammi di ALA, si è dimostrata efficace nell’aumentare in modo significativo non solo i livelli circolanti di questo n-3 essenziale, ma anche quelli del suo prodotto metabolico EPA, praticamente assente nelle noci. Tale incremento tende a mantenersi anche durante il periodo di washout. I risultati di queste ricerche indicano che la biodisponibilità degli acidi grassi polinsaturi n-3 dipende strettamente dalla matrice con la quale vengono assunti e in generale è maggiore quando sono naturalmente contenuti negli alimenti rispetto a quando sono inclusi in formulazioni. Questo effetto è probabilmente attribuibile al tipo di esterificazione e diluizione nei grassi alimentari, che ne favorisce la digestione e l’assorbimento a livello intestinale. Inoltre, anche il consumo di cibi di origine vegetale ricchi in ALA può determinare in modo rilevante le concentrazioni di acidi grassi polinsaturi n-3 circolanti, soprattutto di EPA, sintetizzati a livello endogeno dal precursore. In conclusione, queste osservazioni permettono di definire la validità dell’approccio analitico utilizzato in questi studi per la determinazione degli effetti sulla composizione dei lipidi ematici, indotti da variazioni qualitative e quantitative anche modeste nell’apporto di grassi con la dieta e suggeriscono che livelli circolanti elevati di n-3 possono essere ottenuti anche aumentando il consumo di fonti naturali. L’analisi più approfondita dei dati emersi dallo studio di popolazione consentirà di apprezzare eventuali associazioni tra i livelli di acidi grassi e parametri antropometrici e biochimici, fornendo informazioni utili per valutare l’impatto della dieta e dello stile di vita sulla salute in Italia. Bibliografia · Galli C, Marangoni F. N-3 fatty acids in the Mediterranean diet. Prostaglandins Leukot Essent Fatty Acids.

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2006 Sep;75(3):129-33 · Harris WS, Von Schacky C. The Omega-3 Index: a new risk factor for death from coronary heart disease? Prev Med. 2004 Jul;39(1):212-20 · Marangoni F, Colombo C, Galli C. A method for the direct evaluation of the fatty acid status in a drop of blood from a fingertip in humans: applicability to nutritional and epidemiological studies. Anal Biochem 2004;326:267-72. · Psota TL, Gebauer SK, Kris-Etherton P. Dietary omega-3 fatty acid intake and cardiovascular risk. Am J Cardiol. 2006 Aug 21;98(4A):3-18.

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ATELIER CONGIUNTO SINU – AIES – CIPES L’educazione alla salute per la prevenzione dell’obesità

R31. Modelli nutrizionali e stili di vita per la prevenzione dell’obesità: attività fisica L. Fabiani, M. De Felice, F. Sette Dipartimento di Medicina Interna e Sanità Pubblica Università dell’Aquila L’obesità è un problema di sanità pubblica di crescente importanza. Negli ultimi quattro decenni la prevalenza di obesità è aumentata dal 13 al 31% negli adulti. L’efficacia dell’attività fisica nella prevenzione dell’obesità è stata documentata da organismi sanitari nazionali di diversi paesi(NIH USA; UK NHS; CTFPHC); attraverso la selezione di revisioni sistematiche, studi controllati randomizzati e studi osservazionali. In 29 studi condotti per un anno, l’ NIH riporta che le modificazioni di peso nei gruppi trattati con dieta o attività fisica vanno da 1.9 a - 8.8 Kg ( media -3.3) rispetto ai controlli. Le revisioni dell’UKNHS riportano in 24 studi una diminuzione media di peso di meno 3 Kg in un periodo variabile da 12 a 60 mesi. Le revisioni del CTFPHC riportano che la riduzione del peso è più efficace se associata a trattamento dietetico. In alcuni lavori viene calcolata la riduzione media del peso tra gruppi trattati e gruppi di controllo per un periodo di follow-up di un anno. Da questi si evince come l’attività fisica di più elevata intensità produca risultati più efficaci, generalmente con una diminuzione di peso di 3-5 Kg. Di 11 studi condotti con attività ad alta intensità solo 6 usano un vero gruppo di controllo. Quattro hanno raggiunto l’obiettivo con una diminuzione di peso da 2.5 a 5.5 kg in 12-54 mesi rispetto ai controlli e due mostrano una diminuzione di peso bordeline o transitoria. Interventi di moderata intensità mostrano risultati non uniformi e due di tre a bassa intensità sono apparsi inefficaci. L’efficacia negli studi sperimentali deve essere confermata dagli studi che valutino l’implementazione dei modelli di attività a livello di popolazione. Tali studi devono tener conto dell’accettabilità dell’attività fisica e del beneficio complessivo e non meramente della riduzione di peso. L’esercizio fisico favorisce atteggiamenti positivi della persona con l’obiettivo di cambiare lo stile di vita, ha un ruolo fondamentale nella prevenzione e nella riabilitazione di molte patologie comprendenti l’obesità, il diabete, le neoplasie, le malattie cardiovascolari e l’osteoporosi. Il numero di figure professionali che possono rapportarsi con la persona giustificano la necessità di organizzare un gruppo di lavoro; per un migliore intervento di prevenzione è fondamentale che il team composto da medico, infermiere, fisioterapista ed esperto in scienze motorie lavori in sinergia. La mancanza di uniformità di protocolli e le non ancora ben definite caratteristiche dell’esercizio fisico (tipologia, frequenza, durata ed intensità) suggeriscono l’impiego di uno screening preliminare di test medico-motori in modo tale da garantire programmi di intervento individualizzati. La valutazione clinica e funzionale ci permettono di controllare il livello delle condizioni psico-fisiche della persona, massimizzando i vantaggi e riducendo i rischi nello svolgere un’attività fisica mirata. Il training fisico è soggetto ad una pluralità di leggi, la cui conoscenza è fondamentale per un’efficace impostazione dell’allenamento. I principi della specificità e della gradualità del carico ci permettono di definire una linea guida sulle caratteristiche dell’esercizio da proporre: · La tipologia deve essere la più adatta alla persona. · La frequenza deve essere di almeno 3 giorni la settimana. · La durata deve essere di almeno 30 minuti considerando che le attività sono prevalentemente aerobiche. · L’intensità deve essere moderata. Prescrivere l’esercizio fisico significa tener presenti alcuni principi generali come: gli obiettivi, la condizione fisica della persona, la disponibilità di tempo, le preferenze personali, le necessità e le attrezzature a disposizione. Una revisione dell’efficacia di diversi modelli d’azione e politiche per la promozione dell’attività fisica consente di trarre alcune indicazioni · sono più efficaci gli interventi di promozione dell’attività fisica multicomponente che integrano la motivazione offerta da alcune campagne di educazione sanitaria verso specifiche comunità con le opportunità organizzate in ambito locale sia in termini di supporto sociale sia in termini di spazi e modalità protette · sono più efficaci in ambito scolastico, gli interventi che prevedono un incremento del tempo e dell’attività

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nell’ambito dell’educazione fisica e l’attuazione di attività più coinvolgenti anche se meno impegnative · sono più efficaci gli interventi per il cambiamento del comportamento a livello individuale. Bibliografia 1. McTigue K., Harris R., Hemphill B. et al. Screening and interventions for obesity in adults: summary of the evidence for the US Preventive Services Task Force Ann Int Med 2003; 139(11):933-966. 2. Pate R.R., Pratt M., Blair S.N. et al. Physical Activity and Public Health. A Recommendation from the centers for disease control and prevention and the American college of sports medicine. JAMA. 1995; 273(5): 402-407. 3. Brown D.W., Brown D.R., Heath G.W. et al. Associations between physical activity dose and health-related quality of life. Med Sci Sports Exerc. 2004; 36(5): 890-896. 4. Kahn EB, Ramsey LT, Browson RC et al.Task Force on Community Preventive Service. The Effectiveness of Intervention to Increase Physical Activity. A Sistematic Review. Am J Prev Med 2002; 22(4S): 73-107. R32. Valutare in educazione alla salute G. Tarsitani Università di Roma “La Sapienza” Il processo di educazione salute alla deve conoscere la ferma e scientifica definizione della misura dei risultati e del raggiungimento degli obiettivi, ma deve anche possedere una dose di flessibilità attenta a valutare altri parametri, non sempre preordinabili, nello spirito di una verifica più ampia e “globale”. La verifica di cui si tratta parte da una precisa fase di programmazione che vede nella scrittura degli obiettivi e nella loro continua verifica e ridefinizione la forza del sistema. La valutazione conosce varie fasi: in primo luogo bisogna definire la valutazione di processo; essa è incentrata sull’osservazione dell’intervento educativo e può essere a priori (affidata allo staff di progetto e/o a esperti) oppure in itinere (affidata a esperti, a chi ha effettuato l’intervento o ai riceventi - valutazione di gradimento -) Di particolare importanza sono anche i dati di adesione. E’ soprattutto la valutazione di processo di processo nella fase in itinere, che viene utilizzata nella spirale di ridefinizione degli obiettivi educativi. La valutazione di efficienza e di efficacia, che sono il problema più arduo della realizzazione degli interventi educativi, si definiscono in modo molto semplice e comprensibile. La valutazione di efficienza risponde alla domanda: il programma proposto è stato realizzato nel migliore dei modi e coerentemente con quanto programmato? La valutazione di efficacia a sua volta risponde alla domanda: sono stati raggiunti gli obiettivi educativi e di salute prefissati? R33. Le prove di efficacia per la prevenzione dell’obesità: certezze, limiti e prospettive. Setting scuola, luogo di lavoro, comunità G. Cairella 1,2 , F. Garbagnati 2 , U. Scognamiglio 2 1 Area della nutrizione ASL RMB, Roma; 2 Centro Studi Alimentazione e Riabilitazione – CeSAR, IRCCS Fondazione S. Lucia, Roma La Task Force on Community Preventive Services (2005), ha condotto una rassegna sugli interventi di prevenzione dell’obesità in differenti setting ed ha evidenziato che le evidenze sono insufficienti per determinare l’efficacia di interventi comunitari e nelle scuole per la prevenzione dell’obesità; viceversa, interventi multi-componenti (educazione alimentare, prescrizioni dietetiche, facilitazione all’attività fisica, ecc) di prevenzione dell’obesità nei luoghi di lavoro, hanno ottenuto un risultato positivo sul peso corporeo. Un’analoga rassegna dell’Health Development Agency (2003) evidenzia nelle scuole la scarsa efficacia dei soli interventi educativi, mentre sono raccomandati gli interventi multi-componenti (educazione alimentare, promozione attività fisica, terapia comportamentale, formazione degli insegnanti, ecc); in accordo con i risultati della Task Force, non sono dimostrabili prove di efficacia per lo svolgimento di interventi comunitari per la prevenzione dell’obesità. Una recente metanalisi effettuata dalla Cochrane Collaboration (2006) sugli

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interventi di prevenzione dell’obesità infantile in vari contesti, non ha evidenziato chiare prove di efficacia tali da raccomandare una specifica modalità di intervento, pur tuttavia, nel loro complesso, anche in questo caso, le strategie multi-componenti hanno un impatto positivo sull’andamento del peso corporeo in età infantile. Ulteriori ricerche, con metodologie di elevate qualità e follow-up a lungo termine, sono urgenti e necessari per definire adeguate strategie preventive. Gli interventi di prevenzione per l’obesità devono essere basati su prove di efficacia, ciò significa, secondo quanto definito dall’evidence based prevention, l’uso coscienzioso, esplicito e giudizioso delle migliori evidenze scientifiche disponibili, per prendere decisioni sugli interventi di prevenzione rivolti alle comunità o a gruppi a rischio. L’evidenza scientifica su cui si basa l’ipotesi della relazione dieta-patologia, è diversa per le varie malattie. Nel caso dell’obesità, sussistono complicate interazioni tra genetica, comportamento ed ambiente e l’identificazione di un fattore dietetico o comportamentale, di rischio o di protezione, deve essere basata sulla relazione dimostrata da studi di intervento come studi clinici randomizzati controllati. Il recente rapporto WHO/FAO (2003), precedentemente citato, evidenzia, secondo la metodologia evidence-based, i fattori di rischio e di protezione per l’obesità, nonché gli obiettivi degli interventi di prevenzione (Tab 1). I risultati del rapporto evidenziano che lo svolgimento di regolare attività fisica, il consumo di alimenti ricchi in fibra alimentare e, nei bambini, la promozione di un’alimentazione equilibrata sia in ambito scolastico che familiare, esercitano un convincente ruolo protettivo nei confronti di un aumento ponderale. All’opposto un elevato consumo di alimenti ad elevata densità energetica, di bevande zuccherate e succhi di frutta, è associato ad un incremento del rischio di obesità. Purtroppo allo stato attuale, pur essendo presente una vasta letteratura su interventi di prevenzione dell’obesità, pochi gli sono gli studi che hanno caratteristiche di rigore metodologico, lunghezza di follow-up o valutazione dichiarata dell’outcome, tali da poterne dimostrare l’efficacia e raccomandarne l’implementazione. Recentemente la Task Force on Community Preventive Services (2005), ha condotto una rassegna sugli interventi di prevenzione dell’obesità nella scuola, nei luoghi di lavoro o su intere comunità, analizzando, secondo la metodologia evidence-based, l’efficacia di interventi basati su educazione alimentare, promozione dell’attività fisica, combinazione di entrambe le strategie, o altri interventi di tipo cognitivo-comportamentale. In base alla metodologia applicata, nel setting scolastico sono stati considerati dieci studi: tra questi otto riportavano un modesto effetto positivo sul peso corporeo e la conclusione della Task Force è stata che, allo stato attuale, le evidenze sono insufficienti per determinare se gli interventi nelle scuole sono efficaci per la prevenzione dell’obesità. Analoghe sono le conclusioni della Task Force nei confronti degli interventi comunitari. Viceversa, gli interventi multi-componenti (educazione alimentare, prescrizioni dietetiche, facilitazione all’attività fisica, ecc) di prevenzione dell’obesità nei luoghi di lavoro, hanno ottenuto un risultato positivo sul peso corporeo e la loro implementazione è raccomandata dalla Task Force. Un’analoga rassegna è stata svolta dall’Health Development Agency (2003): le conclusioni evidenziano nelle scuole la scarsa efficacia dei soli interventi educativi, mentre sono raccomandati gli interventi multi-componenti (educazione alimentare, promozione attività fisica, terapia comportamentale, formazione degli insegnanti, ecc); in accordo con i risultati della Task Force, non sono dimostrabili prove di efficacia per lo svolgimento di interventi comunitari per la prevenzione dell’obesità. Analoghe considerazioni possono essere effettuate nei confronti degli interventi di prevenzione dell’obesità basati sull’ approccio educativo che coinvolge l’intera famiglia, purtroppo anch’essi senza prove di efficacia. Una recente metanalisi effettuata dalla Cochrane Collaboration (2006) sugli interventi di prevenzione dell’obesità infantile effettuati in vari contesti (scuola, comunità, famiglia) non ha evidenziato chiare prove di efficacia tali da raccomandare una specifica modalità di intervento, pur tuttavia, nel loro complesso, anche in questo caso, le strategie multi-componenti (modifiche dell’alimentazione, dell’ambiente e dello stile di vita, supporti ed interventi psico-sociali) possono avere un impatto positivo sull’andamento del peso corporeo in età infantile. Pur con i limiti precedentemente trattati, nel suo complesso l’analisi della letteratura evidenzia che è possibile modificare i comportamenti a rischio. Si dimostrano efficaci gli interventi multi-componenti (educazione alimentare, promozione dell'attività fisica) in particolare se realizzati in un contesto multidisciplinare. La strategia di prevenzione deve avere inizio dalle epoche più precoci, ossia a partire dalla prima infanzia ed indipendentemente dal livello di rischio. Va infine ricordato che la mancanza di prove di efficacia non sta ad intendere che l’intervento è inadeguato, ma piuttosto che ulteriori ricerche, con metodologie di elevate qualità e follow-up a lungo termine, sono

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urgenti e necessari per definire adeguate strategie preventive. Bibliografia 1. Doak CM, Visscher TL, Renders CM, and Seidell JC. The prevention of overweight and obesity in children and adolescents: a review of interventions and programmes. Obes Rev 2006; 7(1): 111-36. 2. Mulvihill C, Quigley R. The management of obesity and overweight. An analysis of reviews of diet, physical activity and behavioural approaches. Health Development Agency. Evidence briefing. 1st Edition, October 2003. www.hda.nhs.uk 3. Katz DL, O’Connell M, Yeh MC, Nawaz H, Njike V, Anderson LM, Cory S, Dietz W. Public Health Strategies for Preventing and Controlling Overweight and Obesity in School and Worksite Settings. A Report on Recommendations of the Task Force on Community Preventive Services. Department of Health and Human Services. Centers for Disease Control and Prevention. Atlanta 2005; Vol. 54/No.RR-10 www.thecommunityguide.org 4. Summerbell CD, Waters E, Edmunds LD, Kelly S, Brown T, Campbell KJ. Interventions for preventing obesity in children. The Cochrane Database of Systematic Reviews. The Cochrane Collaboration. Published by John Wiley & Sons, Ltd. 2006; Issue 1. R.34 L’esperienza piemontese del laboratorio alimentazione e attività fisica. A. Suglia, E. Coffano, S. Lingua, R. Longo, S. Scarponi, C. Tortone Il Laboratorio Alimentazione nasce, nel 2000, su richiesta di operatori sanitari interessati, già attivi ed animatori dell'esperienza del Laboratorio di Valutazione in Promozione della Salute, che è un percorso di crescita professionale e progettuale sul tema della valutazione in educazione e promozione della salute. Nel 2005 il Laboratorio diventa di “Alimentazione ed Attività Fisica” per valorizzare il lavoro nel frattempo già svolto su questo tema e per rendere evidente l’impegno istituzionale richiesto da organismi istituzionali e scientifici di lavorare, contemporaneamente, su entrambi gli stili di vita, per contrastare il fenomeno dell’obesità che vede l’Italia il paese più colpito a livello europeo. Il Laboratorio crea uno spazio di co-progettazione condivisa tra le varie realtà e gli operatori-decisori locali provenienti dal servizio sanitario, dalle scuole, da altri enti, dalle aziende di ristorazione… in un’ottica di collaborazione intersettoriale. Gli incontri, condotti da DoRS in collaborazione con le ASL piemontesi e le altre organizzazioni, hanno lo scopo di "fare qualcosa in comune che serva", ma soprattutto di "imparare facendo" a partire dagli interventi e dalle esperienze in atto nelle ASL, scuole, ambienti di lavoro…. Gli obiettivi operativi sono di ri-orientare gli interventi attraverso un approccio interattivo, critico e costruttivo e di fondarli sulle prove di efficacia disponibili, su una solida e accreditata metodologia di progettazione-valutazione e sugli esempi di buona pratica disponibili nella letteratura scientifica e professionale. Tale format ha stimolato i partecipanti ad avviare la costruzione di un progetto comune sull’educazione alimentare nei setting scuola e comunità. Per quanto riguarda il setting scuola, il progetto comune sperimenta l'adozione di strumenti metodologici condivisi per la conduzione dell'analisi dei bisogni e dell'intervento, per la pianificazione e la realizzazione della valutazione. Per il setting comunità il progetto comune si articola attraverso la costruzione di alleanze tra organizzazioni diverse (sanità, scuola, piccola e grande distribuzione, associazioni di consumatori, produttori...) per la promozione di un'alimentazione sana e sicura. Tutto questo ha dato origine, nel corso di questi anni, a gruppi di lavoro pluriennali (educazione al paziente, anziani in comunità, mensa scolastica, formazione dei formatori). Al termine del primo anno di lavoro gli operatori ASL hanno presentato e reso fruibili i risultati dei progetti in un vademecum interattivo, giunto alla sua seconda edizione: il CD-ROM "Progettare à la carte". Si tratta di un ipertesto contenente le linee guida, gli strumenti operativi sperimentati nella fase di diagnosi educativa, nonché approfondimenti sulle competenze professionali utili alla progettazione di interventi in Educazione Alimentare. Partendo da una mappa ragionata è disponibile altra documentazione utile, comprensiva di esperienze piemontesi già realizzate. Gli operatori partecipanti hanno individuato negli appuntamenti del laboratorio un’opportunità costante di formazione tra pari, orientata alla valorizzazione, condivisione di esperienze e saperi, nonché a ri-modulare le proprie attività rispetto ai bisogni di salute emergenti, cogliendo nuovi scenari d’intervento, valorizzando opportunità e risorse disponibili. Tutto questo si riflette anche nel cospicuo numero di progetti inerenti le tematiche della prevenzione dell’obesità avviati all’interno delle seguenti iniziative regionali: PNP –

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Programma Nutrizione Piemonte, Bando Regionale Progetti di Promozione della Salute 2004-05/2005-06, HBSC-OMS survey, Progetto MIUR – Direzione Scolastica. Il laboratorio continuerà a rappresentare uno spazio di assistenza alla progettazione anche all’interno del Piano di Sorveglianza e Prevenzione dell’obesità Regione Piemonte (Piano Nazionale di Prevenzione Attiva Obesità), che si propone di progettare e valutare un intervento multi-centrico di prevenzione del sovrappeso ed obesità nei setting scuola, luoghi di lavoro e comunità. Bibliografia · Lemma P., Promuovere salute nell’era della globalizzazione, Unicopli, Milano, 2005 · Green L.W., Kreuter M.V., PRECEDE-PROCEDE: un modello di pianificazione, 1991 · NIGZ and GGD., New Health Promotion, 2006 in internet: http://www.newhalthpromotion.nt · Quaglino G., Fare formazione. I fondamenti della formazione e i nuovi traguardi, Raffaello Cortina Editore, 2005 · Centro Regionale di Documentazione per la Promozione della Salute DoRS – http://www.dors.it · Relazione SINU (Dina D’Addesa) R35. Educazione nutrizionale e al gusto D. D’Addesa1, F. Sinesio1, V. Marzi2, D. Martone1, F.J. Comendador1, M. Peparaio1, E. Moneta1, V. Panetta1, A. Scanu2, S. Sette1

1 Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, Roma 2 Università degli Studi “La Sapienza”, Roma Da indagini condotte nel nostro Paese emerge che nelle fasce giovanili un errore comune è l’assunzione di alimenti vegetali (ortaggi, legumi, frutta) al di sotto dei livelli raccomandati (1, 2). Ciò avviene mentre è sempre più diffusa nella Comunità scientifica mondiale la convinzione che la presenza di adeguate quantità di prodotti vegetali nella dieta quotidiana sia essenziale sin dall’infanzia per garantire uno stato di salute psicofisica ottimale. Obiettivo principale di questo progetto è stato lo sviluppo e la sperimentazione di un modello di intervento di Educazione Alimentare (EA) ed Educazione del Gusto (EG) per incrementare il consumo di verdure, legumi e frutta. L’azione di comunicazione è stata rivolta al mondo della scuola, intesa nelle sue varie componenti ed aventi come destinatari privilegiati i bambini della scuola primaria, coinvolgendo ai fini della sperimentazione 272 scolari di terza, quarta e quinta elementare di una scuola romana, insieme ai loro insegnanti e genitori e agli addetti della mensa scolastica. Il progetto ha privilegiato un approccio metodologico basato su attività educative fortemente motivanti e operative, attività non limitate ai soli aspetti nutrizionali, ma estese alla sperimentazione e al coinvolgimento della sfera sensoriale, per consentire di ampliare sin da piccoli i confini della propria curiosità gustativa, attraverso l’uso consapevole dei sensi (3). L’intervento formativo sui bambini è stato implementato dai docenti con l’utilizzo di sessanta Unità Didattiche da noi formulate, le quali si pongono l’obiettivo di indurre nei bambini una maggiore assunzione di ortaggi, legumi e frutta, proponendo in modo diversificato per ciascuna UD, l’apprendimento sui temi di alimentazione, nutrizione e di educazione sensoriale, con un metodo induttivo (dalla pratica alla teoria). Tale metodo è basato su forme di attività didattiche orientate a incrementare l’esperienza come gioco, laboratorio, e altre forme di attività coinvolgenti, da svolgere singolarmente o in gruppo con la guida dell’insegnante (4). La sperimentazione è stata preceduta dalla formazione degli insegnanti con modulo formativo teorico-pratico di 21 ore su tematiche prevalentemente nutrizionali e sensoriali, senza trascurare gli aspetti psicologici e didattici. Prima di avviare qualsiasi attività formativa e sperimentale è stata condotta una accurata indagine conoscitiva sulle abitudini alimentari e consumi, su gusto e preferenze, nonché sui determinanti delle scelte alimentari di tutti gli alunni che hanno partecipato allo studio e sui loro genitori e insegnanti, con l’utilizzo di questionari differenziati. L’indagine ha incluso inoltre il monitoraggio degli alimenti target rifiutati al pasto di mezzogiorno presso la mensa scolastica, utilizzando la metodica della pesata diretta degli alimenti (verdure, legumi e frutta) non consumati. Alla fine del pasto monitorato i bambini provvedevano a compilare una scheda per esprimere il

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proprio parere sulla gradibilità delle portate servite. Al termine della sperimentazione, condotta sui bambini nell’anno scolastico 2005-2006, è stata svolta una verifica finale per valutare l’efficacia dell’intervento, utilizzando la stessa metodologia e gli stessi strumenti adottati per l’indagine alimentare anteriore all’intervento. I risultati preliminari relativi solo ad una parziale elaborazione dei dati rilevati con questionario, evidenziano una percentuale maggiore di bambini che dopo l’intervento consuma frutta a tutti i pasti della giornata, anche se la differenza è risultata significativa solo per la merenda del mattino (p<0.01). La prima colazione è assunta dopo la sperimentazione da un maggior numero di bambini (85.5% vs 78.6%). La valutazione dei cibi rifiutati a mensa (frutta, contorni a base di verdure e primi preparati con ortaggi o legumi) e valutati con la pesata, evidenzia una riduzione mediana dello scarto rispetto all’indagine anteriore all’intervento solo per i primi (45.5 vs 38.1) e per la frutta (31.1 vs 27.5). L’attuale analisi sebbene parziale consente di individuare alcuni punti forti e deboli del modello proposto, anche se per una completa valutazione della ricaduta delle attività svolte è importante approfondire tutte le altre variabili rilevate e disponibili, ma non ancora analizzate. Bibliografia 1. Turrini A., Saba A., Perrone D., Cialda E., D’Amicis A. (2001). Food consumption patterns in Italy: the INN-CA Study 1994-1996. Eur J Clin Nutr. 55(7):571-88. 2. Comitato scientifico “Osservatorio Grana Padano”. Brescia, 2006. 3. ADA Report (2004): Position of the American Dietetic Association: dietary guidance for healthy children aged 2 to 11 years. J Am Diet Assoc. 2004 Apr; 104(4):660-77. 4. Evers, Connie Liakos (2003). How to Teach Nutrition to Kids. Carrot Press, Portland, OR (USA). R36. Scenari di educazione alla salute nel progetto europeo PIPS – Personalized Information Platform for life and health Services R. Serafin Ricordarsi le terapie e controllarne le interazioni, scegliere i cibi più adatti per una dieta, colloquiare con il medico in tempo reale per avere consigli e indicazioni tempestive: la vita di ciascuno di noi ha sempre più bisogno di informazioni utili, sicure e personalizzate, selezionate sulla base dei nostri bisogni e preferenze. Questa è la sfida del Progetto Europeo PIPS (Personalised Information Platform for Life and Health Services): sfruttare le più avanzate tecnologie informatiche per promuovere scelte individuali più consapevoli, fornendo alla persona informazioni mirate, per migliorare la propria salute e qualità della vita, per tenere sotto controllo e prevenire le malattie, per garantire il supporto alla continuità della cura. Il sistema PIPS prevede un’ampia gamma di servizi innovativi attraverso una piattaforma tecnologica che fa comunicare tra loro persone ed oggetti: cellulari, armadi, dispositivi elettro-medicali, bilance, farmaci, prodotti alimentari, il carrello della spesa. Ognuno di questi oggetti, integrati fra loro via PIPS, interagisce con il profilo di bisogni e preferenze della persona per fornire suggerimenti ed avvisi sull’alimentazione e sui farmaci, per monitorare lo stato di salute, per accedere ad informazioni e servizi sanitari specifici, o anche per fare la spesa. PIPS confronta accuratamente e tempestivamente le informazioni personali con i dati del mondo esterno per dare un aiuto ad affrontare al meglio le diverse situazioni della vita quotidiana in totale sicurezza: l’accesso ai dati è, infatti, consentito solo alle persone autorizzate e il loro utilizzo concesso esclusivamente per gli scopi prestabiliti. PIPS fornisce, in qualunque momento della giornata ed in ogni luogo (in casa, al supermercato o al ristorante), informazioni utili sui prodotti che si intende acquistare o consumare. PIPS, infatti, confronta gli ingredienti e le caratteristiche dei prodotti alimentari con il personale profilo di salute (malattie, allergie, controindicazioni da farmaci, gravidanza, ecc.) e di preferenza (i gusti, le abitudini alimentari ed i valori personali che si riflettono sui prodotti quali, per esempio, “vegetariano”, ”biologico”, “mercato equo-solidale”, “no OGM”). PIPS è dunque in grado di evidenziare informazioni mirate sul grado di idoneità del prodotto rispetto alle necessità ed aspettative, può dare suggerimenti “su misura” e, dunque, aiutare a prendere decisioni consapevoli. Si tratta di un nuovo modello di relazione tra il consumatore e l’azienda in cui si realizza una sorta di vantaggio competitivo “virtuale”: la persona guadagna in consapevolezza e diritto all’informazione e l’azienda investe in trasparenza e migliora la comunicazione con il consumatore.

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All’interno di questo contesto il progetto contempla diversi scenari per l’educazione alla salute attraverso i moderni sistemi informativi, in particolare rivolti a soggetti affetti da disturbi cronici, come il diabete e lo scompenso cardiaco. Grazie alla logica di supporto integrato che il progetto persegue e tramite l’attuazione di strategie educative attive e passive, il progetto mira a raggiungere il cittadino nei momenti cruciali per le decisioni di tutti i giorni, supportandolo con informazioni contestualizzate, suggerimenti e raccomandazioni, sistemi di allerta per le principali controindicazioni (allergologiche e farmacologiche) Oltre a servizi di educazione attiva, in cui il cittadino si confronta con materiale multimediale (simulazioni interattive, realtà virtuale, etc.) che esplicitamente presenta i contenuti educativi, il progetto propone anche strategie passive, in cui suggerimenti – per esempio alimentari – sono forniti all’atto dell’acquisto cercando di proporre non solo le raccomandazioni specifiche ma anche i razionali che le supportano, in modo da proporre un cambiamento dei comportamenti agendo direttamente sul processo decisionale. Riferimenti · L. Scuteri, C. Signori, R. Santarella, R. Serafin, L. Falqui, A. Sanna, E. Bosi, D. Cianflone, Heart health management on the web, on smartphones and in the food store: The PIPS Project, World Congress of Cardiology, Barcellona (Spain), September 2006 · D. Del Rio, E. Campanini, N. Pellegrini, F. Scazzina, R. Serafin, D. Marino, R. Santarella, A. Sanna, F. Brighenti, Scenari nutrizionali nel progetto Europeo PIPS, Italian National Nutrition Congress, Montesilvano (Italy), October 2005 · E. del Hoyo-Barbolla, N. Fernandez C. M. Ramirez, M. T. Arredondo, Personalized E-Learning System For The Promotion Of Healthy Lifestyles, E-Challenges 2005, Lubliana (Slovenia), October 2005 R37. Applicazione di strumenti tecnologicamente avanzati per l’educazione alla salute A. Morandi Fondazione San Raffaele del Monte Tabor (Milano) L’educazione alla salute è parte della formazione integrale della persona e deve essere affrontata in una prospettiva interdisciplinare e transdisciplinare ed orientata alla formazione di individui consapevoli, protagonisti delle proprie scelte nella prevenzione e cura di disturbi della salute, con la possibilità di intervenire in ambiti come la nutrizione, l’esercizio fisico e lo stile vita. Le innovazioni della tecnologia informatica rappresentano una sfida nella qualità dell’educazione con l’introduzione di strumenti rivoluzionari di comunicazione e di circolazione di idee nel rispetto dei meccanismi di interiorizzazione dei contenuti educativi. Come convincere le persone a utilizzare la tecnologia per cambiare le proprie abitudini? Come guidarle all’uso della tecnologia per semplificarsi la vita? Come far sì che accrescano il controllo della propria vita grazie alla tecnologia informatica? La principale leva è la motivazione per agire nella direzione dell’interesse, della curiosità e della stimolazione all’autodeterminazione. L’utilizzo di applicazioni e-health da una parte si basa sulla volontà dell’individuo di preoccuparsi della propria salute, di seguire la terapia prescritta e i consigli del medico, di saper adottare un sano stile di vita nella quotidianità; dall’altra parte, vuole incoraggiare l’utente a capire come la tecnologia informatica può migliorare lo stile di vita oltre ad essere utile e divertente. Occorre allora capire quali fattori influenzano l’uso della tecnologia nel cambiamento del comportamento, quale canale di distribuzione è più adeguato alla situazione della persona e quali informazioni personalizzate dare a ciascun individuo a seconda del suo stato. Il cambiamento di comportamento è un processo che evolve nel tempo: gli individui mostrano diversi livelli di motivazione o propensione al cambiamento. Numerose teorie hanno tentato di spiegare il cambiamento del comportamento nell’ambito della salute con differenti focus. A partire da queste è stato elaborato un modello che tiene conto della conoscenza di un individuo su uno specifico problema, il desiderio della persona di migliorare la propria salute, le capacità necessarie per raggiungere il cambiamento, l’autoefficacia per affrontare con successo il problema, la costanza nell’ottenere e mantenere il cambiamento e la perseveranza nel recupero in caso di fallimento. Il modello identifica i diversi stadi del comportamento: gli individui sono posizionati nello stadio motivazionale più adeguato grazie ad un questionario. Si elabora quindi una strategia motivazionale, che segue il processo del cambiamento per ciascun individuo in maniera personalizzata.

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Sfruttando le ultime frontiere della tecnologia informatica da internet al settore mobile, dalla tecnologia RFID alla realtà virtuale, si propone una tecnologia “intelligente” che si sincronizzi alle esigenze e alle caratteristiche dei destinatari per offrire un’educazione personalizzata per una salute personalizzata. Un possibile ambito di applicazione di tali metodologie è l’attività fisica nei pazienti con diabete di tipo 2, che vengono coinvolti in un programma analogo ai 10000 passi al giorno con l’uso di un contapassi. Questo scenario vuole mostrare quale sia l’efficacia di una piattaforma e-health e di dispositivi tecnologici uniti ad un’appropriata strategia motivazionale sul cambiamento delle abitudini verso una maggiore attenzione alla propria salute e all’importanza dell’attività fisica, già dimostrata essere fondamentale per un miglioramento metabolico nel diabete di tipo 2. Le interfacce vogliono favorire una relazione tra l’utente e il sistema e sono in grado di adattarsi al contesto, all’ambiente e allo stato psicologico dell’utente. Prevenzione dell’obesità e promozione del consumo di più frutta e verdura possono essere altri esempi di una strategie educative e motivazionali basate sull’utilizzo di strumenti tecnologicamente avanzati. Bibliografia · W.Kroeze, A.Werkman, J.Brug, A Systematic review of randomized Trails on the Effectiveness of compuer-Tailored Education on Physical activity and Dietary Behaviors. Annals of Behavioral medicine 31/3 (2006) · R.J. Bensley, N.Mercer, J.J. Brusk, R.Underhile, J. Rivas, J. Anderson, D.Kelleher, M. Lupella, A.C. De Jager, The eHealth Behavior Management Model: A stage-based approach to behavior change and management. Prevention Chronic Disease 1/4 (2004) · L.I. Bouwman, G.j. Hiddink, M.A. Koelen, M. Korthals, P van’t Veer and C van Woerkum Personalized nutrition communication through ICT application: how to overcome the gap between potential effectiveness and reality. European Journal of Clinical Nutrition 59: Suppl 1, S108.S116 (2005) · L.M. delahanty, M.B. Conroy, D.M. Nathan and Diabetes Prevention Research Group, Psychological Predictors of Physical Activity in Diabetes Prevention Program. Journal of american Dietetic Association 106: 698-705 (2006)

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COMUNICAZIONI ORALI

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Sessione I. Sovrappeso ed obesità C01. Obesità infantile: efficacia di un progetto educativo-nutrizionale M.R. Leonardi, P. Pecoraro , A. Colantuoni *Dipartimento di Neuroscienze, Scuola di Specializzazione in Scienza dell’Alimentazione, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Napoli Federico II Premessa: l’obesità, principale disturbo nutrizionale dell’età evolutiva nei paesi industrializzati, ha assunto i connotati di una vera e propria malattia epidemica, per la quale è stato coniato il termine di “globesity”. Pertanto, sia l’OMS sia il SSN, hanno intrapreso campagne di prevenzione sin dalla prima infanzia. Obiettivo: valutare lo stato nutrizionale in un gruppo di scolari e verificare l’efficacia di un intervento educativo-nutrizionale. Metodi: il campione era costituito da 74 bambini (M:35; F:39 ), di età media pari a 8.0 ± 0.4 anni, che è stato suddiviso in due gruppi: uno costituito da 56 bambini trattati ed uno di 18 controlli. Le misure plicometriche, rilevate con strumento di Holtain in triplice misurazione, il peso corporeo e l’altezza sono state praticate sia alla prima valutazione che nel follow-up di un anno. Le tabelle di Cole (2000) sono state utilizzate per rilevare la prevalenza di sovrappeso e obesità. Il percorso educativo-nutrizionale ha coinvolto le famiglie e la scuola. Risultati: la tabella riporta le misure rilevate e la prevalenza di obesi e soprappeso prima dell’intervento (t=0) e dopo l’intervento educativo (t=1) e nel campione e nel gruppo controllo.

Conclusione: Va sottolineata la prevalenza di obesità alla prima osservazione, che viene significativamente ridotta, durante il follow-up, nel gruppo trattato rispetto al gruppo di controllo. Alla luce dei risultati ottenuti, svolgere un programma di educazione nutrizionale in età scolare risulta fondamentale perché si recepiscano insegnamenti e guide di comportamento che, come dimostrano i nostri dati, possono influenzare in maniera significativa le abitudini alimentari dei ragazzi. La Famiglia e la Scuola sono, pertanto, i principali canali da utilizzare per veicolare le misure di prevenzione dell’obesità infantile. C02. Trattamento multidimensionale dell’obesità: follow-up a lungo termine P. De Cristofaro1, E. Xhebraj, S. Flacco, M.T. Di Bonifacio, B. Dragani 1-2

Centro Regionale di Fisiopatologia della Nutrizione-ASL Teramo; Università degli Studi “G. D’Annunzio”- Chieti Premessa: Bennet, analizzando 105 studi sul trattamento dell’obesità, ha evidenziato che l’efficacia terapeutica è tanto maggiore, quanto più lunga è la durata del trattamento. Il mantenimento dei risultati ottenuti inoltre è

N. 56 t=0 (trattati)

N. 18 t=0 (controlli)

N. 56 t=1 (trattati)

N. 18 t=1 (controlli)

Peso 36.2± 10.5 31.9±7.1 35.8±9.8 33.3±7.6

Altezza 133.6±6.6 130.5±5.9 135.5±6.6 132.0±6.0

BMI 20.1±4.3 18.7±3.5 19.3±4.0 18.5±4.2

Pl. Tricipitale 17.1±7.1 16.2±7.0 15.6±6.4 16.8±7.4

Pl. Bicipitale 8.7±4.0 8.2±4.0 8.1±3.4 8.7±4.4

Pl. sovrailiaca 12.7±7.1 10.7±7.2 11.8±6.4 11.5±8.0

Pl. Sottoscapolare 11.8±7.2 10.7±6.8 11.3±6.8 11.0±7.1

∑ pliche 50.3±23.9 45.9±24.0 46.8±21.5 48.0±26.0

Obesi% 28.3% 27.7% 14.3% 27.7%

Obesi+Sovrappeso% 54.7% 50.0% 39.2% 55.5%

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correlato col numero dei controlli medici e con una relazione terapeutica di lunga durata. Obiettivo: Valutazione dell’approccio multimodale e multivariato a lungo termine nell’evitare ricadute multideterminate Metodi: E’ stato esaminato un campione di 1400 soggetti giunti all’osservazione per problemi di obesità presso il nostro Centro. Lo studio retrospettivo sugli indicatori di esito dell’obesità ha riguardato tutti i pazienti che avevano evidenziato una riduzione di almeno il 5% del peso iniziale, stabilizzazione del risultato ottenuto, esente da recidive, a distanza di almeno 1 anno. I parametri presi in considerazione sono stati: peso, BMI, valori di calorimetria indiretta, indici di massa magra e composizione corporea, stile di vita. Risultati: 205 soggetti , in prevalenza di sesso femminile (74% del campione) età media 43±15 anni, rispondeva ai criteri di selezione. Il 21% di questi presentava un follow-up maggiore di 5 anni. E’ stato rilevato una riduzione del peso e del BMI (da 33,63±6,57 a 29,86±6,15); stabilità e/o incremento degli indici di FFM, miglioramento dei valori di calorimetria indiretta (aumento consumo di O2, aumento REE/day e riduzione QR). Tali risultati sono stati mantenuti nel tempo, senza recidive (follow-up a 5 anni). Utilizzando tecniche di sostegno (“empowerment”, ovvero attribuzione del potere, e di problem-solving ovvero capacità di riconoscere e fronteggiare i problemi) ha permesso inoltre di educare i pazienti ad un miglioramento generale dello stile di vita (cambiamento abitudini alimentari; incremento dell’attività fisica). Conclusioni: I risultati ottenuti indicano che l’obesità necessita di un trattamento pluridimensionale assicurando alla terapia spazi e tempi a dimensione umana. La gestione di lungo periodo condiziona la qualità e l’efficacia della terapia stessa. Un approccio integrato e coerente nel tempo permette di ottenere migliori risultati. C03. Obesity and major depressive disorders in elderly G. Nasti, G. Prestieri, F. Nasti, I. Maresca, A. Colantuoni Department of Neuroscience, “Federico II” University Medical School, Naples, Italy Aim: Major depressive disorders appear to be one of the most frequent pathologies in elderly that can be accompanied by changes in nutritional status and malnutrition. This study was aimed to assess the prevalence of depressive disorders in patients from Outpatient Clinics of our Department. Methods: One hundred and thirty five patients (67 females, 60-75 years old) were recruited. Nutritional status was evaluated by anthropometric measurements: weight, height, waist, hip and mid upper arm circumferences, triceps skinfold. Bioimpedance and a psycometric test (Geriatric Depression Scale) were performed. Data were compared with those of one hundred and three adult people (76 female, 40-56 years old). Results: According to GDS psycometric test, three groups of patients were differentiated for both genders. 43,28% of females were not affected (AF) showing a GDS score of 2.10 ± 1.63; 34,33% were lightly affected (LF) with 7.78 ± 1.67 score; 22,39% were depressed (DF) with 12.2 ± 1.26 score. 57.35% of males resulted not affected (AM) with a score of 1.94 ± 1.68; 25% were lightly affected (LM) with a score of 8.00 ± 1.63; 17.65% were depressed (DM) with 12.00 ± 1.41 score. Body mass index (BMI) was 34.12 ± 6.08 in AF; 34.52 ± 5.38 in LF and 34.53 ± 3.70 in DF females, while BMI was 32.53 ± 3.60 in AM, 32.77 ± 4.73 in LM and 29.75 ± 3.10 in DM males. BMI was 33.18 ± 8.02 and 32.95 ± 5. 25 in control females and males, respectively. All measured parameters did not significantly differ among female and male groups, except for triceps skinfold that was significantly higher in females compared with data of the corresponding male groups (P< 0.01). Conclusions: The results of the present study indicate that aging females are more prone to major depressive disorders compared with aging males. All the patients, however, showed first degree obesity. Therefore, in females major depressive disorders could more frequently cause malnutrition.

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C04. Studio della relazione tra peso desiderato, peso auspicabile e disagio psicologico I. Repossi, M. Sacchetti, O. Colombo, G. Pinelli, C. Trentani, A. Tagliabue Centro Interdipartimentale di Studi e Ricerche sulla Nutrizione Umana e i Disturbi del Comportamento Alimentare – Università degli Studi di Pavia Premesse Numerose ricerche condotte su soggetti che si sottopongono ad un trattamento dietetico evidenziano la discrepanza tra peso desiderato dal paziente alla fine del trattamento e l’obiettivo medico (pari ad una perdita del 10% del proprio peso). Obiettivo In questo studio si vuole descrivere la presenza e l’entità di tale discrepanza correlandola con l’eventuale disagio psicologico. Materiali e metodi Studio longitudinale retrospettivo, su un campione di soggetti che si sono presentati al Centro chiedendo un trattamento dimagrante. I partecipanti allo studio sono stati sottoposti a una visita nutrizionale e ad una valutazione psicodiagnostica (tests autosomministrati EDI2, SCL90 e colloquio psicologico). In particolare a tutti i soggetti è stato chiesto di definire il peso desiderato per un successivo confronto con l’obiettivo medico. Risultati Sono stai reclutati 134 partecipanti (78% donne, 22% uomini; età 38,4±14,5; BMI 29,2±4,9). Lo scarto tra peso desiderato dopo il trattamento e l’obiettivo consigliato è pari a 5,6±8,1 Kg ed aumenta all’aumentare del BMI (r=0,75; p=0,000). Per quanto riguarda i risultati dell’EDI2 nel campione totale si evidenziano dei punteggi alterati nella scala dell’insoddisfazione per il corpo (con una media di 13,4±7,3). Per quanto concerne l’SCL90 si evidenziano dei punteggi alterati nella scala della somatizzazione (con una media di 8,8±7,9) e della scala della depressione (con una media di 9,8±9,7). Conclusioni Lo studio conferma alcuni dati riportati in letteratura: il calo ponderale desiderato dal paziente è superiore all’obiettivo consigliato. In generale risulta opportuno in tutti i soggetti che desiderano perdere peso un percorso psicologico mirato a chiarire le motivazioni sottese all’insoddisfazione per il corpo (specie se si tratta di soggetti normopeso), accettare un peso auspicabile diverso dal desiderato e supportare le modifiche dello stile di vita indispensabili per raggiungere l’obiettivo. C05. Presenza di soggetti a rischio di DCA tra gli studenti della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Siena: studio pilota C. Francalanci 1, S. Chiassai 1, A. Grosso1, F. Ferretti 2, E. Paolini1, R. Mattei 1 1 U.O.C. Dietetica Medica Università degli Studi di Siena; 2 Centro Interdipendente di soddisfazione dell’utenza dell’ Università di Siena Premesse Negli ultimi anni, nel mondo occidentale, si è assistito ad un progressivo incremento dell’incidenza dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) soprattutto tra la popolazione giovanile. Molti sono stati gli studi condotti sulle abitudini alimentari degli adolescenti, ma poco si sa su un eventuale legame tra il rapporto con il cibo e la scelta di un particolare corso di studi universitario. Obiettivo Il nostro studio si propone di confrontare i risultati ottenuti dal questionario EDI-2, EATING DISORDER INVENTORY–2 (Garner et al., 1983), degli studenti del corso di laurea in Dietistica (I-II-III anno) e quelli dei corsi di laurea in Ostetricia, Igienista Dentale e Assistente Sanitario, al fine di valutare se la scelta degli studi possa essere stata influenzata da un atteggiamento pre-esistente più o meno patologico con il cibo. Metodi Lo studio si è basato sulla somministrazione del test EDI-2 a 61 studenti, 53 femmine e 8 maschi, di età compresa tra i 19 e i 32 anni (età media 21,5 ± 2,84). L’EDI-2 è il primo e forse più usato strumento per la valutazione multi-dimensionale delle caratteristiche psicologiche, rilevanti per l’individuazione dei disturbi dell'alimentazione, applicabile nei soggetti dagli 11 anni in poi. Il test è composto da 91 item, dei quali i primi 64 costituiscono le 8 scale primarie mentre gli

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ultimi 27 formano le 3 addizionali. Risultati Dai risultati del test è emerso che i dietisti, in particolare quelli del II anno, hanno mostrato atteggiamenti patologici in un numero maggiore di casi rispetto agli studenti degli altri corsi di laurea presi in esame. Conclusioni I risultati preliminari ottenuti ci suggeriscono di continuare nel prossimo anno accademico la nostra indagine tra gli studenti dei diversi corsi di laurea, al fine di ampliare la numerosità del campione e rendere lo studio statisticamente significativo. C06. Analisi dell’evoluzione della densità nutrizionale della dieta in relazione alla prevalenza di obesità degli anni ’70 e 2000 a Bologna A. Albertini*, M. Bottazzi, F. Celenza*,G. Giacomoni**, R. Tanas***, M. Sardo Cardalano* *AUSL Bologna; **Comune di Bologna ; ***Azienda Ospedaliera Universitaria S. Anna Ferrara; ****Università di Pavia All’andamento dell’obesità risulta indispensabile studiarne i determinanti ambientali per attivare prevenzione e valutarne i risultati nel tempo. Dati storici (Giacomoni et al 1970; Tanas 1977) relativi all’obesità e ai consumi alimentari in età evolutiva vengono confrontati con dati recenti (Albertini et al 2004) relativi alla nostra realtà . Le abitudini di 2532 alunni rilevate con la tecnica del diario alimentare compilato come frequenze settimanali di alimenti appartenenti ai principali gruppi, vengono confrontate con quelle attuali investigate dallo studio SoNIA con intervista guidata a 2148 bambini in classe e questionario compilato dai genitori in famiglia. Nel campione analizzato negli anni ‘70, la percentuale di sovrappeso risulta del 5,97%: del 5,46% nei soggetti con età <6 anni, del 6,02% nei soggetti di 6-10 anni e del 6,16% per età >10 anni. Si osserva una percentuale globale dei soggetti obesi del 1,5%: nei soggetti di età <6 anni 0,5% e 1,7% in quelli con età >6 anni. Nel campione studiato nel periodo 2000/04, la percentuale di sovrappeso è del 22,12%. Nei soggetti con età <6 anni la prevalenza è del 9,75%, nei soggetti di 6-10 anni è del 31,87% e dopo il 10° anno la percentuale del 25,10%. La sola obesità colpisce il 6,14% della popolazione in esame, 2,37% dei bambini <6 anni e 8,38% dei soggetti con età maggiore. Nella dieta anni ’70 i ricercatori rimarcano inadeguatezza di matrici proteiche; l’alimentazione familiare viene valutata sufficiente dal punto di vista energetico, carente in minerali e vitamine. Dalle preoccupazioni dei ricercatori sul deficit proteico se ne osserva oggi uno sbilanciamento in eccesso. Attualmente osserviamo un notevole ampliamento delle scelte all’interno dei principali gruppi di alimenti,:troviamo rilevante il passaggio dal consumo di pane a biscotti, da patate a chips, da acqua a bibite zuccherate, da marmellata a creme spalmabili. Nel passaggio di una sola generazione, alla diminuzione di attività motoria e sportiva riscontriamo un incremento di sovrappeso di circa 4 volte in parallelo all’aumento di alimenti trasformati, della frequenza di pasti giornalieri con fuori pasto e il nuovo dopocena, di snacks dolci e salati di piccolo volume, basso potere saziante ed alta densità energetica. C07. Influenza della porzione degli alimenti sul consumo energetico C. Berti, P. Riso, M. Porrini Dipartimento di Scienze e Tecnologie Alimentari e Microbiologiche (diSTAM), Sezione di Nutrizione, Università degli Studi di Milano Premesse. La tendenza a proporre porzioni di dimensioni sempre maggiori in ristoranti, supermercati, a livello domestico sembra aumentare l’introduzione energetica quotidiana degli individui. Questo ha portato a suggerire che grandi porzioni di cibo possono giocare un ruolo importante nell’aumento del peso corporeo e nell’eziologia obesità. Obiettivi. Studio dell’effetto di porzioni diverse di pasta sui consumi energetici. Metodi. Studio 1: 16 soggetti normopeso (BMI = 20,7 ± 2,3) hanno assunto due diversi tipi di spaghetti al pomodoro: tradizionali (A) e addizionati con farine di diversi legumi e cereali (B). Nella fase preliminare del

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lavoro, è stato valutato l’effetto saziante specifico degli spaghetti, chiedendo ai soggetti di consumare ad libitum, fino a sazietà, la pasta presentata in un’unica grande porzione (modalità “classica”). Per valutare l’effetto della dimensione della porzione sui consumi energetici, è stato chiesto di consumare ad libitum gli spaghetti presentati in piccole porzioni successive (40 g a crudo) (modalità “porzionata”). I dati di consumo sono stati confrontati con quelli della modalità “classica”. Studio 2: 16 soggetti sovrappeso/obesi (BMI = 32,2 ± 5,5) hanno consumato gli spaghetti tradizionali ad libitum, nelle modalità “classica” e “porzionata”. Risultati. Studio 1: per raggiungere la sazietà, i soggetti hanno consumato quantità confrontabili di entrambi gli spaghetti. Il t-test ha evidenziato l’effetto della modalità di consumo sull’introduzione energetica: la disponibilità di grosse porzioni, indipendentemente dalla formulazione, ha indotto una maggior assunzione rispetto alla situazione in cui la sazietà veniva raggiunta per piccole porzioni successive (A: p < 0.05; B: p < 0.0005). Studio 2: anche nei soggetti sovrappeso, la modalità “porzionata” ha indotto un consumo significativamente inferiore rispetto alla “classica” (p < 0.005). Conclusione. I risultati ottenuti indicano che la dimensione delle porzioni è in grado di influenzare gli individui indipendentemente dal loro BMI, e che proporre porzioni definite e contenute di pasta sembra rappresentare una strategia per esercitare un maggior controllo delle assunzioni energetiche. Ringraziamenti. Si ringrazia Barilla per la collaborazione. C08. Differenze tra sessi nell’associazione tra taglia corporea e pressione arteriosa in un campione di popolazione pediatrica: il progetto ARCA G. Barba, C. Casullo1, M. Loguercio, F. Lauria, P. Russo, F. Galletti2, P. Strazzullo2, A. Siani per il gruppo di studio ARCA (www.isa.cnr.it) Epidemiologia e Genetica delle Popolazioni, Istituto di Scienze dell'Alimentazione, CNR, Avellino;1 ASL Av2, Avellino; 2Dip. Medicina Clinica e Sperimentale, Università "Federico II" di Napoli, Napoli Premesse: Il più importante determinante della pressione arteriosa (PA) in età prepuberale è rappresentato dalla taglia corporea e questo rende ragione dei più alti livelli di PA osservati, a parità di età, nei bambini rispetto alle bambine. Obiettivo: Valutare le interrelazioni esistenti tra età, sesso, altezza e grado di adiposità nella determinazione della pressione arteriosa in età pediatrica. Metodi: La popolazione oggetto di studio era composta da 4514 bambini in età prepuberale (6-11 anni, 71% del campione eleggibile; M=2283, F=2231), esaminati nel corso di uno screening dell'obesità infantile realizzato nella provincia di Avellino in collaborazione con l'Assessorato all'Agricoltura della Regione Campania e con le Aziende Sanitarie Locali competenti per territorio (Progetto ARCA). Sono stati misurati peso, altezza, circonferenza ombelicale e pressione arteriosa secondo procedure standardizzate. Risultati: Sia la pressione arteriosa sistolica che la diastolica, come atteso, aumentavano significativamente (P<0.001) all'aumentare dell'età e il fenomeno era osservabile tanto nei ragazzi che nelle ragazze. All'analisi multifattoriale, però, controllando per circonferenza ombelicale e altezza, la pressione arteriosa aumentava significativamente con l’età solo nelle ragazze, e principalmente nella fascia 10-11 anni:

(Media±ES; * ANCOVA, P<0.01) Conclusioni: Nel nostro campione di bambini prepuberi, età 6-11 anni, controllando per alcuni rilevanti indici

Età (anni)

6.0-6.9 7.0-7.9 8.0-8.9 9.0-9.9 10.0-10.9

Bambini PAS (mmHg) 97.1±0.8 96.8±0.6 98.2±0.6 97.3±0.6

PAD (mmHg) 60.9±0.5 60.8±0.4 62.4±0.4 61.6±0.4

Bambine PAS (mmHg) * 94.8±0.8 95.2±0.6 96.0±0.5 95.4±0.6

PAD (mmHg) * 60.0±0.6 59.7±0.5 60.8±0.4 60.0±0.4

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di taglia corporea, quali il grado di adiposità e l’altezza, la pressione arteriosa aumentava con l'età solo nel sesso femminile ma non in quello maschile. Nei maschi, quindi, l'età 'cronologica' sembra essere una stima meno accurata della taglia corporea rispetto agli indici antropometrici e, in particolare, dell’altezza. Nelle femmine nel periodo prepuberale (10-11 anni) , invece, l’età rappresenta anche una stima dell'età 'biologica' ed è pertanto significativamente associata alla pressione arteriosa in misura maggiore rispetto ai coetanei di sesso maschile.

Sessione II. Componenti bioattivi degli alimenti C09. Effetto di diete ad alta e bassa capacità antiossidante totale sullo stato redox dell’organismo D. Del Rio1, M. Bianchi2, N. Pellegrini1, S. Valtuena3, F. Scazzina1, C. Miglio1, D. Ardigò3, I. Zavaroni3, F. Brighenti1 1 Dipartimento di Sanità Pubblica, Università degli Studi di Parma; 2 Nutrition, Food & People Interaction, Barilla Alimentare S.p.A.; 3 Dipartimento di Medicina Interna e Scienze Biomediche, Università degli Studi di Parma Premesse Studi epidemiologici suggeriscono come l’incremento del consumo di frutta e verdura, ricchi in fibra e composti antiossidanti, costituisca un eccellente strumento di prevenzione contro le patologie cardiovascolari. Queste indicazioni sono alla base delle campagne “5-a-day”, mirate ad aumentare il consumo di alimenti vegetali nella popolazione in numerosi stati. Ciononostante, considerato il diverso contenuto di antiossidanti in questi alimenti, le raccomandazioni non dovrebbe limitarsi a considerare solo la quantità di frutta e verdura, ma anche e soprattutto la qualità. Obiettivo Utilizzando la capacità antiossidante totale (TAC) come indicatore di qualità, si è valutato se raccomandazioni volte al consumo di alimenti ad alto e a basso contenuto in antiossidanti avessero effetto sullo stato redox dell’organismo. La selezione degli alimenti si è basata sulla banca dati italiana di TAC (1,2). Le raccomandazioni (alta TAC – HT; bassa TAC – LT), fornite a 33 soggetti sani per 15 giorni, sono state realizzate per essere equivalenti in porzioni di frutta e verdura, energia, macronutrienti, fibra, alcool e �-carotene, ma differenti per quanto riguarda la TAC. Metodi Il rilevamento dei consumi è stato effettuato mediante diario alimentare. Le analisi di antiossidanti plasmatici (carotenoidi, tocoferoli e TAC), fecali (polifenoli totali e TAC) e markers di stress ossidativo (malondialdeide e anticorpi anti-oxLDL) sono state effettuate mediante metodiche pubblicate. Risultati La dieta HT è risultata in grado di aumentare significativamente i carotenoidi e l’�-tocoferolo plasmatici, non ha avuto effetti sulla TAC plasmatica e sui markers di stress. In particolare il �-carotene plasmatico è raddoppiato dopo la dieta HT, nonostante l’intake di questo composto fosse equivalente nei due approcci dietetici. Inoltre la TAC e i polifenoli totali dell’acqua fecale sono aumentati significativamente dopo la dieta HT. Conclusione La qualità oltre che la quantità di alimenti ricchi in antiossidanti è in grado di influenzare la salute. Un elevato intake di TAC influenza lo stato redox dell’organismo grazie alla frazione di antiossidanti assorbiti, ma anche grazie alla presenza di antiossidanti non biodisponibili che influenzano fortemente l’ambiente colonico. 1 Pellegrini et al.. (2003) J. Nutr. 133(9):2812-9 2 Pellegrini et al. (2006) Mol. Nutr. Food. Res. (in press)

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C10. Catechine del tè verde: oltre l’attività antiossidante? F. Danesi, M. Di Nunzio, M. Malaguti, P.L. Biagi, A. Bordoni Centro Ricerche sulla Nutrizione - Dipartimento di Biochimica “G. Moruzzi”, Università di Bologna (Italy) I benefici del tè verde (TV) vengono attribuiti principalmente alle sue proprietà antiossidanti, legate alla capacità delle catechine di neutralizzare i radicali liberi e chelare i metalli. Le catechine hanno però effetti anche su diversi meccanismi coinvolti nella morte e sopravvivenza cellulare, ed è ancora da chiarire se ciò sia dovuto ad una modulazione del bilancio proossidanti/antiossidanti nella cellula o ad un’azione diretta su diversi bersagli molecolari. Recentemente, è stata riportata l’attivazione dei peroxisome proliferator activated receptors (PPARs) ad opera di estratti di tè [1], e pertanto è ipotizzabile che le catechine agiscano come ligandi di questi recettori nucleari, modulando così l’espressione genica. In questo studio, colture primarie di cardiomiociti di ratto, cresciute in medium di controllo o supplementato con estratti di TV (50 μg/ml), sono state sottoposte ad ipossia per 2 ore e successiva riossigenazione (I/R). Dopo I/R l’attività antiossidante totale citosolica (TAA), misurata secondo [2], è risultata diminuita nelle cellule controllo e aumentata nelle cellule supplementate. Poiché è noto che l’I/R causa nei cardiomiociti una sovraespressione della ossido nitrico sintasi inducibile (iNOS), è stata determinata la produzione di ossido nitrico (NO) secondo [3]. L’aumento della concentrazione di NO dopo I/R è apparso significativamente maggiore nelle cellule controllo rispetto alle supplementate. Una diminuita produzione di NO può essere dovuta ad una inibizione della trascrizione del gene codificante per la iNOS mediata dai PPARs, tramite il sequestro di cofattori necessari per la trascrizione (‘squelching’) o la transrepressione del promotore dell’iNOS. E’ stata pertanto valutata l’entità di attivazione dei PPARs, tramite un saggio ELISA, evidenziando una maggiore attivazione dei PPARs-β/δnei cardiomiociti supplementatirispetto ai controllo. Gli effetti protettivi del TV appaiono quindi legati non solo ad un incremento della TAA, ma anche alla riduzione della produzione di NO, imputabile ad una down-regolazione del gene dell’iNOS via attivazione dei PPARs ad opera delle catechine. Ulteriori studi sono necessari per confermare questa ipotesi e verificare gli effetti delle catechine del TV sull’espressione di altri geni. Ricerca parzialmente eseguita con fondi MIUR (PRIN 2005) 1. Shay & Banz (2005) Annu Rev Nutr 25:297-315. 2. Re et al. (1999) Free Radic Biol Med 26:1231-1237. 3. Balligand et al. (1995) Am J Physiol 268:H1293-H1303. C11. Biotransformation of daidzein after in vitro incubation with human microbiota C. Gardana, E. Canzi, P. Simonetti Department of Food Science and Microbiology - University of Milan, Italy Phytoestrogens, such as daidzein, exhibit estrogenic properties in some human tissues, and anti-estrogenic properties in other tissues by competitively inhibiting estrogen binding at estrogen receptor sites. Unlike estrogens, isoflavone seem not to be associated with an increased risk of breast and uterine cancers, and may actually inhibit the development of breast and prostate cancers. Recent studies have determined that soy isoflavones play a role in lowering blood concentrations of total cholesterol and LDL-cholesterol, inhibiting the development of atherosclerosis. Moreover, isoflavones have been shown to have bone-sparing effects. Equol, a daidzein metabolite produced by human microbiota, is an important bone-trophic agent and that unlike estrogens, it has the ability to increase bone mineral density in postmenopausal women. Equol is unique among the isoflavones in that it possesses a chiral center and as such exists as two distinct enantiomeric forms. The human form of equol produced in the intestine is exclusively the S-enantiomer and it was observed that approximately 50-70% of the adult population did not excrete equol in urine. The aim of this study was to investigate the in vitro transformation of daidzein after incubation with human microbiota, and to evaluate possible correlation between diet and equol production. The experiments were carried out under strict anaerobic conditions in batch cultures inoculated with mixed fecal bacteria from fifty volunteers. The daidzein and its metabolites were monitored by LC coupled to photodiode array and mass spectrometric detectors. Moreover, a chiral column was used to distinct the R- and

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S- enantiomers. The progress of the conversion of daidzein was followed by analysing samples at intervals up to 48 hours after incubation commenced. The results obtained by incubating daidzein with human microbiota show that this compound was unchanged (»10%) or degraded to equol (»27%), desmethylangolensin (»31%) or dehydrodaidzein (»18%). Furthermore, some subjects (»14%) are able to produce both equol and desmethylangolensin. Preliminary results seem to indicate no correlation between diets and daidzein metabolism. C12. α-Lipoic acid supplementation modulates inflammation and extracellular matrix-proteases in non-healing wounds R. Alleva 1, M. Tomasetti 2, D. Sartini 3, M. Emanuelli 3, E. Nasole 4 1 Modulo Dipartimentale Ricerca Istituti Ortopedici Rizzoli, Bologna; 2 Dipartimento Patologia Molecolare e Terapie Innovative, Università Politecnica delle Marche, Ancona; 3 Istituto di Biotecnologie Biochimiche, Università Politecnica delle Marche, Ancona; 4 Centro Iperbarico MPM, Bologna Introduction: Timely degradation of extracellular matrix (ECM) is an important feature in the development, morphogenesis, tissue repair and remodeling. Uncontrolled ECM remodeling of the wounds occurs in chronic non-healing ulcers. Hyperbaric oxygenation (HBO) offers a therapeutic approach to treat impaired wound healing. Previously, we observed that Lipoic Acid (LA) acts as adjuvant of HBO therapy in accelerating wound healing (1). Here, we evaluated the ability of LA in association with HBO therapy to modulate the expression of ECM and inflammatory genes involved in cellular events related to chronic wound healing. Materials and Methods: 6 patients undergoing HBO therapy, were randomized in two groups, the α-lipoic acid group (LA-group, n=3) and the placebo group (PL-group, n=3). At the first HBO session, the subjects received LA (600 mg) or placebo one hour before oxygen exposure. Then, the patients received the antioxidant or placebo supplementation (600 mg/day) for the next 14 consecutive HBO treatments (1 session/day). Blood sample and biopsies of the wound tissue were collected before the HBO therapy (T1), at the 7th HBO session (T2) and at the 14th HBO session (T3). The ECM and inflammatory gene expression was evaluated in each biopsy. The plasma activity of proteases and inflammatory cytokine levels were also evaluated. Results: Among ECM proteases, MMP1, MMP2, MMP3, and MMP9 were highly expressed as well as the inhibitor TIMP1. The HBO treatment slightly decreases the gene expression of such proteases. Supplementation with LA markedly silenced MMP3 and MMP9 resulting also in an inhibition of their protease activity. Gene expression and plasma activity of MMP1was higher in the LA-group respect to PL-group. MMP2 gene expression increased at point T3 in LA-group but its expression was not associated with a higher protease activity. The LA supplementation inhibits pro-inflammatory cytokines, IL-6, and TNF-α, and the growth factors, VEGF and TGF. Conversely, an increase of PDGF gene expression was found in the LA-group. Conclusions: HBO therapy combined with LA supplementation modulates inflammatory cytokines which in turn affect MMPs expression. The control of MMPs could be a relevant therapeutic approach in wound healing. 1. Alleva R, Nasole E, Di Donato F, Borghi B, Neuzil J, Tomasetti M. alpha-Lipoic acid supplementation inhibits oxidative damage, accelerating chronic wound healing in patients undergoing hyperbaric oxygen therapy. Biochem Biophys Res Commun. 2005;333(2):404-410. C13. Effetti degli acidi grassi polinsaturi n-3 in cellule cardiache. Relazione tra modulazione della composizione lipidica e regolazione dell’espressione genica M. Di Nunzio, F. Danesi, M. Maranesi, P.L. Biagi, A. Bordoni Centro Ricerche Nutrizione - Dipartimento di Biochimica “G.Moruzzi”, Università di Bologna Gli acidi grassi polinsaturi (PUFA) della serie n-3, in particolare l’acido eicosapentenoico (EPA) e l’acido docosaesenoico (DHA), giocano un ruolo chiave nella prevenzione di patologie umane attraverso la modulazione della composizione lipidica cellulare, l’influenza sul metabolismo e sulle vie di trasduzione di

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segnale, ed il diretto controllo sull’espressione genica. I meccanismi di azione dei PUFA n-3 non sono ancora stati chiariti in modo globale, né è stata determinata un’eventuale differenza tra gli effetti di EPA e DHA. Nella cellula, EPA e DHA liberi sono trasformati in acilCoA dalle acilCoA sintasi (ACS). Questa conversione è la tappa limitante per la loro esterificazione nei lipidi complessi (fosfolipidi, esteri del colesterolo e trigliceridi). Similmente, l’affinità e l’attività dell’acilCoA tioesterasi, che catalizza la reazione inversa, regola la concentrazione di EPA e DHA liberi, ligandi preferenziali dei peroxisome proliferator activated receptors (PPAR), modulando così i loro effetti sull’espressione genica (1). Usando colture primarie di cardiomiociti neonatali di ratto, abbiamo verificato l’influenza della supplementazione di EPA e DHA sulla composizione qualitativa e quantitativa dei lipidi cellulari. Inoltre, avendo dimostrato precedentemente una sovraregolazione del gene della tioesterasi ad opera dei PUFA n-3 (2), abbiamo misurato l’attività dell’enzima. Infine, abbiamo determinato la concentrazione di EPA e DHA negli estratti nucleari cellulari, e l’entità di attivazione dei PPAR β/δ nelle cellule controllo e supplementate. Sia EPA che DHA non solo vengono incorporati nei fosfolipidi ed esteri del colesterolo cellulari, ma ne modificano anche la concentrazione. L’aumento dell’attività della tioesterasi nei cardiomiociti supplementati con EPA e DHA ha confermato i nostri dati precedenti, suggerendo l’ipotesi di un aumento della concentrazione di EPA e DHA liberi con conseguente incremento dell’attivazione dei PPAR. Tale ipotesi, avvalorata dall’aumento di concentrazione dei due acidi grassi nell’estratto nucleare delle cellule supplementate, è stata confermata dall’analisi dell’entità di attivazione dei PPARβ/δ. Questi dati indicano una stretta connessione tra la modulazione della composizione lipidica ed il controllo dell’espressione genica determinati dai PUFA n-3, e sottolineano differenze tra gli effetti di EPA e DHA. 1. Bordoni A. et al. (2006) Genes & Nutrition , in press. 2. Bordoni A. et al. (2006) Chem. Phys. Lipids 143, 86-89. C14. Livelli significativamente inferiori di DHA nel plasma di bambini autistici sono direttamente correlati con un suo minor apporto dietetico 1S. Banni, 1G. Carta, 1L. Cordeddu, 5G. Doneddu, 3R. Fadda, 1M.P. Melis, 1E. Murru, 4P. Scano, 2L. Carbini, 2M. Peretti 1Dipartimento di Biologia Sperimentale, 2Dipartimento di Scienze Applicate ai Biosistemi - Sezione di Fisiologia e Nutrizione Umana, 3Dipartimento di Psicologia, 4Dipartimento di Scienze Chimiche - Università degli Sudi di Cagliari, Cagliari, 5Azienda Ospedaliera “G. Brotzu”, Cagliari L’autismo è un disturbo pervasivo del neurosviluppo ad eziologia sconosciuta che compare nei primi due anni di vita. Le anormalità nel metabolismo degli acidi grassi potrebbero avere un ruolo importante nell’autismo. Nel sistema nervoso centrale i fosfolipidi sono particolarmente ricchi di acidi grassi polinsaturi, che possono influenzare significativamente il cell signaling. Gli acidi grassi omega 3 come il DHA sembrano avere un ruolo particolarmente importante a livello di sinapsi e fotorecettori, e una loro deficienza è stata associata a deficit visivi e cognitivi. Scopo dello studio è quello di verificare se i livelli plasmatici degli acidi grassi polinsaturi in 21 bambini autistici è significativamente differente rispetto ad una popolazione sana di pari età. Inoltre abbiamo ritenuto opportuno valutare l’intake dei macronutrienti per verificare se eventuali differenze fossero dovute ad un loro diverso apporto alimentare. I risultati mostrano un aumento degli acidi grassi saturi di circa il 30% e una diminuzione dei PUFA di circa il 7 % nel plasma dei pazienti autistici rispetto ai controlli. Dall’analisi alimentare inoltre risulta che le alterazioni riscontrate nel profilo degli acidi grassi sono il risultato di una alimentazione significativamente più ricca in acidi grassi saturi e più povera in polinsaturi, in particolare degli omega 3. La diminuzione dell’apporto alimentare di PUFA e dei loro precursori nei bambini autistici potrebbe avere un ulteriore effetto negativo per la dimostrata difficoltà nella loro formazione ed incorporazione nel cervello. E’ quindi probabile che anche una carenza alimentare marginale dei PUFA omega 3 possa in pazienti autistici, in seguito ad un maggior bisogno di un loro apporto alimentare, scatenare una serie di sintomi caratteristi di questo disturbo. Questi dati se confermati in una popolazione più ampia potrebbero fornire una base scientifica per un intervento alimentare atto ad aumentare l’apporto di DHA in questi pazienti.

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C15. Incidenza di ipertensione arteriosa in soggetti con diversa sodio sensibilità della pressione arteriosa: risultati longitudinali dell'Olivetti Prospective Heart Study P. Strazzullo1, G. Barba2, A. Siani2, O. Russo1, L. D'Elia1, M. Versiero1, R. Iacone1, A. Venezia1, F.P. Cappuccio3 1Dip. Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli; 2Epidemiologia e Genetica delle Popolazioni, Istituto di Scienze dell'Alimentazione, CNR, Avellino; 3Clin. Sci. Research Inst., Warwick Medical School, Coventry, GB Premessa: La variabilità della risposta pressoria alle variazioni di apporto di sale con la dieta è denominata sodio sensibilità. Essa è verosimilmente associata ad un’alterazione del metabolismo renale del sodio ed è presente anche nei normotesi: non ne sono note le conseguenze a lungo termine sullo sviluppo di ipertensione e di danno renale. Obiettivo: Scopo del presente studio è stato quello di valutare l'incidenza di ipertensione arteriosa (IA) e la funzione renale in individui sodio sensibili (SS) e sodio resistenti (SR), normotesi al basale, riesaminati a distanza di 16 anni nell'ambito dell'Olivetti Prospective Heart Study. Al basale, gli SS mostravano in corso di dieta ricca in sodio, pressione arteriosa (PA), filtrato glomerulare (GFR) e velocità di riassorbimento prossimale di sodio più elevati rispetto agli SR. Metodi: Hanno partecipato allo studio 36 soggetti di sesso maschile: SR=20; SS=16; età=60±6 anni; IMC=27.1±3.4 kg/m2; PA=136/83±15/8 mmHg; durata media del follow-up=15.1±0.6 anni (M±SD). La sodio- sensibilità era stata determinata al basale come risposta pressoria a una dieta iposodica seguita per 3 giorni. Sono stati misurati PA, indici antropometrici, profilo metabolico e funzione renale (GFR secondo Cockcroft e Gault, microalbuminuria). Il diametro longitudinale renale (media dei diametri dei due reni) è stato misurato mediante ecografia in 23 partecipanti (SR:11; SS:12). Risultati: In assenza di significative differenze di età, escrezione urinaria di Na, microalbuminuria e Δ IMC, l'incidenza di IA (10/20 =50.0% vs. 14/16=87.5%; p=0.02), il GFR (72.4±16.9 vs. 82.5±14.0 ml/min; p=0.03) e le dimensioni renali (diametro longitudinale 61.1±4.6 vs. 67.4±5.9 mm*m di altezza; p=0.003) sono risultati significativamente maggiori negli SS. Il rischio di sviluppare IA rimaneva significativamente maggiore negli SS rispetto agli SR dopo correzione per Δ IMC (RR=6.3; IC95%=1.10-36.1). Conclusioni: I risultati di questo studio prospettico attribuiscono alla sodio-sensibilità della PA valore predittivo nei confronti del rischio di sviluppare ipertensione arteriosa e sono compatibili con l’ipotesi formulata in precedenza che, in presenza di alterazioni primitive dell’handling renale del sodio, l'aumento della PA e del GFR contribuiscono al mantenimento del bilancio idrosalino.

Sessione III. Valutazione dello stato di nutrizione e dei consumi alimentari C16. Valutazione della composizione corporea in giovani donne in sottopeso non secondario a patologie organiche M. Marra, C. Montagnese, A. Caldara, E. De Filippo, M. Musella, 1P. Vitaglione, F. Pasanisi, 1L. Scalfi, F. Contaldo Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi Federico II – Napoli; 1Nutrizione Umana, Università degli Studi Federico II - Napoli Premesse La letteratura offre dati occasionali e incompleti sulla valutazione con metodi ambulatoriali della composizione corporea in varie forme di sottopeso non secondario a patologie organiche. Obiettivo Valutare la composizione corporea in giovani donne con diverse tipologie di sottopeso (anoressia nervosa, magrezza costituzionale e magrezza in ballerine di danza classica). Pazienti Sono stati studiate 30 pazienti con anoressia nervosa (AN, età 19.0 ± 2.0 anni, IMC 16.7±0.5 kg/m2), 15 danzatrici classiche (D, 18.9 ± 1.7 anni, IMC 17.4±0.6 kg/m2), 10 magre costituzionali (MC, età 19.4 ± 2.4 anni, IMC 16.8±1.0 kg/m2) e 30 controlli (CTR, età 20.0 ± 2.0 anni, IMC 22.5±2.8 kg/m2). Metodi Per l’antropometria in aggiunta a peso e altezza sono state determinate le pliche sottocutanee bicipitale, tricipitale, sottoscapolare e sovrailiaca (dalla cui somma è stata ricavata la massa lipidica). L’analisi bioimpedenziometrica ha interessato l’intero organismo e separatamente gli arti superiori e gli arti inferiori

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prevedendo la misura di impedenza e angolo di fase alla frequenza di 50 kHz L’indice bioimpedenziometrico (IB) è stato calcolato come rapporto fra altezza o lunghezza dell’arto e la corrispondente impedenza. Risultati La percentuale di grasso corporeo era maggiore nei CTR rispetto agli altri gruppi; il valore più basso era presente nel gruppo AN, senza essere tuttavia significativamente diverso rispetto a D e MC. L’IB per l’intero organismo e per gli arti superiori è rimasta significativamente maggiore nei CTR rispetto agli altri tre gruppi, fra cui non esistevano differenze significative. Peraltro, massa lipidica e IB non differivano fra i gruppi dopo correzione per le differenze in peso e/o IMC. Per l’intero organismo, e anche per gli arti superiori e inferiori, l’angolo di fase era significativamente più alto nelle D e più basso nelle AN. Conclusioni Lo studio dimostra che le differenze in composizione corporea che si osservano nelle tre forme di magrezza considerate sono in gran parte dovute alle diversità in IMC. Esistono d’altra parte differenze nell’angolo di fase che potrebbero essere secondarie sia allo stato di nutrizione (AN) che all’esercizio fisico abituale (D). C17. Valutazione dello stato di nutrizione in pazienti con pregresso ictus al ricovero in una struttura riabilitativa specializzata P. Pecoraro, 1G. Pagano, 2V. Cavalli, 2M.R. Serra, 1I. Ferrara 2P. Iaccarino Idelson, S. Principato, 2L. Scalfi Area Funzionale Nutrizione SIAN-ASL NA4; 1Casa di cura Santa Maria del Pozzo, Somma Vesuviana; Nutrizione Umana – Università degli Studi Federico II - Napoli Premessa In età geriatrica un’attenzione particolare deve essere riconosciuta a quelle patologie che possono associarsi ad una alterazione anche grave dello stato di nutrizione; fra esse un rilievo particolare ha l’ictus cerebrale sia in occasione dell’evento acuto che nella fase di riabilitazione; su tale argomento esistono peraltro in letteratura dati non conclusivi. Obiettivi Valutare alcuni parametri semplificati dello stato di nutrizione in pazienti con pregresso ictus al ricovero in una struttura riabilitativa specializzata. Metodi Sono stati studiati consecutivamente 79 pazienti di età > 60 anni (37 uomini: 73,6±7,1 anni; 42 donne: 72,9±6,4 anni) con pregresso ictus cerebrale entro 5 giorni dal ricovero presso una struttura riabilitativa specializzata. Circonferenza del braccio, albumina sierica e conta linfocitaria sono stati considerati come i parametri fondamentali per la valutazione dello stato di nutrizione. Per l’antropometria sono stati presi in considerazione anche plica tricipitale, circonferenza e area muscolare del braccio, e per la bioimpedenziometria (BIA) l’impedenza e l’angolo di fase. Risultati La prevalenza di valori anomali era per la circonferenza del braccio 22,8% fra 25 e 23,5 cm e 13,9% < 23,5 cm; per l’albumina 44,3% fra 30 e 35 g/L e 26,6%< 30 g/L; per i linfociti 32,9% fra 1500 e 900 mm3 e 1,3% <900/mm3. Esisteva una scarsa concordanza fra i tre parametri per l’identificazione dei pazienti malnutriti; tuttavia nel 35,4% dei casi nello stesso individuo erano presenti 2/3 anomalie e nel 10,1% 3/3 anomalie. Per quanto riguarda la BIA l’angolo di fase era significativamente correlato a circonferenza muscolare e area muscolare del braccio, ma non a plica tricipitale, albumina e linfociti. Rispetto ai dati di riferimento, valori anomali dell’AF si ritrovavano nel 48,6% dei pazienti di sesso maschile e nel 35,7% di quelli di sesso femminile. Conclusione L’elevata prevalenza di anomalie di variabili connesse allo stato di nutrizione conferma l’idea che i pazienti con ictus in riabilitazione meritino un’attenzione particolare in termini nutrizionali. Le variazioni osservate nell’angolo di fase sembrano suggerire delle alterazioni specifiche e relativamente precoci della composizione corporea. Questo studio si è svolto in parte nell’ambito del progetto PIMAI – Project Iatrogenic Malnutrition in Italy

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C18. Consumi alimentari, uso di integratori e composizione corporea in un gruppo di sportivi non agonisti B. Mauro1, L. Rossi1, D. Ciarapica1, M. I. Zaccaria1, M. Galfo1, F. Manna 2, A. Polito1 1Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, Via Ardeatina 546 Roma; 2Dipartimento Studi di Chimica e Tecnologia delle Sostanze Biologicamente Attive, Facoltà di Farmacia, Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Premessa: I giovani sportivi, anche in situazioni non agonistiche, sono propensi a seguire regimi alimentari non idonei alle loro esigenze fisiologiche facendo spesso uso di integratori. E’, infatti, opinione prevalente che l’attività sportiva sia associata ad un aumento non solo del fabbisogno di energia, ma anche di specifici nutrienti. Obiettivo: Valutare i consumi alimentari, l’assunzione di integratori alimentari, la composizione corporea e il metabolismo di base in giovani sportivi non agonisti (SNA). Metodo: Sono stati selezionati 144 soggetti di età compresa tra i 18 e i 45 anni: 78 SNA (38 uomini e 40 donne) e 66 soggetti di controllo non praticanti alcuna attività sportiva (Co 31 uomini e 35 donne). A tutti i soggetti è stato somministrato un questionario di frequenza e consumo alimentare e un questionario rivolto a raccogliere informazioni sullo stile di vita e l’attività fisica. Inoltre su un sub-campione di 34 SNA e 25 Co sono stati raccolti i dati dei consumi alimentari giornalieri medianti un diario alimentare compilato per quattro giorni consecutivi compreso il fine settimana; sono state rilevate le misure antropometriche di peso e statura; è stato misurato il metabolismo di base tramite calorimetria indiretta e la composizione corporea, mediante pesata idrostatica. Risultati: Nel gruppo degli SNA hanno dichiarato di fare uso di una qualche forma di integrazione alimentare il 45% degli uomini e il 26% delle donne. Circa ¼ degli sportivi è maggiormente attento a seguire regimi alimentari controllati associati all’uso di integratori in circa 2/3 dei soggetti. Nel gruppo SNA è stato rilevato un maggior consumo giornaliero dei principali gruppi di alimenti (p<0.05) sia in termini quantitativi che di frequenza (da 5 a 7 volte a settimana). Come atteso la composizione corporea di coloro che praticano sport è caratterizzata da un aumento della massa magra e della massa muscolare (p<0.05), mentre non si evidenziano differenze significative nel metabolismo di base. Conclusione: L’analisi preliminare dei risultati conferma una maggiore attenzione all’alimentazione associata ad uso di integratori nei soggetti dediti ad attività sportiva non agonistica. Un approfondimento della dieta abituale si rende necessario al fine di valutare la reale necessità di integrazione alimentare. Progetto finanziato dal Ministero della Salute C19. Rilevamento delle abitudini alimentari su un campione di bambini delle scuole elementari del territorio di Parma R. Moruzzi, N. Pellegrini, D. Del Rio, F. Scazzina, C. Miglio, F. Brighenti Dipartimento di Sanità Pubblica, Università di Parma Premesse. L’aumento dell’insorgenza di patologie, quali l’obesità infantile1, ha determinato negli ultimi anni una maggiore attenzione ai bambini di età scolare2, che sempre più spesso sono oggetto di studi di monitoraggio mirati a promuovere una corretta educazione alimentare nelle nuove generazioni. Obiettivo. Indagine sulle abitudini alimentari di un campione di 46 bambini delle scuole elementari del territorio di Parma. Metodi. Impiego di un diario alimentare realizzato appositamente. Il diario è stato compilato per tre giorni della settimana: due giorni feriali e uno festivo. Il rilevamento è stato effettuato nella primavera 2005 e nell’ inverno 2006. Risultati. Più del 75% del campione ha presentato uno stato di normopeso3 in entrambi i rilevamenti; mentre si è registrato un aumento di casi di soprappeso tra la prima e la seconda somministrazione. Solo un bambino ha avuto valori di BMI superiori a 22,7. L’intake energetico (1769 kcal/die) e dei macronutrienti è risultato confrontabile con quello raccomandato4, eccetto per l’introduzione di grassi (31%) che è risultata leggermente superiore alle raccomandazioni. Si è evidenziato anche un elevato intake di sodio e di colesterolo.

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Le abitudini alimentari hanno evidenziato un elevato consumo di primi piatti, un buon consumo di frutta e verdura, ma una scarsa abitudine al consumo di pesce e legumi. Come fuoripasto i bambini hanno preferito merendine e biscotti. Conclusioni. I risultati suggeriscono di tenere sotto controllo l’intake di grassi, in particolare di colesterolo, e l’intake di sodio che è risultato eccessivo per tutti i bambini. Da un punto di vista qualitativo si dovrà incentivare il consumo di pesce e legumi, risultato scarso in entrambi i rilevamenti. Sulla base dei risultati ottenuti emerge dunque l’importanza della promozione attraverso la Scuola di adeguati programmi di educazione alimentare. 1 Dietz WH. 1998. Appetite Dec; 31 (3):407-436. 2 Serdula MK. et al. 2001. Annu. Rev. Nutrition 21:475-98. 3 Cole TJ. et al. 2000. BMJ 320, (7244), 1240-3. 4 LARN 1996, SINU. C20. Indagine sulle conoscenze nutrizionali e abitudini alimentari dei bambini e delle famiglie di un comune delle Marche L. Saturni1, G. Ferretti1, S. Masciangelo1

1. Centro Interdipartimentale di Educazione Sanitaria e Promozione alla Salute (CIESS) – Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Politecnica delle Marche La Regione Marche è una delle regioni italiane con la maggiore incidenza di soprappeso e obesità sia in età pediatrica che adulta (1). Il Centro Interdipartimentale di Educazione Sanitaria e Promozione alla Salute (CIESS) - Facoltà di Medicina e Chirurgia - Università Politecnica delle Marche, che si prefigge tra le sue finalità di espletare funzioni di supporto scientifico per attività di ricerca finalizzate alla promozione di interventi nei campi dell’educazione sanitaria e della salute, fin dalla sua istituzione ha promosso interventi di educazione e informazione alimentare attivando collaborazioni con altre istituzioni pubbliche e private nella Regione Marche. Nell’a.s. 2004-2005 e 2005-2006 ha promosso un progetto biennale di comunicazione ed informazione alimentare “Educazione, Informazione e Cultura Alimentare”. Destinatari del progetto sono stati gli alunni di età compresa tra 6 e 12 anni, le loro famiglie, gli insegnanti e gli abitanti del Comune di Montegranaro (AP). Il Progetto si è contraddistinto per alcuni aspetti da altri interventi pianificati in precedenza. L’iniziativa ha unito sia la valenza culturale che quella informativa intesa come elemento comunque indispensabile per poter avere un approccio più scientifico alla problematica dell’alimentazione. A tale scopo nella programmazione dei percorsi educativi sono stati inclusi temi riguardanti sia le caratteristiche strettamente nutrizionali e salutistiche degli alimenti sia gli aspetti culturali ed agronomici dei prodotti con il coinvolgimento attivo di alcuni produttori locali del settore agro-alimentare. Nell’ambito del Progetto è stata svolta anche una indagine che ha interessato 536 famiglie. Oggetto della presentazione saranno i risultati ottenuti riguardanti le conoscenze alimentari; lo stile di vita; le abitudini alimentari dei bambini e delle famiglie del comune di Montegranaro. 1. Eccesso di peso nell’infanzia e nell’adolescenza. Convegno Istat, Settembre 2002 C21. Adherence to a Healthful Life attenuates Lipid Parameters Among a Healthy Italian Population F. Sofi, A.M. Gori, F. Cesari, G. Innocenti*, C. Dini*, S. Genise*, R. Abbate, G.F. Gensini^, C. Surrenti*, A. Casini* Department of Medical and Surgical Critical Care, Thrombosis Centre, University of Florence. *Department of Clinical Pathophysiology, Unit of Clinical Nutrition, University of Florence ^ Fondazione Don Carlo Gnocchi, Onlus IRCCS, Impruneta, Firenze. Centro Interdipartimentale di Ricerca per la Valorizzazione degli Alimenti (CeRA), Università degli Studi di Firenze. Background and aim: During the last 5 years, an increasing body of evidence on the association between adherence to mediterranean diet (MD), calculated through specific diet-scores, and health status have been accumulated, but limited data regarding the association between MD score and biomarkers are available.

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Similarly, many reports demonstrated a significant protection versus chronic diseases for a global healthy lifestyle pattern which includes not only dietary habits but also physical activity and abstinence from smoking habit, whereas few data regarding the influence of a healthy lifestyle pattern on circulating biomarkers are present. On the frame of an epidemiologic study conducted in Florence, Italy between 2002 and 2004 we evaluated the association between 2 different scores (a score of adherence to MD and a score of adherence to a healthful life (HL) which includes abstinence from smoking and a moderate-to-high physical activity) and some circulating parameters linked to chronic diseases. Methods and Results: Dietary habits, anthropometric and biochemical profiles were studied in 932 individuals (365 M; 567 F) with a median age of 47.5 years. Subjects who reported a greater adherence to MD were found to be more frequently males, married and over 45 years. A general linear model, by dividing the study population into quartiles of scores, was performed. After adjustment for age, gender, educational status, body mass index, and total energy intake we observed no influence of adherence to MD on circulating levels of biomarkers. On the other hand, as HL score is concerned, an inverse association between circulating levels of lipid parameters, namely total cholesterol, LDL-cholesterol and triglycerides and higher score of adherence to a healthy life, was reported. In addition, a significant difference between the highest and the lowest quartile of HL score for homocysteine plasma levels was observed (p=0.04). Conclusion: A high adherence to a healthful life, which includes not only a high adherence to MD but also to lifestyle factors (i.e. smoking habit and physical activity during the leisure time), is able to lower lipid parameters and homocysteine in a clinically healthy Italian population. C22. Baby Food: come migliorarne l’utilizzo e endere l’etichetta non solo informativa, anche educativa C. Sorino*, A. Vania#, F. Mordenti #, C. Cannella* *Ist. di Scienza dell’Alimentazione e #Dip. di Pediatria, Università di Roma “La Sapienza” Sono stati esaminati alcuni prodotti dietetici per l'infanzia (baby food, BF) per valutare la corrispondenza con l’alimento fresco e comprendere se l'aumento del soprappeso e dell'obesità infantile sia dovuto a errori nelle modalità dello svezzamento o dal consumo improprio di prodotti pronti per l'uso. Mediante i LARN sono stati verificati i fabbisogni nutrizionali del bambino nel 1 anno di vita e confrontati con gli schemi dietetici suggeriti per l'infanzia. L’analisi delle etichette dei BF è stata eseguita trasformando il contenuto in nutrienti con il corrispettivo in alimenti freschi secondo le Tabelle di Composizione degli Alimenti dell’INRAN. I risultati dei BF di carne, pesce e frutta hanno evidenziato un apporto calorico maggiore, rispetto ai corrispondenti alimenti freschi, dovuto alle aggiunte tecnologiche di grassi, amidi e saccarosio, oltre che di sale. I prodotti a base di cereali sono integrati con vitamine e sali minerali, ad eccezione dei biscotti che contengono anche grassi, proteine del latte, zucchero e fibre. L’olio extravergine d’oliva è integrato con vitamine A, D, E. I BF sono senz’altro utili e consigliabili, soprattutto all’inizio del divezzamento, non tanto per la praticità d’uso quanto per le garanzie di sicurezza igienica e di qualità delle materie prime. Tuttavia l’utilizzo di alimenti già pronti e molto appetibili può indurre ad un maggior consumo oltre a non favorire l’apprendimento della giusta dose (porzione) di alimento sia al bambino che alla mamma. Sarebbe opportuno alternare i BF con gli alimenti d’uso corrente. Le informazioni e le indicazioni riportate nelle etichette dei BF dovrebbero essere più esplicite e semplici, per evitare di generare dubbi nel consumatore. Andrebbe anche verificata, alla luce delle evidenze scientifiche, l’opportunità delle integrazioni vitaminiche e di sali minerali. In Italia la percentuale dei bambini obesi è in preoccupante aumento, maggior informazione, educazione e consapevolezza dei rischi del sovrappeso, soprattutto a coloro che sono preposti all’alimentazione dei bambini, possono senz’altro aiutare ad invertire la situazione attuale.

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C23. Girotondo, girotondo…biscotti e merende a confronto! M. Cardone, M. Cammina, M. Caroli U. O. Igiene della Nutrizione- SIAN- Dip. di Prevenzione, AUSL BR/1-Brindisi Premesse: Il consumo di snacks è largamente diffuso nella popolazione infantile. La pubblicità spesso esalta uno o più vantaggi nutrizionali nella composizione bromatologica che può influenzarne la scelta. Obiettivo: Valutare la composizione bromatologica di alcuni prodotti da forno e snack assunti dai bambini e verificare se fra di essi esistano differenze sostanziali. Metodi: Sono state raccolte, al supermercato e sui siti internet delle aziende, le etichette nutrizionali di 112 prodotti, suddivisi in 6 gruppi: merendine semplici, merendine farcite, barrette di cioccolato, prodotti da frigo, biscotti semplici, biscotti farciti. Sono state valutate e confrontate le quantità e le percentuali di proteine, lipidi, glucidi e kcalorie totali per porzioni medie e/o simili. Per l’analisi statistica è stato usato il t-test e considerato significativo p <0.03. Risultati: La composizione bromatologica delle merendine semplici non è diversa da quella delle farcite e quella delle barrette di cioccolato non è diversa da quella dei prodotti da frigo. Le merendine semplici presentano una maggiore percentuale di lipidi rispetto ai biscotti semplici (p< 0.0001) che sono più ricchi in glucidi (gr. e %, p<0.0001), ma fra i due non vi è differenza di kcalorie totali. Fra biscotti semplici e farciti non vi è differenza nelle kcalorie totali, sebbene i semplici siano più ricchi di proteine (p<0.0001) e glucidi in percentuale (p<0.0001), ed i farciti di lipidi in percentuale (p<0.0001). I biscotti farciti sono più ricchi in calorie (p=0.008), lipidi (p=0.012) e glucidi (p=0.024) in gr. rispetto alle merendine farcite, che in percentuale hanno più proteine (p=0.002). La composizione delle merendine farcite mostra più kcalorie totali (p<0.0001), proteine in gr. (p<0.0001), glucidi in gr. e percentuale e meno lipidi in percentuale (p≤0.02) delle barrette di cioccolato. La differenza in grammi fra i prodotti confrontati risulta essere max gr. 6.4 per i glucidi, 3.4 per i lipidi e 0.4 per le proteine. Conclusione: I biscotti farciti sono più ricchi in energia delle merendine farcite per un contenuto minore di acqua. Il maggiore apporto energetico delle merendine farcite rispetto alle barrette di cioccolato è legato al differente peso della porzione. Non sono state evidenziate differenze bromatologiche sostanziali, tali da giustificare una scelta attuata sulla base di presunti vantaggi nutrizionali.

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P01. Effetto del beta-sitosterolo contro la perossidazione lipidica delle lipoproteine a bassa densità (LDL) T. Bacchetti, S. Masciangelo, G. Ferretti Istituto di Biochimica, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Politecnica delle Marche, Ancona I fitosteroli sono molecole di natura sterolica sintetizzati nei vegetali. Tra i fitosteroli più presenti nell'alimentazione umana troviamo il beta-sitosterolo, il campesterolo e il stigmasterolo. Il beta-sitosterolo si differenzia dal colesterolo per il gruppo etilico in posizione 24 della catena laterale. Nell'alimentazione si trovano in particolar modo negli oli vegetali, nella frutta secca e in alcuni semi e legumi. Numerosi studi hanno evidenziato un effetto protettivo dei fitosteroli contro lo sviluppo di patologie umane come malattie cardiovascolari (1) e tumori (prostata, polmone, colon) (2). Tale ruolo protettivo è stato messo in relazione alla loro capacità di ridurre i livelli di colesterolo nel plasma, poiché ne inibiscono l’assorbimento a livello intestinale. Recenti studi hanno inoltre suggerito un loro ruolo antiossidante in differenti condizioni sperimentali (3). L’effetto dei fitosteroli nei confronti della perossidazione lipidica delle lipoproteine a bassa densità (LDL) non è stato studiato in precedenza. Pertanto scopo dello studio è stato confrontare la suscettibilità delle LDL isolate da plasma di soggetti normolipemici, all’ossidazione indotta in vitro da rame (25μM) in assenza e in presenza di diverse concentrazioni di beta-sitosterolo (5μM,10μM, 25μM,50μM). L’interesse per tale studio deriva dal fatto che, la perossidazione lipidica rappresenta una modificazione aterogenica delle LDL, infatti nelle LDL ossidate, le modificazioni della composizione apoproteica e lipidica si riflettono in alterazioni delle funzioni biologiche da esse svolte. I nostri risultati hanno dimostrato che il beta-sitosterolo esercita un ruolo protettivo contro la perossidazione indotta da rame sulle LDL, come dimostrato da un minore aumento dei livelli di dieni coniugati osservato nelle LDL incubate in presenza di beta-sitosterolo, rispetto alle LDL ossidate in assenza di fitosteroli. L’effetto protettivo del beta sitosterolo dipende dalla concentrazione e le differenze nei livelli di dieni coniugati risultano significative a concentrazioni di beta-sitosterolo pari a 25μM e 50μM (p<0.001 vs LDL incubate con rame). Questi dati confermano un’azione antiossidante esercitata dal beta-sitosterolo in vitro contro l’ossidazione delle LDL, pertanto è possibile ipotizzare che tale effetto potrebbe essere coinvolto nel ruolo protettivo dei fitosteroli nei confronti dell’insorgenza di patologie cardiovascolari. 1. Devaraj S et al. The role of dietary supplementation with plant sterols and stanols in the prevention of cardiovascular disease. Nutr Rev. 2006 64:348-54. 2. Ovesna Z et al. Taraxasterol and beta-sitosterol: new naturally compounds with chemoprotective/chemopreventive effects. Neoplasma. 2004;51(6):407-14. 3. Yoshida Y et al. Antioxidant effects of phytosterol and its components. J Nutr Sci Vitaminol. 2003;49:277-80. P02. Cyanidine-3-glucoside enhances glucose uptake in 3T3-l1 adipocytes counteracting the impairment of GLUT4 activity induced by oxidised LDL F. Galvano*, B. Scazzocchio, R. Masella, C. Santangelo, M. D’Archivio *Department of Agro-Forestry and Environmental Science, Mediterranean University of Reggio Calabria, Reggio Calabria, Italy; National Centre for Food Quality and Risk Assessment, Istituto Superiore di Sanità, Rome, Italy Introduction. Anthocyanins are the largest group of polyphenols widely distributed in the human diet. Among them, cyanidine-3-glucoside (C3G), the major pigment of Sicilian red oranges, has been demonstrated to have anti-oxidative, anti-inflammatory and anti-proliferative activities in vivo and in vitro. C3G was also demonstrated to be able to influence significantly the development of obesity and insulin resistance in mice acting on adipocyte functionality. Oxidised low density lipoproteins (oxLDL) have been found in arteriosclerosis, type 2 diabetes and obesity. They have been recently demonstrated to affect the functionality of adipose tissue

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representing a possible link between obesity insulin resistance and metabolic syndrome. Aim. The aim of this study was to evaluate the effect of oxLDL on glucose uptake in 3T3-L1 adipocytes in order to elucidate a possible role in the development of insulin resistance. Besides, the effects of C3G, alone or together with oxLDL, on insulin sensitivity were also studied in mature adipocytes. Materials and methods. 3T3-L1 preadipocytes were induced to differentiate by hormone mixture. At day 14 of differentiation more than 90% of cells showed the mature phenotype as assessed by Oil red O staining and RT-PCR evaluation of adipocyte markers aP2 and leptin. Mature adipocytes were incubated with 0.1 mg/ml oxLDL for 1h before the incubation with 1μM insulin for 15 min. To determine glucose uptake, treated cells were incubated with [H3]-2-deoxyglucose (2-DG) (1μCi/well) for 45 min. After PBS washing and 0.5% TRITON X solubilization, the radioactivity was quantified. The results were corrected for aspecific absorption determined by the [H3]-2-DG uptake in the presence of phloretin. Cells without oxLDL treatment or insulin stimulation were used as controls. GLUT4 protein was determined in whole cell lysate and plasma membranes by immunoblotting. In order to evaluate the effects of the anthocyanin on insulin sensitivity, 3T3-L1 adipocytes were pre-incubated with different concentration (10-50μM) of C3G for 24 hours, and then treated as described above. Results and discussion. OxLDL treatment inhibited the glucose uptake induced by insulin (-40% with respect to the untreated cells). Western blot analysis, performed in whole cell lysates, did not show any differences in GLUT4 expression in oxLDL-treated adipocytes respect to the controls. On the contrary, insulin-induced GLUT4 translocation, as assessed by the appearance of GLUT4 in the plasma membrane fraction of 3T3-L1 adipocytes, was significantly decreased in oxLDL-treated cells (-70%). These results suggested that the decrease of insulin-induced glucose uptake was due to the impairment of GLUT4 translocation more than to a reduced expression of GLUT4 protein. Cells treated with C3G alone showed an enhanced capability in glucose uptaking that appeared inversely correlated with the anthocyanin concentration. Finally, the 24h- incubation with C3G before oxLDL treatment, completely restored insulin sensitivity of 3T3-L1 adipocytes enhancing the level of glucose uptake to the control levels. Our data demonstrated for the first time that oxLDL, by impairing GLUT-4 translocation to the plasma membrane, decreased insulin-stimulated glucose uptake in adipocytes. They might thus be involved in insulin resistance development. The anthocyanin C3G, shown to counteract these effects, could have biological activity that improves certain metabolic parameters associated with metabolic syndrome and type 2 diabetes. P03. Danno ossidativo e processi infiammatori: studio nell’obesità umana T. Bacchetti , S. Masciangelo, G. Ferretti Istituto di Biochimica, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Politecnica delle Marche, Ancona L’obesità è frequentemente associata a modificazioni del metabolismo lipidico e lipoproteico e ad una attivazione cronica del sistema immunitario con un aumento di indici di infiammazione, quali fibrinogeno e proteina C reattiva (PCR). E’stato suggerito che queste alterazioni e una maggiore produzione di leptina e altre citochine da parte del tessuto adiposo, possano essere coinvolte nello sviluppo di patologie cardiovascolari nell’obesità. In nostri studi precedenti abbiamo dimostrato un aumento dello stress ossidativo ed una maggiore suscettibilità all’ossidazione delle lipoproteine plasmatiche nei soggetti obesi rispetto ai controlli (Ferretti G et al. 2005). Scopo del nostro studio è stato investigare la relazione tra citochine, infiammazione e danno ossidativo nell’obesità. Pertanto in pazienti obesi è stata valutata la correlazione tra livelli plasmatici di leptina, parametri biochimici di danno ossidativo delle lipoproteine e alcuni indici di infiammazione, quali fibrinogeno e proteina C reattiva (PCR) . Nelle HDL e LDL isolate da plasma di soggetti sani (n=31), i livelli di idroperossidi erano rispettivamente, 1,11±0,099nmol/100μg e 2,3±0,75 nmol/100μg. In accordo con studi precedenti, i livelli erano significativamente maggiori nelle lipoproteine isolate da soggetti obesi (n=12) (3,9±0,39nmol/100μg e 6,2±0,86nmol/100μg nelle HDL e LDL, rispettivamente) (p<0.001) (Ferretti G et al. 2005). Una correlazione significativa è stata stabilita tra il valore di BMI ed i livelli di idroperossidi lipidici associati alle HDL (r=0,89;

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n=12; p<0,001) e alle LDL (r=0,76; n=12; p<0,006) isolate dai pazienti obesi, confermando che l’obesità è associata al danno ossidativo delle lipoproteine. In accordo con la letteratura, i nostri risultati hanno evidenziato livelli plasmatici di leptina significativamente più elevati nei pazienti obesi rispetto ai controlli (44,0±4,32 ng/mL e 20,3±1,7 ng/mL, rispettivamente, p<0,001). I livelli plasmatici della leptina erano correlati positivamente a quelli degli idroperossidi lipidici associati alle HDL (r=0.86,n=12;p<0.001) e alle LDL (r=0.79,n=12;p<0.001), suggerendo una relazione tra leptina e stress ossidativo delle lipoproteine nell’obesità. Una significativa correlazione positiva è stata evidenziata nei pazienti obesi, tra i livelli plasmatici di leptina e i livelli plasmatici di fibrinogeno (r=0,94,n=12,p<0,001) e PCR (r=0,87,n=12,p<0,001). Da questi risultati si deduce una relazione tra leptina e infiammazione. In conclusione i risultati ottenuti evidenziano uno stretto legame tra citochine, stress ossidativo e infiammazione, suggerendo un loro coinvolgimento nei meccanismi molecolari alla base delle patologie cardiovascolari nei pazienti obesi. Ferretti G et al. Paraoxonase activity in high-density lipoproteins: a comparison between healthy and obese females. J Clin Endocrinol Metab. 2005;90(3):1728-33 P04. Effetti dell’IGF-1 come induttore di stress ossidativo in fibroblasti umani M. Malaguti1, A. Lorenzini2, PL. Biagi1, C. Sell2 1 Centro Ricerche sulla Nutrizione Dip. Biochimica “G. Moruzzi” Università di Bologna; 2 Department of Pathology and Laboratory Medicine Drexel University, Philadelphia, PA (USA) Premesse e obiettivi:Si pensa che il declino fisiologico a cui si assiste durante l’invecchiamento sia, almeno in parte, legato all’accumulo dei danni causati da stress ossidativo. E’ noto che modelli di topi transgenici, Ames e Snell mice, che mostrano una carenza ormonale di GH e IGF-1, presentano oltre ad una maggiore longevità, anche un’aumentata capacità antiossidante, mentre allo stesso tempo topi con livelli più alti di questi ormoni sembrano mostrare una ridotta attività di enzimi antiossidanti. GH e IGF-1 possono, quindi, esercitare effetti diretti sulle cellule e modificare l’espressione di diversi enzimi antiossidanti influenzando così la longevità nei mammiferi e in altre specie animali. In questo studio abbiamo investigato tale problematica attraverso l’analisi di colture cellulari a lungo termine di fibroblasti umani supplementate con diversi fattori di crescita al fine di valutare la produzione di alcune specie reattive dell’ossigeno. Metodi: Sono state impiegate colture di una linea di fibroblasti embrionali umana, WI38. Le cellule sono state coltivate in terreno MCDB104 per 21 giorni, in diverse condizioni: in assenza di siero (SF), con supplementazione di EGF 10 ng/ml e IGF-1 20 ng/ml. Sono stati valutati per via citofluorimetrica (Guava Mini EasyCyte®) alcuni parametri cellulari, tra cui il potenziale di membrana, la produzione di anione superossido (O2

-.) mitocondriali e la vitalità cellulare, utilizzando rispettivamente i fluorofori JC-1, MitoSox (Invitrogen), ioduro di propizio e LDS751. Risultati e discussione: L’analisi del potenziale di membrana mitocondriale ha mostrato che le cellule stimolate con IGF-1 presentano una riduzione nel potenziale rispetto ai controlli già dopo 14 giorni e che tale differenza risulta significativa a 21 giorni di trattamento. Parallelamente anche la produzione mitocondriale di O2

-. risulta significativamente maggiore nelle cellule trattate con IGF-1 rispetto agli altri trattamenti. I dati da noi ottenuti sembrano suggerire che IGF-1 possa sensibilizzare la cellula agli effetti dello stress ossidativo non solo determinando una riduzione dell’attività di alcuni enzimi antiossidanti CAT, GPX, Mn-SOD, (1), ma possa anche stimolare un aumento diretto della produzione di alcuni ROS come O2

-. . Sono tuttavia necessari altri studi per determinare chiaramente se IGF-1 influenzi l’invecchiamento e la longevità nei diversi modelli animali solo attraverso un aumento di danno ossidativo o anche attraverso altri meccanismi. (1) Browm-Borg HM, et al. Exp Biol Med (Maywood) 2002 Feb;227(2):94-104.

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P05. Un metodo innovativo per la determinazione dell’attività antiossidante totale in matrici alimentari basato sull’utilizzo dell’enzima Lipossigenasi D. Pastore1,2, D. Tozzi1, M.N. Laus1, M. Soccio1, V. Fogliano3, Z. Flagella1,2 1 Dipartimento di Scienze Agroambientali, Chimica e Difesa Vegetale, Facoltà di Agraria, Università di Foggia; 2 Centro di Ricerca Interdipartimentale BIOAGROMED, Foggia; 3Dipartimento di Scienza degli Alimenti, Università di Napoli “Federico II” Premesse: La Lipossigenasi (LOX) catalizza la reazione tra ossigeno ed acidi grassi poliinsaturi portando alla sintesi dei relativi idroperossi-derivati. Nel caso della LOX-1 di soia, quando con il procedere della reazione si giunge in condizioni di microaerofilia, si ha anche la generazione di specie radicaliche. Alcune di queste (LO., LOO., OH., 1O2) sono in grado di causare bleaching della p-nitrosodimetilanilina (RNO); questa reazione può essere inibita da antiossidanti mediante diversi meccanismi: scavenging di uno o più radicali, riduzione di un ferro(III) essenziale per la catalisi, azione complessante del ferro, inibizione diretta dell’enzima. Qualora si voglia valutare l’attività antiossidante esercitata da miscele di molecole, l’inibizione della reazione LOX/RNO può consentire una stima complessiva di diverse simultanee modalità di azione antiossidante. Obiettivo: L’obiettivo è stato duplice. Verificare la sensibilità della reazione di bleaching dello RNO agli antiossidanti e quindi mettere a punto un nuovo metodo per la determinazione dell’attività antiossidante totale (AAT) degli alimenti. Metodi: La reazione LOX-1 di soia/RNO viene seguita come diminuzione di assorbanza a 440 nm. E’ stato valutato l’effetto inibitorio di i) nove antiossidanti valutati singolarmente, ii) miscele di antiossidanti lipofili estratti con esano/etilacetato da sfarinati integrali di frumento duro, iii) miscele di antiossidanti idrofili estratti con acqua da sfarinati integrali di frumento duro, avena, quinoa, amaranto, teff, panico indiano, grano saraceno, fibre di frumento duro, caffè, mela. L’AAT è stata determinata con i metodi LOX/RNO, DMPD e/o ABTS mediante calibrazione con Trolox. Risultati: Sia gli antiossidanti puri che le miscele di composti estratti dalle matrici alimentari investigate sono in grado di inibire la reazione tra LOX e RNO. I metodi LOX/RNO, DMPD e/o ABTS consentono una semplice e rapida determinazione della AAT. Il metodo LOX/RNO è in grado di differenziare meglio tra i diversi campioni e mostra una più elevata riproducibilità sperimentale; infine, come atteso in ragione della capacità di valutare più azioni antiossidanti simultaneamente, fornisce valori di AAT molto elevati. Conclusione: Il metodo LOX/RNO presenta alcuni significativi vantaggi. E’ versatile, semplice ed affidabile. Date le caratteristiche della reazione, può stimare l’azione sinergica degli antiossidanti presenti negli alimenti meglio di altri metodi. P06. In vitro absorption of anthocyanins present in wild blueberry (Vaccinium angustifolium) powder S. Ciappellano*, C. Gardana*, F. Galvano#, D. Klimis-Zacas** *Dept. of Food Science and Microbiology, University of Milan – Italy; #Dept. of Agro-forestry of Environmental Science and Technology - University of Reggio Calabria – Italy;** Dept. of Food Science and Human Nutrition - University of Maine – Orono - Maine Background Antioxidants help neutralize harmful, unstable by-products “free radicals”, linked to the development of a number of degenerative diseases and conditions including age-related diseases, cancer, cardiovascular disease, cognitive impairment, immune function, cataracts and macular degeneration. Antioxidants protect cells from DNA damage involved in cancer, heart disease, diabetes, and possibly brain degeneration. Fruits and vegetables are rich sources of natural antioxidants. Among them, blueberries (Vaccinium species) have one of the highest levels of antioxidant activity. Anthocyanins (the pigments that give blueberries their blue color) are thought to be responsible for these health benefits. Purpose The aim of this research was to evaluate the concentration of the different anthocyanins present in powdered wild blueberries and assess their in vitro absorption. Methods The anthocyanins were identified and quantified by the LC-DAD-MS method and TAC (Total Antioxidant Capacity) was measured as TEAC (Trolox Equivalent Antioxidant Capacity). Subsequently, anthocyanin absorption was measured in vitro, utilizing different sections of rat small intestine.

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The sections were everted and incubated, in flux, with 2.2g wild blueberry powder dissolved in 100 ml thyrode solution. LC-MS/MS was applied to evaluate the low amount of each absorbed anthocyanin. Results Approximately 20 anthocyanin compounds were found to be present in the wild blueberry powder with a total anthocyanin concentration of nearly 4.7 mg/g (dry weight). The total antioxidant activity (TAC) was high and comparable to that of other fresh fruits. The in vitro tests showed that nearly all anthocyanins present in the blueberry powder were absorbed at approximately 0.1%. Conclusion Wild Blueberry powder maintains high anthocyanin concentration and its antioxidant activity is an interesting nutritional aspect to consumers. Furthermore the rate of absorption of the different anthocyanin species even though low, may exert a protective action in the human body. P07. Flavonoids as bioactive components of food: influence of the 7-O-glycosilation on antioxidant activity of flavanones D. Di Majo, M. La Guardia, E. Tripoli, S. Giammanco, M. Giammanco Division of Physiology and Human Nutrition, Dep. Medicine, Pneumology, Physiology and Human Nutrition, University of Palermo, Italy Background: flavonoids are bioactive components of food and are a class of secondary plant phenolics with significant antioxidant and chelating properties. Epidemiological surveys shown an inverse relationship between the intake of fruit and the incidence of coronary heart disease and some type of cancer. Objective: to investigate the influence of 7-O-glycosilation on the antioxidant or pro-oxidant behaviours of some common flavanones using the crocin bleaching inhibition assay. Methods: crocin bleaching methods was used to determine the antioxidant capacity of the glycosylated flavanones: Naringin, Neohesperidin, Neoeriocitrin, Hesperidin, Narirutin and the related aglycones such as Naringenin, Hesperitin, Heridictyol and Isosakuratenin. The value of Ka/Kc, calculated from the slope of the linear regression of the plot of [A]/[C] vs.V0/Va, indicates the relative capacity of the compound under analysis to interact with peroxyl radicals. The analysis on the same compound was made three replications and results were express as weighted mean and standard deviation. Statistical analysis was carried out using SPSS software. The criterion for statistical significance was p≤0.005. Results: data evidence that the substitution of the 7th OH group of the flavanones by a neohesperidoside influences the relationship between structure and antioxidant activity. In fact, the 3',4'-catechol structure and the O-methylation, in the aglycone forms, do not result significant (Naringenin with Isosakuratenin and Heridictyol with Hesperitin); on the other hands, in the glycosylate forms with neohesperodoside, the 3',4'-catechol structure noticeably increases the antioxidant power (Neoeriocitrin with Naringin) and the O-methylation decreases the antioxidant activity (Neohesperidin with Naringin). Conclusions: This piece of information should be useful for identifying foods rich in such protective components for the development of safe food products and additives with appropiate antioxidant properties. Antioxidants represent a group of substances very important in diet but we cannot ignore that these compounds, when in high concentrations or in particular environmental conditions, can act like pro-oxidants inducing radicals reaction. P08. Studio dell’effetto protettivo del consumo di broccoli S. Guarnieri, P. Riso, A. Brusamolino, M. Porrini Dipartimento di Scienze e Tecnologie Alimentari e Microbiologiche (diSTAM), Sezione Nutrizione, Università degli Studi di Milano Premesse Il consumo di brassicaceae sembra diminuire il rischio di sviluppare alcuni tipi di tumore. Gli studi in modelli animali e cellulari confermano il ruolo importante dei metaboliti (isotiocianati) dei glucosinolati presenti in questi vegetali. Obiettivi Valutare l’effetto dell’assunzione di brassicaceae sulla biodisponibilità di composti con interesse nutrizionale e

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sulla protezione antiossidante. Studiare il ruolo dei polimorfismi nella glutatione S-transferasi (GSTM1, GSTT1). Metodi E’ stato effettuato uno studio di intervento (cross over con wash-out) su 20 soggetti (10 fumatori e 10 non fumatori) in buono stato di salute e con GSTM1 e GSTT1 positiva o nulla. Il protocollo prevedeva 10 giorni di dieta standard o di assunzione di 200 g di broccoli (Marathon) cotti al vapore. I due periodi erano separati da 20 giorni di wash out. I volontari erano istruiti a mantenre le loro abitudini alimentari durante tutta la sperimentazione e ad eliminare il consumo di brassicaceae. All’inizio ed alla fine di ciascun periodo sono state valutate le concentrazioni plasmatiche di isotiocianati, vitamina C, folati, vitamina E e carotenoidi. Inoltre è stata valutata la resistenza dei linfociti nei confronti del danno al DNA indotto ex-vivo mediante H2O2. Risultati Il consumo di broccoli ha determinato un aumento delle concentrazioni plasmatiche di folati, carotenoidi ed isotiocianati. Nessun effetto è stato invece evidenziato sulle concentrazioni di vitamina C. Una parziale analisi dei dati relativi al danno al DNA (n= 16), ha messo in evidenza una migliore capacità di protezione dei linfociti nei confronti dello stress ossidativo (P<0.05). I dati ottenuti sembrerebbero supportare un ruolo del polimorfismo della GSTM1 nella risposta protettiva osservata nel gruppo di fumatori. Conclusione I broccoli costituiscono una buona fonte di isotiocianati, folati e carotenoidi. Lo stato antiossidante e i sistemi di protezione cellulare sembrano in generale implementati in seguito al loro consumo regolare. Le caratteristiche genetiche potrebbero in parte spiegare la diversa risposta e capacità protettiva individuale. P09. Effetto della cottura sulle qualità nutrizionali dei broccoli C. Miglio1, N. Pellegrini1, V. Fogliano2, R. Pernice2, D. DelRio1, F. Scazzina1, F. Brighenti1 1 Dipartimento di Sanità Pubblica, Università di Parma; 2 Dipartimento di Scienze degli Alimenti, Università di Napoli “Federico II” Premesse Recentemente sono state create delle banche dati di capacità antiossidante totale (TAC)1 degli alimenti finalizzate a studi epidemiologici. Tali dati riguardano principalmente alimenti crudi, mentre ancora frammentarie sono le informazioni su quelli cotti. Obiettivo Per indagare l’effetto della cottura sulle qualità nutrizionali della verdura, la TAC e il contenuto in polifenoli, carotenoidi, glucosinolati e acido ascorbico sono stati determinati nei broccoli crudi, bolliti, fritti e cotti a vapore. Metodi Previe opportune estrazioni, la TAC è stata determinata tramite TEAC, FRAP e TRAP test1 e i singoli composti in HPLC 2,3,4. Risultati I broccoli crudi hanno riportato alti valori di TAC e ascorbato. Tutti i metodi di cottura hanno determinato un aumento di TAC (soprattutto il vapore) e una perdita di ascorbato (soprattutto la frittura, -87%). La cottura a vapore ha determinato una perdita di quercetina (-38%) e luteina (-54%), ma un generale aumento di glucosinolati e carotenoidi, soprattutto fitoene e fitofluene, le cui concentrazioni sono triplicate. La frittura e la bollitura hanno in generale influenzato negativamente i composti antiossidanti. Tuttavia, le concentrazioni di fitofluene in entrambe le cotture e di fitoene nella bollitura, hanno registrato aumenti superiori al 100%. Conclusioni Le perdite di ascorbato e polifenoli non hanno influenzato la TAC dei broccoli che è aumentata dopo cottura, probabilmente grazie alla maggiore disponibilità di altri composti bioattivi. In tal senso, sembrano avere giocato un ruolo determinante i carotenoidi fitoene e fitofluene. Tra i metodi di cottura studiati, la cottura a vapore, con effetto positivo su carotenoidi e glucosinolati, è risultato il metodo in grado di aumentare maggiormente la TAC dei broccoli. Questi risultati suggeriscono l’opportunità di ricalcolare l’intake di TAC utilizzato negli studi epidemiologici

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tenendo conto delle diverse modalità di consumo degli alimenti. 1 PellegriniN. 2003. J. Nutr. 133:2812-2819. 2 KiddleG. 2003. Phytochem. Analysis 12(4):226-242. 3 CrozierA. 1997. J. Agric. Food Chem. 45:590-595. 4 LeonardiC. 2000. J. Agric. Food Chem. 48:4723–4727. P10. Azione sinergica sull’espressione genica dell’acido docosoesanoico e della vitamina E M. Caputo, G. Torino, M. F. Tecce Dipartimento di Scienze Farmaceutiche, Università di Salerno Premesse: E’ noto che la composizione lipidica della dieta è un fattore rilevante per l’incidenza di molteplici malattie. In uno studio precedente su ratti abbiamo osservato come l’espressione epatica di alcuni geni vari in relazione al contenuto in lipidi insaturi della dieta. Obiettivo: Si è ritenuto di valutare l’effetto di singoli nutrienti sui geni risultati maggiormente modulati negli studi precedenti. I geni considerati sono la stearoyl-CoA desaturasi (SCD), la sterol-regulatory element binding protein (SREBP-1) e l’UDP-glucuronosiltransferasi (UGT1A1), la cui regolazione coinvolge peraltro recettori nucleari eterodimerici. Metodi: Cellule di epatoma umano (HepG2) sono state trattate con acido docosaesaenoico (DHA) e vitamina E per tempi fino a 72h. Si è quindi valutata l’entità di apoptosi per citofluorimetria, l’espressione dell’mRNA di UGT1A1 mediante PCR semiquantitativa e l’espressione proteica di. SCD e SREBP-1 mediante Western Blot. Risultati: Il DHA sulle HepG2 ha effetto pro-apoptotico, in parte abolito dalla vit.E. Inoltre si osserva che il DHA determina una lieve diminuzione dell’espressione di UGT1A1, mentre la Vit.E un modesto aumento. Tuttavia, la combinazione dei due nutrienti produce una considerevole riduzione della quantità di messaggero. Per identificare altri meccanismi coinvolti in questo tipo di sinergia, abbiamo studiato l’effetto di questi nutrienti sull’espressione di altri geni. Si è osservato che il DHA riduce SREBP-1 ed SCD, mentre la Vit.E non determina nessun effetto significativo. Quando però le due sostanze vengono co-somministrate alle cellule l’effetto del DHA su SCD viene abolito, mentre la modulazione di SREBP-1 resta inalterata. Conclusione: I dati suggeriscono che la combinazione DHA-Vit.E potrebbe essere capace di regolare in modo selettivo l’espressione di UGT1A1 e di SCD. Questa è regolata da SBEBP-1, che però non risente della presenza della Vit.E: ciò potrebbe indicare il coinvolgimento di altri meccanismi. E’ presumibile che l’effetto dei due nutrienti non sia dovuto solo alla citotossicità del DHA ed all’effetto protettivo della vit.E, ma a specifici meccanismi di regolazione genica che potrebbero coinvolgere recettori nucleari. P11. Influence of dietary fish intake on inflammatory and rheological parameters: an intervention study F. Sofi, A.M. Gori, F. Cesari, R. Paniccia, L. Mannini, A. Casini^, G. Parisi*, G. Giorgi*, B.M. Poli*, R. Abbate, G.F. Gensini ° Department of Medical and Surgical Critical Care, Thrombosis Centre, University of Florence, Italy; ^ Department of Clinical Pathophysiology, Unit of Clinical Nutrition, University of Florence; *Dipartimento di Scienze Zootecniche, University of Florence; ° Fondazione Don Carlo Gnocchi, Onlus IRCCS, Impruneta, Firenze Centro Interdipartimentale di Ricerca per la Valorizzazione degli Alimenti (CeRA), Università degli Studi di Firenze Introduction: Fish intake has long been indicated as a protective dietary factor for cardiovascular diseases, due to the beneficial effects of its content of omega-3 polyunsaturated fatty acids (EPA and DHA). Numerous studies have demonstrated that fatty acid profile of cultured fish diet has a strong impact on the fatty acid profile of the lipid deposited in muscle. Aim of this study was to evaluate the influence of short-term dietary intake of fish on biomarkers related to the atherosclerotic process. Methods: In 7 dyslipidemic subjects (4 females; 3 males) with a mean age of 53.1 years we evaluated lipid

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profile (total cholesterol, HDL-cholesterol, LDL-cholesterol and tryglicerides) inflammatory markers (interleukin-6 and interleukin-8), haemorheological profile [whole blood viscosity(WBV), plasma viscosity, erythrocyte filtration rate], platelet aggregation and platelet function on whole blood (PFA) before (T0) and after a dietary intervention with 900 g of Orbetello farmed sea bass (Dicentrarchus labrax) per week for 10 weeks (T1). Results: Tryglicerides tend to be lower at T1 (143.8 ± 43.9) than at T0 (170.1 ± 91.3 mg/dL). Moreover, a favourable change within the inflammatory pattern, as seen by lower levels of interleukin-6 and interleukin-8 was observed at T1 (1.6 ± 1.2 pg/mL for interleukin-6 and 12.2 ± 6.6 pg/mL, for interleukin-8) with respect to T0 (1.9 ± 1.2 pg/mL and 17.4 ± 11 pg/mL for interleukin-6 and 8, respectively). With regard to haemorheological parameters, a significant (p=0.04) improvement in WBV at the highest shear rates was reported after 10 weeks of fish dietary intake (WBV 11.040 sec-1: 7.8 ± 0.9 vs. 8.7 ± 1.3; WBV 20.400 sec-1: 4.3 ± 0.07 vs. 6.4 ± 0.4; WBV 94.500 sec-1: 4.3 ± 0.07 vs. 4.5 ± 0.3, for T1 and T0, respectively). Conclusions: Dietary short-term intake of fish seems to impose favourable biochemical changes in dyslipidemic subjects, with regard to lower circulating levels of markers of atherosclerosis, such as lipid parameters, inflammatory markers and haemorheological profile. P12. Assunzione alimentare ed integrazione dietetica di acidi grassi polinsaturi n3 in gravidanze a rischio di parto pretermine F. Pasqui*, M. Di Nunzio°, O. Sanlorenzo^, S. Melappioni^, L. Console^, M. Maranesi° *Dipartimento di Medicina Interna e Gastroenterologia; °Dipartimento di Biochimica “G. Moruzzi”; ^ Clinica Ostetrica e Ginecologica, Fisiopatologia Ginecologica della Terza età, Università degli Studi di Bologna Premessa L’andamento della gravidanza e del parto dipende anche dallo stato nutrizionale della gestante e dalla disponibilità di fattori, quali acidi grassi polinsaturi ed eicosanoidi da essi derivati, implicati nella durata della gestazione, nei meccanismi delle contrazioni uterine e nei processi infiammatori (1). E’ stata ipotizzata una correlazione tra elevata disponibilità di acidi grassi a lunga catena n3 (LCPUFAn3) e miglioramento dello sviluppo fetale e dell’andamento della gravidanza (2); tuttavia l’apporto nutrizionale di tali acidi grassi, è notoriamente scarso, pertanto per aumentarne l’assunzione ci si avvale di norma di integratori. Obiettivo Si è voluto verificare se un incremento di LCPUFAn3 alimentare e con integratori determina sui parametri ematici e sull’andamento della gravidanza effetti comparabili. Metodi 30 pazienti, seguite dalla 20° settimana di gestazione fino al parto, sono state suddivise in 3 gruppi: a) dieta normale (controllo), b) dieta normale più integrazione per 16 settimane con 300 mg di EPA e 750 mg di DHA al giorno; c) dieta con consumo tri-settimanale di pesce. Su tutte le pazienti è stata condotta, all’inizio dello studio e in controlli successivi un’inchiesta nutrizionale per valutare le assunzioni in calorie e nutrienti, con particolare riguardo a LCPUFAn3; inoltre alla 20° e alla 36° settimana sono stati dosati i livelli di n3 nel plasma e nelle membrane eritrocitarie. Risultati Nei gruppi b e c alla 36° settimana, gli apporti nutrizionali di EPA e DHA, risultavano superiori di 0.6 g rispetto alle indicazioni LARN, le composizioni acidiche plasmatiche ed eritricitarie, presentavano valori percentuali di LCPUFAn3 simili fra loro e più alti rispetto al gruppo di controllo; la durata della gestazione è aumentata in media di una settimana rispetto ai controlli con relativo incremento ponderale medio dei neonati di 250g. Conclusioni L’analogia dei risultati ottenuti confrontando l’incremento alimentare e l’uso di integratori, inducono a considerare positivamente e prioritariamente l’approccio nutrizionale sottolineando come una corretta alimentazione in generale e accorgimenti dietetici in particolare rappresentino un valido supporto terapeutico. 1. Allen K.G.D. and Harris M.A. ( 2001) Exp. Biol. Med. 226 (6) 498-506 2. Smuts C.M., Huang M., et al (2003) Am. Coll. Obstet. Gynecol. 101, 469-79

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P13. Modificazioni del profilo degli acidi grassi nell’uomo indotte dall’apporto alimentare di formaggio naturalmente arricchito in acido linoleico coniugato (CLA) 2 M.C. Mele, 2 G. Cannelli, 2E. Capoluongo, 1 G. Carta, 1L. Cordeddu, 1 M.P. Melis, 1 E. Murru, 3E. Giordano, 3A. Piras, 1,3 S. Banni 1Università degli Studi di Cagliari, Dipartimento di Biologia Sperimentale, Cagliari; 2Università Cattolica Sacro Cuore, Roma; 3Nutrisearch srl, Pula (CA) Il CLA è un inusuale acido grasso insaturo a 18 atomi di carbonio con una struttura a dieni coniugati. In modelli sperimentali è stato dimostrato che il CLA possiede diversi effetti biologici sia nell’animale che nell’uomo. Dei 2 isomeri più studiati, il c9,t11 e il t10,c12, il primo è quello naturalmente presente nella carne dei ruminanti e nei prodotti lattiero-caseari. Diversi studi hanno dimostrato che è possibile aumentare, per via naturale, fino a 8 volte i livelli di CLA nei prodotti lattiero caseari. Non si hanno invece dati se questo incremento è capace di aumentare significativamente i livelli di CLA e dei suoi metaboliti nel plasma dell’uomo. In questo studio abbiamo reclutato 36 volontari sani per uno studio di intervento cross-over in doppio cieco, dove i volontari assumevano una dose giornaliera (circa 50 g) di formaggio naturalmente arricchito in CLA o di controllo. Sono stati testati 4 diversi tipi di formaggi, due vaccini, uno caprino e uno pecorino. I dati indicano che un regolare apporto di formaggio arricchito in CLA è sufficiente ad aumentare significativamente i livelli di CLA e dei suoi metaboliti nel plasma umano. I livelli nel plasma di CLA e di vaccenico, l’altro acido grasso prodotto dai ruminanti, è direttamente correlato a quello presente nei formaggi assunti. Inoltre, l’apporto alimentare dei formaggi arricchiti risultava in una miglior incorporazione degli acidi grassi omega 3. Possiamo concludere che un relativo basso apporto di formaggi naturalmente arricchiti in CLA è capace di modificare positivamente il profilo degli acidi grassi insaturi plasmatici nell’uomo. P14. Pregiudizi alimentari fra vestigia di conoscenze mediche e media attuali B. Biffi, M.L.E. Luisi, R. Intini, R. Molino Lova, G.F. Gensini* Centro S. Maria agli Ulivi IRCCS, Fondazione Don Gnocchi, Firenze; *Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi, Firenze Premesse L’efficacia di un programma educativo a fini preventivi nel contesto riabilitativo cardiologico deve considerare diverse variabili: caratteristiche psicologiche del paziente, contesto relazionale e sociale, sistemi di convinzioni ed eventuali pregiudizi. Diviene quindi imprescindibile una fase preliminare di assessment di tali variabili. Obiettivo Nell’ambito di uno studio più ampio, ci siamo proposti di verificare se ed in che misura convinzioni usuali, o comunque apprese per tradizione e/o luoghi comuni o supportate da messaggi diffusi dai media, possano essere fonte di pregiudiziali in materia alimentare. Scopo ultimo è l’individuazione di fattori su cui focalizzare interventi educativi e/o training formativi per pazienti e loro contesto. Metodi Sono stati arruolati 110 partecipanti, 64 maschi e 46 femmine (età media 67.07 + 10.18), fra i ricoverati presso il Centro per un iter riabilitativo cardiologico (77 soggetti) o respiratorio (22 soggetti ) e 11 loro familiari. E’ stato somministrato un questionario a risposta chiusa vero/falso, i cui item riportano affermazioni comunemente in uso attinenti l’ alimentazione. 14 dei 23 items definiscono 2 categorie a seconda che siano riferiti a convinzioni su basi medico-popolari (mp) o a messaggi pubblicitari attuali (pa). Risultati Nessuna differenza significativa è stata rilevata nelle risposte fornite dai cardiopatici e dai pneumopatici. Una leggera correlazione positiva è emersa fra scolarità e percentuale di risposte corrette, mentre età e sesso non risultano discriminanti. Considerando i 14 item di categoria nel 57% del campione sono presenti pregiudizi alimentari rispetto al 40% in cui sono assenti ed il 3% di non risposta; non vi è alcuna differenza per età e patologia. I punteggi ottenuti

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nella categoria pa si attestano intorno al 50% con valori più elevati nei maschi rispetto alle femmine; sopra la media sono i punteggi mp per cui non si evidenzia alcuna differenza significativa fra i sessi. Conclusioni I risultati ottenuti confermano che nel 57% dei casi esistono pregiudizi in tema di alimentazione. E’ significativo il dato che siano le false conoscenze tradizionalmente attribuite ad assunti medici quelle più persistenti rispetto a quelle di derivazione pubblicitaria. In quest’ultima categoria inoltre si rileva che i maschi appaiono essere più influenzati delle femmine. P15. Conoscenze nutrizionali di un campione di studenti sardo-corsi F. Broccia, T. Lantini, A. Lucani*, A.M. Carcassi Dip. Scienze Applicate ai Biosistemi, Sez. Fisiologia e Nutrizione Umana, Università degli Studi Cagliari (Italy); *Laboratoire de Biochimie, Faculté des Sciences et Techniques, Université de Corse, (France) Premessa: E’ ampiamente dimostrato che comportamenti alimentari corretti associati ad un’adeguata attività fisica rappresentano le premesse fondamentali per assicurare all’individuo uno stato nutrizionale ottimale e, soprattutto, per tutelarne la salute. L’esigenza di proporre delle regole per un comportamento appropriato ha portato, in funzione della particolare situazione di aree geografiche e Paesi, alla stesura di Linee Guida Nutrizionali. Obiettivo: Lo scopo del lavoro è stato quello di valutare l’efficacia delle informazioni trasmesse dalle Linee Guida in un campione di studenti universitari e di contribuire inoltre alla diffusione di modelli alimentari corretti. Metodi: Al campione, costituito da 566 studenti universitari (141 corsi e 425 sardi), è stato somministrato un questionario sulle conoscenze nutrizionali volto ad evidenziare il livello di consapevolezza delle raccomandazioni contenute nelle Linee Guida. Gli studenti, oltre l’età, il peso e la statura, hanno indicato l’eventuale pratica di attività sportiva e la frequenza con cui questa veniva svolta. Risultati: Per quanto concerne la situazione ponderale, l’intero campione si colloca mediamente in un range di normalità, senza significative differenze fra le due isole, mentre una percentuale superiore di corsi pratica abitualmente attività fisica. Per quanto riguarda le conoscenze nutrizionali, il punteggio totale è stato più alto per il campione sardo nella 1°, 2° e 4° sezione del questionario, riguardanti rispettivamente le indicazioni degli esperti circa l’adeguato consumo di vari alimenti, la corretta collocazione dei nutrienti nei diversi gruppi alimentari, nonché l’individuazione delle scelte alimentari più adeguate per la tutela e la promozione della salute. Il campione corso ha indicato invece con maggiore precisione le scelte nutrizionali più adeguate al fine di ridurre l’introito di grassi, sale e zuccheri semplici, secondo quanto chiesto nella 3° sezione. In entrambe le isole le donne hanno riportato punteggi totali e parziali superiori rispetto alla loro controparte maschile, manifestando maggiori conoscenze in campo alimentare. Conclusioni: I risultati emersi da questa indagine confermano ancora una volta la necessità di una maggiore capillarizzazione nella diffusione di modelli alimentari corretti proposti dalle Linee Guida al fine sia di pervenire a scelte nutrizionali adeguate, sia di pianificare interventi educativi mirati là dove le conoscenze appaiono più lacunose. Ricerca svolta con fondi: ex 60% P16. Il monitoraggio IQP per l’educazione al gusto nell’età evolutiva E. Ciserchia*, R. Dell’Acqua*, M. Bottazzi** *Osservatorio Sodexho sulla qualità della vita quotidiana;**Università di Pavia Alla ristorazione scolastica viene universalmente riconosciuto il valore di prevenzione nutrizionale. Nello studio, per orientare attività di educazione alimentare, viene monitorata, con l’ Indice Qualità Percepita (IQP), la qualità percepita dall’utenza con l’obiettivo, tra l’altro, di stimare gusti e consumi in età evolutiva. Metodologia: il gradimento dei menu viene rilevato attraverso schede di valutazione (una al giorno per due settimane consecutive) compilate dagli operatori del servizio di ristorazione scolastica. I menu vengono

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valutati in tutti i plessi (circa 1.000 l’anno) delle scuole di in ognuno dei circa 160 Comuni, attraverso 10.000 schede. Nel 2005/2006 gli utenti raggiunti dal monitoraggio sono stati 100.433. Il gradimento dei piatti è accuratamente valutato, con indicatori numerici, in base agli avanzi: molto gradito 8 gradito in buona parte 7 rifiutato in parte 5 rifiutato totalmente 4 Risultati: i dati riportati relativi all’ultimo quinquennio nelle aree nord-ovest, nord-est e centro-sud del Paese, sono relativi a circa 8.000 schede anno rientrate dalle operatrici addette alla somministrazione pasti, che avvalendosi della scala descritta, hanno attribuito un punteggio per ciascuna delle 245 ricette testate documentate nel ricettario dietetico, formulato ai fini di una standardizzazione igienico nutrizionale dei protocolli operativi degli addetti. Globalmente si nota che dal 2002 al 2006 il gradimento delle ricette si è mantenuto relativamente costante, varia da un punteggio medio di 6,85 a 6,93: più che sufficiente. Le ricette più gradite primi piatti: la semplice pasta in bianco (7,6) e l’elaborata lasagna (7,7); piatto unico: la pizza (7,8); secondi piatti: ogni tipo di carne e di pesce protetti dalla panatura mantengono 7,7; contorni: solo le patate al forno e in purè si attestano rispettivamente a 7,6 e 7,7 seguite da vicino dalle verdure crude. Le verdure cotte all’agro non superano la sufficienza. frutta: la più gradita è la banana (7,6); dessert: il più amato è il gelato (7,9); bevande: in testa il succo di frutta (7,6). Le preparazioni meno gradite risultano i risotti alle verdure (5,8), il pesce al limone (5,7), la verza e i finocchi gratinati (4,7 e 5,1). P17. Educazione alimentare nel trattamento e prevenzione dell’obesità infantile - responsabilizzazione sull’autoregolazione delle porzioni e degli apporti del menù scolastico B. Santini*, F. Ansaldi**, I. Fanzola**, T. Palmas*, E. Pivetta***, E. Pivetta**** Dip. Scienze Pediatriche e dell’Adolescenza - Università degli Studi di Torino; ** Libero professionista; *** IZS del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta; **** Università degli Studi di Torino Premessa Nell’ambito “ Progetto Nutrizione Piemonte” particolare riguardo viene posto alla Educazione alimentare e Prevenzione dell’obesità infantile come promotore di salute dell’adulto. Le mense scolastiche presentano una forte valenza educazionale e possono essere un ambito ideale per la conoscenza ed esperienza di una alimentazione equilibrata. Obiettivo Sostituire alle diete speciali per obesità nelle mense scolastiche, l'autoregolazione, con conoscenze su nutrienti, porzioni, apporti alimentari. Metodi Interventi di formazione con diverse modalità teorico-pratiche per insegnanti, operatori della mensa e bambini, da parte di dietologo, dietiste, medico dello sport, psicologo comportamentale, medico veterinario; verifica dell'apprendimento tramite l'analisi delle variazioni antropometriche e con questionari validati. Risultati della I fase Sulla popolazione scolastica torinese delle classi 3e-4eelementari, circa 6800 alunni, sono stati scelti 363 bambini di diversi quartieri, campione statisticamente significativo. L’età è stata scelta per recettività, disponibilità degli insegnanti della fascia d'età, possibilità di maturare l'esperienza per almeno 2 anni. Rispetto al totale i ragazzi stranieri sono 38,5% (6,5% sul territorio nazionale); i maschi sono il 52%, le femmine il 48%, con età media 8,7 anni. Dal BMI si rileva un 22,7% di sovrappeso, di cui 5,9% obesi. Tra gli stranieri le percentuali diminuiscono: il 9,7% è in sovrappeso, di cui il 3,4% obeso: dai questionari si rileva che alcuni bambini, prevalentemente

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immigrati, ricevono un pasto serale ridotto. Alla domanda "quante volte al mese mangi al fast food?", metà dei bambini risponde"mai", gli altri lo fanno almeno 1-2 volte. Il 96,7% dei bambini riceve una bevanda a colazione e il 92,2% riceve anche un alimento solido, ma il 100% riceve almeno un alimento o una bevanda. Fa sport organizzati il 65% dei ragazzi e un altro 15% trascorre parte del tempo libero in attività fisica. Emerge inoltre una diminuzione del valore aggregativo del pasto a livello familiare. Conclusioni Dal completamento dell’analisi dei dati per tutti gli ambiti esplorati e dal confronto con quelli post intervento, intendiamo confermare se il miglioramento delle conoscenze possa indurre capacità di autoregolazione e sia quindi una scelta vincente, ma solo se la continuità di questo tipo di intervento verrà assicurata da una programmazione in ambito scolastico. P18. L’educazione nutrizionale come pratica di prevenzione: l’esperienza dello Sportello Ambulatoriale di Dietetica Preventiva di Ancona R. Sbarbati(1), M. Morbidoni (1), A. Turrini (2) (1)Dipartimento di Prevenzione, Azienda Sanitaria Unica Regionale (A.S.U.R.), Zona Territoriale 7 di Ancona; (2) Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (I.N.R.A.N.) Premesse L’alimentazione inadeguata e l’inattività fisica costituiscono rischio per la salute. La nostra Azienda Sanitaria ha fornito ai cittadini uno strumento per ridurre i fattori di rischio legati ad un’alimentazione e ad uno stile di vita inadeguati istituendo lo Sportello Ambulatoriale di Dietetica Preventiva (SADP), per affrontare, in chiave di prevenzione primaria, il problema del mantenimento dello stato di salute, fornendo consigli ispirati dalle Linee Guida INRAN per una Sana Alimentazione Italiana (2003). Obiettivo Il nostro scopo è quello di analizzare alcuni risultati di 4 anni di attività dello SADP. Metodi L’accesso allo SADP è regolato dalla richiesta del medico di base. I primi due incontri prevedono anamnesi nutrizionale, calcolo dell’imc, analisi del diario alimentare e consigli nutrizionali. Il controllo successivo prevede verifica dell’imc, analisi del diario alimentare e approfondimento di tematiche su alimenti, nutrizione, attività fisica. I dati sono stati analizzati con il programma EPI-INFO. Risultati I risultati preliminari riguardano un campione di 133 utenti dello SADP, che risultano essere in prevalenza di sesso femminile (78,2%), di età media 40,11 (mediana 41 e moda 47), per il 52% oltre 40 anni, di livello di istruzione medio superiore (28,6%), coniugati (54,1%), dipendenti (43,6%), onnivori (94%), in sovrappeso (37,6%) o obesi (29,3%). Il 60,2% dichiara di non praticare attività fisica. La motivazione prevalente è quella di ‘imparare a mangiare in maniera sana ed equilibrata’ (28,6%) e per il 27% (solo donne) la ‘paura di ingrassare dopo la menopausa’. L’alimentazione presenta eccessi (es. carni rosse: frequenza settimanale ≥ 6 per il 32,3%) e carenze (es. frutta, legumi, pesce, cereali integrali). Il 58,6% degli utenti è venuto ai controlli e la durata media del follow up è stata di circa 6 mesi (con mediana 4 e moda 2). Si registra una diminuzione significativa dell’imc, che all’ingresso presenta una media di 27,4 (DS 4,97 e Moda 22,66) e all’uscita dal percorso una media 26,59 (DS 4,21 e Moda 23,53). La diminuzione media dell’IMC è di 1,57 punti (mediana 1,32 e moda 0). L’accettazione dell’alimentazione consigliata è risultata buona/ottima per la maggioranza degli utenti venuti ai controlli. Conclusione L’analisi, condivisa con l’operatore, della propria alimentazione e stile di vita ha portato in maniera significativa ad una sensibilizzazione ai temi dell’alimentazione e del mantenersi attivi.

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P19. Insieme con gusto: progetto di educazione alimentare nella scuola primaria B. Zulberti, C. Torelli, C. Bonardi, C. Lanza, P. Pagliarin, C. Tucci, M. Valenti Dietologia e Igiene della Nutrizione, ASL 12 – Biella Premesse: L’educazione alimentare, realizzata in sinergia con la scuola, rappresenta un efficace mezzo per trasmettere messaggi semplici e chiari ai bambini, coinvolgere le famiglie ed enfatizzare il ruolo “della scuola promotrice di salute”. Obiettivi: Col progetto “insieme con gusto” ci siamo prefissi di favorire l’instaurarsi sin dall’infanzia di corrette abitudini alimentari e soprattutto aumentare il consumo degli “alimenti critici” frutta e verdura e invogliando i bambini a consumare la prima colazione. Metodi: Il progetto di durata annuale ha coinvolto 95 ragazzi di una scuola primaria del biellese ed è stato realizzato attraverso un corso di formazione rivolto agli insegnanti. Dopo il corso gli insegnanti e il personale della ASL hanno svolto un percorso educativo teorico e pratico. La parte teorica è servita ad approfondire il tema dei principi nutritivi e a conoscere la piramide alimentare attraverso lezioni frontali e materiale audiovisivo. La parte pratica ha coinvolto i ragazzi con visite guidate in una cascina didattica e in laboratori artigianali e con i “laboratori del gusto”. I consumi e le abitudini alimentari sono stati valutati mediante compilazione del diario alimentare su tre giorni all’inizio e alla fine del corso. Risultati: I bambini hanno partecipato con interesse al progetto. Alla fine del corso formativo abbiamo verificato un incremento significativo del numero dei bambini che hanno aumentato il consumo di frutta (dal 36% al 56%), di verdura (dal 31% al 52%) e il consumo di una prima colazione adeguata. Conclusioni: I risultati soddisfacenti confermano l’utilità dei percorsi di educazione alimentare condotti nelle scuola per migliorare le abitudini alimentari dei bambini. P20. Promotion of fruit and vegetable consumption in school-age children and teen-agers: an interactive project M. Dalla Rosa1, A. Odorico2, P. Fasanelli2, A. Bordoni1, P.Novajra3, A. Sabot4 1 University of Bologna, Campus of Food Science, Cesena, Italy, 2 Intramoenia, Udine, Italy, 3 Studio Novajra, Udine, Italy, 4 Udine Mercati SpA, Udine, Italy An interactive project to introduce knowledge on fruits and vegetables, their quality and beneficial properties has been carried out and it is still ongoing in order to promote the consumption of those type of food in nursery, primary and first-level secondary city school of Udine, in the North-East of Italy. Working team was composed by evolution psicologists, a physical educator, a communication expert, the city marketplace managing society and a food scientist. The planned activities were related firstly to the knowledge of different type of fruit, especially apple and season’s fruits available at the local marketplace in the different period of the year belong the scholastic time (from September to June), their characteristic as “living” food with emphasis to the discovering of different tastes, colour, shapes with the main goal to promote the curiosity of the kids and evaluation of beneficial properties for human health. The activities have been planned to be addressed both on basic scientific knowledge and to the evaluation of preference of quality aspect by using simple figured questionnaires and class laboratory actions. In the nursery school, working together with 3-6 years-old children, the activities have been carried out by means of professional actresses able to involve the class in observation of simple phenomena related to the life of fruit and the basic study of the behaviour (i.e. browning, softening, etc.) of pickled fruits when prepared for eating by simple processes (peeling, slicing, grating, storing, etc.). Every “taste laboratory” where finalised to eating fruit together in the class and to promote the daily consumption of different type (selected by colour and depending to the season time) also into the family environment. Another level of activity of the project were carried out with a class of primary school (9-10 years old kids) where in the taste laboratory workplan was introduced the concept of five-a-day fruits and vegetables consumption and the explanation, by means of scientific tools, of five-colour-relation to protective and beneficial properties of fruit and vegetables. The primary-school related level of the project was completed by the visits, in two different period of the year, to the city open marketplace where the daily exchange of fruit and vegetables takes place under the control of a public-controlled society in order to regulate and assure

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quality (in terms of commercial grade, provenience, residue limits, etc.). Also in this case the activity was monitored by questionnaire and interviews. This action have been fully appreciate by students, teachers and families that had the possibility to be introduced in deep and with good knowledge in the food chain understanding, other than to the beneficial of increasing the daily consumption of fruit and vegetables. Third action of the project, addressed to the first cycle of secondary school (11-14 years old students) is planned for the next scholastic year (2006-2007). P21. Dipendenti Asl 11 di Empoli: stato nutrizionale e abitudini alimentari, dati che fanno riflettere R. Carli; F. Chiaverini; E. Corsinovi; C. Procuranti; M. Giannotti; A. Silva*; M. Franchini** U.O.C. Igiene Alimenti e Nutrizione; *U.O. Educazione alla salute; **Servizio Epidemiologia e sistemi informativi Premesse: La Promozione dell’adozione di corretti stili di vita ha stimolato l’U.O.C. Igiene Alimenti e Nutrizione dell’A.S.L.11 di Empoli a proporre ai propri dipendenti un progetto comprendente, tra le varie iniziative, un questionario validato, di rilevazione delle abitudini alimentari e stili di vita. Obiettivo: Verificare e comparare alla popolazione generale, abitudini alimentari in una popolazione selezionata caratterizzata da elevato titolo di studio e potenzialmente sensibile alle tematiche riguardanti la salute. Metodi: Il questionario, è stato elaborato dalle U.U.O.O. Igiene Alimenti e Nutrizione, Epidemiologia ed Educazione alla Salute ed è stato strutturato in modo da favorire il confronto con i dati dell’indagine multiscopo ISTAT anno 2003. I questionari inviati ai dipendenti sono stati elaborati con Epi Data 3.2 ed analizzati con EpiInfo 6 e 2003. Risultati: I dati rilevati dai 940 questionari ritornati, rispetto ai 2526 inviati, evidenziano che il campione ha un’età media di 42 anni;secondo l’IMC il 67% delle donne è normopeso, 18% soprappeso,4.3% sottopeso, 8% obeso; degli uomini, il 43% è normopeso, 47% soprappeso e 7.3% obeso. Il 92.3% consuma regolarmente la prima colazione (82% in modo completo, 10% solo liquidi come caffè-cappuccino, 5.6% frutta). Il 60% pranza a casa, 19% a lavoro e 21% in bar convenzionati . Tra gli alimenti maggiormente assunti si colloca il gruppo pane/pasta/riso consumati una o più volte al giorno, seguito da quello della frutta, latte/latticini e verdura. Le carni, i legumi e il pesce vengono consumati qualche volta a settimana. Il 56% del campione si alimenta secondo lo stile mediterraneo, con differenze statisticamente significative tra maschi e femmine: gli uomini si orientano maggiormente ai salumi e carne in scatola , le donne alle verdure. Il 94% del campione utilizza come condimento a crudo l’olio extravergine di oliva. Lo sport è praticato dal 33.4% del campione (45.8% maschi e 33.4% femmine). La maggior parte delle donne che pratica sport è in sottopeso mentre la maggior parte dei maschi è normopeso. Conclusione: Dai dati raccolti si evince che, le donne sono maggiormente attente e sensibilizzate al tema nutrizione, anche se non sempre riescono a trovare e ad assumere, specialmente fuori casa, gli alimenti che desidererebbero, quali quelli del gruppo verdura, frutta, e i secondi piatti. Lo stato antropometrico prevalente è il normopeso e anche le abitudini alimentari possono essere considerate buone. Nonostante siano in aumento i consigli riguardo l’importanza dell’attività fisica, continua ad essere scarso il tempo dedicato ad essa che tra l’altro non è praticata da chi ne necessiterebbe maggiormente. P22. Stile di vita e stato di salute di un gruppo di anziani residenti nel comune di Roma F. Intorre*, G. Maiani*, M. Cuzzolaro**, G. Catasta*, D. Ciarapica*, B. Mauro*, E. Toti*, M. Zaccaria*, S. Corelli*, L. Palomba*, A. Polito* Unità di Nutrizione Umana, Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN), Roma;** Dipartimento di Fisiopatologia e Neuropsichiatria, Università degli Studi “La Sapienza”, Roma L’aumento dell’età media della popolazione italiana si associa all’acuirsi di problemi come la solitudine o il vero e proprio isolamento sociale e la riduzione dell’attività fisica, che si riflettono in un incremento dell’invalidità e della dipendenza fisica con aumento del tasso di morbilità, dell’ospedalizzazione, della

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mortalità e, non ultimo, del peso economico che grava sugli stanziamenti per la salute pubblica. Lo stile di vita rappresenta uno dei principali fattori correlati con il miglioramento dello stato di salute. Obiettivo Scopo dello studio è descrivere lo stato antropometrico, le condizioni patologiche e lo stile di vita di un gruppo di anziani residenti nel comune di Roma. Metodi Sono stati selezionati 359 anziani (167 uomini e 192 donne) di età compresa tra 70-85 anni. Su tutti i soggetti è stata effettuata una visita medica, sono state rilevate le misure antropometriche di peso e statura e sono stati somministrati questionari rivolti a valutare lo stato cognitivo (Mini Mental State Examination) e l’eventuale presenza di depressione (Geriatric Depression Scale). E’ stato inoltre somministrato uno specifico questionario rivolto a fornire informazioni sullo stile di vita (fumo, abitudini alimentari, consumo di alcool ed attività fisica) e sulle caratteristiche socio-economiche del campione. Risultati La prevalenza di sovrappeso ed obesità è stata riscontrata in oltre il 75% degli anziani esaminati, associata ad un basso profilo socio-economico per circa il 40% dei partecipanti. Per quanto riguarda lo stato di salute si è osservata la presenza di patologie correlate all’età nel 21% dei soggetti, in particolare diabete. La prevalenza di deterioramento cognitivo e di depressione è stata riscontrata in meno del 10% del campione. La maggior parte del tempo è dedicata ad attività sedentarie, come leggere, guardare la televisione o giocare a carte, con differenze significative tra sessi e categorie di Indice di massa corporeo (P=0.000). Conclusione I risultati riflettono i cambiamenti di stile di vita della moderna popolazione con un aumento di sovrappeso ed obesità anche nella popolazione anziana, probabilmente dovuto ad una moderata attività fisica e suggeriscono la necessità di sviluppare specifiche linee guida che promuovano stili di vita salutari. P23. La prevalenza dell'Allattamento al Seno nella ZT n. 7 di Ancona M. Morbidoni 1, R. Gatti 2, F. Polverini 1, E. Ambrogiani 1, A. Guidi 1 U.O. Epidemiologia Zona Territoriale n. 7 Ancona ASUR Marche; 2. Consultorio Familiare Distretto Sud - Zona Territoriale n. 7 Ancona ASUR Marche Premesse L'allattamento al seno è un processo unico che fornisce l'alimentazione completa ai neonati e contribuisce al loro pieno sviluppo e alla loro sana crescita, riduce i tassi di mortalità e morbilità infantile, diminuendo l'incidenza e la gravità delle malattie infettive, e giova alla salute delle donne riducendo i rischi di tumore al seno e alle ovaie, aumentando l'intervallo tra una gravidanza e l'altra. Esso inoltre offre vantaggi economici e sociali sia a livello familiare che a livello nazionale. Obiettivo Scopo del presente lavoro è quello di effettuate la raccolta dati sull’AS attraverso la compilazione di un questionario su carta (che verrà poi inserito su software dedicato) durante le prime due sedute vaccinali obbligatorie. Metodi L’analisi è stata realizzata su 938 schede sull'Allattamento al Seno compilate dalle assistenti sanitarie del servizio vaccinazioni nel periodo agosto-dicembre 2005 ed inserite dal personale sanitario di 7 sedi consultoriali della ZT7; 538 alla prima vaccinazione e 391 alla seconda. E' stata effettuata l'analisi dei dati per vedere la prevalenza del tipo di allattamento al 3° e 5° mese (circa) e solo per 46 bambini è stato possibile linkare i dati relativi al tipo di allattamento alla prima e alla seconda vaccinazione. Secondo le indicazioni dell'OMS, sono state create quattro categorie di allattamento (esclusivo, predominante, complementare, artificiale) ed analizzata la distribuzione dei bambini tra queste. Risultati Alla prima vaccinazione sono stati allattati al seno l’80% dei bambini e alla seconda il 67,2%. La percentuale di allattamento esclusivo è discretamente alta alla prima vaccinazione (47%), ma le differenze percentuali, mostrano un calo dalla prima alla seconda vaccinazione del 13,6% a cui corrisponde un aumento di 15,2% dell'allattamento artificiale. Nel complesso, si raggiunge il 55,4% di allattamento al seno completo

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(esclusivo + predominante) alla prima vaccinazione e il 44,7% alla seconda. E' stata esaminata la correlazione tra tipo di allattamento e partecipazione al corso di preparazione alla nascita: i dati relativi alla prima vaccinazione mostrano che il 57,4% delle donne che hanno partecipato al corso allatta in modo esclusivo (p<0,01). Chi ha frequentato il corso ha il 33% di probabilità in più di allattare al seno in maniera esclusiva al momento della prima vaccinazione (RR 1,33 IC 95% 1,10-1,60) e la differenza risulta significativa (p=0,002). L'associazione tra partecipazione al Corso e allattamento esclusivo risulta più debole alla seconda vaccinazione (differenza non significativa). Presumibilmente la probabilità di allattare al seno in maniera esclusiva fino al 5°-6° mese, risulterà maggiormente collegata alle visite domiciliari post-parto. La verifica di tale nesso costituisce un obiettivo della seconda fase del presente progetto. Conclusione Emerge una drastica diminuzione delle percentuali nell’allattamento esclusivo tra la prima e la seconda vaccinazione. Questi valori tuttavia, non possono essere ritenuti indici di un’effettiva riduzione di allattamento esclusivo, in quanto i dati relativi alle due vaccinazioni, non si riferiscono alla stessa coorte di bambini, quindi per il momento si dispone esclusivamente di dati di prevalenza riferiti a due diversi gruppi e non consentono di trarre conclusioni sulla durata dell’allattamento al seno. P24. Indagine su genitori al di sopra di ogni sospetto A. Rauti*, D. Gambarara**, E. Albini**, I. Panzini*** *SIAN; **Medicina dello Sport, Dipartimento di Sanità Pubblica; *** U.O.Qualità e Accreditamento, AUSL Rimini Premesse: Alcuni dei fattori determinanti sovrappeso ed obesità sono modificabili attraverso interventi mirati, ma l’inefficacia delle iniziative intraprese finora per arginare l’eccesso ponderale rende necessario sviluppare nuove strategie. Obiettivo: Presso tutte le scuole dell’infanzia del Comune di Riccione da oltre un decennio viene attuato il Progetto “Amico Sport”, un programma di iniziazione alla pratica motoria e di sorveglianza epidemiologica sui bambini e le loro famiglie che coinvolge oltre il 90% dei residenti dai 3 ai 5 anni. Lo studio si è proposto di valutare l’impatto che lo stato ponderale e la sedentarietà dei genitori possono avere su comportamenti a rischio dei figli. Metodi: Sono stati rilevati Indice di Massa Corporea e consuetudine alla pratica di attività motoria o sportiva dei genitori dei 251 bambini che frequentano il primo anno delle scuole dell’infanzia di Riccione, mettendoli in relazione con l’abitudine dei figli a consumare una prima colazione corretta e ad assistere a programmi televisivi. Abbiamo considerato “a rischio” i bambini che non effettuavano la prima colazione e passavano oltre 60’ giornalieri davanti alla TV (1). Risultati: L’indagine statistica effettuata con il test del χ2 non ha mostrato correlazioni significative tra abitudini dei bambini e caratteristiche dei loro genitori. Conclusione: Risulta evidente una particolare attenzione, da parte delle madri di Riccione, verso il controllo del peso corporeo, che è normale nel 90% circa dei casi; la pratica di attività fisica risulta superiore alla media italiana (2). Quasi la metà dei maschi, invece, è in sovrappeso, benché l’attività sportiva sia ampiamente praticata. Oltre il 90% dei bambini assume una prima colazione adeguata; l’80% del campione viene però esposto a carichi televisivi eccessivi, anche nelle famiglie più attente al benessere fisico. Riteniamo che gli interventi di educazione sanitaria rivolti alla fascia di età 3-6 anni vadano concentrati in modo prioritario su questa abitudine di vita. (1) Reilly J.J.,et al. Early life risk factors for obesity in childhood: cohort study, BMJ, doi:10.1136/bmj.38470.670903.E0 (pub.20 May 2005) (2) Cultura, societa' e tempo libero: Indagine multiscopo sulle famiglie "Aspetti della vita quotidiana", ISTAT, Anno 2002: (2004)

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P25. Indagine sulle abitudini alimentari e dello stile di vita di 178 bambini delle scuole elementari di Villafranca Tirrena e Calvaruso (ME) R.M. Salomone, G. La Monica*, R. Carbonaro, U. Muraca, L. Manasseri, D. Metro Dipartimenti: Scienze Biochimiche, Fisiologiche e della Nutrizione e Scienze Pediatriche, Mediche e Chirurgiche* - AOU Policlinico Messina Introduzione Nell’ambito dell’attività di educazione alimentare rivolta alle scuole elementari, sono stati raccolti, in occasione di alcuni seminari di informazione su “dieta e salute”, dei dati sulle abitudini alimentari e sullo stile di vita di un gruppo di scolari del secondo ciclo delle scuole elementari di Villafranca Tirrena e Calvaruso, due paesi (uno marino ed uno montano) della provincia di Messina. Questa ricerca ha inoltre permesso di valutare sulla base di disegni realizzati dagli stessi bambini il loro rapporto con l’alimentazione. Metodi A 178 bambini, 106 maschi e 72 femmine (III, IV e V elementare) è stato somministrato un questionario, insieme con una scheda bianca divisa in Colazione, Spuntino, Pranzo, Merenda e Cena (sulla quale hanno realizzato i disegni). Tali strumenti avevano lo scopo di rilevare le abitudini alimentari, sia a casa sia a scuola, lo stile di vita condotto dai bambini al di fuori dall’ambiente scolastico (eventuali sport praticati) e la rappresentazione grafica di ciò che mangiano. Risultati I dati dei questionari sono stati elaborati in modo da evidenziare le abitudini collegate alle diverse età e soprattutto alla diversa posizione geografica dei due paesi nei quali si trovano le scuole. Da un’analisi dei dati emerge che tra i bambini di Villafranca il 39,8% risulta essere sottopeso, il 38,4% normopeso ed il 21,8% sovrappeso. L’alta percentuale di sottopeso potrebbe essere legata al fatto che essi conducono una vita poco sedentaria (molti bambini praticano sport e molti frequentano una scuola di danza e ballo, aperta di recente) e/o fanno pasti molto spesso non completi, come si evince anche dai disegni. Tra i bambini di Calvaruso , invece, vi è una più alta e significativa percentuale di sovrappeso (22,6% sottopeso, 39,1 normopeso 38,3, sovrappeso) poiché conducono una vita più sedentaria, e spesso consumano a pranzo soltanto il primo ed a cena il secondo con la conseguenza che durante la giornata (35% dei bambini) abusano di merendine e gelati. Tra i dati più significativi emergono i seguenti: il consumo di verdura e legumi è molto scarso per tutti i bambini; il consumo di frutta, molto diffuso fra i bambini di III e IV classe, diminuisce nei bambini di V; per questi ultimi, al contrario, aumenta notevolmente il consumo di prodotti non tradizionali, come patatine fritte, würstel, pizza, ketchup e maionese, ecc.

Conclusioni Questo progetto è stato utile soprattutto: per indirizzare i seminari in modo da poter intervenire concretamente sulle scelte di ciascun bambino; per coinvolgere insegnanti e genitori al fine di inculcare ad ogni bambino, nell’ambito della didattica e nella vita quotidiana, l’importanza di una sana e corretta alimentazione e di una corretta attività fisica.

ALIMENTI BAMBINI DI III E IV CLASSE BAMBINI DI V CLASSE

Carne e salumi 78% 86%

Pesce 20% 22%

Verdura e legumi 10% 14%

Frutta 85% 57%

Alimenti non tradizionali 17% 55%

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P26. Indagine sulla predisposizione ai DCA in un gruppo di studenti frequentanti la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Ateneo senese I. Cirillo, E. Borsi, C. Badiali, F. Cardinali, S. Chiassai, C. Francalanci, R. Mattei U.O.C. Dietetica Medica Università degli Studi di Siena Premesse Gli anni dello studio universitario coincidono con una fase importante della vita di ciascun individuo. Per molti significa allontanarsi dalla famiglia e dal luogo di origine, abbandonando abitudini ed atteggiamenti consolidati. Questi cambiamenti si riflettono sullo stile di vita e sull’alimentazione ed in soggetti predisposti, possono determinare modifiche del rapporto con il cibo e lo sviluppo di un disturbo della condotta alimentare (DCA). Obiettivo Il nostro studio ha lo scopo di individuare, in un campione di 274 studenti universitari (100 maschi, 174 femmine) iscritti al secondo anno del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia dell’Università degli studi di Siena, i soggetti che probabilmente potrebbero manifestare un DCA. Metodi Ad ogni studente è stato chiesto di riferire il peso e l’altezza per il calcolo del BMI e di compilare un questionario anonimo, The Eating Attitude Test (EAT-26), nella sua versione ridotta a 26 quesiti. Il test si compone di 26 items concernenti atteggiamenti, sentimenti e comportamenti relativi alle abitudini alimentari, al rapporto con il cibo, con il peso corporeo e le eventuali condotte compensatorie. L’EAT-26 non è un test diagnostico ma uno strumento di screening che consente di individuare soggetti con elevata probabilità di soffrire di un disordine alimentare clinicamente definito. Risultati Dall’elaborazione dell’EAT-26 si evince che dei 274 studenti esaminati il 6,9% presentano un punteggio che supera la soglia predittiva della possibile presenza di un DCA. In particolare, hanno riportato punteggi che indicano una probabile condizione patologica 2 maschi su 100 (2%), di cui 1 normopeso e 1 sovrappeso, e 17 femmine su 174 (9,8%), di cui 1 sottopeso, 13 normopeso e 3 sovrappeso. Conclusione I risultati ottenuti fanno riflettere sull’importanza che assume l’alimentazione nei giovani adulti in una fase così delicata della vita e quindi sulla necessità di individuare precocemente soggetti a rischio di sviluppare un disturbo del comportamento alimentare. P27. Adolescenti: vegetarianesimo e disturbi del comportamento alimentare M. Foderaro, A.M. Caiazzo, F. Mordenti, R. Nicolai, R.E. Papa, A. Vania Centro di Dietologia e Nutrizione Pediatrica - Dip.to di Pediatria - Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Premesse: l’adolescenza è un momento critico, a questa età il bisogno di trovare una propria identità fisica (quindi differenziarsi e accettare il cambiamento), un’identità comportamentale e un proprio pensiero, sposando spesso ideali carichi di grande impatto morale, ecologico e salutista, può condizionare anche le scelte alimentari. Non è infrequente dunque trovare adolescenti che scelgano la dieta vegetariana e ciò può essere talvolta associato a veri e propri disturbi del comportamento alimentare (DCA). Obiettivo: Valutare l’eventuale presenza di DCA tra gli adolescenti vegetariani. Metodi: Rassegna della letteratura degli ultimi 10 anni riguardanti i DCA e il vegetarianesimo nell’adolescente. Risultati: Nei recenti studi di Klopp (2003) e Murat (2005) si evidenzia come la scelta adolescenziale del vegetarianesimo sia sostenuta dalla necessità di controllare il peso, dalla compassione per gli animali, dalle preferenze alimentari e da questioni salutistiche. In tutti gli studi analizzati si evidenzia la prevalenza femminile compresa tra l’60 e il 80%, secondo Larsson (2001) legata a alla maggiore attenzione all’immagine corporea nell’illusione che la dieta vegetariana porti necessariamente a calo ponderale. In molti studi è stata valutata la presenza di tratti DCA in soggetti vegetariani attraverso la somministrazioni di test ( prevalentemente EAT-26) con il riscontro di punteggi nettamente superiori rispetto ai controlli. Ad un’analisi più accurata si è però dimostrato concordemente come l’adottare una dieta vegetariana non conduce a disturbi alimentari, può eventualmente camuffare DCA preesistenti o in evoluzione (Ferry 2001, Martins 1999, O’Connor 1987). Conclusioni: Dallo studio della letteratura si è pertanto confermato come la dimostrata prevalenza di DCA

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negli adolescenti vegetariani rispetto ai coetanei non vegetariani sia realmente presente, ma generalmente non costituisce una patologia nata ex novo dalle modificate abitudini alimentari ma piuttosto di un disturbo già presente e non ancora diagnosticato. Sarebbe dunque utile che il nutrizionista/pediatra di fronte ad un adolescente vegetariano valuti le motivazioni della scelta e l’eventuale correttezza nutrizionale della dieta e in collaborazione con lo psicologo (figura fondamentale in un ambulatorio di dietologia e nutrizione pediatrica) ove necessario sottoponga il paziente a screening per DCA conclamati o atipici valutando eventuale presenza di Binge Eating Disorder, Emotional Eating o semplice grazing. P28. Plasma Apelin Levels: Relationship with Anthropometry, Body Composition Parameters, and Leptin in a sample of women with menstrual irregularities E. Emanuele 1, G. Pinelli2, O. Colombo2, C. Trentani2, S. Sieri3, R. Nappi4, A. Tagliabue2

Center for Research in Molecular Medicine, Pavia Univ. 2) Human Nutrition and Eating Disorders Research Center, Pavia Univ. 3) National Cancer Institute, Milan 4) Fondazione S. Maugeri, Pavia Introduction Apelin is a bioactive neuropeptide whose potential role in the regulation of body composition has been recently suggested. Accordingly, apelin has been found to be expressed in hypothalamic paraventricular and ventromedial nuclei, areas that are generally involved in control of feeding behavior. In addition, animal studies have shown that apelin is expressed in organs involved in satiety control such as stomach and adipose tissue. Aim The aim of our study was to explore the relationship between plasma apelin, leptin, and anthropometric and body composition variables in a sample of young women referred for evaluation of oligo-amenorrhea. Methods Circulating concentrations of apelin and leptin were determined in plasma samples by means of validated ELISA assays. All determinations were performed in duplicate and in a blinded fashion. Fat mass was determined by dual-energy x-ray absorptiometry. Dietary intakes of energy and macronutrients were assessed by a food frequency questionnaire. Results A total of 25 young women were included in the study (age: 24.2 ± 4.2 y; BMI: 20.8 ± 3.5 kg/m2). Mean levels of apelin in plasma were 588 ± 266 pg/mL. No significant age effect for circulating apelin levels was observed. In bivariate correlation analyses, apelin showed significant correlations with leptin (r = 0.50, p = 0.011), BMI (r = 0.50; p = 0.011) percentage body fat (r = 0.53; p = 0.006) energy and carbohydrate intake (r = 0.55; p = 0.004 and r = 0.60; p = 0.001, respectively). Conclusion The significant associations between the novel adipokine apelin and anthropometric, body composition variables and leptin in our sample suggest an important role of this peptide in regulation of body composition, at least in women with oligo-amenorrhoea. Additional studies are needed to determine the mechanisms whereby this occurs. P29. Variabili antropometriche, stile di vita e valori di pressione arteriosa in oltre 10.000 soggetti adulti: la coorte EPIC-Firenze B. Bendinelli1, G. Masala1, S. Salvini1, C. Saieva1, M. Ceroti1, Y. Plantinga2, L. Ghiadoni2, D. Palli1 1CSPO-Istituto Scientifico Prevenzione Oncologica, Firenze; 2Università di Pisa, Pisa Premesse: E’ ampiamente accettato che caratteristiche antropometriche e stile di vita influenzano i valori di pressione arteriosa (PA). Le linee guida per il controllo dell’ipertensione sottolineano l’importanza di questi fattori. Obiettivo: Scopo di questo studio è valutare la relazione tra variabili antropometriche e di stile di vita sulla PA

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in un’ampia coorte di volontari apparentemente sani. Metodi: Nell’ambito dello studio EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition) sono stati reclutati (1993-98) 13.597 volontari residenti a Firenze (35-64 anni, 10.083 donne). Sono state raccolte all’arruolamento informazioni su dieta, stile di vita, attività fisica, patologie, misure antropometriche, valori di pressione sistolica (PAS) e diastolica (PAD). Sono stati esclusi dall’analisi 2.692 soggetti (19,8%) che riferivano una diagnosi clinica di ipertensione e/o trattamento antiipertensivo e 760 soggetti (5.6%) senza misure di PA. Nei rimanenti 10.260 soggetti (7.601 donne) i determinanti di PAS e PAD sono stati studiati attraverso modelli di regressione multivariata che includevano sesso, età, indice di massa corporea (IMC), circonferenza vita (sotto/sopra i valori soglia OMS), abitudine al fumo, livello di educazione e un indice di attività fisica totale. Risultati: Tra i 10.260 adulti, i valori medi di PAS e PAD erano rispettivamente 124,4 (DS15,6) e 79,7 mmHg (DS9,4). Il 23.9% dei soggetti rientrava nelle categorie di ipertensione leggera, moderata o severa (PAS≥140mmHg e/o PAD≥90mmHg, Guidelines-Journal of Hypertension 2003). Il sesso femminile, lo stato di fumatore e un alto grado di educazione erano associati inversamente con PAS e PAD; età, sovrappeso, obesità e circonferenza vita erano invece direttamente associati con PAS e PAD. L’attività fisica totale era inversamente associata con PAD (p=0,012). Conclusione: In questa ampia serie di adulti toscani si conferma l’influenza indipendente di IMC e circonferenza vita su PAS e PAD e una associazione inversa tra valori di PAD e attività fisica. Sono in atto ulteriori analisi per valutare il ruolo specifico sui valori di PA della dieta (consumo di alimenti e bevande; assunzione di nutrienti e energia totale) e approfondimenti sui fattori legati allo stile di vita (attività fisica al lavoro e nel tempo libero). E’ inoltre in corso il follow up di stato in vita di questa coorte. P30. Alimentazione e promozione della salute sul luogo di lavoro G. Cairella, L. Leo, L. Benedettini*, C. Frascheri*, G. Galli*, P. Longo, M. Molinaro Area della Nutrizione – Dipartimento di Prevenzione ASL RMB – ROMA; *Ufficio Prevenzione Rischi sul Lavoro CGL, CISL e UIL Nazionale - ROMA Premessa: La letteratura evidenzia che distribuzione dei pasti, combinazione di alimenti, uso di bevande e sedentarietà influenzano in maniera diretta la performance lavorativa; dati INAIL riferiscono un aumento del rischio infortunistico nelle ore post-prandiali. Gli stili di vita e l’alimentazione possono contribuire ad una maggiore sicurezza e tutela del lavoratore. Obiettivi: valutare abitudini alimentari, stili di vita, sovrappeso ed obesità per la programmazione di interventi di promozione della salute sul luogo di lavoro. Metodi: Nell’ambito di un progetto di ricerca ISPESL, sono stati considerati i lavoratori del settore metalmeccanico, trasporti ed edilizia (n 631; 573 M e 58 F) ed è stato somministrato un questionario per rilevare: 1) peso, altezza 2) attività fisica extralavorativa 3) caratteristiche dell’alimentazione sul luogo di lavoro e consumo di bevande alcoliche 4) conoscenze e bisogni formativi in campo nutrizionale. Risultati: la prevalenza di sovrappeso ed obesità è 64.5% e 13.1% nei M e 16.1% e 3.5% nelle F; il 54% dei soggetti conduce uno stile di vita extralavorativo di tipo sedentario. Riguardo l’alimentazione sul luogo di lavoro il 50% ed il 60% dei lavoratori riferiscono uno scarso consumo di frutta e verdura ed il 5% assume bevande alcoliche; il 32% fa uso eccessivo di sale. Circa il 50% dei lavoratori non ha conoscenze adeguate su densità energetica degli alimenti e capacità di comporre una razione alimentare adeguata; inoltre il 25% dichiara di seguire una alimentazione controllata per motivi di salute, il 51% vorrebbe indicazioni su una sana alimentazione e la maggioranza desidera un miglioramento di varietà e qualità nutrizionale della ristorazione aziendale. Conclusioni: L’indagine effettuata suggerisce l’utilità del monitoraggio periodico di indicatori dello stato nutrizionale, evidenzia bisogni formativi specifici nutrizionali e criticità nel settore della ristorazione aziendale. Le informazioni raccolte sono state utilizzate per l’elaborazione di materiale informativo, finalizzato a favorire iniziative sul posto di lavoro per la promozione della salute.

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P31. Valutazione dello stato nutrizionale nei subacquei incursori della Marina Militare M. Malavolti1, N.C. Battistini1, M. Dugoni1, M. Poli1, S. Panico3, A. Pietrobelli1,2

1 Cattedra di Scienze Tecniche Dietetiche Applicate, Università di Modena e Reggio Emilia, Italy; 2 Unità Pediatrica, Facoltà di Medicina dell’Università di Verona, Italy;3 Marina Militare Italiana, Consubim Teseo Tesei, La Spezia, Italy Introduzione: l’incursore subacqueo (IS) presenta, probabilmente, il dispendio energetico più elevato di tutti i soldati in servizio delle Forze Armate Italiane. L’ intensità dell’ allenamento fisico durante il corso IS, che dura complessivamente 9 mesi, è tale da far ritenere pressoché sicure modificazioni rilevanti della composizione corporea. Scopo: Il presente studio si propone di valutare gli effetti sulla composizione corporea del corso IS usando tre differenti metodiche: antropometria (SF), pletismografia ad aria (BOD-POD) e assorbimetria a doppio raggio X (DXA). Materiali e Metodi: 27 inscritti hanno iniziato il corso IS, ma solamente 10 sono riusciti a completarlo. Il corso prevede tre diverse fasi: “combattimento a terra”, “combattimento in mare” e “combattimento anfibio”. La composizione corporea è stata misurata all’inizio, a metà e al termine del corso. Risultati: Al termine della prima fase “ combattimento a terra” le variabili della composizione corporea sono significativamente diminuite: peso corporeo (p < 0.05), massa magra (FFM) (p < 0.001) e massa grassa (FM) (p< 0.03). Mentre al termine della terza fase “combattimento anfibio” il peso corporeo è aumentato in modo significativo (p < 0.01). Tale aumento è dovuto principalmente ad un forte incremento della FFM (p < 0.001) con una minima diminuzione della FM. E’ stata osservata anche una differenza statisticamente significativa (p < 0.05) a livello di pliche e circonferenze misurate nei punti di repere nelle diverse fasi del corso. L'analisi di Bland-Altman non mostra alcuna differenza statisticamente significativa tra le misure di FM e FFM fatte con le tre diverse metodiche in tutte tre le visite. Comunque, in ogni visita, le misurazioni di FFM e FM ottenute con il BOD-POD sono risultate molto più correlate (p = 0.90) con le stesse misurazioni effettuate con la DXA rispetto a quelle effettuate con SF. Conclusioni: BOD-POD e SF, confrontati con la DXA, forniscono un valido e accurato metodo di misurazione delle modificazioni della composizione corporea in questo gruppo di studio, sebbene i nostri risultati dimostrano che esiste una maggiore correlazione tra le misurazioni di FFM e FM effettuate con il BOD-POD e quelle effettuate con la DXA rispetto a quelle effettuate tra DXA e SF. Inoltre il BMI non si è rivelato un valido indice di adiposità-magrezza per persone che svolgono un’intesa attività fisica. P32. Elementi clinici funzionali in grado di determinare l’esito della nutrizione artificiale M.L. Ricciardi, C. Savina*, C. Coletti*, L. Scavone, M. Paolini, L.M. Donini, C. Cannella Istituto di Scienza dell’Alimentazione – Università di Roma “La Sapienza”; * Casa di Cura Villa delle Querce Nemi -RM Premessa: La nutrizione artificiale (NA) è ormai considerata una terapia medica a tutti gli effetti e come tale devono essere valutate la sua efficacia e la sua efficienza. Mentre la prima è già stata ampiamente sondata ed appurata, ancora poco è stato fatto sull’efficienza. Obiettivo: Il nostro obiettivo è stato quello di individuare parametri (clinici, funzionali, nutrizionali) capaci di predire, prima dell’inizio di un intervento di NA, i soggetti che probabilmente non trarranno un reale beneficio dalla terapia stessa. In tal modo si eviterebbero sprechi economici e si aumenterebbe l’efficienza della NA. Metodi: E’ stata effettuata la valutazione retrospettiva dei dati clinici di 312 soggetti sottoposti a trattamento di NA ricoverati presso la Clinica “Villa delle Querce” di Nemi e il policlinico “Umberto I” di Roma tra il 1999 e il 2006. Per ogni paziente sono stati valutati: caratteristiche generali (età, sesso), caratteristiche cliniche (comorbilità, qualità di vita, fragilità), stato nutrizionale (antropometria, esami ematochimici, tipo di malnutrizione), tipologia del trattamento di NA (NET, NPT, NA mista), esito della NA (positivo vs negativo) entro i primi 30 giorni. Risultati: Età avanzata, funzioni sociali scadenti, stato cognitivo deteriorato, comorbilità e fragilità elevate, livelli di albuminemia, preabuminemia, linfocitemia e colinesterasemia diminuiti e valori di PCR elevati sono

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risultati significativamente correlati con un esito negativo della NA. Il modello di regressione logistica con tali parametri è risultato avere un buon valore predittivo di esito della NA (89,7%). Conclusioni: Tali strumenti pratici potrebbero essere di grande aiuto nella pratica clinica come supporto per il medico qualora si trovi a dover prescrivere un trattamento di NA, decisione spesso non semplice, anche per implicazioni etiche ad essa legate. Ulteriori studi devono essere eseguiti su tale argomento così da aumentare le conoscenze e migliorare l’efficacia e l’efficienza dei trattamenti di NA. P33. Stato nutrizionale e consumo alimentare in pazienti affetti da sclerosi laterale amiotrofica (SLA) G. Bovio*, D. Alimonti°, P. Capodaglio°, K. Marinou°, G. Mora° *U.O. Cure Palliative; ° U.O. Neuroriabilitazione 2; Fondazione Salvatore Maugeri, Pavia Premessa: Lo stato nutrizionale nei pazienti affetti da SLA è stato finora scarsamente indagato. Obiettivo: Valutare lo stato nutrizionale e il consumo alimentare in pazienti affetti da SLA. Metodi: Sono stati valutati tutti i pazienti con SLA afferiti consecutivamente presso la U.O. di Neuroriabilitazione. Sono stati esclusi i pazienti in nutrizione artificiale. Abbiamo rilevato: indice di massa corporea (BMI), percentuale di calo ponderale negli ultimi 6 mesi, plica tricipitale (Ts), circonferenza del braccio (AC), area muscolare del braccio (AMA), area adiposa del braccio (AFA), introito calorico giornaliero medio (EI); inoltre abbiamo determinato il metabolismo basale con la formula di Harris-Benedict (MB). Risultati: Sono stati reclutati 70 pazienti, 35 donne e 35 uomini, età media: 61.4 ± 12 anni. Il BMI medio era 22.77 ± 3.8 Kg/m², i pazienti con BMI inferiore a 18.5 Kg/m² erano 9 (13 %); 25 (36%) quelli con BMI inferiore a 22. Il calo ponderale medio negli ultimi 6 mesi era 8.8 ± 9.6 %; il 58 % della popolazione studiata presentava un calo ponderale negli ultimi 6 mesi superiore al 5 %. Ts e AC inferiori al 15° percentile erano riscontrate rispettivamente nel 34 % e nel 51 % dei pazienti. Valori di AMA e AFA inferiori al 10° percentile erano presenti rispettivamente nel 47 % e nel 29 % della popolazione. Il 35 % dei pazienti aveva un EI giornaliero inferiore al proprio MB. Tra le donne si evidenziava una percentuale di soggetti con Ts e AFA inferiori alla norma statisticamente superiore rispetto agli uomini (p < 0.001). Conclusioni: Nei pazienti affetti da SLA c’è una elevata prevalenza di malnutrizione. In particolare abbiamo osservato quanto segue: 1) valori di BMI inferiore alla norma in una discreta percentuale 2) un calo ponderale superiore al 5% in più della metà della popolazione 3) parametri antropometrici nel range della malnutrizione in una notevole percentuale di pazienti 4) una riduzione dell’area muscolare del braccio in circa la metà della popolazione 5) una riduzione dell’area adiposa del braccio più evidente nelle femmine 5) un introito calorico giornaliero inferiore al metabolismo basale in una discreta percentuale di pazienti. P34. Influenza della disfagia sullo stato nutrizionale e sul consumo alimentare in pazienti con sclerosi laterale amiotrofica (SLA) G. Bovio*; D. Alimonti°; P. Capodaglio°; K. Marinou°; G. Mora° *U.O. Cure Palliative, ° U.O. Neuroriabilitazione 2, Fondazione Salvatore Maugeri, Pavia Premessa: Nei pazienti affetti da SLA la disfagia è un disturbo che può manifestarsi all’esordio (circa un terzo dei casi) o durante la progressione della malattia (circa 80% dei casi). Obiettivo: Valutare gli effetti della disfagia sullo stato nutrizionale e sul consumo alimentare in pazienti con SLA. Metodi: In 50 pazienti consecutivi affetti da SLA è stata valutata la deglutizione con il bedside swallowing assessment. Non sono stati considerati i pazienti con disfagia solo per i solidi o solo per i liquidi nè i pazienti in nutrizione artificiale. Abbiamo rilevato l’indice di massa corporea (BMI), la percentuale di calo ponderale negli ultimi 6 mesi, la plica tricipitale (Ts), la circonferenza del braccio (AC), l’area muscolare del braccio (AMA), l’area adiposa del braccio (AFA); inoltre abbiamo determinato il metabolismo basale con la formula di Harris-Benedict (MB) e l’introito calorico giornaliero (EI). Risultati: Dei 50 pazienti valutati, 25 (13 F, 12 M; età 62.5 ± 13 anni) avevano disfagia sia per i solidi che per i

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liquidi mentre 25 (9 F, 16 M; età 60.4 ± 12 anni) non avevano disfagia. Nei pazienti disfagici si evidenziava un BMI significativamente inferiore (21.67 ± 4.5 vs 23.75 ± 2.5 Kg/m²; p < 0.05); una più elevata percentuale di calo ponderale negli ultimi 6 mesi (11.1 ± 10.6 vs 6.8 ± 5.9 %; p = 0.08) e una maggiore percentuale di pazienti con Ts inferiore al 15° percentile (20 vs 48%; p=0.07) sebbene non statisticamente significativi. La percentuale di pazienti con AFA inferiore al 10° percentile (48 vs 8 %; p = 0.005) e l’EI (1418 ± 385 vs 1725 ± 493 Kcal; p < 0.02) erano significativamente alterati rispetto ai valori riscontrati nei soggetti senza disfagia. Conclusioni: La disfagia nei pazienti con SLA provoca un peggioramento dei parametri nutrizionali. In particolare, un BMI più basso, un maggiore calo ponderale negli ultimi sei mesi, parametri antropometrici peggiori e un minore intake calorico giornaliero. E’ pertanto necessario porre tempestivamente la diagnosi di disfagia e favorire un maggiore apporto nutritivo in questi pazienti per prevenire le alterazioni dello stato nutrizionale. P35. Abitudini alimentari ed indici antropometrici in un campione di popolazione adulta in età lavorativa dell’Italia meridionale: risultati dell’Olivetti Prospective Heart Study A. Venezia1, G. Barba2, R. Iacone1, O. Russo1, P. Schiattarella1, E. Farinaro3, P. Strazzullo1 1Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli; 2Istituto di Scienze dell’Alimentazione, CNR, Avellino. 3 Dipartimento di Scienze Mediche e Preventive, Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli Obiettivo: Il presente studio ha analizzato le abitudini alimentari e valutato prospetticamente le loro associazioni con gli indici antropometrici nell’ambito dell’Olivetti Prospective Heart Study, studio longitudinale dei fattori di rischio cardiovascolari realizzato nei dipendenti dell’Olivetti di Pozzuoli (NA) e di Marcianise (CE). Metodi: 1066 adulti di sesso maschile (età=51.9±7.4 anni, M±SD, range 26-79) sono stati visitati al basale nel 1994 e di essi, 890 (83 % del campione originario) sono stati riesaminati nel follow up del 2002-2004. Al basale e al follow up, sono stati misurati i principali indici antropometrici (peso, altezza, plica sottoscapolare e tricipitale) secondo procedure standardizzate, gli indici glicometabolici e raccolti i dati anamnestici e sullo stile di vita. Le abitudini alimentari sono state valutate al basale mediante un questionario di frequenza di consumo (FFQ, 1-year closed-ended, 120 items), in precedenza validato. Risultati: Al basale, il 57% dei partecipanti è risultato in sovrappeso e il 17% obeso. La prevalenza di ipertensione arteriosa era pari al 42% e quella di diabete al 3.5%. Il 43% del campione era costituito da fumatori. L’apporto calorico medio era di 1843±584 kcal/die (range 650-4088), così suddiviso nei principali macronutrienti (percento di energia totale): Carboidrati=50±9%; Grassi=26±6% (in prevalenza monoinsaturi, 48±6% dei grassi totali); Proteine=15±3%; Alcool=9±8%. L’apporto di fibre con la dieta era pari a 18.9±7.1 g/die e quello di calcio di 525±248 mg/die. È stato inoltre calcolato il Mediterranean Adequacy Index (MAI; Fidanza, NMCD, 2004 Dec; 14(6):397). Questo indice è risultato significativamente e direttamente associato all’età (r=0.168;P<0.001) e inversamente allo spessore della plica tricipitale (r=-0.093;P=0.002) e sottoscapolare (r=-0.067;P=0.029). La significatività statistica era mantenuta anche dopo correzione per età (P<0.05). Il MAI è risultato inversamente e significativamente associato allo spessore delle pliche tricipitale e sottoscapolare misurate nel follow up del 2002-2004 (r=-0.066 e r=-0.083, rispettivamente, P<0.05). Conclusioni: Questo studio descrive le abitudini alimentari di un campione di maschi adulti dell’Italia meridionale. I nostri dati suggeriscono che l’adozione di un modello alimentare di tipo ‘Mediterraneo’ (come stimato dal MAI) è più spesso prerogativa delle fasce più anziane della popolazione e che esso si associa, per motivi ancora da definire, ad un minor grado di adiposità.

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P36. Dinamometria della mano, antropometria e bioimpedenziometria in pazienti in insufficienza renale cronica in pre-dialisi V. Bellizzi, 1V. Antognazzi, 1M.R. Serra, 1M. Dello Russo, 1L. Scalfi Unità Operativa Nefrologia e Dialisi - Ospedale Landolfi, Solfora; 1Nutrizione Umana – Università degli Studi Federico II - Napoli Premessa Prevalenza e caratteristiche della malnutrizione nei pazienti con insufficienza renale predialitica sono state finora valutate soltanto parzialmente, anche per la mancanza di specifici protocolli operativi. La dinamometria della mano è stata riconsiderata con interesse come un possibile indice funzionale dello stato di nutrizione, ma le sue relazioni con variabili di composizione corporea di uso clinico restano poco conosciute. Obiettivo Valutare la forza di contrazione dei muscoli flessori della mano in relazione ad alcune variabili cliniche di composizione corporea (anche segmentale) in pazienti con insufficienza renale cronica predialitica. Metodi 31 pazienti con IRC pre-dialisi hanno partecipato alla fase preliminare dello studio: 18 uomini (66,0±13,0 anni, 26,7±3,6 kg/m2) e 13 donne (69,1±11,2 anni, IMC 28,9±2,6 kg/m2). Il protocollo sperimentale prevedeva la misurazione di : 1) forza di contrazione muscolare dei muscoli flessori della mano (FCM); 2) misure antropometriche (peso, altezza, lunghezza dell’arto superiore, plica tricipitale e circonferenza del braccio); 3) bioimpedenziometria (impedenza e angolo di fase=AF alla frequenza di 50 kHz) per l’intero organismo e per l’arto superiore. Variabili derivate erano la circonferenza muscolare del braccio, l’area muscolare del braccio e l’indice bioimpedenziometrico (IB), quest’ultimo calcolato come rapporto fra altezza o lunghezza dell’arto superiore e corrispondente impedenza. Risultati Circonferenza muscolare e area muscolare non erano diversi fra i due sessi, mentre l’area lipidica era significativamente maggiore nelle donne. Per quanto interessa la BIA, l’IB e l’AF sia per l’intero organismo che per l’arto superiore presentavano dei valori significativamente più elevati nel sesso maschile. In media la FCM era pari a 30,6±7,5 kg negli uomini e a 19,5±4,4 kg nelle donne. Dopo correzione per genere e per differenze in età, la FCM risultava significativamente correlata alla circonferenza muscolare e all’area muscolare (R>0,80 per le tre variabili considerate insieme). Egualmente, le regressioni multiple che prendevano in considerazione la BIA dimostravano che in questo caso era l’AF piuttosto che l’IB a dimostrarsi un predittore significativo della FCM (R>0.80 per le tre variabili considerate insieme). Conclusioni La forza dei muscoli flessori della mano è strettamente correlata a variabili antropometriche quali la circonferenza e l’area muscolare del braccio. L’AF si propone come un parametro utile per una migliore interpretazione delle variabili funzionali dello stato di nutrizione. P37. Anthropometric measurements and body composition in Neaples aging population G. Nasti, Z. Albanese, G.Gargiulo, I. Maresca, A. Taurone, G. Prestieri, A. Colantuoni Department of Neuroscience, “Federico II” University Medical School, Naples, Italy Aim: Aging is characterized by changes in body composition with decrease in body fat free mass (FFM), i.e. skeletal muscle, and increase in fat mass (FM). The aim of the present study was to assess body composition of aging people (60-75 years old), recruited from population coming to our Outpatient Clinics. Methods: two hundred and twenty seven people (166 females) were studied. The anthropometric measurements carried out were: weight, height; waist, hip and mid-upper arm circumferences (WC, HC, MAC), triceps skinfold (TS). Bioelectrical impedance analysis was performed. Data were compared with those derived from control adult healthy subjects (155 people: 114 females). Results: The subjects showed a body mass index (BMI) of 32.78 ± 3.94 and 33.8 ± 6.5, in male (M) and female (F) people, respectively. FFM percentage was 69.16 ± 5.27 and 55.53 ± 5.8 in M and F versus (vs) control (C) 73.24 ± 11.58 and 55.07 ± 7.6 ; FM percentage was 30.83 ± 5.27 and 44.25 ± 5.74 in M and F vs C 25.78 ± 4.9 and 44.14 ± 8.02. Total body water percentage was 54.28 ± 3.4 and 44.56 ± 4.46 in M and F vs C 53.98 ± 2.9 and 43.70 ± 4.28. TS was 19.28 ± 7.3 and 27.57 ± 5.55 in M and F vs C 20.32 ± 7.07 and 28.30 ± 6.07. MAC was 34.49 ± 3.07 and 34.33 ± 4.08 in M and F vs C 36.23 ± 3.51 and 35.32 ± 4.9. WC was 113.09 ± 8.1 and 104.32 ± 12.99 in M and F vs C 113.25 ± 13.51 and 100.27± 13.88. HC was 107.57 ± 8.77 and 111.78 ± 11.77 in M and F vs C 109.04 ± 9.53 and 111.54 ± 12.31.

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Conclusions: The aging subjects showed mainly first degree obesity. A significant difference between the body composition of aging man and women is highlighted by the values of FFM and FM because of reduction of FFM and increase in FM in M, compared with the unmodified values in F. P38. Confronto tra diversi metodi di valutazione del dispendio energetico in un gruppo di ragazze normopeso in relazione all’apporto calorico F. Pasqui*, M. Baldini°, M. Maranesi° *Dipartimento di Medicina Interna e Gastroenterologia -°Dipartimento di Biochimica “G. Moruzzi” Università degli Studi di Bologna Premessa La definizione del dispendio energetico in condizioni di riposo e durante l’attività fisica rappresenta il punto di partenza per una impostazione dietetica corretta che soddisfi le necessità individuali in calorie e nutrienti. Le innumerevoli metodiche a disposizione (calorimetria indiretta, equazioni, sensewear armband) forniscono risultati non sempre concordi riguardo al consumo calorico, per cui la scelta del metodo può condizionare la definizione del fabbisogno e conseguentemente l’assegnazione dell’apporto calorico della dieta (1). Obiettivo Ci si è proposti di valutare la corrispondenza tra metodiche diverse di misurazione del dispendio energetico in relazione all’apporto calorico in un gruppo di ragazze normopeso. Metodi Su 30 ragazze tra i 22 e i 28 anni, sane, normopeso, con attività fisica moderata, è stato valutato il dispendio energetico giornaliero utilizzando: la formula di Harris Benedict per il metabolismo di base + gli equivalenti metabolici (MET) per le diverse attività svolte; il metabolimetro + MET; il “sensewear armband”. L’apporto dietetico in calorie e nutrienti è stato calcolato utilizzando questionari di frequenza di consumo e WinFood come data base. Risultati I dati ottenuti dalle tre differenti metodiche di valutazione del dispendio energetico non sono risultati omogenei, in particolare sia la calorimetria indiretta che la valutazione con sensewear armband hanno fornito valori di dispendio energetico più bassi rispetto ai risultati ottenuti con il calcolo teorico. Gli apporti calorici sono risultati nettamente inferiori ai valori di dispendio calorico calcolato teoricamente; mentre si è evidenziata una sostanziale corrispondenza con i dati ottenuti con la calorimetria indiretta e con sensewear armband. Conclusioni Dal momento che il campione esaminato presentava valori di BMI nella norma, l’apporto calorico e la ripartizione tra i principi nutritivi sono risultati corrispondenti alle indicazioni LARN per fascia di età e tipo di attività, la mancata corrispondenza con la valutazione del dispendio energetico effettuata con il metodo teorico lascia supporre una sovrastima. Poiché spesso vengono proposti interventi nutrizionali che si basano su tali presupposti fabbisogni energetici sarebbe opportuna una attenta revisione dei parametri alla base delle equazioni normalmente utilizzate per non compromettere i risultati. 1) Conway J.M., Seale J.L., Jacobs D.R., Irvin M.L., Ainsworth B.E., J. Clin. Nutr. 2002,75,519-25. P39. Diete ipocaloriche a breve termine a normale ed elevata quota proteica: effetto sulla composizione corporea in una popolazione di donne obese M.C. Mele*, A. Sgadari**, M. Castorina*, E. Sacco*, G.E. Martorana*, B. Tavazzi*, B. Giardina* *Istituto di Biochimica e Biochimica Clinica, Unità di Nutrizione Umana e di Medicina di Laboratorio, ** Dipartimento di Scienze Gerontologiche, Geriatriche e Fisiatriche, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma Premesse: Recenti dati della letteratura suggeriscono che un moderato incremento delle proteine della dieta, rispetto agli attuali livelli raccomandati (0,8 g kg -1), possa favorire il decremento ponderale risparmiando la

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massa magra nella dietoterapia dell’obesità. Obiettivo: Valutare l’effetto di due regimi ipocalorici a differenti livelli proteici sulla composizione corporea in una popolazione di donne obese sottoposte a dieta per otto settimane. Metodi: 24 pazienti obese (IMC 33,7 ± 3,57), suddivise in due gruppi omogenei per età e composizione corporea, sono state sottoposte per otto settimane a due regimi ipocalorici isolipidici, con lo stesso decremento energetico rispetto al fabbisogno giornaliero stimato (-500 Kcal/die), ma con differente ripartizione della quota calorica in termini di glucidi e proteine (Proteine Standard (PS) 55%, 15%, 30% e Proteine Elevate (PE) 40%, 30%, 30%). La composizione corporea è stata determinata all’ingresso e dopo otto settimane mediante DEXA. Risultati: entrambi i gruppi hanno mostrato un significativo decremento ponderale, passando da 88.7±13.9 Kg ( media ± DS) a 83.1±13.1 Kg ( media ± DS, p<0.001) il gruppo a PS ed da 86.7±14.6 Kg a 82.9±13.6 Kg ( media ± DS, p=0.007) quello a PE, senza significative differenze tra i due gruppi. La variazione di massa grassa è stata significativa per entrambi i gruppi rispetto al basale (rispettivamente PS -4.1±2.1 Kg, p<0.001 e -3.5±1.8 Kg, p<0.01), ma non differente tra i due gruppi (p=0.41); al contrario, la massa magra del gruppo a PS è significativamente diminuita rispetto al basale (-1.6±1.8 Kg, p=0.024) e rispetto al gruppo a PE (p=0.021), che è rimasta invariata rispetto al basale (0.3±0.9 Kg, p=0.93). Conclusioni: diete isoglucidiche ed isolipidiche, con due livelli proteici, determinano lo stesso decremento ponderale e di massa grassa, ma conservano differentemente la massa magra in una popolazione di donne obese. P40. Intervento nutrizionale non prescrittivo e riduzione del rischio cardiovascolare in una popolazione di donatori di sangue obesi. M.C. Mele*, M. Caprinozzi*, G.E. Martorana*, A. Giraldi*, S. Di Gregorio**, P. Celata**, M.A. Farinato**, B. Giardina* *Istituto di Biochimica e Biochimica Clinica, Unità di Nutrizione Umana, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Cattolica del Sacro Cuore Roma , ** Centro Trasfusionale Ospedale Fatebenefratelli-Isola Tiberina Roma Premesse: L’obesità rappresenta uno dei principali fattori di rischio per l’insorgenza di patologia cardiovascolare di tipo ischemico. Parametri quali peso, circonferenza vita, rapporto vita/fianchi, IMC, colesterolo totale ed HOMA sono significativamente associati al rischio cardiovascolare. Obiettivo: Valutare se un intervento nutrizionale mirato a modificare il consumo di glucidi semplici e di lipidi, senza la prescrizione di una dietoterapia personalizzata, possa ridurre i suddetti parametri in una popolazione di donatori di sangue obesi. Metodi: 100 donatori abituali obesi (IMC 32,7 ± 2,8, media ± DS) sono stati sottoposti ai controlli ematochimici propri di ogni donazione (tra cui glicemia, colesterolo totale, trigliceridi), a cui è stata aggiunta l’insulina per il calcolo dell’HOMA, e valutati da un dietista che ha rilevato alcune misure antropometriche (peso, altezza, circonferenza vita, rapporto vita/fianchi) e fornito semplici indicazioni su come ridurre i glucidi semplici e migliorare la qualità dei lipidi assunti. Non sono state fornite indicazioni su grammature delle pietanze mirate alla riduzione dell’apporto energetico o consegnati schemi domiciliari. I donatori sono stati rivalutati dopo 10 settimane dall’intervento. Risultati: Sia i parametri antropometrici, sia quelli ematici hanno mostrato diminuzioni statisticamente significative. Conclusioni: un intervento nutrizionale effettuato durante una donazione di sangue, volto a modificare il consumo di glucidi semplici e di lipidi, determina una significativa riduzione di fattori di rischio cardiovascolare in una popolazione di donatori abituali obesi. Pertanto, un intervento nutrizionale non prescrittivo, durante le donazioni di sangue, può rappresentare un valido momento di prevenzione nei confronti del rischio cardiovascolare legato all’obesità.

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P41. Dieta ipocalorica e variazione dei lipidi plasmatici:e’ importante il tipo di dieta A. Vanotti, A. Gini, G. Ponti, L. Farias, G. Mura,C. Bernasconi U.O. Nutrizione Clinica e Dietetica ASL Provincia Como L’obesità ed in particolare l’adiposità addominale incrementa il rischio di malattia cardiovascolare e di eventi coronarici acuti. Diversi studi sono concordi nell’indicare che la dieta e il calo ponderale si associano ad un significativo decremento di colesterolo totale (TC), TG e LDL–C, e l’approccio dietologico è considerato una via percorribile per favorire la normalizzazione dei lipidi plasmatici e delle lipoproteine aterogene nei soggetti in eccesso ponderale. Miglioramenti più significativi di LDL-C e TG si presentano solitamente entro i primi 2 mesi di calo ponderale e sono correlati alla percentuale di peso perso, mentre il recupero del peso perso conduce ad una ricaduta delle concentrazioni di LDL-C e TG. È necessaria una perdita ponderale stabilizzata del 5% perché si verifichi un calo nelle concentrazioni dei TG ematici, mentre TC e LDL-C ritornano verso i valori basali se non viene mantenuta una perdita ponderale del 10%. In un nostro recente studio sono stati presi in esame 50 pazienti sottoposti a trattamento dietoterapico e valutati al tempo 0 e dopo 6 mesi: essi hanno mostrato una perdita ponderale media di 8,72 kg, una riduzione media della circonferenza vita di 8.88 cm; la riduzione media del CT e’ stata di -16,43 mg/dl, ,la riduzione media dei TG di - 70,22 mg/dl e mentre l’HDL-C non ha mostrato,in media,variazioni degne di nota (+ 0.20 mg). Mentre tra perdita di peso e riduzione del TC la correlazione non era significativa, così come non lo era per riduzione della circonferenza vita e riduzione dei TG, si sono registrate correlazioni più significative tra perdita di peso e riduzione dei TG (P < 0.1) e tra riduzione della circonferenza vita e TC. Interessante è però la correlazione tra riduzione del TC e riduzione dei TG (P < 0.05), che può dimostrare come sia necessaria l’aderenza ad una dieta con un apporto controllato di grassi saturi, colesterolo e glicidi per ottenere i risultati migliori. Quindi pare più il tipo di dieta, e non la perdita generica di peso, a condizionare l’evoluzione del quadro lipidico. P42. Diete ipocaloriche con colazione e spuntino a normale ed elevata quota proteica: effetto sugli aminoacidi ramificati e sul rapporto triptofano/aminoacidi neutri nell’obesità M.C. Mele*, A. Sgadari**, P. Meniconi*, E. Sacco*, G.E. Martorana *, B. Tavazzi*, B. Giardina* *Istituto di Biochimica e Biochimica Clinica, Unità di Nutrizione Umana e di Medicina di Laboratorio, ** Dipartimento di Scienze Gerontologiche, Geriatriche e Fisiatriche, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma Premesse: L’ingresso del triptofano nel Sistema Nervoso Centrale e la sua conversione in serotonina è proporzionale alla sua concentrazione plasmatica ed inversamente correlato a quella degli aminoacidi neutri (leucina, isoleucina, valina, tirosina, metionina, fenilalanina). Gli aminoacidi ramificati (leucina, isoleucina e valina) partecipano a differenti processi metabolici che vanno dalla sintesi proteica, alla produzione di energia nel muscolo, alla sintesi di alanina e glutammina (substrati gluconeogenetici nel fegato), alla modulazione della sintesi proteica attraverso sistemi di segnale comuni a quelli insulinici. Obiettivo: Valutare l’andamento delle concentrazioni plasmatiche degli aminoacidi ramificati ed il rapporto triptofano/aminoacidi neutri in un gruppo di donne obese, già adattate a due regimi ipocalorici, dopo l’assunzione della colazione e dello spuntino previsti dalle rispettive diete. Metodi: 10 pazienti obese, già sottoposte da quattro settimane a regime ipocalorico isolipidico, con medesimo decremento energetico rispetto al fabbisogno stimato (-500Kcal/die), suddivise in due gruppi con differente ripartizione della quota calorica in termini di glucidi e proteine (Proteine Standard (PS) 55%, 15%, 30%) e Proteine Elevate (PE) 40%, 30%, 30%), hanno consumato presso il nostro Centro la colazione e lo spuntino previsti. Sono stati effettuati sei prelievi (pre-colazione, 60 e 90 minuti, pre-spuntino, 60 e 90 minuti) su cui sono stati determinati i profili degli aminoacidi plasmatici in HPLC con rilevazione fluorimetrica. Risultati: Il rapporto triptofano/aminoacidi neutri, sovrapponibile nel prelievo basale, è risultato significativamente differente nei due gruppi a 60 e 90 minuti dopo la colazione ed a 60 minuti dopo lo spuntino; la concentrazione dei ramificati, sovrapponibile nel basale, è risultata sempre significativamente differente nei due gruppi.

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Conclusioni: Colazione e spuntino di metà mattina in due regimi ipocalorici, isolipidici, a PE e PS determinano differenti concentrazioni plasmatiche di aminoacidi ramificati e comportano una differente disponibilità del triptofano nel Sistema Nervoso Centrale in un gruppo di donne obese. P43. L’eccesso di peso e i giovani sportivi: un’isola felice? E. Albini, D. Gambarara, I. Panzini* Medicina dello sport e promozione dell’attività fisica, Dipartimento di Sanità Pubblica AUSL di Rimini; * U.O. Qualità ed accreditamento AUSL di Rimini Premesse. Obesità e sovrappeso sono in costante espansione nell’infanzia e nella preadolescenza, nonostante i tentativi di promuovere una alimentazione corretta e la pratica di attività motoria. I ragazzi che effettuano una attività sportiva agonistica, soprattutto se ad elevato impegno metabolico come il calcio, dovrebbero costituire una popolazione selezionata, a basso rischio di eccesso ponderale. Obiettivo. Per valutare l’efficacia degli interventi attuati in ambito sportivo negli ultimi anni per contrastare l’eccesso di peso, abbiamo confrontato l’incidenza di obesità e sovrappeso nei giovani calciatori presentatisi ad effettuare la prima visita di idoneità agonistica (prevista dalla F.I.G.C. a 12 anni) presso il nostro ambulatorio dal 1997 al 2005. Metodi. Sono state riviste le cartelle cliniche informatizzate di 3070 calciatori di 12 anni, rilevando B.M.I., inizio dell’attività, durata dell’allenamento. Abbiamo suddiviso gli atleti in tre categorie (normopeso sovrappeso, obesità) in base ai percentili del B.M.I. secondo Cole (1), e confrontato i dati rilevati anno per anno nel periodo preso in esame. Risultati. Il 92% degli atleti praticava calcio da almeno tre anni, effettuando 4-6 ore settimanali di allenamento, oltre alla partita. Nel periodo esaminato sono stati visitati circa 350 calciatori per anno; i ragazzi in sovrappeso rappresentavano dal 17 al 24% del campione, gli obesi dal 4 all’8%. Il test al Chi-quadrato di Pearson non ha evidenziato variazioni statisticamente significative. Discussione. Il risultato dello studio, che conferma precedenti nostre osservazioni (2), è sconfortante se si considera che ricerche effettuate su pre-adolescenti di diverse nazioni (3), non selezionati tra i praticanti sport, riportano valori di sovrappeso dal 13 al 25% e dal 1.7 al 6.5% di obesità. Riteniamo che la pratica sportiva giovanile debba essere sì incentivata ma anche radicalmente riformata nei contenuti, nelle modalità organizzative, nella preparazione degli allenatori. (1) Establishing a standard definition for child overweight and obesity worldwide: international survey T.J. Cole et al. BMJ Vol 320 6 MAY 2000 (2) Obesità e sovrappeso nella popolazione giovanile praticante sport agonistico D. Gambarara, E. Albini Medicina dello Sport Vol 57,2 163 GIU 2004 (3) BEN – Notiziario ISS – Vol.14 – n.1 GEN 2001 P44. Effects of an intervention of nutrition and health on weight status and physical activity of sicilian schoolchildren G. Tabacchi1, M. Giammanco1, P. Gagliano1, S. Giammanco1, M. La Guardia1 1Division of Physiology and Human Nutrition, Department of Medicine, Pneumology, Physiology and Human Nutrition, University of Palermo, Italy Background: Childhood obesity increased during the last decades. School and family should be the environments where a good education should be done constantly. Aim: A prospective study was performed to evaluate in which measure an educational intervention can modify weight status and physical activity of the children. Methods: 543 schoolchildren from the age of 11-12 were followed for three years (2004-2006) in six secondary schools of Palermo (Sicily). Weight and height were collected once a year. Two questionnaires, at the beginning and the end of the study, were filled out to estimate physical activity on the base of declared hours of walking, practising sport, watching TV and using computer. Various lessons were carried out about correct diet and lifestyles, pointing out the importance of daily consumption of healthy foods and constant

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activity and sport. All data were considered statistically significant with p<0,05. Results: Preliminary data indicate from 2004 to 2006: significant decrease of obese children from 17,3% to 11,3%; increase of children practising sport for 3-6 h/week from 36,8% to 45,7%, >6 h/week from 6,4% to 22,1%; children not practising any sport decreased from 30,1% to 6,0%. No difference between 2004 and 2006 was found in walking h/day and watching TV or using computer: nowadays, 57,6% of children walk >3 h, 29,2% 1-2 h, the rest <1 h per day. Children watching TV or using computer <2,5 h/day are 73,4%, 2,5-4h 17,6%, >4h 10,0%. 90,6% of children watching TV have television in sleeping room. Conclusion: As we have preliminary data, we can not accurately describe the effect of our intervention, but we can state that after our intervention, obesity decreased, many children choose to start a sport and change some incorrect food habits. Logistic regression analysis, to exclude the effect of confounding factors, and comparison with the control group (not undergone our intervention) has to be done. P45. Soprappeso e obesità infantile in Europa: presentazione del progetto IDEFICS G. Barba, P. Russo, F. Lauria, M. Loguercio, A. Nappo, A. Siani Per il Consorzio IDEFICS (Elenco dei Centri partecipanti e dettagli su www.idefics.net) Epidemiologia e Genetica delle Popolazioni, Istituto di Scienze dell’Alimentazione, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Avellino. Soprappeso e obesità rappresentano un problema di salute pubblica sempre più generalizzato a livello mondiale. Negli ultimi anni, la prevalenza di soprappeso e obesità è cresciuta in maniera drammatica anche nei bambini e negli adolescenti, con picchi estremamente preoccupanti nel nostro Paese. Presentiamo in questa sede il Progetto Integrato IDEFICS (Identification and Prevention of Dietary and Lifestyle-induced Health Effects in Children and Infants), finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del VI Programma Quadro (Contract No. 016181, FOOD, 2006-2011). Il progetto si basa su un disegno multicentrico che prevede il reclutamento di coorti di bambini in età pre-scolare (2-4 anni) e scolare (5-10 anni) per un totale di circa 17.000 bambini in nove Paesi europei (Belgio, Cipro, Estonia, Germania, Grecia, Italia, Spagna, Svezia, Ungheria). Il progetto valuterà l’impatto di fattori nutrizionali, come le abitudini e le preferenze alimentari, dello stile di vita (attività fisica), di fattori psico-sociali e genetici sullo sviluppo di soprappeso/obesità e di altre patologie associate a abitudini alimentari e stile di vita. Esso sarà articolato in una fase di screening preliminare, seguita da un intervento multi-livello (scuola, famiglia, individuo) della durata di due anni, che vedrà come oggetto la metà del campione esaminato (circa 8000 bambini), mentre il resto della popolazione servirà da gruppo di controllo. Durante la prima fase del progetto, saranno sviluppati e validati strumenti di indagine da applicare durante lo screening, secondo criteri comuni a tutti i centri partecipanti. Particolare attenzione sarà dedicata allo sviluppo di manuali operativi standardizzati (SOPs), che tengano conto delle specificità a livello locale e nazionale, e all’addestramento del personale coinvolto nel lavoro sul campo. Tali attività saranno costantemente affiancate da strategie per il controllo della qualità del lavoro e, conseguentemente, dei risultati ottenuti. Tra gli obiettivi di IDEFICS sottolineiamo lo sviluppo di indicatori e strumenti utilizzabili a livello europeo per la raccolta di dati in età infantile. La creazione di una nuova e ampia coorte europea da parte del Consorzio IDEFICS rappresenterà un’opportunità unica per seguire e documentare lo sviluppo dell’epidemia di obesità nell’attuale generazione di giovani in Europa e per valutare l’impatto di strategie comuni di prevenzione primaria in popolazioni infantili europee.

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P46. Obesità in età scolare nella provincia di Salerno: indici a confronto G. Fimiani, G. *Guerritore, *O. D’Amico, *P. Attianese, *T. Granito, *M.G. De Silvio, A. Colantuoni, P. Pecoraro Dipartimento di Neuroscienze, Scuola di Specializzazione in Scienza dell’Alimentazione, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Napoli Federico II - *ASL Salerno 1 Premessa. La prevalenza di obesità in tutti i gruppi d’età nel mondo intero ha indotto la WHO a coniare il termine di “epidemia globale”. Infatti, oltre 22 milioni di bambini al disotto dei 5 anni sono in grave soprappeso, così come 155 milioni di bambini in età scolare. Nell’Unione Europea sono 14 milioni i bambini in età scolare in soprappeso e 3 milioni risultano obesi, con un aumento di 400.000 casi all’anno, di cui 85.000 obesi (IOTF 2004). Obiettivo: Valutare la prevalenza di obesità in età scolare in un campione della provincia di Salerno confrontando diverse tabelle di riferimento per il BMI (rapporto peso/altezza). Metodi: Il campione era costituito da 423 alunni (M 205; F 218) di età media 9,3 ±1,3 anni. Sono state rilevate le usuali misure antropometriche. Per il calcolo del BMI sono state prese in considerazione le tabelle di Cole (2000), Cacciari (2002) e Center for Disease Control (CDC 2000). Risultati: In tabella sono mostrate le prevalenze percentuali di soprappeso (OW) e obesità (OB) con i tre diversi riferimenti.

Conclusioni: Le evidenti e marcate differenze riscontrate confermano che il BMI probabilmente non costituisce il metodo migliore per stabilire la presenza di soprappeso e obesità nei bambini. Infatti, in età evolutiva, il legame tra l’adiposità ed il rapporto tra peso ed altezza potrebbe essere meno preciso che nell’adulto. Va detto, però, che la conferenza della International Obesity Task Force (IOTF 2001) ha sottolineato il fatto che il BMI offre “una misura ragionevole con cui stabilire il grado di adiposità nei bambini e negli adolescenti”. Il metodo Cole è stato adottato da IOTF così come da molti autori in studi recenti, compresi quelli riferiti alla regione Campania, per riportare i dati di prevalenza di obesità infantile. Sembra, pertanto, auspicabile utilizzare lo stesso metodo per un confronto dei dati a livello nazionale ed internazionale. P47. Counseling nutrizionale per bambini in sovrappeso e obesi: risultati preliminari A. Rauti, A. Capolongo, C. Silighini,, B. Veronesi, G. Minak, C. Biavati, R. Di Gregorio, E. Albini*, D. Gambarara*, I. Panzini**, S. Mancini***, F. Fabbri*** A. Rossi Sian Ausl Rimini;*Medicina dello Sport Ausl Rimini;** Qualità e Accreditamento Ausl Rimini;*** Epidemiologia e Comunicazione Ausl Rimini Premesse: L’obesità è una malattia multifattoriale causata dall’interazione di fattori genetici, familiari e ambientali. Lo scopo: di questo lavoro è l’analisi dei risultati ottenuti con l’attività di counseling nutrizionale effettuato presso il Sian dell’Ausl di Rimini (settembre ’03-’05). Metodi: L’attività di counseling nutrizionale è effettuata da un team multidisciplinare integrato (pediatra, medico, dietista, invio psicologa DA e medico sportivo) per obesità in età evolutiva (0-18 anni) attraverso un approccio centrato sul bambino e la sua famiglia. L’intervento educativo-comportamentale ha lo scopo di modificare gradualmente lo stile di vita errato (abitudini alimentari e attività motoria strutturata e/o spontanea). Sono effettuati una prima visita e successivi controlli mensili. Risultati: Sono stati studiati 223 bambini (124 M e 99 F), la media dell’eccesso ponderale alla prima visita è molto alto 47% (tabelle Cacciari et.). Dall’analisi del campione distinto fasce di età, si rileva che quelle più rappresentate sono 11-14 anni (59%) e 7-10 anni (23,7%). Il 37% del campione ha entrambi i genitori

Cole Cacciari CDC

M F Totale M F Totale M F Totale

OW 25,2 33,6 29,3 38,5 26,3 32,6 17,4 28,8 22,9

OB 25,2 23,9 27,4 11,0 5,4 8,3 41,3 29,7 35,7

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sovrappeso od obesi, il 30% ha il padre e 16% ha la madre con lo stesso problema. 79 bambini (35%) non svolgono nessun tipo di attività motoria, mentre il 29,1% svolge uno sport strutturato solo per 1-2 ore settimanali. Il 21,5% non consuma la 1° colazione o la fa in modo insufficiente (17%); e il 18,4% la fa in maniera squilibrata (eccesso di zuccheri semplici e di grassi animali). Il 54,2% dei bambini consuma uno spuntino a metà mattina abbondante e doppio, nel pomeriggio tale dato aumenta al 70%. Il 76,2% ha un consumo di frutta e verdura nullo o insufficiente. Il 94,6% delle mamme utilizza metodi di cottura elaborati che rendono più calorici i piatti preparati. 53 bambini hanno lasciato il percorso dopo la prima visita. Per quelli che hanno continuato il percorso terapeutico è stato calcolato il calo medio di eccesso ponderale dopo 3 (7,01%) 6 (9,12%) e 12 mesi (11,48%) di follow-up. Esistono correlazioni significative tra eccesso ponderale alla prima visita e BMI della madre (p<0,001) e del padre (p<0,000) ed eccesso ponderale alla prima visita e presenza di attività fisica (p<0,0024). Esiste una differenza molto significativa tra eccesso ponderale prima visita-ultima visita effettuata e numero di visite effettuate (p<0,001). Conclusioni: Il calo di eccesso ponderale correla positivamente con la durata del trattamento. Si rileva nei bambini in trattamento un significativo miglioramento delle abitudini alimentari accompagnato da un aumento dell’attività fisica. P48. Studio della relazione tra restrizioni alimentari, disagio psichico e body mass index I. Repossi, P. Marinoni, O. Colombo, G. Pinelli, C. Trentani, A. Tagliabue Centro Interdipartimentale di Studi e Ricerche sulla Nutrizione Umana e i Disturbi del Comportamento Alimentare – Università degli Studi di Pavia Premesse Le diete restrittive possono costituire un fattore di rischio di disagio psichico in presenza di fattori predisponenti. Obiettivo Il nostro lavoro si è posto l’obiettivo di verificare l’eventuale comparsa di disagio psichico e disturbi del comportamento alimentare (DCA) negli anni successivi ad un trattamento dimagrante in 2 gruppi di donne con differente BMI. Materiali e metodi Studio di epidemiologia clinica osservazionale longitudinale, retrospettivo, su due gruppi di donne (1° gruppo casi-soggetti normopeso; 2° gruppo controlli-soggetti sovrappeso e obesità di 1° grado) tra i 15 e i 55 anni, che hanno richiesto un trattamento dimagrante. Esse sono state ricontattate dopo almeno 4 anni dal termine del trattamento, per una nuova visita nutrizionale e per la compilazione di tests autosomministrati: EDI2, ISED (valutazione della presenza di DCA), SCL90, RDI (valutazione della sintomatologia psichiatrica). Risultati Sono stati contattati 40 soggetti e hanno accettato di partecipare alla ricerca 17 soggetti, 9 del 1° gruppo e 8 del 2° gruppo. I risultati dell’EDI2 evidenziano punteggi lievemente più elevati nei casi rispetto ai controlli (33.3±10.1 contro 31.0±11.6). I risultati dell’SCL90 evidenziano nei casi punteggi più elevati che nei controlli (39.1± 15.6 contro 36.6 ± 15.4), mentre l’RDI non presenta differenze. Conclusioni Le donne ‘casi’, che si erano presentate al Centro per chiedere una dieta, pur in assenza di obiettive necessità, presentano un livello maggiore di disagio psichico rispetto alle donne in sovrappeso o obese. Viceversa, nello stesso gruppo, non si è evidenziato lo sviluppo di DCA a seguito del trattamento come ipotizzato in letteratura. Il desiderio di dimagrire è frequente nella popolazione generale e il dibattito sul ruolo della dieta nella patogenesi dei DCA è tuttora aperto.

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P49. Obesità e depressione D. Metro, U. Muraca , R.M. Salomone, L. Manasseri Dipartimento di Scienze Biochimiche, Fisiologiche e della Nutrizione AOU – Policlinico G. Martino - Messina Introduzione L’obesità, ormai è noto, è uno dei principali problemi di salute pubblica. Il suo notevole aumento (nel ’93 vi erano nel mondo 200 milioni di obesi, nel 2003, 300 milioni) è stato confermato da una moltitudine di studi statistici ed epidemiologici. Ciò ha portato ad un incremento di patologie associate ad essa quali dislipidemie, diabete, malattie cardiovascolari, neoplasie, ecc. Obiettivo Ma qual è il ruolo dell’obesità rispetto ai problemi psichiatrici? Numerosi studi affermano che gli adolescenti depressi corrono un rischio maggiore di diventare e di rimanere obesi ed altri suggeriscono anche una relazione tra la depressione in adolescenza e un indice di massa corporea (BMI) più alto nell'età adulta. Vi sono alcuni disturbi del comportamento quali il Disturbo affettivo stagionale (SAD), l’Obesità da consumo eccessivo di carboidrati (CCO) e la Sindrome premestruale (PMS) che hanno in comune i seguenti sintomi: depressione, apatia ed incapacità di concentrazione associate ad occasionali periodi di ipernutrizione con eccessivo aumento di peso. In particolare quest’ultimo punto si riferisce al fatto che questi pazienti tendono letteralmente a divorare cibi ricchi di carboidrati al fine di aumentare i livelli cerebrali di serotonina responsabile dell’aumento del tono dell’umore. Però, oltre al fatto che la depressione possa portare all'obesità, resta da stabilire in che misura l'obesità possa portare alla depressione. Molto spesso il paziente semplicemente obeso si comporta allo stesso modo, con il risultato che l’appagamento transitorio dovuto all’aumento della serotonina (provocato dall’introduzione di molti carboidrati), sfocia in un ulteriore aumento di peso e quindi in uno stato depressivo sempre più grave. Metodi Scopo della nostra indagine è stato quindi quello di studiare 50 pazienti obesi (30 donne e 20 uomini - BMI 30-35, età 35-50) mediante la scala di Hamilton (HAM-D) per la valutazione della depressione, prima di intraprendere la dieta ipocalorica e a 4 mesi dalla dieta. Risultati e Conclusione La scala HAM-D ha dimostrato di riflettere le modificazioni della sintomatologia nel corso del trattamento dietetico (ed anche farmacologico per i 3 pazienti con depressione grave) rilevando una generale diminuzione dei punteggi dei pazienti dovuta ad un miglioramento del tono dell’umore conseguente alla perdita di peso.

Lowe B., Hochlenert A., Nikendei C., Metabolic syndrome and depression, Ther Umsch 2006 ,63(8) 521-7 Wadden TA. et al., Comparison of psychosocial status in treatment-seeking women with class III vs. class I-II obesity, Surg Obes Relat Dis 2006,2(2) 138-45.

Controlli

assenza di depressione ≤ 7

lieve depressione 8-17

depressione moderata 18-24

depressione grave ≥ 25

Test iniziale 10 22 15 3

Controllo a 4 mesi 13 26 8 3

Classificazione dei 50 pazienti secondo la scala HAM-D

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P50. Influenza della dieta e dell’attività fisica su soggetti sedentari e non M. Baldini °, F.Pasqui*, F. Merni ^, PL. Biagi °, M. Maranesi ° °Dipartimento di Biochimica “Moruzzi”; ^Dipartimento di Anatomia;* Dipartimento di Medicina Interna e Gastroenterologia. Premessa: L’importanza dell’attività fisica nel raggiungimento e nel mantenimento del peso ideale è stata ampiamente documentata (1). La dieta ipocalorica non può essere considerata l’unica terapia dell’obesità e del sovrappeso, ma deve essere sopportata da un adeguato esercizio fisico che incida positivamente sul dispendio energetico giornaliero bilanciandone gli introiti calorici. Obiettivi: Valutare l’influenza su alcuni parametri fisiologici (metabolismo basale, frequenza cardiaca a riposo e sotto sforzo, VO2max) ed antropometrici (peso, massa grassa, massa magra) di diete ipocaloriche associate o meno ad attività fisica. Metodi: Un campione di 38 donne sovrapeso suddiviso in gruppo di controllo (D), gruppo fitness (DF) e gruppo agoniste (DA) è stato sottoposto per 6 mesi ad un regime dietetico ipocalorico: gruppo D e DF di 1200 kcal; gruppo DA di 1700 kcal. I gruppi DF e DA si differenziano per il tipo d’attività svolta: DF 3 allenamenti di 60 minuti alla settimana d’intensità pari al 60% VO2max; DA 6 allenamenti di 90 minuti alla settimana d’intensità pari al 60/80%VO2max. Sono stati effettuati 2 tipologie di test con la calorimetria indiretta (MED LINE, Breez): uno a riposo per il metabolismo di base e uno di tipo incrementale al treandmill. Misure antropometriche rilevate: statura, peso, circonferenza braccio, coscia, vita e fianchi; pliche degli arti superiori: bicipite, tricipite, ileo cristale, sottoscapolare (2). Sono stati effettuati controlli dopo 2 mesi e 6 mesi dall’inizio del trattamento. Risultati La percentuale di massa grassa nel gruppo DF diminuisce significativamente sia al 1° sia al 2° controllo, nei gruppi DA e D il calo è significativo solo al 1° controllo (p<0,05). Alla fine del trattamento i gruppi DA e DF hanno manifestato un miglioramento significativo (p<0,01) di VO2max. Discussione Il raggiungimento di validi risultati nel trattamento del sovrappeso dipende quindi da due fattori: una attività motoria di tipo continuativo che migliora l’efficienza fisica e una dieta equilibrata che tenga conto non solo dell’apporto calorico ma anche della quantità e qualità dei nutrienti. 1)Marleen A. “Physical activity and energy balance” Pub. Health Nutr.(1999):2(3a),335-339; 2)Durnin A. “Body fat assessed from total body density and its estimation from skinfold thickness”J Nutr. (1974), 32, 77. P51. Anziani: alimentazione ed attività fisica G. Ghiani, C. Caboni, F. Broccia, A.M. Carcassi Dipartimento di Scienze Applicate ai Biosistemi- Sez. di Fisiologia e Nutrizione Umana Università di Cagliari Premessa: Attualmente in Italia il 25% della popolazione è costituito da ultra sessantenni, percentuale destinata a raddoppiare entro il 2050, ciò grazie al miglioramento delle condizioni sanitarie e all’aumento della durata media della vita. Obiettivo: Data l’importanza del connubio alimentazione-attività fisica per assicurare una vecchiaia attiva, sia dal punto di vista umano che sociale, con questo lavoro si sono volute rilevare le abitudini alimentari e motorie di un gruppo di ultra sessantenni frequentanti una palestra cittadina. Materiali e metodi: un campione di 49 individui, di cui 41 donne e 8 uomini, è stato sottoposto al rilevamento del peso e della statura, utilizzati per il calcolo dell’IMC (P/Ht2). Le abitudini alimentari sono state rilevate mediante compilazione guidata di un questionario, che ha permesso di definire la porzione usuale e la relativa frequenza di consumo dei principali gruppi alimentari. Inoltre si è indagato sulla tipologia e frequenza dell’attività fisica praticata e sull’abitudine a camminare.

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Risultati: La situazione ponderale del campione si colloca mediamente nel range di normalità. Le abitudini alimentari rilevate sono state confrontate con le indicazioni delle Linee Guida, evidenziando le differenze quantitative e qualitative emerse. Da questi confronti emerge che il campione maschile ha un consumo di cereali in linea con le indicazioni dell’INRAN, mentre quello femminile si colloca nettamente al di sotto. Gli alimenti proteici risultano ben rappresentati in entrambi i sessi, con particolare riguardo ai prodotti ittici, il cui consumo risulta nettamente superiore alla media nazionale. Il consumo di latticini è adeguato, tranne un’eccedenza nell’utilizzo di formaggi riscontrata per gli uomini. I consumi di frutta e verdura andrebbero incrementati, mentre il consumo d’acqua è soddisfacente. L’abitudine all’alcol e al fumo risulta solo marginalmente diffusa. È da evidenziare che, mentre gli uomini sono impegnati in varie attività, le donne praticano principalmente ginnastica dolce e solo il 14.6% svolge altre attività. Inoltre tutto il campione ha l’abitudine di camminare quotidianamente. Conclusioni: Da questi risultati emerge che il campione esaminato ha capito l’importanza della pratica dell’esercizio fisico, ma deve prestare più attenzione alle scelte alimentari, in particolare incrementando il consumo di frutta e verdura e riducendo quello dei formaggi. Ricerca realizzata con fondi ex 60% P52. Nutrizione e Piaghe da decubito: valutazione dell’efficacia dell’integrazione nutrizionale in uno studio caso/controllo A. Vanotti, A. Gini, C. Pusani, L. Farias U.O. Nutrizione Clinica e Dietetica ASL Provincia di Como Numerosi lavori documentano una relazione tra ulcere da decubito (UDD) e malnutrizione calorico-proteica. Secondo gli studi epidemiologici il 70% dei pazienti con UDD ed il 55% di quelli a rischio di svilupparle presentano un quadro di malnutrizione. Scopo del nostro studio è valutare l’efficacia nel miglioramento dello stato delle ulcere e nella loro guarigione, derivante dalla somministrazione di una soluzione nutrizionale iperproteica arricchita con arginina e micronutrienti. Fra i pazienti in Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA) sottoposti a medesimo trattamento per le lesioni da decubito, sono stati reclutati 15 pazienti da trattare con soluzione specializzata (CUBISON® o CUBITAN®) e 15 pazienti di controllo. Tenendo presente che il push score è dato dalla somma dei valori della superficie della lesione, del tipo di essudato e di tessuto, per i casi con più di una lesione è stata considerata quella con un push score che presentava il valore più elevato. Nei pazienti trattati con miscela dedicata la media di questo valore ha mostrato il seguente andamento: T0 (arruolamento) = 13,23; T2 (a 2 settimane) =13,53; T4 (a 4 settimane) = 12,69; T6 (a 6 settimane) = 11,15; T8 (a 8 settimane) = 9,84; T12 (a 12 settimane) = 7,61. Nel gruppo di controllo i valori sono i seguenti: T0 = 12,93; T2 = 13,40; T4 = 12,86; T6 = 12,60; T8 = 11,46; T12 = 10,80. Calcolando la differenza fra il push score al T0 e quello al T12 ed applicando il test “t” di Student si è potuto evidenziare una maggior riduzione media nei soggetti trattati: “t” = 2,735, che comporta un livello di significatività pari a 0,0111. Si è poi voluto analizzare quando la riduzione della superficie della lesione mostra una riduzione significativa fra i soggetti trattati rispetto ai controlli: essa appare in T6, dove “t” = 2,617 (p = 0,0146). A T8 “t” = 2,363 (p

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= 0,025). A T12 “t” = 4,77 (p = 0,0001). Si dimostra, quindi, che un approccio nutrizionale adeguato, in particolare arricchito con CUBISON® o CUBITAN® risulta efficace, soprattutto a partire dalla sesta settimana di trattamento. P53. Incremento ponderale e trattamento per la disassuefazione al fumo G. Cairella, P. Longo, F. Ciaralli, M. Di Porto, L. Leo, A. Marchetti, M. Molinaro, L. Sonni Area della Nutrizione – Dipartimento di Prevenzione ASL RMB – ROMA Premessa: L’abitudine al fumo e l’obesità sono associate ad un incremento del rischio di patologie cardiovascolari e neoplastiche; allo stato attuale si ritiene che l’abitudine al fumo determini un rischio maggiore, rispetto all’obesità, di mortalità per tutte le cause. La dismissione dal fumo si associa frequentemente ad incremento ponderale che rappresenta una barriera per il successo dei programmi di dismissione dal fumo. Pur tuttavia, l’efficacia della terapia nicotinica e di protocolli dietetici-comportamentali sulla prevenzione dell’incremento ponderale è ancora in fase di studio. Obiettivi: Verificare se la dismissione dal fumo si associ ad incremento ponderale e valutare gli effetti di modifiche delle abitudini alimentari e dello stile di vita sul peso corporeo in soggetti ex fumatori, afferenti ad un centro di Dietetica Preventiva. Metodi: A tutti gli ex fumatori (n 24; 18 F e 6 M) è stato somministrato un questionario in cui venivano raccolti: 1) data di sospensione fumo, n. sigarette fumate, trattamento per la disassuefazione al fumo; 2) BMI da fumatore, BMI alla dismissione del fumo. Risultati: L’incremento ponderale è di 12.1 ± 7.5 kg, sovrapponibile nei M e nelle F; il BMI fumatore è 26.7 ± 3.92 (25.2 ± 4.3 nelle F; 28.8 ± 2.1 nei M) e il BMI ex fumatore è 31.7 ± 5.2 (30.1 ± 5.6 nelle F; 34.0 ± 4.1 nei M); (p=0.006). In seguito alla dismissione dal fumo, il 16.6% e l’8.3% dei soggetti passa dalla categoria normopeso alla categoria sovrappeso ed obesità rispettivamente, mentre il 41.6% dal sovrappeso all’obesità. Al follow-up a tre mesi si riscontra un decremento ponderale > al 5% del peso corporeo nel 30% dei soggetti esaminati. Conclusioni: i risultati confermano l’utilità di associare un programma di prevenzione dell’incremento ponderale, già nel primo periodo del trattamento di dismissione al fumo; il monitoraggio del peso corporeo, ad esempio con frequenza mensile, il consiglio nutrizionale e l’incremento dell’attività fisica devono far parte integrante dei trattamenti di dismissione dal fumo. P54. Hospital catering and food safety: knowledge, attitudes and practices of the nursing staff in hospitals C. Buccheri1, C. Mammina3, A. Casuccio2, S. Giammanco1, M. La Guardia1, M. Giammanco1 1Division of Physiology and Human Nutrition, Department of Medicine, Pneumology, Physiology and Human Nutrition, University of Palermo, Italy; 2Department of Clinical Neurosciences, University of Palermo, Italy; 3Department of Hygiene and Microbiology “G. D’Alessandro”, University of Palermo, Italy Background: Epidemiological and surveillance data suggest that faulty practices in food processing plants, food service establishments and home play a crucial role in the causal chain of foodborne diseases. This issue has also proved to be critical in some nosocomial foodborne outbreaks. Objective: To evaluate knowledge, attitudes, and practices concerning food safety of the nursing staff of two hospitals in Palermo, Italy. Methods: The survey was conducted, by using a semi-structured questionnaire, in March-November 2005 in an acute general hospital and a paediatric hospital, where nursing staff is routinely involved in food service functions. Overall, 401 nurses (279/751, 37.1%, of the General Hospital and 122/228, 53.5%, of the Paediatric Hospital, respectively) answered. Results: Among the respondents there was a generalized lack of knowledge about etiologic agents and food vehicles associated to foodborne diseases and proper temperatures of storage of hot and cold ready to eat foods. A general positive attitude towards temperature control and using clothing and gloves, when handling food, was shared by the respondents nurses, but questions about cross-contamination, refreezing and handling unwrapped food with cuts or abrasions on hands were frequently answered incorrectly. The practice section performed better, though sharing of utensils for raw and uncooked foods and thawing of

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frozen foods at room temperatures proved to be widely diffuse among the respondents. Age, gender, educational level and length of service were inconsistently associated with the answer pattern. More than 80% of the respondent nurses did not attend any educational course on food hygiene. Conclusion: Results strongly emphasize the need for a safer management of catering in the hospitals, where non professional food handlers, like nursing or domestic staff, are involved in food service functions. P55. Counselling nutrizionale: messa a punto ed applicazione in ambito ambulatoriale O. Colombo, C. Bobba, G. Pinelli, C. Trentani, A. Tagliabue Centro Interdipartimentale di Studi e Ricerche sulla Nutrizione Umana e i Disturbi del Comportamento Alimentare – Università degli Studi di Pavia Premesse Le conoscenze nutrizionali risultano essere uno dei fattori determinanti le abitudini alimentari e si rivelano un’importante base per pianificare un intervento educativo. Obiettivo Scopo del nostro studio è la messa a punto di un percorso educativo alimentare da effettuarsi a livello individuale sul paziente afferente ad un ambulatorio di Dietologia. Si è preliminarmente condotta un’analisi sulle abitudini alimentari di un campione degli utenti dell’ambulatorio per ottenere una visione generale dei più frequenti errori nutrizionali al fine di impostare correttamente l’intervento. Metodi Un campione rappresentativo ha compilato un questionario sulle proprie abitudini alimentari articolato in sezioni facenti riferimento alle linee guida per la popolazione italiana. Sulla base di tale valutazione sono stati scelti gli argomenti da affrontare nelle sedute di educazione alimentare, che abbiamo strutturato in tre fasi: pre-test, esposizione del materiale educativo multimediale (presentazione Power-Point arricchita con illustrazioni e fumetti), post-test. I test consistono in un questionario per la valutazione delle conoscenze nutrizionali (versione ridotta di analogo questionario britannico validato in Italia). Abbiamo quindi condotto uno studio pilota su 10 pazienti per valutare l’accettabilità del materiale in previsione della programmazione di uno studio longitudinale che ne possa stimare l’efficacia su un campione di pazienti per i quali l’intervento educativo rappresenti la modalità di trattamento più adeguata. Risultati Gli argomenti critici scelti per le sedute di educazione alimentare sono: grassi, fibra, zucchero, sale. Nei soggetti reclutati si è osservata una buona percentuale di risposte corrette (70%) al pre-test che si è ulteriormente elevata al 92% al post-test. I soggetti hanno mostrato di gradire la presentazione video delle informazioni. Conclusioni I dati dello studio pilota hanno rilevato la possibilità di migliorare la recettività del paziente alle informazioni utilizzando materiale educativo multimediale strutturato in modo da affrontare gli argomenti in maniera essenziale ed immediata. Se ciò riuscirà poi a tradursi nella promozione di abitudini alimentari ottimali potrà essere valutato soltanto a lungo termine. P56. Il colloquio di motivazione: l’esperienza del nutrizionista nel “muovere” l’utente verso il cambiamento di uno stile alimentare M. Solis Biologo Nutrizionista Specialista in Scienza dell’Alimentazione Scopo del lavoro è sensibilizzare il nutrizionista sull’importanza del colloquio motivazionale nel counseling nutrizionale e, se possibile, fornirgli uno strumento operativo di relazione da introdurre, insieme al colloquio anamnestico, in un percorso di intervento educazionale di nutrizione applicata. Il colloquio di motivazione ha lo scopo di incrementare la probabilità che l’utente riconosca un comportamento disadattativo e costruisca un adeguato coinvolgimento necessario a suscitare la decisione di cambiare (1, 2 e

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3). L’esperienza di counselor mi ha indotto a focalizzare l’attenzione, sin dal primo incontro, oltre che sull’osservazione e sull’ascolto comprensivo o attivo, sulla comunicazione efficace, componente essenziale per riversare nel “dossier-utente” il proprio vissuto, combinando i seguenti “ingredienti attivi” di counseling: esprimere empatia; creare ed amplificare una discrepanza tra comportamento attuale ed obiettivi desiderabili; evitare dispute e discussioni; “rotolarsi” con la resistenza; sostenere ed accrescere il senso di autoefficacia. Il “dossier” è uno strumento relazionale che riflette ciò che l’utente porta con sè nel momento in cui richiede l’intervento del nutrizionista. È possibile identificare 4 categorie di informazione all’interno del dossier, basilari per creare una comunicazione-relazione efficace: qual’è il “luogo” familiare, lavorativo, culturale, sociale, ambientale in cui vive; cosa e come si sente; quali idee e quali interpretazioni dà riguardo a ciò che non va; cosa si aspetta e cosa desidera fare per cambiare. Al nutrizionista necessita, da un lato, saper cogliere dalla sua esperienza di counselor quegli elementi utili per effettuare una valutazione multidimensionale della realtà evolutiva dell’utente, dall’altro, comprendere prioritariamente quando e quanto l’utente sia pronto a cambiare. Il concetto è quello della “prontezza al cambiamento” basato su stadi di cambiamento, andando da quelli che non dimostrano alcun interesse (chiamati “precontemplatori”), agli incerti (“contemplatori”), ai pronti (“stadio di preparazione”), agli “attivi”, a quelli “in mantenimento”. L’esperienza mi ha indotto a sostenere che, se introdotto abitualmente, durante la pianificazione di un intervento educativo nutrizionale, sia nella fase di conoscenza e di intervento, sia nella fase di verifica dell’efficacia (3), il colloquio motivazionale rappresenta uno strumento utile al nutrizionista per adattarsi al grado di “prontezza al cambiamento” dell’utente, inducendo il superamento di momenti di difficile risoluzione, quali quello dell’ambivalenza (“voglio ma non voglio”, Antoine de Saint-Exupéry, Il piccolo principe) e quello del conflitto approccio-evitamento tra desiderio di soddisfare un impulso e capacità di esercitare il controllo sul proprio istinto. Miller W, Rollnick S, Il colloquio di motivazione, Erickson, 1991. Moja EA, Vegni E, La visita medica centrata sul paziente, Raffaello Cortina Editore, 2000. Marangio R, Anamnesi e colloquio nelle patologie nutrizionali, in atti I Corso di Formazione “La nutrizione vista dal territorio”, Giulianova 23-24 novembre 2001. P57. La dieta vegetariana nell’adolescente R.E. Papa, A.M. Caiazzo, F. Mordenti, R. Nicolai, A. Ferrari, A. Mele, A. Vania Centro di Dietologia e Nutrizione Pediatrica - Dip.to di Pediatria - Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Premesse:. il vegetarianismo include molteplici modalità alimentari, esaustivamente classificate da Ruud: Semi-vegetariani; Latto-ovo-vegetariani; Latto-vegetariani; Vegani; Macrobiotici; Pesco-vegetariani; Fruttariani. Appare interessante in questa variegata galassia comprendere quale possa essere l’impatto nutrizionale in una fascia d’età così delicata come quella adolescenziale. Obiettivo: stimare la validità nutrizionale della dieta vegetariana in età adolescenziale. Metodi: rassegna della letteratura degli ultimi 10 anni riguardante l’alimentazione vegetariana nell’adolescenza, il rischio carenziale e l’azione protettiva nei confronti della patologia nell’adulto Risultati: una dieta vegetariana molto restrittiva (vegana, macrobiotica, fruttariana), non bilanciata o improvvisata – come è spesso tipico dell’età adolescenziale – mette a rischio di stati carenziali, con particolare riferimento a ferro, zinco, calcio e vitamine del gruppo B (soprattutto B12) a causa dello scarso contenuto di questi nutrienti e della loro ridotta biodisponibilità. Di contro si conferma in letteratura un effetto protettivo dell’alimentazione vegetariana nei confronti di patologie quali obesità (il BMI degli adolescenti vegetariani

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risulta minore di 1 kg/m2 rispetto a quello dei coetanei), cardiovasculopatie (colesterolemia inferiore e omocisteinemia maggiore rispetto ai coetanei non vegetariani), diabete tipo 2, cancro, osteoporosi, nefropatie, demenza senile. Appare interessante osservare come l’adolescente vegetariano presenti un’alimentazione sostanzialmente più sana rispetto ai coetanei onnivori, per maggiore consumo di frutta e verdura e minore di snack salati, dolci e cibi pronti. Non si conosce la prevalenza del vegetarianesimo in Italia anche se l’attenzione della ristorazione nei confronti dei vegetariani dimostra che sono in aumento. Il Vaegetarian Resource study (2003) ha valutato che il 2% della popolazione americana con età compresa tra 6 e 17 anni è vegetariana, di questa circa lo 0,5% è vegana. Inoltre dei 17.000 partecipanti al Minnesota Adolescent Health Survey lo 0,6 % si dichiarava vegetariano (81% femmine) Conclusioni: Dalla rassegna della letteratura appare necessaria un’attenta valutazione dei fabbisogni in macro e micro-nutrienti in età evolutiva (LARN) da parte dello specialista (pediatra/nutrizionista) che elabori uno schema nutrizionale equilibrato e prescriva eventuali integrazioni al fine di ridurre il rischio di carenze franche o subcliniche, e ottimizzare, in sicurezza, i vantaggi di questo modello alimentare. È inoltre opportuno che lo specialista, coadiuvato da uno psicologo in team multidisciplinare, cerchi di capire le motivazioni reali della scelta espressa dall’adolescente, guidandolo alla conoscenza e comprensione delle regole da seguire. P58. Is protein content the only determinant of satiety in meat-based preparation? C. Berti, P. Riso, M. Porrini Department of Food Science and Microbiology (diSTAM), Division of Nutrition, University of Milan, Italy Background High protein intakes are suggested to play a role in body management, and proposed as current diet approaches for body weight loss. However, the consumption of protein in excess is potentially associated with higher risks for several diseases. Objective Since processing/cooking and way of consumption of foods may influence the eating behavior, we investigated the effects of different beef-based preparations (roast-beef, boiled-beef, canned-beef-in-jelly) on satiety and food-intake. Methods Ten male and 10 female healthy volunteers were recruited. Three different studies were conducted, all with a within-subjects design. The effect of the beef-preparations on the specific satiety was evaluated by ad libitum consumption (Study 1). In the other studies, canned-beef was used because of its lower energy-density and higher satiating capacity with respect to roast-beef and boiled-beef. The effect of a canned-beef preload on the total energy intake was compared with that of a no-load condition (Study 2). The contribution of three different portions of canned-beef, served with a fixed amount of salad, on satiety sensation over time was evaluated (Study 3). Results Energy intake was significantly affected by the type of beef-preparation, but not by protein content and pleasantness (Study 1). In fact, the lower protein canned-beef was eaten in higher amount, despite a lower rating of pleasantness, with respect to the other beef-preparations. Canned-beef preload decreased the total energy intake with respect to the no-load condition (Study 2). A significant effect of time and portion/time interaction on satiety ratings was evidenced (Study 3). In particular, an effect of satiety sensations over the first part of the afternoon was present, mainly after the largest portions. Conclusion Energy density more than protein content seemed to determine the satiating properties of the beef-preparations. Interestingly, small portions of low-energy dense canned-beef seemed to be useful in modulate satiety sensations. On the whole, our results suggest that high protein intakes are not necessarily the only way to control food intake.

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P59. Comportamento delle poliammine nei frutti di pomodoro dopo trattamento delle piante con soluzioni saline e con antinematocidi P. Ruggeri, V. Faraone, A. Scarmato, C. Fabiano*, G. Muraca*, U. Muraca* Dipartimenti di Protezionistica Ambientale, Sanitaria, Sociale ed Industriale e di Scienze Biochimiche, Fisiologiche e della Nutrizione. Facoltà di Medicina e Chirurgia. Università di Messina Le poliammine, policationi presenti in tutte le cellule degli organismi, nelle piante superiori agiscono come regolatori di parecchi processi fisiologici, includendo fra questi la morfogenesi, lo sviluppo radicale, la fioritura e l’invecchiamento. Inoltre svolgono una funzione nella risposta delle piante a tutte le condizioni di stress abiotico, ed anche nello sviluppo dei frutti. In quest’ultimo caso, è noto che lo sviluppo e l’accrescimento dei frutti è correlato ad una variazioni delle loro concentrazioni endocellulari. Studi recenti hanno dimostrato che, la variazione delle concentrazioni delle poliammine rappresenta una tappa significativa dei meccanismi di risposta delle piante alle diverse condizioni stressanti. Lo sviluppo fisiologico del frutto del pomodoro, può essere suddiviso in 4 tappe: (1) la nascita del frutto produce una divisione cellulare continuata dal decimo al quattordicesimo giorno; (2) un’espansione cellulare responsabile dell’aumento delle dimensioni del frutto; (3) l’avvio della maturazione dopo che il frutto ha raggiunto la sua dimensione finale, e (4) uno stadio di supermaturazione quando iniziano i processi di invecchiamento. Le poliammine sono state estratte da frutti maturi di piante di pomodoro della varietà ikram ( Lycopersicon esculentum cv Ikram ), cresciute in una serra del Giardino Botanico di Messina in condizioni controllate di luce, temperatura e nutrimento. La loro determinazione è stata fatta tramite HPLC dopo derivatizzazione, in accordo con le metodiche usuali. Il trattamento con le soluzioni saline è stato effettuato aggiungendole a quella utilizzata per il nutrimento delle piante, ed è stato continuato per un periodo di 32 giorni; le soluzioni contenenti gli antinematocidi invece sono state somministrate insieme all’acqua di irrigazione. La somministrazione delle soluzioni saline, ha causato una diminuzione delle concentrazioni di poliammine nei frutti delle piante trattate rispetto ai controlli; mentre il trattamento con le soluzioni di antinematocidi ha evidenziato un lieve aumento nelle concentrazioni di poliammine, che è risultato dose-dipendente. P60. Acidi grassi polinsaturi e colesterolo in prodotti ittici al commercio: analisi di un campionamento A. Fabbri*- S. Fontana**- F. Montecchi*- D. Moscatelli*- F. Panizzi*- M. Rosi*- G. Silvanini*- G. Zannoni *SIAN- AUSL di RE; **ARPA sez. di RE Premessa: I prodotti ittici sono comunemente considerati ottima alternativa alle carni di animali terrestri, da cui differiscono soprattutto per la composizione lipidica. Ma non sempre questa affermazione risulta veritiera. Obiettivo: definire la composizione di acidi grassi della frazione lipidica e valutare il contenuto di colesterolo dei più comuni prodotti ittici, confrontandoli con le carni maggiormente commercializzate. Materiali e metodi: prelievo in punti vendita dei più comuni pesci di mare pescati o allevati, e dei tagli di carne maggiormente commercializzati; pesatura e omogeneizzazione della parte edibile; analisi composizione centesimale; determinazione profilo degli acidi grassi e del colesterolo attraverso metodo enzimatico; confronto analitico. Risultati e conclusioni: Il pesce è ricco di proteine nobili, spesso in misura superiore alla carne, così come evidenziato in alcuni campioni; la componente che mostra maggior variabilità è la sostanza grassa che in buona parte dipende dal regime alimentare cui è stato sottoposto il pesce durante l’allevamento: molto alta risulta la percentuale di acidi grassi essenziali (EFA), con rapporto acidi grassi polinsaturi/saturi nettamente superiore a quello delle carni. Altrettanto elevata, tuttavia, risulta essere la presenza di colesterolo, contrariamente a quanto riportato in letteratura e dalle tabelle di composizione degli alimenti. Occorre perciò incrementare il controllo qualitativo dei mangimi, con particolare attenzione al contenuto in colesterolo , anche quando destinati ad allevamenti di pesce.

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P61. Banca dati di composizione degli alimenti per studi epidemiologici in Italia, versione WEB P. Gnagnarella1, M. Parpinel2, S. Salvini3, F. Santagiuliana3, P. Maisonneuve1, F. Barbone2, D. Palli3 1Divisione Epidemiologia e Biostatistica, Istituto Europeo di Oncologia, Milano; 2Istituto Igiene ed Epidemiologia, Università degli Studi, Udine; 3 UO Epidemiologia Molecolare e Nutrizionale, CSPO-Istituto Scientifico Prevenzione Oncologica – Firenze Premesse: La Banca Dati di composizione degli Alimenti per studi epidemiologici in Italia (BDA) è nata nel 1998 dalla necessità degli epidemiologi italiani di avere uno strumento più completo e flessibile di quelli allora a disposizione (Salvini et al, 1998). Il progetto prevede un aggiornamento costante attraverso la revisione dei dati già inclusi e la raccolta di informazioni su nuovi alimenti e componenti alimentari. L’esigenza di avere la BDA disponibile sul WEB è anche legata alla partecipazione del gruppo di lavoro al Network EuroFIR, nell’ambito del Sesto Programma Quadro. Obiettivo: Fornire dati di composizione aggiornati, attraverso la creazione di un database consultabile sul WEB (www.ieo.it/bda). Metodi e Risultati: A partire dal mese di Ottobre 2006 sarà disponibile on-line la versione originale dalla BDA (1998). Anziché rimanere “statici”, cioè visibili e scaricabili in formato pdf, i dati saranno consultabili medianti un motore di ricerca ad hoc. Il database, sviluppato in MS Access, potrà essere consultato attraverso diverse modalità di ricerca: Ricerca Semplice, es. composizione del singolo alimento e Ricerca Complessa, ad esempio basata su più componenti alimentari, o su specifici intervalli di valore di un componente. Una volta identificato l’alimento di interesse, sarà possibile visualizzare tutte le informazioni disponibili. Saranno chiaramente distinti i nutrienti non presenti nell’alimento (valore uguale a zero), presenti in tracce, e i dati non disponibili (missing). Le ricerche potranno essere visualizzate anche sotto forma di lista: alimenti in italiano e in inglese, categorie merceologiche, alimenti raggruppati per categoria merceologica, nomi scientifici, alimenti ordinati per quantità crescenti/decrescenti di un singolo componente alimentare. Il sito includerà anche una serie di informazioni generali e di documentazione. Dal gennaio 2007 sarà resa disponibile la versione aggiornata della BDA. Questa includerà una lista di alimenti e nutrienti molto ampliata: vitamina B12, biotina e acido pantotenico, aminoacidi, acidi grassi, ed altri componenti di notevole interesse come i carotenoidi. Conclusioni: Con una banca dati online, con traduzione inglese e casella di posta elettronica dedicata, intendiamo procedere nella direzione richiesta dai progetti internazionali sulla composizione degli alimenti. P62. Quattro passi in cucina! (igiene, manipolazione, conservazione e cottura degli alimenti in casa) C. Martuccio♦, E. Palombi♣ ♦ Tecnologo alimentare: Libero professionista; ♣ Medico: Specialista in Scienze dell’alimentazione Premessa Come nasce “Quattro passi in cucina”(opuscolo di educazione sanitaria) è presto detto!! La collaborazione fra l’Associazione Mogli Medici Italiani (AMMI) e gli Autori, dura da diversi anni, sempre indirizzata alle problematiche socio sanitarie ed alla divulgazione di norme relative a sani stili di vita. Questa volta è toccato all’Igiene degli Alimenti!!! Le patologie trasmesse con gli alimenti continuano a rappresentare un problema sanitario non trascurabile e la loro diffusione è strettamente connessa a comportamenti non corretti nella manipolazione dei cibi. Tutto ciò avviene non solo negli esercizi di ristorazione ma anche in casa; infatti anche le casalinghe adottano errati comportamenti che possono compromettere la salute dei propri familiari, solo per distrazione o spinte dalla fretta e dalla necessità di preparare pasti rapidi (frequenti le tossinfezioni casalinghe!) L’opuscolo fornisce, in forma semplice, nozioni di base sui microrganismi trasmissibili con gli alimenti e sulle norme igieniche da adottare nel corso della preparazione e conservazione dei cibi (temperatura, porzionatura, tempo). Obiettivo Fornire informazioni rapide e semplici alle donne che preparano pasti in famiglia. Metodi Il lavoro è stato effettuato preparando circa 40 disegni che corredavano vari argomenti relativi alla

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contaminazione e alla crescita batterica. Particolare attenzione è stata posta alla conservazione degli alimenti in frigo e nel congelatore, al raffreddamento, al confezionamento sottovuoto. Le tecniche di cottura hanno rappresentato la parte finale dell’opuscolo con notizie relative alle modifiche organolettiche e nutrizionali indotte dai vari tipi di cottura. Il Supermercato GS di Benevento ha sponsorizzato la stampa e curato la distribuzione nelle due filiali della città. Risultati La presentazione è stata effettuata tramite “conferenza stampa” organizzata dall’AMMI: era presente un folto pubblico, molto interessato, (hanno partecipato anche diversi medici) Conclusioni L’interesse suscitato dall’iniziativa ci ha convinto della validità del nostro operato. E’ stata fondamentale la collaborazione con l’AMMI e con il GS. Si ringrazia la Presidentessa AMMI sig.ra A. Maturi ed il Direttore del supermercato GS di Benevento.

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INDICE DEGLI AUTORI

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A

Abbate R. 33, 80, 90

Agostoni C. 55

Albanese Z. 107

Albertini A. 71

Albini E. 99, 111, 113

Alimonti D. 105, 105

Alleva R. 75

Ambrogiani E. 98

Ansaldi F. 94

Antognazzi V. 107

Ardigò D. 73

Attianese P. 113

B

Bacchetti T. 84, 85

Badiali C. 101

Baldini M. 108, 116

Balzola F. 53

Banderali G. 50

Banni S. 76, 92

Barba G. 72, 77, 106, 112

Barbone F. 123

Bargossi A.M. 42

Battistini N.C. 44, 104

Bellizzi V. 107

Bendinelli B. 102

Benedettini L. 103

Bernasconi C. 110

Bertello C. 46

Berti C. 71, 121

Biagi P.L. 74, 75, 86, 116

Bianchi M. 73

Biavati C. 113

Biffi B. 92

Bobba C. 119

Bonardi C. 96

Bordoni A. 23, 54, 74, 75, 96

Borghi C. 34

Beltrami P. 31

Borsi E. 101

Bottazzi M. 71, 93

Bovio G. 105, 105

Brighenti F. 27, 48, 73, 79, 89

Broccia F. 93, 116

Brusamolino A. 88

Buccheri C. 118

C

Caboni C. 116

Caiazzo A.M. 51, 101, 120

Cairella G. 59, 103, 118

Caldara A. 77

Cammina M. 82

Cannella C. 81, 104

Cannelli G. 92

Canzi E. 74

Capodaglio P. 105, 105

Capolongo A. 113

Capoluongo E. 92

Cappuccio F.P. 77

Caprinozzi M. 109

Caputo M. 90

Carbini L. 76

Carbonaro R. 100

Carcassi A.M. 93, 116

Cardinali F. 101

Cardone M. 82

Carli R. 97

Caroli M. 82

Carta G. 76, 92

Casini A. 33, 80, 90

Castellaneta E. 30

Castorina M. 108

Casuccio A. 118

Casullo C. 72

Catasta G. 97

Cavalli V. 78

Celata P. 109

Celenza F. 71

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Ceroti M. 102

Cesari F. 80, 90

Chiassai S. 70, 101

Chiaverini F. 97

Chirico M.C. 31

Ciappellano S. 87

Ciaralli F. 118

Ciarapica D. 79, 97

Cirillo I. 101

Ciserchia E. 93

Coffano E. 61

Colantuoni A. 68, 69, 107, 113

Coletti C. 104

Colombo O. 70, 102, 114, 119

Comendador F.Y. 62

Console L. 91

Contaldo F. 77

Conti A. 33

Cordeddu L. 76, 92

Corelli S. 97

Corsinovi E. 97

Cuzzolaro M. 97

D

D’Acapito P. 36

D’Addessa D. 62

D’Amico O. 113

D’Archivio M. 84

D’Elia L. 77

Dalla Rosa M. 22, 96

Danesi F. 74, 75

De Cristofaro P. 68

De Felice M. 58

De Feo P. 43

De Filippo E. 77

De Silvio M. G. 113

Del Rio D. 48, 73, 79

Dell’Acqua R. 93

Dello Russo M. 107

Di Bonifacio M.T. 68

Di Gregorio R. 113

Di Gregorio S. 109

Di Majo D. 88

Di Nunzio M. 74, 75, 91

Di Porto M. 118

Dini C. 80

Doneddu G. 76

Donini L.M. 30, 104

Dragani B. 68

Dugoni M. 44, 104

E

Emanuele E. 102

Emanuelli M. 75

F

Fabbri A. 122

Fabbri F. 113

Fabiani L. 58

Fabiano C. 122

Fadda R. 76

Faldella G. 50

Fanzola I. 94

Faraone V. 122

Farias L. 110, 117

Farinaro E. 106

Farinato M.A. 109

Fasanelli P. 96

Ferrara I. 78

Ferrari A. 120

Ferretti F. 70

Ferretti G. 80, 84, 85

Fimiani G. 113

Flacco S. 68

Flagella Z. 87

Foderaro M. 101

Fogliano V. 87, 89

Fontana S. 122

Francalanci C. 70, 101

Franchini M. 97

Frascheri C. 103

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128

G

Gagliano P. 111

Galfo M. 79

Galletti F. 72

Galli C. 56

Galli G. 103

Galvano F. 84, 87

Gambarara D. 99, 111, 113

Garbagnati F. 59

Gardana C. 74, 87

Gargiulo G. 107

Gatti R. 98

Genise S. 80

Gensini G.F. 33, 80, 90, 92

Ghiadoni L. 102

Ghiani G. 116

Giacomoni G. 71

Giammanco M. 88, 111, 118

Giammanco S. 88, 111, 118

Giampietro M. 36

Giannone C. 31

Giannotti M. 97

Giardina B. 108, 109, 110

Gini A. 110, 117

Giordano E. 92

Giorgi G. 90

Giraldi A. 109

Giulini Neri I. 50

Gnagnarella P. 123

Gori A.M. 33, 80, 90

Granito T. 113

Grosso A. 70

Guarnieri S. 88

Guberti E. 31

Guerritore G. 113

Guidetti R. 30

Guidi A. 98

I

Iaccarino Idelson P. 78

Iacone R. 77, 106

Innocenti G. 80

Intini R. 92

Intorre F. 97

K

Klimis Zacas D. 87

L

La Guardia M. 88, 111, 118

La Monica G. 10

Lantini T. 93

Lanza C. 96

Lauria F. 72, 112

Laus M.N. 87

Leclercq C. 45

Leo L. 103, 118

Leonardi M.R. 68

Lesi C. 31

Lingua S. 61

Loguercio M. 72, 112

Longo P. 103, 118

Longo R. 61

Lorenzini A. 86

Lucani A. 93

Luisi M.L.E. 33, 92

M

Magnino C. 46

Maiani G. 97

Maisonneuve P. 123

Malaguti M. 74, 96

Malavolti M. 44, 104

Mammina C. 118

Manasseri L. 100, 115

Mancini S. 113

Manna F. 79

Mannini L. 90

Maranesi M. 75, 91, 108, 116

Marangoni F. 56

Marcazzan E. 48

Marchetti A. 118

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129

Marconi E. 21

Maresca I. 69, 107

Marinoni P. 114

Marinou K. 105, 105

Marra M. 77

Masciangelo S. 80, 84, 85

Martone D. 62

Martorana G.E. 108, 109, 110

Martuccio C. 123

Marzi V. 62

Masala G. 102

Masella R. 84

Mattei R. 70, 101

Mauro B. 79, 97

Melappioni S. 91

Mele A. 120

Mele M.C. 92, 108, 109, 110, 120

Meniconi P. 110

Melis M. P. 76, 92

Merni F. 116

Metro D. 100, 115

Miglio C. 48, 73, 79

Minak G. 113

Molinaro M. 103, 118

Molino Lova R. 92

Moneta E. 62

Montagnese C. 77

Montanari A. 30

Montecchi F. 122

Mora G. 105, 105

Morandi A. 64

Morbidoni M. 95, 98

Mordenti F. 51, 81, 101, 120

Moruzzi R. 79

Moscatelli D. 122

Mura G. 110

Muraca G. 122

Muraca U. 100, 115, 122

Murru E. 76

Musella M. 92

N

Nappi R. 102

Nappo A. 112

Naso D. 46

Nasole E. 75

Nasti F. 69

Nasti G. 69, 107

Natella F. 35

Nicolai R. 51, 101, 120

Novajara P. 96

O

Odorico A. 96

Orsi W. 31

P

Pagano G. 78

Pagliarin P. 96

Palli D. 102, 123

Palmas T. 94

Palomba L. 97

Palombi E. 123

Panetta V. 62

Paniccia R. 90

Panico S. 104

Panizzi F. 122

Panzini I. 99, 111, 113

Paoletti R. 56

Paolini E. 70

Paolini M. 104

Papa R.E. 51, 101, 120

Parisi G. 90

Parpinel M. 123

Pasanisi F. 77

Pasqui F. 38, 91, 108, 116

Pastore D. 87

Pecoraro P. 68, 78, 113

Pellegrini N. 48, 73, 79, 89

Peparaio M. 62

Peretti M. 76

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130

Pernice R. 89

Pesci P. 31

Petroni M.L. 53

Piergiovanni L. 22

Pietrobelli A. 44, 104

Pinelli G. 70, 102, 114, 119

Piras A. 92

Pivetta E. 94

Pivetta E. 94

Plantinga Y. 102

Poli A. 56

Poli B.M. 90

Poli M. 104

Polito A. 79, 97

Polverini F. 98

Ponti G. 110

Porrini M. 26, 71, 88, 121

Prestieri G. 69, 107

Principato S. 78

Procuranti C. 97

Puglisi E. 46

Pusani C. 117

R

Rauti A. 99, 113

Repossi I. 70, 114

Ricciardi M.L. 104

Riso P. 71, 88, 121

Rosi M. 122

Rossi A. 113

Rossi L. 79

Ruggeri P. 122

Russo O. 77, 106

Russo P. 72, 112

S

Sabot A. 96

Sacchetti M. 70

Sacco E. 108, 110

Saieva C. 102

Salomone R.M. 100, 115

Salvini S. 102, 123

Sanlorenzo O. 91

Santagiuliana F. 123

Santangelo C. 84

Santini B. 94

Sardo Cardalano M. 71

Sartini D. 75

Saturni L. 80

Savina C. 104

Sbarbati R. 95

Scalfi L. 77, 78, 107

Scano P. 76

Scanu A. 62

Scarmato A. 122

Scarponi S. 61

Scavone L. 104

Scazzina F. 48, 73, 79, 89

Scazzocchio B. 84

Schiattarella P. 106

Scognamiglio U. 59

Sell C. 86

Serafin R. 63

Serra M.R. 78, 107

Sette F. 58

Sette S. 62

Sgadari A. 108, 110

Siani A. 46, 72, 77, 112

Sieri S. 102

Silighini C. 113

Silva A. 97

Silvanini G. 122

Simonetti P. 74

Sinesio F. 62

Soccio M. 87

Sofi F. 33, 80, 90

Solis M. 119

Sonni L. 118

Sorino C. 81

Strazzullo P. 72, 77, 106

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131

Suglia A. 61

Surrenti C. 80

T

Tabacchi G. 111

Tagliabue A. 70, 102, 114, 119

Tanas R. 71

Tarsitani G. 59

Taurone A. 107

Tavazzi B. 108, 110

Tecce M.F. 90

Testa E. 46

Tomasetti M. 75

Tomassi G. 20

Torelli C. 96

Torino G. 90

Torri L. 22

Tortone C. 61

Toti E. 97

Tozzi D. 87

Trentani C. 70, 102, 114, 119

Tripoli E. 88

Tucci C. 96

Turrini A. 95

V

Valenti M. 96

Valtuena S. 73

Vania A. 51, 81, 101, 120

Vanotti A. 110, 117

Veglio F. 46

Venezia A. 77, 106

Veronesi B. 113

Versiero M. 77

Visioli F. 27

Vitaglione P. 77

X

Xhebraj E. 68

Z

Zaccaria M.I. 79, 97

Zannoni G. 122

Zavaroni P. 73

Zulberti B. 96

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XXXIV Congresso Nazionale SINU La nutrizione umana oggi tra tecnologia e prevenzione

133

Il Consiglio Direttivo SINU e il Comitato Organizzatore del Congresso Nazionale desiderano esprimere il più vivo ringraziamento alle Aziende Aziende che con il loro fattivo

apporto hanno contribuito alla realizzazione dell’evento.

Si ringraziano i Major Sponsor:

Si ringraziano anche:

Il Melograno

Alesco Srl A.V.D. Reform Srl Barilla G. e R. F.lli Spa Camst Cooperativa Olivicoltori dei Colli Riminesi Cosmed Srl Difass SA DS Medica Srl Euronatur Srl Fattoria Petrini Srl Galbusera Dolciaria Spa GE Medical Systems Italia Spa Gemeaz Cusin Srl Granarolo Spa Guaber Coswell Spa Guna Spa Il Pensiero Scientifico Editore Srl

Inneov Italia Spa Istituto Danone Laborest Italia Spa Marvecspharma Services Srl Medimatica Srl Nathura Srl Oleificio Pasquinoni Snc Pedus Service P. Dussmann Srl Polo Scientifico – Didattico di Cesena Positive Press Sas Progeo Srl Roche Spa Sensor Medics Italia Srl Ser.In.Ar. Soc. Cons.P.A. Unilever Italia Srl Div. Foods Wyeth Consumer Healthcare Spa

Valsoia Spa

Ed inoltre:

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Annibale Carracci, Il mangiatore di fagioli

Segreteria Organizzativa Promo Leader Service Congressi Srl Via della Mattonaia,17 50121 Firenze Tel 055 2462.1 - Fax 055 2342929 E-mail: [email protected] www.promoleader.com

Segreteria Operativa Società Italiana di Nutrizione Umana

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Tel 055 2462222 - Fax 0552342929 E-mail: [email protected]

www.sinu.it

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S I N U SOCIETÀ ITALIANA DI NUTRIZIONE UMANA

ONLUS